I Fenici,
popolazione dedita ai commerci marittimi, fanno di Mazara un importante
emporio mercantile e la battezzano con il nome Mazar, ovvero la
"rocca". In questo periodo Mazara si pone come limite di confine
tra i greci selinuntini e i fenici moziesi.
Nel 406
a.C. Mazara passa a Segesta, che con l'aiuto dei Cartaginesi guidati
da Annibale si impone su Selinunte. Nel 392 a.C. passa sotto il
dominio di Siracusa, ma nel 378 è riconquistata dai Cartaginesi che vi
rimangono fino al 210 a.C.
La
dominazione romana inizia sul finire della seconda guerra punica,
divenendo castrum e poi, nel periodo imperiale sotto Antonio Pio, statio,
con una certa fioritura di cui rimangono testimonianze. Di notevole
interesse è il pavimento musivo di una abitazione romana scoperto nel 1933
sotto la terrazza di San Nicolò Regale: si tratta di un cervo dorato tra
decorazioni floreali in movimento databile fra il III e il IV secolo d.C.
Dopo la
caduta dell'Impero Romano, prima di passare sotto la dominazione
bizantina (535 d.C.), Mazara conosce anche l'occupazione dei Vandali e
dei Goti. Nell'827 la conquista della Sicilia da parte degli Arabi inizia
da Capo Granitola nel territorio di Mazara del Vallo. Sotto la loro
dominazione la Sicilia viene divisa in tre circoscrizioni: Val di
Mazara (la più estesa territorialmente), Val Demone e Val
di Noto.
Grazie
all'introduzione di nuove colture portate dagli Arabi, quali limoni e aranci
e alle nuove tecniche d'irrigazione riprende lo sviluppo dell'agricoltura,
mentre l'attività portuale torna agli antichi fasti per la ripresa degli
scambi commerciali con i paesi africani e spagnoli. Sotto il governo di Ibn
Mankut, Mazara diventa un importante centro di studi islamici per
l'insegnamento della letteratura, della poesia, del diritto e delle
religione. L'impianto viario del centro storico, la Casbah, ancora oggi
visibile, rileva la matrice araba.
Mazara
cadde ai Normanni nel 1072 per opera di Ruggero d'Altavilla, il
quale fece costruire mura di difesa e rafforzò un preesistente castello
arabo. Gli arabi riuscirono a sopraffare i normanni nel 1075, guidati dal
nipote del re di Tunisi, Tenemisio. La riconquista venne però impedita
dall'arrivo del conte Ruggero d'Altavilla, che, all'ottavo giorno d'assedio
arabo, riuscì a penetrare Mazara e a scacciare i Saraceni. Tra questi
c'era il condottiero Mokarta (a cui è dedicata l'omonima
piazza), la cui disfatta è rappresentata su un rilievo posto sulla facciata
della Cattedrale.
Conquistata
la città, i Normanni cominciarono diverse opere di fortificazione, per
difendere la città da possibili attacchi nemici, e la costruzione di
diverse chiese, con lo scopo di ritemprare l'indebolita fede cristiana.
Mazara fu
inoltre, per un breve periodo, centro del potere normanno: Ruggero I vi
convocò una delle prime assise parlamentari della storia nel 1097. Era
un'assise consultiva: sarebbero state itineranti fino al 1130, quando la
sede definitiva fu il palazzo reale di Palermo.
Il 18
novembre 1189, senza eredi, morì Guglielmo II il Buono. Nonostante il
diritto ereditario di Costanza d'Altavilla, andata in sposa ad Enrico
VI, il trono passa al cugino di Guglielmo, Tancredi, che muore dopo 5
anni, il 10 febbraio 1194.
Con la
morte di Tancredi nel 1194, il trono passa ad Enrico VI, marito di Costanza
d'Altavilla, cui originariamente spettava la successione.
Enrico VI instaurò
un regno di terrore: bruciò vivi i vescovi che avevano partecipato
all'incoronazione di Tancredi e imprigionò il figlio di quest'ultimo, Guglielmo,
accecandolo ed evirandolo per impedirgli di avere successori. Alla sua
morte, nel 1197, succedette un periodo di reggenza di Costanza, fino al
1198, anno dell'incoronazione di Federico II.
