Età
contemporanea
-
Alcune
insurrezioni
rivelarono
qual
era
lo
stato
d'animo
dei
Siciliani,
finché
il
4
aprile 1860,
scoppiò
la
rivolta,
capeggiata
da Francesco
Riso,
che
fu
detta
del convento
della
Gancia.
Le
truppe
borboniche
ne
ebbero
abbastanza
facilmente
ragione,
ma
essa
offrì
il
modo
a Crispi di
dimostrare
a Garibaldi come
l'isola
fosse
pronta
ad
accogliere
la
spedizione
che
questi
aveva
in
animo
di
fare,
dopo
però
che
il
popolo
siciliano
si
fosse
sollevato.
La
campagna
nell'isola
contro
le
forze
borboniche
fu
molto
più
rapida
di
quanto
si
credesse:
il
14
maggio
da Salemi Giuseppe
Garibaldi assumeva
la dittatura
della
Sicilia in
nome
di
Vittorio
Emanuele
II;
il
giorno
dopo
sconfiggeva
il
nemico
a Calatafimi,
aprendosi
la
via
per
Palermo,
ove
giungeva
il
27
maggio.
Il
2
giugno
il
generale
formava
un
governo,
nel
quale
la
figura
predominante
era
il
Crispi
come
primo
segretario
di
Stato
e,
poco
dopo,
cacciava
dall'isola
l'inviato
di Cavour,
il
La
Farina,
ma
accettava
la
collaborazione
del Depretis,
pure
inviato
da
Cavour,
nominandolo
anzi
prodittatore.
Con
la
battaglia
di Milazzo del
20
luglio
tutta
la
Sicilia
era
conquistata
e
la
spedizione
continuava
nel
continente.
Dopo
il
plebiscito
del
21
ottobre,
si
chiudeva
la
fase
del governo
provvisorio
garibaldino e
le
province
siciliane
divenivano
parte
del
Regno
d'Italia.
Dopo
l'unificazione
si
alimentò
quello
che
fu
detto
il
fenomeno
del brigantaggio
post-unitario,
fenomeno
sociale
di
ribellione,
appunto,
al
nuovo
governo
e
all'ordine
costituito.
Tale
situazione
portò
alla
rivolta
di
Palermo
del
settembre
del
1866,
in
cui
si
trovarono
unite
a
combattere
il
governo
della
Destra
e
le
due
opposizioni:
da
un
lato
il
clero
e
le
classi
popolari
e
dall'altro
i
democratici
e
repubblicani,
che
raccoglievano
parte
della
borghesia
delusa
dell'unità.
Per
sette
giorni
Palermo
fu
tenuta
sotto
scacco
dagl'insorti
e
si
dovette
mandare
il
generale Raffaele
Cadorna per
aver
ragione
della
rivolta,
venuta
alla
storia
come rivolta
del
sette
e
mezzo.
Dal
1886
al
1894
le
condizioni
dell'isola
invece
di
migliorare
peggiorarono,
soprattutto
in
conseguenza
delle
leggi
economiche
del
governo
centrale,
favorente
l'economia
settentrionale,
e
della
rottura
dei
rapporti
commerciali
con
la Francia nel
1887
che
danneggiò
notevolmente
l'agricoltura
meridionale.
Nelle
campagne
il
disagio
dei
contadini
era
aggravato
dall'occupazione
dell'esercito
delle
terre
demaniali,
che
destò
una
viva
resistenza
e
che
portò
al
tragico
episodio
di Caltavuturo (gennaio
1893),
quando
le
truppe
governative
spararono
sui
contadini
uccidendone
undici,
mentre
nelle
campagne
e
nelle
zolfare
gli
operai
chiedevano
o
lavoro
o
aumento
dei
salari.
Intanto,
a
cominciare
dal
1890-91,
la
propaganda
socialista
era
penetrata
nell'isola
ed
erano
sorti,
numerosi,
i
Fasci
dei
lavoratori.
Il
movimento,
che
si
estendeva
sempre
più,
favorito
dalla
cattiva
situazione
economica,
fu
affrontato
dal
secondo
governo
del
siciliano Francesco
Crispi con
la
forza:
fu
decretato
lo
stato
d'assedio
e
sospesa
la
libertà
di
stampa,
furono
sciolti
i
Fasci
e
gli
arrestati
deferiti
ai
tribunali
militari.
Le
condizioni
dell'isola
non
migliorarono
granché,
neppure
durante
il
decennio
giolittiano
che
anzi,
con
il
protezionismo
industriale,
peggiorò
la
situazione
del
Meridione
in
grande
prevalenza
agricolo.
Nel
1893
un
palermitano
fu
presidente
del
Consiglio: Antonio
di
Rudinì.
Nel
Novecento
lo
sarà
anche Vittorio
Emanuele
Orlando e,
nella
Repubblica, Mario
Scelba,
di
Caltagirone.

Dopo
la prima
guerra
mondiale anche
in
Sicilia
si
impose
il fascismo.
Ma
il
regime
totalitario
non
riuscì
a
risolvere
i
problemi
della
Sicilia
(nemmeno
definitivamente
quello
della
mafia,
che
pure
con Cesare
Mori si
vantò
di
aver
estirpato).
