In
viaggio nella terra degli Dei
Un
immenso patrimonio archeologico. Nonostante il trascorrere dei secoli, i
fenomeni atmosferici, la negligenza e la trascuratezza dell'uomo, la
Sicilia vanta ancora uno smisurato numero di siti di inestimabile
valore. Furono soprattutto i greci a fare dell'isola una terra per gli
dei, innalzando templi di straordinaria bellezza, costruendo città
fatte per resistere al tempo, e lasciando un po' dappertutto vestigia di
un passato glorioso. Poi arrivarono i romani e storia si aggiunse a
storia. Oggi la Sicilia è un grande museo all'aria aperta che, come una
signora seducente e decaduta, si lascia ammirare, consapevole del
fascino misterioso che si sprigiona dalle pieghe del tempo.
SEGESTA
- Sorge
improvviso, nella campagna, circondato dalle cime del monte Barbaro. Lo
splendido Tempio dorico di Segesta, composto da 6 colonne sulla facciata
e 14 sul lato lungo, risale con tutta probabilità
al 430-420 a.C., ma non fu terminato. A testimoniarlo le colonne stesse,
prive di scanalature. Il motivo purtroppo rimane sconosciuto. Quel che
è certo è che si tratta di una delle testimonianze più suggestive che
l'arte greca abbia lasciato da queste parti. La cittadina che un
tempo sorgeva qui aveva origini ancora più
antiche. Secondo gli studiosi fu fondata intorno al XII secolo a.C.
dalla popolazione degli elimi, forse provenienti dalla Spagna o dalla
Liguria o, secondo alcune fonti, addirittura dalla città di Troia.
Sempre a loro, inoltre, sarebbe riconducibile la nascita di Erice.
A
circa due chilometri dal Tempio si trova il Teatro. Presenta le forme
tipiche dell'architettura greca, ma quando la struttura fu realizzata,
alla fine del III secolo a.C, Segesta era ormai entrata nella fase di
dominazione romana. La pianta è semicircolare, ha una larghezza di
oltre 60 metri e l'apertura è orientata verso nord, dove la vista
spazia su un magnifico scenario naturale fatto da verdi colline e dalla
striscia azzurra del mare, che si scorge in lontananza nelle giornate più
terse. All'epoca del suo maggior splendore poteva contenere più di
quattromila spettatori, che sedevano su gradinate scavate nella roccia.
Un'esperienza che si può ripetere ancora oggi, visto che il Teatro
viene utilizzato spesso per rappresentazioni teatrali ed eventi
culturali. Cosa fu di Segesta? Dopo essere stata a lungo acerrima rivale
di
Selinunte, per motivi di confini territoriali, fu conquistata nel 307
a.C da Agatocle di Siracusa.

CAVE
DI CUSA -
Capitelli lavorati e grossi monconi già
scolpiti giacciono sparpagliati sul terreno. In questa zona furono
estratte le pietre per costruire la città di Selinunte e furono
intagliate direttamente nella roccia le enormi colonne per i suoi
templi, che centinaia di schiavi trascinavano su rulli di legno. È solo
il preludio allo spettacolo offerto da uno dei siti archeologici più
affascinanti del Mediterraneo, che dista una ventina di chilometri da
qui. Ciclopica nelle sue mura, imponente negli edifici religiosi,
Selinunte fu costruita per essere eterna, ma fu annientata dai
cartaginesi in nove giorni. I suoi resti, in una bellissima posizione
sul mare, emanano ancora una irresistibile malia addolcita dal profumo
dell'appio, una sorta di sedano selvatico chiamato in greco sèlinon,
che diede il nome alla città.
