Isole Egadi
(Favignana, Levanzo, Marettimo, Maraone, Formica, Galera,
Galeotta, Preveto, Fariglione, Isole dello Stagnone)
(Trapani)
  

   

Le isole Egadi sono un arcipelago a cavallo tra basso Tirreno e canale di Sicilia. Posto a circa 7 km dalla costa occidentale della Sicilia, fra Trapani e Marsala, nel libero consorzio comunale di Trapani, l'arcipelago consta di tre isole e due isolotti, più una serie di scogli e faraglioni.

Oggi non c’è più traccia delle capre che avrebbero dato il nome alle Egadi. Aegates le chiamavano gli antichi, riferendosi a quegli animali selvatici. E sono spariti pure i cervi raffigurati nella Grotta del Genovese durante la preistoria. Fortunatamente, sopravvive una natura selvaggia e a tratti incontaminata.  

Viste da Erice, si comprende come le Egadi, in un remoto passato, siano state un frammento della punta più occidentale della Sicilia. Favignana, Levanzo e Marettimo sono le principali, ma le acque pullulano di faraglioni, scogli e isolotti, tra cui Formica e Maraone. Come lati di un prisma, ognuna sfoggia il suo vestito migliore. Accessibile e ammiccante Favignana, scenografica e “primitiva” Levanzo, dirupata e adatta ai solitari Marettimo. E la natura che regna sovrana, anche grazie all’istituzione dell’Area marina protetta. Poche le comodità: prevalgono le baie rocciose, le scogliere e le falesie, un vento costante e un mare dai riflessi incantevoli, zeppo di tesori sommersi, generati dalla natura come le praterie di posidonia e i coralli, o perduti dall’uomo durante battaglie navali e naufragi.

Crocevia delle rotte mediterranee, alle Egadi la storia riemerge in più punti. È il 241 a.C. quando i Cartaginesi perdono definitivamente il controllo della Sicilia, il loro possedimento più settentrionale. Uno scontro navale epico si consuma proprio di fronte a Levanzo, intorno a capo Grosso: nella fretta dell’assalto i Romani non fanno in tempo a tirare su le ancore, ma tagliano le cime per intercettare la flotta cartaginese che muove da Marettimo. Il risultato è tragico per gli africani, con cinquanta navi affondate e settanta catturate.

Con la fine della Prima guerra punica la Sicilia entra definitamente nell’orbita romana. E se rostri di navi, elmi e ancore raccontano di quelle antiche storie di mare, è la tonnara di Favignana a riportarci al presente. L’epopea dei Florio è una delle più belle pagine di storia familiare del nostro Paese e ha lasciato in eredità non solo splendide architetture, ma anche un modello imprenditoriale raramente eguagliato.

Dal punto di vista geologico le isole Egadi sono strettamente collegate con la Sicilia; l'arcipelago, di 37,45 km², è formato dalle isole Favignana, Marettimo, Levanzo e diverse altre minori, alcune poco più che scogli

Fanno parte dell'arcipelago: Isola di Favignana - Isola di Levanzo - Isola di Marettimo - Isola di Maraone - Isola Formica - Isole dello Stagnone - Isola Galera - Isola Galeotta - Isola Preveto - Fariglione.

Tracce di antichissimi insediamenti umani si hanno principalmente a Levanzo e in misura minore a Favignana. Si suppone che ciò avvenne a causa dell'ultima glaciazione, che creò un passaggio naturale tra Africa e Sicilia.

Nel 241 a.C. i Romani conquistarono le isole dopo la battaglia navale finale della Prima Guerra Punica, nella quale Gaio Lutazio Catulo sbaragliò la flotta cartaginese. Dopo il crollo dell'impero romano le isole caddero in mano dei Vandali e dei Goti ed in seguito dei Saraceni.

Nel 1081 vennero occupate e fortificate dai Normanni. Seguirono poi il destino della Sicilia fino al XVI secolo, quando divennero proprietà dei Pallavicini-Rusconi di Genova e poi, nel 1874, dei Florio che potenziarono le tonnare di Favignana.

Fanno parte amministrativamente del comune di Favignana, ad eccezione dell'Isola San Pantaleo e dell'isola Grande, che fanno parte del comune di Marsala.

