Dimore eterne e luoghi sacri

 

In Europa: dai dolmen ai tesori di Verghìna

In Europa i primi esempi di sepolture sono attestati fin dal Paleolitico, periodo nel quale si instaura un vero e proprio rituale con pratiche funerarie relativamente complesse ed elaborate, che prevedevano la sepoltura del defunto ornato con i suoi abiti più belli e accompagnato dai suoi oggetti più preziosi, testimonianza di una credenza in una vita ultraterrena e di pratiche che permettono o facilitano il passaggio nell'Aldilà.

Solo nel Medioevo nasce, però, l'idea di seppellire i morti in aree ben precise e definite che costituiscono le prime necropoli, e bisognerà attendere il Neolitico per arrivare alle prime vere dimore dell'eternità, nelle quali la complessità e spesso le grandiose dimensioni delle strutture architettoniche tendono a garantire protezione e perennità alla sepoltura, diventando più durature delle case dei viventi. 

Verso il 5000 a.C. fanno la loro comparsa le prime strutture funerarie di tipo megalitico, che si diffonderanno in tutta l'Europa, trovando le loro massime espressioni in Bretagna, in Inghilterra, in Irlanda e nell'arcipelago maltese: sono strutture possenti realizzate utilizzando monoliti che potevano raggiungere dimensioni gigantesche, delle quali l'esempio più caratteristico è rappresentato dai dolmen e dalle tombe a corridoio ricoperte da giganteschi tumuli di terra (quello della celebre tomba di New Grange, costruita in Irlanda nel 3400 a.C., ossia circa 900 anni prima delle grandi piramidi di Giza, ha un diametro di ben 90 metri e un'altezza di 15). Queste sepolture, talvolta dotate di camere funerarie ornate, possono essere considerate le prime vere dimore dell'eterità del continente. Si calcola che almeno 200 tombe megalitiche sulle oltre 15.000 attestate in Europa, presentino elementi decorativi sia in alto che in bassorilievo - motivi geometrici concentrici come cerchi o spirali di oscuro significato o, più raramente, elementi antropomorfi - con un probabile significato simbolico, espressione di credenze religiose.

In alcuni casi lo sviluppo architettonico delle sepolture era enorme come nel tumulo di West Kennet, a sud di Avebury, in Inghilterra, una tomba a camere multiple lunga più di 100 metri, nella quale furono inumati almeno cinquanta corpi, e nella grande tomba ipogea di Hal Saflieni nelle isole maltesi, vero e proprio labirinto sotterraneo che comprendeva trentatré camere distribuite su una superficie di 500 metri quadrati.

I rituali funerari in uso nel Neolitico ci sono ancora in gran parte sconosciuti, anche se in numerosi casi è provata una stretta connessione tra il culto dei defunti e quello della fertilità - assai ben documentata nell'antico Egitto -, legata alle origini agrarie della religiosità neolitica.

Inoltre, molti indizi fanno ritenere che fosse già in uso la pratica del banchetto funebre che attesa la credenza in una vita eterna nell'Aldilà, vista come un miglioramento dell'esistenza terrena e talvolta come una sorta di ricompensa per una vita terrena valorosa o giusta. Il materiale stesso con cui la tomba veniva costruita, la pietra, che l'uomo ha sempre legato al concetto di inalterabilità e di durata, costituiva una promessa di eternità per i defunti, che venivano sepolti con utensili, armi e oggetti generalmente preziosi, talvolta fabbricati appositamente, che costituivano il corredo funerario, viatico per il viaggio ultraterreno.

Con il progredire della tecnologia e con l'introduzione della lavorazione dei metalli con cui inizia l'Età del Bronzo, i corredi funerari diventano sempre più ricchi ed elaborati e sono costituiti da oggetti preziosi, tipologicamente vari, particolarmente raffinati dal punto di vista artistico: il corredo acquista una fusione simbolica che doveva riflettere nell'Aldilà la ricchezza, il prestigio e la potenza del defunto.

