Marsala
(Trapani)

 

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Marsala sorge su capo Boeo e si affaccia davanti Favignana, con le altre Isole Egadi poco più distanti. Vanta un territorio molto vasto, su cui insistono due grandi litorali marini geograficamente opposti. Il litorale nord, che parte dagli Hangar Nervi e racchiude la laguna delle Isole dello Stagnone terminando a Birgi, e il litorale sud, di formazione sabbiosa dove nell'immediato entroterra scorre il fiume Sossio all'interno dell'area urbana di Strasatti.  

Nel 397 a.C. la colonia fenicia di Mozia, fiorita 8 secoli prima di Cristo sull'isola di Mozia fu invasa e distrutta dal tiranno di Siracusa Dionisio I. I superstiti si rifugiarono sulla costa siciliana e potenziarono l'insediamento costiero a cui diedero prima il nome di Lebum che in fenicio vuol dire "verso l'Africa" e poi il nome di Lilibeo, ossia "la città che guarda la Libia", perché, appunto, Lybia veniva chiamata allora tutta la costa settentrionale dell'Africa. Alcune credenze popolari locali molto antiche, collegano il nome di Lilibeo ad una Principessa, figlia di un sovrano di Mozia.

Lylibeo passò in mano ai romani nel 241 a.C. per divenire uno dei centri più importanti del Mediterraneo: nucleo di scambi e commerci, sede del pretore e del questore, fu arricchita di ville ed edifici pubblici, tanto da meritarsi l'appellativo di splendidissima urbs datole da Cicerone, questore tra il 76 e il 75 a.C. che durante il suo operato a Lilybeo, riuscì a cacciare il viceré Verre che aveva portato allo stremo la Sicilia e i siciliani stessi. Durante la guerra con i Romani, passarono alla storia diversi assedi e battaglie, passate alla storia con il nome di "Assedio di Lilibeo".  

Devastata dai Vandali all'inizio del V secolo d.C., fu annessa nel VI all'impero di Giustiniano e visse secoli bui, segnati dal disinteresse di Bisanzio e dalle incursioni dei pirati. L'arrivo nell'VIII secolo degli arabo-berberi sotto il contiguo monte Granitola segnò anche la ripresa dei traffici commerciali e l'inizio della rinascita della città, che fu chiamata Mars-Alì cioè "Porto grande" data la grandezza dell'antico porto, sito presso Punta d'Alga, per poi essere chiamata Mars-Allah, cioè "porto di Allah" ovvero "porto di Dio" anche se si tratta di un errore di traduzione poiché gli arabi non avrebbero mai nominato il nome di Allah invano, donde poi il nome attuale. La crescita economica e demografica portò ad un importante sviluppo urbanistico, improntato al modello arabo. A partire dalla fine dell'XI secolo si susseguirono le dominazioni normanna, sveva, angioina e aragonese.

Da questo momento bisogna aspettare due secoli per avere un'altra svolta nella storia della città. Alla fine del Settecento l'inglese John Woodhouse ritenne di qualità eccellente il vino prodotto dai contadini locali, definito in perpetuum, visto l'uso di rabboccare le botti in via di svuotamento con vino nuovo, così da mantenerne inalterati i livelli. Caratterizzato da una naturale alta gradazione alcolica, il vino marsalese non era però adatto al trasporto e, per ovviare al problema, Woodhouse sperimentò con successo l'aggiunta di alcol di buona gradazione garantendone in questo modo la stabilità e creando il marsala. Si deve ai Woodhouse l'esplosione dell'economia marsalese e la messa in opera con propri fondi di numerose opere infrastrutturali, tra cui l'attuale porto.  

A seguito della nascita del Regno delle Due Sicilie, con una legge varata l'11 ottobre 1817, re Ferdinando I la inserisce nella Provincia di Trapani.

L'11 maggio 1860 avvenne lo sbarco di Giuseppe Garibaldi con i suoi Mille che da qui iniziò l'unificazione d'Italia. A seguito della nuova riorganizzazione in province del regno, verrà reinserita nella nuova Provincia di Trapani.

L'11 maggio 1943 un bombardamento alleato sul centro abitato causò numerose vittime tra i civili e sfregiò perennemente il centro storico barocco della città. L'edizione del 13 maggio 1943 del New York Times riportò l'avvenimento con il titolo "Marsala Wiped Off the Map" (Marsala cancellata dalle mappe).

Duomo di San Tommaso di Canterbury 

La storia della Chiesa Madre di Marsala inizia in epoca normanna. Sappiamo da Al Idris, geografo arabo al servizio di re Ruggero, che "Marsala, un tempo distrutta e abbandonata, fu cinta di mura tanto che essa si ripopolò e si munì di mercati e di botteghe". Ben più importante dal punto di vista commerciale è la città di Mazara, definita dallo stesso Idris, "splendida ed eccelsa", tant’è che nel 1093 Mazara, e non Marsala, fu eletta sede della diocesi.

A quel tempo la basilica paleocristiana della fiorente comunità lilibetana doveva essere in rovina, come gran parte della città, a causa delle scorrerie arabe. E’ assai probabile che questo primo edificio di culto sorgesse sullo stesso sito del successivo duomo normanno, come attesterebbe il rinvenimento, durante i lavori di ricostruzione seguiti al crollo della cupola del 1893, di alcune strutture di un edificio ad una navata e di tracce di mosaici sotto le fondazioni della zona presbiteriale, e come confermerebbe l’uso dei Normanni di ricostruire chiese e conventi non mutandone l’antica ubicazione.

Secondo la tradizione, il duomo normanno fu eretto intorno al 1176, epoca in cui reggeva la diocesi della Val di Mazara il marsalese Tutino che, per compensare i propri cittadini della perdita della sede vescovile, elevò la Chiesa di Marsala alla dignità di arcipretura. Esso sorgeva con le fronte principale sulla Piazza Maggio, dove oggi è la porta laterale, e si sviluppava in senso ortogonale alla chiesa attuale per 25 metri, occupando più della metà dell’attuale via Garibaldi. Sembra che la pianta fosse a tre navate absidate con cappelle laterali, preceduta da un portico a colonne e da un campanile.

La cattedrale fu dedicata al santo inglese Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury, canonizzato appena qualche anno prima. Questi godette di una grande fama durante tutto il Medioevo e la sua tomba divenne presto meta di pellegrinaggi mentre, divenuto simbolo di libertà e dignità umana oltre che di fedeltà a Cristo, egli veniva rappresentato con grande ricchezza iconografica, soprattutto per l’episodio del martirio. Anche nella Chiesa Madre di Marsala, ricostruita intorno alla metà del XVII secolo, troverà posto nell’abside una tela raffigurante l’uccisione del Santo.

