Marsala
sorge
su capo
Boeo e
si
affaccia
davanti Favignana,
con
le
altre Isole
Egadi poco
più
distanti.
Vanta
un
territorio
molto
vasto,
su
cui
insistono
due
grandi
litorali
marini
geograficamente
opposti.
Il
litorale
nord,
che
parte
dagli Hangar
Nervi e
racchiude
la
laguna
delle Isole
dello
Stagnone terminando
a
Birgi,
e
il
litorale
sud,
di
formazione
sabbiosa
dove
nell'immediato
entroterra
scorre
il
fiume
Sossio
all'interno
dell'area
urbana
di Strasatti.
Nel 397
a.C. la
colonia
fenicia
di Mozia,
fiorita
8
secoli
prima
di
Cristo
sull'isola
di
Mozia
fu
invasa
e
distrutta
dal tiranno
di
Siracusa Dionisio
I.
I
superstiti
si
rifugiarono
sulla
costa
siciliana
e
potenziarono
l'insediamento
costiero
a
cui
diedero
prima
il
nome
di Lebum che
in
fenicio
vuol
dire
"verso
l'Africa"
e
poi
il
nome
di Lilibeo,
ossia
"la
città
che
guarda
la
Libia",
perché,
appunto,
Lybia
veniva chiamata
allora
tutta
la
costa
settentrionale
dell'Africa.
Alcune
credenze
popolari
locali
molto
antiche,
collegano
il
nome
di
Lilibeo
ad
una
Principessa,
figlia
di
un
sovrano
di
Mozia.
Lylibeo
passò
in
mano
ai romani nel
241
a.C.
per
divenire
uno
dei
centri
più
importanti
del
Mediterraneo:
nucleo
di
scambi
e
commerci,
sede
del
pretore
e
del
questore,
fu
arricchita
di
ville
ed
edifici
pubblici,
tanto
da
meritarsi
l'appellativo
di splendidissima
urbs datole
da Cicerone,
questore
tra
il
76
e
il
75
a.C.
che
durante
il
suo
operato
a
Lilybeo,
riuscì
a
cacciare
il
viceré
Verre
che
aveva
portato
allo
stremo
la
Sicilia
e
i
siciliani
stessi.
Durante
la
guerra
con
i
Romani,
passarono
alla
storia
diversi
assedi
e
battaglie,
passate
alla
storia
con
il
nome
di
"Assedio
di
Lilibeo".
Devastata
dai Vandali all'inizio
del
V
secolo
d.C.,
fu
annessa
nel
VI
all'impero
di
Giustiniano
e
visse
secoli
bui,
segnati
dal
disinteresse
di Bisanzio e
dalle
incursioni
dei
pirati.
L'arrivo
nell'VIII
secolo degli
arabo-berberi
sotto
il
contiguo
monte
Granitola
segnò
anche
la
ripresa
dei
traffici
commerciali
e
l'inizio
della
rinascita
della
città,
che
fu
chiamata Mars-Alì cioè
"Porto
grande"
data
la
grandezza
dell'antico
porto,
sito
presso
Punta
d'Alga,
per
poi
essere
chiamata Mars-Allah,
cioè
"porto
di
Allah"
ovvero
"porto
di
Dio"
anche
se
si
tratta
di
un
errore
di
traduzione
poiché
gli
arabi
non
avrebbero
mai
nominato
il
nome
di
Allah
invano,
donde
poi
il
nome
attuale.
La
crescita
economica
e
demografica
portò
ad
un
importante
sviluppo
urbanistico,
improntato
al
modello arabo.
A
partire
dalla
fine
dell'XI
secolo
si
susseguirono
le
dominazioni
normanna,
sveva,
angioina
e
aragonese.

Da
questo
momento
bisogna
aspettare
due
secoli
per
avere
un'altra
svolta
nella
storia
della
città.
Alla
fine
del
Settecento
l'inglese
John
Woodhouse ritenne
di
qualità
eccellente
il
vino
prodotto
dai
contadini
locali,
definito in
perpetuum,
visto
l'uso
di
rabboccare
le
botti
in
via
di
svuotamento
con
vino
nuovo,
così
da
mantenerne
inalterati
i
livelli.
Caratterizzato
da
una
naturale
alta
gradazione
alcolica,
il
vino
marsalese
non
era
però
adatto
al
trasporto
e,
per
ovviare
al
problema,
Woodhouse
sperimentò
con
successo
l'aggiunta
di
alcol
di
buona
gradazione
garantendone
in
questo
modo
la
stabilità
e
creando
il marsala.
Si
deve
ai
Woodhouse
l'esplosione
dell'economia
marsalese
e
la
messa
in
opera
con
propri
fondi
di
numerose
opere
infrastrutturali,
tra
cui
l'attuale
porto.
A
seguito
della
nascita
del Regno
delle
Due
Sicilie,
con
una
legge
varata
l'11
ottobre 1817,
re
Ferdinando
I
la
inserisce
nella
Provincia
di
Trapani.
L'11
maggio 1860 avvenne
lo sbarco
di
Giuseppe
Garibaldi
con
i
suoi
Mille che
da
qui
iniziò
l'unificazione
d'Italia.
A
seguito
della
nuova
riorganizzazione
in
province
del
regno,
verrà
reinserita
nella
nuova Provincia
di
Trapani.
L'11
maggio 1943 un
bombardamento
alleato
sul
centro
abitato
causò
numerose
vittime
tra
i
civili
e
sfregiò
perennemente
il
centro
storico
barocco
della
città.
L'edizione
del
13
maggio
1943
del New
York
Times riportò
l'avvenimento
con
il
titolo
"Marsala
Wiped
Off
the
Map"
(Marsala
cancellata
dalle
mappe).
Duomo
di
San
Tommaso
di
Canterbury

La
storia
della
Chiesa
Madre
di
Marsala
inizia
in
epoca
normanna.
Sappiamo
da
Al
Idris,
geografo
arabo
al
servizio
di
re
Ruggero,
che
"Marsala,
un
tempo
distrutta
e
abbandonata,
fu
cinta
di
mura
tanto
che
essa
si
ripopolò
e
si
munì
di
mercati
e
di
botteghe".
Ben
più
importante
dal
punto
di
vista
commerciale
è
la
città
di
Mazara,
definita
dallo
stesso
Idris,
"splendida
ed
eccelsa",
tant’è
che
nel
1093
Mazara,
e
non
Marsala,
fu
eletta
sede
della
diocesi.
A
quel
tempo
la
basilica
paleocristiana
della
fiorente
comunità
lilibetana
doveva
essere
in
rovina,
come
gran
parte
della
città,
a
causa
delle
scorrerie
arabe.
E’
assai
probabile
che
questo
primo
edificio
di
culto
sorgesse
sullo
stesso
sito
del
successivo
duomo
normanno,
come
attesterebbe
il
rinvenimento,
durante
i
lavori
di
ricostruzione
seguiti
al
crollo
della
cupola
del
1893,
di
alcune
strutture
di
un
edificio
ad
una
navata
e
di
tracce
di
mosaici
sotto
le
fondazioni
della
zona
presbiteriale,
e
come
confermerebbe
l’uso
dei
Normanni
di
ricostruire
chiese
e
conventi
non
mutandone
l’antica
ubicazione.
Secondo
la
tradizione,
il
duomo
normanno
fu
eretto
intorno
al
1176,
epoca
in
cui
reggeva
la
diocesi
della
Val
di
Mazara
il
marsalese
Tutino
che,
per
compensare
i
propri
cittadini
della
perdita
della
sede
vescovile,
elevò
la
Chiesa
di
Marsala
alla
dignità
di
arcipretura.
Esso
sorgeva
con
le
fronte
principale
sulla
Piazza
Maggio,
dove
oggi
è
la
porta
laterale,
e
si
sviluppava
in
senso
ortogonale
alla
chiesa
attuale
per
25
metri,
occupando
più
della
metà
dell’attuale
via
Garibaldi.
Sembra
che
la
pianta
fosse
a
tre
navate
absidate
con
cappelle
laterali,
preceduta
da
un
portico
a
colonne
e
da
un
campanile.
La
cattedrale
fu
dedicata
al
santo
inglese
Tommaso
Becket,
arcivescovo
di
Canterbury,
canonizzato
appena
qualche
anno
prima.
Questi
godette
di
una
grande
fama
durante
tutto
il
Medioevo
e
la
sua
tomba
divenne
presto
meta
di
pellegrinaggi
mentre,
divenuto
simbolo
di
libertà
e
dignità
umana
oltre
che
di
fedeltà
a
Cristo,
egli
veniva
rappresentato
con
grande
ricchezza
iconografica,
soprattutto
per
l’episodio
del
martirio.
