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Cuma,
la prima colonia greca
d'occidente, fu fondata tra il
750 e il 730 a.C. da coloni
greci provenienti dall'isola di
Eubea all'estremità nord-occidentale
del Golfo di Napoli, sopra un
colle fortificato affacciato sul
mare. L'ambiente naturale della
zona (i Campi Flegrei) fu
modellato da remotissime vicende
vulcaniche che crearono alture,
depressioni e laghi e i cui
effetti si
manifestano tuttora con fenomeni
di bradisismo e sorgenti termali
calde. I Greci - si dice -
scelsero questo luogo dopo aver
ascoltato il suono dei cembali e
osservato il volo di una
colomba; in realtà per
proseguire nella loro espansione
commerciale nel golfo
partenopeo.
La città crebbe e
prosperò; da qui venne
introdotto l'alfabeto in Italia
e nelle sue acque gli Etruschi
furono sconfitti (474 a.C),
perdendo il dominio navale nel
Tirreno. Dell'antico abitato,
poi divenuto romano, rimangono
un tratto della Via Domiziana
pavimentato con grosse lastre di
pietra (basoli) tagliate "a
spacco", parti delle mura,
l'acropoli con i resti dei
templi di Giove e Apollo del V
secolo a.C, ricostruiti dai
Romani, il foro con le terme e
un tempio dedicato alla Triade
Capitolina; il porto è oggi
interrato nella pineta di Licola.
Una Via Sacra risale il colle
dell'acropoli, sul cui versante
meridionale si apre il famoso
antro della Sibilla Cumana, uno
degli oracoli più noti
dell'antichità.
LUCI
E OMBRE - La
data di costruzione è alquanto
incerta: secondo Amedeo
Maiuri venne realizzata tra
il VII ed il VI
secolo a.C., come testimoniato
dal tipo di taglio
della pietra tufacea a
forma trapezoidale, mentre altri
indicano il periodo della sua
costruzione tra
il X ed il IV
secolo a.C.; secondo la
tradizione era questo il luogo
nel quale risiedeva la Sibilla
Cumana, famosa per i suoi
oracoli e per essere citata
nell'Eneide di Publio
Virgilio Marone, il quale
descrive un luogo proprio simile
all'antro: nei pressi
dell'ingresso sono infatti poste
due lapidi in marmo che
riportano tale descrizione;
altri studiosi hanno invece
ipotizzato che si trattasse
semplicemente di una
struttura militare con
scopo difensivo per la città ed
il porto sottostante.
La galleria subì dei
rimaneggiamenti in età romana,
in particolar modo in epoca
augustea e durante la
dominazione bizantina:
venne quindi abbandonata a
seguito dello spopolamento di
Cuma a partire dal XIII
secolo e ritrovata ed
esplorata solo
nel 1932 dall'archeologo Amedeo
Maiuri.
Si
narra che re, grandi eroi o semplici paesani si recassero in questo
luogo per ottenere risposte a grandi e piccoli dilemmi o semplicemente
per conoscere il volere degli Dèi. Le profezie della Sibilla
Cumana erano infatti considerate verità assoluta.
Il
primo a parlare di questo posto magico e leggendario è stato
il sommo poeta latino Virgilio. Nel VI libro dell’Eneide
l’autore narra dell’incontro di Enea e della Sibilla e la discesa
agli inferi che Virgilio colloca nel vicino Lago d’Averno.

La
Sibilla Cumana, il più famoso oracolo del mondo antico, è una
figure realmente esistita. Nella tradizione le Sibille per entrare nello
stato di trance profetico masticavano foglie di alloro (albero sacro ad
Apollo) oppure sedevano vicino a una spaccatura del terreno e aspiravano gli
intossicanti fumi vulcanici che ne uscivano.
Alcuni
archeologi pensano che la
galleria altro non era che un
tunnel difensivo che doveva
collegare Cuma agli altri punti
militari strategici della costa.
L'antro
è formato da una galleria
rettilinea lunga 131 metri, a
sezione trapezoidale come i
camminamenti delle rocche
micenee, scavata nel tufo della
collina ma aperta sul lato verso
il mare da sei finestre che la
illuminano, creando una
suggestiva alternanza di zone di
luce e d'ombra che doveva
impressionare i visitatori.
L'antro
termina con una sala con volta piatta,
nella quale si aprono tre nicchie:
quella sul lato est serve per illuminare l'ambiente, quella sul lato sud
è a fondo cieco e quella sul lato ovest ha le dimensioni di un cubicolo,
con forma tripartita e preceduta da un vestibolo probabilmente
protetto da un cancello di
cui si notano ancora i fori degli stipiti nella
parete e
secondo la tradizione sarebbe proprio questa la stanza dove risiedeva la
Sibilla, anche se la sua costruzione risale probabilmente all'età
tardo imperiale.