La vita di Tommaso Becket – è stato scritto – non si comprende se non alla fine, prendendo luce dal martirio a causa della libertà della Chiesa per il quale fu venerato come Santo. "Gran segreto è la vita, e nol comprende che l’ora estrema" si potrebbe dire di questa singolare figura, come dell’Adelchi manzoniano.

Dopo una brillante carriera politica culminata nella carica di cancelliere d’Inghilterra, che detenne per sette anni, stringendo amicizia con il re Enrico II ed appoggiandone gli interessi contro quelli della Chiesa, venne eletto arcivescovo di Canterbury. Com’è stato sottolineato dai suoi contemporanei, con l’elezione episcopale avvenne in lui un repentino mutamento, segnato da un’austera condotta di vita ma non da una profonda conversione. Ostinato ed orgoglioso, si oppose fermamente al re che rivendicava alle corti secolari il diritto di giudicare gli ecclesiastici, e rigettò le Costituzioni di Clarendon che codificavano dei diritti regali, divenuti consuetudinari durante i regni precedenti. Dopo una lunga lotta tra il potere regale e quello ecclesiastico, l’arcivescovo veniva costretto all’esilio e si rifugiava in Francia. Ritornato nella propria diocesi dopo sette anni, si rese presto conto che la riconciliazione con il re era solo apparente. Nuovamente ne provocava le ire scomunicando due vescovi, ma quest’ultimo atto gli costò la vita.

Quattro cavalieri della corte di Enrico, convinti di eseguire la volontà del sovrano liberandolo dall’incomodo e turbolento prelato, uccisero l’arcivescovo nella sua cattedrale la sera del 29 dicembre 1170.

Il santo divenne subito assai popolare in Sicilia per gli stretti rapporti tra l’Inghilterra e i dominatori normanni, i quali, proprio sotto i regni dei due Guglielmi, avevano rafforzato l’elemento nordico dell’amministrazione ed inserito dei prelati inglesi tra i più alti ranghi ecclesiastici. Nel 1177 Giovanna Plantageneta, figlia di Enrico II d’Inghilterra, andava in sposa a Guglielmo II e si dedicava alla promozione del culto in Sicilia: infatti poco più tardi la moschea di Catania veniva trasformata in una chiesa dedicata a San Tommaso, mentre lo stesso martire inglese veniva raffigurato nei mosaici del Duomo di Monreale, fondato dal sovrano tra il 1172 e il 1176.

Assai probabilmente, quindi, la consacrazione della Chiesa Madre va collocata tra il 1173, anno della canonizzazione del Santo, e il 1189, fine del regno di Guglielmo II e di Giovanna d’Inghilterra; e si comprende bene che essa non è da intendersi come un fatto straordinario, né è necessario, per giustificarla, ricorrere alla nota tradizione, tramandata dal Pirri, del fortunoso naufragio, sulle spiagge di Marsala, di una nave con un carico di colonne di marmo di Corinto destinate ad una chiesa inglese da dedicare al Santo.

A partire dal regno di Alfonso il Magnanimo, intorno alla metà del XV secolo, Marsala partecipa al clima di rinnovamento culturale proprio dell’Umanesimo e al diffondersi, nell’Isola, del linguaggio artistico rinascimentale, seppure mediato attraverso forme e modi eterogenei, retaggio di civiltà artistiche del passato. E se in campo letterario essa esprime in modo personale il rinato amore per i classici con gli umanisti Tommaso Schifaldo, Priamo Capozio e Vincenzo Colocasio, nel campo delle arti figurative vive di riflesso la cultura dei marmorari settentrionali, attivi a Palermo sin dalla metà del ’400.

Così nonostante le difficili condizioni di vita in cui la cittadinanza versava in quel periodo, sia a causa dei pesanti tributi imposti dal governo spagnolo che delle continue vessazioni degli eserciti di stanza e di passaggio e delle scorrerie dei pirati berbereschi, il duomo normanno, nell’arco di un secolo circa – dal 1497 al 1590 – veniva ampliato ben tre volte. 

E grazie alla munificenza di privati cittadini, appartenenti in genere alla burocrazia militare e civile, come il cavaliere e capitano di giustizia Giulio Alazaro, i nobili Pietro di Anello e Antonio La Liotta, o di confraternite laiche delle maestranze che costituivano il ceto medio in ascesa sociale, la Chiesa Madre si arricchiva delle sculture dei Gagini, Berrettaro, Mancino, Di Battista.

Ma il dono più prezioso si deve al marsalese Mons. Antonio Lombardo, allora arcivescovo di Messina, il quale nel 1589 volle arricchire la chiesa, in cui era stato arciprete, della magnifica serie di otto arazzi fiamminghi raffiguranti episodi della guerra romano-giudaica che oggi sono conservati nei locali del Museo degli Arazzi adiacenti alla Madrice, ma che un tempo ornavano la zona presbiterale.

A maggior gloria propria e della Chiesa di Marsala egli, poi, si faceva raffigurare, orante, nel dipinto La presentazione al tempio commissionato al messinese Antonello Riccio, su copia dell’originale di Girolamo Alibrandi. Questo veniva collocato nella cappella del transetto destro, dedicata alla Madonna, dove lo stesso Lombardo riposa in un sarcofago a vasca di stile michelangiolesco.

In occasione del primo ampliamento, nel 1497, furono costruiti un cappellone e due cappelle laterali, di cui una dedicata al culto del SS. Sacramento e concessa in patronato ai Ministrali, una confraternita laica di fabbri, sarti, calzolai e falegnami. Questi, con un atto notarile del 1511, si impegnavano a provvedere a proprie spese alla messa quotidiana alle quattro del mattino e ad ornare la cappella con un tabernacolo in argento e con una grande icona marmorea, da completare entro il termine di quindici anni, pena la decadenza del patronato.

L’esecuzione di tale pregevole opera scultorea fu affidata in un primo tempo alla bottega palermitana di Bartolomeo Berrettaro e Giuliano Mancino; quindi scioltasi la società tra i due maestri, i procuratori rinnovarono l’impegno con il Berrettaro ed il fratello Antonino. Ma, morto Bartolomeo Berrettaro e trascorsi diversi anni senza che l’impegno assunto fosse condotto a buon fine dal fratello di questi, ci si decise infine ad affidare l’opera al famoso marmoraro Antonello Gagini, che la completò, con la collaborazione del figlio Giandomenico, nel 1532. 