Nella seconda
guerra
mondiale i
bombardamenti
e
gli
sbarchi
anglo-statunitensi,
nel
luglio
del 1943,
provocarono
danni
notevoli
e
solo
lentamente
la
Sicilia
si
risollevò.
Il
generale
britannico Harold
Alexander,
che
nella
sua
veste
di
comandante
supremo
dell'armata
era
anche
governatore
militare
delle
zone
occupate,
pose
il
colonnello Charles
Poletti a
capo
dell'Ufficio
Affari
civili
dell'AMGOT.
Nel
febbraio 1944 gli
Alleati
riconsegnarono
l'isola
al
governo
italiano
del Regno
del
Sud,
che
nominò
un Alto
commissario
per
la
Sicilia.
Intanto,
però,
riprendeva
forza
l'antica
tendenza
all'indipendenza
e
all'autogoverno,
che
nel
secolo
precedente
aveva
spinto
i
siciliani
a
chiedere
il
distacco
dall'Italia.
Si
sviluppò
il
movimento
separatista,
che
tenne
agitata
la
vita
dell'isola,
anche
con
le
armi,
tra
il
1943
e
il
1945,
finché
si
andò
spegnendo,
anche
per
l'istituzione,
con
il
Decreto
regio
15
maggio 1946,
della
Regione
Siciliana,
che
concedeva
lo statuto
speciale d'autonomia.
Nel
dopoguerra
anche
in
Sicilia,
come
nelle
altre
regioni
del
Sud,
frequenti
furono
le
invasioni
dei
terreni
da
parte
dei
contadini
affamati
di
terra
e
desiderosi
di
strapparne
un
pezzo
al
feudatario
o
al
grosso
latifondista
fino
all'approvazione
della
riforma
agraria.
Intanto
nell'aprile
del 1947 veniva
eletto
il
primo
parlamento
siciliano,
che
il
30
maggio
a
Palermo
eleggeva
il
primo
governo
regionale.
Nel Primo
dopoguerra il
sentimento
sicilianista
rinacque
e
si
rispense
con
l'avvento
del
fascismo,
dopodiché
con
lo Sbarco
degli
Alleati assunse
nuovo
vigore
il
separatismo,
si
costituirono
il MIS (guidato
dalla
figura
carismatica
di Andrea
Finocchiaro
Aprile),
l'E.V.I.S. il
suo
braccio
militare,
(capeggiato
prima
da Canepa e
poi
da Giuliano)
e
altri
movimenti
minori.
Dopo
la
fallita
indipendenza
e
il
compromesso
autonomista
raggiunto
con
la
nuova
Repubblica
Italiana,
l'indipendentismo
siciliano
andò
sempre
più
scemando
e
i
consensi
elettorali
nei
confronti
dei
partiti
separatisti
furono
sempre
più
bassi
e
solo
alle
elezioni
del
1947
per
l'Assemblea
regionale
siciliana
il
MIS
ottenne
dieci
deputati
e
scomparve
già
alle
elezioni
del
1951.
Movimenti
autonomisti
e
indipendentisti
si
sono
ripresentati
nel
tempo:
nel
1951
la
Concentrazione
autonomista
di Paolo
D'Antoni
che
ottenne
solo
tre
deputati;
nel
1959
l'Unione
Siciliana
Cristiano
Sociale
di Silvio
Milazzo che
ottenne
10
deputati;
nel
2001,
la Nuova
Sicilia di Bartolo
Pellegrino e Nicolò
Nicolosi,
con
5
deputati;
nel
2006
il Movimento
per
l'Autonomia di Raffaele
Lombardo.
Alcuni
movimenti
e
alcune
forze
extra-parlamentari
chiedono
anche
l'indipendenza,
tra
questi
il
MIS,
il FNS e
Terra
e
Liberazione
oltre
ai
citati
partiti
autonomisti
ma
senza
rappresentanti
in
Parlamento
o
all'Ars.

Mafia
"La
mafia
è
un
fenomeno
umano
e
come
tutti
i
fenomeni
umani
ha
un
principio,
una
sua
evoluzione
e
avrà
quindi
anche
una
fine."
(Giovanni
Falcone) |
Il
termine mafia o Cosa
Nostra si
riferiva
del
resto
originariamente
solo
all'organizzazione
criminale
siciliana.
Oggi,
però,
il
termine
mafia
è
associato
anche
ad
altre
organizzazioni
mafiose
come
la camorra campana,
la 'Ndrangheta calabrese
o
fuori
dall'Italia,
la mafia
russa,
la mafia
albanese o
le Triadi
cinesi.
Le
sue
origini,
secondo
parte
della
ricerca
storiografica,
vengono
fatte
risalire
ai
primi
anni
del XIX
secolo e
sono
poste
in
relazione
all'antico
fenomeno
del brigantaggio.
Tuttavia,
è
doveroso
precisare
che
tale
asserzione
è
poco
condivisa;
buona
parte
degli
studiosi
ritiene
di
retrodatare
il
fenomeno
al XVI
secolo,
quando
in
varie
parti
d'Italia
si
erano
formate
congregazioni
paracriminali
sul
tipo
di
quella
citata
da Alessandro
Manzoni nel
suo
capolavoro I
promessi
sposi (I
"bravi"
di
Don
Rodrigo).
