Le isole
Egadi sono
un arcipelago a
cavallo
tra
basso Tirreno e canale
di
Sicilia.
Posto
a
circa
7 km
dalla
costa
occidentale
della
Sicilia,
fra Trapani e Marsala,
nel libero
consorzio
comunale
di
Trapani,
l'arcipelago
consta
di
tre
isole
e
due
isolotti,
più
una
serie
di scogli e faraglioni.
Oggi non c’è più traccia
delle
capre
che
avrebbero
dato
il
nome
alle
Egadi.
Aegates
le
chiamavano
gli
antichi,
riferendosi
a
quegli
animali
selvatici.
E
sono
spariti
pure
i
cervi
raffigurati
nella
Grotta
del
Genovese
durante
la
preistoria.
Fortunatamente,
sopravvive
una
natura
selvaggia
e
a
tratti
incontaminata.
Viste
da
Erice,
si
comprende
come
le
Egadi,
in
un
remoto
passato,
siano
state
un
frammento
della
punta
più
occidentale
della
Sicilia.
Favignana,
Levanzo
e
Marettimo
sono
le
principali,
ma
le
acque
pullulano
di
faraglioni,
scogli
e
isolotti,
tra
cui
Formica
e
Maraone.
Come
lati
di
un
prisma,
ognuna
sfoggia
il
suo
vestito
migliore.
Accessibile
e
ammiccante
Favignana,
scenografica
e
“primitiva”
Levanzo,
dirupata
e
adatta
ai
solitari
Marettimo.
E
la
natura
che
regna
sovrana,
anche
grazie
all’istituzione
dell’Area
marina
protetta.
Poche
le
comodità:
prevalgono
le
baie
rocciose,
le
scogliere
e
le
falesie,
un
vento
costante
e
un
mare
dai
riflessi
incantevoli,
zeppo
di
tesori
sommersi,
generati
dalla
natura
come
le
praterie
di
posidonia
e
i
coralli,
o
perduti
dall’uomo
durante
battaglie
navali
e
naufragi.
Crocevia delle rotte
mediterranee,
alle
Egadi
la
storia
riemerge
in
più
punti.
È
il
241
a.C.
quando
i
Cartaginesi
perdono
definitivamente
il
controllo
della
Sicilia,
il
loro
possedimento
più
settentrionale.
Uno
scontro
navale
epico
si
consuma
proprio
di
fronte
a
Levanzo,
intorno
a
capo
Grosso:
nella
fretta
dell’assalto
i
Romani
non
fanno
in
tempo
a
tirare
su
le
ancore,
ma
tagliano
le
cime
per
intercettare
la
flotta
cartaginese
che
muove
da
Marettimo.
Il
risultato
è
tragico
per
gli
africani,
con
cinquanta
navi
affondate
e
settanta
catturate.
Con
la
fine
della
Prima
guerra
punica
la
Sicilia
entra
definitamente
nell’orbita
romana.
E
se
rostri
di
navi,
elmi
e
ancore
raccontano
di
quelle
antiche
storie
di
mare,
è
la
tonnara
di
Favignana
a
riportarci
al
presente.
L’epopea
dei
Florio
è
una
delle
più
belle
pagine
di
storia
familiare
del
nostro
Paese
e
ha
lasciato
in
eredità
non
solo
splendide
architetture,
ma
anche
un
modello
imprenditoriale
raramente
eguagliato.
Dal
punto
di
vista
geologico
le
isole
Egadi
sono
strettamente
collegate
con
la
Sicilia;
l'arcipelago,
di
37,45
km²,
è
formato
dalle
isole
Favignana,
Marettimo,
Levanzo
e
diverse
altre
minori,
alcune
poco
più
che scogli.
Fanno
parte
dell'arcipelago:
Isola
di
Favignana
-
Isola
di
Levanzo
-
Isola
di
Marettimo
-
Isola
di
Maraone
-
Isola
Formica
-
Isole
dello
Stagnone
-
Isola
Galera
-
Isola
Galeotta
-
Isola
Preveto
-
Fariglione.
Tracce
di
antichissimi
insediamenti
umani
si
hanno
principalmente
a
Levanzo
e
in
misura
minore
a
Favignana.