Altri restauri ed ingrandimenti furono eseguiti tra il 1542 ed il 1550, probabilmente per riparare ai danni subiti dal monumento durante la permanenza in città di contingenti spagnoli reduci dalla guerra  contro i Turchi. Sembra che il tetto ligneo della navata centrale sia stato scoperchiato dai soldati nel 1519, come documentava un distico inciso in una trave, letto e trascritto dal Pirri.

La Chiesa cominciava ad apparire inadeguata sia alle esigenze dell’accresciuta popolazione, sia ai dettami del Concilio Tridentino che prevedeva una più razionale sistemazione delle strutture interne affinché fossero ben distinti spazi e ruoli dei fedeli e del clero officiante.

Così, nonostante ancora nel 1590 l’abside venisse prolungata per sistemarvi in fondo il coro e lasciare libera la navata per i fedeli, presto ci si rese conto che era necessaria una soluzione definitiva, più consona alle mutate esigenze dei tempi.

Nel 1607 il Consiglio Comunale, presieduto dal capitano di giustizia Stefano Frisella, deliberava "di riedificare la Chiesa Matrice. Trascorsero tuttavia undici anni prima che avvenisse la  positura  della prima pietra, probabilmente a causa della penuria di fondi comunali, impiegati, in quel volgere di anni, in altre opere pubbliche come l’acquedotto da Rakalia a Sultana e la costruzione della Chiesa della Madonna della Cava. Ma già la Chiesa Madre era ridotta in uno stato di degrado tale da non consentire più di officiarvi il culto, per cui tutte le attività parrocchiali furono trasferite nella Chiesa del Salvatore.

Il problema della riedificazione della chiesa era sentito da tutta la cittadinanza, anche dai ceti più umili, del resto già presenti nel duomo normanno sotto forma di confraternita cui veniva affidata la cura e il decoro di alcune cappelle. Da un verbale del consiglio comunale del 1629 apprendiamo che alcuni cittadini, artigiani ed operai, si obbligarono spontaneamente a versare, per un periodo di dieci anni, un contributo annuo di tre tarì.

Infine nel 1656, in occasione della solennità del Corpus Domini, la Chiesa Madre veniva riaperta al culto, essendo state ultimate la zona absidale ed il transetto con le sue cappelle. Mentre si provvedeva le strutture interne, navate e cappelle, grazie ai contributi comunali venivano acquistati arredi sacri ed opere d’arte: la tela di Leonardo Milazzo raffigurante il martirio di San Tommaso Becket, che veniva collocata in fondo all’abside; l’organo di Andronico; un coro in legno intarsiato; grandi statue in stucco che venivano addossate ai piloni portanti del presbiterio.

Altre pregevoli stucchi, attribuibili probabilmente ai Li Volsi o al Messina, ornarono la cappella del SS. Sacramento, turbando tuttavia, come nota Gioacchino Di Marzo, l’equilibrio compositivo dell’icona gaginesca. I lavori di completamento andarono a rilento a causa della difficile situazione economica in cui versava la città, piagata da carestia ed epidemie, in parte devastata da un terremoto nel 1641 e da due esplosioni della polveriera. Se le strutture principali della facciata furono portate a termine tra il 1670 ed il 1684, come attestano le date incise nelle scale a chiocciola interne al prospetto, e se la presa di possesso capitolare avvenne nel 1692, come tramanda il Mongitore nelle sue Aggiunte alla Sicilia Sacra del Pirri, sappiamo per certo che ancora nel 1709 l’arciprete Carlo Francesco Omodeo lamentava al viceré Carlo Spinola il mancato completamento della volta centrale, delle vetrate e del pavimento.

Soltanto nel 1717, con fondi dell’arciprete Rocco Rubino e oblazioni dei fedeli, la Matrice poteva dirsi completata, almeno all’interno. La volta centrale era stata eseguita su progetto dell’architetto trapanese Giovanni Biagio Amico, mentre il prospetto inferiore, nel suo composito linguaggio architettonico, sembra attribuibile al disegno di Angelo Italia.

Il monumento si inseriva armoniosamente nel contesto architettonico che si andava sviluppando nel cuore della città bastionata tra la fine del XVII ed il XVIII secolo. Esso occupava, con il prospetto principale, tutto il lato lungo della piazza Loggia, così detta dalle attività di mercato e di cambio che pisani e genovesi vi svolgevano in epoca medioevale. Alla sua destra sorgeva il Palazzo dei Giurati – odierno Palazzo VII Aprile – iniziato nel XVI secolo ma completato tra il 1726 ed il 1756; a sinistra la Chiesa di San Giuseppe, risalente, nel suo primo impianto, alla fine del XVII secolo. Alle spalle della zona absidale, nei primi del ‘700, veniva elevata la Chiesa del Purgatorio che, con il suo prospetto a colonne tortili e la prospiciente fontana a volute e conchiglie, amplificava il tono barocco del complesso architettonico.

A tale fioritura di edilizia religiosa controriformista e barocca faceva riscontro un maggiore fervore nelle opere pie e di culto. Il nobile Girolamo La Liotta, alla cui famiglia spettava il patronato della cappella della Madonna del Soccorso, a destra dell’altare maggiore, rimasto vedovo, si dedicò interamente alla Chiesa e pensò di istituire un collegio di dodici sacerdoti che collaborassero con l’Arciprete. Morto nel 1599, come si legge nella pietra tombale murata dinanzi all’altare, donava alla cappella una cospicua rendita annua per l’istituzione della collegiata, che però, dopo varie vicissitudini, veniva eretta soltanto nel 1692 con bolla di Innocenzo XII.

Tra il XVI ed il XVII secolo si costituivano inoltre numerose confraternite, rette da vari ceti e maestranze, alle quali veniva affidata la cura delle cappelle e gli atti di culto che in esse venivano celebrati. Oltre alla più antica "delle quattro maestranze", quella cioè dei sarti, falegnami, fabbri e calzolai, ai quali spettava il patronato della cappella del SS. Sacramento, probabilmente sin dal XV secolo, con la ripresa sociale ed economica seguita alla battaglia  di Lepanto e con il rinnovato clima di fervore religioso ispirato dalla Controriforma, andarono fiorendo altre confraternite.

