Sicilia
La regione e le sue provincie

   

Età contemporanea - Alcune insurrezioni rivelarono qual era lo stato d'animo dei Siciliani, finché il 4 aprile 1860, scoppiò la rivolta, capeggiata da Francesco Riso, che fu detta del convento della Gancia. Le truppe borboniche ne ebbero abbastanza facilmente ragione, ma essa offrì il modo a Crispi di dimostrare a Garibaldi come l'isola fosse pronta ad accogliere la spedizione che questi aveva in animo di fare, dopo però che il popolo siciliano si fosse sollevato. La campagna nell'isola contro le forze borboniche fu molto più rapida di quanto si credesse: il 14 maggio da Salemi Giuseppe Garibaldi assumeva la dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II; il giorno dopo sconfiggeva il nemico a Calatafimi, aprendosi la via per Palermo, ove giungeva il 27 maggio. Il 2 giugno il generale formava un governo, nel quale la figura predominante era il Crispi come primo segretario di Stato e, poco dopo, cacciava dall'isola l'inviato di Cavour, il La Farina, ma accettava la collaborazione del Depretis, pure inviato da Cavour, nominandolo anzi prodittatore. Con la battaglia di Milazzo del 20 luglio tutta la Sicilia era conquistata e la spedizione continuava nel continente. Dopo il plebiscito del 21 ottobre, si chiudeva la fase del governo provvisorio garibaldino e le province siciliane divenivano parte del Regno d'Italia.

Dopo l'unificazione si alimentò quello che fu detto il fenomeno del brigantaggio post-unitario, fenomeno sociale di ribellione, appunto, al nuovo governo e all'ordine costituito. Tale situazione portò alla rivolta di Palermo del settembre del 1866, in cui si trovarono unite a combattere il governo della Destra e le due opposizioni: da un lato il clero e le classi popolari e dall'altro i democratici e repubblicani, che raccoglievano parte della borghesia delusa dell'unità. Per sette giorni Palermo fu tenuta sotto scacco dagl'insorti e si dovette mandare il generale Raffaele Cadorna per aver ragione della rivolta, venuta alla storia come rivolta del sette e mezzo.

Dal 1886 al 1894 le condizioni dell'isola invece di migliorare peggiorarono, soprattutto in conseguenza delle leggi economiche del governo centrale, favorente l'economia settentrionale, e della rottura dei rapporti commerciali con la Francia nel 1887 che danneggiò notevolmente l'agricoltura meridionale. Nelle campagne il disagio dei contadini era aggravato dall'occupazione dell'esercito delle terre demaniali, che destò una viva resistenza e che portò al tragico episodio di Caltavuturo (gennaio 1893), quando le truppe governative spararono sui contadini uccidendone undici, mentre nelle campagne e nelle zolfare gli operai chiedevano o lavoro o aumento dei salari. Intanto, a cominciare dal 1890-91, la propaganda socialista era penetrata nell'isola ed erano sorti, numerosi, i Fasci dei lavoratori. Il movimento, che si estendeva sempre più, favorito dalla cattiva situazione economica, fu affrontato dal secondo governo del siciliano Francesco Crispi con la forza: fu decretato lo stato d'assedio e sospesa la libertà di stampa, furono sciolti i Fasci e gli arrestati deferiti ai tribunali militari. Le condizioni dell'isola non migliorarono granché, neppure durante il decennio giolittiano che anzi, con il protezionismo industriale, peggiorò la situazione del Meridione in grande prevalenza agricolo. Nel 1893 un palermitano fu presidente del Consiglio: Antonio di Rudinì. Nel Novecento lo sarà anche Vittorio Emanuele Orlando e, nella Repubblica, Mario Scelba, di Caltagirone.