Si
suppone
che
ciò
avvenne
a
causa
dell'ultima
glaciazione,
che
creò
un
passaggio
naturale
tra
Africa
e
Sicilia.
Nel 241
a.C. i
Romani
conquistarono
le
isole
dopo
la battaglia
navale
finale della Prima
Guerra
Punica,
nella
quale Gaio
Lutazio
Catulo sbaragliò
la
flotta cartaginese.
Dopo
il
crollo
dell'impero
romano
le
isole
caddero
in
mano
dei Vandali e
dei Goti ed
in
seguito
dei Saraceni.
Nel 1081 vennero
occupate
e
fortificate
dai Normanni.
Seguirono
poi
il
destino
della
Sicilia
fino
al
XVI
secolo,
quando
divennero
proprietà
dei
Pallavicini-Rusconi
di Genova e
poi,
nel 1874,
dei Florio che
potenziarono
le
tonnare
di
Favignana.
Fanno
parte
amministrativamente
del comune
di
Favignana,
ad
eccezione
dell'Isola
San
Pantaleo
e
dell'isola
Grande,
che
fanno
parte
del
comune
di Marsala.

Da
Punta
Marsala
è
possibile
scorgere
in
lontananza
l'omonima
città.
L'avifauna
delle
Egadi
comprende
il biancone,
il falco
pellegrino,
il grifone,
l'aquila
del
Bonelli (isola
di
Marettimo),
il gheppio,
il
grillaio,
il capovaccaio,
il pellicano,
il fenicottero
rosa,
l'uccello
delle
tempeste,
la sula
bassana,
la berta
maggiore,
la berta
minore,
il gabbiano
reale,
il marangone
dal
ciuffo,
il rondone
maggiore,
il barbagianni,
il passero
solitario,
la cappellaccia,
il corvo
imperiale e
la
monachella
nera
(isola
di
Marettimo).
- Favignana
Favignana,
l’isola
principale
dell'arcipelago
delle
isole
Egadi,
si
trova
a
circa
7 km
dalla
costa
occidentale
della Sicilia,
tra
Trapani
e
Marsala.
Il
nome
di
Favignana
deriva
dal latino favonius (favonio),
termine
con
il
quale
i Romani indicavano
il
vento
caldo
proveniente
da
ovest.
Il
villaggio
sorge
intorno
a
un'insenatura
naturale
dove
è
strutturato
il
porto
sulle
cui
sponde
sono
presenti
gli
edifici
delle
antiche
tonnare
Florio.
Le
tradizionali
architetture
mediterranee
dell'isola,
caratterizzate
da
intonaci
bianchi
e
finestre
azzurre
o
verdi,
sono,
specialmente
negli
ultimi
anni,
oggetto
di
riscoperta
e
valorizzazione,
il
paesaggio
è
tutelato
infatti
dalla
sopraintendenza
ai
beni
culturali.
L'isola,
ricoperta
prevalentemente
da macchia
mediterranea costituita
da
arbusti
cespugliosi
e
da
boschi
di pini
marittimi,
si
è
affermata
come
importante
meta
turistica.

L'isola
ha
una
superficie
di
19 km²
circa
e
uno
sviluppo costiero di
33 km
frastagliati
e
ricchi
di
cavità
e
grotte.
Anticamente
il
nome
di
Favignana
era Egusa (Aegusa per
i
latini),
dal greco Aigousa,
cioè
«che
ha
capre»,
data
la
loro
abbondanza
sull'isola.
Era
anche
conosciuta
con
altri
nomi
come Aponiana, Katria, Gilia e
viene
ricordata
da
numerosi
scrittori
tra
cui
Plinio,
Polibio,
Nepoziano,
l'anonimo
Ravennate.
Dai
geografi
arabi
era
conosciuta
con
il
nome Djazirat
‘ar
Rahib («isola
del
monaco»
o
«del
romito»),
in
quanto
sull'isola
si
erge
un
castello
di
epoca
normanna,
il
cosiddetto Castello
di
Santa
Caterina,
dove
avrebbe
vissuto
per
l'appunto
un
monaco.
Il
pittore Salvatore
Fiume la
definì
una
«farfalla
sul
mare»
per
via
della
sua
conformazione
caratteristica.