Le vicende costruttive del monumento non si sono mai arrestate: esso ha continuato a crescere e a mutare nel tempo, quasi come un essere vivente. Sia l’interno che l’esterno hanno subito rifacimenti durante gli ultimi due secoli. Il composito aspetto dell’interno si deve in parte al gusto dell’arciprete Giovanni Morana, il quale, seguendo la moda del tempo, nel 1821 faceva stuccare ed imbiancare cornici, paraste, archi e capitelli che nell’originario impianto barocco erano in pietra arenaria. In occasione di restauri seguiti al crollo della cupola del 1893, piloni ed archi furono rifatti in mattoni, le cornici con pietre a faccia vista. Poi, durante i recenti restauri degli anni ’60, fu riportato a pietra da taglio anche il cornicione interno.

Tra il 1824 ed il 1827 veniva eretta la cupola, secondo il progetto del marsalese P. Russo, la cui esperienza e senso artistico sembra non fossero confortati da solidi studi tecnici. La costruzione della cupola fu infatti intrapresa senza le necessarie opere di consolidamento delle strutture portanti, come documenta un polemico carteggio tra amministratori comunali e autorità ecclesiastiche. Nonostante le difficoltà economiche cui si dovette far fronte, venendo a mancare anche il contributo del Comune, nel 1827 la cupola era completata. Già l’anno seguente, in seguito ad alcune scosse di terremoto, se ne rilevava la fragilità.

A causa delle lesioni alle pareti dell’abside e del crollo di una delle grandi statue in stucco dei Santi evangelisti addossate ai piloni portanti, l’arciprete Biagio Alagna nel 1855 richiedeva la consulenza di alcuni periti. La relazione dell’ingegnere D. Francesco Damiani rilevò la gravità della situazione: i piloni di sostegno della cupola avevano subito un progressivo affondamento a causa del peso eccessivo che sopportavano; uno di essi presentava delle lesioni. Si consigliava quindi di procedere al puntellamento delle strutture e di chiudere la chiesa al culto. Non venne preso alcun provvedimento. E tuttavia si comprendeva bene la gravità della situazione se nel 1892 si richiedeva una nuova perizia all’ingegnere Giuseppe Damiani Almeyda. 

Questi confermava che il peso sostenuto dai piloni portanti era eccessivo e rilevava che le fondazioni della zona absidale erano poco sicure a causa delle particolari condizioni del sottosuolo, pieno di cavità. I restauri proposti nella relazione non vennero eseguiti, probabilmente per mancanza di fondi in un periodo storico che vedeva la confisca dei beni ecclesiastici e la chiusura di istituti religiosi. Il culto venne trasferito nella vicina Chiesa del Collegio dei Gesuiti.

Il 9 febbraio del 1893 crollava la cupola, insieme a tre piloni di sostegno, tre colonne della navata centrale, circa un terzo della copertura. Sotto le macerie si perdevano anche il prezioso organo di Andronico, il coro in noce intagliato, l’altare, il cancello in ferro battuto che chiudeva l’abside.

Mentre a spese dell’amministrazione comunale si provvedeva a puntellare le strutture ancora integre, l’arciprete Pietro Mezzapelle si fece promotore dell’istituzione di un comitato cittadino e di una commissione che avevano l’incarico di promuovere, sorvegliare ed amministrare le opere di restauro. Il progetto e la direzione dei lavori vennero affidati all’ingegnere Damiani Almeyda, con la collaborazione del collega Brigaglia e di Sebastiano Cammareri Scurti. Grazie ad una sottoscrizione cittadina si provvide ad affrontare le prime spese, ma venuti meno alcuni importanti sostegni economici, come quello del Comune, che solo in parte soddisfece gli impegni assunti, e il ricavato della vendita degli arazzi fiamminghi, che fu vietata dal Ministero della P.I., i lavori rimasero fermi per qualche tempo e soltanto per la generosità di alcuni privati si poterono saldare i debiti con la ditta appaltatrice.

Alla fine del 1902 i lavori venivano ripresi sotto la direzione dell’ingegnere Luigi De Grossi, il quale dimostrò competenza tecnica e buon senso e ridusse i lavori di ricostruzione a quelli indispensabili, tanto che la cupola non fu elevata e sui solidi piloni ed archi absidali in mattoni fu posta una provvisoria copertura lignea.

Finalmente il 30 aprile del 1903 la Madrice veniva riaperta al culto.

Altri lavori di restauro furono portati a termine nell’arco di un venticinquennio circa: fu completata la volta della navata centrale, le cappelle attigue all’altare maggiore, furono rifatti il pavimento, il coro, l’organo e l’altare in marmo del presbiterio.
Ma la chiesa non poteva dirsi ancora completata, mancando la cupola ed essendo il prospetto superiore ancora incompiuto, e del tutto inadeguato al decoro sobrio ed armonioso del resto della facciata.

A causa delle vicissitudini belliche, soltanto nel 1947 si riprese il progetto Damiani Almeyda per l’erezione della cupola.
Promotore dell’iniziativa e finanziatore dell’impresa fu monsignor Pasquale Lombardo, un marsalese emigrato negli Stati Uniti ancora in giovane età che aveva sempre tenuto caro nel cuore il ricordo della città natale e il desiderio di dare lustro alla sua Madrice. Al progetto iniziale furono apportate alcune modifiche per garantire maggiore solidità alle strutture, e furono utilizzati materiali resistenti, come il cemento armato, per il tamburo, leggeri, come pomice e cemento, per la doppia calotta della cupola. Allo scopo di ridurre il carico sostenuto dalle strutture furono inoltre aboliti i costoloni.

Nell’estate del ’51 la cupola poteva dirsi completa; fu ornata con un mosaico vetroso che tuttavia saltò, poche ore dopo la positura, per il calore dei raggi solari. Si ricorse allora ad una pitturazione in materiale plastico bituminoso che negli anni ’60 – 61 fu sostituito con l’attuale rivestimento in lamine di piombo, idoneo a proteggere la struttura in cemento armato dalle infiltrazioni piovane.
 
Anche per il restauro del prospetto venne incontro la munificenza di monsignor Lombardo.
 
Secondo il desiderio di questi, il progetto fu affidato all’architetto Pace, residente negli Stati Uniti, mentre fu scartato un vecchio disegno dell’architetto palermitano Ernesto Basile, proposto dal comitato cittadino che si occupava della realizzazione dell’opera. Superate le ultime difficoltà burocratiche e ritoccato il progetto del Pace per meglio adattarlo al seicentesco prospetto inferiore, i lavori furono portati a termine tra il ’55 ed il ’56.