Da Punta Marsala è possibile scorgere in lontananza l'omonima città.  

L'avifauna delle Egadi comprende il biancone, il falco pellegrino, il grifone, l'aquila del Bonelli (isola di Marettimo), il gheppio, il grillaio, il capovaccaio, il pellicano, il fenicottero rosa, l'uccello delle tempeste, la sula bassana, la berta maggiore, la berta minore, il gabbiano reale, il marangone dal ciuffo, il rondone maggiore, il barbagianni, il passero solitario, la cappellaccia, il corvo imperiale e la monachella nera (isola di Marettimo).

Favignana

Favignana, l’isola principale dell'arcipelago delle isole Egadi, si trova a circa 7 km dalla costa occidentale della Sicilia, tra Trapani e Marsala.

Il nome di Favignana deriva dal latino favonius (favonio), termine con il quale i Romani indicavano il vento caldo proveniente da ovest. Il villaggio sorge intorno a un'insenatura naturale dove è strutturato il porto sulle cui sponde sono presenti gli edifici delle antiche tonnare Florio.

Le tradizionali architetture mediterranee dell'isola, caratterizzate da intonaci bianchi e finestre azzurre o verdi, sono, specialmente negli ultimi anni, oggetto di riscoperta e valorizzazione, il paesaggio è tutelato infatti dalla sopraintendenza ai beni culturali.

L'isola, ricoperta prevalentemente da macchia mediterranea costituita da arbusti cespugliosi e da boschi di pini marittimi, si è affermata come importante meta turistica.

L'isola ha una superficie di 19 km² circa e uno sviluppo costiero di 33 km frastagliati e ricchi di cavità e grotte. Anticamente il nome di Favignana era Egusa (Aegusa per i latini), dal greco Aigousa, cioè «che ha capre», data la loro abbondanza sull'isola. Era anche conosciuta con altri nomi come Aponiana, Katria, Gilia e viene ricordata da numerosi scrittori tra cui Plinio, Polibio, Nepoziano, l'anonimo Ravennate. Dai geografi arabi era conosciuta con il nome Djazirat ‘ar Rahib («isola del monaco» o «del romito»), in quanto sull'isola si erge un castello di epoca normanna, il cosiddetto Castello di Santa Caterina, dove avrebbe vissuto per l'appunto un monaco. Il pittore Salvatore Fiume la definì una «farfalla sul mare» per via della sua conformazione caratteristica.

Nonostante nell'antichità fosse ricca di vegetazione, oggi ne è povera a causa del disboscamento.

L'isola è attraversata da nord a sud da una dorsale montuosa la cui altitudine massima è quella del Monte Santa Caterina, di 314 metri. Altre due cime sono la Punta della Campana alta 296 metri e la Punta Grossa (252 metri).

Sul lato meridionale si trovano gli isolotti Preveto, Galera e Galeotta (praticamente degli scogli).

La presenza umana a Favignana risale al paleolitico superiore; tracce di antichissimi insediamenti umani si hanno principalmente nelle grotte del Faraglione e del Pozzo in zona San Nicola. Era nota agli antichi greci con il nome Aegusa (Αιγούσα, isola delle capre). I Fenici si stabilirono a Favignana a partire dall'VIII secolo a.C. fino all'anno 241 a.C., quando, l'esercito romano, guidato da Gaio Lutazio Catulo, sbaragliò la flotta cartaginese nella battaglia finale della prima guerra punica, detta appunto battaglia delle isole Egadi, dopo la quale la Sicilia venne definitivamente annessa a Roma. Dopo il crollo dell'impero romano le isole caddero in mano dei Vandali, dei Goti ed in seguito dei Saraceni.

Nel 1081 i Normanni, sotto il governo di Ruggero d'Altavilla, vi realizzarono un villaggio e possenti fortificazioni: il forte San Giacomo (all'interno dell'ex-carcere, in paese) e quello di Santa Caterina (in cima alla montagna). Seguì il destino della Sicilia fino al XVI secolo, appartenendo come baronia alle famiglie Carissima e Riccio; alla metà del secolo XVII, insieme all'intero arcipelago, divenne proprietà dei Pallavicini-Rusconi di Genova, con titolo di marchesi e poi, nel 1874, dei Florio, che potenziarono le tonnare dell'isola.