Nonostante
nell'antichità
fosse
ricca
di
vegetazione,
oggi
ne
è
povera
a
causa
del
disboscamento.
L'isola
è
attraversata
da
nord
a
sud
da
una
dorsale
montuosa
la
cui
altitudine
massima
è
quella
del Monte
Santa
Caterina,
di
314
metri.
Altre
due
cime
sono
la Punta
della
Campana alta
296
metri
e
la Punta
Grossa (252
metri).
Sul
lato
meridionale
si
trovano
gli
isolotti
Preveto,
Galera
e
Galeotta
(praticamente
degli
scogli).

La
presenza
umana
a
Favignana
risale
al paleolitico
superiore;
tracce
di
antichissimi
insediamenti
umani
si
hanno
principalmente
nelle
grotte
del Faraglione e
del Pozzo in
zona
San
Nicola.
Era
nota
agli
antichi greci con
il
nome Aegusa (Αιγούσα,
isola
delle
capre).
I Fenici si
stabilirono
a
Favignana
a
partire
dall'VIII
secolo
a.C.
fino
all'anno
241
a.C.,
quando,
l'esercito
romano,
guidato
da Gaio
Lutazio
Catulo,
sbaragliò
la
flotta
cartaginese
nella
battaglia
finale
della prima
guerra
punica,
detta
appunto battaglia
delle
isole
Egadi,
dopo
la
quale
la
Sicilia
venne
definitivamente
annessa
a Roma.
Dopo
il
crollo
dell'impero
romano le
isole
caddero
in
mano
dei Vandali,
dei Goti ed
in
seguito
dei Saraceni.
Nel 1081 i Normanni,
sotto
il
governo
di Ruggero
d'Altavilla,
vi
realizzarono
un
villaggio
e
possenti
fortificazioni:
il
forte
San
Giacomo
(all'interno
dell'ex-carcere,
in
paese)
e
quello
di
Santa
Caterina
(in
cima
alla
montagna).
Seguì
il
destino
della
Sicilia
fino
al
XVI
secolo,
appartenendo
come
baronia
alle
famiglie Carissima e Riccio;
alla
metà
del
secolo
XVII,
insieme
all'intero
arcipelago,
divenne
proprietà
dei
Pallavicini-Rusconi
di Genova,
con
titolo
di
marchesi e
poi,
nel 1874,
dei Florio,
che
potenziarono
le
tonnare
dell'isola.
Dal
periodo borbonico fino
al
fascismo
l'isola
fu
utilizzata
soprattutto
come
prigione
e
luogo
di
confino
per
gli
avversari
politici.
Durante
il
periodo
borbonico
fu
rinchiuso
nella fossa di
S.
Caterina
il
mazziniano Giovanni
Nicotera,
che
venne
poi
liberato
dai
garibaldini
dopo
lo sbarco
dei
Mille.
Durante
il
secondo
conflitto
mondiale
l'isola
venne
dotata
lungo
le
coste,
vista
la
sua
posizione
strategica,
di
una
imponente
rete
di casematte e
fortificazioni
militari,
in
gran
parte
ancora
oggi
conservate.
Favignana,
sin
dai
tempi
della
dominazione
romana,
è
stata
sede
estrattiva
del
tufo
bianco
conchigliare
(in
realtà
è
impropriamente
detto tufo,
essendo
una calcarenite e
non
una
roccia
di
origine
vulcanica,
come
è
il vero
tufo)
utilizzato
nell'edilizia.
Il
cosiddetto
tufo ha
rappresentato
una
fonte
economica
importante
per
gli
abitanti
dell'isola.
La
lunga
attività
estrattiva,
presente
particolarmente
nella
parte
orientale
dell'isola,
ha
dato
origine
a
particolari
fossati, forre e
caverne,
oggi
trasformate,
specialmente
dai
privati
cittadini,
in
particolari
e
suggestivi
orti,
giardini
e
abitazioni.

Favignana
fa
parte
della riserva
naturale
delle
isole
Egadi istituita
nel
1991.
L'isola
è
abbastanza
brulla
e
ospita
la
tipica macchia
mediterranea e
la gariga.
La
vegetazione
è
quindi
costituita
da
oleastro,
lentisco, carrubo, Euphorbia
dendroides e sommacco.