Anche
nella
Chiesa
Madre
di
Marsala,
ricostruita
intorno
alla
metà
del
XVII
secolo,
troverà
posto
nell’abside
una
tela
raffigurante
l’uccisione
del
Santo.
La
vita
di
Tommaso
Becket
–
è
stato
scritto
–
non
si
comprende
se
non
alla
fine,
prendendo
luce
dal
martirio
a
causa
della
libertà
della
Chiesa
per
il
quale
fu
venerato
come
Santo.
"Gran
segreto
è
la
vita,
e
nol
comprende
che
l’ora
estrema"
si
potrebbe
dire
di
questa
singolare
figura,
come
dell’Adelchi
manzoniano.
Dopo
una
brillante
carriera
politica
culminata
nella
carica
di
cancelliere
d’Inghilterra,
che
detenne
per
sette
anni,
stringendo
amicizia
con
il
re
Enrico
II
ed
appoggiandone
gli
interessi
contro
quelli
della
Chiesa,
venne
eletto
arcivescovo
di
Canterbury.
Com’è
stato
sottolineato
dai
suoi
contemporanei,
con
l’elezione
episcopale
avvenne
in
lui
un
repentino
mutamento,
segnato
da
un’austera
condotta
di
vita
ma
non
da
una
profonda
conversione.
Ostinato
ed
orgoglioso,
si
oppose
fermamente
al
re
che
rivendicava
alle
corti
secolari
il
diritto
di
giudicare
gli
ecclesiastici,
e
rigettò
le
Costituzioni
di
Clarendon
che
codificavano
dei
diritti
regali,
divenuti
consuetudinari
durante
i
regni
precedenti.
Dopo
una
lunga
lotta
tra
il
potere
regale
e
quello
ecclesiastico,
l’arcivescovo
veniva
costretto
all’esilio
e
si
rifugiava
in
Francia.
Ritornato
nella
propria
diocesi
dopo
sette
anni,
si
rese
presto
conto
che
la
riconciliazione
con
il
re
era
solo
apparente.
Nuovamente
ne
provocava
le
ire
scomunicando
due
vescovi,
ma
quest’ultimo
atto
gli
costò
la
vita.
Quattro
cavalieri
della
corte
di
Enrico,
convinti
di
eseguire
la
volontà
del
sovrano
liberandolo
dall’incomodo
e
turbolento
prelato,
uccisero
l’arcivescovo
nella
sua
cattedrale
la
sera
del
29
dicembre
1170.
Il
santo
divenne
subito
assai
popolare
in
Sicilia
per
gli
stretti
rapporti
tra
l’Inghilterra
e
i
dominatori
normanni,
i
quali,
proprio
sotto
i
regni
dei
due
Guglielmi,
avevano
rafforzato
l’elemento
nordico
dell’amministrazione
ed
inserito
dei
prelati
inglesi
tra
i
più
alti
ranghi
ecclesiastici.
Nel
1177
Giovanna
Plantageneta,
figlia
di
Enrico
II
d’Inghilterra,
andava
in
sposa
a
Guglielmo
II
e
si
dedicava
alla
promozione
del
culto
in
Sicilia:
infatti
poco
più
tardi
la
moschea
di
Catania
veniva
trasformata
in
una
chiesa
dedicata
a
San
Tommaso,
mentre
lo
stesso
martire
inglese
veniva
raffigurato
nei
mosaici
del
Duomo
di
Monreale,
fondato
dal
sovrano
tra
il
1172
e
il
1176.
Assai
probabilmente,
quindi,
la
consacrazione
della
Chiesa
Madre
va
collocata
tra
il
1173,
anno
della
canonizzazione
del
Santo,
e
il
1189,
fine
del
regno
di
Guglielmo
II
e
di
Giovanna
d’Inghilterra;
e
si
comprende
bene
che
essa
non
è
da
intendersi
come
un
fatto
straordinario,
né
è
necessario,
per
giustificarla,
ricorrere
alla
nota
tradizione,
tramandata
dal
Pirri,
del
fortunoso
naufragio,
sulle
spiagge
di
Marsala,
di
una
nave
con
un
carico
di
colonne
di
marmo
di
Corinto
destinate
ad
una
chiesa
inglese
da
dedicare
al
Santo.
A
partire
dal
regno
di
Alfonso
il
Magnanimo,
intorno
alla
metà
del
XV
secolo,
Marsala
partecipa
al
clima
di
rinnovamento
culturale
proprio
dell’Umanesimo
e
al
diffondersi,
nell’Isola,
del
linguaggio
artistico
rinascimentale,
seppure
mediato
attraverso
forme
e
modi
eterogenei,
retaggio
di
civiltà
artistiche
del
passato.
E
se
in
campo
letterario
essa
esprime
in
modo
personale
il
rinato
amore
per
i
classici
con
gli
umanisti
Tommaso
Schifaldo,
Priamo
Capozio
e
Vincenzo
Colocasio,
nel
campo
delle
arti
figurative
vive
di
riflesso
la
cultura
dei
marmorari
settentrionali,
attivi
a
Palermo
sin
dalla
metà
del
’400.
Così
nonostante
le
difficili
condizioni
di
vita
in
cui
la
cittadinanza
versava
in
quel
periodo,
sia
a
causa
dei
pesanti
tributi
imposti
dal
governo
spagnolo
che
delle
continue
vessazioni
degli
eserciti
di
stanza
e
di
passaggio
e
delle
scorrerie
dei
pirati
berbereschi,
il
duomo
normanno,
nell’arco
di
un
secolo
circa
–
dal
1497
al
1590
–
veniva
ampliato
ben
tre
volte.
E
grazie
alla
munificenza
di
privati
cittadini,
appartenenti
in
genere
alla
burocrazia
militare
e
civile,
come
il
cavaliere
e
capitano
di
giustizia
Giulio
Alazaro,
i
nobili
Pietro
di
Anello
e
Antonio
La
Liotta,
o
di
confraternite
laiche
delle
maestranze
che
costituivano
il
ceto
medio
in
ascesa
sociale,
la
Chiesa
Madre
si
arricchiva
delle
sculture
dei
Gagini,
Berrettaro,
Mancino,
Di
Battista.
Ma
il
dono
più
prezioso
si
deve
al
marsalese
Mons.
Antonio
Lombardo,
allora
arcivescovo
di
Messina,
il
quale
nel
1589
volle
arricchire
la
chiesa,
in
cui
era
stato
arciprete,
della
magnifica
serie
di
otto
arazzi
fiamminghi
raffiguranti
episodi
della
guerra
romano-giudaica
che
oggi
sono
conservati
nei
locali
del
Museo
degli
Arazzi
adiacenti
alla
Madrice,
ma
che
un
tempo
ornavano
la
zona
presbiterale.
A
maggior
gloria
propria
e
della
Chiesa
di
Marsala
egli,
poi,
si
faceva
raffigurare,
orante,
nel
dipinto
La
presentazione
al
tempio
commissionato
al
messinese
Antonello
Riccio,
su
copia
dell’originale
di
Girolamo
Alibrandi.
Questo
veniva
collocato
nella
cappella
del
transetto
destro,
dedicata
alla
Madonna,
dove
lo
stesso
Lombardo
riposa
in
un
sarcofago
a
vasca
di
stile
michelangiolesco.
In
occasione
del
primo
ampliamento,
nel
1497,
furono
costruiti
un
cappellone
e
due
cappelle
laterali,
di
cui
una
dedicata
al
culto
del
SS.
Sacramento
e
concessa
in
patronato
ai
Ministrali,
una
confraternita
laica
di
fabbri,
sarti,
calzolai
e
falegnami.
Questi,
con
un
atto
notarile
del
1511,
si
impegnavano
a
provvedere
a
proprie
spese
alla
messa
quotidiana
alle
quattro
del
mattino
e
ad
ornare
la
cappella
con
un
tabernacolo
in
argento
e
con
una
grande
icona
marmorea,
da
completare
entro
il
termine
di
quindici
anni,
pena
la
decadenza
del
patronato.
L’esecuzione
di
tale
pregevole
opera
scultorea
fu
affidata
in
un
primo
tempo
alla
bottega
palermitana
di
Bartolomeo
Berrettaro
e
Giuliano
Mancino;
quindi
scioltasi
la
società
tra
i
due
maestri,
i
procuratori
rinnovarono
l’impegno
con
il
Berrettaro
ed
il
fratello
Antonino.