Dal periodo borbonico fino al fascismo l'isola fu utilizzata soprattutto come prigione e luogo di confino per gli avversari politici. Durante il periodo borbonico fu rinchiuso nella fossa di S. Caterina il mazziniano Giovanni Nicotera, che venne poi liberato dai garibaldini dopo lo sbarco dei Mille.

Durante il secondo conflitto mondiale l'isola venne dotata lungo le coste, vista la sua posizione strategica, di una imponente rete di casematte e fortificazioni militari, in gran parte ancora oggi conservate.

Favignana, sin dai tempi della dominazione romana, è stata sede estrattiva del tufo bianco conchigliare (in realtà è impropriamente detto tufo, essendo una calcarenite e non una roccia di origine vulcanica, come è il vero tufo) utilizzato nell'edilizia. Il cosiddetto tufo ha rappresentato una fonte economica importante per gli abitanti dell'isola. 

La lunga attività estrattiva, presente particolarmente nella parte orientale dell'isola, ha dato origine a particolari fossati, forre e caverne, oggi trasformate, specialmente dai privati cittadini, in particolari e suggestivi orti, giardini e abitazioni.

Favignana fa parte della riserva naturale delle isole Egadi istituita nel 1991.

L'isola è abbastanza brulla e ospita la tipica macchia mediterranea e la gariga. La vegetazione è quindi costituita da oleastro, lentisco, carruboEuphorbia dendroides e sommacco. Vi sono alcuni interessanti endemismi quali il cavolo marino, il fiorrancio marittimo, la finocchiella di Boccone. Uno studio degli anni sessanta sulla vegetazione delle Egadi riporta a Favignana circa 570 specie.

Nell'area est dell'isola vi sono molti giardini detti ipogei, curati e coltivati all'interno delle cave di tufo ormai dismesse.

È una delle poche isole minori siciliane in cui sia presente una popolazione di rospo smeraldino siciliano.

Le due porzioni del territorio isolano subirono un diverso destino dovuto alla decisione, da parte dei Saraceni, di fondare il primo nucleo del paese nei pressi delle falde orientali del Monte Santa Caterina, e alla diversa composizione mineralogica della roccia presente in entrambe; questa differenza di composizione ha spostato l’attenzione degli isolani sul versante orientale dando vita alla lunga attività di estrazione della pietra.

Le cave di tufo sono sparse pertanto sul territorio della Piana divenendo, nei secoli, l’elemento che maggiormente caratterizza il paesaggio antropizzato dell’isola. La pietra presente nell’isola è una calcarenite, roccia sedimentaria composta prevalentemente da sabbia e gusci fossili, che si distingue in due categorie: una di qualità inferiore, di colore giallo, presente nello strato superiore del terreno e una di qualità superiore, di colore bianco, sottostante quella precedente; la calcarenite bianca di Favignana è stata utilizzata, nei secoli, come eccellente materiale per l’edilizia che si ritrova tutt’oggi nelle case e nelle chiesa dell'Immacolata Concezione di Favignana, nella Villa Florio, nella Villa Igiea di Palermo, a Messina nei palazzi ricostruiti dopo il terremoto del 1908 e a Tunisi.

Lo sfruttamento del suolo raggiunse il massimo sviluppo nel periodo compreso tra il governo dei Pallavicino (XVII sec.) e quello dei Florio (inizio del XX sec.) durante il quale, attraverso il perfezionamento delle tecniche e degli strumenti utili al taglio della pietra, i cavatori favignanesi divennero esperti nel mestiere.

I metodi di estrazione praticati per la realizzazione delle cave a Favignana si suddividono in due categorie: a cielo aperto (a fossa) o al coperto (a gallerie e pilastri); la determinazione del metodo di scavo dipendeva esclusivamente dalla condizione orografica del terreno.

Il metodo a cielo aperto prevedeva la realizzazione di una cava attraverso la squadratura di una superficie orizzontale, lunga 10x10m. circa, e la successiva eliminazione della vegetazione e del cappellaccio, lo strato superficiale della roccia con spessore variante da 1 a 2 metri, fino a raggiungere la pietra più profonda. La cava pertanto veniva realizzata strato per strato permettendo ai cavatori di estrarre la pietra dall’alto verso il basso, scendendo nella profondità del suolo, avendo cura di lasciare dei conciattaccati al suolo al fine di formare una scala, unico elemento di accesso all’interno.

