
Parco
archeologico
Il parco
archeologico di Selinunte, ad oggi il più grande d'Europa, è
stato istituito dalla Regione
Siciliana nel 2013.
Ha un'estensione di circa 270 ettari ed è divisibile nelle seguenti
aree:
- La
collina Gàggera (a ovest, con il santuario della Malophòros)
- L'acropoli (al
centro, con templi e fortificazioni)
- La
collina Manuzza (a nord, con l'abitato antico)
- La
collina orientale (ad est, con altri templi)
- Le necropoli.
Gli
ingressi al parco sono due. Uno dal lato est dalla frazione di Marinella di
Selinunte (collina orientale), e uno dal lato ovest dalla frazione di Triscina di
Selinunte (santuario della Malophòros).
Acropoli
L'Acropoli è un altopiano calcareo che a sud è a
strapiombo sul mare, mentre a Nord si restringe fino a m 140.
L'insediamento, di forma grossomodo trapezoidale, fu ampliato verso nord
alla fine del VI secolo a.C. con un formidabile muraglione a gradini
(altezza m 11 circa), e circondato da mura – più volte restaurate e
modificate – formate da cortine in blocchi squadrati con un riempimento di
pietrame (emplècton),
e scandite da 5 torri e 4 porte. A nord, l'acropoli presenta delle
fortificazioni (vedi sotto) con contromuro e torri, databili all'inizio del
IV secolo a.C.
Presso l'ingresso all'acropoli vi è la cosiddetta
Torre di Polluce che fu costruita nel XVI secolo contro i corsari, sui resti
di una torre o faro antico.

L'impianto
urbano è suddiviso in quartieri da due strade principali (larghezza m 9)
che si incrociano ad angolo retto (quella nord-sud lunga m 425; quella
est-ovest lunga m 338), intersecate a loro volta – ogni m 32 – da altre
vie minori (larghezza m 5). Questa sistemazione urbanistica – che
riproduce quella più antica – risale però al IV secolo a.C., cioè alla
Selinunte punica.
Ai primi
anni della colonia, invece, sono da attribuire diverse aree e piccoli
santuari innalzati sull'acropoli, sostituiti circa cinquant'anni più tardi
da templi più grandi e duraturi; il primo di essi sembra sia stato il
cosiddetto mègaron nei pressi dei Templi B e C.
Ancora
incerta resta la localizzazione dell'agorà (che invece altri studiosi
ipotizzano che si trovasse a nord nell'area del centro abitato).
Davanti al
Tempio O si è rinvenuta un'area sacrificale punica – posteriore alla
conquista del 409 a.C. – caratterizzata da ambienti costruiti con muretti
a secco, all'interno dei quali erano depositati vasi contenenti ceneri, e
anfore a siluro di tipo cartaginese.
Sulla
collina dell'acropoli sono stati rinvenuti i resti di numerosi templi di ordine
dorico.
- Il Tempio
O e il Tempio A – di cui restano pochi avanzi: il basamento, qualche
rocchio e l'ara – furono costruiti tra il 490 ed il 460 a.C., hanno una
struttura pressoché identica tra loro, simile a quella del Tempio E sulla
collina orientale. Presentano un peristilio (lunghezza m 40,20; larghezza m
16,20) di 6 x 14 colonne (altezza m 6,23). L'interno è caratterizzato da un
pronao in antis, da una cella con adyton, e da un opistodomo in antis
separato dalla cella; la cella era di un gradino più alta del pronao, e l'adyton era
di un gradino più alto della cella. Nel muro tra pronao e cella del Tempio
A vi erano due scale a chiocciola che portavano alla galleria (o piano)
superiore.
Il pronao del Tempio A ha un pavimento a mosaico dove sono
rappresentati la figura simbolica della dea fenicia Tanit,
un caduceo, il sole, una corona e una testa bovina: esso testimonia il
riutilizzo dell'ambiente in epoca punica come luogo religioso o come
abitazione. Il Tempio O era dedicato a Poseidone, piuttosto che non ad Atena
(Moscati); il Tempio A ai Dioscuri, piuttosto che non ad Apollo (Moscati).
A m 34 ad
est del Tempio A vi sono i resti dell'ingresso monumentale all'area: si
tratta di un propileo con pianta a forma di T, consistente in un corpo
avanzato rettangolare (di m 13 x 5,60) con peristilio di 5 x 12 colonne, e
in un altro corpo pure rettangolare (di m 6,78 x 7,25).