La città
di Mazara, come il resto del regno sotto gli Svevi, non godette di
particolare floridità: l'elevata pressione fiscale e la riduzione della
polietnia, con il continuo esodo della popolazione musulmana, determinò una
crisi epocale, con la ricomparsa dei latifondi, il decremento della
popolazione e della produzione agricola e artigianale. L'attività portuale
di Mazara fu ridimensionata, a favore di Trapani.
Alla crisi
di produzione agricola e artigianale si aggiunse l'inasprimento delle azioni
piratesche nel canale di Sicilia. Così Federico II, nel tentativo di far
cessare le incursioni dei Saraceni, intervenne con la sua flotta nel 1222.
L'azione fu però un episodio isolato, e le esigue finanze dello stato non
permisero il continuo controllo della costa che sarebbe invece servito.
Furono tali difficoltà finanziarie che portarono Federico II, nel 1239, ad
inviare una lettera nella quale si affidava il Castello ad un feudatario
locale o al vescovo, non potendo sostenerne le spese di riparazione. Tale
incarico si protrasse fino al 1274, fino a quando Carlo I d'Angiò se
ne impossessò.
Federico II
muore nel 1250, lasciando vacante il trono di Sicilia. Alla
morte di Federico II di Svevia, la corona venne offerta a Carlo I
d'Angiò, che assunse il titolo di re di Sicilia nel gennaio 1266.
Durante
l'intero periodo, Mazara si vide costretta a contribuire in denaro e in
uomini alla flotta e all'esercito angioino, sottraendo così forze alle
famiglie e al lavoro. Negli ultimi anni della dominazione angioina, i
cittadini mazaresi preferirono darsi alla latitanza, piuttosto che
combattere per il re, a causa della mancata corresponsione degli stipendi. Il
tutto determinò lo stato d'animo che sfociò nel 1282 con la guerra
del Vespro.
La città
di Mazara, pur non avendo sofferto in maniera particolare (a causa dei
privilegi derivanti dalla presenza della Diocesi, che era favorevole ai
d'Angiò), fu tra le prime città ad aderire al movimento rivoluzionario.
Per cinque mesi, una magistratura repubblicana governò la città, ed inviò
aiuti ai rivoltosi palermitani.
Capeggiatore
dei volontari locali era Ugone Talach, mazarese d'origini normanne, che
convinse i palermitani a chiedere l'aiuto di Pietro III d'Aragona,
entrato infine a Palermo il 4 settembre 1282.
Durante il Regno
di Pietro III d'Aragona, tra i primi provvedimenti vi fu la ripartizione
della Sicilia in sei province: Palermo, Mazara, Girgenti, Noto, Geraci, Castrogiovanni.
Tale suddivisione, più che da precise necessità politiche, era dettata dai
promotori della rivoluzione: tre di loro vennero infatti posti a capo delle
proprie circoscrizioni. Ugone Talach venne quindi messo a capo
della provincia di Mazara. Venne sostituito l'anno successivo dal pisano Gerardo
Bocho.
Alla guerra
del Vespro Mazara partecipò fornendo vettovaglie per le truppe e somme in
denaro da inviare al luogo di concentramento, a Randazzo per via terra o a
Patti per via mare. Furono inviati anche uomini: trenta arcieri (di cui
venti offerti dalla città e dieci dal vescovo), e diciotto cavalieri.
In seguito
alla minaccia angioina sui confini pirenaici del regno aragonese, re Pietro
fu costretto a lasciare la Sicilia, nominando reggente la regina
Costanza. In questo periodo, il figlio Giacomo II d'Aragona soggiornò
per alcuni giorni a Mazara, da dove emise, il 24 novembre 1284, la dilazione
delle immunità commerciali in Sicilia ai Genovesi, precedentemente concessa
da re Manfredi.
Alla morte
di re Pietro, nel 1285, il regno d'Aragona fu affidato al primogenito
Alfonso III, e il regno di Sicilia al secondogenito Giacomo II, che fu
incoronato a Palermo il 2 febbraio 1286.
Il nuovo re
operò positivamente in campo militare ed economico: in quest'ultimo stimolò
una ripresa della produzione agricola e dei commerci. Venivano privilegiati
i mercanti catalani, che avevano finanziato la guerra aragonese in Sicilia,
e Mazara continuò a intrattenere rapporti con Pisa, con cui commerciava
frumento. Grano, cotone grezzo e lana prendevano invece la strada verso la
Spagna.