SELINUNTE
- Finì
nel sangue la storia di Selinunte. Colonne abbattute, torri smantellate,
brandelli di muri sono ancora lì a testimoniarlo. Era il 409 a.C.
quando da 60 navi da guerra e 1500 da trasporto sbarcarono sulla
spiaggia centomila uomini tra fanti e cavalieri cartaginesi, che
espugnarono la città dopo nove giorni di assedio, la rasero quasi
interamente al suolo, uccisero sedicimila persone e fecero cinquemila
prigionieri. Dopo oltre due secoli di splendore la più fiorente tra le
colonie greche in Sicilia, fondata nel 651 a.C. probabilmente dalle
genti di Megara Iblea (a nord di Siracusa) era diventata una città
fantasma. Da quel momento in poi Selinunte fu solo l'ombra di quella
polis che aveva fatto del commercio e dell'agricoltura la sua grandezza.
Non potè più battere moneta, non eresse più monumenti, l'area urbana
si ridusse di due terzi. Appena 150 anni dopo fu definitivamente
abbandonata. Attualmente l'area archeologica si divide in tre nuclei.
Uno comprende i templi della collina orientale, indicati con delle
lettere perché gli esperti non sanno dire con certezza a quale divinità
fossero dedicati.
Il più
scenografico è il tempio E, rialzato nel 1957, probabilmente dedicato
alla dea Hera, la Giunone romana. Doveva avere un aspetto grandioso,
niente però a confronto del tempio G, che è davvero di dimensioni
colossali, con le sue 17 colonne in lunghezza, 8 in larghezza, ciascuna
con un diametro di tre metri e un'altezza di 16. Nonostante sia ridotto
a un ammasso di ruderi è sufficiente osservare i resti sul terreno per
avere un'idea delle proporzioni dell'area, che misurava 110 metri per
50.
Sulla
collina ovest, invece, è situata l'Acropoli, cinta da poderose mura.
Ospitava edifici civili e religiosi, compreso il tempio C, il più
antico di Selinunte.
A
nord dell'Acropoli, nella zona detta della Manuzza, si sviluppava il
centro urbano, che a partire dal IV secolo fu abbandonato e in parte
usato come necropoli.

In
contrada Gaggera si estende, infine, l'area del santuario di Demetra
Malophoros, dea legata alla fertilità, con il recinto sacro e gli
altari. Con i suoi 270 ettari, il Parco Archeologico di Selinunte è il
più grande d'Europa.
SCIACCA
- La città
delle terme. È un soprannome che a Sciacca calza a pennello, visto che
è considerato il centro termale più antico della Sicilia. Era già
noto al tempo dei greci, che apprezzavano le proprietà terapeutiche
delle sue sorgenti solforose, ed è celebre anche per le grotte
vaporose (le stufe di San Calogero), che si trovano sulla vetta del
monte Kronio. Il mito racconta che a scavarne un ingresso fu Dedalo, il
costruttore del celebre labirinto, dopo la sua fuga da Creta.
Un
clima dolce, un vivace porticciolo frequentato dai pescherecci, una
posizione suggestiva a ricco sul mare e tanti monumenti che ricordano il
suo passato arabo-normanno. Sciacca ha tanto da offrire, oltre
naturalmente alle strutture per le cure termali. Ne sono un esempio la
bella chiesa di Santa Margherita, di origine medievale, con il bel
portale gotico-rinascimentale, le ricche decorazioni barocche che ne
caratterizzano l'interno, e Palazzo Sterepinto, in stile catalano. Vale
una sosta Piazza Scandaliato, da dove si gode una incantevole vista sul
mare.
CALTABELLOTTA
- A una
ventina di chilometri da Sciacca sorge Caltabellotta, un borgo
appoggiato a tre colli: il Monte San Pellegrino, il Monte Castello e la
Rupe Gogala. Dopo i primi insediamenti di età
preistorica, secondo gli studiosi da queste parti fu fondata la città
greca di Triocala, il cui nome racchiudeva le tre caratteristiche per le
quali era nota e potente: un inespugnabile sistema difensivo,
l'abbondanza di acque e la fertilità del suolo. Ma tutto ciò non fermò
gli arabi, all'inizio dell'800, che la distrussero e diedero vita a Qalat
al balat (rocca costruita sulla pietra spianata), toponimo dal
quale, con tutta probabilità, deriva la parola Caltabellotta. Quando
arrivarono i normanni, fu re Ruggero a lasciare un segno forte sul
territori: fece edificare una fortezza su una delle tre rupi, ed è per
questo che si chiama Monte Castello.