Il metodo al coperto prevedeva invece l’accesso alla cava o attraverso grotte naturali, situate prettamente lungo la costa, o attraverso l’apertura di una galleria su una parete verticale di una cava a cielo aperto. La realizzazione di una galleria prevedeva di lasciare intatte alcune porzioni di roccia che fungevano da sostegno verticale.

Presso Cala S. Nicola, a nord-est dell’isola, si trova il "Bagno delle Donne", una grande vasca quadrata scavata nella roccia calcarea, che riceveva acqua dal mare attraverso un cunicolo; le tracce di un mosaico ritrovate e il tipo di costruzione la fanno risalire all’epoca romana.

In questa stessa cala si trovano svariate grotte ad uso abitativo e sacro, che presentano graffiti preistorici ed incisioni del periodo punico, e alcune tombe, sia puniche che cristiane, palesi indizi anch’esse di antichi insediamenti.

E tante altre cale si snodano lungo la costa frastagliata dell’isola, più o meno frequentate o conosciute, di una bellezza superba ed emozionante. Cala Rossa, Cala Azzurra, Grotta Perciata, il Burrone, Cala Stornello, Cala Rotonda.

Anche se al primo impatto l’isola può mostrare di sé un aspetto arido, subito "rimedia" agli occhi del visitatore più attento, prodigandosi con tutto lo splendore della sua inaspettata vegetazione, che qua e là si affaccia non solo dalla sua campagna, ma addirittura da giardini, anche ipogei, ricavati dentro dismesse e antiche cave di tufo.

Il tufo, insieme con la pesca e l’agricoltura, in passato ha rappresentato una delle più importanti risorse economiche per la popolazione di Favignana: tagliato a blocchi, veniva esportato in tutta la Sicilia e nel nord dell’Africa.

E perfino i Saraceni hanno lasciato l’antica traccia della loro presenza sull’isola, attraverso le tre torri di avvistamento costruite una sul porto, una in località Torretta, e infine una sul Monte S. Caterina, poi trasformata in forte da Ruggero il Normanno nel XII secolo, ampliato e fortificato infine nel XVII secolo dagli Spagnoli.

Nel 1794, quando i Borboni cominciarono ad inviarvi i patrioti dei vari moti insurrezionali costringendoli in condizioni di prigionia inumane, ebbe inizio il suo triste destino di carcere.

Dopo lo sbarco di Garibaldi a Marsala, nel 1860, la folla che liberò gli ultimi rinchiusi devastò nella sua furia l’interno delle celle e ogni cosa che potesse ricordare tanta ingiustizia.

L’edificio comunque rimase in piedi e venne trasformato in semaforo, funzione che però andò in disuso, poiché spesso il picco montuoso è avvolto dalle nuvole, risultando pertanto invisibile ai naviganti.

Nel tempo, diverse tonnare si sono avvicendate sull’isola, fino a quella, oggi solo superbo esempio di archeologia industriale, impiantata dalla famiglia Florio, grazie alla quale Favignana visse un periodo di grande splendore economico dalla seconda metà del 1800 fino alla sua chiusura. Città dentro la città, la tonnara dava lavoro alla maggior parte degli abitanti, garantendone il benessere economico e la buona qualità di vita.

Altra imponente testimonianza della presenza della famiglia Florio è l’elegante palazzo Liberty della prestigiosa famiglia, edificato nel 1870 dall’architetto palermitano Giuseppe Damiani Almeyda nei pressi del porto, oggi sede del Municipio.

Già l'ingresso chiarisce subito come funzionavano le cose all'interno. "L'industria domina la forza" recita la scritta. E per l'epoca si trattava davvero di grande industria. Quella del tonno. Lo stabilimento Florio di Favignana, qui, in un'isola al largo del lembo di Sicilia più lontano dal continente, è stato per oltre un secolo la principale officina ittica di tutto il Mediterraneo. In grado, a metà Ottocento, di pescare, lavorare e inscatolare più di 10 mila tonni l’anno con tecniche all'avanguardia. Una vera cittadella operaia.