Nel
frattempo, con la sopravvenuta morte del re Alfonso III d'Aragona nel 1291,
e in seguito agli accordi di La Jonquera nel 1293, Giacomo II d'Aragona
s'impegnò a restituire la Sicilia alla Chiesa romana entro tre anni. Così,
il 3 novembre 1295 pervenne a Mazara l'ordinanza aragonese di affidare il
castello ai rappresentanti del Papato.
L'ingiunzione
di giuramento di fedeltà e d'obbedienza alla Chiesa di Roma non fu accolta
dai cittadini che, invece, al parlamento di Catania del 15 gennaio 1296
proclamarono Federico III d'Aragona re di Sicilia, e lo incoronarono il
25 marzo 1296 a Palermo.
I primi
provvedimenti di Federico III miravano a prevenire e a resistere agli
attacchi angioini con il rafforzamento della flotta, delle difese costiere e
con l'istituzione dell'arruolamento nell'esercito. Erano molto frequenti,
infatti, le incursioni degli Angioini sul litorale occidentale della
Sicilia, nel tratto di costa tra Trapani e Mazara.
Il 1
dicembre 1299, durante la battaglia di Falconara nel territorio di Marsala,
le forze di Federico III, che comprendevano anche un contingente di soldati
mazaresi, sconfissero gli Angioini catturando Filippo I d'Angiò, che
fu provvisoriamente condotto nel castello di Mazara.
Un altro
episodio bellico che interessò il territorio mazarese avvenne nell'agosto
1316, quando un migliaio di Angioini, sbarcati a Marsala, s'imbatterono nei
pressi del fiume Arena in un drappello di cento mazaresi, guidati da Bartolomeo
Montaperto e Bartolomeo Siginolfo, che svolgeva il giornaliero
servizio di controllo e di difesa delle porte dalla città.
Nel 1317,
approfittando della fine delle ostilità, sancite dalla pace di
Caltabellotta del 1302 prima, e dalla tregua con lo Stato della Chiesa nel
1317 poi, Federico III rafforzò le difese litoranee della Sicilia e, sul
finire dello stesso anno, fissò la sua dimora a Mazara, con tutta la corte.
Il breve
soggiorno mazarese del re e della regina Eleonora vide la nascita
del quartogenito, Ruggero, che venne battezzato nella Cattedrale.
Questo evento fu immortalato su un dipinto, di cui furono fatte due copie,
una nel 1608, l'altra nel 1618: la prima andò distrutta nel 1918, mentre la
seconda venne restaurata nel 1712, ed è oggi esposta presso il museo
diocesano.
Il dipinto
originale, posto nella Cappella del Battistero in Cattedrale, andò perduto
nel 1477, con il crollo del prospetto a mare della Cattedrale.
Tornato a
Palermo dopo meno di un anno di soggiorno, Federico III il 14 luglio 1318
emise una serie di concessioni e privilegi ai Mazaresi: furono aboliti tutti
i tributi regi, in cambio dell'impegno nella riparazione delle mura della
città; furono aboliti tutti i diritti di dogana e di fondaco per ogni tipo
di merce e veniva concessa ai cittadini la possibilità di usufruire della
legna delle foreste di Birribayda e Castelvetrano. Infine, l'istituzione di
una fiera franca, libera da ogni diritto di corte o tassazione, della durata
di trenta giorni, dal 21 luglio al 21 agosto ogni anno.
In virtù
della Pace di Utrecht, la Sicilia e quindi Mazara, nel 1713 passa ai Savoia,
che manterranno la signoria dell'isola per appena cinque anni. Nel 1718, gli spagnoli intraprendono
una campagna di riconquista, bloccati dagli Austriaci. Dopo sedici
anni di dipendenza austriaca, Carlo di Borbone riunisce le sorti
della Sicilia e quelle di Napoli, vincendo sugli austriaci nella battaglia
di Bitonto del 1734.
Durante il
dominio borbonico sorgono numerosi insediamenti residenziali lungo le "trazzere"
regie, mentre sulle sponde del Màzaro, già impegnate nei lavori di
ammodernamento del porto, si incrementano gli stabilimenti per la
lavorazione del pesce e dell'uva.