A
torto
o
a
ragione
la
sua
nascita
si
fa
risalire
all'inizio
dell'Ottocento,
quando
i
campieri gestivano
quotidianamente
i
terreni
della
nobiltà
siciliana
e
i braccianti che
vi
lavoravano.
Era
gente
violenta,
che
faceva
da
intermediario
fra
i
proprietari feudali e
i
braccianti,
spesso
in
condizioni
simili
a
quelle
dei servi
della
gleba che,
per
meglio
esercitare
il
loro
mestiere,
si
circondavano
di
violenti
guardiani
prezzolati.
Da
qui
nacque
la
gerarchia
di capi e picciotti che,
nella
sua
logica
gerarchica,
esiste
ancora
ai
giorni
nostri.
Tuttavia,
come
precisa
lo
storico G.
C.
Marino con
altri
studiosi,
molto
probabilmente
l'origine
della mafia è
molto
più
antica,
dato
che
il latifondo con
tutte
le
sue
strutture
e
conseguenze
storico-sociali
e
politico-economiche,
in
Sicilia
è
presente
fin
dall'epoca
normanna.
Solo
dall'Unità
d'Italia però
la
mafia
ha
cominciato
a
evolversi
nella
forma
attuale,
venendo
messa
in
ginocchio
grazie
all'operato
del
"prefetto
di
ferro" Cesare
Mori -
inviato
dal
regime
fascista
-
e
venendo
poi
potentemente
sostenuta
dal
governo
statunitense
prima
e
dopo
lo
sbarco
degli
Alleati
nella seconda
guerra
mondiale.
Dagli anni
cinquanta in
poi,
la
mafia
si
aggancia
sempre
più
strettamente
alla
politica:
da
Vito
Ciancimino in
poi
alcuni
esponenti
della
politica
siciliana
sono
stati
indicati
come
collusi.
E
c'è
stato
anche
il
periodo
delle
guerre
interne:
la prima (nel 1962)
e
la seconda
guerra
di
mafia (nel 1978).
Il
periodo
fra
gli anni
ottanta-novanta è
la
stagione
delle
grandi stragi: Capaci, via
d'Amelio, via
dei
Georgofili...
ma
è
stato
anche
il
periodo
del maxiprocesso
di
Palermo:
Giovanni
Falcone e Paolo
Borsellino guidano
la
carica
contro
le
cosche,
venendo
poi
vigliaccamente
uccisi
nel 1992,
dopo
gli
omicidi,
tra
gli
altri,
di Cesare
Terranova, Carlo
Alberto
dalla
Chiesa,
Antonino
Saetta,
Rosario
Livatino e Ninni
Cassarà,
martiri
della
mafia.
Successivamente,
il
fenomeno
si
nasconde,
e
diventano
eclatanti
solo
gli
arresti,
da Totò
Riina a Bagarella a Brusca.
Gli
ultimi,
nel 2006,
quello
di
un
capo
storico
della
mafia
Bernardo
Provenzano e
nel 2007 l'arresto
di Salvatore
Lo
Piccolo suo
successore.
Oggi
gli
esperti
di
antimafia
indicano
Matteo
Messina
Denaro come
il
successore
di Lo
Piccolo e Provenzano al
vertice
di Cosa
Nostra.
La
prima
volta
che
si
parlò
apertamente
dei
rapporti
che
legano
la
politica
e
la
mafia
in
Sicilia
fu
a
inizio
secolo
in
occasione
dell'omicidio
dell'ex
sindaco
di
Palermo
Notarbartolo,
il
cui
mandante
era
il
parlamentare Raffaele
Palizzolo,
rimasto
impunito.
Dopo
la
fine
del fascismo gli
Alleati
nominarono
sindaci
esponenti
di
primo
piano
della
mafia,
come Calogero
Vizzini.
Numerosi
furono
poi
i
legami
tra
mafia
ed
esponenti
del separatismo
siciliano.
Tra
le
vittime
più
illustri
che
caddero
nella
lotta
contro
la
mafia
furono
il generale
Dalla
Chiesa,
i
giudici
Costa,
Terranova,
Falcone
e
Borsellino.
Tuttavia
i
frutti
di
queste
indagini
e
l'appoggio
della
solidarietà
popolare
che
a
più
riprese
è
scesa
in
piazza
contro
la cupola
mafiosa hanno
portato
a
decapitare,
dal 1993 in
poi,
i
vertici
di Cosa
Nostra.
Nel
tempo
il
legame
tra
politica
e
mafia
è
continuato
a
essere
un
aspetto
essenziale
del
controllo
e
della
gestione
di appalti e
fondi
pubblici.
Sfruttando
la
leva
di
complicità
e omertà,
in
molte
province
della
Sicilia
le
scelte
politiche
avvengono
a
volte
per
convenienze
mafiose.
Innumerevoli
i
casi
di
appalti
pilotati
a
ditte
controllate
dalla
mafia,
di
speculazioni
legate
ai piani
regolatori comunali,
di
leggi
regionali
a
favore
di
talune
categorie,
ecc.
Per
questo
motivo
sono
sorte
alcune
leggi
antimafia
volte
a
limitare
le
collusioni.