Del resto, quando, nel 1874, Ignazio Florio acquistò le isole Egadi dai genovesi Pallavicini, che le possedevano da 235 anni, sapeva il fatto suo. L'attività della pesca, avviata dai liguri, rendeva assai bene, e il senatore Florio si tuffò nell'impresa: con questo impianto realizzò uno dei fiori all'occhiello delle attività di famiglia.

Acquistato dalla Regione Sicilia e restaurato in 5 anni grazie a fondi europei con una spesa di 15 milioni di euro, oggi l'ex stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica è uno stupefacente esempio di archeologia industriale, aperto al pubblico dal 2 luglio 2010.

Su una superficie di 32mila metri quadri, tra forni di cottura, officine, spogliatoi e addirittura un asilo nido, è possibile ripercorrere le giornate di uomini e donne che dal tonno trassero di che vivere. Lasciano a bocca aperta gli archi a sesto acuto e le dimensioni degli ambienti. Ma anche i due enormi vasceddi dei tonnaroti, addormentati sulla darsena, a sognare un mare che non riprenderanno più.

Ad accogliere i visitatori, ecco le installazioni multimediali: su 18 schermi a grandezza naturale, altrettanti operai, tra graffatori (i saldatori delle latte) e donne addette all'inscatolamento, raccontano la loro storia da protagonisti. Da non perdere il video della "camera della morte", dove immagini subacquee riprendono centinaia di tonni prima della cattura, con il sottofondo sonoro delle cialome (cantilene) dei pescatori, e il documentario in bianco e nero dell'Istituto Luce, realizzato nella tonnara negli anni 20.

In un'epoca in cui di tonni ne passano sempre meno e la mattanza da tre anni non si fa più, Favignana tira le fila del suo passato, raccontando ai turisti il meglio di sé.

In questa operazione di recupero rientra anche la riapertura di palazzo Florio, la villa dell'illustre famiglia a pochi passi dal porto. Disegnato dall'architetto Giuseppe Damiani Almeyda in stile gotico napoletano, il palazzo appare un po' austero, forse per alludere a una nobiltà che i Florio, in realtà, non potevano vantare. Certo è che, negli anni svagati della Belle Époque, di qui passarono le teste coronate di mezza Europa. E qui si rifugiò a lungo Donna Franca Florio dopo la perdita dei figli. 

Vale la pena salirne le scale per affacciarsi dal terrazzo. La magia di Donna Franca aleggia ancora, e il panorama sul porto è sempre molto suggestivo, assai simile a quello che era solita ammirare la padrona di casa. Certamente non l'unico: i 33 chilometri di costa dell'isola offrono infatti scorci mozzafiato, declinati in infinite varianti di blu.

CALA ROSSA, CALA AZZURRA E LE SFIDE IN BARCA A VELA - A dispetto del nome, Cala Rossa, nel versante sud-est, è un paradiso liquido dove il celeste e il turchese sfumano nell'azzurro profondo, fino a lambire la sagoma di Levanzo in lontananza. Le barche vi galleggiano sopra come sospese, di fronte ai blocchi pietrosi delle vecchie cave di tufo: tra queste rocce i Romani sconfissero i Cartaginesi nella prima guerra punica e il mare si tinse di rosso con il sangue dei vinti, fino a dare per sempre il nome al luogo.

Più a sud, dopo la cala del Bue Marino, si apre la spiaggia di cala Azzurra, dall'acqua di cristallo, e via via proseguendo sul lato sud-ovest, l'insenatura di Calamoni e la candida baia di lido Burrone, dove vale la pena rimanere ad aspettare il tramonto verso Marettimo. Tutte le cale sono raggiungibili a piedi o in bici, riparate da un lato o dall'altro a seconda che soffi maestrale o scirocco.

Ma dal 2005 su Favignana soffia anche un altro vento: quello da regata. Da quando a Trapani si sono tenuti gli Acts dell'America's Cup, l'isola, forte di una marineria dì grandi tradizioni, sta riscoprendo la vela sportiva, con un fiorire di appuntamenti di grande presa sul pubblico. Oltre alle regate di vela latina di fine luglio, ancora una volta è il nome Florio a scandire gli eventi: è pre­visto infatti a metà settembre il trofeo Challenge Ignazio Florio, regata di 40 barche nello specchio d'acqua tra Favignana, Levanzo e Marettimo, promosso dal giovanissimo Yacht Club Favignana. Tanto giovane che non ha ancora una sede. Il crescente interesse per gli sport velici fa prevedere però che molte attività potranno trovare all'interno dell'ex stabilimento delle tonnare una loro sede ideale, ivi compresa una prestigiosa scuola di vela d'altura. Ignazio Florio jr., col suo celebre yacht Aegusa, approverebbe di sicuro.