Dopo la prima guerra mondiale anche in Sicilia si impose il fascismo. Ma il regime totalitario non riuscì a risolvere i problemi della Sicilia (nemmeno definitivamente quello della mafia, che pure con Cesare Mori si vantò di aver estirpato). Nella seconda guerra mondiale i bombardamenti e gli sbarchi anglo-statunitensi, nel luglio del 1943, provocarono danni notevoli e solo lentamente la Sicilia si risollevò. Il generale britannico Harold Alexander, che nella sua veste di comandante supremo dell'armata era anche governatore militare delle zone occupate, pose il colonnello Charles Poletti a capo dell'Ufficio Affari civili dell'AMGOT

Nel febbraio 1944 gli Alleati riconsegnarono l'isola al governo italiano del Regno del Sud, che nominò un Alto commissario per la Sicilia. Intanto, però, riprendeva forza l'antica tendenza all'indipendenza e all'autogoverno, che nel secolo precedente aveva spinto i siciliani a chiedere il distacco dall'Italia. Si sviluppò il movimento separatista, che tenne agitata la vita dell'isola, anche con le armi, tra il 1943 e il 1945, finché si andò spegnendo, anche per l'istituzione, con il Decreto regio 15 maggio 1946, della Regione Siciliana, che concedeva lo statuto speciale d'autonomia. Nel dopoguerra anche in Sicilia, come nelle altre regioni del Sud, frequenti furono le invasioni dei terreni da parte dei contadini affamati di terra e desiderosi di strapparne un pezzo al feudatario o al grosso latifondista fino all'approvazione della riforma agraria. Intanto nell'aprile del 1947 veniva eletto il primo parlamento siciliano, che il 30 maggio a Palermo eleggeva il primo governo regionale.

Nel Primo dopoguerra il sentimento sicilianista rinacque e si rispense con l'avvento del fascismo, dopodiché con lo Sbarco degli Alleati assunse nuovo vigore il separatismo, si costituirono il MIS (guidato dalla figura carismatica di Andrea Finocchiaro Aprile), l'E.V.I.S. il suo braccio militare, (capeggiato prima da Canepa e poi da Giuliano) e altri movimenti minori. Dopo la fallita indipendenza e il compromesso autonomista raggiunto con la nuova Repubblica Italiana, l'indipendentismo siciliano andò sempre più scemando e i consensi elettorali nei confronti dei partiti separatisti furono sempre più bassi e solo alle elezioni del 1947 per l'Assemblea regionale siciliana il MIS ottenne dieci deputati e scomparve già alle elezioni del 1951.

Movimenti autonomisti e indipendentisti si sono ripresentati nel tempo: nel 1951 la Concentrazione autonomista di Paolo D'Antoni che ottenne solo tre deputati; nel 1959 l'Unione Siciliana Cristiano Sociale di Silvio Milazzo che ottenne 10 deputati; nel 2001, la Nuova Sicilia di Bartolo Pellegrino e Nicolò Nicolosi, con 5 deputati; nel 2006 il Movimento per l'Autonomia di Raffaele Lombardo. Alcuni movimenti e alcune forze extra-parlamentari chiedono anche l'indipendenza, tra questi il MIS, il FNS e Terra e Liberazione oltre ai citati partiti autonomisti ma senza rappresentanti in Parlamento o all'Ars.

Mafia

"La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine." (Giovanni Falcone)

Il termine mafia o Cosa Nostra si riferiva del resto originariamente solo all'organizzazione criminale siciliana. Oggi, però, il termine mafia è associato anche ad altre organizzazioni mafiose come la camorra campana, la 'Ndrangheta calabrese o fuori dall'Italia, la mafia russa, la mafia albanese o le Triadi cinesi. Le sue origini, secondo parte della ricerca storiografica, vengono fatte risalire ai primi anni del XIX secolo e sono poste in relazione all'antico fenomeno del brigantaggio. Tuttavia, è doveroso precisare che tale asserzione è poco condivisa; buona parte degli studiosi ritiene di retrodatare il fenomeno al XVI secolo, quando in varie parti d'Italia si erano formate congregazioni paracriminali sul tipo di quella citata da Alessandro Manzoni nel suo capolavoro I promessi sposi (I "bravi" di Don Rodrigo).