Ogni
anno
però
continua
lo
scioglimento
di
diversi consigli
comunali sparsi
nel
territorio
siciliano
per
infiltrazione
mafiosa.
Fuori
dalla
Sicilia
si
sono
spesso
alimentati
cliché
derivati
dagli
stereotipi hollywoodiani sul
genere
de Il
padrino che
ritraggono
la
Sicilia
come
un
paese
dominato
dalla
violenza,
mentre
l'influenza
della piovra è
in
realtà
più
sotterranea
di
quanto
non
si
creda.
Non
solo
sono
stati
dati
per
scontati
gli
stereotipi
cinematografici,
ma
facili
generalizzazioni
estese
dei
siciliani
generano
talvolta
ingiuste
discriminazioni
sociali
nel
resto
dell'Italia
così
come
all'estero.
A
questo
scopo
sono
sorte
numerose
associazioni
culturali
in
Italia
e
all'estero
volte
a
salvaguardare
e
a
fare
conoscere
la
ricca
realtà
artistica,
linguistica
e
umana
dell'Isola.
In
molte
aree
viene
tacitamente
sfruttato
il voto
di
scambio,
senza
un'apparente
mobilitazione
da
parte
dello
Stato.
Con
la
globalizzazione e
l'afflusso
di
emigrati
clandestini
in
Sicilia
guidati
da
scafisti
senza
scrupoli,
la
mafia
ha
esteso
le
sue
alleanze
verso
i
paesi
in
via
di
sviluppo
e
alle
mafie
provenienti
da
questi.
Eclatanti
i
casi
di
politici
e
magistrati
collusi
con
la
mafia:
il
caso
che
forse
ha
fatto
parlare
di
più
è
stato
quello
di Giulio
Andreotti
(che
i
giudici
hanno
ritenuto
assolto
con
sentenza
definitiva
per
quanto
riguarda
i
reati
successivi
al 1980,
sostenendo
comunque,
per
i
reati
prescritti,
«Una
autentica,
stabile
e
amichevole
disponibilità
dell'imputato
verso
i
mafiosi
fino
alla
primavera
del
1980»)
e
l'ex
presidente
della
Regione Salvatore
Cuffaro,
condannato
in
via
definitiva
a
sette
anni
per
rivelazione
di
segreto
istruttorio,
e
ancora
sotto
indagine
per
concorso
esterno
in associazione
di
tipo
mafioso.
«Ma
la
mafia
era,
ed
è,
altra
cosa:
un
sistema
che
in
Sicilia
contiene
e
muove
interessi
economici
e
di
potere
di
una
classe
che
approssimativamente
possiamo
dire
borghese;
e
non
sorge
e
si
sviluppa
nel
vuoto
dello
Stato
(cioè
quando
lo
Stato,
con
le
sue
leggi
e
le
sue
funzioni,
è
debole
o
manca)
ma
dentro
lo
Stato.
La
mafia
insomma
altro
non
è
che
una
borghesia
parassitaria,
una
borghesia
che
non
imprende
ma
soltanto
sfrutta.»
(Leonardo
Sciascia, 1972;
da
Avvertenza
scritta
in
occasione
dell'uscita
del
"Giorno
della
Civetta"
nella
collana
"Letture
per
la
scuola
media"
-
Einaudi) |
Lingua
e
dialetti
La lingua ufficiale
parlata
in
Sicilia
è
l'italiano,
ma
gran
parte
della
popolazione
locale
parla
anche
il siciliano.
Quest'ultimo,
nonostante
sia
riconosciuto
come
lingua
dall'UNESCO,
dall'Unione
europea e
da
altre
organizzazioni
internazionali,
non
gode
di
tutela
da
parte
dallo
Stato
Italiano;
tale
riconoscimento
gli
viene
però
dalla
Regione
Siciliana,
che
ne
promuove
il
patrimonio
linguistico
nelle
scuole.
Il
siciliano
è
inoltre
ritenuto
lingua
regionale
ai
sensi
della
Carta
europea
per
le
lingue
regionali
e
minoritarie,
il
cui
l'articolo
1
afferma
che
per lingue
regionali
o
minoritarie
si
intendono
le
lingue
che
non
sono
dialetti
della
lingua
ufficiale
dello
stato.
La Carta
Europea
delle
Lingue
Regionali
o
minoritarie è
stata
approvata
il
25
giugno
1992
ed
è
entrata
in
vigore
il
1º
marzo
1998.
L'Italia
ha
firmato
tale
Carta
il
27
giugno
2000,
ma
non
l'ha
ancora
ratificata.
Nell'isola
sono
presenti
alcune
minoranze
etno-linguistiche
e
dialettali
poco
numerose,
ma
importanti
dal
punto
di
vista
storico-linguistico:
la
minoranza gallo-italica della Lombardia
siciliana;
la
minoranza
albanese
della città
metropolitana
di
Palermo;
e
quella
più
recente greca di
Messina.
La
regione,
inoltre,
promuove
la lingua
dei
segni
italiana (LIS)
con
un'apposita
legge
regionale
(n.
23/2011).
