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Fra
le più sorprendenti scoperte
archeologiche della seconda metà
del Novecento si deve annoverare
l'area megalitica di
Saint-Martin-de-Corléans, alla
periferia occidentale di Aosta.
Questa zona fu frequentata dal
2900 al 2000 a.C. circa da genti
appartenenti a più ondate
migratone di provenienza
orientale, giunte in Europa e
nelle Alpi per vie
diverse.
Tutto
ebbe inizio nel III millennio
a.C, quando popoli originari
dell'Armenia e della
Transcaucasia penetrarono nelle
valli alpine, fissando un
insediamento stabile e la prima
area di culto all'aperto nel
territorio della conca di Aosta,
punto di incrocio delle strade
provenienti dai valichi del
Piccolo e del Gran San Bernardo.
Si trattava di uno spazio
pianeggiante con una successione
di grossi pali di legno - una
specie di allineamento di totem
- orientati in direzione
nordest-sudovest, rincalzati da
grossi ciottoli, di cui sono
state trovate le profonde buche
di fondazione con resti combusti
di teste di ariete.
La
ricerca ebbe inizio nel 1969; in
occasione di scavi iniziati a
scopo edilizio, si individuò un
vasto giacimento archeologico
nel quale si poté riconoscere
immediatamente l'importanza
delle testimonianze preistoriche
che si andavano mettendo in
luce. Su tale base, stabilita
l'estensione e la reale entità
dei reperti, l'Amministrazione
regionale della Valle d'Aosta
procedeva all'acquisizione
dell'area interessata, allo
scopo di conservare in
situ i preziosi
monumenti. In breve tempo
iniziarono le ricerche
sistematiche, con annuali
campagne di scavo proseguite per
oltre un ventennio, riprese per
ulteriori approfondimenti nel
2001e tra il 2006 e il 2008,
sino a sondaggi di microscavo
condotti nei nostri giorni.
Dopo
un lavoro condotto per quasi
trent'anni dall'archeologo
Franco Mezzena, i monumenti
riportati alla luce e oggi
custoditi sotto capannoni o
reinterrati disegnano un quadro
culturale e religioso di
straordinaria importanza, che
testimonia per la prima volta in
modo diretto gli apporti di una
intensa colonizzazione fino a
ieri insospettata.
L'AREA
MEGALITICA - Il
termine “area megalitica” è
stato utilizzato per definire
sinteticamente il ritrovamento
aostano, che non presenta finora
riscontri, all'infuori di
quello, seppur parziale, con il
sito di Sion, Petit-Chasseur, in
Svizzera. Per “area
megalitica” si intende una
porzione di terreno, più o meno
estesa ma ben delimitabile,
nella quale sono presenti
testimonianze monumentali
megalitiche multiple e di tipo
diverso. Non siamo qui in
presenza, infatti, di un
semplice allineamento di menhir
o di stele antropomorfe, oppure
di una necropoli o di singole
tombe dolmeniche: i ritrovamenti
mostrano invece l'esistenza di
un'area sacra destinata sin
dall'inizio a essere sede di
ricorrenti manifestazioni legate
al culto e alla sepoltura.
Sono
state individuate cinque fasi
strutturali principali che,
dalla fine del Neolitico medio,
si succedono nel corso dei
millenni comprendendo l'intera
età del Rame. Configurata
dapprima come un santuario
all'aperto destinato al culto
dei viventi, connotata da pali
lignei/totem e stele
antropomorfe litiche, l'area
assume solo negli ultimi secoli
del III millennio funzioni
funerarie, divenendo una
necropoli privilegiata, con
tombe monumentali di varia
tipologia megalitica. Al sorgere
dell'età del Bronzo, attorno al
2300 a.C., e per cause ancora da
precisare, il sito viene
progressivamente abbandonato e
subentrano, per oltre un
millennio, attività agricole
funzionali.
Si
deve sottolineare che la
destinazione unicamente sacrale
dell’area megalitica presume
la presenza, nelle immediate
vicinanze, di un importante
abitato stabile, che deve
trovarsi a nord-ovest dell'area
stessa, ma che non è ancora
stato possibile
individuare.
- DA
AREA SACRA A NECROPOLI - Poco
dopo, intorno al 2700-2600
a.C, i pali totemici
vennero inclusi in un'area
di culto più ampia,
sottoposta a un'accurata
aratura e accompagnata, in
un punto dei solchi, dalla
semina di molti denti
umani, in prevalenza
incisivi.