Vi
sono
alcuni
interessanti endemismi quali
il
cavolo
marino,
il
fiorrancio
marittimo,
la
finocchiella
di
Boccone.
Uno
studio
degli
anni
sessanta
sulla
vegetazione
delle
Egadi
riporta
a
Favignana
circa
570
specie.
Nell'area
est
dell'isola
vi
sono
molti
giardini
detti
ipogei,
curati
e
coltivati
all'interno
delle
cave
di
tufo
ormai
dismesse.
È
una
delle
poche
isole
minori
siciliane
in
cui
sia
presente
una
popolazione
di
rospo
smeraldino
siciliano.
Le
due
porzioni
del
territorio
isolano
subirono
un
diverso
destino
dovuto
alla
decisione,
da
parte
dei Saraceni,
di
fondare
il
primo
nucleo
del
paese
nei
pressi
delle
falde
orientali
del Monte
Santa
Caterina,
e
alla
diversa
composizione
mineralogica
della
roccia
presente
in
entrambe;
questa
differenza
di
composizione
ha
spostato
l’attenzione
degli
isolani
sul
versante
orientale
dando
vita
alla
lunga
attività
di
estrazione
della
pietra.
Le
cave
di tufo sono
sparse
pertanto
sul
territorio
della Piana divenendo,
nei
secoli,
l’elemento
che
maggiormente
caratterizza
il
paesaggio
antropizzato
dell’isola.
La
pietra
presente
nell’isola
è
una
calcarenite,
roccia
sedimentaria
composta
prevalentemente
da
sabbia
e
gusci
fossili,
che
si
distingue
in
due
categorie:
una
di
qualità
inferiore,
di
colore
giallo,
presente
nello
strato
superiore
del
terreno
e
una
di
qualità
superiore,
di
colore
bianco,
sottostante
quella
precedente;
la
calcarenite
bianca
di
Favignana
è
stata
utilizzata,
nei
secoli,
come
eccellente
materiale
per
l’edilizia
che
si
ritrova
tutt’oggi
nelle
case
e
nelle
chiesa
dell'Immacolata
Concezione
di
Favignana,
nella Villa
Florio,
nella Villa
Igiea di Palermo,
a Messina nei
palazzi
ricostruiti
dopo
il terremoto
del
1908
e
a Tunisi.
Lo
sfruttamento
del
suolo
raggiunse
il
massimo
sviluppo
nel
periodo
compreso
tra
il
governo
dei
Pallavicino
(XVII
sec.)
e
quello
dei Florio (inizio
del
XX
sec.)
durante
il
quale,
attraverso
il
perfezionamento
delle
tecniche
e
degli
strumenti
utili
al
taglio
della
pietra,
i
cavatori
favignanesi
divennero
esperti
nel
mestiere.
I
metodi
di
estrazione
praticati
per
la
realizzazione
delle
cave
a
Favignana
si
suddividono
in
due
categorie:
a cielo
aperto
(a
fossa) o
al coperto
(a
gallerie
e
pilastri);
la
determinazione
del
metodo
di
scavo
dipendeva
esclusivamente
dalla
condizione
orografica
del
terreno.
Il
metodo
a
cielo
aperto
prevedeva
la
realizzazione
di
una
cava
attraverso
la
squadratura
di
una
superficie
orizzontale,
lunga
10x10m.
circa,
e
la
successiva
eliminazione
della
vegetazione
e
del cappellaccio,
lo
strato
superficiale
della
roccia
con
spessore
variante
da
1
a
2
metri,
fino
a
raggiungere
la
pietra
più
profonda.
La
cava
pertanto
veniva
realizzata
strato
per
strato
permettendo
ai
cavatori
di
estrarre
la
pietra
dall’alto
verso
il
basso,
scendendo
nella
profondità
del
suolo,
avendo
cura
di
lasciare
dei
conciattaccati
al
suolo
al
fine
di
formare
una
scala,
unico
elemento
di
accesso
all’interno.
Il
metodo
al
coperto
prevedeva
invece
l’accesso
alla
cava
o
attraverso
grotte
naturali,
situate
prettamente
lungo
la
costa,
o
attraverso
l’apertura
di
una
galleria
su
una
parete
verticale
di
una
cava
a
cielo
aperto.
