Sicilia
La regione e le sue provincie
La strada del mare

   

In viaggio nella terra degli Dei

Un immenso patrimonio archeologico. Nonostante il trascorrere dei secoli, i fenomeni atmosferici, la negligenza e la trascuratezza dell'uomo, la Sicilia vanta ancora uno smisurato numero di siti di inestimabile valore. Furono soprattutto i greci a fare dell'isola una terra per gli dei, innalzando templi di straordinaria bellezza, costruendo città fatte per resistere al tempo, e lasciando un po' dappertutto vestigia di un passato glorioso. Poi arrivarono i romani e storia si aggiunse a storia. Oggi la Sicilia è un grande museo all'aria aperta che, come una signora seducente e decaduta, si lascia ammirare, consapevole del fascino misterioso che si sprigiona dalle pieghe del tempo.

SEGESTA - Sorge improvviso, nella campagna, circondato dalle cime del monte Barbaro. Lo splendido Tempio dorico di Segesta, composto da 6 colonne sulla facciata e 14 sul lato lungo, risale con tutta probabilità al 430-420 a.C., ma non fu terminato. A testimoniarlo le colonne stesse, prive di scanalature. Il motivo purtroppo rimane sconosciuto. Quel che è certo è che si tratta di una delle testimonianze più suggestive che l'arte greca abbia lasciato da queste parti. La cittadina che un tempo sorgeva qui aveva origini ancora più antiche. Secondo gli studiosi fu fondata intorno al XII secolo a.C. dalla popolazione degli elimi, forse provenienti dalla Spagna o dalla Liguria o, secondo alcune fonti, addirittura dalla città di Troia. Sempre a loro, inoltre, sarebbe riconducibile la nascita di Erice. 

A circa due chilometri dal Tempio si trova il Teatro. Presenta le forme tipiche dell'architettura greca, ma quando la struttura fu realizzata, alla fine del III secolo a.C, Segesta era ormai entrata nella fase di dominazione romana. La pianta è semi­circolare, ha una larghezza di oltre 60 metri e l'apertura è orientata verso nord, dove la vista spazia su un magnifico scenario naturale fatto da verdi colline e dalla striscia azzurra del mare, che si scorge in lontananza nelle giornate più terse. All'epoca del suo maggior splendore poteva contenere più di quattromila spettatori, che sedevano su gradinate scavate nella roccia. Un'esperienza che si può ripetere ancora oggi, visto che il Teatro viene utilizzato spesso per rappresentazioni teatrali ed eventi culturali. Cosa fu di Segesta? Dopo essere stata a lungo acerrima rivale di Selinunte, per motivi di confini territoriali, fu conquistata nel 307 a.C da Agatocle di Siracusa. 

CAVE DI CUSA - Capitelli lavorati e grossi monconi già scolpiti giacciono sparpagliati sul terreno. In questa zona furono estratte le pietre per costruire la città di Selinunte e furono intagliate direttamente nella roccia le enormi colonne per i suoi templi, che centinaia di schiavi trascinavano su rulli di legno. È solo il preludio allo spettacolo offerto da uno dei siti archeologici più affascinanti del Mediterraneo, che dista una ventina di chilometri da qui. Ciclopica nelle sue mura, imponente negli edifici religiosi, Selinunte fu costruita per essere eterna, ma fu annientata dai cartaginesi in nove giorni. I suoi resti, in una bellissima posizione sul mare, emanano ancora una irresistibile malia addolcita dal profumo dell'appio, una sorta di sedano selvatico chiamato in greco sèlinon, che diede il nome alla città.