- Si
ritiene che questo
singolare rito di
consacrazione abbia
preceduto la collocazione
di 35 stele antropomorfe
alte da due a tre metri e
larghe uno, la maggior
parte ritrovate in
frammenti perché
riutilizzate in seguito da
popoli invasori.
-
- Le
fattezze schematiche
(volto accennato, braccia
e mani stilizzate,
ricchissimo abito da
parata e largo cinturone)
e le finissime decorazioni
che le ornano, quali
l'ascia, l'arco e le
frecce, il pendaglio a
doppia spirale e il liuto,
indicano l'appartenenza a
un probabile mondo di eroi
maschili divinizzati (le
statue femminili sono in
netta
minoranza).
-
L'ERA
DELLE GRANDI TOMBE - Il
sito fu frequentato per tre
secoli prima che avvenisse, fra
il 2400 e il 2300 a.C,
l'innalzamento di grandi tombe
megalitiche. I dolmen
monumentali sono di forma
rettangolare, alcuni dei quali
costruiti con quattro lastre
laterali e una sola tavola di
copertura di pietra non locale,
tutte lavorate e levigate; un
dolmen presenta un'apertura
laterale a portello, un altro ha
la lastra di copertura ornata da
un centinaio di coppelle unite
da canaletti (prova che questo
tipo di incisioni può essere di
origine preistorica). Il dolmen
più grande poggia su una
piattaforma triangolare in
pietrame dall'aspetto di una
prua di nave.
I
frammenti di un bicchiere
campaniforme decorato a
cordicella deposti in due
pozzetti di fondazione
chiariscono chi furono i
costruttori. Una grande allée
couverte, una galleria
megalitica coperta destinata a
sepolture collettive lunga 15
metri e larga più di due, non
è stata ancora esplorata.
Accanto al dolmen su
piattaforma, uno strato di
frammenti di quarzo di colore
bianco indicava il sepolcro di
un capo.
All'interno,
tra le diverse sepolture non
violate, si distingue lo
scheletro di un personaggio
disteso (forse il capo) che
tiene nella mano sinistra il
teschio decapitato di un
individuo più giovane,
probabilmente una donna dalla
bellissima dentatura. Ancora un
rito di origine orientale, segno
inequivocabile di un sacrificio
umano: traccia del
raccapricciante "sacrificio
della vedova"? Poi l'area
fu abbandonata, e verso il 2000
a.C. nuovi invasori la
riutilizzarono quale loro
necropoli, costruendovi piccole
tombe a cista singole,
impiegando le statue-stele
intere o in frammenti.
Nel
corso dei successivi millenni le
alluvioni della Dora Baltea
ricoprirono tutto con alti
strati di sabbia e limo,
pazientemente asportati durante
gli scavi archeologi. Di recente
è stato notato che
l'orientamento dei pali
totemici, dell'aratura rituale e
dell'allineamento delle stele
antropomorfe alla sinistra dei
pali consentirebbe di seguire
nel cielo il moto completo della
luna, la cui durata è di 18,61
anni. Inoltre un lato della
piattaforma del grande dolmen
traguarda la levata del sole nel
solstizio d'inverno e altre
tombe sono orientate verso il
punto di tramonto della stella
Deneb nella costellazione del
Cigno.
LA
PROTOSTORIA - Il
sito di
Saint-Martin-de-Corléans è
caratterizzato da una
continuità di vita anche in
periodo protostorico (II e I
millennio a.C.) e romano.
Durante
l’età del Bronzo l’area
sembra rivestire una valenza di
tipo prevalentemente agricolo, e
le sepolture si spostano in una
zona limitrofa (attuale via
Volontari del Sangue).
Il
sito torna a essere
occasionalmente utilizzato con
valenza funeraria-cultuale
durante la prima età del Ferro
(prima metà del I millennio
a.C.): a ridosso del pendio
collinare si trova un tumulo in
pietra, che costituisce la
tipologia tombale a carattere
monumentale tipica del periodo.
A sud del tumulo si trova una
piattaforma rettangolare forse
connessa con rituali funerari.
Nella
seconda età del Ferro l’area
di Saint-Martin-de-Corléans
conserva il proprio carattere
funerario e testimonia
l’avvicendarsi di diversi
rituali. Una sepoltura a
inumazione con corredo, datata
alla fine del IV - metà del III
sec. a.C., vede l’associazione
del torques, della fibula e del
bracciale, caratteristica delle
deposizioni femminili celtiche.
