Segesta fu
un'antica città elima situata
nella parte nord-occidentale della Sicilia.
La vecchia città sorge sul Monte Barbaro, nel territorio comunale di Calatafimi
Segesta, nel libero
consorzio comunale di Trapani, a pochi chilometri da Castellammare
del Golfo e da Alcamo.
Custodisce,
all'interno del parco archeologico, un tempio in stile
dorico e un teatro di
età ellenistica, in parte scavato nella roccia della collina. Altri scavi
hanno portato alla luce una cittadina ellenistico-romana e un borgo
medievale. Questo sito archeologico è tra i meglio conservati di tutta la
Sicilia, nonostante le numerose trasformazioni subite, ed è di certo uno
dei luoghi d'interesse culturale più suggestivi grazie al panorama visibile
e alla sua posizione sul monte. Attualmente è una delle maggiori mete del
turismo culturale e paesaggistico della provincia di Trapani.
Gli
scavi nell'area sono stati ripresi a febbraio 2022 per riportare alla luce
le zone dell'agorà ancora coperte.
La
data della fondazione non è conosciuta, ma da documenti risulta che la città
era abitata nel IX
secolo a.C. Lo storico greco Tucidide narra
che i profughi troiani,
attraversando il Mar
Mediterraneo, giunsero fino in Sicilia, e fondarono Segesta, chiamata
Aegesta, ed Erice.
Questi profughi presero il nome di Elimi.
Ci
sono diverse leggende per giustificare la presunta origine troiana della
città e della sua popolazione: Virgilio narra
che fu proprio Enea a fondarla, profugo da Troia con i suoi cittadini,
che durante il viaggio per Roma si fermò in Sicilia, ed in quest'area fondò
una colonia dove rimase una buona parte dei suoi compagni di viaggio, tra
cui suo padre. Un altro mito narra di Egesta, nobile troiana in fuga dalla
città di origine, che esausta dal peregrinare si riposò di fianco al fiume
che bagnava l'area e lì fu fecondata dal dio fluviale Crimiso. Da questa
unione nacque Aceste, primo re della città e suo fondatore.
Le
ricerche archeologiche intraprese negli ultimi anni però non hanno ancora
dimostrato o smentito i presunti legami con l'area dell'Asia
Minore in cui sorgeva Troia,
di certo gli Elimi furono un popolo estremamente aperto agli influssi della
cultura greca e romana, grazie alla posizione strategica e ai numerosi
scambi operati con popoli commercianti, come ad esempio i fenici.
Di
certo la narrazione filotroiana fu un 'topos molto importante nella
posizione diplomatica di Segesta, il mito, ampiamente sviluppato e
consolidato con elementi artistico - architettonico oggi conservati
nell'antiquarium, fu spesso motivo di alleanze strategiche che innalzarono
l'immagine della città, come ad esempio avvenne con il popolo romano che in
nome delle comuni origini troiane diede a Segesta un trattamento
privilegiato, esentandola dal pagamento dei tributi e rivolgendosi alla città
siciliana come a un'alleata e quasi mai come a un territorio dominato.

Fin
dalla loro fondazione, Segesta e Selinunte furono
in guerra fra loro per motivi di confine. Il primo scontro (l'episodio di Pentatlo
di Cnido) avvenne nel 580
a.C. e Segesta ne uscì vittoriosa. Nel 415
a.C. Segesta chiese aiuto ad Atene perché
intervenisse contro l'intraprendenza selinuntina supportata dai sicelioti di Siracusa.
Gli ateniesi presero come pretesto la richiesta di Segesta e decisero una
grande spedizione
in Sicilia, assediarono Siracusa ma ne risultarono disastrosamente
sconfitti. Gli scontri si conclusero nel 409
a.C., quando Selinunte fu assediata e distrutta dai cartaginesi,
invocati anche questa volta dai segestani.
Nel 307
a.C. molti segestani furono uccisi o venduti come schiavi dal
tiranno siracusano Agàtocle,
autoincoronatosi Re di Sicilia, per non aver a lui fornito i richiesti aiuti
economici. Agàtocle, dopo la feroce repressione, cambiò il nome della città
in Diceopoli (città giusta).