Nel
dominio
delle
tradizioni
popolari
rientrano
le
varianti
della lingua
siciliana,
che
tra
l'altro
furono
l'unico
complesso
del
gruppo
italo-romanzo
a
precedere
il
toscano
nell'elevarsi
a
dignità
poetica
e
letteraria
con
la scuola
siciliana di Federico
II
di
Svevia,
tanto
da
contendere
al
toscano,
per
un
periodo
abbastanza
lungo,
il
primato
quale
lingua
nazionale.
Per
quanto
concerne
il
patrimonio
letterario
popolare,
va
detto
che
l'ideazione
spontanea
isolana
si
muove
nell'ambito
letterario
tanto
su
temi
religiosi
o
moralistici
quanto
su
soggetti
profani,
come
nel
caso
dei
testi
epici
del
ciclo
carolingio
del
famoso Teatro
dei
Pupi,
degli
strambotti
in
ottava
siciliana,
e
della
favolistica
che,
per
quanto
appaia
ristretta
nella
tematica,
presenta
sempre
uno
sviluppo
narrativo
esemplare:
avvio
realistico,
ingresso
di
elementi
e
fattori
sovrumani
ben
graduato
o
comunque
verosimile,
cura
attenta
dei
dettagli,
anche
nei
momenti
più
fantastici,
e
una
vivacità
d'articolazione
che
non
viene
mai
meno,
sia
nelle
più
struggenti
vicende
amorose
o
in
quei
racconti
che
s'imperniano
su
un
umorismo
talvolta
sfiorante
il
grottesco
o
il
surreale.
Tradizioni
e
folklore
Una
parte
fondamentale
della
tradizione
siciliana
riguarda
i
racconti
orali,
raccolti
nell'Ottocento da Giuseppe
Pitrè nella Biblioteca
delle
tradizioni
popolari
siciliane.
Si
va
dai cunti,
alle fiabe,
ai proverbi,
agli scioglilingua.
Il
personaggio
stereotipato
di Giufà è
il
protagonista
della
maggior
parte
dei
racconti
che
terminano
con
una morale.
Molti
di
questi
racconti
non
sono
ancora
stati
codificati
del
tutto.
Esistono
tante leggende (come
le
quattro
di Gammazita, fratelli
Pii, Uzeta e Colapesce)
che
hanno
una
variante
in
ogni
città
(della
leggenda
di
Colapesce
esistono
una
trentina
di
versioni
codificate)
tale
da
costituire
una
vera
e
propria mitologia siciliana.
Le
tradizioni
popolari
sicule
sono
numerose
e
multiformi,
poiché
vi
s'impressero
non
poche
e
divergenti
colonizzazioni.
È
facile
rammentare,
infatti,
che
l'isola
fu
via
via
dominata
da
Greci,
Romani,
Bizantini
e
Arabi,
Spagnoli
e
Francesi,
tanto
per
fare
gli
esempi
più
palmari.
Com'è
ovvio,
ciascuno
di
codesti
influssi
si
esercitò
sulla
locale
etnia
in
modo
più
o
meno
generalizzato,
amalgamandosi
e
scontrandosi
di
volta
in
volta
con
le
tradizioni
preesistenti,
a
cominciare
da
quelle
autoctone.
La
civiltà
siciliana
e
la
sua
cultura
spontanea
appaiono
perciò
insulari,
se
paragonate
agli
analoghi
frutti
che
maturano
in Sardegna e
in Corsica,
ma
di
una
ricchezza
e
di
una
peculiarità
ottimali
per
uno
studioso.
Basti
ricordare
che
il
folklorista Giuseppe
Pitrè dedicò
un'opera
in
venticinque
volumi
alle
tradizioni
popolari
di
quest'area,
inglobandovi
con
pertinenza
descrizioni
etnografiche
e
prospettive
storiche.
Il
mondo
delle
credenze
e
delle
leggende,
in
vario
modo,
si
apparenta
al
patrimonio
favolistico,
poetico
e
musicale
poco
sopra
delineato,
costituendone
non
di
rado
la
fonte
prima.
Come
quasi
in
tutte
le
regioni
italiane,
si
rintracciano
quivi
componenti
pagane
e
cristiane,
più
o
meno
commiste,
e
superstizioni
che
toccano
tutti
gli
aspetti
della
vita
umana.
Nell'area
messinese
e
in
quella
palermitana,
per
esempio,
è
tuttora
vivo
il
ricordo
di Colapesce,
ma
molti
altri
personaggi
di
natura
acquatica
ricorrono
un
po'
in
tutto
il
folklore
isolano.
A
prescindere
dai
più
noti
ricordi
di
origine
classica,
si
può
qui
segnalare
la
sirena
che
ogni
anno,
secondo
la
vecchia
credenza
di Modica,
nelle
notti
tra
il
24
e
il
25
gennaio,
emerge
dal
fondo
del
mare
con
un
canto
dolcissimo
e
pronta
a
predire
il
futuro
a
chi
sappia
avvicinarla.
Immagini
e
motivi
più
inquietanti
si
registrano
altresì
in
ricorrenza
o
meno
di
date
precise.
Così
a Capodarso si
ritiene
che
almeno
una
volta
l'anno
si
svolga
una
vera
“fiera”
di
spiriti,
nei
pressi
di
un
ponte
fatto
erigere
da Carlo
V e
nel
corso
della
quale
si
vende,
fra
l'altro,
della
frutta
che
è
destinata
a
divenire
d'oro,
l'indomani.