Ma,
morto
Bartolomeo
Berrettaro
e
trascorsi
diversi
anni
senza
che
l’impegno
assunto
fosse
condotto
a
buon
fine
dal
fratello
di
questi,
ci
si
decise
infine
ad
affidare
l’opera
al
famoso
marmoraro
Antonello
Gagini,
che
la
completò,
con
la
collaborazione
del
figlio
Giandomenico,
nel
1532.
Altri
restauri
ed
ingrandimenti
furono
eseguiti
tra
il
1542
ed
il
1550,
probabilmente
per
riparare
ai
danni
subiti
dal
monumento
durante
la
permanenza
in
città
di
contingenti
spagnoli
reduci
dalla
guerra
contro
i
Turchi.
Sembra
che
il
tetto
ligneo
della
navata
centrale
sia
stato
scoperchiato
dai
soldati
nel
1519,
come
documentava
un
distico
inciso
in
una
trave,
letto
e
trascritto
dal
Pirri.
La
Chiesa
cominciava
ad
apparire
inadeguata
sia
alle
esigenze
dell’accresciuta
popolazione,
sia
ai
dettami
del
Concilio
Tridentino
che
prevedeva
una
più
razionale
sistemazione
delle
strutture
interne
affinché
fossero
ben
distinti
spazi
e
ruoli
dei
fedeli
e
del
clero
officiante.
Così,
nonostante
ancora
nel
1590
l’abside
venisse
prolungata
per
sistemarvi
in
fondo
il
coro
e
lasciare
libera
la
navata
per
i
fedeli,
presto
ci
si
rese
conto
che
era
necessaria
una
soluzione
definitiva,
più
consona
alle
mutate
esigenze
dei
tempi.

Nel
1607
il
Consiglio
Comunale,
presieduto
dal
capitano
di
giustizia
Stefano
Frisella,
deliberava
"di
riedificare
la
Chiesa
Matrice.
Trascorsero
tuttavia
undici
anni
prima
che
avvenisse
la
positura della
prima
pietra,
probabilmente
a
causa
della
penuria
di
fondi
comunali,
impiegati,
in
quel
volgere
di
anni,
in
altre
opere
pubbliche
come
l’acquedotto
da
Rakalia
a
Sultana
e
la
costruzione
della
Chiesa
della
Madonna
della
Cava.
Ma
già
la
Chiesa
Madre
era
ridotta
in
uno
stato
di
degrado
tale
da
non
consentire
più
di
officiarvi
il
culto,
per
cui
tutte
le
attività
parrocchiali
furono
trasferite
nella
Chiesa
del
Salvatore.
Il
problema
della
riedificazione
della
chiesa
era
sentito
da
tutta
la
cittadinanza,
anche
dai
ceti
più
umili,
del
resto
già
presenti
nel
duomo
normanno
sotto
forma
di
confraternita
cui
veniva
affidata
la
cura
e
il
decoro
di
alcune
cappelle.
Da
un
verbale
del
consiglio
comunale
del
1629
apprendiamo
che
alcuni
cittadini,
artigiani
ed
operai,
si
obbligarono
spontaneamente
a
versare,
per
un
periodo
di
dieci
anni,
un
contributo
annuo
di
tre
tarì.
Infine
nel
1656,
in
occasione
della
solennità
del
Corpus
Domini,
la
Chiesa
Madre
veniva
riaperta
al
culto,
essendo
state
ultimate
la
zona
absidale
ed
il
transetto
con
le
sue
cappelle.
Mentre
si
provvedeva
le
strutture
interne,
navate
e
cappelle,
grazie
ai
contributi
comunali
venivano
acquistati
arredi
sacri
ed
opere
d’arte:
la
tela
di
Leonardo
Milazzo
raffigurante
il
martirio
di
San
Tommaso
Becket,
che
veniva
collocata
in
fondo
all’abside;
l’organo
di
Andronico;
un
coro
in
legno
intarsiato;
grandi
statue
in
stucco
che
venivano
addossate
ai
piloni
portanti
del
presbiterio.
Altre
pregevoli
stucchi,
attribuibili
probabilmente
ai
Li
Volsi
o
al
Messina,
ornarono
la
cappella
del
SS.
Sacramento,
turbando
tuttavia,
come
nota
Gioacchino
Di
Marzo,
l’equilibrio
compositivo
dell’icona
gaginesca.
I
lavori
di
completamento
andarono
a
rilento
a
causa
della
difficile
situazione
economica
in
cui
versava
la
città,
piagata
da
carestia
ed
epidemie,
in
parte
devastata
da
un
terremoto
nel
1641
e
da
due
esplosioni
della
polveriera.
Se
le
strutture
principali
della
facciata
furono
portate
a
termine
tra
il
1670
ed
il
1684,
come
attestano
le
date
incise
nelle
scale
a
chiocciola
interne
al
prospetto,
e
se
la
presa
di
possesso
capitolare
avvenne
nel
1692,
come
tramanda
il
Mongitore
nelle
sue
Aggiunte
alla
Sicilia
Sacra
del
Pirri,
sappiamo
per
certo
che
ancora
nel
1709
l’arciprete
Carlo
Francesco
Omodeo
lamentava
al
viceré
Carlo
Spinola
il
mancato
completamento
della
volta
centrale,
delle
vetrate
e
del
pavimento.
Soltanto
nel
1717,
con
fondi
dell’arciprete
Rocco
Rubino
e
oblazioni
dei
fedeli,
la
Matrice
poteva
dirsi
completata,
almeno
all’interno.
La
volta
centrale
era
stata
eseguita
su
progetto
dell’architetto
trapanese
Giovanni
Biagio
Amico,
mentre
il
prospetto
inferiore,
nel
suo
composito
linguaggio
architettonico,
sembra
attribuibile
al
disegno
di
Angelo
Italia.
Il
monumento
si
inseriva
armoniosamente
nel
contesto
architettonico
che
si
andava
sviluppando
nel
cuore
della
città
bastionata
tra
la
fine
del
XVII
ed
il
XVIII
secolo.
Esso
occupava,
con
il
prospetto
principale,
tutto
il
lato
lungo
della
piazza
Loggia,
così
detta
dalle
attività
di
mercato
e
di
cambio
che
pisani
e
genovesi
vi
svolgevano
in
epoca
medioevale.
Alla
sua
destra
sorgeva
il
Palazzo
dei
Giurati
–
odierno
Palazzo
VII
Aprile
–
iniziato
nel
XVI
secolo
ma
completato
tra
il
1726
ed
il
1756;
a
sinistra
la
Chiesa
di
San
Giuseppe,
risalente,
nel
suo
primo
impianto,
alla
fine
del
XVII
secolo.
Alle
spalle
della
zona
absidale,
nei
primi
del
‘700,
veniva
elevata
la
Chiesa
del
Purgatorio
che,
con
il
suo
prospetto
a
colonne
tortili
e
la
prospiciente
fontana
a
volute
e
conchiglie,
amplificava
il
tono
barocco
del
complesso
architettonico.
A
tale
fioritura
di
edilizia
religiosa
controriformista
e
barocca
faceva
riscontro
un
maggiore
fervore
nelle
opere
pie
e
di
culto.
Il
nobile
Girolamo
La
Liotta,
alla
cui
famiglia
spettava
il
patronato
della
cappella
della
Madonna
del
Soccorso,
a
destra
dell’altare
maggiore,
rimasto
vedovo,
si
dedicò
interamente
alla
Chiesa
e
pensò
di
istituire
un
collegio
di
dodici
sacerdoti
che
collaborassero
con
l’Arciprete.
Morto
nel
1599,
come
si
legge
nella
pietra
tombale
murata
dinanzi
all’altare,
donava
alla
cappella
una
cospicua
rendita
annua
per
l’istituzione
della
collegiata,
che
però,
dopo
varie
vicissitudini,
veniva
eretta
soltanto
nel
1692
con
bolla
di
Innocenzo
XII.
Tra
il
XVI
ed
il
XVII
secolo
si
costituivano
inoltre
numerose
confraternite,
rette
da
vari
ceti
e
maestranze,
alle
quali
veniva
affidata
la
cura
delle
cappelle
e
gli
atti
di
culto
che
in
esse
venivano
celebrati.
Oltre
alla
più
antica
"delle
quattro
maestranze",
quella
cioè
dei
sarti,
falegnami,
fabbri
e
calzolai,
ai
quali
spettava
il
patronato
della
cappella
del
SS.
Sacramento,
probabilmente
sin
dal
XV
secolo,
con
la
ripresa
sociale
ed
economica
seguita
alla
battaglia
di
Lepanto
e
con
il
rinnovato
clima
di
fervore
religioso
ispirato
dalla
Controriforma,
andarono
fiorendo
altre
confraternite.