SELINUNTE - Finì nel sangue la storia di Selinunte. Colonne abbattute, torri smantellate, brandelli di muri sono ancora lì a testimoniarlo. Era il 409 a.C. quando da 60 navi da guerra e 1500 da trasporto sbarcarono sulla spiaggia centomila uomini tra fanti e cavalieri cartaginesi, che espugnarono la città dopo nove giorni di assedio, la rasero quasi interamente al suolo, uccisero sedicimila persone e fecero cinquemila prigionieri. Dopo oltre due secoli di splendore la più fiorente tra le colonie greche in Sicilia, fondata nel 651 a.C. probabilmente dalle genti di Megara Iblea (a nord di Siracusa) era diventata una città fantasma. Da quel momento in poi Selinunte fu solo l'ombra di quella polis che aveva fatto del commercio e dell'agricoltura la sua grandezza. Non potè più battere moneta, non eresse più monumenti, l'area urbana si ridusse di due terzi. Appena 150 anni dopo fu definitivamente abbandonata. Attualmente l'area archeologica si divide in tre nuclei. Uno comprende i templi della collina orientale, indicati con delle lettere perché gli esperti non sanno dire con certezza a quale divinità fossero dedicati. 

Il più scenografico è il tempio E, rialzato nel 1957, probabilmente dedicato alla dea Hera, la Giunone romana. Doveva avere un aspetto grandioso, niente però a confronto del tempio G, che è davvero di dimensioni colossali, con le sue 17 colonne in lunghezza, 8 in larghezza, ciascuna con un diametro di tre metri e un'altezza di 16. Nonostante sia ridotto a un ammasso di ruderi è sufficiente osservare i resti sul terreno per avere un'idea delle proporzioni dell'area, che misurava 110 metri per 50. 

Sulla collina ovest, invece, è situata l'Acropoli, cinta da poderose mura. Ospitava edifici civili e religiosi, compreso il tempio C, il più antico di Selinunte. 

A nord dell'Acropoli, nella zona detta della Manuzza, si sviluppava il centro urbano, che a partire dal IV secolo fu abbandonato e in parte usato come necropoli. 

In contrada Gaggera si estende, infine, l'area del santuario di Demetra Malophoros, dea legata alla fertilità, con il recinto sacro e gli altari. Con i suoi 270 ettari, il Parco Archeologico di Selinunte è il più grande d'Europa.

SCIACCA - La città delle terme. È un soprannome che a Sciacca calza a pennello, visto che è considerato il centro termale più antico della Sicilia. Era già noto al tempo dei greci, che apprezzavano le proprietà terapeutiche delle sue sorgenti solforose, ed è celebre anche per le grotte vaporose (le stufe di San Calogero), che si trovano sulla vetta del monte Kronio. Il mito racconta che a scavarne un ingresso fu Dedalo, il costruttore del celebre labirinto, dopo la sua fuga da Creta. 

Un clima dolce, un vivace porticciolo frequentato dai pescherecci, una posizione suggestiva a ricco sul mare e tanti monumenti che ricordano il suo passato arabo-normanno. Sciacca ha tanto da offrire, oltre naturalmente alle strutture per le cure termali. Ne sono un esempio la bella chiesa di Santa Margherita, di origine medievale, con il bel portale gotico-rinascimentale, le ricche decorazioni barocche che ne caratterizzano l'interno, e Palazzo Sterepinto, in stile catalano. Vale una sosta Piazza Scandaliato, da dove si gode una incantevole vista sul mare.

CALTABELLOTTA - A una ventina di chilometri da Sciacca sorge Caltabellotta, un borgo appoggiato a tre colli: il Monte San Pellegrino, il Monte Castello e la Rupe Gogala. Dopo i primi insediamenti di età preistorica, secondo gli studiosi da queste parti fu fondata la città greca di Triocala, il cui nome racchiudeva le tre caratteristiche per le quali era nota e potente: un inespugnabile sistema difensivo, l'abbondanza di acque e la fertilità del suolo. Ma tutto ciò non fermò gli arabi, all'inizio dell'800, che la distrussero e diedero vita a Qalat al balat (rocca costruita sulla pietra spianata), toponimo dal quale, con tutta probabilità, deriva la parola Caltabellotta. Quando arrivarono i normanni, fu re Ruggero a lasciare un segno forte sul territori: fece edificare una fortezza su una delle tre rupi, ed è per questo che si chiama Monte Castello. 