A Termini
Imerese è
radicata
una
leggenda
secondo
la
quale Salomè,
la
figlia
di
Erodiade,
sarebbe
approdata,
a
suo
tempo,
a
codesti
lidi
in
cerca
d'espiazione
per
la
morte
di Giovanni
Battista,
da
lei
provocata;
fece
perciò
costruire
una
chiesa
in
memoria
del
martire,
ma
non
appena
essa
fu
terminata
sarebbe
scaturito
dalle
viscere
della
terra
un
fiume
di
sangue
che
tutto
inaridiva
intorno.
La
bella
peccatrice
si
sarebbe
allora
annegata
in
quei
flutti.
Non
appena
ciò
avvenne –
prosegue
la
leggenda –
il
giume
di
sangue
sprofondò
sottoterra.
Ma
ogni
anno,
nella
notte
di
vigilia
di San
Giovanni,
per
incantamento,
Salomè
e
il
corso
di
sangue
riapparirebbero
in
superficie,
fermando
ogni
fremito
di
vita,
sino
a
quando,
al
mattino,
il
disco
solare,
recante
la
testa
decollata
del
Battista,
non
costringe
nuovamente
Salomè
e
il
relativo
fiume
a
ritornare
negli
inferi.
Similmente,
a Noto si
parla
di
un
tesoro
nascosto
sepolto
in
una
grotta
e
custodito
dai
fantasmi
degli
“infedeli”
che
lì
l'avevano
sepolto;
a Sciacca,
si
tramanda
una
fosca
storia
di
sangue
che
comprende
la
reiterata
resurrezione
dei
morti,
a
scopo
di
vendetta,
e
così
via.
Il
panorama
delle
credenze
attive
non
è
meno
ricco
di
richiami
a
tempi
precristiani.
Per
esempio,
i
doni
annuali
ai
bambini
sono
recati
in
commemorazione
del
ritorno
dei
morti
nelle
prime
notti
novembrine.
Negli
stessi
giorni
nei
locali
pasticcieri
sono
usi
confezionare
dei
dolci,
detti
appunto
dei
“morti”,
di
soggetto
macabro:
scheletri,
teschi
e
ossa.
L'usanza
in
parola
e
particolarmente
viva
nel
Palermitano
e
nel
Catanese.
La
festa
di Santa
Lucia (13
dicembre),
e
i
giorni
immediatamente
susseguenti,
sino
alla
vigilia
di
Natale,
sono
tenuti
propizi
per
trarre
oroscopi
sull'andamento
dell'imminente
anno
nuovo.
L'Epifania,
infine,
è
unanimemente
considerata
il
primo
giorno
di
carnevale.
A
proposito
di
festività
merita
anche
d'esser
ricordata
la
cavalcata
del
Gigante
e
della
Gigantesca
che
si
svolge
a
Messina
nel
giorno
di
ferragosto,
festa
dell'Assunta,
quasi
contrapponendosi
alla
processione
della
“vara”:
una
costruzione
piramidale
ornata
d'immagini
di
angeli
e
che
reca
al
vertice
le
statue
della
Madonna
e
di
Cristo.
Un'equivocabile
impronta
cristiana
ha
per
contro
la
“diavolata”
di Adrano:
un
dramma
sacro
che
vede
il
vittorioso
combattimento
dell'arcangelo
Michele
contro
legioni
di
diavoli
e
contro
la
stessa
Morte.
Naturalmente,
lo
stesso
può
dirsi
per
le
famose
celebrazioni
palermitane
della
patrona Santa
Rosalia,
commemorata
in
tre
date
diverse,
l'11
gennaio,
il
15
luglio
e
il
14
settembre,
con
imponenti
processioni
e
con
gigantesche
“vare”,
analoga
alla
“vara”
messinese.
Su
di
un
altro
piano,
si
segnalano
anche
le
tavolette
di
ex
voto
conservate
nel
santuario
di Trecastagni (Catania).
Per
quanto
riguarda
taluni
aspetti
della
cultura
ergologica,
ben
noto
è
il
tipico
carretto
isolano
ad
alte
ruote,
solitamente
intagliato
e
dipinto
con
scene
che
s'ispirano
alle
vicende
cavalleresche,
narrate
dai
cantastorie
e
dall'Opera
dei
Pupi.
Sulle
origini
di
questo
mezzo
di
locomozione
non
mancano
le
discussioni
fra
gli
specialisti
dell'inizio
del
secolo.
Giuseppe
Cocchiara
ha
però
dimostrato
che
il
sistema
viario
dell'isola
non
poté
permettere
la
nascita
di
tale
mezzo
se
non
in
pieno
XVIII
secolo.
Peraltro
gli
esemplari
più
antichi
sino
a
noi
pervenuti
del
carretto
siciliano
non
risalgono,
di
norma,
oltre
la
metà
dello
scorso
secolo.
Negli
esemplari
più
addietro
nel
tempo
le
ornamentazioni
d'intaglio
e
le
pitture
possono
essere
di
soggetto
sacro,
anziché
“carolinge”.
Non
è
certo,
tuttavia,
questa
distinzione
iconologica
a
garantirne
l'antichità.