Nel 276
a.C. la città si consegnò alla potente armata di Pirro,
diventato re di Sicilia dopo la morte di Agatocle, ritornando sotto
l'influenza punica alla dipartita dell'epirota.
Nella
prima guerra punica, nel 260
a.C. si alleò a Roma che ne ebbe grande rispetto perché,
secondo la tradizione, entrambe le città avevano origini comuni
(discendendo tutt'e due dai fuggiaschi di Troia).
I romani la difesero dal tentativo di riconquista cartaginese. Le fu,
quindi, garantito lo stato di città libera, con esenzione dalle imposizioni
di tributi, al contrario delle altre città siciliane (civitas libera ac
immunis).
Fu
nel 104 a.C. che
da Segesta iniziarono le rivolte degli schiavi in Sicilia, le cosiddette guerre
servili, guidate da Atenione.
Queste rivolte furono soffocate nel sangue dai Romani nel 99
a.C.
Segesta
fu distrutta dai Vandali nel V
secolo, e mai più ricostruita nelle dimensioni del periodo
precedente.
Ciò
nonostante, vi rimase un piccolo insediamento e, dopo la dissoluzione dell'Emirato
di Sicilia e la nascita del Regno
di Sicilia nel XII secolo, vi venne costruito un castello.
Questo, ampliato durante la Dinastia
sveva, fu il centro di un borgo medievale. Se ne perse poi quasi il
nome fino al 1574,
quando lo storico domenicano Tommaso
Fazello, artefice dell'identificazione di diverse città antiche
della Sicilia, ne localizzò il sito.
Il
20 aprile 1787 giunge
a Segesta Goethe il
quale si sofferma nelle sue descrizioni del Viaggio
in Italia sulla struttura del tempio e ci informa che nel 1781 venne
eseguito un restauro.
Il
sito archeologico
Le
indagini per capire quale fosse la struttura della città sono ancora in
corso, così come gli scavi non sono ancora terminati, ma in continuo stato
di avanzamento. Ciò nonostante le ricerche archeologiche svolte finora
hanno decretato che Segesta era in origine costituita da due acropoli
separate da una sella. Il centro abitato non era munito di mura in quanto
era difeso da due ripide pareti rocciose, a eccezione del lato sud est dove
era invece presente una cinta muraria con porte monumentali, rinforzata da
una seconda linea di mura a una quota superiore nella prima età
imperiale.
Oltre
le cinta murarie vi erano le antiche vie di accesso al centro abitato, sulle
quali si ritrovano due luoghi sacri: il tempio di ordine dorico (430-420
a.C.) e il santuario di Contrada Mango (VI-V sec. a.C). Recenti scavi hanno
riportato alla luce anche una necropoli ellenistica, e gli studi più
attuali fanno presumere che ci siano altre aree di interesse tra cui anche
alcune probabili abitazioni. Recentemente è stata scoperta un'area che
doveva essere dedicata ai giovani che abitavano la città, o almeno questo
si presume dall'incisione ritrovata al centro dello spiazzo.
L'area
archeologica di Segesta, divenuta nel 2013 parco
archeologico, comprende diversi siti.
L'area, dagli anni novanta, è stata enormemente rivalutata grazie a
numerose scoperte che hanno riguardato le rovine dell'antica città elima:
-
il tempio
dorico
-
il teatro
-
santuario di contrada Mango
-
agorà e casa del navarca (epoca greco-romana).
-
area medievale (mura di cinta, castello annesso al teatro, due chiese di
epoca normanna, il quartiere medievale e la moschea).
Porta
di Valle e Mura
Naturalmente
difesa dagli scoscendimenti di M. Barbaro, la città fu fortificata con mura
sul lato occidentale con due circuiti murari di epoche diverse. La cinta
d'età classica, più in basso, è costituita da conci calcarei di medie
dimensioni, con torri e porte monumentali, come Porta Teatro, Porta delle
Case Barbaro, Porta Stazzo e Porta di Valle. Quest'ultima era la più
importante, costruita tra i secoli VI e V a chiudere come una diga la
depressione entro cui si incuneava la principale via di accesso alla città.