A torto o a ragione la sua nascita si fa risalire all'inizio dell'Ottocento, quando i campieri gestivano quotidianamente i terreni della nobiltà siciliana e i braccianti che vi lavoravano. Era gente violenta, che faceva da intermediario fra i proprietari feudali e i braccianti, spesso in condizioni simili a quelle dei servi della gleba che, per meglio esercitare il loro mestiere, si circondavano di violenti guardiani prezzolati. Da qui nacque la gerarchia di capi e picciotti che, nella sua logica gerarchica, esiste ancora ai giorni nostri. Tuttavia, come precisa lo storico G. C. Marino con altri studiosi, molto probabilmente l'origine della mafia è molto più antica, dato che il latifondo con tutte le sue strutture e conseguenze storico-sociali e politico-economiche, in Sicilia è presente fin dall'epoca normanna.

Solo dall'Unità d'Italia però la mafia ha cominciato a evolversi nella forma attuale, venendo messa in ginocchio grazie all'operato del "prefetto di ferro" Cesare Mori - inviato dal regime fascista - e venendo poi potentemente sostenuta dal governo statunitense prima e dopo lo sbarco degli Alleati nella seconda guerra mondiale. Dagli anni cinquanta in poi, la mafia si aggancia sempre più strettamente alla politica: da Vito Ciancimino in poi alcuni esponenti della politica siciliana sono stati indicati come collusi. E c'è stato anche il periodo delle guerre interne: la prima (nel 1962) e la seconda guerra di mafia (nel 1978).

Il periodo fra gli anni ottanta-novanta è la stagione delle grandi stragiCapacivia d'Ameliovia dei Georgofili... ma è stato anche il periodo del maxiprocesso di Palermo: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino guidano la carica contro le cosche, venendo poi vigliaccamente uccisi nel 1992, dopo gli omicidi, tra gli altri, di Cesare TerranovaCarlo Alberto dalla Chiesa, Antonino Saetta, Rosario Livatino e Ninni Cassarà, martiri della mafia. Successivamente, il fenomeno si nasconde, e diventano eclatanti solo gli arresti, da Totò Riina a Bagarella a Brusca. Gli ultimi, nel 2006, quello di un capo storico della mafia Bernardo Provenzano e nel 2007 l'arresto di Salvatore Lo Piccolo suo successore. Oggi gli esperti di antimafia indicano Matteo Messina Denaro come il successore di Lo Piccolo e Provenzano al vertice di Cosa Nostra.

La prima volta che si parlò apertamente dei rapporti che legano la politica e la mafia in Sicilia fu a inizio secolo in occasione dell'omicidio dell'ex sindaco di Palermo Notarbartolo, il cui mandante era il parlamentare Raffaele Palizzolo, rimasto impunito. Dopo la fine del fascismo gli Alleati nominarono sindaci esponenti di primo piano della mafia, come Calogero Vizzini. Numerosi furono poi i legami tra mafia ed esponenti del separatismo siciliano.

Tra le vittime più illustri che caddero nella lotta contro la mafia furono il generale Dalla Chiesa, i giudici Costa, Terranova, Falcone e Borsellino. Tuttavia i frutti di queste indagini e l'appoggio della solidarietà popolare che a più riprese è scesa in piazza contro la cupola mafiosa hanno portato a decapitare, dal 1993 in poi, i vertici di Cosa Nostra.

Nel tempo il legame tra politica e mafia è continuato a essere un aspetto essenziale del controllo e della gestione di appalti e fondi pubblici. Sfruttando la leva di complicità e omertà, in molte province della Sicilia le scelte politiche avvengono a volte per convenienze mafiose. Innumerevoli i casi di appalti pilotati a ditte controllate dalla mafia, di speculazioni legate ai piani regolatori comunali, di leggi regionali a favore di talune categorie, ecc. Per questo motivo sono sorte alcune leggi antimafia volte a limitare le collusioni. Ogni anno però continua lo scioglimento di diversi consigli comunali sparsi nel territorio siciliano per infiltrazione mafiosa.