- Superata
la strada est-ovest si entra nella seconda area sacra, posta a nord della
precedente. Prima di giungere al Tempio C, a sud di esso, vi è un sacello
(Mègaron) (lunghezza m 17,65; larghezza m 5,50), che risale al 580-570
a.C., avente la struttura arcaica del mègaron, forse destinato a
conservare le offerte dei fedeli.
Privo di pronao, ha l'entrata ad est che dà
direttamente nella cella (al centro della quale vi sono due basi per le
colonne lignee che sostenevano il tetto), racchiusa in fondo da un adyton quadrato,
al quale venne aggiunto in epoca successiva un terzo ambiente.
Il sacello
era forse dedicato a Demetra Tesmofòros (Coarelli-Torelli).
- Alla sua
destra vi è il Tempio B, di epoca ellenistica, piccolo (lunghezza m 8,40;
larghezza m 4,60) e in cattive condizioni. Consisteva in un'edicola prostila
di 4 colonne cui si accedeva per una scala di 9 gradini, con pronao e cella.
Nel 1824 mostrava ancora chiare tracce degli intonaci policromi.
Costruito
probabilmente intorno al 250 a.C., poco tempo prima che Selinunte venisse
definitivamente evacuata, rappresenta il solo edificio religioso che attesta
la modesta rinascita della città dopo la sua distruzione.
Oscura resta la
sua destinazione: in passato si era creduto trattarsi dell'heroon (tempio
sede di un culto eroico) di Empedocle,
bonificatore delle paludi selinuntine, ipotesi non più sostenibile per la
cronologia dell'edificio; oggi si pensa più ad un culto punico fortemente
ellenizzato, come quelli di Demetra o di Asclepio-Eshmun.
- Il Tempio
C è il più antico in quest'area, e risale al 550 a.C. Nel 1925-27
sono state ricomposte e rialzate sul lato N numerose colonne (per la
precisione 14 colonne su 17) con parte della trabeazione.
Presenta un
peristilio (lunghezza m 63,70; larghezza m 24) di 6 x 17 colonne (altezza m
8,62). È caratterizzato a est dall'ingresso preceduto da una scalinata di 8
gradini, un vestibolo con una seconda fila di colonne, quindi il pronao, la
cella e l'adyton collegati in un insieme stretto e lungo (carattere
arcaico); ha sostanzialmente la stessa planimetria del Tempio F sulla
collina orientale.
Mostra in diversi elementi una certa inesperienza e lo
sforzo di giungere alla perfezione tecnica del tempio dorico: per esempio le
colonne sono tozze e massicce, alcune di esse sono ancora monolitiche, manca
l'entasi (rigonfiamento
della colonna), vi sono variazioni nel numero delle scanalature,
oscillazioni nelle misure degli intercolumni, le colonne angolari hanno un
diametro maggiore delle altre, ecc.
Nel tempio
sono stati rinvenuti: dalla decorazione della cornice alcuni frammenti di
terrecotte policrome (rosso, bruno, porpora); dalla decorazione del frontone
un gigantesco gorgoneion fittile (altezza m 2,50); dalla facciata
tre metope che rappresentano: Perseo, alla presenza di Atena, in atto di
decapitare Gorgone che stringe a sé Pegaso; Eracle, catturati i Cèrcopi
(folletti-ladri), li porta via sospesi a una pertica a testa in giù; la
quadriga di Apollo vista frontalmente (il dio era affiancato dalle figure di
Helios e Selene: lacunose), che sono tutte al Museo Archeologico di Palermo.
Il Tempio C – che probabilmente aveva anche una funzione di archivio:
infatti vi furono ritrovati centinaia di sigilli – era dedicato ad Apollo
(rinvenimento dell'iscrizione IG XIV, 269), piuttosto che non ad Eracle
(Guido).

- A est del
Tempio C vi è il suo grande altare rettangolare (lunghezza m 20,40;
larghezza m 8) di cui restano le fondazioni e qualche gradino, e poi l'area
dell'Agorà ellenistica; poco oltre i resti delle case, la terrazza è
limitata da un portico dorico (lunghezza m 57; larghezza m 2,80) che si
affaccia su un imponente tratto del muro di sostegno dell'acropoli.