Le
vicende
costruttive
del
monumento
non
si
sono
mai
arrestate:
esso
ha
continuato
a
crescere
e
a
mutare
nel
tempo,
quasi
come
un
essere
vivente.
Sia
l’interno
che
l’esterno
hanno
subito
rifacimenti
durante
gli
ultimi
due
secoli.
Il
composito
aspetto
dell’interno
si
deve
in
parte
al
gusto
dell’arciprete
Giovanni
Morana,
il
quale,
seguendo
la
moda
del
tempo,
nel
1821
faceva
stuccare
ed
imbiancare
cornici,
paraste,
archi
e
capitelli
che
nell’originario
impianto
barocco
erano
in
pietra
arenaria.
In
occasione
di
restauri
seguiti
al
crollo
della
cupola
del
1893,
piloni
ed
archi
furono
rifatti
in
mattoni,
le
cornici
con
pietre
a
faccia
vista.
Poi,
durante
i
recenti
restauri
degli
anni
’60,
fu
riportato
a
pietra
da
taglio
anche
il
cornicione
interno.
Tra
il
1824
ed
il
1827
veniva
eretta
la
cupola,
secondo
il
progetto
del
marsalese
P.
Russo,
la
cui
esperienza
e
senso
artistico
sembra
non
fossero
confortati
da
solidi
studi
tecnici.
La
costruzione
della
cupola
fu
infatti
intrapresa
senza
le
necessarie
opere
di
consolidamento
delle
strutture
portanti,
come
documenta
un
polemico
carteggio
tra
amministratori
comunali
e
autorità
ecclesiastiche.
Nonostante
le
difficoltà
economiche
cui
si
dovette
far
fronte,
venendo
a
mancare
anche
il
contributo
del
Comune,
nel
1827
la
cupola
era
completata.
Già
l’anno
seguente,
in
seguito
ad
alcune
scosse
di
terremoto,
se
ne
rilevava
la
fragilità.
A
causa
delle
lesioni
alle
pareti
dell’abside
e
del
crollo
di
una
delle
grandi
statue
in
stucco
dei
Santi
evangelisti
addossate
ai
piloni
portanti,
l’arciprete
Biagio
Alagna
nel
1855
richiedeva
la
consulenza
di
alcuni
periti.
La
relazione
dell’ingegnere
D.
Francesco
Damiani
rilevò
la
gravità
della
situazione:
i
piloni
di
sostegno
della
cupola
avevano
subito
un
progressivo
affondamento
a
causa
del
peso
eccessivo
che
sopportavano;
uno
di
essi
presentava
delle
lesioni.
Si
consigliava
quindi
di
procedere
al
puntellamento
delle
strutture
e
di
chiudere
la
chiesa
al
culto.
Non
venne
preso
alcun
provvedimento.
E
tuttavia
si
comprendeva
bene
la
gravità
della
situazione
se
nel
1892
si
richiedeva
una
nuova
perizia
all’ingegnere
Giuseppe
Damiani
Almeyda.
Questi
confermava
che
il
peso
sostenuto
dai
piloni
portanti
era
eccessivo
e
rilevava
che
le
fondazioni
della
zona
absidale
erano
poco
sicure
a
causa
delle
particolari
condizioni
del
sottosuolo,
pieno
di
cavità.
I
restauri
proposti
nella
relazione
non
vennero
eseguiti,
probabilmente
per
mancanza
di
fondi
in
un
periodo
storico
che
vedeva
la
confisca
dei
beni
ecclesiastici
e
la
chiusura
di
istituti
religiosi.
Il
culto
venne
trasferito
nella
vicina
Chiesa
del
Collegio
dei
Gesuiti.
Il
9
febbraio
del
1893
crollava
la
cupola,
insieme
a
tre
piloni
di
sostegno,
tre
colonne
della
navata
centrale,
circa
un
terzo
della
copertura.
Sotto
le
macerie
si
perdevano
anche
il
prezioso
organo
di
Andronico,
il
coro
in
noce
intagliato,
l’altare,
il
cancello
in
ferro
battuto
che
chiudeva
l’abside.
Mentre
a
spese
dell’amministrazione
comunale
si
provvedeva
a
puntellare
le
strutture
ancora
integre,
l’arciprete
Pietro
Mezzapelle
si
fece
promotore
dell’istituzione
di
un
comitato
cittadino
e
di
una
commissione
che
avevano
l’incarico
di
promuovere,
sorvegliare
ed
amministrare
le
opere
di
restauro.
Il
progetto
e
la
direzione
dei
lavori
vennero
affidati
all’ingegnere
Damiani
Almeyda,
con
la
collaborazione
del
collega
Brigaglia
e
di
Sebastiano
Cammareri
Scurti.
Grazie
ad
una
sottoscrizione
cittadina
si
provvide
ad
affrontare
le
prime
spese,
ma
venuti
meno
alcuni
importanti
sostegni
economici,
come
quello
del
Comune,
che
solo
in
parte
soddisfece
gli
impegni
assunti,
e
il
ricavato
della
vendita
degli
arazzi
fiamminghi,
che
fu
vietata
dal
Ministero
della
P.I.,
i
lavori
rimasero
fermi
per
qualche
tempo
e
soltanto
per
la
generosità
di
alcuni
privati
si
poterono
saldare
i
debiti
con
la
ditta
appaltatrice.
Alla
fine
del
1902
i
lavori
venivano
ripresi
sotto
la
direzione
dell’ingegnere
Luigi
De
Grossi,
il
quale
dimostrò
competenza
tecnica
e
buon
senso
e
ridusse
i
lavori
di
ricostruzione
a
quelli
indispensabili,
tanto
che
la
cupola
non
fu
elevata
e
sui
solidi
piloni
ed
archi
absidali
in
mattoni
fu
posta
una
provvisoria
copertura
lignea.
Finalmente
il
30
aprile
del
1903
la
Madrice
veniva
riaperta
al
culto.
Altri
lavori
di
restauro
furono
portati
a
termine
nell’arco
di
un
venticinquennio
circa:
fu
completata
la
volta
della
navata
centrale,
le
cappelle
attigue
all’altare
maggiore,
furono
rifatti
il
pavimento,
il
coro,
l’organo
e
l’altare
in
marmo
del
presbiterio.
Ma
la
chiesa
non
poteva
dirsi
ancora
completata,
mancando
la
cupola
ed
essendo
il
prospetto
superiore
ancora
incompiuto,
e
del
tutto
inadeguato
al
decoro
sobrio
ed
armonioso
del
resto
della
facciata.
A
causa
delle
vicissitudini
belliche,
soltanto
nel
1947
si
riprese
il
progetto
Damiani
Almeyda
per
l’erezione
della
cupola.
Promotore
dell’iniziativa
e
finanziatore
dell’impresa
fu
monsignor
Pasquale
Lombardo,
un
marsalese
emigrato
negli
Stati
Uniti
ancora
in
giovane
età
che
aveva
sempre
tenuto
caro
nel
cuore
il
ricordo
della
città
natale
e
il
desiderio
di
dare
lustro
alla
sua
Madrice.
Al
progetto
iniziale
furono
apportate
alcune
modifiche
per
garantire
maggiore
solidità
alle
strutture,
e
furono
utilizzati
materiali
resistenti,
come
il
cemento
armato,
per
il
tamburo,
leggeri,
come
pomice
e
cemento,
per
la
doppia
calotta
della
cupola.
Allo
scopo
di
ridurre
il
carico
sostenuto
dalle
strutture
furono
inoltre
aboliti
i
costoloni.
Nell’estate
del
’51
la
cupola
poteva
dirsi
completa;
fu
ornata
con
un
mosaico
vetroso
che
tuttavia
saltò,
poche
ore
dopo
la
positura,
per
il
calore
dei
raggi
solari.
Si
ricorse
allora
ad
una
pitturazione
in
materiale
plastico
bituminoso
che
negli
anni
’60
–
61
fu
sostituito
con
l’attuale
rivestimento
in
lamine
di
piombo,
idoneo
a
proteggere
la
struttura
in
cemento
armato
dalle
infiltrazioni
piovane.
Anche
per
il
restauro
del
prospetto
venne
incontro
la
munificenza
di
monsignor
Lombardo.
Secondo
il
desiderio
di
questi,
il
progetto
fu
affidato
all’architetto
Pace,
residente
negli
Stati
Uniti,
mentre
fu
scartato
un
vecchio
disegno
dell’architetto
palermitano
Ernesto
Basile,
proposto
dal
comitato
cittadino
che
si
occupava
della
realizzazione
dell’opera.