Ma Caltabellotta è passata alla storia perché qui, nel 1302, venne firmato il trattato di pace che metteva fine alla prima fase degli scontri per la spartizione della regione, noti anche come Vespri siciliani, tra le casate degli Angioini e degli Aragonesi. 

Da visitare la bella Cattedrale, il cui nucleo originario sembra si debba a Ruggero il Normanno, che la fece erigere dopo aver sconfitto ì saraceni, la chiesa di Sant'Agostino, di origine trecentesca, con all'interno la Passione, un gruppo di otto statue a grandezza naturale probabilmente opera dell'artista Antonino Ferraro, e i resti dell'eremo di San Pellegrino. La leggenda racconta che qui il Santo, che era stato vescovo dì Triocala, sconfisse un terribile drago divoratore. 

Vale una sosta la chiesetta adiacente e il grandioso panorama sulla vallata che si gode da qui.

ERACLEA MINOA - Fu fondata dagli abitanti di Selinunte sul promontorio di Capo Bianco, intorno al VI secolo a.C. Secondo la leggenda il nome dì Minoa le fu dato per onorare la morte del re cretese Minosse, venuto in Sicilia per vendicarsi di Dedalo, l'architetto ateniese padre di Icaro che aveva aiutato la moglie del sovrano ad accoppiarsi con un toro, da cui era poi nato il minotauro, un essere mezzo uomo e mezzo animale.

L'antica città, di cui oggi restano i ruderi di alcune abitazioni, della cinta muraria, oltre a una necropoli e a un teatro con il proscenio aperto sul mare, fu scenario di diversi scontri militari e fu più volte espugnata. 

Nel 256 a.C. nelle sue acque si disputò una grande battaglia navale tra i romani e i cartaginesi, che subirono una disfatta con pochi precedenti. Sotto il dominio di Roma Eraclea ebbe ancora momenti gloria, fino a 70 a.C., quando fu avvolta dall'oblio. Cosa sia successo non si sa con precisione, ma probabilmente a causa di una frana che trascinò in mare una parte del centro abitato, fu abbandonata.

AGRIGENTO - Proseguendo l'itinerario, una manciata di chilometri dopo Eraclea, si staglia Scala dei Turchi. Si chiama così una scogliera dal colore biancastro, fatta di roccia di natura calcarea e argillosa, che si getta a picco nel mare lungo la costa di Realmonte, nei pressi di Porto Empedocle. Spicca per le forme curve e irregolari e prende il nome da una salita, che sembra una scalinata naturale, e dai saraceni, che anticamente approdavano qui poichè era un posto sicuro e riparato. Uno spettacolo naturale davvero suggestivo, insieme alla sabbia fine e all'acqua trasparente. 

Ancora una decina di chilometri e si giunge ad Agrigento. Un tempo sorgeva qui Akragas, città greca di grande importanza. Il poeta Pindaro la definì "la città più bella dei mortali, amica del fasto" mentre il filosofo Empedocle, che vi nacque, parlava del suo splendore commentando che i concittadini innalzavano case e templi come se non dovessero morire mai. 

Akragas era circondata da mura. Nella parte più alta sorgeva l'acropoli, dove oggi i trova la moderna Agrigento, nella parte più bassa, invece, a partire dal V secolo a.C. gli architetti diedero il via alla costruzione degli edifici sacri, ponendo le prime pietre di quella che poi sarebbe diventata la celebre Valle dei Templi. Un patrimonio archeologico di inestimabile valore, sebbene le incursioni dei cartaginesi del 406 a.C., le intemperie e i frequenti terremoti abbiano messo a dura prova l'integrità del sito. Dal 1997 è stato iscritto dall'Unesco nella lista dei luoghi considerati Patrimonio dell'Umanità. 