- Segue il
Tempio D, che si data al 540 a.C. e si affaccia col suo fronte ovest
direttamente sulla strada nord-sud. Presenta un peristilio (lunghezza m 56;
larghezza m 24) di 6 x 13 colonne (altezza m 7,51). È caratterizzato da un
pronao in antis, una cella allungata conclusa con l'adyton. È più
progredito del Tempio C (le colonne sono lievemente inclinate, più
slanciate e con èntasis; il vestibolo è sostituito da un pronao
distilo in antis), ma mostra ancora incertezza nelle misure fra gli
intercolumni e nei diametri delle colonne, come pure nel numero delle
scanalature.
Come già
il Tempio C, mostra nel pavimento del peristilio e della cella molte cavità
circolari o quadrate di cui si ignora la funzione. Il Tempio D era dedicato
ad Atena (come attesterebbe l'iscrizione dedicatoria IG XIV, 269), piuttosto
che non ad Afrodite. Il grande altare esterno, non in asse col tempio ma
posto obliquamente presso il suo angolo sud-ovest, fa supporre che l'attuale
Tempio D occupi il luogo di uno precedente.

- A est del
Tempio D vi è il basamento di un tempietto arcaico, il Tempio Y, detto
anche "Tempio delle piccole metope", preceduto da un altare
quadrato. Le metope rinvenutevi (altezza cm. 84), databili al 570 a.C.,
rappresentano: una sfinge di profilo accosciata, la triade delfica (Latona,
Artemide, Apollo) in un rigido schema frontale, il ratto di Europa al di
sopra del mare; altre due metope databili a circa il 560 a.C., reimpiegate
nelle fortificazioni ermocratee, mostrano la quadriga di Demetra e Kore
(oppure Helios e Selene? Apollo?), e una cerimonia eleusina con Demetra,
Kore ed Ecate con la spiga di grano (le Moire?), sono tutte conservate al
Museo Archeologico di Palermo.
Intorno ai
Templi C e D vi sono le rovine di un villaggio bizantino del V secolo d.C.,
costruito con materiale di recupero. Il fatto che alcune case risultavano
sepolte dal crollo delle colonne del Tempio C, ha dimostrato che il
terremoto che ha portato al crollo dei templi selinuntini deve essere
avvenuto in epoca altomedievale.
Verso nord
l'acropoli presenta due quartieri della città (uno a ovest ed l'altro ad
est della grande strada nord-sud), ricostruiti da Ermocrate dopo il 409
a.C.: le case sono modeste, edificate con materiali di recupero; alcune di
esse mostrano delle croci incise, segno che furono adoperate come edifici
cristiani o da parte di cristiani.
A nord,
prima di raggiungere l'abitato, vi sono le grandiose fortificazioni a difesa
dell'acropoli. Si articolano come una lunga galleria (originariamente
coperta), parallela al tratto delle mura nord, con numerosi passaggi chiusi
ad arco, seguita da un profondo fossato difensivo varcato da un ponticello,
e con tre torri semicircolari ad ovest, nord e ad est.
Girando all'esterno
della torre nord – con un deposito di artiglieria alla base – si entra
nella trincea rettilinea est-ovest con passaggi in entrambe le pareti.
Le
fortificazioni, attribuibili solo in piccola parte alla città antica, sono
da riferire sostanzialmente alle ricostruzioni di Ermocrate e a interventi
successivi (IV-III secolo a.C.). Infatti vi furono reimpiegati degli
elementi architettonici, che dimostrano che alcuni dei templi erano stati
abbattuti già nel 409 a.C.
Collina Manuzza
A
nord dell'acropoli, sulla collina di Manuzza, la strada moderna (strada 6)
traccia il confine di un'area di forma grossomodo trapezoidale in cui si
presume si dovesse trovare anche l'agorà. Tutta l'area era occupata
dall'abitato di schema ippodameo – riconosciuto con fotografie aeree –
lievemente divaricato rispetto all'asse dell'acropoli, ma con isolati
allungati di m 190 x 32 rigorosamente orientati nord-sud, che
originariamente era cinto da un muro difensivo.
Nell'area
non sono stati fatti ancora degli scavi sistematici, ma solo dei saggi i
quali hanno comunque confermato che il luogo era abitato fin dalla
fondazione di Selinunte (VII secolo a.C.), e che dunque non si tratta di una
fase successiva di espansione della città. Dopo la distruzione di
Selinunte, quest'area della città non fu più riabitata; i profughi tornati
al seguito di Ermocrate, si insediarono unicamente sull'acropoli, in quanto
era più facilmente difendibile.