Negli ultimi decenni del I
secolo a.C. si diffonde anche la
pratica dell’incinerazione. I
resti del defunto sono
accompagnati da un corredo
funerario costituito da vasi in
ceramica destinati al servizio e
al consumo del vino, come ad
esempio il vaso a trottola.
La
frequentazione continua del sito
è attestata anche durante le
fasi immediatamente precedenti
la fondazione della colonia
di Augusta Prætoria (25
a.C.).
Al
di sotto delle strutture
dell’impianto rustico di età
romana sono infatti stati
identificati alcuni resti di
palificazioni, di strutture in
muratura a secco e di materiale
ceramico che si riferiscono a un
agglomerato sparso, databile
alla fine della seconda età del
Ferro. Estese superfici arate
attestano inoltre lo
sfruttamento agricolo
dell’area. I frammenti
ceramici rinvenuti appartengono
alla cultura materiale locale e
sono databili agli ultimi
decenni del I sec. a.C.
L’ETÀ
ROMANA E TARDOANTICA - Durante
l’età romana il sito riveste
un’importanza fondamentale
come zona insediativa, di
sfruttamento agricolo del
territorio, e funeraria.
Le
strutture rinvenute nei pressi
della chiesa di
Saint-Martin-de-Corléans,
databili tra la fine del I sec.
a.C. e il I sec. d.C.
appartengono al settore rustico
di un edificio, probabilmente
più esteso, che sorgeva lungo
una via secondaria nel suburbio
occidentale di Augusta
Prætoria. Il ritrovamento
di fusaiole, di pesi da telaio e
di uno scarto di osso di cervo
in fase di lavorazione attestano
l’esistenza di pratiche
artigianali domestiche, connesse
a quelle di tipo agricolo.
Nello
stesso periodo una vasta
necropoli prediale con una
trentina di tombe a cremazione
si distribuisce nell’area a
sud dell’insediamento (sotto
l’asilo, la chiesa moderna e
lungo la via
Saint-Martin-de-Corléans). Il
rito più frequente prevede
l’incinerazione del defunto in
una fossa. Al termine del rogo
sono ampiamente documentati lo
spostamento laterale dei resti,
la deposizione del corredo, in
alcuni casi molto ricco, e il
posizionamento di un’anfora
segnacolo. In un altro rito,
più raro, a rogo spento si
effettua la deposizione delle
ossa in urna e la tumulazione
con il corredo accanto.
Particolarmente
significative sono una tomba in
cassa litica con tubo in piombo
per le libagioni nel coperchio e
ricco corredo, e una seconda,
probabilmente la più antica, a
sigillare la quale sono stati
gettati numerosi frammenti di
letto funerario in osso
finemente lavorato.
In
età tardoantica il sito
mantiene il proprio carattere
insediativo e funerario. Le
strutture dell’edificio romano
sono parzialmente riutilizzate e
l’area cortilizia adiacente è
interessata dalla realizzazione
di alcune fosse, riempite
prevalentemente da frammenti di
anfore, con probabile funzione
di drenaggio del terreno.
A sud
dell’abitato si trovano
quindici tombe a inumazione, di
cui si distinguono due
tipologie: fosse semplici
delimitate da allineamenti di
pietre e casse in muratura a
secco, rivestite sul fondo da
lastre litiche e tegoloni. Tra
gli oggetti di corredo, molto
modesti nel IV sec. d.C.,
spiccano due bicchieri in vetro
dorato e istoriati, di cui uno
con teoria di Santi coi
rispettivi nomi, associati a una
fibula a croce, che sembrano
indicare distinzione sociale e
agiatezza economica.

IL
MEDIOEVO E L'ETÀ MODERNA - In
periodo altomedievale si
accentua sempre di più il ruolo
agricolo dell’area: la lenta,
ma progressiva, riconversione
naturale e rurale è suggerita
dallo studio pollinico, che
restituisce l’immagine di un
ambiente di fondovalle dominato
dalla presenza di prati e
pascoli, accanto a boscaglie di
nocciolo, quercia, olmo, ontano
e salice. L’abbondanza di
polline di cereali è indizio
dell’esistenza di campi nelle
immediate vicinanze del sito:
tra le colture di innovazione si
segnalano i noci e i castagni,
la cui coltivazione sembra
cominciare solo a partire
dall’epoca altomedievale. Alla
spiccata dimensione rurale si
affianca in ogni caso la
permanenza dell’utilizzo
cimiteriale, entrambi segni
dell’esistenza di una
comunità organizzata. Perni di
questo nuovo sviluppo sono da un
lato la conferma dell’asse
viario erede della viabilità
romana, dall’altro la
continuità insediativa ben
attestata presso le strutture
della villa,
elementi ipoteticamente già
correlabili alla nascita di un
luogo di culto cristiano.
