Trapani

   

Basilica-Santuario di Maria Santissima Annunziata

Ai piedi del Monte San Giuliano, oggi Erice, a poche miglia dal promontorio falcato della città di Trapani, sorge il Santuario mariano più famoso della Sicilia occidentale: il Santuario di “Maria SS. Annunziata”, denominato anche nella devozione popolare Santuario della “Madonna di Trapani”.

Il complesso religioso, fin dai primordi, è stato officiato dai frati Carmelitani, giunti a Trapani nella metà del sec. XIII. Dove i Carmelitani dimorarono subito dopo il loro arrivo a Trapani, non è facile stabilirlo con esattezza. Secondo alcuni storici, essi, per benevola concessione del Senato cittadino, si stanziarono in un primo momento presso la piccola Chiesa di “Santa Maria del parto”, costruita dai pescatori nei primi decenni del XIII secolo vicino l’antica dogana, alle spalle dell’odierna Chiesa dell’ex Collegio dei Gesuiti, accanto alle mura di tramontana della Città. 

Poi, il 24 agosto del 1250, ricevute in donazione per mezzo di un atto notarile dal notar Domenico Ribaldo e dalla sua prima moglie donna Palma Donores, trapanesi, una piccola cappella, dedicata all’Annunziata e le terre adiacenti ad oriente, fuori le mura cittadine, si trasferirono là per continuare nella quiete della campagna la loro vita comune in ossequio a Gesù Cristo come fraternità contemplativa sulle orme di Maria e di Sant’Elia, il profeta del Carmelo, eremiti non più pellegrini, ora mendicanti itineranti in Europa in mezzo al popolo.

Successivamente un’altra donazione, non meno consistente, avviene da parte della seconda moglie di Ribaldo, Donna Perna.

Il 1248-1250 sono gli anni in cui entra nel cenobio trapanese un santo figlio illustre: Sant’Alberto, parente degli Abate. Attraverso questo inaspettato e prodigioso avvenimento in seno alla nobile famiglia, verranno così offerti a favore dei Carmelitani altri possedimenti, per il loro sostentamento e per i lavori di ampliamento della primitiva Chiesetta. Così, per provvidenziale coincidenza, la storia del Carmelo trapanese inizia a legarsi indissolubilmente con la Famiglia degli Abate e, nel corso dei secoli, con altre famiglie nobiliari che, con il benestare e l’ausilio degli stessi sovrani succedutisi nel governo della Sicilia, favoriranno la realizzazione delle pregevoli strutture architettoniche e decorative del Santuario in gran parte giunte fino a noi grazie anche alle cospicue e pubbliche offerte di benefattori di ogni ceto sociale.

Nulla rimane di quanto era di natura architettonica o edilizia dell’originario cenobio carmelitano del sec. XIII nella tenuta degli Abbate. Esso venne via via trasformato , sino ad essere del tutto sostituito dal nuovo e grande complesso realizzato, con larghezza di mezzi, tra Cinque e Seicento.

IL LUOGO DI CULTO - All’origine del culto alla Madonna di Trapani non c’è quindi un miracolo, un’apparizione. C’è una Chiesetta dedicata all’Annunziata, alle falde del Monte San Giuliano – Erice, accanto alla quale sorge il primitivo convento dei Carmelitani. Essi accoglieranno ben presto nel loro “nuovo Carmelo” trapiantato in terra sicula, l’immagine marmorea della Vergine col Bambino, che  riceverà il titolo di “Madonna di Trapani”, la Signora del luogo, così come i primi eremiti sul Carmelo avevano associato il nome della Vergine a quella santa montagna, vicino Nazareth, nell’innalzare una piccola Chiesa dedicata a Dio e in suo onore.
Il 1300 rappresenta il secolo della svolta nella storia spirituale del Santuario sull’onda della crescente venerazione della santità di Alberto. 

Una crescita che ben s’inquadra in quel risveglio che in Sicilia sorge nel periodo della casa regnante aragonese in particolare sotto il regno di Federico III d’Aragona, che, come già detto, di Alberto fu gran devoto. Per questo motivo alla piccola Chiesa romanica apprestata e finanziata per i Carmelitani nei possedimenti della Famiglia Abate fin dal loro arrivo nelle “senie” fuori le mura cittadine, fa seguito la “Chiesa Grande” (così chiamata per distinguerla dalle Cappelle che sono sorte attorno ad essa lungo i secoli) in puro stile gotico catalano (a tre navate, con lunghe ogive, con delle monofore e portali) i cui lavori iniziarono intorno al 1315 e furono terminati (almeno nella maggior parte dell’impianto) nel 1333 (i lavori continueranno fino al 1420 circa). 