Superate
le
ultime
difficoltà
burocratiche
e
ritoccato
il
progetto
del
Pace
per
meglio
adattarlo
al
seicentesco
prospetto
inferiore,
i
lavori
furono
portati
a
termine
tra
il
’55
ed
il
’56.
Negli
anni
successivi,
inoltre,
grazie
alla
sollecitudine
dell’arciprete
Andrea
Linares,
il
monumento
ha
subito
importanti
restauri,
sia
alle
strutture
che
agli
arredi,
resi
necessari
sia
dai
danni
recati
dai
bombardamenti
del
1943,
sia
dalle
scosse
sismiche
del
1968.
Sono
stati
riparati
i
tetti,
sostituite
alcune
colonne
della
navata
centrale,
restaurati
altari,
cancelli,
tele
e
arredi
tra
cui
il
maestoso
organo.
Grazie
poi
a
lasciti
di
monsignor
Lombardo,
sono
state
anche
riparate
le
pareti
laterali
esterne.
Ancora
all’inizio
degli
anni
ottanta,
nell’abside
veniva
collocato
l’altare
liturgico
ed
innalzato
il
pavimento.
La
cattedrale
di
Marsala
si
presenta
con
base
basilicale
e
prospetto
di
duomo:
la
parte
inferiore
della
facciata
è
in
stile
barocco
mentre
quello
superiore
così
come
i
campanili
completati
dopo
un
secolo
dalla
conclusione
della
costruzione
sono
tipici
del
barocchetto.
Il
bell’interno
è
una
mescolanza
di
arte
normanna
(soprattutto
l’altare
maggiore
e
i
particolari
di
alcune
cappelle)
e
di
barocco.
La
struttura
attuale,
risalente
al
XVII°
secolo,
misura
80
metri
in
lunghezza,
36
in
larghezza
e
25
in
altezza.
Partendo
dalla
navata
destra,
suddivisa
in
sette
campate,
si
possono
ammirare
alcune
opere
d’arte
fra
cui
il
fonte
battesimale
in
marmo
del
XVII°
secolo,
una
tela
settecentesca
posta
sull’altare
che
raffigura
San
Cristoforo,
il
dipinto
di
Santa
Rosalia,
la
statua
della
Madonna
della
Grotta,
alcuni
sarcofagi,
un’acquasantiera
del
1543,
la
tela
barocca
con
la
Sacra
Famiglia,
un
crocifisso
in
legno
del
XV°
secolo
opera
di
De
Crescenzo
e
una
scultura
realizzata
in
legno
e
tela
della
Madonna
Addolorata.
Altrettanto
preziosi
sono
i
capolavori
che
impreziosiscono
la
navata
di
sinistra
del
duomo
a
iniziare
dal
Sant’Eligio
in
legno
del
XVIII°
secolo
(cappella
di
San
Giovanni
Nepomuceno);
la
tela
in
stile
tardo
gotico
della
Madonna
di
Portosalvo
e
due
affreschi
votivi
(cappella
dei
santi
Simone
e
Giuda);
un’acquasantiera
in
marmo
bianco
di
Carrara
del
1474;
un
altare
in
legno
e
vetro
dipinto
del
XIX°
secolo
e
due
angeli
in
marmo
(cappella
della
Madonna
del
Rosario);
un
altare
marmoreo
e
la
statua
della
Madonna
del
Carmelo
(cappella
della
Santissima
Trinità).
Di
pregio
sono
inoltre
la
tela
di
Antonello
Riccio
del
1953
intitolata
Purificazione
di
Maria
al
Tempio
collocata
nel
transetto
destro
del
duomo;
una
statua
del
Sacro
Cuore
e
la
sepoltura
del
vescovo
di
Nemesi
Isidoro
Spanò,
entrambe
nel
transetto
sinistro.
L’abside
accoglie
invece
il
dipinto
che
raffigura
il
Martirio
di
San
Tommaso
Becket
realizzato
nel
1656
da
Leonardo
Milazzo
e
sempre
qui
vi
sono
un
grande
organo
costruito
nel
1915,
l’altare
di
marmo
del
1929,
il
coro
in
legno
intarsiato
con
otto
scranni
per
lato
e
il
crocefisso
del
XVIII°
secolo.
Nelle
terre
dei
Fenici
e
del
Sale

Poteva
disporre di trentaquattro rematori per lato: il relitto della nave punica
custodito nel Baglio Anselmi di Marsala getta luce sulle imbarcazioni con
cui quei grandi navigatori raggiunsero le coste sicule. È la fine
dell’VIII secolo a.C. e i Cartaginesi, attratti dalla sicurezza della
laguna dello Stagnone, fondano Motya, che ben presto diviene una
delle città più prospere del Mediterraneo. Collegata alla terraferma da
una strada oggi sommersa dal mare, Mozia sprigiona un magnetismo
particolare, merito del fascino di antiche civiltà (pare che nel
santuario dedicato al dio Baal Hammon si celebrassero, oltre a quelli
animali, macabri riti con sacrifici di bambini) e della sfuggente bellezza
del Giovane in tunica, capolavoro della scultura greca del V secolo
a.C. Alcuni studiosi pensano si tratti di Alcimedonte, l’auriga alla
guida del carro di Achille: ecco perché la scultura, custodita nel Museo
Whitaker sull’isola, è nota anche come Auriga di Mozia.
Nel
XIX secolo gli inglesi sono di casa da queste parti. È grazie
all’imprenditore Joseph Whitaker che questo passato unico riemerge
dall’oblio ed è a Marsala, l’antica Lilibeo erede di Mozia,
che hanno il loro quartier generale i grandi produttori di marsala. Nel
1832 Vincenzo Fiorio costruisce le cantine sulla spiaggia di Marsala, fra
i bagli di Ingham e Woodhouse, utilizzando uno stile anglosassone con
grandi arcate a sesto acuto. Il successo è clamoroso e l’affermazione
del marsala va a braccetto con la straordinaria epopea di famiglia. Da qui
un tempo partivano le navi della compagnia cariche del prezioso nettare e
qui, ancora oggi, si produce il vino liquoroso più famoso al mondo.
Il
profilo inconfondibile dei mulini a vento segna l’ingresso alle saline,
lungo la costa a sud di Trapani. Le vasche di raccolta e le piramidi di
candido minerale sono un pallido ricordo dell’antica attività
produttiva, favorita dall’alta concentrazione di sale, oggi fortemente
ridimensionata nella quantità, ma non nel fascino, di una delle aree
umide più importanti d’Europa.
Chiesa
di
Santa
Maria
dell'Itria
La Chiesa
di
Santa
Maria
dell'Itria,
chiamata
sinteticamente
dai
marsalesi Chiesa
dell’Itria e
volgarmente
anche Chiesa
del
Cimitero (in
quanto
sita
accanto
al cimitero
urbano di Marsala)
è
dedicata
alla Madonna
Odigitria patrona
principale della Sicilia.
La
chiesa,
con
annesso monastero sede
dell'Ordine
degli
agostiniani
scalzi sorge
sopra
una grotta nella
quale
si
venera
la
sacra
immagine
della Madonna
dell'Itria del
secolo
VIII,
dipinta
su
tela
che
raffigura Maria con
le
mani
rivolte
verso
l'alto
con
il
bambino
poggiato
su
una
cassa,
sostenuta
da
due eremiti.
La chiesa e
il monastero sono
stati
costruiti
tra
il XVII e
il XVIII secolo
in
seguito
al
ritrovamento
del
dipinto
della Madonna
dell'Itria
e
del
miracolo
adesso
collegato.
Fin
dalla
sua
istituzione
la
chiesa
e
il
monastero
sono
la
sede
degli agostiniani
scalzi
di
Marsala.
Per
un
lungo
periodo
gli agostiniani
scalzi
di
Marsala sono
stati
accorpati
a
quelli
di Palermo e
la
chiesa
con
annesso
monastero
sono
stati
gestiti
dalla
sede
di Palermo.
Successivamente
si
è
aperta
una
diatriba
legale
portata
avanti
dalla diocesi
di
Mazara
del
Vallo,
che
ne
dichiarava
l’appartenenza
e
la
proprietà
in
quanto
sita
nel
suo
territorio
e
ne
chiedeva
la
“gestione”,
ottenendo
successivamente
l’esito
sperato.
Oggi
la
chiesa
fa
parte
della diocesi
di
Mazara
del
Vallo,
e
gli agostiniani
scalzi
di
Marsala hanno
ottenuto
l’autonomia.

La
Chiesa
-
L'interno
della
chiesa
è
molto
diverso
dallo
stile
originario,
in
quanto
fu
gravemente
danneggiato.