Fuori dalla Sicilia si sono spesso alimentati cliché derivati dagli stereotipi hollywoodiani sul genere de Il padrino che ritraggono la Sicilia come un paese dominato dalla violenza, mentre l'influenza della piovra è in realtà più sotterranea di quanto non si creda. Non solo sono stati dati per scontati gli stereotipi cinematografici, ma facili generalizzazioni estese dei siciliani generano talvolta ingiuste discriminazioni sociali nel resto dell'Italia così come all'estero.

 A questo scopo sono sorte numerose associazioni culturali in Italia e all'estero volte a salvaguardare e a fare conoscere la ricca realtà artistica, linguistica e umana dell'Isola.

In molte aree viene tacitamente sfruttato il voto di scambio, senza un'apparente mobilitazione da parte dello Stato. Con la globalizzazione e l'afflusso di emigrati clandestini in Sicilia guidati da scafisti senza scrupoli, la mafia ha esteso le sue alleanze verso i paesi in via di sviluppo e alle mafie provenienti da questi.

Eclatanti i casi di politici e magistrati collusi con la mafia: il caso che forse ha fatto parlare di più è stato quello di Giulio Andreotti (che i giudici hanno ritenuto assolto con sentenza definitiva per quanto riguarda i reati successivi al 1980, sostenendo comunque, per i reati prescritti, «Una autentica, stabile e amichevole disponibilità dell'imputato verso i mafiosi fino alla primavera del 1980») e l'ex presidente della Regione Salvatore Cuffaro, condannato in via definitiva a sette anni per rivelazione di segreto istruttorio, e ancora sotto indagine per concorso esterno in associazione di tipo mafioso.

«Ma la mafia era, ed è, altra cosa: un sistema che in Sicilia contiene e muove interessi economici e di potere di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e si sviluppa nel vuoto dello Stato (cioè quando lo Stato, con le sue leggi e le sue funzioni, è debole o manca) ma dentro lo Stato. La mafia insomma altro non è che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta.» 

(Leonardo Sciascia1972; da Avvertenza scritta in occasione dell'uscita del "Giorno della Civetta" nella collana "Letture per la scuola media" - Einaudi)

Lingua e dialetti

La lingua ufficiale parlata in Sicilia è l'italiano, ma gran parte della popolazione locale parla anche il siciliano. Quest'ultimo, nonostante sia riconosciuto come lingua dall'UNESCO, dall'Unione europea e da altre organizzazioni internazionali, non gode di tutela da parte dallo Stato Italiano; tale riconoscimento gli viene però dalla Regione Siciliana, che ne promuove il patrimonio linguistico nelle scuole. Il siciliano è inoltre ritenuto lingua regionale ai sensi della Carta europea per le lingue regionali e minoritarie, il cui l'articolo 1 afferma che per lingue regionali o minoritarie si intendono le lingue che non sono dialetti della lingua ufficiale dello stato. La Carta Europea delle Lingue Regionali o minoritarie è stata approvata il 25 giugno 1992 ed è entrata in vigore il 1º marzo 1998. L'Italia ha firmato tale Carta il 27 giugno 2000, ma non l'ha ancora ratificata.

Nell'isola sono presenti alcune minoranze etno-linguistiche e dialettali poco numerose, ma importanti dal punto di vista storico-linguistico: la minoranza gallo-italica della Lombardia siciliana; la minoranza albanese della città metropolitana di Palermo; e quella più recente greca di Messina. La regione, inoltre, promuove la lingua dei segni italiana (LIS) con un'apposita legge regionale (n. 23/2011).