Viene edificata quindi in virtù di una partecipazione sempre più intensa del popolo di Dio, al culto divino, alla preghiera, alla vita sacramentale, attratto dall’ideale di santità dell’illustre discendente degli Abate e dai continui miracoli che egli otteneva dal Signore a favore dei suoi devoti. Questa nuova Chiesa accoglierà soprattutto il Simulacro marmoreo della Beata Vergine Maria, Madre di Dio, che diverrà sempre più caro al popolo cristiano ed oggetto principale, col tempo, della sua devozione.

I secoli successivi, fino ai nostri giorni, portano all’abbellimento o al consolidamento delle strutture già esistenti con l’aggiunta di alcuni elementi architettonici come, ad esempio, il Ciborio dell’Altare della “Chiesa Grande” (lavori terminatati nel 1967), costruito dopo l’erezione del Santuario al titolo e privilegi di Basilica Pontificia (1950) e il rifacimento dell’arredo della Cappella della Madonna con finti marmi di porfido e la sostituzione dell’ampio apparato pittorico con tele del trapanese Andrea Marrone (1859-1861).

Da queste memorie storiche, si deduce chiaramente come la complessa realtà del Santuario dell’Annunziata di Trapani, rispecchia la vitalità cultuale e culturale che ha caratterizzato lungo i secoli i Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo, rendendo questo luogo uno dei loro più importati centri di spiritualità.

BASILICA PONTIFICIA MINORE - Una data così fausta deve essere ricordata attraverso i secoli, secondo il detto della Scrittura: "Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne" (Es 12,18).

In vista della ricorrenza del VII centenario della donazione da parte della famiglia di Domenico Ribaldo ai Carmelitani della piccola Cappella dell’Annunziata, con i territori annessi (1250 - 24 agosto - 1950), il M.to Rev.do padre Lorenzo Piazza, Priore Provinciale dei Carmelitani di Sicilia pro tempore, predispose la richiesta al Papa con una pertinente relazione storica sul Santuario (che senza ombra di dubbio è il frutto delle ricerche storiche condotte fino a quel momento sul Santuario e sulla Statua della Madonna), avvalorata dalla lettera commendatizia dell’allora Vescovo di Trapani S. Ecc. Rev.ma Mons. Filippo Jacolino, per poter vedere elevato il Santuario – già Parrocchia dal 15 dicembre 1909 –,  al titolo di Basilica Minore.

Sua Santità il Papa Pio XII, accogliendo volentieri tale richiesta e a norma del regolamento canonico vigente all’epoca, promulgò il 25 Marzo 1950, Solennità dell’Annunciazione del Signore – titolo del Santuario – la Lettera Apostolica "Ex hoc" (dal suo incipit), in virtù della quale elevava il Santuario al Titolo e Dignità di Basilica Pontifica Minore.

Riportiamo qui di seguito la traduzione integrale del testo latino della Lettera Apostolica, ad opera del Carmelitano padre Pio Piazza, ed edito nella monografia dello storico carmelitano padre Gabriele Monaco († 1988) «La Madonna di Trapani» (Edizioni Laurenziana, Napoli 1981), alle pagine 284-286:

“Dal momento che - come disse S. Bonaventura - la Vergine Maria divenne Madre di Dio, divenne anche Madre di tutte le creature”. Per questa ragione sulla terra vengono eretti parecchi templi dedicati a tanta Madre e fra questi i principali e i più frequenti dai fedeli sogliono essere dai Romani Pontefici nobilitati di maggiore dignità.

Nel numero di questi deve essere annoverata la chiesa dedicata a Dio in onore della Beata Vergine Maria Annunziata, fuori le mura dell'antichissima città di Trapani in Sicilia. Essa è consacrata e giustamente divenuta celebre in quella Regione. Infatti l'anno 1250 il nobile Ribaldo Abbate offrì in modo degno della sua munificenza ai frati Carmelitani esuli dalla Palestina, con terreni ed altri beni, una sua cappella sacra alla Beata Vergine Maria sotto il titolo di Madre di Dio e l'illustre donna Perna Abbate, seconda moglie di detto Ribaldo, legò a questa chiesetta la sua cospicua fortuna. Ma quella piccola chiesa divenne insufficiente perché, a causa del Simulacro dell'Alma B. Vergine Maria, Madre di Dio, diveniva di giorno in giorno sempre più cara al popolo cristiano.