Negli anni successivi, inoltre, grazie alla sollecitudine dell’arciprete Andrea Linares, il monumento ha subito importanti restauri, sia alle strutture che agli arredi, resi necessari sia dai danni recati dai bombardamenti del 1943, sia dalle scosse sismiche del 1968. Sono stati riparati i tetti, sostituite alcune colonne della navata centrale, restaurati altari, cancelli, tele e arredi tra cui il maestoso organo.

Grazie poi a lasciti di monsignor Lombardo, sono state anche riparate le pareti laterali esterne. Ancora all’inizio degli anni ottanta, nell’abside veniva collocato l’altare liturgico ed innalzato il pavimento.

La cattedrale di Marsala si presenta con base basilicale e prospetto di duomo: la parte inferiore della facciata è in stile barocco mentre quello superiore così come i campanili completati dopo un secolo dalla conclusione della costruzione sono tipici del barocchetto. Il bell’interno è una mescolanza di arte normanna (soprattutto l’altare maggiore e i particolari di alcune cappelle) e di barocco. La struttura attuale, risalente al XVII° secolo, misura 80 metri in lunghezza, 36 in larghezza e 25 in altezza.

Partendo dalla navata destra, suddivisa in sette campate, si possono ammirare alcune opere d’arte fra cui il fonte battesimale in marmo del XVII° secolo, una tela settecentesca posta sull’altare che raffigura San Cristoforo, il dipinto di Santa Rosalia, la statua della Madonna della Grotta, alcuni sarcofagi, un’acquasantiera del 1543, la tela barocca con la Sacra Famiglia, un crocifisso in legno del XV° secolo opera di De Crescenzo e una scultura realizzata in legno e tela della Madonna Addolorata. 

Altrettanto preziosi sono i capolavori che impreziosiscono la navata di sinistra del duomo a iniziare dal Sant’Eligio in legno del XVIII° secolo (cappella di San Giovanni Nepomuceno); la tela in stile tardo gotico della Madonna di Portosalvo e due affreschi votivi (cappella dei santi Simone e Giuda); un’acquasantiera in marmo bianco di Carrara del 1474; un altare in legno e vetro dipinto del XIX° secolo e due angeli in marmo (cappella della Madonna del Rosario); un altare marmoreo e la statua della Madonna del Carmelo (cappella della Santissima Trinità).

Di pregio sono inoltre la tela di Antonello Riccio del 1953 intitolata Purificazione di Maria al Tempio collocata nel transetto destro del duomo; una statua del Sacro Cuore e la sepoltura del vescovo di Nemesi Isidoro Spanò, entrambe nel transetto sinistro. L’abside accoglie invece il dipinto che raffigura il Martirio di San Tommaso Becket realizzato nel 1656 da Leonardo Milazzo e sempre qui vi sono un grande organo costruito nel 1915, l’altare di marmo del 1929, il coro in legno intarsiato con otto scranni per lato e il crocefisso del XVIII° secolo.  

Nelle terre dei Fenici e del Sale

Poteva disporre di trentaquattro rematori per lato: il relitto della nave punica custodito nel Baglio Anselmi di Marsala getta luce sulle imbarcazioni con cui quei grandi navigatori raggiunsero le coste sicule. È la fine dell’VIII secolo a.C. e i Cartaginesi, attratti dalla sicurezza della laguna dello Stagnone, fondano Motya, che ben presto diviene una delle città più prospere del Mediterraneo. Collegata alla terraferma da una strada oggi sommersa dal mare, Mozia sprigiona un magnetismo particolare, merito del fascino di antiche civiltà (pare che nel santuario dedicato al dio Baal Hammon si celebrassero, oltre a quelli animali, macabri riti con sacrifici di bambini) e della sfuggente bellezza del Giovane in tunica, capolavoro della scultura greca del V secolo a.C. Alcuni studiosi pensano si tratti di Alcimedonte, l’auriga alla guida del carro di Achille: ecco perché la scultura, custodita nel Museo Whitaker sull’isola, è nota anche come Auriga di Mozia.

Nel XIX secolo gli inglesi sono di casa da queste parti. È grazie all’imprenditore Joseph Whitaker che questo passato unico riemerge dall’oblio ed è a Marsala, l’antica Lilibeo erede di Mozia, che hanno il loro quartier generale i grandi produttori di marsala. Nel 1832 Vincenzo Fiorio costruisce le cantine sulla spiaggia di Marsala, fra i bagli di Ingham e Woodhouse, utilizzando uno stile anglosassone con grandi arcate a sesto acuto. Il successo è clamoroso e l’affermazione del marsala va a braccetto con la straordinaria epopea di famiglia. Da qui un tempo partivano le navi della compagnia cariche del prezioso nettare e qui, ancora oggi, si produce il vino liquoroso più famoso al mondo.

Il profilo inconfondibile dei mulini a vento segna l’ingresso alle saline, lungo la costa a sud di Trapani. Le vasche di raccolta e le piramidi di candido minerale sono un pallido ricordo dell’antica attività produttiva, favorita dall’alta concentrazione di sale, oggi fortemente ridimensionata nella quantità, ma non nel fascino, di una delle aree umide più importanti d’Europa.

Chiesa di Santa Maria dell'Itria

La Chiesa di Santa Maria dell'Itria, chiamata sinteticamente dai marsalesi Chiesa dell’Itria e volgarmente anche Chiesa del Cimitero (in quanto sita accanto al cimitero urbano di Marsala) è dedicata alla Madonna Odigitria patrona principale della Sicilia.

La chiesa, con annesso monastero sede dell'Ordine degli agostiniani scalzi sorge sopra una grotta nella quale si venera la sacra immagine della Madonna dell'Itria del secolo VIII, dipinta su tela che raffigura Maria con le mani rivolte verso l'alto con il bambino poggiato su una cassa, sostenuta da due eremiti.  

La chiesa e il monastero sono stati costruiti tra il XVII e il XVIII secolo in seguito al ritrovamento del dipinto della Madonna dell'Itria e del miracolo adesso collegato. Fin dalla sua istituzione la chiesa e il monastero sono la sede degli agostiniani scalzi di Marsala. Per un lungo periodo gli agostiniani scalzi di Marsala sono stati accorpati a quelli di Palermo e la chiesa con annesso monastero sono stati gestiti dalla sede di Palermo. Successivamente si è aperta una diatriba legale portata avanti dalla diocesi di Mazara del Vallo, che ne dichiarava l’appartenenza e la proprietà in quanto sita nel suo territorio e ne chiedeva la “gestione”, ottenendo successivamente l’esito sperato. Oggi la chiesa fa parte della diocesi di Mazara del Vallo, e gli agostiniani scalzi di Marsala hanno ottenuto l’autonomia.