Durante
le
guerre
e
i
conflitti
tra
i
quali
la seconda
guerra
mondiale i
soldati
si
rifugiarono
all'interno
della
chiesa
e
per
riscaldassi
dal
freddo
accendevano
al
suo
interno
del fuoco e
dei falò bruciando
tutto
quello
che
era
di
arredo
nella
chiesa
ivi
compresi
anche opere
d'arti e dipinti di
estremo
valore
sia
culturale,
spirituale
e
anche
economico.
L'esterno
invece
ha
mantenuto
il
prospetto
e
lo
stile
architettonico
originale.
L'esterno
della
chiesa
è
di
stile barocco mentre
l'interno
è
in
stile neoclassico.
La
facciata
delle
chiesa
è
di
chiaro
impatto barocco,
e
si
erge
un portale di
ingresso
con
ai
due
lati
due colonne
tortili su
alti
plinti
che
reggono
un timpano
spezzato barocco.
All’interno
del
timpano
è
presente
una nicchia realizzata
con pietra
bianca dove
è
collocata
una
statua
della Madonna
dell’Itria con
le
mani
rivolte
verso
l’alto
e
con
il Bambino
Gesù su
una
cassa
sorretta
da
due
eremiti.
Ai
due
lati
della
nicchia
e
quindi
anche
ai
due
lati
della
Madonna
sono
presente
altre
due
statue.
Il
tetto
dell'edificio
di
culto
e
sormontato
da
una croce,
e
tra
il
muro
della
facciata
e
il
tetto
del
monastero
si
trova
un
piccolo
campanile
con
tre
nicchie
di
qui
quella
centrale
più
grossa
che
sono
occupate
dalle
le
tre
campane
della
chiesa.
L’interno
della
chiesa
in
stile neoclassico è
a navata
unica,
con
un altare
maggiore e
con altari
minori
laterali ai
lati
della navata.
La
copertura
dell’edificio
è
ha botte
lunettata.
Ogni altare
minore
laterale ha
un tabernacolo i marmo,
anche
sull’altare
maggiore e
presente
un tabernacolo utilizzato
per
conservare
la Santissima
Eucaristia.
Accanto
all’ingresso
sul
lato
destro
e
presente
un
cancello
che
porta
alla grotta dove
fu
trovato
il
dipinto
della Madonna
dell'Itria.
Sempre
sul
lato
destro
vicino
all'ingresso
è
presente
un sarcofago dove
riposano
le
spoglie
mortali
di
Padre
Elia
di
Gesù
e
Maria padre
agostiniano
scalzo marsalese,
al
quale
nel 2016 in
occasione
del
suo
385º
anniversario
della
nascita
gli
è
stata
intitolata
una
via.
All’interno
della
chiesa
sono
presenti:
-
un crocifisso ligneo del settecento,
-
quattro
dipinti
raffiguranti
la
storia
di
Sant'Agostino
-
una
statua
raffigurante Sant’Agostino
-
una
statua
di Nicola
da
Tolentino.
-
una
statua
di Santa
Rita
da
Cascia posta
nell'presbiterio dell'altare
maggiore.
Inoltre
sono
presenti
degli affreschi e
nell'abside
centrale dell’altare
maggiore è
presente
un
dipinto
della Sacra
Famiglia:
si
tratta
di
una
copia
de Le
due
Trinità
di
Bartolomé
Esteban
Murillo,
di
cui
l'originale
è
conservato
alla National
Gallery
di
Londra.
La
grotta
-
La grotta,
alla
quale
si
accede
da
un
cancello
collocato
sul
lato
destro
della
chiesa
vicino
all’ingresso,
è
provvista
di
una
scalinata
in
pietra
e
marmo
con
balaustra in
pietra.
La
parete
superiore
della
grotta
presenta
decorazioni
in
stucco
del settecento in basso
rilievo realizzate
dal
marsalese Vincenzo
Giglio che
raffigurano
degli angeli che
sorreggono
una corona con
dietro
un
sipario
in
gesso;
la
parte
sommitale
è
dipinta
di
azzurro
con
stucchi
bianchi.
All’interno
della
grotta
si
erge
un
altare
decorato
con
marmi
mischi.
Sopra
l’altare
era
collocata
l’immagine
della Madonna
dell’Itria in
olio
su
tela
raffigurante Maria
Santissima con
le
mani
rivolte
verso
l’alto
e Gesù
bambino sopra
ad
una
cassa
sorretta
da
due eremiti.
Nel 2018 è
stato
scoperto
e
riportato
alla
luce
dopo
un
intervento
di restauro un affresco del 1200 raffigurante
una Vergine
orante,
con
le
mani
rivolte
verso
l'alto
senza
il bambinello.
L’affresco
era
stato
coperto
da
altri
affreschi
dipinti
su
di
esso
e
poi
infine
coperto
con
la
tela
raffigurante
la
Madonna
dell’Itria.
Area
Archeologia
dei
Niccolini
-
Catacombe
dei
Padri
Niccolini
-
Adiacenti
alla
Chiesa
dell’Itria
e
contigue
al convento dei Padri
Agostiniani è
presente
l’area
archeologia
dei
Niccolini
dove
sono
presenti
le catacombe dei Padri
Niccolini.
Durante
un
lavoro
di
scavo
è
stata
scoperta
un parete
rocciosa di
una
chiesetta
ricavata
nella latomia e
decorata
con
un
grande affresco ora
perduto.
Ingrottati
-
Adiacente
all’area
archeologia
dei
Niccolini
con
annesse
catacombe
si
trova
una
scala,
dalla
quale
si
accede
agli
ingrottati
sottostanti.
Negli
ingrottati
sono
presenti
vari arcosoli ad
adornare
le catacombe:
due
di
essi
sono
dipinti
con
nastri,
fiori
e
ghirlande,
e
tre
sono
disposti
a
croce;
nell'insieme
formano
un
vasto
complesso
decorato
con rose su
fondo
bianco
che
sta
a
simboleggiare
la
primavera
eterna
nella
vita
dell’oltretomba con
un'iscrizione in
lingua
greca
dipinta
di
colore rosso adornata
con
decorazioni
di
ghirlande
a
treccia.
Inoltre
sono
presenti
altri
due
complessi
contigui
con
una pavimentazione realizzata
a mosaico policromo dove
è
raffigurato
un
vaso
biansato dal
cui
interno
sgorgano zampilli
d’acqua,
in
tutto
adornato
con
decorazioni
floreali.
Nelle
pareti
sono
dipinte
scene
di caccia,
dove
fa
da
scenario
sullo
sfondo
un
paesaggio
con
alberi
e
arbusti.
Nella
scena
dipinta
inoltre
sono
presenti
una
lepre
e
un edificio
colonnato.
Chiesa
del
Carmine e
Convento
dell'Ordine
della
Beata
Vergine
del
Monte
Carmelo

Nell'angolo
occidentale
della
città
di
Marsala,
nel
quartiere
dell'Annunziata,
i
Carmelitani
costruirono
la
chiesa
ed
il
convento.
L'area
prescelta
corrisponde
alla
piazza
denominata
del
Carmine
(dove
si
trova
anche
il
barocco
palazzo
Grignani)
che
è
in
realtà
uno
slargo
pressoché
rettangolare
che
amplia
notevolmente
una
strada
dell'antico
tracciato
urbanistico
di Lilibeo.
Alla
fine
del
XIII
secolo,
i
frati
erano
certamente
in
Sicilia
occidentale,
dove
sembra
siano
giunti
nel
1224
e
dove
a
partire
dal
1315
realizzarono
la
chiesa
e
il
loro
convento
fuori
le
mura,
divenuto
polo
di
attrazione
e
meta
di
pellegrinaggi
in
onore
della
Madonna
detta
di
Trapani,
opera
di
Nino
Pisano
del
XIV
secolo.
A
Marsala
non
resta
alcuna
traccia
della
chiesa
e
del
monastero
carmelitano,
dove
i
frati
si
insediarono
al
loro
arrivo.
Le
poche
notizie
sull'ordine
vengono
riportate
dagli
storici,
ma
essi
concordano
solo
su
una
data
piuttosto
dubbia,
quale
il
1154/1155
o
il
1200
circa.
Il
complesso
carmelitano
che
è
giunto
fino
a
noi
è
composto
da
tre
parti
significative:
la
chiesa,
il
convento
e
la
torre
campanaria.
Il
Campanile
-
In
Sicilia
Occidentale
non
si
hanno
molti
casi
di
campanili
isolati
dal
complesso
monumentale
di
cui
fanno
parte.