Ma
Caltabellotta è passata alla storia perché qui, nel 1302, venne
firmato il trattato di pace che metteva
fine alla prima fase degli scontri per la spartizione della regione,
noti anche come Vespri siciliani, tra le casate degli Angioini e degli
Aragonesi.
Da
visitare la bella Cattedrale, il cui nucleo originario sembra si debba a
Ruggero il Normanno, che la fece erigere dopo aver sconfitto ì
saraceni, la chiesa di Sant'Agostino, di origine trecentesca, con
all'interno la Passione, un gruppo di otto statue a grandezza naturale
probabilmente opera dell'artista Antonino Ferraro, e i resti dell'eremo
di San Pellegrino. La leggenda racconta che qui il Santo, che era stato
vescovo dì Triocala, sconfisse un terribile drago divoratore.
Vale
una sosta la chiesetta adiacente e il grandioso panorama sulla vallata
che si gode da qui.
ERACLEA
MINOA - Fu
fondata dagli abitanti di Selinunte sul promontorio di Capo Bianco,
intorno al VI secolo a.C.
Secondo la leggenda il nome dì
Minoa le fu dato per onorare la morte del re cretese Minosse, venuto in
Sicilia per vendicarsi di Dedalo, l'architetto ateniese padre di Icaro
che aveva aiutato la moglie del sovrano ad accoppiarsi con un toro, da
cui era poi nato il minotauro, un essere mezzo uomo e mezzo animale.
L'antica
città, di cui oggi restano i ruderi di alcune abitazioni, della cinta
muraria, oltre a una necropoli e a un teatro con il proscenio aperto sul
mare, fu scenario di diversi scontri militari e fu più volte espugnata.
Nel 256
a.C. nelle sue
acque si disputò una grande battaglia navale tra i romani e i
cartaginesi, che subirono una disfatta con pochi precedenti. Sotto il
dominio di Roma Eraclea ebbe ancora momenti gloria, fino a 70 a.C.,
quando fu avvolta dall'oblio. Cosa sia successo non si sa con
precisione, ma probabilmente a causa di una frana che trascinò in mare
una parte del centro abitato, fu abbandonata.

AGRIGENTO
- Proseguendo
l'itinerario, una manciata di chilometri dopo Eraclea, si staglia Scala
dei Turchi. Si chiama così una scogliera dal colore biancastro, fatta
di roccia di natura calcarea e argillosa, che si getta a picco nel mare
lungo la costa di Realmonte, nei pressi di Porto Empedocle. Spicca per
le forme curve e irregolari e prende il nome da una salita, che sembra
una scalinata naturale, e dai saraceni, che anticamente approdavano qui
poichè era un posto sicuro e riparato. Uno spettacolo naturale davvero
suggestivo, insieme alla sabbia fine e all'acqua trasparente.
Ancora
una decina di chilometri e si giunge ad Agrigento. Un tempo sorgeva qui
Akragas, città greca di grande importanza. Il poeta Pindaro la definì
"la città più bella dei mortali, amica del fasto" mentre il
filosofo Empedocle, che vi nacque, parlava del suo splendore commentando
che i concittadini innalzavano case e templi come se non dovessero
morire mai.
Akragas
era circondata da mura. Nella parte più alta sorgeva l'acropoli, dove
oggi i trova la moderna Agrigento, nella parte più bassa, invece, a
partire dal V secolo a.C. gli architetti diedero il via alla costruzione
degli edifici sacri, ponendo le prime pietre di quella che poi sarebbe
diventata la celebre Valle dei Templi. Un patrimonio archeologico di
inestimabile valore, sebbene le incursioni dei cartaginesi del 406 a.C.,
le intemperie e i frequenti terremoti abbiano messo a dura prova
l'integrità del sito. Dal 1997 è stato iscritto dall'Unesco nella
lista dei luoghi considerati Patrimonio dell'Umanità.