La Chiesa - L'interno della chiesa è molto diverso dallo stile originario, in quanto fu gravemente danneggiato. Durante le guerre e i conflitti tra i quali la seconda guerra mondiale i soldati si rifugiarono all'interno della chiesa e per riscaldassi dal freddo accendevano al suo interno del fuoco e dei falò bruciando tutto quello che era di arredo nella chiesa ivi compresi anche opere d'arti e dipinti di estremo valore sia culturale, spirituale e anche economico. L'esterno invece ha mantenuto il prospetto e lo stile architettonico originale.

L'esterno della chiesa è di stile barocco mentre l'interno è in stile neoclassico.

La facciata delle chiesa è di chiaro impatto barocco, e si erge un portale di ingresso con ai due lati due colonne tortili su alti plinti che reggono un timpano spezzato barocco. All’interno del timpano è presente una nicchia realizzata con pietra bianca dove è collocata una statua della Madonna dell’Itria con le mani rivolte verso l’alto e con il Bambino Gesù su una cassa sorretta da due eremiti. Ai due lati della nicchia e quindi anche ai due lati della Madonna sono presente altre due statue. Il tetto dell'edificio di culto e sormontato da una croce, e tra il muro della facciata e il tetto del monastero si trova un piccolo campanile con tre nicchie di qui quella centrale più grossa che sono occupate dalle le tre campane della chiesa.

L’interno della chiesa in stile neoclassico è a navata unica, con un altare maggiore e con altari minori laterali ai lati della navata. La copertura dell’edificio è ha botte lunettata. Ogni altare minore laterale ha un tabernacolo i marmo, anche sull’altare maggiore e presente un tabernacolo utilizzato per conservare la Santissima Eucaristia. Accanto all’ingresso sul lato destro e presente un cancello che porta alla grotta dove fu trovato il dipinto della Madonna dell'Itria. Sempre sul lato destro vicino all'ingresso è presente un sarcofago dove riposano le spoglie mortali di Padre Elia di Gesù e Maria padre agostiniano scalzo marsalese, al quale nel 2016 in occasione del suo 385º anniversario della nascita gli è stata intitolata una via.

All’interno della chiesa sono presenti:

- un crocifisso ligneo del settecento,

- quattro dipinti raffiguranti la storia di Sant'Agostino

- una statua raffigurante Sant’Agostino

- una statua di Nicola da Tolentino.

- una statua di Santa Rita da Cascia posta nell'presbiterio dell'altare maggiore.

Inoltre sono presenti degli affreschi e nell'abside centrale dell’altare maggiore è presente un dipinto della Sacra Famiglia: si tratta di una copia de Le due Trinità di Bartolomé Esteban Murillo, di cui l'originale è conservato alla National Gallery di Londra.

La grotta - La grotta, alla quale si accede da un cancello collocato sul lato destro della chiesa vicino all’ingresso, è provvista di una scalinata in pietra e marmo con balaustra in pietra. La parete superiore della grotta presenta decorazioni in stucco del settecento in basso rilievo realizzate dal marsalese Vincenzo Giglio che raffigurano degli angeli che sorreggono una corona con dietro un sipario in gesso; la parte sommitale è dipinta di azzurro con stucchi bianchi. All’interno della grotta si erge un altare decorato con marmi mischi. Sopra l’altare era collocata l’immagine della Madonna dell’Itria in olio su tela raffigurante Maria Santissima con le mani rivolte verso l’alto e Gesù bambino sopra ad una cassa sorretta da due eremiti.

Nel 2018 è stato scoperto e riportato alla luce dopo un intervento di restauro un affresco del 1200 raffigurante una Vergine orante, con le mani rivolte verso l'alto senza il bambinello. L’affresco era stato coperto da altri affreschi dipinti su di esso e poi infine coperto con la tela raffigurante la Madonna dell’Itria.

Area Archeologia dei Niccolini - Catacombe dei Padri Niccolini - Adiacenti alla Chiesa dell’Itria e contigue al convento dei Padri Agostiniani è presente l’area archeologia dei Niccolini dove sono presenti le catacombe dei Padri Niccolini. Durante un lavoro di scavo è stata scoperta un parete rocciosa di una chiesetta ricavata nella latomia e decorata con un grande affresco ora perduto.

Ingrottati - Adiacente all’area archeologia dei Niccolini con annesse catacombe si trova una scala, dalla quale si accede agli ingrottati sottostanti. Negli ingrottati sono presenti vari arcosoli ad adornare le catacombe: due di essi sono dipinti con nastri, fiori e ghirlande, e tre sono disposti a croce; nell'insieme formano un vasto complesso decorato con rose su fondo bianco che sta a simboleggiare la primavera eterna nella vita dell’oltretomba con un'iscrizione in lingua greca dipinta di colore rosso adornata con decorazioni di ghirlande a treccia.

Inoltre sono presenti altri due complessi contigui con una pavimentazione realizzata a mosaico policromo dove è raffigurato un vaso biansato dal cui interno sgorgano zampilli d’acqua, in tutto adornato con decorazioni floreali. Nelle pareti sono dipinte scene di caccia, dove fa da scenario sullo sfondo un paesaggio con alberi e arbusti. Nella scena dipinta inoltre sono presenti una lepre e un edificio colonnato.

Chiesa del Carmine e Convento dell'Ordine della Beata Vergine del Monte Carmelo

Nell'angolo occidentale della città di Marsala, nel quartiere dell'Annunziata, i Carmelitani costruirono la chiesa ed il convento. L'area prescelta corrisponde alla piazza denominata del Carmine (dove si trova anche il barocco palazzo Grignani) che è in realtà uno slargo pressoché rettangolare che amplia notevolmente una strada dell'antico tracciato urbanistico di Lilibeo.

Alla fine del XIII secolo, i frati erano certamente in Sicilia occidentale, dove sembra siano giunti nel 1224 e dove a partire dal 1315 realizzarono la chiesa e il loro convento fuori le mura, divenuto polo di attrazione e meta di pellegrinaggi in onore della Madonna detta di Trapani, opera di Nino Pisano del XIV secolo. A Marsala non resta alcuna traccia della chiesa e del monastero carmelitano, dove i frati si insediarono al loro arrivo. Le poche notizie sull'ordine vengono riportate dagli storici, ma essi concordano solo su una data piuttosto dubbia, quale il 1154/1155 o il 1200 circa. Il complesso carmelitano che è giunto fino a noi è composto da tre parti significative: la chiesa, il convento e la torre campanaria.