Gli
scavi hanno rivelato la sedimentazione di interventi successivi.
Inizialmente nella cortina muraria si apriva un varco centrale largo m. 6,6;
in seguito l'ingresso fu ristretto e protetto da due torri laterali.
Tra
la fine del IV e gli inizi del III secolo la porta venne chiusa e gli
ambienti furono destinati a ospitare macchine belliche (vi si sono rinvenute
circa 120 palle in pietra per catapulte). Vennero scavate delle trincee sul
davanti e creati dei passaggi per sortite a sorpresa verso l'esterno.
Trasferito
intanto il principale accesso nella vicina Porta Stazzo, tali difese furono
progressivamente abbandonate e gli ambienti variamente utilizzati, anche per
scopi produttivi (frantoio).
Nella
prima età imperiale si costruì con materiali di reimpiego una seconda
linea, ad un livello superiore, con 12 torri poste a intervalli regolari e
camminamento di ronda a 6 m di altezza dall'imposta. Gli ingressi si
ridussero a due, Porta Teatro e Porta Bastione, quest'ultima difesa da una
torre costruita con grandi conci a struttura isodoma.
Agorà
e abitato dell'Acropoli
L’agorà
era uno spazio imponente su grandi terrazze scenografiche, circondato su tre
lati da portici (stoai) intorno a cui si concentrarono edifici
amministrativi (come il bouleuterion), di culto e monumenti onorari di culto
e monumenti onorari, costruiti con enormi impegni finanziari ad opera di
‘nuovi’ evergeti (curatori che, secondo le proprie funzioni pubbliche o
sacerdotali, finanziavano le opere a loro spese).
Percorrendo
una strada in salita che proveniva dai quartieri residenziali della
cosiddetta «Acropoli Sud» (dove si trova la cosiddetta Casa del Navarca
– vedi post precedente), si arriva al mercato (macellum), che si affaccia
su una piazza lastricata, di forma triangolare; la strada proseguiva
attraverso una via coperta (via tecta) all’interno dell’edificio con
criptoportico. (Nella foto, una struttura simile a Tivoli, nel Santuario di
Ercole vincitore).
Nella
ricostruzione 3D è evidente la fisionomia dell’agorà, circondata su tre
lati da un edificio a due piani, che si articolava in un criptoportico
interno e in un portico a pilastri quadrangolari prospiciente la piazza.
L’ala si articolava in alzato, addossandosi con un possente muro di fondo
al banco roccioso tagliato in verticale e spianato nella parte superiore per
costituire la rampa che dal criptoportico conduceva in direzione del teatro.
All’interno, lo spazio di oltre m 11 di profondità era scandito in due
navate da grandi colonne doriche ottagonali intonacate. Verso la piazza,
pavimentata con lastre di calcare (metá I secolo a.C.) e munita di
canalette e tombini per lo scolo delle acque, si aprivano esedre, basamenti
e podi per statue onorarie, sacelli e altri piccoli monumenti.
L’iscrizione
monumentale degli evergeti Onasus e Sopolis ci rende noto che i due
personaggi avevano finanziato la pavimentazione del foro. Il notabile di
Segesta Onasus è ben noto dalle Verrine di Cicerone. Egli pagò il riscatto
del cadavere di un altro segestano eminente, Heraclius il navarca fatto
giustiziare da Verre, e poi testimoniò al processo contro lo stesso
propretore nell’estate dell’anno 70 a.C. Cicerone lo definisce homo
nobilis, homo nobilissimus. Lui stesso (o altri membri omonimi della
famiglia) era proprietario di forni per la produzione di laterizi nella zona
di Parthenicum.
Un’altra
importante iscrizione a Segesta si trova collocata in posizione centrale a
ridosso dello stilobate del portico d’ingresso al bouleuterion e ricorda i
nomi di Asklapos, capo dei lavori di costruzione, e dell’architetto
Bibakos.