Con la
nascita del Regno d'Italia divenne uno dei tre circondari in cui era
suddivisa la provincia di Trapani, dal 1861 fino al 1927, quando restò solo
la provincia.
Mazara oggi
è il porto peschereccio più importante d'Italia, secondo in Europa,
avvalendosi per molta parte di manodopera maghrebina.
Mazara è
salita alla ribalta delle cronache nel marzo 1998, quando un peschereccio
locale, comandato dal capitano Francesco Adragna, ha recuperato, a circa 480
metri di profondità nelle acque del Canale di Sicilia, una scultura bronzea
di oltre 2 metri, risalente al periodo ellenistico, conosciuta con il nome
di Satiro danzante.
La statua,
dopo essere stata restaurata ed essere stata per un breve periodo in mostra
a Roma, presso Montecitorio, dopo essere tornata a Mazara del Vallo, è
ripartita per essere esposta all'Expo 2005 ad Aichi, in Giappone, presso il
Padiglione Italia, dal 25 marzo 2005 al 25 settembre 2005.
Dalla metà
di ottobre 2005 il Satiro danzante è nuovamente esposto a Mazara
nell'omonimo museo in Piazza Plebiscito.
Nel giugno
2010 la città è stata riconosciuta dall'Assessorato regionale alle Attività
Produttive quale comune ad economia prevalentemente turistica e città
d'arte, e nell'agosto 2010 dall'Assessorato regionale al Turismo, Sport e
Spettacolo quale comune a vocazione turistica.
Cattedrale
del Santissimo Salvatore

La
cattedrale del Santissimo Salvatore fu edificata per volere di Ruggero
I, a seguito di un voto fatto
durante la battaglia del 1072 contro i Saraceni. Etienne
de Rouen ne diresse i lavori tra il 1086 e
il 1093,
costruendola sulle rovine di un'antica basilica distrutta dai Saraceni nell'828.
Nel 1477,
col fiorire dell'epoca
rinascimentale in Sicilia, il vescovo Giovanni
Monteaperto Chiaramonte rimodula l'intero edificio, lo dota di
superba facciata, edifica la Cappella di Santa Maria del Soccorso,
lo arricchisce con una biblioteca di codici greci e latini, una sala per la
conservazione del Tesoro della Cattedrale e per la raccolta
di arazzi,
dispone infine la sua sepoltura in un monumentale sarcofago.
Nel 1689 il
vescovo Francesco
Maria Graffeo, affrontò il problema della ricostruzione della
cattedrale ormai fatiscente. Il 18 giugno 1690 si ha la posa della pietra.
La struttura fu radicalmente trasformata, per opera e su progetto
dell'architetto trapanese Pietro Castro e del capomastro Pietro Schifano, in
una cattedrale barocca a pianta basilicale, a croce
latina, tanto che della costruzione originale si conservano solo le
mura del transetto e
l'abside.
I lavori furono conclusi nel 1694.
Col terremoto
del Belice del 1968 il tempio riporta danni. Nel 1973 è chiuso
per i lavori di consolidamento e restauro delle strutture.
Nel 1980 papa
Giovanni Paolo II eleva la cattedrale alla dignità di basilica
minore pontificia. L'Episcopato siciliano, riunito a Mazara
del Vallo per i lavori della Conferenza Episcopale Siciliana, partecipa ai
festeggiamenti per la riapertura al culto della Cattedrale restaurata.

Interno
ripartito in tre navate da
colonne tuscaniche con archi
a tutto sesto, sulla crociera e
i bracci del transetto insistono
cupole con rivestimento esterno in maiolica colorata, quella centrale, di
forma ellittica, riporta internamente l'affresco raffigurante il Giudizio
Universale (Gesù giustificato al cospetto delle genti),
opera del cefaludese Rosario
Spagnolo (1910 - 1914).
Nell'intradosso dell'arco
trionfale è stata recentemente collocata la Croce lignea
dipinta, opera realizzata da un anonimo maestro siciliano del XIII
secolo, raffigurante da un lato l'immagine del Cristo
Crocifisso, dall'altro l'Agnus
Dei al centro e alle estremità dei bracci, i simboli
iconografici dei quattro
evangelisti.