Dei suoi numerosi templi dorici, alcuni hanno avuto più fortuna di altri e sono ancora in piedi pronti a raccontare al visitatore i fasti di un tempo. Ne è un esempio il Tempio della Concordia, con tutta probabilità quello meglio conservato. Risale al 430 a.C. e conta 34 colonne, sei delle quali sulla facciata. Nel VI secolo era diventato una basilica cristiana e solo a metà del 1700 è stato riportato alla sua forma originale. 

Il Tempio di Ercole sembra essere il più antico del complesso (tardo VI secolo). Delle 38 colonne originarie ne sono rimaste otto, quattro con il capitello. 

Suggestivi anche i resti del Tempio di Giunone Lacinia, contemporaneo a quello della Concordia, di cui si è preservato per intero il colonnato settentrionale. 

Fra le costruzioni più imponenti, poi, c'era il Tempio di Giove Olimpico. Raggiungeva i 113 metri di lunghezza e i 56 di larghezza. A testimoniarlo restano solo le fondamenta e delle macerie. Gli studiosi, comunque, ritengono che non fosse mai stato terminato. Erano parte integrante della struttura anche alcune colossali statue, alte più di sette metri, che prendevano il nome di telamoni. Quella che giace a terra è una ricostruzione, mentre l'originale è nella collezione del Museo Archeologico Regionale, che sorge poco distante dal centro urbano e conserva un lungo elenco di tesori. Espone più di cinquemila reperti che raccontano la storia di Agrigento, riportati alla luce durante numerose campagne di scavo. 

PIAZZA ARMERINA - Una incredibile galleria di figure umane, animali, esseri mitologici. Sono gli straordinari mosaici della Villa romana del Casale, a Piazza Armerina. Una sessantina di ambienti con pavimenti policromi composti da oltre 30 milioni di tessere da mosaico. 

Questa dimora patrizia, all'epoca cuore di un immenso latifondo, lascia il visitatore senza fiato per la bellezza delle sue decorazioni e si è guadagnata un posto nell'elenco dei siti Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco. A chi appartenesse non si sa con certezza. Forse era di un senatore, Rufio Albino, console nel 335 d.C., per il quale era un ameno rifugio di campagna in cui trascorrere momenti di riposo e riflessione. Secondo alcuni archeologi però, potrebbe essere anche stata la residenza di caccia dell'imperatore Massimiano Erculeo, che governava l'impero romano d'Occidente, secondo una formula stabilita da Diocleziano, il quale era convinto che due persone innalzate allo stesso rango avrebbero potuto difendere meglio i confini e amministrare più efficacemente gli estesi possedimenti romani. 

Diocleziano aveva tenuto per sé l'impero d'Oriente nominando il suo compagno d'armi Massimiano alla guida dell'altra metà. Certe sono, invece, le due catastrofi che coinvolsero la villa. Il terremoto del 346 d.C. e la frana che la seppellì nel 1161, salvandola dalle insidie del tempo. I mosaici della Villa del Casale sono veri e propri capolavori dell'arte figurativa. Per averne una prova basta ammirare i disegni del Corridoio della grande caccia, 53 metri di lunghezza per 3 di larghezza, con decine di scene che rappresentano la cattura di animali, oppure la famosa Sala delle ragazze in bikini, probabilmente l'icona più conosciuta, con dieci donne in costume da bagno che compiono esercizi ginnici. 

A una decina di chilometri da Piazza Armerina, nella contrada Serra Orlando, merita una visita anche il sito archeologico di Morgantina. Era un'antica città sicula, risalente all'XI secolo, improvvisamente abbandonata nell'anno 30 a.C. Sembra che sia stata una copertura di polvere e cenere a consentirle di conservarsi. Varie campagne di scavo hanno riportato alla luce la piazza del mercato, il teatro e molti altri edifici. 