Sulla
collina Manuzza nel 1985 è
stata rinvenuta una costruzione in tufo, probabilmente un edificio pubblico
risalente al V sec. a.C.
A nord
infine, oltre l'abitato, stanno due necropoli: quella di Manuzza e quella più
antica (VII-VI secolo a.C.) in località Galera-Bagliazzo.
Collina
Orientale
Sulla collina
orientale vi sono tre templi che, benché disposti lungo lo stesso asse
nord-sud, tuttavia non sembra avessero un unico recinto sacro (tèmenos),
come dimostrerebbe il muro di separazione esistente fra il Tempio E ed il
Tempio F. Questo complesso sacro ha fortissime analogie con le pendici
occidentali dell'acropoli Caria di Megara Nisea, madrepatria di Selinunte,
elemento prezioso, forse indispensabile, per un discorso corretto
sull'attribuzione dei culti praticati nei vari templi.
- Il Tempio
E, il più recente dei tre, risale al 460-450 a.C. e ha una pianta
molto simile a quella dei Templi A e O dell'Acropoli. Il suo attuale aspetto
lo si deve all'anastilosi (ricomposizione
e reinnalzamento delle sue colonne) effettuata – tra polemiche – tra il 1956 ed
il 1959.
Presenta un peristilio (lunghezza m 67,82; larghezza m 25,33) di 6 x 15
colonne (altezza m 10,19) con numerose tracce superstiti dell'originario
stucco che le ricopriva.
È un tempio caratterizzato
da diverse scalinate che determinano un sistema di rialzamenti successivi:
una prima di 10 gradini conduceva all'ingresso sul lato E; dopo il pronao in
antis un'altra di 6 gradini conduceva nella cella; e per finire un'ultima di
6 gradini dava accesso – in fondo alla cella – all'adyton; dietro l'adyton,
separato da esso, vi era l'opistodomo in antis.
Un fregio dorico alla
sommità delle pareti della cella era costituito da metope figurate, i cui
personaggi avevano il corpo in arenaria locale mentre la testa e le parti
nude dei corpi femminili erano in marmo pario; si sono conservate quattro
metope intere raffiguranti (in stile severo): Eracle che uccide l'amazzone
Antiope; le nozze di Zeus con Hera; Atteone che viene dilaniato dai cani di
Artemide; Atena che uccide il gigante Encèlado; inoltre una quinta
lacunosa: Apollo e Dafne; tutte conservate al Museo Archeologico di Palermo.
Recenti sondaggi effettuati
intorno e al di sotto del Tempio E hanno rivelato che esso è stato
preceduto da altri due edifici sacri, di cui uno fu distrutto da un incendio
nel 510 a.C. Il Tempio E era dedicato a Hera, come attesterebbe l'iscrizione
di una stele votiva (IG XIV, 271); invece alcuni studiosi (Coarelli-Torelli),
in base a confronti, deducono che debba trattarsi piuttosto di un tempio di
Afrodite.
- Il Tempio
F, il più antico ma anche il più piccolo dei tre, fu costruito fra
il 550 e il 540 a.C. su modello del Tempio C. È fra i templi quello che
maggiormente ha subito spoliazioni. Presenta un peristilio (lunghezza m
61,83; larghezza m 24,43) di 6 x 14 colonne (altezza m 9,11) caratterizzato
da chiusure in muratura (altezza m 4,70) tra gli intercolumni, con finte
porte dipinte composte da lesene e architravi, mentre l'ingresso vero e
proprio era a est. Non si conosce il motivo di questo apprestamento,
veramente insolito per un tempio greco: si è pensato che fosse suggerito
dalla necessità di proteggere i doni votivi; oppure di impedire ai profani
la visione di riti particolari che venivano svolti al suo interno.
L'interno è caratterizzato
da un vestibolo delimitato da un secondo ordine di colonne, dal pronao,
cella e adyton collegati in un insieme stretto e lungo (carattere
arcaico). Dalla facciata est sono presenti due metope tardo arcaiche (datate
al 500 a.C.) rinvenute durante gli scavi nel 1823,
che rappresentano Atena e Dioniso in atto di colpire a morte due Giganti,
oggi conservate nel Museo
Archeologico Regionale di Palermo. Il Tempio F era dedicato forse ad
Atena (Maiuri, Moscati), forse a Diòniso (Coarelli-Torelli).