Si cominciò dunque ad ampliarla con il denaro raccolto per ordine del re Giacomo d'Aragona e soprattutto per lo zelo dei Religiosi Carmelitani sicché assurse al fastigio di Tempio Mariano. Il sacro edificio di stile gotico a tre navate fu compiuto l'anno 1333, ma in seguito col prevalere di un nuovo stile, fu ridotto a una sola.

In esso sorgono undici altari con quadri rappresentanti fatti della vita del Salvatore e della Sua Inclita Madre e vi si ammirano altre opere d'arte fra le quali è giustamente celebre la cappella della stessa Vergine splendente di marmi di vario colore e di lampade d'argento.

Il visitatore che viene dal centro città, intravede un bel giardino, la villa Pepoli, ove scorge la facciata del complesso religioso dell'Annunziata. Essa è l'ingresso alla Basilica, costruita nel 1332 per esigenze di culto e necessità dei fedeli, che andavano aumentando. La sua costruzione fu ampia a tre navate, suddivise da pilastri. Di essa ne rimangono i muri perimetrali con portali e finestre monofore e alcune coperture, come quelle a crociera costolonata delle due cappelle ai lati del presbiterio e quella polilobata dello stesso.

La facciata, si presenta oggi con la sovrapposizione dei due stili architettonici: con il suo portale in stile arabo normannno a forma ogivale del 1361 e stupendo rosone a raggiera, e con la cornice e il rialzo settecenteschi. Essa è affiancata dal monumentale campanile barocco (1655-1671), opera del capomastro Nicola Pisano, con le quattro campane, tre delle quali rifuse nel 1947 (Fonderia Carmine Capezzuto, Napoli) e benedette il 16 novembre dello stesso anno da S. Em. il Signor Cardinale Ernesto Ruffini, Arcivescovo Metropolita di Palermo ed Amministratore Apostolico della Diocesi di Trapani. All’interno del Tempio, sulla porta centrale, si trova il maestoso e nuovo organo a trasmissione elettrica (tre manuali di 61 note e pedaliera 32 tasti, concavo/radiale, 41 registri e circa tremila canne) inaugurato il 21 febbraio 1981, realizzato dalla Ditta “G. Ruffatti e Figli” di Padova che ampliò il precedente strumento della Ditta “G. Tamburini” di Crema.

La chiesa grande nel 1760 fu trasformata  dallo stile gotico catalano (a tre navate, con lunghe ogive, con delle monofore e portali, di cui alcuni ancora visibili sul fianco settentrionale della Chiesa), allo stile barocco rinascimentale, (realizzando un’unica e grande navata con sedici colonne addossate alle pareti e con stucchi dorati con motivi molto gradevoli) effettuata tra il 1740 e il 1770 su progetto dell’architetto trapanese, il sacerdote Giovanni Biagio Amico e si presenta oggi in un'unica navata ornata di 16 colonne monolitiche, “di pietra dello petropalazzo” che danno l'impressione di sorreggere l'accentuata trabeazione che rigira, oltre metà altezza, lungo le pareti.

Sotto la cupola di forma ovale, circondato da un coro in noce del sec. XVII, costruito dal carmelitano P. Leonardo Maltisi, l'altare papale, sormontato dal moderno ciborio (lavori terminati nel 1967 dopo l'erezione del Santuario al titolo e privilegio di Basilica minore -1950-), con otto statue in bronzo del prof. Domenico Li Muli. Essi rappresentano: il beato Luigi Rabatà, sant'Alberto, san Telesforo papa, sant'Angelo martire, Sant'Elia, sant'Eliseo, san Simone Stock e sant'Andrea Corsini vescovo. Sotto la mensa riposano inoltre le reliquie del martire romano San Clemente provenienti dal cimitero di “Santa Ciriaca” sottostante la Basilica di San Lorenzo al Verano, sulla via Tiburtina in Roma. Della concessione delle sue reliquie da parte della Santa Sede alla Comunità religiosa Carmelitana del Santuario si conserva tutt’oggi la lettera datata 17 dicembre 1778. Una scritta posta al centro dell’Altare recita: E coemeterio Ciriacae 1778. Drepani 1781, ricordando inoltre l’anno dell’arrivo delle reliquie a Trapani. Un bel coro in noce del secolo XVII, costruito dal Carmelitano fra Leonardo Maltisi, circonda l’Altare basilicale.