Il
campanile
ottagonale
della
chiesa
del
Carmine,
che
presenta
una
bella
e
centrale
scala
elicoidale
in
pietra
calcarenitica,
quando
suonava
"a
mortorio"
si
muoveva,
terrorizzando
chi
si
trovava
al
suo
interno.
Questo
campanile,
una
delle
meraviglie
del
mondo
per
il
suo
moto
oscillatorio,
era
considerato
fino
a
non
molti
anni
or
sono,
secondo
la
tradizione
riferica
dal
Genna,
una
delle
torri
di
guardia
di Lilibeo.
Ma
le
scoperte
degli
ultimi
anni
hanno
consentito
di
verificare
con
buona
approssimazione
l'ampiezza
dell'antica
città
punica,
il
cui
perimetro
murario
era
ubicato
molto
più
a
sud
della
torre
in
esame,
e
fanno
escludere,
per
forma
e
posizione,
l'eventualità
di
un
riuso
di
un'antica
struttura
punico-romana.
Il
Villabianca
sostiene
che
nel 1490 il
padre
Ludovico
Petrulla,
provinciale
dell'ordine
carmelitano,
lodato
maestro
di Filosofia e dottore
in
teologia che
insegnò
Scienze
a
Parigi,
acquistò
con
il
contributo
del
nipote
Niccolò,
nobile
marsalese,
il
campanile
ed
alcune
case
adiacenti
alla
chiesa,
per
ampliare
e
rifondare
il
complesso.
La
torre
del
Carmine
sarebbe
stata
realizzata
secondo
il
Villabianca
sull'antica
torre
nel
1513
dallo
stesso
Petrulla,
morto
in
realtà
nel
1504
come
attesa
la
lapide
funeraria
originariamente
al
Carmine
e
oggi
nella
Cattedrale.
Ma
la
data
di
fondazione
della
torre,
nonostante
l'evidente
malinteso
sull'autore-committente,
è
perfettamente
corretta.
La
torre,
giunta
fino
a
noi
nella
versione
settecentesca,
è
stilisticamente
pertinente
il
linee
generali
alla
incompiuta
torre
campanaria
della
chiesa
di
S.
Domenico
a Trapani,
anch'essa
di
impianto
ottagonale.
Ma
già
nel
1684
la
torre
campanaria
fu
restaurata
con
il
rifacimento
delle
fondazioni.
Non
si
possono
però
attribuire
alla
fabbrica
comprata
in
precedenza
i
limiti
statici
manifestati
dalla
torre
campanaria,
poiché
se
la
torre
acquistata
fosse
stata
tutt'al
più
una
casa
torre,
un
genere
di
abitazione
di
tipo
fortificato
abbastanza
diffuso
in
Sicilia
occidentale,
come
la
torre
De
Ballis
ad Alcamo,
essa
sarebbe
stata
molto
solida.
Torri
del
genere
sono
del
tutto
scomparse
a
Marsala,
quasi
certamente
fagocinate
in
ristrutturazioni
barocche.
La
chiesa
dell'Annunziata
-
La
chiesa
dell'Annunziata
venne
rinnovata
dopo
il
1490.
La
chiesa
più
antica
divenne
sacrestia
della
nuova,
e
le
case
vennero
trasformate
in
cappelle.
Una
di
esse,
dedicata
a sant'Onofrio,
con
una
ormai
perduta
statua
marmorea
divenne
la
sepoltura
dei
Petrulla
e
della
sua
famiglia.
Ancora
nel
1500,
il
Petrulla
innalzò
una
cappella
per
la
famiglia
Grignani
nella
quale
venne
sistemata
la
statua
della
Madonna
del
Popolo,
opera
di Domenico
Gagini del
1490,
oggi
conservata
nella
cattedrale
di
Marsala.
La
chiesa
venne
dotata
di
un
portico
antistante
l'ingresso,
originariamente
coperto
con
solaio
ligneo,
con
tre
fornici
e
l'arco
centrale
più
ampio
degli
altri
due.
Solo
in
un
secondo
tempo
il
portico
venne
sopraelevato
e
il
solaio
sostituito
da
volte
a
crociera,
quando
il
rifacimento
del
convento
comportò
una
ridefinizione
dei
prospetti.
Il
portale
di
accesso
è
però
l'unico
a
rispondere
appieno
ai
dettami
rinascimentali,
sebbene
il
suo
spigolo
conformato
a
sottile
colonna
presenti
ancora
un
attardamento
di
tipo
quattrocentesco;
il
portico,
con
colonne
in
pietra
calcarenitica,
presenta
negli
spigoli
dei
piedritti
lo
stesso
motivo
a
bastone
quattrocentesco,
mentre
è
pienamente
rinascimentale
nell'uso
dell'arco
a
tutto
sesto.
Rinascimentale
è
anche
il
motivo
delle
finestre
del
primo
piano,
sovrastanti
portico
e
portale
di
accesso
al
convento,
datato
1650,
simili
a
quelle
che
adornano
tutto
il
primo
piano
del
Quartiere
militare.
Le
discrete
condizioni
economiche
dell'ordine
carmelitano
portarono
ad
un
forte
rimaneggiamento
della
chiesa
in
età
barocca:
l'impianto
venne
ridisegnato
in
una
navata
unica,
coperta
da
un dammuso lunettato,
con
alte
finestre
sugli
arconi
laterali
che
individuavano
le
cappelle.
La
chiesa
fu
quindi
sopraelevata,
come
dimostra
il
tetto
a
due
falde
che
sovrasta,
in
modo
poco
elegante,
portico
e
piano
attico
sovrastante.
La
chiesa,
con
eccezione
dell'ex
cappella
della
Madonna
del
Popolo,
al
suo
interno
è
ormai
una
larva
del
suo
passato.
Numerose
lapidi
tombali
ne
decoravano
pavimenti
e
pareti:
-
la
lapide
tombale
della
sepoltura
del
notaio
Barone
Rosario
Alagna
di
Mozia
(1799);
-
i
raffinati
sarcofagi
dei Requesens (sepoltura
di
Bernardo
Requesens
† 1539,
oggi
collocata
nella cattedrale
di
San
Tommaso
di
Canterbury);
-
i
sepolcri
della
famiglia
Grignani,- che
avevano
eletto
la
chiesa
a
proprio
mausoleo
(sepoltura
di
Antonio
Grignano
†
1475
opera
di Domenico
Gagini,
oggi
collocata
nella cattedrale
di
San
Tommaso
di
Canterbury);
-
la
pietra
tombale
di
donna
Barbara
Grifeo
† 1552 (famiglia Grifeo),
trasferita
in cattedrale;
-
i
sarcofagi
di
Ludovico
Petrulla,
carmelitano
marsalese
filosofo
e
teologo
† 1504 e
di
Filippo
Maria,
procuratore
generale
dell'Ordine
dei
Carmelitani † 1612 trasferiti
in cattedrale;
facevano
dell'Annunziata
uno
dei
monumenti
rinascimentali
più
importanti
della
città.
Il
crollo
del
tetto
della
chiesa
tardobarocca
e
la
distruzione
di
gran
parte
dei
suppellettili
a
seguito
dei
bombardamenti,
fanno
dell'insieme
un
monumento
fortemente
compromesso
anche
da
un
restauro
che
mostra
ormai
pesantemente
il
segno
del
mutamento
della
disciplina
del
tempo.
Oggi
l'ambiente
della
chiesa
è
freddo,
glaciale,
non
aiutato
dalla
bianca
pavimentazione
in
marmo,
da
una
scala
a
chiocciola
in
ferro
nell'aula
e
dalle
coperture
rimaste
a
vista
(non
è
stata
ricostruita
la
finta
volta
che
chiudeva
il
soffitto).
Negli
ultimi
anni
la
chiesa
è
stata
adibita
a
biblioteca
comunale,
cui
si
aggiunsero
nel
1979
i
ritrovati
documenti
dell'archivio
storico.
Completati
i
lavori
di
restauro
del
monastero
di
San
Pietro,
nel
luglio
1996,
la
biblioteca
è
stata
riportata
nella
sede
originaria,
mentre
l'archivio
storico
comunale
è
rimasto
nella
chiesa
dell'Annunziata.
Il
convento
della
chiesa
dell'Annunziata
-
Il
convento,
è
uno
dei
monumenti
di
maggior
rilievo.
Gli
elementi
più
antichi
del
convento
risalgono
al
tre-quattrocento.