L’EPOPEA DEI FLORIO - Ambizione, lungimiranza e dignità. Si potrebbe così sintetizzare al massimo la saga dei Fiorio, per tre generazioni protagonisti indiscussi della storia economica e culturale della Sicilia e dell’Italia intera a cavallo tra Otto e Novecento. Grazie a un intreccio inestricabile tra commercio, finanza e politica, i Fiorio, originari di Bagnara Calabra, nel giro di qualche decennio passano dalla bottega di spezie palermitana in via dei Materassai a un impero economico senza precedenti, in grado di superare in potenza l’imprenditoria settentrionale. Ignazio e Vincenzo: gli stessi nomi si rincorrono di generazione in generazione. 

Sono, tuttavia, Ignazio Jr. e Donna Franca le icone di una stagione culturale irripetibile, che coincide con l’esplosione del Liberty come stile in grado di elevare la borghesia ai fasti dell’aristocrazia isolana. E un’epoca di speranza e di ottimismo la Belle Epoque, di sfrenata proiezione verso il futuro: il 16 maggio 1897 si inaugura con il Falstaff il Teatro Massimo di Palermo, il più grande d’Europa dopo l’Opéra di Parigi.

Ernesto Basile, Marcello Dudovich, Giovanni Boldini: i grandi artisti del momento lavorano per la famiglia. Donna Franca e Ignazio Fiorio sono i protagonisti della scena mondana della nuova “capitale”, intimi di potenti e reali europei, compresi lo zar Nicola I e la zarina, ma attenti allo stesso tempo alle esigenze del popolo e dei lavoratori delle loro imprese. 

In quel momento il marchio Fiorio è onnipresente e spazia dai cantieri navali al trasporto di merci e persone in mezza Europa e fino a New York, dalle solfatare alla produzione di marsala a quella di tonno in scatola. Sono proprio loro a inventare il rivoluzionario sistema di confezionamento del pesce sott’olio, giunto sostanzialmente invariato fino ai giorni nostri. Ma i tempi cambiano, la politica fa il suo corso, la Prima guerra mondiale spazza via il vecchio mondo e il marchio di famiglia non riesce a tenere il passo. E una lenta agonia, che non culmina mai in un fallimento, più simile al lento spegnersi del battito d’ali di una farfalla.  

LA CORRIDA DEI MARI - La pista più battuta nei mari italiani è proprio il periplo della Sicilia, cui i tonni rossi giungono dall’Atlantico dopo aver varcato lo stretto di Gibilterra. 

Nell’aprile 2019, dopo una pausa di una dozzina d’anni, il mare antistante Favignana è tornato a tingersi di rosso e le acque a ribollire degli ultimi istanti di vita dei tonni. Rito arcaico le cui origini si perdono nella notte dei tempi, la mattanza segue un copione immutabile che vede il rais come regista incontrastato delle operazioni. È lui, il pescatore più esperto, al comando di un equipaggio di molti uomini, a decidere quando sarà il momento di calare le reti in mare e dove collocarle. 

Ha così avvio un’antica usanza, profondamente avversata dagli ambientalisti (il tonno rosso è una delle specie marine più minacciate dalla pesca industriale), ma dalle profonde valenze antropologiche: l’eterna lotta dell’uomo contro l’animale per il predominio nel mondo naturale. Un labirinto di reti conduce i tonni fino alla famigerata “camera della morte”, dove la rete, stesa anche sul fondo, non prevede via di fuga. 

Disposti in cerchio su barche intorno alla tonnara, i tonnaroti intonano cialome, ovvero vecchie nenie dalle cadenze arabe e recitano preghiere prima di uccidere e sollevare a bordo i tonni con gli arpioni. Una storia antica e crudele, certamente, ma dal sapore quasi sacrale e profondamente incisa nel Dna delle genti di mare mediterranee.

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