Le
superfici delle navate presentano un notevole apparato decorativo in stucco,
di particolare rilievo quello della navata centrale, opera di Pietro
Rando. Agli ornamenti plastici si alternano i cicli pittorici: l'Allegoria
della Fede di Giuseppe
Felici nella volta della navata, scene dell'Apocalisse,
il Sogno di Giacobbe di Giovanni
Battista Scannatella, dipinti a fresco ripristinati e riportati ad
antico splendore dopo il secondo
conflitto mondiale dal Gianbecchina,
Navata
destra
Prima
campata: Cappella di ?. Edicola con dipinto sormontata da
timpano.
Seconda
campata: Cappella di ?. Edicola con dipinto sormontata da
timpano.
Terza
campata: varco d'accesso all'aula capitolare. Portale di Sant'Egidio, opera
di Bartolomeo Berrettaro del
1525. Manufatto marmoreo con otto scomparti raffiguranti Episodi
della vita di Sant'Egidio, lo Stemma della
confraternita, la Crocifissione,
la Vergine con bambino fra angeli e santi, opera
proveniente dalla chiesa
della Confraternita di Sant'Egidio. Nel vestibolo sono
collocati due sarcofagi romani raffiguranti l'Amazzonomachia e
la Caccia di Meleagro.
Quarta
campata: Cappella di ?. Edicola con dipinto
sormontata da timpano.
Quinta
campata: Cappella di ?. Fonte
battesimale.
Navata
sinistra
Prima
campata: Cappella di ?. Edicola con dipinto sormontata da
timpano.
Seconda
campata: Cappella di ?. Edicola con dipinto sormontata da
timpano.
Terza
campata: varco sinistro. Accesso laterale corrispondente a Piazza della
Repubblica. Alle pareti sono accostati sarcofagi romani.
Quarta
campata: Cappella di ?. Edicola con dipinto sormontata da
timpano.
Quinta
campata: Cappella delle Anime Purganti. Edicola con dipinto
raffigurante le Anime Purganti sormontata da timpano, nel
quadro sono raffigurati il Cristo Salvatore, la Vergine
Maria, San Lorenzo Martire con la graticola, un Santo
disteso su una rupe. Sulla mensa è custodita la statua raffigurante la Vergine
Addolorata.

Transetto
- Absidiola
destra: Cappella del Santissimo Sacramento. Ambiente rimodulato
nelle forme attuali dal vescovo Marco
La Cava nel 1610. La struttura fu ricavata dalla demolizione
della primitiva absidiola, della Cappella di Santo Stefano
Protomartire e della Cappella di Maria Santissima di Loreto.
In seguito gli interni furono ulteriormente perfezionati dal vescovo Juan
Lozano. Il locale ospita le sepolture di Ugone
Papé di Valdina, Marco
La Cava, Juan Lozano, Carlo
Reggio. Sulla mensa barocca delimitata da vasi acroteriali un
artistico tabernacolo sormontato
da tempietto colonnato circolare ospitante il Crocifisso. La
sopraelevazione comprende l'intera arcata in marmi intarsiati con al centro
una grande Raggiera dorata
arricchita da teste di putto alate, nembi e
un Sacro Cuore al
centro.
Braccio
destro: Cappella di Maria Santissima del Soccorso. Sulla parete
sinistra l'affresco raffigurante il Cristo
Pantocratore del XIII
secolo. Arricchiscono l'ambiente due sarcofagi con rilievi del XVI
secolo e la Madonna del Soccorso, opera realizzata
da Domenico Gagini collocata
in una nicchia decorata da stucchi dei Ferraro,
sotto la quale è presente un pregevole frontale marmoreo di stile
rinascimentale. Gran parte dei manufatti marmorei provengono dalla
primitiva cappella eponima o Cappella Montaperto Chiaramonte,
ambiente patrocinato dal vescovo Giovanni
Montaperto Chiaramonte, mecenate del capostipite dei Gagini.
L'interno della cupola corrispondente è decorato con un affresco
raffigurante la Resurrezione.
Absidiola
sinistra: Cappella dell'Immacolata Concezione. Altare con
nicchia contenente la statua raffigurante l'Immacolata
Concezione. Scavi e sepoltura del vescovo Costantino
Trapani.