La
realizzazione
di
una
galleria
prevedeva
di
lasciare
intatte
alcune
porzioni
di
roccia
che
fungevano
da
sostegno
verticale.

Presso
Cala
S.
Nicola,
a
nord-est
dell’isola,
si
trova
il
"Bagno
delle
Donne",
una
grande
vasca
quadrata
scavata
nella
roccia
calcarea,
che
riceveva
acqua
dal
mare
attraverso
un
cunicolo;
le
tracce
di
un
mosaico
ritrovate
e
il
tipo
di
costruzione
la
fanno
risalire
all’epoca
romana.
In
questa
stessa
cala
si
trovano
svariate
grotte
ad
uso
abitativo
e
sacro,
che
presentano
graffiti
preistorici
ed
incisioni
del
periodo
punico,
e
alcune
tombe,
sia
puniche
che
cristiane,
palesi
indizi
anch’esse
di
antichi
insediamenti.
E
tante
altre
cale
si
snodano
lungo
la
costa
frastagliata
dell’isola,
più
o
meno
frequentate
o
conosciute,
di
una
bellezza
superba
ed
emozionante.
Cala
Rossa,
Cala
Azzurra,
Grotta
Perciata,
il
Burrone,
Cala
Stornello,
Cala
Rotonda.
Anche
se
al
primo
impatto
l’isola
può
mostrare
di
sé
un
aspetto
arido,
subito
"rimedia"
agli
occhi
del
visitatore
più
attento,
prodigandosi
con
tutto
lo
splendore
della
sua
inaspettata
vegetazione,
che
qua
e
là
si
affaccia
non
solo
dalla
sua
campagna,
ma
addirittura
da
giardini,
anche
ipogei,
ricavati
dentro
dismesse
e
antiche
cave
di
tufo.
Il
tufo,
insieme
con
la
pesca
e
l’agricoltura,
in
passato
ha
rappresentato
una
delle
più
importanti
risorse
economiche
per
la
popolazione
di
Favignana:
tagliato
a
blocchi,
veniva
esportato
in
tutta
la
Sicilia
e
nel
nord
dell’Africa.
E
perfino
i
Saraceni
hanno
lasciato
l’antica
traccia
della
loro
presenza
sull’isola,
attraverso
le
tre
torri
di
avvistamento
costruite
una
sul
porto,
una
in
località
Torretta,
e
infine
una
sul
Monte
S.
Caterina,
poi
trasformata
in
forte
da
Ruggero
il
Normanno
nel
XII
secolo,
ampliato
e
fortificato
infine
nel
XVII
secolo
dagli
Spagnoli.
Nel
1794,
quando
i
Borboni
cominciarono
ad
inviarvi
i
patrioti
dei
vari
moti
insurrezionali
costringendoli
in
condizioni
di
prigionia
inumane,
ebbe
inizio
il
suo
triste
destino
di
carcere.
Dopo
lo
sbarco
di
Garibaldi
a
Marsala,
nel
1860,
la
folla
che
liberò
gli
ultimi
rinchiusi
devastò
nella
sua
furia
l’interno
delle
celle
e
ogni
cosa
che
potesse
ricordare
tanta
ingiustizia.
L’edificio
comunque
rimase
in
piedi
e
venne
trasformato
in
semaforo,
funzione
che
però
andò
in
disuso,
poiché
spesso
il
picco
montuoso
è
avvolto
dalle
nuvole,
risultando
pertanto
invisibile
ai
naviganti.
Nel
tempo,
diverse
tonnare
si
sono
avvicendate
sull’isola,
fino
a
quella,
oggi
solo
superbo
esempio
di
archeologia
industriale,
impiantata
dalla
famiglia
Florio,
grazie
alla
quale
Favignana
visse
un
periodo
di
grande
splendore
economico
dalla
seconda
metà
del
1800
fino
alla
sua
chiusura.
Città
dentro
la
città,
la
tonnara
dava
lavoro
alla
maggior
parte
degli
abitanti,
garantendone
il
benessere
economico
e
la
buona
qualità
di
vita.