Dei
suoi numerosi templi dorici, alcuni hanno avuto più fortuna di altri e
sono ancora in piedi pronti a raccontare al visitatore i fasti di un
tempo. Ne è un esempio il Tempio della Concordia, con tutta probabilità
quello meglio conservato. Risale al 430 a.C. e conta 34 colonne, sei
delle quali sulla facciata. Nel VI secolo era diventato
una basilica cristiana e solo a metà
del 1700 è stato riportato alla sua forma originale.
Il
Tempio di Ercole sembra essere il più antico del complesso (tardo VI
secolo). Delle 38 colonne originarie ne sono rimaste otto, quattro con
il capitello.
Suggestivi
anche i resti del Tempio di Giunone Lacinia, contemporaneo a quello
della Concordia, di cui si è preservato per intero il colonnato
settentrionale.
Fra
le costruzioni più imponenti, poi, c'era il Tempio di Giove Olimpico.
Raggiungeva i 113 metri di lunghezza e i 56 di larghezza. A
testimoniarlo restano solo le fondamenta e delle macerie. Gli studiosi,
comunque, ritengono che non fosse mai stato terminato. Erano parte
integrante della struttura anche alcune colossali statue, alte più di
sette metri, che prendevano il nome di telamoni. Quella che giace a
terra è una ricostruzione, mentre l'originale è nella collezione del
Museo Archeologico Regionale, che sorge poco distante dal centro urbano
e conserva un lungo elenco di tesori. Espone più
di cinquemila reperti che raccontano la storia di Agrigento, riportati
alla luce durante numerose campagne di scavo.
PIAZZA
ARMERINA - Una
incredibile galleria di figure umane, animali, esseri mitologici. Sono
gli straordinari mosaici della Villa romana del Casale, a Piazza
Armerina. Una sessantina di ambienti con pavimenti policromi composti da
oltre 30 milioni di tessere da mosaico.
Questa
dimora patrizia, all'epoca cuore di un immenso latifondo, lascia il
visitatore senza fiato per la bellezza delle sue decorazioni e si è
guadagnata un posto nell'elenco dei siti Patrimonio dell'Umanità
dell'Unesco. A chi appartenesse non si sa con certezza. Forse era di un
senatore, Rufio Albino, console nel 335 d.C., per il quale era un
ameno rifugio di campagna in cui trascorrere momenti di riposo e
riflessione. Secondo alcuni archeologi però,
potrebbe essere anche stata la residenza di caccia dell'imperatore
Massimiano Erculeo, che governava l'impero romano d'Occidente, secondo
una formula stabilita da Diocleziano, il quale era convinto che due
persone innalzate allo stesso rango avrebbero potuto difendere meglio i
confini e amministrare più efficacemente gli estesi possedimenti
romani.
Diocleziano
aveva tenuto per sé l'impero d'Oriente nominando il suo compagno d'armi
Massimiano alla guida dell'altra metà. Certe sono, invece, le due
catastrofi che coinvolsero la villa. Il terremoto del 346 d.C. e la
frana che la seppellì nel 1161, salvandola dalle insidie del tempo. I
mosaici della Villa del Casale sono veri e propri capolavori dell'arte
figurativa. Per averne una prova basta ammirare
i disegni del Corridoio della grande caccia, 53 metri di lunghezza per 3
di larghezza, con decine di scene che rappresentano la cattura di
animali, oppure la famosa Sala delle ragazze in bikini, probabilmente
l'icona più
conosciuta, con dieci donne in costume da bagno che compiono esercizi
ginnici.
A
una decina di chilometri da Piazza Armerina, nella contrada Serra
Orlando, merita una visita anche il sito archeologico di Morgantina.
Era un'antica città sicula, risalente all'XI secolo, improvvisamente
abbandonata nell'anno 30 a.C. Sembra che sia stata una copertura di
polvere e cenere a consentirle di conservarsi. Varie campagne di scavo
hanno riportato alla luce la piazza del mercato, il teatro e molti altri
edifici.