Estremo occidente

La mattina del 18 giugno 827 una flotta di feluche saracene si stagliò minacciosa all'orizzonte avanzando verso la costa di Punta Granitola, a sud di Mazara del Vallo. Non si trattava di una semplice scorreria: quel giorno l'esercito arabo comandato da Asab ibn al-Furàt iniziava un'invasione che avrebbe portato, entro il 963, al dominio totale dell'isola. Ed era inevitabile che i Mori toccassero terra qui: siamo nel punto della Sicilia più vicino all'Africa, a circa 150 chilometri dalla costa tunisina di Cap Bon. Non c'è da stupirsi quindi che le "terre d'occidente" siano così "esotiche" e diverse dal resto di Trinacria. Perché qui il vento ha temperature africane, i capi delle tonnare che punteggiano la costa e le isole si chiamano rais e le architetture hanno una grazia moresca. E la bellezza del mare e della terra tocca altezze vertiginose. A cominciare da un minuscolo borgo nel Golfo di Castellammare.

SCOPELLO - Sembra un piccolo presepe modellato da un artigiano in vena di poesia questo villaggio stretto intorno a una piazzetta squadrata delimitata, su un lato, da un muro oltre il quale brillano i limoni di un orto lussureggiante. Di fronte, ecco l'accogliente baglio medievale entro cui troneggia un maestoso albero di eucalipto che da riparo a un paio di ristorantini e di bottegucce; sul terzo lato una strada mette in comunicazione con il mondo esterno e, sull'ultimo, due localini invitano a oziare amabilmente di fronte a un caffè e a un sontuoso cannolo. 

Nelle altre viuzze di questo paese un tempo abitato pressoché solo da pescatori di tonni c'è poco o niente, a parte qualche gatto randagio che sonnecchia placido e il ristorante La Terrazze che, come indica il nome, offre una vista strepitosa oltre a sublimi piatti di pesce.

Arroccato su una rupe a cento metri di altezza, Scopello permette di ammirare tutta l'accogliente curva del Golfo di Castellammare: sulla destra ecco il promontorio di Punta Raisi, mentre sulla sinistra si allunga quello di San Vito Lo Capo. E se ci sporgiamo un poco e guardiamo giù, verso il mare, scorgiamo l'edificio dell'antica tonnara, un piccolo angolo di paradiso sorvegliato da aguzzi faraglioni che emergono da acque di cristallo. 

Ma a Scopello non si viene solo per il dolce far niente o per ubriacarsi di sole nel frinire delle cicale, si viene anche, liberati dalla schiavitù dell'auto, per scoprire sette chilometri di costa scoscesa e incontaminata: quella protetta dalla Riserva Naturale Orientata dello Zingaro. Istituita nel 1981, dopo anni di lotte degli ambientalisti che combatterono contro la costruzione di una strada panoramica che avrebbe sventrato la costa, è raggiungibile da Scopello con una camminata di un paio di chilometri. All'ingresso, un semplice botteghino, si paga un biglietto e si entra in un luogo intatto dove è vietato persino fumare. In primavera è un tripudio di fiori colorati, in estate le sfumature azzurre del mare contrastano armoniosamente con quelle bionde della terra riarsa, d'inverno è un paradiso di mitezza. 

Ci sono diversi percorsi tra le palme nane, non solo quello "del mare" che permette di accedere a calette da favola come Punta della Capreria a soli venti minuti di cammino dall'ingresso vicino a Scopello, ma anche quello più in quota che dà modo di scoprire una montagna vergine dove si rifugiò il bandito Salvatore Giuliano e dove ancora nidificano i falchi pellegrini e l'aquila del Bonelli.

SAN VITO LO CAPO - La luce altissima, quasi zenitale, è resa ancora più abbagliante da tre chilometri di spiaggia sabbiosa di un candore accecante, delimitata da ambo i lati da una costa che si alza e si frange in angoli rocciosi e calette. È l'arenile, insieme al turchese tropicale delle sue acque, l'attrattiva principale di San Vito Lo Capo, capitale del Cous Cous Fest che ogni settembre ricorda quanto in questo angolo occidentale di Sicilia le radici arabe siano profonde. 