La
presenza
di
affreschi,
di
difficile
identificazione,
data
l'estrema
frammentarietà
e
precarietà
del
ritrovamento,
getta
tuttavia
nuova
luce
sulla
presenza
di
decori
artistici
negli
ambienti
religiosi,
in
specie
conventuali,
della
città
di
Marsala. In
considerazione
del
fatto
che
tali
affreschi
potrebbero
scendere
fino
ai
secoli
XV-XVI
inoltrati,
la
scoperta
dimostra
che
anche
a
Marsala
perdura
uno
stile
ben
noto
in
Sicilia
Orientale,
molto
presente
anche
nel
complesso
(oggi
completamente
abbandonato)
della
chiesa
della
Madonna
della
Grotta,
correntemente
definito
"Bizantino".
Stile
quasi
introvabile
in
altri
centri
della
Sicilia
Occidentale.
Gli
affreschi
adornano
gli
ingrottati
e
le
chiese
fin
dal Medioevo e
che
si
attarda
fino
alle
soglie
del Rinascimento.
Ciò
dimostra
che
tale
tradizione
culturale
e
al
contempo
religiosa
era
molto
diffusa
nell'ambiente
cittadino,
ancora
nel
pieno Rinascimento,
come
nel
caso
della
chiesa
della
Cava,
e
questa
consapevolezza
permetterà
in
futuro
di
guardare
positivamente
e
con
più
attenzione
ai
restauri
degli
edifici
medievali
della
città,
che
relativamente
a
questo
periodo
storico
attende
ancora
di
essere
rilevata.
1862
il
convento
venne
acquisito
al
demanio
e
divenne
proprietà
dell'Intendenza
di
Finanza
che,
tra
la
fine
dell'Ottocento
e
gli
inizi
del
secolo
XIX,
lo
concesse
all'Arma
dei
Carabinieri a
cavallo.
Dopo
la
guerra,
i
Carabinieri
lasciarono
il
convento
e
così
il
monumento
cominciò
a
patire
il
dramma
dell'abbandono
che
produsse
un
crollo
parziale
del
complesso,
seguito
dall'abbattimento
del
piano
superiore
per
tutelare
la
pubblica
incolumità.
Ciò
trasformò
il
convento
in
una
selva
boschiva
densa
di
macerie
vecchie
e
nuove.
I
lavori
di
restauro
degli anni
novanta,
riaprendo
gli
intercolumni
hanno
ripristinato
l'ariosità
del
chiostro;
al
suo
interno
sono
conservati
alcuni
frammenti
ed
una
intera
colonna
ritrovati
nei
reinterri
della
corte
porticata.
Quasi
al
centro,
la
traccia
di
un
pozzo
e
di
una
vasca
mostrano
i
segni
di
ambienti
sotterranei
dall'uso
incerto,
che
si
auspica
in
futuro
possano
essere
indagati.
Essi,
data
la
tradizione
dell'architettura
lilibetana,
caratterizzata
da
ambienti
cultuali
ipogeici
di
origine
paleocristiana
o
da
ambienti
utilitaristici,
quali
cisterne
o
possibilmente
da
cripte
di
età
imperiale
non
del
tutto
peregrini
in
tale
zona
della
città,
potrebbero
essere
forieri
di
nuove
ed
interessanti
scoperte.
Complesso
del
Carmine
-
Oggi,
il
convento
del
Carmine
è
sede
dell'Ente
Mostra
di
Pittura
Contemporanea
Città
di
Marsala,
e
recentemente
ha
ospitato
le
opere
del
pittore
milanese Fabrizio
Clerici,
e
vengono
realizzate
mostre
temporanee.
Al
suo
interno
è
esposta
anche
la
collezione
permanente.
Inoltre
è
anche
Sede
di
Rappresentanza
del
Comune
di
Marsala,
e
al
suo
interno
è
ubicata
la
sala
di
rappresentanza
dove
oggi
vengono
celebrati
i matrimoni
a
rito
civile.
La
Chiesa
fino
a
qualche
tempo
fa
era
sede
dell'archivio
storico
della
città,
oggi
trasferito
presso
la
biblioteca
comunale.
Al
suo
posto
verrà
trasferita
la Pro
loco.
Il
campanile
ancora
oggi
appartiene
alla Curia (Diocesi
di
Mazara
del
Vallo),
attualmente
e
chiuso
ma
a
breve
sarà
possibile
visitarlo.
Chiesa
di
San
Giovanni
Battista

La Chiesa
di
San
Giovanni
a
Marsala è
intitolata
al
compatrono
della
città
ed
è
un
edificio
molto
semplice
con
al
suo
interno
un
solo
altare,
di
gusto
classicista,
sul
quale
è
collocata
una
pregevole
statua
di
San
Giovanni
Battista
attribuita
ad
Antonello
Gagini,
sormontata
dal
monogramma
di
Gesù
HJS,
simbolo
dei
Gesuiti.
L’edificio
è
stato
costruito
in
epoca
imprecisata,
probabilmente
tra
il
XII
e
il
XIII
secolo
d.C.,
su
un
edificio
riconducibile
all’età
bizantina.
Nel
1554
fu
demolito,
come
tutti
gli
edifici
fuori
dalle
mura,
su
ordine
del
capitano
d’armi
Giovanni
Pignoso,
intento
a
costruire
le
fortificazioni
della
città,
ma
le
proteste
della
popolazione
portarono
alla
sua
riedificazione
nel
1576.
Dopo
un
crollo
agli
inizi
del
secolo
scorso,
nel
1929
la
copertura
fu
restaurata
e
l’edificio
munito
del
portale
manieristico
di
marmo
della
Chiesa
di
Sant’Andrea,
andata
distrutta.
L’edificio
si
presenta
a
pianta
semplice
con
muri
intonacati
e
angoli
realizzati
con
i
conci
a
vista
mentre
la
copertura
lignea,
a
doppia
falda
è
ricoperta
da
tegole.
All’interno
si
può
vedere
un
altare
di
gusto
classico
sul
quale
si
trova
la
statua
in
marmo
di
S.
Giovanni
Battista,
attribuita
ad
Antonella
Gagini
e
il
monogramma
dei
Gesuiti
JHS;
sulla
parete
di
sinistra
un
crocifisso
tardo-barocco.
Fondamentale
è
la
documentazione
venuta
alla
luce
durante
il
restauro
del
2005-2008
che
ha
portato
alla
luce
la
pavimentazione
secentesca
in
maiolica
policroma
con
mattonelle
a
forma
trapezoidale
che
si
alternano
creando
un
motivo
geometrico.
La
chiesa
è
costruita
sopra
una
grotta
scavata
nella
roccia
proprio
nei
pressi
di
una
sorgente,
considerata
essenziale
per
la
scelta,
nel
397
a.C.,
del
sito
per
la
fondazione
della
città
da
parte
dei
moziesi
in
fuga
dopo
la
distruzione
dell’isola
da
parte
di
Dioniso
di
Siracusa.
La
grotta
è
ritenuta
da
sempre
dimora
della
Sibilla
Cumana
o
Sicula.
A
partire
dal
‘700
la
chiesa
divenne
meta
privilegiata
di
tutti
i
viaggiatori
che
visitassero
la
città,
come
testimoniano
gli
innumerevoli
racconti
di
viaggio
a
Marsala
in
cui
è
evidente
l’interesse
per
la Grotta
della
Sibilla.

Grotta
della
Sibilla
-
L’accesso
all’antro,
posto
a
quasi
5
metri
al
di
sotto
del
livello
della
chiesa,
è
consentito
attraverso
due
accessi.
La
grotta
si
compone
di
tre
ambienti.
La
presenza
di
una
sorgente
d’acqua,
che
serve
una
vasca
quadrata
nell’ambiente
circolare
centrale,
è
stata
molto
importante
nell’antichità
per
l’approvvigionamento
idrico.
Nel
II-III
sec
d.C.
l’antro
fu
utilizzato
molto
probabilmente
come
ninfeo
o
sala
da
bagno,
collegata
ad
un
edificio
superiore,
mentre
i
primi
cristiani
lilibetani
ne
fecero
un
battistero.
Gli
ambienti
ipogeici
sembrano
essere
stati
utilizzati
come
luogo
di
culto
di
riti
legati
all’uso
dell’acqua.
Proprio
davanti
alla
sorgente,
in
una
nicchia
scavata
nella
roccia,
vi
è
una
pregevole
statua
in
marmo
alabastrino
di
San
Giovanni
Battista,
attribuita
allo
scultore
Domenico
Gagini.
Data
la
presenza
della
fonte,
la
leggenda
narra
che
qui
Ulisse
sia
venuto
a
dissetarsi,
data
anche
la
prossimità
del
sito
al
mare.
All'interno
della
grotta
si
trova
un
giaciglio,
che
sembra
quasi
scavato
con
le
mani
nella
roccia,
dove
la
Sibilla
riposava.
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