Lungo il corridoio,
sul lato a monte, vi sono alcune
vasche nelle cui acque, secondo
la tradizione, la Sibilla si
purificava prima di pronunciare
i suoi vaticini. Al termine del
corridoio, un vestibolo con un
paio di sedili scavati nella
roccia precede un ambiente
sotterraneo a pianta rettangolare voltato, con tre
nicchioni alle pareti, da uno
dei quali si entra in una stanza
più piccola, pure ornata da tre
nicchie. Si ritiene che
nell'ambiente maggiore si
svolgessero le sedute della
Sibilla, la quale probabilmente
viveva nel locale attiguo.
Fu il
grande archeologo Amedeo Maiuri
a scoprire l'antro nel 1932 e ad
offrirne l'interpretazione
generalmente accettata, basata
soprattutto sul ritrovamento di
un disco di bronzo recante
un'iscrizione del VII secolo
a.C. in dialetto ionico che cita
l'esistenza a Cuma di un
oracolo. Ma non tutti sono
d'accordo. La galleria di
accesso all'antro è attribuita
al VI-V secolo a.C, ma secondo
altre stime sarebbe anteriore
alla stessa fondazione di Cuma:
in origine poteva essere un
deposito di merci dei coloni
greci di Ischia, mentre le
vasche contenevano forse riserve
d'acqua; altri ritengono che
queste ultime siano opere di
difesa militare di età romana.
UNA
SIBILLA, DIECI SIBILLE - Tra
le figure semi-mitiche, perché
di fatto veramente esistite, che
l’antichità classica ci ha
tramandato, quelle delle Sibille
sono sicuramente le più
affascinanti. Esse erano
leggendarie profetesse che
conservando la verginità
preservavano virtù profetiche,
ispirate da una divinità, in
genere Apollo. Infatti
l’origine della parola Sybilla
deriva, per alcuni, dalla forma
dorica “sios” (theòs, dio)
e da quella eolica “bòlla”
(boulè, consiglio) che
significa donna che dà consigli
per ispirazione divina.
Le
Sibille vivevano in nascondimento e si credeva che non fossero
soggette al passare del tempo. Premesso che molti credevano
nell’esistenza di una sola Sibilla che immortale si spostava
all’occorrenza in più luoghi, le tre più conosciute sono la Sibilla
Eritrea, la Sibilla Cumana e la Sibilla Delfica, ma Varrone ne individua
dieci aggiungendo all’elenco anche la Persica, la Libica, la Samia,
l’Ellespontica, la Frigia, la Tiburtina e la Cimmeria.
Tra
queste la più nota è la Sibilla Cumana perché legata alla
leggenda di Enea, la quale in estasi pronunziava parole confuse
lasciando a chi chiedeva il responso di interpretare il significato del
messaggio. Della Sibilla Cumana si accenna per la prima volta in un
testo di Licofrone, poeta greco del III sec. a.C. Tra i romani il
culto della Sibilla era già diffuso dal VI sec. a.C. in quanto una
tradizione attesta che il re di Roma Tarquinio Prisco acquistò i Libri
Sibillini (oracoli scritti in esametro greco) affidandoli ad un gruppo
di sacerdoti con il compito di preservarli ed interpretarli per conto
del Senato quando fosse necessario.
I
detti testi dopo ebbero sorte avversa in quanto andarono persi in
un incendio, poi ricostituiti raccogliendo esemplari diffusi in tutto
l’impero, per poi essere distrutti definitivamente nel 408 per opera
di Stilicone, secondo quanto riportato da Rutilio Namaziano nel suo
poema “De Reditu”. Virgilio nel Libro VI dell’Eneide rappresenta
la Sibilla Cumana come la sacerdotessa di Apollo e la custode
dell’Ade. Giunto al tempio d’Apollo sull’Acropoli di Cuma, Enea viene condotto dalla Sibilla all’interno del tempio.
"Ispirata" dal sacro furore di Apollo la sacerdotessa mostrerà
ad Enea il mondo dell’aldilà e gli profetizzerà il glorioso futuro
di Roma:
At
pius Aeneas arces quibus altus Apollo
praesidet horrendaeque procul secreta Sibyllae,
antrum immane, petit, magnam cui mentem animumque
Delius inspirat vates aperitque futura.
("Ma
il pio Enea sale ai colli, su cui alto Apollo domina, ai recessi
profondi dell’orrenda Sibilla, antro selvaggio: cui il grande animo e
il cuore empie il vate di Delo e le apre il futuro" Eneide VI,
9-12).
Dal tempio di Apollo la Sibilla ed Enea passano nell’antro. Dopo varie
ricerche ed interpretazioni sembra ormai accertato che quest’antro
aprendosi dalla parte del mare nella rupe, sulla cui cima stava il
tempio, avesse un’entrata anche dal tempio per mezzo d’un corridoio
sotterraneo.