San Vito sorge al limite settentrionale dell'omonimo promontorio che si protende verso nord nel Tirreno e che è chiuso alla base da due riserve naturali, quella dello Zingaro a est e quella del Monte Cofano a ovest. Nei momenti in cui non si gode delle delizie del mare e dei suoi fondali trasparenti, pulitissimi e ricchi di pesci, tanto da essere amatissimi dai sub, si può passeggiare lungo la pedonale Via Savoia, perpendicolare alla costa. È questo il cuore commerciale e notturno della cittadina ed è a due passi dal duecentesco Santuario di San Vito, realizzato in stile architettonico arabo-normanno e più volte rimaneggiato. 

Tre chilometri a sud del centro balneare, sulla strada che porta a Trapani, si incontra la frazione di Macari, con le calette di sassi bianchi e una bella striscia di sabbia fine. 

Ancora più giù ecco Castelluzzo, sprofondato negli uliveti e celebre per il suo olio. Ma per godere di un ambiente selvaggio si può anche organizzare un'escursione alla Riserva Naturale Orientata del Monte Cofano, istituita nel 1997.

ERICE - Settecentocinquanta metri più in giù brilla Trapani, protesa nel mare come una falce; sulla destra si eleva la brulla e massiccia sagoma del Monte Cofano; a sinistra scintilla la piattezza di diamante delle saline. E davanti, sul proscenio del mare, emergono dalle acque come giganti sonnecchianti le tre Egadi, Favignana, Levanzo e Marettimo. Una vista superba goduta in un contesto di pari fascino: il Castello di Venere di Erice. 

Conquistata salendo in auto su una strada a tornanti che parte da Valderice, Erice è un luogo incantato ed è davvero qualcosa di più del "solito" borgo medievale tutto viuzze lastricate e balconcini fioriti così tipico della parte più invitante e meglio conservata della nostra Penisola. È un luogo magico, fondato dagli elimi, discendenti del popolo troiano, dove si adorava, in un magnifico tempio a lei dedicato, una dea mediterranea dell'amore e della fertilità che poi i greci chiamarono Afrodite. 

Entrando in città da Porta Trapani, si scorge subito la Chiesa Matrice con il suo campanile isolato. Realizzata nel Trecento per volere di Federico II d'Aragona con pietre provenienti dai ruderi dell'antico tempio di Venere, è un gioiello di semplicità e sobrietà.

Proseguendo su Corso Vittorio Emanuele, si taglia tutta la cittadina e si giunge sul lato nord, alla medievale Porta Cannine da dove si può tornare a Porta Trapani costeggiando la poderosa cinta muraria ben conservata. 

Per arrivare invece al merlato Castello di Venere e godere del panorama superbo descritto sopra, da porta Trapani occorre imboccare Viale Conte Pepoli. 

Poco sotto, incastonato in un giardino sorge il Castello Pepoli, nelle cui torri è stato ricavato un resort di charme. 

TRAPANI - Bianca e sonnecchiante, Trapani è una cittadina piacevole dove lo Scirocco profumato di sale soffia stordendo e rilassando. Ha angoli nobili e alteri, da piccola capitale, e scorci pittoreschi e animati da una vivace vita di provincia. Lungo il mare, spiagge affollate da trapanesi, il porticciolo turistico, quello commerciale e piccole, strepitose rosticcerie dove acquistare e gustare ogni ben di Dio, primo fra tutti il cous cous di pesce ma an­che olive, caponata e panelle, piccole frittelle di ceci. 

Può sembrare strano ma Trapani fu fondata più di milleduecento anni prima di Cristo dagli elimi come piccolo avamposto sul mare della ben più importante Erice. Solo in seguito divenne un porto importante e un centro di grande rilevanza per la produzione del sale, per la pesca e la lavorazione del tonno e del corallo. 