Nel dominio delle tradizioni popolari rientrano le varianti della lingua siciliana, che tra l'altro furono l'unico complesso del gruppo italo-romanzo a precedere il toscano nell'elevarsi a dignità poetica e letteraria con la scuola siciliana di Federico II di Svevia, tanto da contendere al toscano, per un periodo abbastanza lungo, il primato quale lingua nazionale.

Per quanto concerne il patrimonio letterario popolare, va detto che l'ideazione spontanea isolana si muove nell'ambito letterario tanto su temi religiosi o moralistici quanto su soggetti profani, come nel caso dei testi epici del ciclo carolingio del famoso Teatro dei Pupi, degli strambotti in ottava siciliana, e della favolistica che, per quanto appaia ristretta nella tematica, presenta sempre uno sviluppo narrativo esemplare: avvio realistico, ingresso di elementi e fattori sovrumani ben graduato o comunque verosimile, cura attenta dei dettagli, anche nei momenti più fantastici, e una vivacità d'articolazione che non viene mai meno, sia nelle più struggenti vicende amorose o in quei racconti che s'imperniano su un umorismo talvolta sfiorante il grottesco o il surreale.  

Tradizioni e folklore

Una parte fondamentale della tradizione siciliana riguarda i racconti orali, raccolti nell'Ottocento da Giuseppe Pitrè nella Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane. Si va dai cunti, alle fiabe, ai proverbi, agli scioglilingua. Il personaggio stereotipato di Giufà è il protagonista della maggior parte dei racconti che terminano con una morale.

Molti di questi racconti non sono ancora stati codificati del tutto. Esistono tante leggende (come le quattro di Gammazitafratelli PiiUzeta e Colapesce) che hanno una variante in ogni città (della leggenda di Colapesce esistono una trentina di versioni codificate) tale da costituire una vera e propria mitologia siciliana.  

Le tradizioni popolari sicule sono numerose e multiformi, poiché vi s'impressero non poche e divergenti colonizzazioni. È facile rammentare, infatti, che l'isola fu via via dominata da Greci, Romani, Bizantini e Arabi, Spagnoli e Francesi, tanto per fare gli esempi più palmari. Com'è ovvio, ciascuno di codesti influssi si esercitò sulla locale etnia in modo più o meno generalizzato, amalgamandosi e scontrandosi di volta in volta con le tradizioni preesistenti, a cominciare da quelle autoctone. La civiltà siciliana e la sua cultura spontanea appaiono perciò insulari, se paragonate agli analoghi frutti che maturano in Sardegna e in Corsica, ma di una ricchezza e di una peculiarità ottimali per uno studioso. Basti ricordare che il folklorista Giuseppe Pitrè dedicò un'opera in venticinque volumi alle tradizioni popolari di quest'area, inglobandovi con pertinenza descrizioni etnografiche e prospettive storiche.

Il mondo delle credenze e delle leggende, in vario modo, si apparenta al patrimonio favolistico, poetico e musicale poco sopra delineato, costituendone non di rado la fonte prima. Come quasi in tutte le regioni italiane, si rintracciano quivi componenti pagane e cristiane, più o meno commiste, e superstizioni che toccano tutti gli aspetti della vita umana. Nell'area messinese e in quella palermitana, per esempio, è tuttora vivo il ricordo di Colapesce, ma molti altri personaggi di natura acquatica ricorrono un po' in tutto il folklore isolano. A prescindere dai più noti ricordi di origine classica, si può qui segnalare la sirena che ogni anno, secondo la vecchia credenza di Modica, nelle notti tra il 24 e il 25 gennaio, emerge dal fondo del mare con un canto dolcissimo e pronta a predire il futuro a chi sappia avvicinarla. Immagini e motivi più inquietanti si registrano altresì in ricorrenza o meno di date precise. Così a Capodarso si ritiene che almeno una volta l'anno si svolga una vera “fiera” di spiriti, nei pressi di un ponte fatto erigere da Carlo V e nel corso della quale si vende, fra l'altro, della frutta che è destinata a divenire d'oro, l'indomani. 