Per
ciò
che
concerne
l'architettura
spontanea
osserveremo
che
essa
rientra
pienamente
nell'orizzonte
dello
“stile
mediterraneo”,
tipico
di
tutto
il
Mezzogiorno.
Qua
e
là,
tuttavia,
s'individuano
anche
agglomerati
o
singoli
edifici
a
forma
di trulli.
Due
parole
vanno
infine
espresse
sui
costumi
popolari.
Anche
in
questo
settore
si
hanno
riscontri
abbastanza
evidenti
con
le
altre
regioni
del
meridione
della
Penisola.
L'abito
femminile,
infatti,
per
foggia
e
colori
rassomiglia
a
quelli
della Calabria e
della Sardegna,
variando
ovviamente
secondo
le
età
e
le
occasioni.
Lo
stesso
può
dirsi
per
il
costume
maschile,
più
severo
e
caratterizzato
da
larghe
fasce
colorate
in
funzione
di
cintura.
Per
molto
tempo
le tradizioni
popolari,
frutto
di
una
cultura
millenaria
e
dell'uso
di
una
lingua
comune,
il
siciliano,
sono
rimaste
vive,
più
nei
paesi
che
nelle
grandi
città.
Tali
tradizioni,
particolari
e
a
volte
pittoresche,
sono
state
la
causa
per
cui,
nel
corso
dei
secoli,
si
è
creato
uno
stereotipo
tradotto
nel
termine sicilianità,
intendendo
con
esso
una
sorta
di
particolarità
e
di
differenziazione
del
carattere
isolano
rispetto
a
quello
delle
regioni
confinanti.
Nei
suoi
scritti Marco
Tullio
Cicerone definiva
i
siciliani
«gente
acuta
e
sospettosa,
nata
per
le
controversie».
Molti
autori
hanno
rimarcato
spesso
un
tratto
comportamentale
comune
dei
siciliani:
l'alto
senso
della
famiglia
e
dell'onore,
il
rispetto
per
la
donna
e
per
la
femminilità,
l'attaccamento
alla
propria
terra,
la
teatralità
dei
gesti
e
degli
atti
e
inoltre
il
senso
dell'accoglienza
ma
anche
la
diffidenza. .
La
famiglia
siciliana
tradizionale
forma
di
massima
un
gruppo
molto
allargato
che
include
anche
i
cugini
più
lontani
e
non
è
chiusa
su
sé
stessa.
È
diffusa
l'abitudine
alle
grandi
tavolate
per
pranzo
o
per
cena,
soprattutto
in
estate.
Gli
orari
sono
spostati
un
po'
più
avanti
rispetto
al
nord,
arrivando
a
pranzare
anche
alle
due
di
pomeriggio
e
cenare
verso
le
nove-dieci
nella
bella
stagione.
Gesualdo
Bufalino definiva
la
Sicilia
la
terra
della luce
e
del
lutto,
luogo
di
contraddizioni
di
estremi
che
si
uniscono:
così
nell'immaginario
il
siciliano
appare
come
un
uomo
solare
e
accogliente
ma
anche
losco
e
sospettoso,
convinto
che
il
suo
modo
d'essere
sia
il
migliore
e
il
più
giusto. Tomasi
di
Lampedusa dichiarava
nel
suo Il
Gattopardo che
in Sicilia
tutto
cambia
affinché
nulla
cambi perché,
se
sono
gli
stessi
siciliani
a
ricercare
il
cambiamento
allo
stesso
tempo
lo
frenano,
timorosi
che
esso
possa
spodestare
le
secolari
abitudini
e
i
privilegi
acquisiti.
Il
senso
a
volte
tragico
del destino ma
anche
dell'orgoglioso
attaccamento
alla
propria
terra
e
alle
proprie
radici
è
testimoniato
anche
nella
letteratura.
Notevole
è
il
ritratto
lasciatoci
da Giovanni
Verga,
capofila
del verismo,
nel
cosiddetto Ciclo
dei
vinti (che
include I
Malavoglia)
in
cui
al
culto
della
"roba",
il
bene
materiale
ricavato
dalla
terra
e
dal
lavoro
si
deve
adeguare
anche
il
senso
pur
così
sacro
della
famiglia,
i
cui
personaggi,
che
vogliono
cambiare
il
mondo,
sono
puniti
dalla
mala
sorte
che
li
obbliga
a
tornare
al
punto
di
partenza,
alla
loro
terra
e
alle
loro
radici.
Riflessioni
amare
del
Verga
sulla
vita:
anche
lui,
raggiunto
il
benessere,
si
rifugerà
dal
Nord
nella
sua
amata
Catania
dove,
disincantato
dalla
vita,
passerà
i
suoi
ultimi
anni.
Singolarità
d'atteggiamenti
si
riscontrano
in
altri
siciliani, Mario
Rapisardi e Giuseppe
Aurelio
Costanzo colpevoli,
secondo Benedetto
Croce di
aver
trasformato
il poema in
"saggio sociologico".