Altra
imponente
testimonianza
della
presenza
della
famiglia
Florio
è
l’elegante
palazzo
Liberty
della
prestigiosa
famiglia,
edificato
nel
1870
dall’architetto
palermitano
Giuseppe
Damiani
Almeyda
nei
pressi
del
porto,
oggi
sede
del
Municipio.

Già
l'ingresso
chiarisce
subito
come
funzionavano
le
cose
all'interno.
"L'industria
domina
la
forza"
recita
la
scritta.
E
per
l'epoca
si
trattava
davvero
di
grande
industria.
Quella
del
tonno.
Lo
stabilimento
Florio
di
Favignana,
qui,
in
un'isola
al
largo
del
lembo
di
Sicilia
più
lontano
dal
continente,
è
stato
per
oltre
un
secolo
la
principale
officina
ittica
di
tutto
il
Mediterraneo.
In
grado,
a
metà
Ottocento,
di
pescare,
lavorare
e
inscatolare
più
di
10
mila
tonni
l’anno
con
tecniche
all'avanguardia.
Una
vera
cittadella
operaia.
Del
resto,
quando,
nel
1874,
Ignazio
Florio
acquistò
le
isole
Egadi
dai
genovesi
Pallavicini,
che
le
possedevano
da
235
anni,
sapeva
il
fatto
suo.
L'attività
della
pesca,
avviata
dai
liguri,
rendeva
assai
bene,
e
il
senatore
Florio
si
tuffò
nell'impresa:
con
questo
impianto
realizzò
uno
dei
fiori
all'occhiello
delle
attività
di
famiglia.
Acquistato
dalla
Regione
Sicilia
e
restaurato
in
5
anni
grazie
a
fondi
europei
con
una
spesa
di
15
milioni
di
euro,
oggi
l'ex
stabilimento
Florio
delle
tonnare
di
Favignana
e
Formica
è
uno
stupefacente
esempio
di
archeologia
industriale,
aperto
al
pubblico
dal
2
luglio
2010.
Su
una
superficie
di
32mila
metri
quadri,
tra
forni
di
cottura,
officine,
spogliatoi
e
addirittura
un
asilo
nido,
è
possibile
ripercorrere
le
giornate
di
uomini
e
donne
che
dal
tonno
trassero
di
che
vivere.
Lasciano
a
bocca
aperta
gli
archi
a
sesto
acuto
e
le
dimensioni
degli
ambienti.
Ma
anche
i
due
enormi
vasceddi
dei
tonnaroti,
addormentati
sulla
darsena,
a
sognare
un
mare
che
non
riprenderanno
più.
Ad
accogliere
i
visitatori,
ecco
le
installazioni
multimediali:
su
18
schermi
a
grandezza
naturale,
altrettanti
operai,
tra
graffatori
(i
saldatori
delle
latte)
e
donne
addette
all'inscatolamento,
raccontano
la
loro
storia
da
protagonisti.
Da
non
perdere
il
video
della
"camera
della
morte",
dove
immagini
subacquee
riprendono
centinaia
di
tonni
prima
della
cattura,
con
il
sottofondo
sonoro
delle
cialome
(cantilene)
dei
pescatori,
e
il
documentario
in
bianco
e
nero
dell'Istituto
Luce,
realizzato
nella
tonnara
negli
anni
20.
In
un'epoca
in
cui
di
tonni
ne
passano
sempre
meno
e
la
mattanza
da
tre
anni
non
si
fa
più,
Favignana
tira
le
fila
del
suo
passato,
raccontando
ai
turisti
il
meglio
di
sé.
In
questa
operazione
di
recupero
rientra
anche
la
riapertura
di
palazzo
Florio,
la
villa
dell'illustre
famiglia
a
pochi
passi
dal
porto.
Disegnato
dall'architetto
Giuseppe
Damiani
Almeyda
in
stile
gotico
napoletano,
il
palazzo
appare
un
po'
austero,
forse
per
alludere
a
una
nobiltà
che
i
Florio,
in
realtà,
non
potevano
vantare.
Certo
è
che,
negli
anni
svagati
della
Belle
Époque,
di
qui
passarono
le
teste
coronate
di
mezza
Europa.
E
qui
si
rifugiò
a
lungo
Donna
Franca
Florio
dopo
la
perdita
dei
figli.
Vale
la
pena
salirne
le
scale
per
affacciarsi
dal
terrazzo.