Termini Imerese è radicata una leggenda secondo la quale Salomè, la figlia di Erodiade, sarebbe approdata, a suo tempo, a codesti lidi in cerca d'espiazione per la morte di Giovanni Battista, da lei provocata; fece perciò costruire una chiesa in memoria del martire, ma non appena essa fu terminata sarebbe scaturito dalle viscere della terra un fiume di sangue che tutto inaridiva intorno. La bella peccatrice si sarebbe allora annegata in quei flutti.  

Non appena ciò avvenne – prosegue la leggenda – il giume di sangue sprofondò sottoterra. Ma ogni anno, nella notte di vigilia di San Giovanni, per incantamento, Salomè e il corso di sangue riapparirebbero in superficie, fermando ogni fremito di vita, sino a quando, al mattino, il disco solare, recante la testa decollata del Battista, non costringe nuovamente Salomè e il relativo fiume a ritornare negli inferi. Similmente, a Noto si parla di un tesoro nascosto sepolto in una grotta e custodito dai fantasmi degli “infedeli” che lì l'avevano sepolto; a Sciacca, si tramanda una fosca storia di sangue che comprende la reiterata resurrezione dei morti, a scopo di vendetta, e così via. Il panorama delle credenze attive non è meno ricco di richiami a tempi precristiani. Per esempio, i doni annuali ai bambini sono recati in commemorazione del ritorno dei morti nelle prime notti novembrine.

Negli stessi giorni nei locali pasticcieri sono usi confezionare dei dolci, detti appunto dei “morti”, di soggetto macabro: scheletri, teschi e ossa. L'usanza in parola e particolarmente viva nel Palermitano e nel Catanese. La festa di Santa Lucia (13 dicembre), e i giorni immediatamente susseguenti, sino alla vigilia di Natale, sono tenuti propizi per trarre oroscopi sull'andamento dell'imminente anno nuovo. L'Epifania, infine, è unanimemente considerata il primo giorno di carnevale. A proposito di festività merita anche d'esser ricordata la cavalcata del Gigante e della Gigantesca che si svolge a Messina nel giorno di ferragosto, festa dell'Assunta, quasi contrapponendosi alla processione della “vara”: una costruzione piramidale ornata d'immagini di angeli e che reca al vertice le statue della Madonna e di Cristo. Un'equivocabile impronta cristiana ha per contro la “diavolata” di Adrano: un dramma sacro che vede il vittorioso combattimento dell'arcangelo Michele contro legioni di diavoli e contro la stessa Morte. Naturalmente, lo stesso può dirsi per le famose celebrazioni palermitane della patrona Santa Rosalia, commemorata in tre date diverse, l'11 gennaio, il 15 luglio e il 14 settembre, con imponenti processioni e con gigantesche “vare”, analoga alla “vara” messinese. Su di un altro piano, si segnalano anche le tavolette di ex voto conservate nel santuario di Trecastagni (Catania).

Per quanto riguarda taluni aspetti della cultura ergologica, ben noto è il tipico carretto isolano ad alte ruote, solitamente intagliato e dipinto con scene che s'ispirano alle vicende cavalleresche, narrate dai cantastorie e dall'Opera dei Pupi. Sulle origini di questo mezzo di locomozione non mancano le discussioni fra gli specialisti dell'inizio del secolo. Giuseppe Cocchiara ha però dimostrato che il sistema viario dell'isola non poté permettere la nascita di tale mezzo se non in pieno XVIII secolo. Peraltro gli esemplari più antichi sino a noi pervenuti del carretto siciliano non risalgono, di norma, oltre la metà dello scorso secolo. Negli esemplari più addietro nel tempo le ornamentazioni d'intaglio e le pitture possono essere di soggetto sacro, anziché “carolinge”. Non è certo, tuttavia, questa distinzione iconologica a garantirne l'antichità. Per ciò che concerne l'architettura spontanea osserveremo che essa rientra pienamente nell'orizzonte dello “stile mediterraneo”, tipico di tutto il Mezzogiorno. Qua e là, tuttavia, s'individuano anche agglomerati o singoli edifici a forma di trulli.