Il Campanile - In Sicilia Occidentale non si hanno molti casi di campanili isolati dal complesso monumentale di cui fanno parte. Il campanile ottagonale della chiesa del Carmine, che presenta una bella e centrale scala elicoidale in pietra calcarenitica, quando suonava "a mortorio" si muoveva, terrorizzando chi si trovava al suo interno. Questo campanile, una delle meraviglie del mondo per il suo moto oscillatorio, era considerato fino a non molti anni or sono, secondo la tradizione riferica dal Genna, una delle torri di guardia di Lilibeo. Ma le scoperte degli ultimi anni hanno consentito di verificare con buona approssimazione l'ampiezza dell'antica città punica, il cui perimetro murario era ubicato molto più a sud della torre in esame, e fanno escludere, per forma e posizione, l'eventualità di un riuso di un'antica struttura punico-romana. Il Villabianca sostiene che nel 1490 il padre Ludovico Petrulla, provinciale dell'ordine carmelitano, lodato maestro di Filosofia e dottore in teologia che insegnò Scienze a Parigi, acquistò con il contributo del nipote Niccolò, nobile marsalese, il campanile ed alcune case adiacenti alla chiesa, per ampliare e rifondare il complesso. La torre del Carmine sarebbe stata realizzata secondo il Villabianca sull'antica torre nel 1513 dallo stesso Petrulla, morto in realtà nel 1504 come attesa la lapide funeraria originariamente al Carmine e oggi nella Cattedrale.

Ma la data di fondazione della torre, nonostante l'evidente malinteso sull'autore-committente, è perfettamente corretta. La torre, giunta fino a noi nella versione settecentesca, è stilisticamente pertinente il linee generali alla incompiuta torre campanaria della chiesa di S. Domenico a Trapani, anch'essa di impianto ottagonale. Ma già nel 1684 la torre campanaria fu restaurata con il rifacimento delle fondazioni. Non si possono però attribuire alla fabbrica comprata in precedenza i limiti statici manifestati dalla torre campanaria, poiché se la torre acquistata fosse stata tutt'al più una casa torre, un genere di abitazione di tipo fortificato abbastanza diffuso in Sicilia occidentale, come la torre De Ballis ad Alcamo, essa sarebbe stata molto solida. Torri del genere sono del tutto scomparse a Marsala, quasi certamente fagocinate in ristrutturazioni barocche.

La chiesa dell'Annunziata - La chiesa dell'Annunziata venne rinnovata dopo il 1490. La chiesa più antica divenne sacrestia della nuova, e le case vennero trasformate in cappelle. Una di esse, dedicata a sant'Onofrio, con una ormai perduta statua marmorea divenne la sepoltura dei Petrulla e della sua famiglia. Ancora nel 1500, il Petrulla innalzò una cappella per la famiglia Grignani nella quale venne sistemata la statua della Madonna del Popolo, opera di Domenico Gagini del 1490, oggi conservata nella cattedrale di Marsala.

La chiesa venne dotata di un portico antistante l'ingresso, originariamente coperto con solaio ligneo, con tre fornici e l'arco centrale più ampio degli altri due. Solo in un secondo tempo il portico venne sopraelevato e il solaio sostituito da volte a crociera, quando il rifacimento del convento comportò una ridefinizione dei prospetti. 

Il portale di accesso è però l'unico a rispondere appieno ai dettami rinascimentali, sebbene il suo spigolo conformato a sottile colonna presenti ancora un attardamento di tipo quattrocentesco; il portico, con colonne in pietra calcarenitica, presenta negli spigoli dei piedritti lo stesso motivo a bastone quattrocentesco, mentre è pienamente rinascimentale nell'uso dell'arco a tutto sesto. Rinascimentale è anche il motivo delle finestre del primo piano, sovrastanti portico e portale di accesso al convento, datato 1650, simili a quelle che adornano tutto il primo piano del Quartiere militare. 

Le discrete condizioni economiche dell'ordine carmelitano portarono ad un forte rimaneggiamento della chiesa in età barocca: l'impianto venne ridisegnato in una navata unica, coperta da un dammuso lunettato, con alte finestre sugli arconi laterali che individuavano le cappelle. La chiesa fu quindi sopraelevata, come dimostra il tetto a due falde che sovrasta, in modo poco elegante, portico e piano attico sovrastante.

La chiesa, con eccezione dell'ex cappella della Madonna del Popolo, al suo interno è ormai una larva del suo passato. Numerose lapidi tombali ne decoravano pavimenti e pareti:

- la lapide tombale della sepoltura del notaio Barone Rosario Alagna di Mozia (1799);

- i raffinati sarcofagi dei Requesens (sepoltura di Bernardo Requesens † 1539, oggi collocata nella cattedrale di San Tommaso di Canterbury);

- i sepolcri della famiglia Grignani,- che avevano eletto la chiesa a proprio mausoleo (sepoltura di Antonio Grignano † 1475 opera di Domenico Gagini, oggi collocata nella cattedrale di San Tommaso di Canterbury);

- la pietra tombale di donna Barbara Grifeo † 1552 (famiglia Grifeo), trasferita in cattedrale;

- i sarcofagi di Ludovico Petrulla, carmelitano marsalese filosofo e teologo † 1504 e di Filippo Maria, procuratore generale dell'Ordine dei Carmelitani † 1612 trasferiti in cattedrale;

facevano dell'Annunziata uno dei monumenti rinascimentali più importanti della città. Il crollo del tetto della chiesa tardobarocca e la distruzione di gran parte dei suppellettili a seguito dei bombardamenti, fanno dell'insieme un monumento fortemente compromesso anche da un restauro che mostra ormai pesantemente il segno del mutamento della disciplina del tempo. Oggi l'ambiente della chiesa è freddo, glaciale, non aiutato dalla bianca pavimentazione in marmo, da una scala a chiocciola in ferro nell'aula e dalle coperture rimaste a vista (non è stata ricostruita la finta volta che chiudeva il soffitto).

Negli ultimi anni la chiesa è stata adibita a biblioteca comunale, cui si aggiunsero nel 1979 i ritrovati documenti dell'archivio storico. Completati i lavori di restauro del monastero di San Pietro, nel luglio 1996, la biblioteca è stata riportata nella sede originaria, mentre l'archivio storico comunale è rimasto nella chiesa dell'Annunziata.