C’erano
grandi ricchezze nel territorio segestano. “Diocles, Panhormitanus, Phimes
cognomine, homo inlustris ac nobilis” era un ricco personaggio (vittima di
Verre, come racconta Cicerone) con una grande azienda agricola nel
territorio di Segesta; un terreno di una superficie enorme, intorno a 500
ettari (2042 iugeri), da lui affittato (conductum) verosimilmente perché di
proprietà sacra (del tempio, cui era tenuto a pagare annualmente ingenti
tasse). Si tratta in questo caso verosimilmente di una azienda
caratterizzata dalla cerealicoltura, che necessitava di normali competenze
‘contadine’ degli agricoltori di condizione libera presenti in zona e
della forza lavoro naturale degli schiavi comuni.
Abitato
Rupestre - Scavi
recenti hanno rivelato che le abitazioni più antiche della città (almeno
dalla fine del VI secolo a.C.) erano realizzate lungo i pendii del monte,
praticando tagli regolari nel banco roccioso e innalzando alcuni tratti in
muratura solo dove la roccia tagliata non raggiungeva l'altezza desiderata.
Questa che
si presenta restaurata esemplifica bene il tipo di casa rupestre: si tratta
di due grandi ambienti separati da un tramezzo (anch'esso tagliato
nella roccia), in cui pareti e pavimento sono di pietra accuratamente
lavorata.
Nel vano anteriore è ancora
visibile un silo per la conservazione degli alimenti, mentre una cisterna in quello posteriore è coperta da una successiva
trasformazione della casa; alcuni buchi nel piano di roccia indicano la
presenza di pali di legno per la copertura.
Questa
prima fase è databile, per analogia con altre case scavate in diversi punti
di Segesta, alla fine del VI secolo a.C. (Fase I). Dopo una
occupazione, scarsamente documentata, nel II
secolo a.C., una radicale trasformazione si
ebbe in epoca augustea: nel vano posteriore venne ricavato un altro piccolo
ambiente ed al muro di fondo vennero addossati un forno e due altari per i
culti domestici; le pareti vennero intonacate e la roccia pavimentata con
cocciopesto.
L'aspetto
della casa, a giudicare dalle cornici di stucco che si sono rinvenute e
dalla cura dell'allestimento interno, doveva essere signorile; non si
esclude la presenza di un secondo piano (Fase II). Un incendio causò
l'abbandono nel I secolo d.C. e la sua trasformazione in discarica
di rifiuti. In età sveva (fine XII-XIII secolo), infine,
il passaggio tra le due stanze venne chiuso e l'ambiente anteriore
venne rioccupato da un nucleo di abitazioni monofamiliari, ciascuna dotata
di un focolare (Fase III).
Chiesa
di San Leone
La
piccola Chiesa a navata unica originariamente coperta da una volta a botte,
venne fatta costruire nel 1442 da cittadini di Calatafimi, in una zona ormai
disabitata del Monte Barbaro; si trattava probabilmente di una cappella
rurale (m 13x6,3),
frequentata da pastori, dedicata a San Leone.
Non
più utilizzata già alla fine del XVI sec., cadde in rovina all'inizio
dell'Ottocento. Scavi recenti hanno rilevato che la
cappella fu costruita sulle rovine di una
Chiesa precedente di dimensioni maggiori, la cui pianta basilicale a tre
navate terminanti in absidi trova confronti con altre chiese di epoca
normanna e normanno - sveva, databile alla fine del XII – inizi del XIII
secolo.
Questa
Chiesa apparteneva all'abitato medievale che ormai è
attestato in tutta l'area dell'antica Segesta e che
aveva la sua roccaforte nel castello posto sulla sommità del Monte Barbaro
(alle spalle del teatro e della chiesa). All'esterno della Chiesa si trova
un cimitero di semplici tombe scavate nel terreno, rivestite e coperte di
lastre di pietra.