Deve il suo nome al suo essere una penisola a forma di falce, che è proprio ciò che in greco antico significa drepanon. Il nucleo storico inizia a ovest dei giardini pubblici di Villa Margherita mentre a est sorge la Trapani nuova, edificata a partire dall'Ottocento e sede di anonimi palazzoni residenziali e di borgate periferiche dove l'urbanistica non ha certo dato il meglio di sé. 

Il cuore di Trapani, piccolo e tutto percorribile a piedi, pulsa intorno alla Cattedrale secentesca, dedicata a San Lorenzo. Da qui, imboccando Via del Giglio e camminando verso sud si giunge, nei pressi del porto, alla Chiesa del Purgatorio, importantissima sia per il sentimento religioso sia per il folclore trapanese perché è qui che sono custoditi i cosiddetti "Misteri", statue lignee settecentesche che raffigurano a grandezza naturale alcuni momenti della Passione di Cristo. Tutti gli anni, il Venerdì Santo vengono trasportate in un'imponente processione che dura ventiquattro ore lungo le vie della città dai rappresentanti dei tradizionali mestieri cittadini come i pescatori e i salinari. 

Dalla parte opposta della penisoletta trapanese, cioè sul lato esposto a nord, è da visitare, ogni mattina, il colorato e pittoresco mercato del pesce che vende tonno freschissimo pescato in una delle tante tonnare che punteggiano il trapanese ma anche sale, olive, formaggi e altri generi alimentari. 

Proseguendo verso ovest, si passeggia lungo Corso Vittorio Emanuele, l'arteria principale, e si arriva all'estremo limite occidentale della città dove sorge la secentesca Torre di Ligny, una fortificazione spagnola dove è ospitato il Museo della Preistoria e del Mare.

Nella parte moderna della città sì eleva il Santuario dell'Annunziata, dove è conservata la statua trecentesca della Madonna di Trapani dello scultore Nino Pisano. Nell'adiacente ex convento ha sede il museo principale della città, il Museo Regionale Conte Agostino Pepoli. Splendida la collezione di bizzarri manufatti artistici in corallo del Seicento e del Settecento. 

Non si può lasciare la città senza recarsi al porto e imbarcarsi su un aliscafo che in una ventina di minuti porta a Favignana, principale isola dell'arcipelago delle Egadi incastonato in un mare tra i più belli del mondo.

FAVIGNANA - È un'isola scabra, arida, tuffata in un mare cristallino dove il sole domina sovrano. Splendida da percorrere in bicicletta ascoltando solo il ronzio dei pedali e il vento che fischia lieve tra i capelli, nel profumo del finocchietto selvatico. Si scoprono, così, angoli di bellezza assoluta ed essenziale, fatti solo di pochi semplici elementi, pietra, rocce, acqua, silenzio. 

A forma di farfalla, ha il suo cuore nella cittadina omonima, dove sorge il porticciolo turistico e commerciale e dove, soprattutto, ha sede l'ottocentesco Stabilimento Florio, cioè la tonnara, tutt'ora in piena attività. La pesca e la lavorazione del tonno sono le principali attività dell'isola insieme al turismo ma fino a pochi decenni fa, quando erano in pochissimi a venire in vacanza qui, una voce fondamentale dell'economia era anche l'estrazione del tufo, molto abbondante. 

Abbracciata proprio da una geometrica scogliera di tufo è Cala Rossa, luogo di potente bellezza, dove da un lastrone bagnato dalle onde ci si getta in un'acqua che sembra giada liquida. Situata nell'ala orientale dell'isola è anche Cala Azzurra, così chiamata per l'incredibile turchese delle acque rese più chiare dai fondali di sabbia bianchissima. 

L'unica altra spiaggia di sabbia è quella comoda, e per questo molto frequentata, di Lido Burrone ma sono tanti gli accessi al mare meravigliosi come Cala Rotonda, nella parte occidentale dell'isola, selvaggia e quasi per nulla attrezzata a livello turistico. 