Estremo
occidente
La
mattina del 18 giugno 827 una flotta di feluche saracene si
stagliò
minacciosa all'orizzonte avanzando verso la costa di Punta Granitola, a
sud di Mazara del Vallo. Non si trattava di una semplice scorreria: quel
giorno l'esercito arabo comandato da Asab ibn al-Furàt iniziava
un'invasione che avrebbe portato, entro il 963, al dominio totale
dell'isola. Ed era inevitabile che i Mori toccassero terra qui: siamo
nel punto della Sicilia più vicino all'Africa, a circa 150 chilometri
dalla costa tunisina di Cap Bon. Non c'è da stupirsi quindi che le
"terre d'occidente" siano così "esotiche" e diverse
dal resto di Trinacria. Perché qui il vento ha temperature africane, i
capi delle tonnare che punteggiano la costa e le isole si chiamano rais
e le architetture hanno una grazia moresca. E la bellezza del mare e
della terra tocca altezze vertiginose. A cominciare da un minuscolo
borgo nel Golfo di Castellammare.
SCOPELLO
- Sembra un
piccolo presepe modellato da un artigiano in vena di poesia questo
villaggio stretto intorno a una piazzetta squadrata delimitata, su un
lato, da un muro oltre il quale brillano i limoni di un orto
lussureggiante. Di fronte, ecco l'accogliente baglio medievale entro cui
troneggia un maestoso albero di eucalipto che da riparo a un paio di
ristorantini e di bottegucce; sul terzo lato una strada mette in
comunicazione con il mondo esterno e, sull'ultimo, due localini invitano
a oziare amabilmente di fronte a un caffè
e a un sontuoso cannolo.
Nelle
altre viuzze di questo paese un tempo abitato pressoché solo da
pescatori di tonni c'è poco o niente, a parte qualche gatto randagio
che sonnecchia placido e il ristorante La Terrazze che, come indica il
nome, offre una vista strepitosa oltre a sublimi piatti di pesce.
Arroccato
su una rupe a cento metri di altezza, Scopello permette di ammirare
tutta l'accogliente curva del Golfo di Castellammare: sulla destra ecco
il promontorio di Punta Raisi, mentre sulla sinistra si allunga quello
di San Vito Lo Capo. E se ci sporgiamo un poco e guardiamo giù, verso
il mare, scorgiamo l'edificio dell'antica tonnara, un piccolo angolo di
paradiso sorvegliato da aguzzi faraglioni che emergono da acque di
cristallo.

Ma
a Scopello non si viene solo per il dolce far niente o per ubriacarsi di
sole nel frinire delle cicale, si viene anche, liberati dalla schiavitù
dell'auto, per scoprire sette chilometri di costa scoscesa e
incontaminata: quella protetta dalla Riserva Naturale Orientata dello
Zingaro. Istituita nel 1981, dopo anni di lotte degli ambientalisti che
combatterono contro la costruzione di una strada panoramica che avrebbe
sventrato la costa, è raggiungibile da Scopello con una camminata di un
paio di chilometri. All'ingresso, un semplice botteghino, si paga un
biglietto e si entra in un luogo intatto dove è vietato persino fumare.
In primavera è un tripudio di fiori colorati, in estate le sfumature
azzurre del mare contrastano armoniosamente con quelle bionde della
terra riarsa, d'inverno è un paradiso di mitezza.
Ci
sono diversi percorsi tra le palme nane, non solo quello "del
mare" che permette di accedere a calette da favola come Punta della
Capreria a soli venti minuti di cammino dall'ingresso vicino a Scopello,
ma anche quello più in quota che dà modo di scoprire una montagna
vergine dove si rifugiò il bandito Salvatore Giuliano e dove ancora
nidificano i falchi pellegrini e l'aquila del Bonelli.
SAN VITO LO CAPO -
La luce altissima, quasi zenitale, è
resa ancora più abbagliante da tre chilometri di spiaggia sabbiosa di
un candore accecante, delimitata da ambo i lati da una costa che si alza
e si frange in angoli rocciosi e calette. È l'arenile, insieme al
turchese tropicale delle sue acque, l'attrattiva principale di San Vito
Lo Capo, capitale del Cous Cous Fest che ogni settembre ricorda quanto
in questo angolo occidentale di Sicilia le radici arabe siano profonde.