Il
cimitero si sovrappone, almeno in parte, ad una serie di ambienti
(probabilmente abitazioni) di una fase precedente, databile
al XII sec. e correlabile per tipologie tecniche edilizie
alle costruzioni di tipo musulmano ritrovate sulle sommità del
Castello e a Nord dell'agorà. A sua volta l'impianto
medievale è sovrapposto ai resti della città
antica, che doveva costituire un'esauribile cava di costruzione.
Si
possono riconoscere alcuni ambienti di un edificio di età ellenistica (fine
II – inizi I sec. a.C.) di cui non è nota la destinazione né la pianta completa: l'edificio
era originariamente pavimentato con mosaici che sono stati riutilizzati anche come pavimento
delle due chiese posteriori. Alla fase più antica appartengono anche numerose cisterne per la raccolta dell'acqua piovana, scavate
nel banco roccioso della montagna.
Teatro
Sullo
scorcio del III sec. a. C., gli abitanti di Segesta costruirono il loro
teatro sulla cima più alta del Monte Barbaro, in un sito, alle spalle
dell'agorà, che era già sede di un luogo di culto molti secoli prima.
Orientato
a nord, verso il Golfo di Castellammare, il teatro di Segesta sfrutta come
scenografia lo splendido panorama del mare e delle colline a perdita
d'occhio.
Il
Teatro fu costruito alla fine del III sec. a.C. secondo i dettami
dell'architettura greco-ellenistica, con blocchi di calcare locale. Si
discosta dalla struttura tipica dei teatri greci perché la cavea non poggia
direttamente sulla roccia ma è stata appositamente costruita ed è sorretta
da muri di contenimento. Consta di due ingressi, leggermente sfalsati
rispetto all'asse principale dell'edificio ed è in grado di contenere circa
5000 persone.
La
cavea è il luogo dove sedevano e siedono tuttora gli spettatori. Quella del
teatro di Segesta ha un diametro di 63 m ed è divisa in due da un corridoio
centrale, il diazoma. Ne derivano due sezioni: una più in basso e una più
in alto. La prima conta 21 file di posti divise da 6 scalette in 7 piccoli
cunei di dimensioni variabili, i kerkides. La seconda era fornita invece di
sedili con schienale. Delle gradinate della summa cavea rimangono però solo
poche tracce.
Recenti
ricerche hanno mostrato l'esistenza anche di un settore di gradinata più in
alto, tra i due ingressi, parzialmente riutilizzato nella necropoli
musulmana (prima metà del XII secolo).
Ad
ovest il Teatro è costeggiato da una strada lastricata che arriva fino ad
una grotta naturale, in cui si trova una sorgente sacra. Usata durante l'età
del bronzo, fu poi inglobata nel muro di sostegno della cavea.
L'orchestra,
di forma semicircolare, è il luogo dove si muove il coro. A Segesta ha un
diametro di 18,4 m. L'ingresso è consentito attraverso due aperture, i
parodoi, poste ai lati del semicerchio, ortogonalmente rispetto all'asse
centrale. Come nel teatro di Siracusa, quello di Segesta è munito di
corridoi sotterranei che venivano usati per il passaggio degli attori.
Della
scena purtroppo non rimane molto: pochi filari di blocchi sono ciò che
possiamo ancora vedere di un edificio di due piani in stile dorico e ionico.
Due corpi laterali avanzati sono decorati con satiri in altorilievo.
Ogni
estate, è possibile rivivere la magia antica del teatro di Segesta grazie
alle rappresentazioni che vi vengono svolte. Sul palco si alternano attori
affermati ed emergenti, rappresentazioni classiche e moderne, drammi
antichi, spettacoli di danza, lirica, operette e musical intercalati da
spettacoli di varia natura.
Moschea
e Castello
Sulla
strada verso il teatro, sullo stesso pianoro della Chiesa di San Leone, si
trovano i resti di una moschea, l’unica nota finora in Sicilia.
In origine era divisa in due navate, parallele al muro della qibla (che
indica la direzione della preghiera, verso la Mecca).
Proprio
al centro di questo muro, per segnalarne la peculiarità, si apre la nicchia
del mihrab, elemento presente in tutte le moschee antiche e moderne.