Il convento della chiesa dell'Annunziata - Il convento, è uno dei monumenti di maggior rilievo. Gli elementi più antichi del convento risalgono al tre-quattrocento. La presenza di affreschi, di difficile identificazione, data l'estrema frammentarietà e precarietà del ritrovamento, getta tuttavia nuova luce sulla presenza di decori artistici negli ambienti religiosi, in specie conventuali, della città di Marsala. In considerazione del fatto che tali affreschi potrebbero scendere fino ai secoli XV-XVI inoltrati, la scoperta dimostra che anche a Marsala perdura uno stile ben noto in Sicilia Orientale, molto presente anche nel complesso (oggi completamente abbandonato) della chiesa della Madonna della Grotta, correntemente definito "Bizantino". Stile quasi introvabile in altri centri della Sicilia Occidentale. 

Gli affreschi adornano gli ingrottati e le chiese fin dal Medioevo e che si attarda fino alle soglie del Rinascimento. Ciò dimostra che tale tradizione culturale e al contempo religiosa era molto diffusa nell'ambiente cittadino, ancora nel pieno Rinascimento, come nel caso della chiesa della Cava, e questa consapevolezza permetterà in futuro di guardare positivamente e con più attenzione ai restauri degli edifici medievali della città, che relativamente a questo periodo storico attende ancora di essere rilevata.

1862 il convento venne acquisito al demanio e divenne proprietà dell'Intendenza di Finanza che, tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del secolo XIX, lo concesse all'Arma dei Carabinieri a cavallo. Dopo la guerra, i Carabinieri lasciarono il convento e così il monumento cominciò a patire il dramma dell'abbandono che produsse un crollo parziale del complesso, seguito dall'abbattimento del piano superiore per tutelare la pubblica incolumità. Ciò trasformò il convento in una selva boschiva densa di macerie vecchie e nuove.

I lavori di restauro degli anni novanta, riaprendo gli intercolumni hanno ripristinato l'ariosità del chiostro; al suo interno sono conservati alcuni frammenti ed una intera colonna ritrovati nei reinterri della corte porticata. Quasi al centro, la traccia di un pozzo e di una vasca mostrano i segni di ambienti sotterranei dall'uso incerto, che si auspica in futuro possano essere indagati. Essi, data la tradizione dell'architettura lilibetana, caratterizzata da ambienti cultuali ipogeici di origine paleocristiana o da ambienti utilitaristici, quali cisterne o possibilmente da cripte di età imperiale non del tutto peregrini in tale zona della città, potrebbero essere forieri di nuove ed interessanti scoperte.

Complesso del Carmine - Oggi, il convento del Carmine è sede dell'Ente Mostra di Pittura Contemporanea Città di Marsala, e recentemente ha ospitato le opere del pittore milanese Fabrizio Clerici, e vengono realizzate mostre temporanee. Al suo interno è esposta anche la collezione permanente. Inoltre è anche Sede di Rappresentanza del Comune di Marsala, e al suo interno è ubicata la sala di rappresentanza dove oggi vengono celebrati i matrimoni a rito civile. La Chiesa fino a qualche tempo fa era sede dell'archivio storico della città, oggi trasferito presso la biblioteca comunale. Al suo posto verrà trasferita la Pro loco. Il campanile ancora oggi appartiene alla Curia (Diocesi di Mazara del Vallo), attualmente e chiuso ma a breve sarà possibile visitarlo.

Chiesa di San Giovanni Battista

La Chiesa di San Giovanni a Marsala è intitolata al compatrono della città ed è un edificio molto semplice con al suo interno un solo altare, di gusto classicista, sul quale è collocata una pregevole statua di San Giovanni Battista attribuita ad Antonello Gagini, sormontata dal monogramma di Gesù HJS, simbolo dei Gesuiti.

L’edificio è stato costruito in epoca imprecisata, probabilmente tra il XII e il XIII secolo d.C., su un edificio riconducibile all’età bizantina. Nel 1554 fu demolito, come tutti gli edifici fuori dalle mura, su ordine del capitano d’armi Giovanni Pignoso, intento a costruire le fortificazioni della città, ma le proteste della popolazione portarono alla sua riedificazione nel 1576.

Dopo un crollo agli inizi del secolo scorso, nel 1929 la copertura fu restaurata e l’edificio munito del portale manieristico di marmo della Chiesa di Sant’Andrea, andata distrutta.

L’edificio si presenta a pianta semplice con muri intonacati e angoli realizzati con i conci a vista mentre la copertura lignea, a doppia falda è ricoperta da tegole. 

All’interno si può vedere un altare di gusto classico sul quale si trova la statua in marmo di S. Giovanni Battista, attribuita ad Antonella Gagini e il monogramma dei Gesuiti JHS; sulla parete di sinistra un crocifisso tardo-barocco. Fondamentale è la documentazione venuta alla luce durante il restauro del 2005-2008 che ha portato alla luce la pavimentazione secentesca in maiolica policroma con mattonelle a forma trapezoidale che si alternano creando un motivo geometrico.

La chiesa è costruita sopra una grotta scavata nella roccia proprio nei pressi di una sorgente, considerata essenziale per la scelta, nel 397 a.C., del sito per la fondazione della città da parte dei moziesi in fuga dopo la distruzione dell’isola da parte di Dioniso di Siracusa.

La grotta è ritenuta da sempre dimora della Sibilla Cumana o Sicula. A partire dal ‘700 la chiesa divenne meta privilegiata di tutti i viaggiatori che visitassero la città, come testimoniano gli innumerevoli racconti di viaggio a Marsala in cui è evidente l’interesse per la Grotta della Sibilla.



Grotta della Sibilla - L’accesso all’antro, posto a quasi 5 metri al di sotto del livello della chiesa, è consentito attraverso due accessi. La grotta si compone di tre ambienti. La presenza di una sorgente d’acqua, che serve una vasca quadrata nell’ambiente circolare centrale, è stata molto importante nell’antichità per l’approvvigionamento idrico. Nel II-III sec d.C. l’antro fu utilizzato molto probabilmente come ninfeo o sala da bagno, collegata ad un edificio superiore, mentre i primi cristiani lilibetani ne fecero un battistero. Gli ambienti ipogeici sembrano essere stati utilizzati come luogo di culto di riti legati all’uso dell’acqua.

Proprio davanti alla sorgente, in una nicchia scavata nella roccia, vi è una pregevole statua in marmo alabastrino di San Giovanni Battista, attribuita allo scultore Domenico Gagini.

Data la presenza della fonte, la leggenda narra che qui Ulisse sia venuto a dissetarsi, data anche la prossimità del sito al mare. All'interno della grotta si trova un giaciglio, che sembra quasi scavato con le mani nella roccia, dove la Sibilla riposava.

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