La
magia
di
Donna
Franca
aleggia
ancora,
e
il
panorama
sul
porto
è
sempre
molto
suggestivo,
assai
simile
a
quello
che
era
solita
ammirare
la
padrona
di
casa.
Certamente
non
l'unico:
i
33
chilometri
di
costa
dell'isola
offrono
infatti
scorci
mozzafiato,
declinati
in
infinite
varianti
di
blu.
CALA
ROSSA,
CALA
AZZURRA
E
LE
SFIDE
IN
BARCA
A
VELA
-
A
dispetto
del
nome,
Cala
Rossa,
nel
versante
sud-est,
è
un
paradiso
liquido
dove
il
celeste
e
il
turchese
sfumano
nell'azzurro
profondo,
fino
a
lambire
la
sagoma
di
Levanzo
in
lontananza.
Le
barche
vi
galleggiano
sopra
come
sospese,
di
fronte
ai
blocchi
pietrosi
delle
vecchie
cave
di
tufo:
tra
queste
rocce
i
Romani
sconfissero
i
Cartaginesi
nella
prima
guerra
punica
e
il
mare
si
tinse
di
rosso
con
il
sangue
dei
vinti,
fino
a
dare
per
sempre
il
nome
al
luogo.
Più
a
sud,
dopo
la
cala
del
Bue
Marino,
si
apre
la
spiaggia
di
cala
Azzurra,
dall'acqua
di
cristallo,
e
via
via
proseguendo
sul
lato
sud-ovest,
l'insenatura
di
Calamoni
e
la
candida
baia
di
lido
Burrone,
dove
vale
la
pena
rimanere
ad
aspettare
il
tramonto
verso
Marettimo.
Tutte
le
cale
sono
raggiungibili
a
piedi
o
in
bici,
riparate
da
un
lato
o
dall'altro
a
seconda
che
soffi
maestrale
o
scirocco.
Ma
dal
2005
su
Favignana
soffia
anche
un
altro
vento:
quello
da
regata.
Da
quando
a
Trapani
si
sono
tenuti
gli
Acts
dell'America's
Cup,
l'isola,
forte
di
una
marineria
dì
grandi
tradizioni,
sta
riscoprendo
la
vela
sportiva,
con
un
fiorire
di
appuntamenti
di
grande
presa
sul
pubblico.
Oltre
alle
regate
di
vela
latina
di
fine
luglio,
ancora
una
volta
è
il
nome
Florio
a
scandire
gli
eventi:
è
previsto
infatti
a
metà
settembre
il
trofeo
Challenge
Ignazio
Florio,
regata
di
40
barche
nello
specchio
d'acqua
tra
Favignana,
Levanzo
e
Marettimo,
promosso
dal
giovanissimo
Yacht
Club
Favignana.
Tanto
giovane
che
non
ha
ancora
una
sede.
Il
crescente
interesse
per
gli
sport
velici
fa
prevedere
però
che
molte
attività
potranno
trovare
all'interno
dell'ex
stabilimento
delle
tonnare
una
loro
sede
ideale,
ivi
compresa
una
prestigiosa
scuola
di
vela
d'altura.
Ignazio
Florio
jr.,
col
suo
celebre
yacht
Aegusa,
approverebbe
di
sicuro.
L’EPOPEA
DEI
FLORIO
-
Ambizione, lungimiranza
e
dignità.
Si
potrebbe
così
sintetizzare
al
massimo
la
saga
dei
Fiorio,
per
tre
generazioni
protagonisti
indiscussi
della
storia
economica
e
culturale
della
Sicilia
e
dell’Italia
intera
a
cavallo
tra
Otto
e
Novecento.
Grazie
a
un
intreccio
inestricabile
tra
commercio,
finanza
e
politica,
i
Fiorio,
originari
di
Bagnara
Calabra,
nel
giro
di
qualche
decennio
passano
dalla
bottega
di
spezie
palermitana
in
via
dei
Materassai
a
un
impero
economico
senza
precedenti,
in
grado
di
superare
in
potenza
l’imprenditoria
settentrionale.
Ignazio
e
Vincenzo:
gli
stessi
nomi
si
rincorrono
di
generazione
in
generazione.