Date
le piccole dimensioni della costruzione (m 20x11), è plausibile che si
tratti di una moschea congregazionale o ‘moschea del venerdì’, dal
giorno fissato di riunione di tutti i maschi adulti della comunità per la
preghiera solenne.
La
Moschea di Segesta si può datare con sicurezza al XII secolo (nel pieno
della dominazione normanna) e fu certamente costruita dalla comunità
musulmana che si stabilì sulla cima del Monte Barbaro in quell’epoca. A
questa stessa comunità si possono anche attribuire alcune abitazioni ed il
cimitero di rito musulmano rinvenuto dietro la cavea del teatro.
La
Moschea fu distrutta dopo appena un secolo di vita, agli inizi del XIII
secolo, in seguito all’arrivo di un signore cristiano che costruì il
vicino Castello.
Dell'edificio
è visibile il primo livello, con oblunghi ambienti destinati a stalle,
cucina, legnaia, magazzini, ed alcuni usati come sale di rappresentanza. Da
notare i grandi blocchi della soglia, gli stipiti delle porte, le tracce di
intonaco.
Sicuramente
il palazzo presentava un piano nobile con gli appartamenti del Signore,
raggiungendo un'altezza di 8/10 metri e assumendo così un aspetto forte e
massiccio.
Circonda
tutta l'area una serie continua di abitazioni che si impostano su edifici
che vanno dall'età tardoimperiale a quella bizantina e araba, rinforzate in
modo da rappresentare una cintura difensiva.
Sul
lato settentrionale è reimpiegata un'ampia cisterna di età romana.
Dopo
l’iniziale fase arcaica e la splendida fase ellenistico-romana, a Segesta
è attestato un importante periodo durante l’età medievale: la città in
quel periodo aveva la sua roccaforte nel Castello, posto sulla sommità del
Monte Barbaro, oggi fra il teatro di età ellenistica e la chiesa
quattrocentesca.
Il
Castello, o per meglio dire, la dimora del signore che agli inizi del XIII
sec. si stabilì sulla cima del Monte Barbaro, era organizzato intorno ad un
cortile centrale pavimentato in mattoni.
Della
costruzione originaria rimane solo il piano terra, ma era certamente dotata
di un piano superiore che costituiva la parte propriamente residenziale
della famiglia del signore. L’altezza complessiva della costruzione doveva
aggirarsi intorno agli 8-10 metri.
Al piano
terra, il buono stato delle strutture e degli strati archeologici ha
permesso di ipotizzare le possibili funzioni dei diversi ambienti.
Nell’estremità sud-orientale era posizionata la latrina, con adiacente un
vano scale di collegamento con il piano superiore. Nell’estremità
nord-orientale si trovava una legnaia. Nell’ambiente più settentrionale
è stato trovato un deposito con numerose anfore vinarie. Le due stanze a
Sud. dotate di pavimenti in cocciopesto ed intonacate, avevano probabilmente
funzioni di rappresentanza. Sulla fronte dovevano trovarsi le cucine ed un
altro deposito.
La vita
della dimora signorile si svolse tutta nel corso del 1200: sorta agli inizi
del secolo, venne ristrutturata nel secondo quarto, poi abbandonata intorno
alla metà del secolo. La sua rovina si protrasse per molto tempo e fu
comunque molto graduale, non escludendo anche le funzioni di rustico
ricovero. Prima dell’ inizio degli scavi (1989-1995), era totalmente
ricoperta di terra, sassi e vegetazione che ne nascondevano l’effettiva
consistenza.
Tempio
«È
di stile dorico. Possiede trentasei colonne, contando anche quelle degli
angoli, e cinque per l'atrio anteriore e altrettante per quello posteriore.