San
Vito sorge al limite settentrionale dell'omonimo promontorio che si
protende verso nord nel Tirreno e che è chiuso alla base da due riserve
naturali, quella dello Zingaro a est e quella del Monte Cofano a ovest.
Nei momenti in cui non si gode delle delizie del mare e dei suoi fondali
trasparenti, pulitissimi e ricchi di pesci, tanto da essere amatissimi
dai sub, si può passeggiare lungo la pedonale Via Savoia,
perpendicolare alla costa. È questo il cuore commerciale
e notturno della cittadina ed è
a due passi dal duecentesco Santuario di San Vito, realizzato in stile
architettonico arabo-normanno e più volte rimaneggiato.
Tre
chilometri a sud del centro balneare, sulla strada che porta a Trapani,
si incontra la frazione di Macari, con le calette di sassi bianchi e una
bella striscia di sabbia fine.
Ancora
più giù ecco Castelluzzo, sprofondato negli uliveti e celebre per il
suo olio. Ma per godere di un ambiente selvaggio si può anche
organizzare un'escursione alla Riserva Naturale Orientata del Monte
Cofano, istituita nel 1997.
ERICE
- Settecentocinquanta metri più
in giù brilla Trapani, protesa nel mare come una falce; sulla destra si
eleva la brulla e massiccia sagoma del Monte Cofano; a sinistra
scintilla la piattezza di diamante delle saline. E davanti, sul
proscenio del mare, emergono dalle acque come giganti sonnecchianti le
tre Egadi, Favignana, Levanzo e Marettimo. Una vista superba goduta in
un contesto di pari fascino: il Castello di Venere di Erice.
Conquistata
salendo in auto su una strada a tornanti che parte da Valderice, Erice
è un luogo incantato ed è davvero
qualcosa di più
del "solito" borgo medievale tutto viuzze lastricate e
balconcini fioriti così tipico della parte più invitante e meglio
conservata della nostra Penisola. È un luogo magico, fondato dagli
elimi, discendenti del popolo troiano, dove si adorava, in un magnifico
tempio a lei dedicato, una dea mediterranea dell'amore e della fertilità
che poi i greci chiamarono Afrodite.
Entrando
in città da Porta Trapani, si scorge subito la Chiesa Matrice con il
suo campanile isolato. Realizzata nel Trecento per volere di Federico II
d'Aragona
con pietre provenienti dai ruderi dell'antico tempio di Venere, è
un gioiello di semplicità e sobrietà.
Proseguendo
su Corso Vittorio Emanuele, si taglia tutta la cittadina e si giunge sul
lato nord, alla medievale Porta Cannine da dove si può tornare a Porta
Trapani costeggiando la poderosa cinta muraria ben conservata.
Per
arrivare invece al merlato Castello di Venere e godere del panorama
superbo descritto sopra, da porta Trapani occorre imboccare Viale Conte
Pepoli.
Poco
sotto, incastonato
in un giardino sorge il Castello Pepoli, nelle cui torri è
stato ricavato un resort di charme.

TRAPANI
- Bianca e
sonnecchiante, Trapani è
una cittadina piacevole dove lo Scirocco profumato di sale soffia
stordendo e rilassando. Ha angoli nobili e alteri, da piccola capitale,
e scorci pittoreschi e animati da una vivace vita di provincia. Lungo il
mare, spiagge affollate da trapanesi, il porticciolo turistico, quello
commerciale e piccole, strepitose rosticcerie dove acquistare e gustare
ogni ben di Dio, primo fra tutti il cous cous di pesce ma anche olive,
caponata e panelle, piccole frittelle di ceci.
Può
sembrare strano ma Trapani fu fondata più di milleduecento anni prima
di Cristo dagli elimi come piccolo avamposto sul mare della ben più
importante Erice. Solo in seguito divenne un porto importante e un
centro di grande rilevanza per la produzione del sale, per la pesca e la
lavorazione del tonno e del corallo.