Da Favignana, in pochi minuti di navigazione, si raggiunge Levanzo che custodisce la suggestiva Grotta del Genovese, dove si ammirano pitture rupestri lasciate dagli uomini del Neolitico. 

Più lontana è la vergine Marettimo, una montagna impervia di 686 metri tuffata in un mare da fiaba. Alta e strapiombante, la costa di rosata roccia dolomitica è forata da grotte marine di incomparabile bellezza.

LE SALINE - Lasciando Trapani e imboccando la strada provinciale per Marsala siamo sulla "via del sale", ventinove chilometri di tratto costiero occupato dall'ininterrotta scacchiera opalescente delle saline. Appena fuori Trapani ha inizio la Riserva Naturale Orientata Saline di Trapani e Paceco istituita nel 1995 ed estesa su quasi mille ettari. Composta da vasche per la "coltivazione" del sale di proprietà di piccole o grandi aziende, è in gestione al Wwf che organizza visite guidate gratuite a piedi o in bici.

Affascinante d'estate vedere i "salinari" compiere il loro lavoro secondo metodi rimasti immutati nel tempo. Ma anche nel resto dell'anno l'ambiente è di rara suggestione per le tante specie botaniche e gli uccelli che vi sostano. Il centro visite è situato nel Mulino Maria Stella, sulla SP 21). 

Proseguendo verso sud, ecco l'area delle cosiddette "Saline dello Stagnone", tra cui le spettacolari Ettore e Infersa. Tutt'ora produttive, hanno aperto alle visite turistiche il cinquecentesco mulino d'Infersa, perfettamente restaurato e funzionante.

MARSALA - Fondata dai fenici con il nome di Lilibeo (che guarda la Libia) nel IV secolo a.C. dopo la distruzione di Mozia a opera dei siracusani, la città assunse il suo nome attuale, "porto di Allah" o "porto di Ali" con la dominazione araba del IX secolo d.C. I resti del suo passato sono visibili nell'area archeologica accanto al promontorio roccioso di Capo Boeo, il punto più occidentale di Sicilia, appena fuori dal centro storico. 

Sempre su Capo Boeo, è imperdibile una visita al Museo Archeologico del Baglio Anselmi che custodisce ciò che resta dell'unica nave fenicia giunta fino a noi. Scendendo verso sud lungo il mare e oltrepassando il porticciolo turistico si incontra il complesso delle Cantine Florio. Lo stabilimento fu fondato nel 1832 da Vincenzo Florio per produrvi il Marsala, "inventato", sulla base del vino locale perpetuum, dall'inglese John Woodhouse in viaggio nel 1773 nella città siciliana. 

Da vedere, nel centro storico, Piazza della Repubblica abbellita dai settecenteschi edifici del Palazzo Comunale e della Chiesa Madre.

MAZARA DEL VALLO - Fortissimo il sapore arabo che la città conserva nelle viuzze del centro. E non solo a causa della sua storia ma anche per la forte presenza di immigrati nordafricani che lavorano sui pescherecci della città e che hanno dato vita al Quartiere Tunisino accanto alla sponda orientale del fiume Mazaro. 

È proprio questo corso d'acqua, su cui sorge il pittoresco porto canale, a delimitare il quadrangolare centro storico, insieme al mare e alle due arterie di Corso Vittorio Emanuele e di Corso Umberto I. Quest'ultimo termina in Piazza Mokarta che ospita un arco medievale, ciò che rimane del castello del Conte Ruggero. 

Proseguendo in direzione nord-est si incontrano il Duomo, la barocca Piazza della Repubblica e la Piazza del Plebiscito dove, nella Chiesa di Sant'Egidio, è ospitato il Museo del Satiro. Il gioiello della collezione è la statua in bronzo di fattura greca del IV secolo a.C. raffigurante un satiro impegnato in una danza orgiastica. L'opera fu salvata dall'oblio degli abissi da un peschereccio mazarese nel 1998.

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