- Il Tempio
G è il più grande di Selinunte (lunghezza m 113,34; larghezza
m 54,05; altezza m 30 circa) e uno dei maggiori del mondo greco. La sua
costruzione, pur protraendosi dal 530 al 409 a.C. (si notano variazioni di
stile durante il lungo periodo costruttivo: dall'arcaico sul lato est al
classico sul lato ovest), rimase tuttavia incompiuta, come risulta
dall'assenza di scanalature in alcune colonne, e dall'esistenza di rocchi di
colonne delle stesse dimensioni a km 10 di distanza, in fase di estrazione,
nelle Cave di
Cusa (vedi sotto). Tra il cumulo terrificante delle sue rovine,
si riconosce un peristilio di 8 x 17 colonne (altezza m 16,27; diametro m
3,41) di cui sta in piedi una sola – ricomposta nel 1832 – (chiamata
"lu fusu di la vecchia").
L'interno
comprendeva: un pronao prostilo a 4 colonne con due profonde ante terminanti
a pilastro, e tre porte di accesso all'ampia cella; una cella molto larga
divisa in tre navate, di cui quella mediana probabilmente "ipetrale"
(cioè a cielo aperto) caratterizzata da due file di 10 colonne più sottili
che sostenevano una seconda fila di colonne ("galleria"), e da due
scale laterali che portavano ai sottotetti; in fondo alla navata centrale vi
è l'adyton separato dalle pareti della cella (soluzione tipica ed
originale), all'interno del quale fu ritrovato il torso di un gigante ferito
o morente e l'importantissima iscrizione chiamata "Grande Tavola
Selinuntina"; e infine un opistodomo in antis non comunicante con la
cella.
Fra le rovine, di
particolare interesse risultano: alcune colonne rifinite che mostrano tracce
dello stucco colorato; i blocchi delle trabeazioni che presentano
scanalature laterali a ferro di cavallo entro le quali venivano passate le
funi per il loro sollevamento. Il Tempio G – che probabilmente aveva anche
la funzione di tesoro della città – dall'iscrizione rinvenutavi sembra
che fosse dedicato ad Apollo; oggi, in base a studi recenti, si propende ad
attribuirlo a Zeus.
Ai piedi della collina,
alla foce del fiume Cottone vi è il porto est; esteso per m. 600 circa
verso l'interno e guarnito probabilmente da un molo o da una diga che si
protendeva dall'acropoli, subì nel IV-III secolo a.C. delle trasformazioni:
infatti fu allargato e fiancheggiato da banchine (orientate nord-sud) e da
depositi. Dei due porti di Selinunte – attualmente insabbiati – il porto
W, posto alla foce del fiume Selino-Modione, era quello principale.
I quartieri extra moenia,
collegati alle attività emporiche, commerciali e portuali, erano sistemati
invece su grossi terrazzamenti lungo le pendici della collina.
A nord dell'attuale
villaggio Marinella, infine, si trova una necropoli in località Buffa.
Collina occidentale Gàggera
e il santuario della Malophòros
Sulla
collina occidentale vi si giunge per un sentiero che parte dall'acropoli ed
attraversa il fiume Modione.
In contrada Gàggera si
incontrano i resti del più antico santuario selinuntino dedicato alla dea
della fertilità, il Santuario di Dèmetra
Malophòros, scavato a più riprese fra il 1874 ed
il 1915.
Costruzione complessa, molto rimaneggiata ed altrettanto danneggiata, fu
eretta nel VI secolo a.C. sul declivio sabbioso della collina; serviva
probabilmente da stazione dei cortei funebri che proseguivano poi per la
necropoli di Manicalunga.
Agli inizi il luogo,
sicuramente privo di qualsiasi costruzione, prevedeva pratiche cultuali
all'aperto intorno a qualche ara; solo in seguito all'erezione del tempio e
dell'alto muro di recinzione (tèmenos), esso fu trasformato in santuario.
Questo consiste in un
recinto quadrangolare (m 60 x 50) al quale si accede sul lato E attraverso
un propileo quadrato in antis – costruito nel V secolo a.C. – preceduto
da una piccola gradinata e da una struttura circolare; all'esterno del muro
di recinzione, il propileo è affiancato dai resti di un lungo porticato
(stoà) fornito di sedili per i pellegrini, davanti al quale si evidenziano
diversi altari o donarii. All'interno del temenos, invece, al centro,
vi è il grande altare (lunghezza m 16,30; larghezza m 3,15), rinvenuto
colmo di ceneri, di ossa animali e di altri resti di sacrifici; esso mostra
un'aggiunta verso sud-ovest, mentre i resti di un precedente altare arcaico
sono visibili presso la sua estremità nord-ovest, ed un pozzo quadrato è
posto in direzione del tempio. Tra l'altare ed il tempio vi è inoltre un
canale in pietra che, provenendo da N, attraversa tutta l'area portando al
santuario acqua da una vicina sorgente.