Due parole vanno infine espresse sui costumi popolari. Anche in questo settore si hanno riscontri abbastanza evidenti con le altre regioni del meridione della Penisola. L'abito femminile, infatti, per foggia e colori rassomiglia a quelli della Calabria e della Sardegna, variando ovviamente secondo le età e le occasioni. Lo stesso può dirsi per il costume maschile, più severo e caratterizzato da larghe fasce colorate in funzione di cintura.

Per molto tempo le tradizioni popolari, frutto di una cultura millenaria e dell'uso di una lingua comune, il siciliano, sono rimaste vive, più nei paesi che nelle grandi città. Tali tradizioni, particolari e a volte pittoresche, sono state la causa per cui, nel corso dei secoli, si è creato uno stereotipo tradotto nel termine sicilianità, intendendo con esso una sorta di particolarità e di differenziazione del carattere isolano rispetto a quello delle regioni confinanti.

Nei suoi scritti Marco Tullio Cicerone definiva i siciliani «gente acuta e sospettosa, nata per le controversie». Molti autori hanno rimarcato spesso un tratto comportamentale comune dei siciliani: l'alto senso della famiglia e dell'onore, il rispetto per la donna e per la femminilità, l'attaccamento alla propria terra, la teatralità dei gesti e degli atti e inoltre il senso dell'accoglienza ma anche la diffidenza. .

La famiglia siciliana tradizionale forma di massima un gruppo molto allargato che include anche i cugini più lontani e non è chiusa su sé stessa. È diffusa l'abitudine alle grandi tavolate per pranzo o per cena, soprattutto in estate. Gli orari sono spostati un po' più avanti rispetto al nord, arrivando a pranzare anche alle due di pomeriggio e cenare verso le nove-dieci nella bella stagione. 

Gesualdo Bufalino definiva la Sicilia la terra della luce e del lutto, luogo di contraddizioni di estremi che si uniscono: così nell'immaginario il siciliano appare come un uomo solare e accogliente ma anche losco e sospettoso, convinto che il suo modo d'essere sia il migliore e il più giusto. Tomasi di Lampedusa dichiarava nel suo Il Gattopardo che in Sicilia tutto cambia affinché nulla cambi perché, se sono gli stessi siciliani a ricercare il cambiamento allo stesso tempo lo frenano, timorosi che esso possa spodestare le secolari abitudini e i privilegi acquisiti.

Il senso a volte tragico del destino ma anche dell'orgoglioso attaccamento alla propria terra e alle proprie radici è testimoniato anche nella letteratura. Notevole è il ritratto lasciatoci da Giovanni Verga, capofila del verismo, nel cosiddetto Ciclo dei vinti (che include I Malavoglia) in cui al culto della "roba", il bene materiale ricavato dalla terra e dal lavoro si deve adeguare anche il senso pur così sacro della famiglia, i cui personaggi, che vogliono cambiare il mondo, sono puniti dalla mala sorte che li obbliga a tornare al punto di partenza, alla loro terra e alle loro radici. Riflessioni amare del Verga sulla vita: anche lui, raggiunto il benessere, si rifugerà dal Nord nella sua amata Catania dove, disincantato dalla vita, passerà i suoi ultimi anni.

Singolarità d'atteggiamenti si riscontrano in altri siciliani, Mario Rapisardi e Giuseppe Aurelio Costanzo colpevoli, secondo Benedetto Croce di aver trasformato il poema in "saggio sociologico". Ma la denuncia che fanno non è fine a sé stessa ma si congiunge a grandi ideali: giustizia sociale, necessità di cambiamento, ribellione contro un ordine sociale ingiusto che simbolicamente rappresenta la classe degli umili e degli oppressi che invece nell'opera di altri scrittori siciliani è solo capace di rinunce.