Per questo appunto sarebbero passati i due dopo essere
entrati nel tempio.
Excisum
Euboicae latus ingens rupis in antrum,
quo lati ducunt aditus centum, ostia centum,
unde ruunt totidem voces, responsa Sibyllae.
Ventum erat ad limen, cum virgo: "Poscere fata
tempus" ait; "deus, ecce deus!...
("Vaneggia
il gran fianco dell’euboica montagna in un antro, cui cento larghi
aditi guidano, cento gran porte; di là cento voci precipitano: della
Sibilla i responsi. S’era alla soglia, e la vergine: "Chiedere i
fati ora è tempo!, gridò. Il dio, ecco il dio!..." Eneide
VI, 42-46).

L’antro
della Sibilla così
come descritto da Virgilio evoca suggestioni ma non da elementi chiari
per la sua identificazione e solo lo pseudo-Giustino (IV sec. d.C)
tramanda una descrizione realistica dell’antro. Pausania nel II sec.
d.C. addirittura negò l’esistenza di una sede oracolare a Cuma. Gli
archeologi impegnati nella ricerca dell’antro non furono favoriti
dalle indicazioni della letteratura classica dimostratasi poco
attendibile, ma quando nel Medioevo si cercò di trovare la grotta della
Sibilla non si poté che iniziare dalla lezione virgiliana.
L’antro,
infatti, fu localizzato in alcuni ambienti ancora oggi noti
come "Grotta della Sibilla", presso il lago
d’Averno,
da dove Enea e la Sibilla entrarono nel mondo dell’al di là.
All’inizio del ’900 gli archeologi cominciarono a cercare l’antro
della Sibilla sull’acropoli di Cuma e il Maiuri nel 1925 rinvenne la
cosiddetta Crypta
Romana,
inizialmente creduta l’antro oracolare ma non corrispondente alle
descrizioni note.
Questa
galleria, di circa m. 180, fu scavata al di sotto dell’Acropoli in età
augustea per collegare la città bassa di Cuma con la zona del porto e
va messa in relazione con la Grotta
di Cocceio sotto
il Monte Grillo con cui si collegava la città bassa di Cuma con il Portus
Iulius. Nel potenziamento generale dell’area flegrea grazie a
queste due gallerie si veniva a creare un facile e strategico
collegamento tra il Portus Iulius e il Porto di Cuma.
Durante
gli scavi eseguiti nel 1932 emerse un nuovo ambiente scavato nel
tufo a pianta quadrangolare e su una parete si evinceva un’apertura a
sezione trapezoidale, che orientò gli scavi e palesarono un lungo dromos in
tutto rispondente alla descrizione dello pseudo-Giustino che portò il
Maiuri ad affermare che la cavità artificiale trovata era il tanto
ricercato Antro della Sibilla. Ancora oggi quest’identificazione pur
se suggestiva non risolve il problema della localizzazione della mitica
spelonca sibillina, infatti studi recenti hanno interpretato la galleria
come una struttura difensiva del V-IV secolo a.C.
Il
culto della Sibilla decade nel I sec. d.C. e nel Satyricon di
Petronio la Sibilla compare anziana e decrepita dato che Apollo le ha
donato l’immortalità ma non l’eterna giovinezza e ridotta ormai a
una specie di ex-voto, chiusa in una bottiglia, la Sibilla chiede solo
di morire, "apotanein thelo" (voglio morire),
conferma letteraria del tramonto di un mito, di un’età e di una
cultura, quella classica. Le figure delle Sibille saranno recuperate dal
mondo Cristiano raffigurandole nelle chiese al fianco di profeti e
santi.

Non
si conosce il significato del
nome "Sibilla", che la
tradizione assegna a quelle
profetesse non legate a
determinati santuari e a
particolari divinità, le quali
rivelavano il futuro senza
essere interrogate e quasi
sempre annunciavano calamità e
disgrazie. L'origine di questo
oracolo è forse legata a
Libissa, figlia di Giove e di
Lamia, oppure all'indovina
Gergizia, di Marpesso presso
Troia, nota per l'abitudine di
scrivere le profezie su foglie;
secondo le fonti letterarie
latine la Sibilla era una
profetessa giunta dall'Oriente,
legata al culto di Apollo.
Ovidio nelle Metamorfosi
racconta che Apollo, pur di
poterla amare, le offrì di
vivere il numero di anni
corrispondente ai granelli di
sabbia contenuti in un pugno di
polvere: erano più di mille, ma
poiché la Sibilla non chiese di
conservare la giovinezza, si
trovò devastata dalla vecchiaia
e con il solo desiderio di
morire. Il mito le attribuisce
la facoltà di comparire in
luoghi diversi in tempi diversi,
ma Terenzio Varrone conta almeno
dieci diverse Sibille: Persica,
Libica, Delfica, Cimmeria,
Eritrea, Samia, Cumana,
Ellespontica, Frigia, Tiburtina.