Le colonne sono appoggiate a due basi che hanno due palmi napoletani di
altezza e otto di larghezza. Ogni colonna ha venticinque palmi di
circonferenza; essa si rastrema in maniera diversa da quella di Paestum, di
Girgenti e di Selinunte, aggiungendosi al capitello per mezzo di un
intaglio. Non ha canoni come quelle di Girgenti e di Paestum, cosicché si
potrebbe convenire sulla base di questo genere di costruzione, che il Tempio
di Segesta è strutturalmente posteriore agli altri.» (Johann
Hermann von Riedesel, Viaggio per la Sicilia e la Magna Grecia,
1771)
«La
posizione del tempio è sorprendente: al sommo d'una vallata larga e lunga,
in vetta a un colle isolato e tuttavia circondato da dirupi, esso domina una
vasta prospettiva di terre.» (Johann
Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia)
Il
tempio, a volte denominato "Tempio Grande", è stato costruito
durante l'ultimo trentennio del V secolo a.C., sulla cima di una
collina a ovest della città, fuori dalle sue mura. Si tratta di un grande
tempio periptero esastilo (ossia con sei colonne sul lato più
corto, non scanalate). Sul lato lungo presenta invece quattordici colonne
(in totale 36 quindi, alte 10 metri). L'attuale stato di conservazione
presenta l'intero colonnato della peristasi completo di tutta la trabeazione.
Nonostante gli elementi costruttivi e le proporzioni della costruzione si
riferiscano con chiarezza al periodo classico dell'architettura
greca, il tempio presenta aspetti peculiari sui quali la storiografia non
esprime pareri unanimi.
Il
primo elemento di dibattito è costituito proprio dalla sua natura di
espressione artistica pienamente ellenica, aggiornata alle maggiori
espressioni dell'arte della madrepatria ed in particolare dell'Attica, ma
realizzata in una città degli Elimi, una popolazione di origine
incerta, ma stanziata in Sicilia molto prima dell'arrivo dei coloni
greci nella vicina Selinunte, con la quale Segesta fu perennemente
in conflitto. Gli storici ipotizzano che, grazie agli scambi commerciali, la
città elima abbia raggiunto nel corso del V secolo a.C. un alto grado di
ellenizzazione, tale da poter consapevolmente importare un sofisticato
modello artistico come il tempio dorico periptero che grazie alla
canonizzazione di dimensioni e proporzioni si prestava ad una larga
diffusione. Inoltre è probabile che il progettista e le maestranze
impiegate fossero greche, provenienti da una delle vicine città.
Il
secondo aspetto che ha sempre colpito molto gli storici è l'assenza di
vestigia della cella all'interno del colonnato, che invece è
uno dei meglio conservati del mondo greco. Questo ha fatto pensare ad un tempio ipetro cioè
ad un luogo sacro privo di copertura e di cella e legato a riti indigeni. In
alternativa si è pensato ad una cella interamente a struttura lignea, come
tutta la copertura, e quindi andata persa.

Negli anni
'80 sono state trovate tracce della fondazione della cella, interrate
all'interno del tempio, insieme a tracce di costruzioni precedenti (il che
farebbe pensare che il tempio fosse stato costruito su un luogo sacro ancora
più antico). Queste caratteristiche hanno fatto nascere l'ipotesi, tra
le altre, che il tempio non sia mai stato terminato, a causa probabilmente
di avvenimenti bellici che coinvolsero a lungo la città e che la cella e la
copertura non siano mai state realizzate. Tale ipotesi è avvalorata
secondo alcuni anche dalla mancanza di scanalature delle
colonne e dalla presenza, soprattutto sui blocchi del crepidoma,
di "bugne" cioè di protuberanze destinate a proteggere il blocco
durante la messa in opera che sarebbero state scalpellate via in fase di
rifinitura. Altri le interpretano come caratteristiche connesse alla matrice
culturale indigena elima e quindi non greca.
Secondo
l’ipotesi del tempio incompleto, questo avrebbe quindi dovuto avere
un'ampia cella preceduta da un pronao distilo in
antis ed un simmetrico opistodomo sul retro. Il colonnato,
con interassi uguali su tutti i lati, presenta la canonica doppia
contrazione degli intercolumni terminali
per risolvere il conflitto
angolare oltre ad altri tipici accorgimenti ottici come la
curvatura delle linee orizzontali e alla concezione decorativa del fregio che
perde, almeno in parte la sua dipendenza dal colonnato. Tali caratteristiche
mostrano una derivazione dai modelli evolutivi attici della fine del V
secolo a.C. ed in particolare dal tempio degli Ateniesi a Delo,
ai quali rimandano anche gli elementi decorativi. Gli unici aspetti
riferibili ancora allo stile severo sono le proporzioni allungate con 6x14
colonne in luogo delle canoniche 6x13 (doppio quadrato), e le grandi
dimensioni in un'epoca in cui i templi divenivano più piccoli.