Il forte sentimento di appartenenza alla Sicilia, nei paesi d'emigrazione, ha prodotto la nascita di numerose comunità di immigrati siciliani e spesso ha suscitato forti ripercussioni razziste; è noto, negli Stati Uniti, il caso dei nove operai siciliani linciati dalla folla a New Orleans nel 1891, pur essendo del tutto estranei ai fatti di cui erano accusati). Spesso, totalmente integrati nella società anglosassone, i siculo-americani sono tuttavia oggetto di discriminazione mediante stereotipi alimentati anche da film famosi e o da serie televisive. Frequente è l'accostamento alla criminalità mafiosa, quasi sinonimo di sicilianità, fino al razzismo vero e proprio.

Feste

Feste religiose - Le feste religiose cattoliche rivestono una grande importanza all'interno del folklore siciliano. Tra le feste più rappresentative si possono menzionare: la Festa di Sant'Agata (riconosciuta Bene Etno Antropologico Patrimonio dell'Umanità) della Città di Catania, la Festa di Santa Rosalia a Palermo, la Festa di Santa Lucia a Siracusa, la Festa in onore ai Santi Martiri Alfio, Filadelfo e Cirino a Lentini, la processione dei Misteri a Trapani, la Festa della Madonna della Lettera a Messina, quella della Settimana Santa a Caltanissetta, la festa di Santa Barbara a Paterno',quella di San Giorgio a Ragusa Ibla e le processioni del Venerdì Santo a Enna, la processione vivente della passione a Marsala.

Unici e carichi di spiritualità orientale sono i riti della Settimana Santa di Piana degli Albanesi (Java e Madhe), secondo il rito bizantino degli albanesi di Sicilia.

Altre feste importanti dell'isola:

la Festa di San Sebastiano ad Acireale;

la Festa di San Giacomo a Caltagirone;

la Festa della Madonna a Trapani;

la Festa della Madonna della Visitazione a Enna;

la Festa del Santissimo Salvatore della Trasfigurazione a Cefalù;

la Festa di Sant'Anna a Castelbuono;

Miracoli di San Giacomo (Capizzi) a Capizzi.  

Feste laiche - Il Carnevale è festeggiato in Sicilia con manifestazioni tra le più belle e caratteristiche a livello nazionale al punto da partecipare anche al Carnevale di Viareggio; particolarmente note sono quelle di Paternò, Valderice, Acireale, Misterbianco, Sciacca, Palazzolo AcreideTermini ImereseCinisi, Collesano, RavanusaSanta Teresa di RivaAci Trezza e il carnevale di Regalbuto, alte espressioni di folklore popolare e di spensieratezza.

Opera dei Pupi - Nel 2001 si annovera l'iscrizione tra i Patrimoni Orali e Immateriali dell'Umanità da parte dell'UNESCO dell'Opera dei Pupi (primo Patrimonio italiano a essere inserito in tale lista), il teatro delle marionette siciliano. Grazie ai cuntastori, i pupi, che rappresentano i personaggi del ciclo carolingio, mettono in scena le storie della Chanson de Roland, dell'Orlando furioso e della Gerusalemme liberata. Il personaggio principale è il cavaliere Orlando, ma vi è anche spazio per RinaldoAngelica e altri.

Culla dell'Opera dei Pupi è Palermo dove sono presenti numerosi teatri oltre a un museo e una scuola famosa come quella della famiglia Cuticchio e in particolare di Mimmo Cuticchio. Altro importante centro è Acireale, cittadina barocca, che vide fiorire quest'arte grazie ai numerosi maestri pupari, fra cui il celebre Emanuele Macrì, a cui è dedicato l'omonimo museo-teatro dove, quotidianamente, è possibile assistere alle rappresentazioni dei maestri pupari. Inoltre, ad AlcamoPartinico e Sciacca si distinse la famiglia Canino, soprattutto Gaspare Canino.  

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