Ma
la
denuncia
che
fanno
non
è
fine
a
sé
stessa
ma
si
congiunge
a
grandi
ideali:
giustizia
sociale,
necessità
di
cambiamento,
ribellione
contro
un
ordine
sociale
ingiusto
che
simbolicamente
rappresenta
la
classe
degli
umili
e
degli
oppressi
che
invece
nell'opera
di
altri
scrittori
siciliani
è
solo
capace
di
rinunce.
Il
forte
sentimento
di
appartenenza
alla
Sicilia,
nei
paesi
d'emigrazione,
ha
prodotto
la
nascita
di
numerose
comunità
di
immigrati
siciliani
e
spesso
ha
suscitato
forti
ripercussioni
razziste;
è
noto,
negli Stati
Uniti,
il
caso
dei
nove
operai
siciliani
linciati
dalla
folla
a New
Orleans nel
1891,
pur
essendo
del
tutto
estranei
ai
fatti
di
cui
erano
accusati).
Spesso,
totalmente
integrati
nella
società
anglosassone,
i
siculo-americani
sono
tuttavia
oggetto
di
discriminazione
mediante
stereotipi
alimentati
anche
da
film
famosi
e
o
da
serie
televisive.
Frequente
è
l'accostamento
alla
criminalità
mafiosa,
quasi
sinonimo
di
sicilianità,
fino
al
razzismo
vero
e
proprio.
Feste

Feste
religiose
-
Le
feste
religiose
cattoliche
rivestono
una
grande
importanza
all'interno
del folklore siciliano.
Tra
le
feste
più
rappresentative
si
possono
menzionare:
la Festa
di
Sant'Agata (riconosciuta Bene
Etno
Antropologico
Patrimonio
dell'Umanità)
della
Città
di Catania,
la Festa
di
Santa
Rosalia a Palermo,
la Festa
di
Santa
Lucia
a
Siracusa,
la Festa
in
onore
ai
Santi
Martiri
Alfio,
Filadelfo
e
Cirino a Lentini,
la processione
dei
Misteri
a
Trapani,
la
Festa
della Madonna
della
Lettera a Messina,
quella
della
Settimana
Santa
a
Caltanissetta,
la
festa
di
Santa
Barbara
a
Paterno',quella
di San
Giorgio a Ragusa Ibla
e
le
processioni
del
Venerdì
Santo a Enna,
la
processione
vivente
della
passione
a Marsala.
Unici
e
carichi
di
spiritualità
orientale
sono
i
riti
della Settimana
Santa
di
Piana
degli
Albanesi
(Java
e
Madhe),
secondo
il rito
bizantino degli albanesi
di
Sicilia.
Altre
feste
importanti
dell'isola:
la Festa
di
San
Sebastiano ad Acireale;
la Festa
di
San
Giacomo
a
Caltagirone;
la Festa
della
Madonna a Trapani;
la Festa
della
Madonna
della
Visitazione a Enna;
la Festa
del
Santissimo
Salvatore
della
Trasfigurazione a Cefalù;
la Festa
di
Sant'Anna a Castelbuono;
i Miracoli
di
San
Giacomo
(Capizzi) a Capizzi.
Feste
laiche
-
Il Carnevale è
festeggiato
in
Sicilia
con
manifestazioni
tra
le
più
belle
e
caratteristiche
a
livello
nazionale
al
punto
da
partecipare
anche
al Carnevale
di
Viareggio;
particolarmente
note
sono
quelle
di
Paternò,
Valderice,
Acireale,
Misterbianco,
Sciacca, Palazzolo
Acreide, Termini
Imerese, Cinisi,
Collesano, Ravanusa, Santa
Teresa
di
Riva, Aci
Trezza e
il carnevale
di
Regalbuto,
alte
espressioni
di
folklore
popolare
e
di
spensieratezza.
Opera
dei
Pupi
-
Nel 2001 si
annovera
l'iscrizione
tra
i Patrimoni
Orali
e
Immateriali
dell'Umanità da
parte
dell'UNESCO dell'Opera
dei
Pupi (primo
Patrimonio
italiano
a
essere
inserito
in
tale
lista),
il teatro delle marionette siciliano.
Grazie
ai cuntastori,
i pupi,
che
rappresentano
i
personaggi
del ciclo
carolingio,
mettono
in
scena
le
storie
della Chanson
de
Roland,
dell'Orlando
furioso e
della
Gerusalemme
liberata.
Il
personaggio
principale
è
il
cavaliere Orlando,
ma
vi
è
anche
spazio
per Rinaldo, Angelica e
altri.
Culla
dell'Opera
dei
Pupi
è
Palermo
dove
sono
presenti
numerosi
teatri
oltre
a
un
museo
e
una
scuola
famosa
come
quella
della
famiglia Cuticchio e
in
particolare
di Mimmo
Cuticchio.
Altro
importante
centro
è Acireale,
cittadina
barocca,
che
vide
fiorire
quest'arte
grazie
ai
numerosi
maestri
pupari,
fra
cui
il
celebre Emanuele
Macrì,
a
cui
è
dedicato
l'omonimo
museo-teatro
dove,
quotidianamente,
è
possibile
assistere
alle
rappresentazioni
dei
maestri
pupari.
Inoltre,
ad Alcamo, Partinico e Sciacca si
distinse
la
famiglia
Canino,
soprattutto Gaspare
Canino.
Pag.
1
Pag.
3
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