Subito oltre il canale vi
è il vero e proprio Tempio di Demetra a forma di mègaron, (lunghezza
m 20,40; larghezza m 9,52), privo di basamento e di colonne, con pronao,
cella e adyton con nicchia voltata nella parete di fondo; un
ambiente di servizio rettangolare si appoggia al lato nord del pronao. Il mègaron ebbe
una fase più antica, riconoscibile però solo a livello di fondazione. A
sud del tempio vi sono una struttura quadrata e una struttura rettangolare a
ridosso del muro di cinta, di non chiara funzione; a nord del tempio,
un'altra struttura a due vani, comunicante sia con l'interno sia con
l'esterno del recinto sacro, costituisce forse un ingresso secondario al tèmenos,
rimaneggiato in epoca tarda.
Sulla collina occidentale vi si giunge per un
sentiero che parte dall'acropoli ed attraversa il fiume Modione.
In contrada Gàggera si incontrano i resti del più
antico santuario selinuntino dedicato alla dea della fertilità, il
Santuario di Dèmetra Malaphòros, scavato a più riprese fra il 1874 ed
il 1915. Costruzione
complessa, molto rimaneggiata ed altrettanto danneggiata, fu eretta nel VI
secolo a.C. sul declivio sabbioso della collina; serviva probabilmente da
stazione dei cortei funebri che proseguivano poi per la necropoli di
Manicalunga.
Agli inizi il luogo, sicuramente privo di qualsiasi
costruzione, prevedeva pratiche cultuali all'aperto intorno a qualche ara;
solo in seguito all'erezione del tempio e dell'alto muro di recinzione (tèmenos),
esso fu trasformato in santuario.
Questo consiste in un recinto quadrangolare (m 60 x
50) al quale si accede sul lato E attraverso un propileo quadrato in antis
– costruito nel V secolo a.C. – preceduto da una piccola gradinata e da
una struttura circolare; all'esterno del muro di recinzione, il propileo è
affiancato dai resti di un lungo porticato (stoà) fornito di sedili per i
pellegrini, davanti al quale si evidenziano diversi altari o donarii.
All'interno del temenos, invece, al centro, vi è il grande altare
(lunghezza m 16,30; larghezza m 3,15), rinvenuto colmo di ceneri, di ossa
animali e di altri resti di sacrifici; esso mostra un'aggiunta verso
sud-ovest, mentre i resti di un precedente altare arcaico sono visibili
presso la sua estremità nord-ovest, ed un pozzo quadrato è posto in
direzione del tempio. Tra l'altare ed il tempio vi è inoltre un canale in
pietra che, provenendo da N, attraversa tutta l'area portando al santuario
acqua da una vicina sorgente.
Subito oltre il canale vi è il vero e proprio
Tempio di Demetra a forma di mègaron, (lunghezza m 20,40; larghezza m
9,52), privo di basamento e di colonne, con pronao, cella e adyton con
nicchia voltata nella parete di fondo; un ambiente di servizio rettangolare
si appoggia al lato nord del pronao. Il mègaron ebbe una fase più
antica, riconoscibile però solo a livello di fondazione. A sud del tempio
vi sono una struttura quadrata e una struttura rettangolare a ridosso del
muro di cinta, di non chiara funzione; a nord del tempio, un'altra struttura
a due vani, comunicante sia con l'interno sia con l'esterno del recinto
sacro, costituisce forse un ingresso secondario al tèmenos,
rimaneggiato in epoca tarda.

Del muro di recinzione, il lato sud fu
periodicamente rinforzato per trattenere le spinte del terreno sabbioso. A
sud del propileo, addossato al muro di cinta, vi è un recinto dedicato ad
Ecate:
di forma quadrata, il sacello è posto nell'angolo E presso un ingresso al
recinto, mentre nell'angolo sud vi è un piccolo spazio quadrato pavimentato
a lastre, di ignota destinazione. A m 15 in direzione nord, un altro recinto
quadrangolare (m 17 di lato) è dedicato a Zeus Meilìchios e Pasikràteia
(Zeus "dolce come il miele" e Persefone): molto rimaneggiato –
tanto che non sempre è facile comprenderne le varie strutture – fu eretto
alla fine del IV secolo a.C.