Braccio
sinistro: Cappella del Ciborio. Alla parete è incastonato il ciborio di Antonello
Gagini, inserito in un altare di stile barocco arricchito da colonne
e allegorie sull'architrave sommitale.
Nel transetto, in prospetto nell'arco dell'absidiola, è collocata la statua
realizzata nel 1537 raffigurante San
Vincenzo, diacono e martire, opera attribuita a Antonino
Gagini, manufatto marmoreo recante cinque storie in rilievo sul
piedistallo. Nell'ambiente era custodita la Croce su
tavola.

Presbiterio
- Sull'altare
maggiore è realizzata la Trasfigurazione sul monte Tabor,
composizione di sei statue di marmo raffiguranti rispettivamente Gesù
Trasfigurato, Profeta
Mosè, Profeta
Elia, San
Pietro Apostolo, San Giacomo Apostolo, San
Giovanni Apostolo, opera commissionata ad Antonello
Gagini nel 1532 e
condotta a termine dal figlio Antonino nel 1537.
Nel biennio
1576 - 1577 i mutati gusti artistici inducono il vescovo Antonio
Lombardo a scomporre la primitiva disposizione e creare una
montagna fittizia che simuli i rilievi del Tabor,
adattando sulle asperità dei declivi scoscesi, le statue originali. Il
successore Luciano
dei Rubeis un decennio dopo, porta a compimento il manufatto così
concepito, appesantendo l'ambiente di plastico stucco, sono inserite ai lati
del ciborio caratterizzato
da Angeli adoranti e Paraclito,
nicchie contenenti le statuette raffiguranti la Vergine
Maria e San
Giovanni Battista, al di fuori in prospetto gli altorilievi della Natività
di Gesù e Natività
di Maria.
Entro due
grandi nicchie ricavate sulle pareti laterali fanno capolino le figure
genuflesse di Antonio
Lombardo vescovo committente e del Gran
Conte Ruggero. Sul cornicione altrettante
nicchie ospitano le statue di Sant'Agata e Santa
Lucia, l'abside è dominata dalla figura di Dio
Padre, di altri due profeti e schiere d'angeli, il tutto
racchiuso da una scenografica cortina a baldacchino.
Superbo
altare argenteo raffigurante prospetto architettonico, verosimilmente il
progetto della seicentesca facciata in costruzione con nicchie contenenti
statuette, fontane, balconi, colonne disposti su un doppio ordine, opera di
maestranze trapanesi.
Sulle
pareti laterali del presbiterio due
quadroni, opere dei fratelli Rosario e Salvatore
Spagnolo:
Battesimo
di Gesù;
Il
miracolo delle Nozze di Cana.
In basso
sono collocati gli stalli del coro.

Opere
1802, San
Salvatore, statua lignea, opera autografa di Girolamo
Bagnasco.
XVIII
secolo, Santi Pietro e Paolo, olio su tela, opera del
gesuita Giuseppe Felici.
XVIII
secolo, San Vito, San Modesto e Santa Crescenza, olio su
tela ovale custodita nella sacrestia, opera di Tommaso
Maria Sciacca.
Cappella
della Madonna del Soccorso o Cappella Montaperto
Chiaramonte. Primitivo ambiente arricchito con la statua marmorea
raffigurante la Madonna del Soccorso, opera di Domenico
Gagini, manufatti commissionati e patrocinati dal vescovo Giovanni
Montaperto Chiaramonte. Ambiente documentato ospitante la
sepoltura del prelato.
Il
sarcofago marmoreo del vescovo Giovanni
Montaperto Chiaramonte † 1485 rappresenta
uno dei capolavori dello scultore Domenico
Gagini, espressione del rinascimento
siciliano. L'aggregato monumentale è costituito dall'urna, dal
coperchio recante la figura del prelato dormiente in abiti pontificali e da
un gruppo di statue: le quattro Virtù
cardinali nelle raffigurazioni della Prudenza, Giustizia,
Fortezza, Temperanza destinate
a sorreggere l'arca funeraria ed altre statue raffiguranti il Redentore,
la Vergine
Annunziata, i Quattro
Evangelisti e Santa
Caterina d'Alessandria. In seguito alla rimodulazione barocca
della cattedrale l'opera fu disassemblata, gran parte dei componenti trovano
oggi collocazione negli ambienti espositivi del Museo
diocesano.
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