L’incidenza nel paesaggio
della viabilità e degli edifici
antichi sembrano in ogni caso
aver rappresentato fattori di
continuità fisica in un
contesto sociale e culturale in
evoluzione.
Non
è un caso, dunque, che proprio
la nascita di un edificio dal
forte valore simbolico e
sacrale, la chiesa di
Saint-Martin de Corléans, possa
essere considerato il punto
d’arrivo del processo di
trasformazione del sito iniziato
in epoca tardoantica. Attestato
per la prima volta in un
documento pontificio del 1176
con il nome di ecclesiam
sancti Martini de Coriano,
l’edificio religioso di fatto
riprende e valorizza l’assetto
territoriale antico,
incastonandosi come nuovo centro
di gravità sul precedente snodo
viabilistico – nonché forse
sui resti della villa di
epoca romana – favorendo così
la nascita di un nuovo polo di
aggregazione. Della chiesa di
epoca medievale si conserva oggi
unicamente la torre campanaria,
mentre il piccolo edificio a
navata unica risale al XVII
secolo, quando venne fatto
ricostruire probabilmente ad
opera del Capitolo della
Cattedrale, il cui stemma
compare sull'arco in pietra
della porta d'ingresso.
Parallelamente
persiste la vocazione agricola
dell’area, per il cui
sfruttamento vengono realizzate
nel corso del periodo medievale
nuove canalizzazioni, tra cui
il rivus meridianus,
attuale Ru Meyran, così
chiamato perché si trova più a
sud rispetto ad altri due
importanti canali che solcano la
collina aostana: il Ru Neuf, il
più alto, e il Ru Bourgeois.

AOSTA
E GLI ANTICHI MITI MEDITERRANEI -
Una
particolare classe di ceramica
scanalata consente di
distinguere le genti migranti
dalle coste orientali del Mar
Nero e dalla Transcaucasia che
nel 2900 a.C. approdarono in
Valle d'Aosta. Attraverso i
frammenti lasciati lungo il
percorso è stato possibile
ricostruire l'itinerario
compiuto: Poliochni (sull'isola
di Lemno), Lipari; probabilmente
un gruppo dalla Sardegna e dalla
Corsica raggiunse le foci del
Rodano, un altro dall'isola
d'Elba scese alle foci della
Magra e penetrò attraverso la
Lunigiana (dove vi è un altro
imponente complesso di
statue-stele antropomorfe) nella
Pianura Padana, disperdendosi
nelle valli alpine.
LA
NECROPOLI DEL "PETIT
CHASSEUR" DI SION
-
Che
gli "Anatolici di
Aosta" abbiano valicato le
Alpi viene confermato da un
altro importante sito megalitico
scoperto in Svizzera, a Sion nel
Vallese: la necropoli del
"Petit Chasseur".
Anche qui, sul versante
settentrionale alpino, l'area
presenta all'incirca la stessa
cronologia (2900-2000 a.C.) e le
stesse fasi di trasformazione
viste a Saint-Martin-de-Corléans:
costruzione di un grande dolmen
su una piattaforma triangolare
lunga 16 metri (a fianco), di 20
statue-stele antropomorfe
dedicate a una divinità
guerriera e di un allineamento
di 10 grandi menhir;
invasione di genti che
costruirono 11 tombe a cista
riutilizzando le stele
soprattutto quali lastre di
copertura; riuso della necropoli
da parte di popolazioni del
Bicchiere campaniforme
provenienti dalla valle del
Rodano; saccheggio e abbandono
da parte di nuovi invasori.
Le
aree cultuali e sepolcrali
preistoriche di Aosta e Sion
appartenevano senza dubbio alle
stesse genti, che evidentemente
avevano aperto degli itinerari
transalpini e che subirono nei
secoli le stesse invasioni. Le
tracce degli insediamenti
neolitici sui rilievi che
circondano le due città
indicano la precoce
colonizzazione di entrambe le
zone.

Fonte:
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