Le tombe reali della necropoli di Micene, in Argolide, risalenti alla metà del II millennio a.C. e contemporanee di quelle della XVIII Dinastia in Egitto, coniugano degli aspetti monumentali di derivazione megalitica (l'architrave della porta di entrata del cosiddetto "tesoro di Ateo" pesa circa 120 tonnellate) con quelli ben più raffinati dell'Età del Bronzo. Tombe a fossa con vaste camere ipogee, tombe a falsa cupola dette "a thòlos", le cui fila concentriche di blocchi pietra superano al vertice i 12 metri di altezza, e l'utilizzo di maschere funerarie in lamina d'oro, lavorata a sbalzo, caratterizzano le dimore dell'eternità dei signori di Micene.

Nella successiva Età del Ferro, gli Etruschi che vediamo installati nella penisola italica, destinano all'inumazione dei defunti vasti ambienti ipogei, le "tombe a camera", decorate con bassorilievi che rappresentano generalmente scene della vita quotidiana e che raggiungono l'apice della perfezione artistica e stilistica tra il VII e il V secolo a.C. 

Queste sepolture, riunite in grandi necropoli, ci cui gli esempi più ricchi e interessanti sono costituiti da quelle di Tarquinia e di Cerveteri nel Lazio, non hanno la grandiosità architettonica delle tombe megalitiche o micenee, ma esprimono, attraverso la raffinatezza e la ricchezza delle loro decorazioni parietali, l'amore per la vita terrena e il prestigio e la ricchezza del defunto e della sua famiglia. E' probabile che queste pitture parietali non fossero semplicemente rievocazioni della vita passata, ma che magicamente dovessero rappresentare una specie di sfondo alla nuova vita dell'Aldilà.

Nei programmi decorativi delle dimore d'eternità etrusche, che erano l'espressione di una società aristocratica e oligarchica, il tema del banchetto, vera e propria riproduzione di quelli organizzati nella vita dal defunto, allietati da musici e danzatori, è il più diffuso e gli oggetti più preziosi, come coppe d'oro, contenitori per bevande, vasi per mescere i vini, utilizzati in tali occasioni, venivano deposti realmente accanto al defunto nel suo corredo funerario insieme a oggetti personali e a splendidi, raffinatissimi gioielli.

Lo studio di questi reperti ha permesso di appurare che gli Etruschi non solo possedevano un elevato senso artistico, ma avevano raggiunto anche un alto livello tecnologico che permetteva loro di utilizzare tecniche di oreficeria complesse e sofisticate, come la granulazione o la filigrana.

Come gli Egiziani anche gli Etruschi immaginavano che il defunto intraprendesse un lungo viaggio per raggiungere l'Aldilà, un mondo che ben poco aveva a che fare con quello paradisiaco dei Campi di Iaru raffigurati nelle tombe tebane del Nuovo Regno, essendo ritenuto un luogo triste e cupo, sul quale dominavano divinità terrificanti. Questa concezione metafisica, che risentiva profondamente degli influssi della cultura greca, spiega il profondo attaccamento alla vita degli Etruschi e il loro bisogno di rappresentarla nell'arte funeraria.

Di poco posteriori a quelle etrusche, le tombe reali macedoni della necropoli di Aigaì, presso Verghìna, scoperte alla fine degli anni Ottanta e risalenti agli inizi del IV secolo a.C., erano decorate con pitture, ma precedute da facciate monumentali e sormontate da tumuli di terriccio.

La struttura particolarmente elaborata di due di queste tombe, ritrovate intatte e identificate come appartenenti a Filippo II di Macedonia, che venne ucciso proprio ad Aigaì nel 335 d.C., e a suo padre Aminta III, mostra per la prima volta l'utilizzo in una camera sepolcrale della "volta a botte", testimoniando l'esistenza di un'architettura funeraria autoctona che si sviluppò in Grecia tra il IV e il II secolo a.C.

Lo straordinario corredo della tomba di Filippo II, detta anche "Tomba II di Verghìna", del quale facevano parte armi, gioielli e suppellettili d'oro e d'argento, comprendeva anche due sarcofagi in pietra, all'interno dei quali vi erano due urne d'oro splendidamente decorate a sbalzo, con i resti del re e della sua sposa, i cui corpi erano stati sottoposti a un processo di incinerazione secondo l'antica usanza, attestata già in epoca omerica, con cui gli eroi si liberavano dal proprio corpo mortale per inoltrarsi nei cupi sentieri dell'Ade.

    

Fonte:
Dimore eterne - Alberto Siliotti