Sono,
tuttavia,
Ignazio
Jr.
e
Donna
Franca
le
icone
di
una
stagione
culturale
irripetibile,
che
coincide
con
l’esplosione
del
Liberty
come
stile
in
grado
di
elevare
la
borghesia
ai
fasti
dell’aristocrazia
isolana.
E
un’epoca
di
speranza
e
di
ottimismo
la
Belle
Epoque,
di
sfrenata
proiezione
verso
il
futuro:
il
16
maggio
1897
si
inaugura
con
il
Falstaff
il
Teatro
Massimo
di
Palermo,
il
più
grande
d’Europa
dopo
l’Opéra
di
Parigi.
Ernesto Basile, Marcello
Dudovich,
Giovanni
Boldini:
i
grandi
artisti
del
momento
lavorano
per
la
famiglia.
Donna
Franca
e
Ignazio
Fiorio
sono
i
protagonisti
della
scena
mondana
della
nuova
“capitale”,
intimi
di
potenti
e
reali
europei,
compresi
lo
zar
Nicola
I
e
la
zarina,
ma
attenti
allo
stesso
tempo
alle
esigenze
del
popolo
e
dei
lavoratori
delle
loro
imprese.
In quel momento il
marchio
Fiorio
è
onnipresente
e
spazia
dai
cantieri
navali
al
trasporto
di
merci
e
persone
in
mezza
Europa
e
fino
a
New
York,
dalle
solfatare
alla
produzione
di
marsala
a
quella
di
tonno
in
scatola.
Sono
proprio
loro
a
inventare
il
rivoluzionario
sistema
di
confezionamento
del
pesce
sott’olio,
giunto
sostanzialmente
invariato
fino
ai
giorni
nostri.
Ma
i
tempi
cambiano,
la
politica
fa
il
suo
corso,
la
Prima
guerra
mondiale
spazza
via
il
vecchio
mondo
e
il
marchio
di
famiglia
non
riesce
a
tenere
il
passo.
E
una
lenta
agonia,
che
non
culmina
mai
in
un
fallimento,
più
simile
al
lento
spegnersi
del
battito
d’ali
di
una
farfalla.
LA
CORRIDA
DEI
MARI
-
La
pista
più
battuta
nei
mari
italiani
è
proprio
il
periplo
della
Sicilia,
cui
i
tonni
rossi
giungono
dall’Atlantico
dopo
aver
varcato
lo
stretto
di
Gibilterra.
Nell’aprile
2019,
dopo
una
pausa
di
una
dozzina
d’anni,
il
mare
antistante
Favignana
è
tornato
a
tingersi
di
rosso
e
le
acque
a
ribollire
degli
ultimi
istanti
di
vita
dei
tonni.
Rito
arcaico
le
cui
origini
si
perdono
nella
notte
dei
tempi,
la
mattanza
segue
un
copione
immutabile
che
vede
il
rais
come
regista
incontrastato
delle
operazioni.
È
lui,
il
pescatore
più
esperto,
al
comando
di
un
equipaggio
di
molti
uomini,
a
decidere
quando
sarà
il
momento
di
calare
le
reti
in
mare
e
dove
collocarle.
Ha
così
avvio
un’antica
usanza,
profondamente
avversata
dagli
ambientalisti
(il
tonno
rosso
è
una
delle
specie
marine
più
minacciate
dalla
pesca
industriale),
ma
dalle
profonde
valenze
antropologiche:
l’eterna
lotta
dell’uomo
contro
l’animale
per
il
predominio
nel
mondo
naturale.
Un
labirinto
di
reti
conduce
i
tonni
fino
alla
famigerata
“camera
della
morte”,
dove
la
rete,
stesa
anche
sul
fondo,
non
prevede
via
di
fuga.
Disposti
in
cerchio
su
barche
intorno
alla
tonnara,
i
tonnaroti
intonano
cialome,
ovvero
vecchie
nenie
dalle
cadenze
arabe
e
recitano
preghiere
prima
di
uccidere
e
sollevare
a
bordo
i
tonni
con
gli
arpioni.
Una
storia
antica
e
crudele,
certamente,
ma
dal
sapore
quasi
sacrale
e
profondamente
incisa
nel
Dna
delle
genti
di
mare
mediterranee.
Pag.
2
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