È costituito da: un recinto circondato su due
lati da colonne di tipo diverso, attribuibili ad un porticato rifatto in
epoca ellenistica; un piccolo tempio prostilo in antis (lunghezza m 5,22;
larghezza m 3,02) posto in fondo al recinto, con colonne monolitiche di tipo
dorico, ma trabeazione di tipo ionico; due altari al centro dell'area.
All'esterno, ad ovest, erano state collocate dai fedeli diverse piccole
stele coronate dalle immagini della coppia divina (due volti: uno maschile e
l'altro femminile) rese con pochi tratti incisi: rinvenute insieme a ceneri
e resti di offerte, testimoniano il convergere del culto greco di divinità
ctonie con la religiosità punica.
Moltissimi sono i reperti
provenienti dal santuario della Malophòros (tutti conservati al Museo di
Palermo): arule scolpite con scene mitologiche; circa 12.000 figurine votive
di offerenti maschili e femminili in terracotta (alcune delle quali ricavate
dalla stessa matrice), databili tra il VII e il V secolo a.C.; grandi
busti-incensieri che raffigurano Demetra e forse Tanit; una grande quantità
di ceramica corinzia (del primo corinzio e del tardo proto-corinzio); un
bassorilievo raffigurante il ratto di Persefone da parte di Ade proviene
dalla zona dell'ingresso al recinto. I materiali cristiani rinvenuti
(soprattutto lucerne col monogramma XP), provano la presenza dal III al V
secolo d.C. di una comunità religiosa cristiana nell'area del santuario.
Ad ovest del santuario
della Malophòros vi è la necropoli più vasta di Selinunte, quella in
località Pipio, Manicalunga e Timpone Nero. Nelle numerosissime tombe a
cassa con copertura a lastre di tufo, si sono rinvenuti soprattutto vasi
attici del VI e V secolo a.C.; ma non mancano tombe del VII secolo a.C., e
neppure tombe non elleniche. In generale le necropoli di Selinunte sono per
l'85% a inumazione, e non presentano corredi particolarmente ricchi.
Procedendo lungo le pendici
della collina della Gàggera, poco oltre si raggiunge la sorgente da cui si
approvvigionava di acqua il Santuario della Malophòros; a m 50 a valle di
essa, vi è un edificio già creduto un tempio (il cosiddetto Tempio M), in
realtà si tratta di una fontana monumentale. Di forma rettangolare
(lunghezza m 26,80; larghezza m 10,85; altezza m 8), costruita con blocchi
squadrati, era formata da una cisterna (cosiddetta "cella"), un
bacino chiuso protetto da un portico a colonne (cosiddetto
"pronao"), e una gradinata di accesso a quattro gradini
(cosiddetto "altare") con vasta area lastricata antistante.
L'edificio, che aveva forme doriche, si data alla metà del VI secolo a.C.
principalmente per le terrecotte architettoniche rinvenutevi. I frammenti di
metope con Amazzonomachia, invece, seppure rinvenuti nei paraggi, non sono
pertinenti all'edificio, che aveva metope lisce e di misura minore.
Un altro mègaron è
stato scoperto di recente a poche centinaia di metri dal santuario della
Malophòros, in direzione nord-est.
Necropoli
Attorno
a Selinunte possono essere individuate alcune aree adibite a necropoli.
- Buffa (fine del VII e VI
secolo a.C.): a nord della collina orientale. Caratteristica del sito una
fossa votiva triangolare (m 25 x 18 x 32) con terrecotte, vasi e resti di
animali di probabili sacrifici.
- Galera Bagliazzo (dal VI
secolo a.C.): a nord est della collina Mannuzza. Qui, nelle tombe scavate
nel tufo, non sempre singole, sono stati rinvenuti suppellettili di vari
stili. Nel 1882 è
stata portata alla luce la statua denominata Efebo
di Selinunte oggi visitabile in un museo nei pressi
dell'acropoli.
- Pipio Bresciana e
Manicalunga Timpone Nero (VI - V secolo a.C.): a ovest della collina Gaggera
è la più estesa necropoli di Selinunte. Non è ancora chiaro, vista la
lontananza dal centro della città, se fosse effettivamente la necropoli
della città o piuttosto quella di un'area suburbana. Oltre al rito
dell'inumazione sono state trovate anfore e pithoi che
testimoniano anche del rito della cremazione.