Deve
il suo nome al suo essere una penisola a forma di falce, che è proprio
ciò che in greco antico significa drepanon. Il nucleo storico inizia a
ovest dei giardini pubblici di Villa Margherita mentre a est sorge la
Trapani nuova, edificata a partire dall'Ottocento e sede di anonimi
palazzoni residenziali e di borgate periferiche dove l'urbanistica non
ha certo dato il meglio di sé.
Il
cuore di Trapani, piccolo e tutto percorribile a piedi, pulsa intorno
alla Cattedrale secentesca, dedicata a San Lorenzo.
Da qui, imboccando Via del Giglio e camminando verso sud si giunge, nei
pressi del porto, alla Chiesa del Purgatorio, importantissima sia per il
sentimento religioso sia per il folclore trapanese perché
è qui che sono custoditi i cosiddetti "Misteri", statue
lignee settecentesche che raffigurano a grandezza naturale alcuni
momenti della Passione di Cristo. Tutti gli anni, il Venerdì Santo
vengono trasportate in un'imponente processione che dura ventiquattro
ore lungo le vie della città dai rappresentanti dei tradizionali
mestieri cittadini come i pescatori e i salinari.
Dalla
parte opposta della penisoletta trapanese, cioè sul lato esposto a
nord, è da visitare, ogni mattina, il colorato e pittoresco mercato del
pesce che vende tonno freschissimo pescato in una delle tante tonnare
che punteggiano il trapanese ma anche sale, olive, formaggi e altri
generi alimentari.
Proseguendo
verso ovest, si passeggia lungo Corso Vittorio Emanuele, l'arteria
principale, e si arriva all'estremo limite occidentale della città dove
sorge la secentesca Torre di Ligny, una fortificazione spagnola dove è
ospitato il Museo della Preistoria e del Mare.
Nella
parte moderna della città sì eleva il Santuario dell'Annunziata, dove
è conservata la statua trecentesca della Madonna di Trapani
dello scultore Nino Pisano. Nell'adiacente ex convento ha sede il museo
principale della città,
il Museo Regionale Conte Agostino Pepoli. Splendida la collezione di
bizzarri manufatti artistici in corallo del Seicento e del Settecento.
Non
si può lasciare la città senza recarsi al porto e imbarcarsi su un
aliscafo che in una ventina di minuti porta a Favignana, principale
isola dell'arcipelago delle Egadi incastonato in un mare tra i più
belli del mondo.
FAVIGNANA
- È
un'isola scabra, arida, tuffata in un mare cristallino dove il sole
domina sovrano. Splendida da percorrere in bicicletta ascoltando solo il
ronzio dei pedali e il vento che fischia lieve tra i capelli, nel
profumo del finocchietto selvatico. Si scoprono, così, angoli di
bellezza assoluta ed essenziale, fatti solo di pochi semplici elementi,
pietra, rocce, acqua, silenzio.

A
forma di farfalla, ha il suo cuore nella cittadina omonima, dove sorge
il porticciolo turistico e commerciale e dove, soprattutto, ha sede
l'ottocentesco Stabilimento Florio, cioè la tonnara, tutt'ora in piena
attività. La pesca e la lavorazione del tonno sono le principali
attività dell'isola insieme al turismo ma fino a pochi decenni fa,
quando erano in pochissimi a venire in vacanza qui, una voce
fondamentale dell'economia era anche l'estrazione del tufo, molto
abbondante.
Abbracciata
proprio da una geometrica
scogliera di tufo è
Cala Rossa, luogo di potente bellezza, dove da un lastrone bagnato dalle
onde ci si getta in un'acqua che sembra giada liquida. Situata nell'ala
orientale dell'isola è anche Cala Azzurra, così chiamata per
l'incredibile turchese delle acque rese più chiare dai fondali di
sabbia bianchissima.
L'unica
altra spiaggia di sabbia è quella comoda, e per questo molto
frequentata, di Lido Burrone ma sono tanti gli accessi al mare
meravigliosi come Cala Rotonda, nella parte occidentale dell'isola,
selvaggia e quasi per nulla attrezzata a livello turistico.