Nel XVIII
secolo il tempio fu oggetto di un primo restauro da parte del regio
architetto Carlo Chenchi. Fu visitato da Goethe e
divenne una delle mete del Grand
Tour e una della cause della riscoperta dell'architettura greca
e del dorico che fu alle radici del neoclassicismo.
Nell'aprile del 2020 è stata annunciata dalla direttrice del Parco
Archeologico di Segesta l'esistenza presso la Biblioteca comunale di Calatafimi di
un'epigrafe dedicatoria ritrovata nei pressi del tempio che fa propendere
per la dedica del tempio ad Afrodite Urania.
Presso la
Biblioteca Comunale di Calatafimi è oggi conservata una base rettangolare
in calcarenite, lunga 75 centimetri e alta 21, che reca incisa una
iscrizione in greco, conservatasi per intero, databile al II secolo a.C.:
“Diodoro, figlio di Tittelo, Appeiraios (ha dedicato la statua di) sua
sorella Minyra, (moglie) di Artemon, che è stata sacerdotessa, ad Afrodite
Urania”. L’epigrafe proviene dalle vicinanze del tempio di Segesta e ne
indica la divinità venerata. Già conosciuta nel Seicento l’epigrafe subì
vari spostamenti, fino a essere murata nella casa del canonico Francesco
Avila, come già noto (da Marrone) nel 1827. Si tratta di una epigrafe,
perfettamente “compatibile” con un contesto di un santuario, di
carattere onorario in forma di dedica alla divinità, utilizzata come base
di statua di sacerdotessa eretta da parenti o amici: d'altronde i nomi di
Diodoro e Tittelo sono attestati comunemente a Segesta. Minura era quindi
sacerdotessa di Afrodite Urania a Segesta.
Santuario
di Contrada Mango
Il
Santuario di contrada Mango è raggiunto da un magnifico sentiero (1 km) che
taglia il fianco Sud-Est del monte, lungo la rocciosa gola del torrente
Pispina, ricoperta da macchia mediterranea (olivastro, palma nana, asfodelo,
finocchio selvatico, ferula, calendula, ruta).
Il
santuario fuori le mura doveva essere stato realizzato nel VI sec.
a.C.
Non
sappiamo se la logica che guidò i Segestani a costruire il santuario in
questione fosse stata la stessa che spingeva i Greci a costruire estese aree
sacre al di fuori delle mura.
Il
santuario è di proporzioni notevoli. Un muro di temenos racchiude una vasta
area entro la quale dovevano esistere più edifici indiziati da numerosi
elementi architettonici quali capitelli, colonne etc. Purtroppo lo scavo che
lo ha messo in luce non è che agli inizi sicchè è prematura qualsiasi
considerazione comparativa. Non sappiamo nulla sulla destinazione cultuale
del santuario.
L'area
sacra messa in luce nel 1967 è delimitata da un grande peribolo a struttura
isodoma (m 83,4x47,8) che in alcuni tratti raggiunge una considerevole
altezza (fino a otto assise), costituito da enormi conci di calcare
leggermente bugnati nella parete esterna.
I
resti sparsi di rocchi, triglifi, capitelli dorici e blocchi di fondazione,
attestano la presenza in origine di uno o più edifici sacri di tipo arcaico
risalenti ai secoli Vl-V a.C.
Tra
i reperti di notevole importanza archeologica vi è il ritrovamento di una
lastra di pietra che reca inciso un portale rastremato verso l’alto, con
architrave a “gola egizia”: un chiaro riferimento di decorazione
orientale che conferma la posizione tucididea circa le origini da regioni
medio-orientali degli Elimi.
Agosto
2018
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