I sarcofagi sono in terracotta o in tufo. Sono presenti anche camere
coperte.
Cave
di Cusa
Le
Cave (o Rocche) di Cusa, caratterizzate da banchi di calcarenite, si trovano
presso Campobello di Mazara, a 13 km da Selinunte. Si tratta delle
cave di pietra da cui veniva estratto il materiale per le costruzioni
selinuntine.
L'elemento
più significativo che vi si nota è la brusca interruzione dei lavori di
estrazione, di lavorazione e di trasporto dei rocchi di colonna, dovuta alla
minaccia che incombeva sulla città nel 409 a.C. per l'improvviso
sopraggiungere dell'esercito cartaginese.
La
repentina fuga dei cavatori, degli scalpellini e degli operai addetti, ha
fatto sì che tutte le varie fasi di lavorazione oggi si possano non solo
riconoscere ma anche seguire: dalle prime profonde incisioni circolari, fino
ai rocchi finiti che attendevano soltanto di essere trasportati via.
Oltre
a rocchi di colonne, nelle cave è possibile riconoscere anche qualche
capitello, come pure incisioni rettangolari per ricavare dei blocchi
squadrati, tutti destinati ai templi di Selinunte. Alcune gigantesche
colonne – sicuramente destinate al Tempio G – si notano nella zona ovest
delle Rocche di Cusa, allo stato ancora di primo abbozzo. Dei rocchi già
estratti, alcuni erano pronti per essere trasportati via; altri, già in
viaggio alla volta di Selinunte, furono abbandonati e si riconoscono lungo
la strada.
Arte
e reperti da Selinunte - Nell'adyton
del Tempio G fu rinvenuta nel 1871 la "Grande Tavola
Selinuntina": essa contiene un vero e proprio catalogo dei culti
praticati a Selinunte, rappresentando così il testo base per ogni tentativo
di attribuzione dell'uno o dell'altro ai vari templi selinuntini.
In
essa si legge: "I Selinuntini sono vittoriosi grazie agli dei Zeus,
Fobos, Eracle, Apollo, Poseidone, i Tindaridi, Atena, Demetra, Pasikrateia e
altri dei, ma soprattutto grazie a Zeus. Dopo la restaurazione della pace,
è stato decretato che un'opera realizzata in oro con l'iscrizione dei nomi
delle divinità, con in testa Zeus, venisse deposta nel tempio di Apollo,
essendo disponibili per tale scopo
sessanta talenti d'oro" (corrispondenti a 1,617 tonnellata di oro
nel sistema euboico-attico;
oppure a 2,217 tonnellate nel sistema eginetico).
Importantissima
è l'arte figurativa di Selinunte raccolta – ad eccezione dei pezzi
trafugati e disseminati nel mondo – nel Museo Archeologico di
Palermo. I contatti che Selinunte ebbe con popoli non greci (Siculi, Elimi, Cartaginesi)
hanno determinato uno sviluppo artistico piuttosto originale, che si ravvisa
soprattutto nella realizzazione delle metope (per la loro
descrizione, vedi più sopra sotto i vari templi).
Selinunte
è l'unica colonia greca in Sicilia dove sia attestata ininterrottamente per
circa due secoli l'attività di botteghe di scultori dotati di un linguaggio
proprio e autonomo, che mostra l'introduzione del gusto ionico in una
tradizione eminentemente dedalica di origine peloponnesiaca.
L'Efebo
di bronzo che offre una libagione – conservato nel museo comunale di Castelvetrano –
di stile severo con componenti del mondo greco d'occidente, è databile al
470 a.C.; rappresenta – insieme all'ariete di Siracusa – le uniche opere
in bronzo di grandi dimensioni di epoca greca ritrovate in Sicilia.
Le
necropoli hanno dato numerosissimi vasi protocorinzi e corinzi, rodii,
attici a figure nere: in essi non si riconoscono caratteristiche peculiari
locali, sicché l'originalità artistica selinuntina è effettivamente da
ravvisare nella scultura delle metope e nell'architettura templare piuttosto
che non nella produzione vascolare.
Del
ricchissimo materiale votivo rinvenuto nel Santuario della Malophòros
(statuette in terracotta, ceramiche, busti-incensieri, arule, un
bassorilievo raffigurante il ratto di Persefone da parte di Ade, e le
lucerne cristiane), si è già detto sopra. È interamente conservato e in
parte esposto nel Museo Archeologico di Palermo.