Altri autori citano anche le
Sibille Eresia, Rodia, Tessalica,
Italica, Caldea, Tesprozia... La
stessa Sibilla Cumana è nota
con i nomi di Demo o Demofile,
Amaltea, Erofile, Circe, Euboica.
Ma quante erano le Sibille? È
interessante notare che Cuma
sorge in una zona vulcanica come
Delfi, e che le rispettive
profetesse osservavano il culto
di Apollo. Nell'epoca di Roma
imperiale ai visitatori del
tempio cumano di Apollo veniva
mostrata una tomba attribuita
alla Sibilla. Il suo culto cessò
nel corso del I secolo d.C, ma
se ne conservò la memoria fino
al IV secolo.
LA
LEGGENDA DELLA SIBILLA - La
leggenda vuole che Sibilla, una giovane vergine che aveva il dono
della preveggenza, svolgesse la sua attività di oracolo in una caverna
sul sito dell’antica città di Cuma.
Il
mito racconta che il dio Apollo, colpito dalla sua avvenenza,
si innamorò a prima vista della bella fanciulla e per conquistarla le
promise che avrebbe esaudito ogni suo desiderio.
La
giovane si piegò al volere del dio a una sola condizione: Vivere tanti
anni quanti erano i granelli che avrebbe stretto nel pugno di una mano.
La fanciulla trascurò, tuttavia, di domandare al dio anche l’eterna
giovinezza.
Fu
così che invecchiò sempre di più fino a scomparire. Di lei rimase
solo la voce.
I
LIBRI SIBILLINI - Gli
autori classici latini ci hanno
tramandato anche la notizia che
la Sibilla Cumana aveva scritto
nove libri di profezie, offerti
per una somma enorme - secondo
Plinio - a Tarquinio il Superbo,
ultimo re di Roma (534-510 a.C);
secondo Varrone a Tarquinio
Prisco, quinto re (morto nel 579
a.C).
Al
rifiuto del sovrano, la Sibilla
ne bruciò tre e propose
nuovamente l'acquisto dei
restanti sei; a un nuovo
rifiuto, ne bruciò altri tre e
alla fine ottenne l'acquisto (al
prezzo iniziale) dei restanti.
Questi libri furono conservati
nel Tempio Capitolino e affidati
a un collegio di sacerdoti
(prima 10, poi 15), incaricati
di consultarli e di indicare
quali riti si dovevano eseguire
in caso di calamità,
interpretando i segni negativi
divini per farli cessare.
Diversa funzione aveva il
collegio degli àuguri, i quali
cercavano nel rito se gli dei
approvavano o meno determinate
azioni umane. Ma il destino di
questi libri era il fuoco:
infatti anche i tre superstiti
bruciarono nell'83 a.C. insieme
al tempio in cui erano
custoditi.
ENEA
E LA SIBILLA CUMANA - La
Sibilla fu resa immortale
da Virgilio nel sesto
libro dell'Eneide. Enea,
il maggiore eroe troiano
dopo Ettore, approdò nel
Lazio e incontrò la
Sibilla Cumana, che
divenne la sua guida nell'Ade,
la cui entrata era
immaginata nel Lago Averno.
In seguito sposò Lavinia,
figlia del re Latino,
divenendo il progenitore
dei Romani. Morì in
battaglia nelle acque del
fiume Numicio e fu
venerato come una divinità.
Virgilio colloca la
Sibilla in una «spelonca
immane» aperta da cento
porte e offre il ritratto
di una donna «orrenda».
- Oltre
a Virgilio, altri autori
cantarono la Sibilla
Cumana e le sue profezie.
Dante nella Divina
Commedia ricorda: «Così
al vento nelle foglie
lievi/ si perdea la
sentenza di Sibilla» (Paradiso, XXXIII, 65-66).
A metà Cinquecento Matteo
Bandello nel Canzoniere le
dedica due versi: «Perché
non trovo, ahimè! Quella
Cumea/ Sibilla sacra in
queste sue caverne».
Giuseppe Parini ne Il
Mattino (477-480) conferma
l'immagine virgiliana: «Col
crin disciolto e su gli
omeri sparso,/ quale a
Cuma solea l'orribil maga/
quando agitata dal
possente Nume/ vaticinar
s'udìa».
La
Sibilla Cumana rimane così
legata a un aspetto ripugnante e
ad atteggiamenti da invasata,
che ne rendono ancor più
misteriosa la mitica e
leggendaria esistenza.

Fonte:
Dimore eterne -
Alberto Siliotti
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