Da
Favignana, in pochi minuti di navigazione, si raggiunge Levanzo che
custodisce la suggestiva Grotta del Genovese, dove si ammirano pitture
rupestri lasciate dagli uomini del Neolitico.
Più
lontana è la vergine Marettimo, una montagna impervia di 686 metri
tuffata in un mare da fiaba. Alta e strapiombante, la costa di rosata
roccia dolomitica è forata da grotte marine di incomparabile bellezza.
LE
SALINE - Lasciando
Trapani e imboccando la strada provinciale per Marsala siamo sulla
"via del sale", ventinove chilometri di tratto costiero
occupato dall'ininterrotta scacchiera opalescente delle saline. Appena
fuori Trapani ha inizio la Riserva Naturale Orientata Saline di Trapani
e Paceco istituita nel 1995 ed estesa su quasi mille ettari. Composta da
vasche per la "coltivazione" del sale di proprietà
di piccole o grandi aziende, è in gestione al Wwf che organizza visite
guidate gratuite a piedi o in bici.
Affascinante
d'estate vedere i "salinari" compiere il loro lavoro secondo
metodi rimasti immutati nel tempo. Ma anche nel resto dell'anno
l'ambiente è di rara suggestione per le tante specie botaniche e gli
uccelli che vi sostano. Il centro visite è situato nel Mulino Maria
Stella, sulla SP 21).
Proseguendo
verso sud, ecco l'area delle cosiddette "Saline dello
Stagnone", tra cui le spettacolari Ettore e Infersa. Tutt'ora
produttive, hanno aperto alle visite turistiche il cinquecentesco mulino
d'Infersa, perfettamente restaurato e funzionante.
MARSALA
- Fondata
dai fenici con il nome di Lilibeo (che guarda la Libia) nel IV secolo
a.C. dopo la distruzione di Mozia a opera dei siracusani, la città
assunse il suo nome attuale, "porto di Allah" o "porto di
Ali" con la dominazione araba del IX secolo d.C. I resti del suo
passato sono visibili nell'area archeologica accanto al promontorio
roccioso di Capo Boeo, il punto più occidentale di Sicilia, appena
fuori dal centro storico.
Sempre
su Capo Boeo, è imperdibile una visita al Museo Archeologico del Baglio
Anselmi che custodisce ciò che resta dell'unica nave fenicia giunta
fino a noi. Scendendo verso sud lungo il mare e oltrepassando il
porticciolo turistico si incontra il complesso delle Cantine Florio. Lo
stabilimento fu fondato nel 1832 da Vincenzo Florio per produrvi il
Marsala, "inventato", sulla base del vino locale perpetuum,
dall'inglese John Woodhouse in viaggio nel 1773 nella città
siciliana.
Da
vedere, nel centro storico, Piazza della Repubblica abbellita dai
settecenteschi edifici del Palazzo Comunale e della Chiesa Madre.
MAZARA
DEL VALLO -
Fortissimo il sapore arabo che la città
conserva nelle viuzze del centro. E non solo a causa della sua storia ma
anche per la forte presenza di immigrati nordafricani che lavorano sui
pescherecci della città e che hanno dato vita al Quartiere Tunisino
accanto alla sponda orientale del fiume Mazaro.
È
proprio questo corso d'acqua, su cui sorge il pittoresco porto canale, a
delimitare il quadrangolare centro storico, insieme al mare e alle due
arterie di Corso Vittorio Emanuele e di Corso Umberto I. Quest'ultimo
termina in Piazza Mokarta che ospita un arco medievale, ciò che rimane
del castello del Conte Ruggero.
Proseguendo
in direzione nord-est si incontrano il Duomo, la barocca Piazza della
Repubblica e la Piazza del Plebiscito dove, nella Chiesa di Sant'Egidio,
è ospitato il Museo del Satiro. Il gioiello della collezione è la
statua in bronzo di fattura greca del IV secolo a.C. raffigurante un
satiro impegnato in una danza orgiastica. L'opera fu salvata dall'oblio
degli abissi da un peschereccio mazarese nel 1998.

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