Nell’unica grande navata sono presenti otto tele con storie di vita della Vergine Maria: sette (L’Immacolata Concezione, La nascita di Maria, La presentazione di Maria al Tempio, La Visitazione, La presentazione di Gesù al Tempio, il Transito di Maria, L’assunzione di Maria) ad opera del pittore trapanese Giuseppe Felici (1724-1734) ed una (La Vergine tra i Santi e ai suoi piedi la Città di Trapani) di Domenico La Bruna (1735 ca.). Sotto i dipinti sorgevano i rispettivi altari demoliti dopo la riforma liturgica apportata dal Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). Nel 2009 le pareti vengono tinteggiate nuovamente e arricchite della preghiera carmelitana Flos Carmeli.

Nell’abside si trova invece la grande tela dell’Annunziata, titolare della Basilica – Santuario – Parrocchia, del Sacerdote Rosario Matera (sec. XVIII). Al di sopra si può ammirare la volta a costoloni, retaggio giunto fino a noi del precedente stile gotico. 

La costruzione della prestigiosa Cappella dei Pescatori non ha una chiara datazione. Tuttavia una epigrafe dipinta nella parete settentrionale riporta la data MDXXXVII. Inoltre, un'interessantissima iscrizione marmorea, esposta nel chiostro dell'Annunziata, recita FECERUNT PISCATORES 1569 ed è corredata dalle insegne della maestranza: due pesci e una barca. Alcune fonti denominano la cappella: "Cappella Divae Mariae Misericordiae Sanctissimi Petri et Pauli".

L’elemento di base della Cappella dei Pescatori, costruita a forma cubica, è dominato da una cupola la cui matrice islamica e normanna è riscontrabile nella sua forma a spicchi individuabili all’esterno, come pure nei decori dell’arco riconoscibile di fronte all’ingresso, e nei pennacchi angolari a ventaglio.

Alla cappella si accede dalla Basilica (chiesa grande) per mezzo di un passaggio demarcato da un piccolo cancello in ferro battuto che separa le due zone.

Appena entrati ci si trova davanti al grande portale ad ogiva, la cui maestosità fa pensare che originariamente sia stato realizzato per uno spazio esterno, e sia stato portato all’interno in una seconda fase. La presenza sulla modanatura dell’arco di una vasta tipologia di pesci ne conferma la committenza da parte del ceto dei Pescatori. Un altro arco ad ogiva, di gran lunga più semplice del precedente, incornicia l’attuale ingresso alla cappella, inquadrato tra due colonne della chiesa, ma fuori centro rispetto all’arco anzidetto: questo dettaglio svela che la moderna apertura è posteriore alla realizzazione originaria della cappella.

Tre riquadri affrescati mostrano poi una scena di pesca di corallo, un cartiglio che riporta la data 1537, e la rappresentazione di pesci. Nella parete di sinistra abbiamo la trasfigurazione e la pesca miracolosa, ma varie e diffuse tracce di pittura lasciano supporre che originariamente tutta la cappella fosse affrescata.

All'occhio del visitatore, la Cappella della Risurrezione o dei Marinai, si presenta compatta, sostenuta da quattro torri angolari (anche esternamente) a impianto ottagonale e dall'abside emergente del perimetro murario. Essa fu costruita sulla metà del XV secolo dai marinai, come loro propria cappella. Successivamente, nel 1514, la Confraternita dei Marinai chiese ai Carmelitani di poterla rinnovare e ampliare, utilizzando lo spazio dove allora si trovava la figura della Vergine della Misericordia, posizionata a destra dell’altare maggiore. La costruzione fu terminata nei primi decenni successivi.

La cappella si presenta a vano quadrato di circa 8 metri di lato coperto da una cupola emisferica in pietra a vista, realizzata attraverso una sequenza di anelli concentrici in conci di calcarenite locale, raccordati al tamburo di base tramite quattro nicchie angolari con conchiglie al loro interno.   

L’elemento della conchiglia lo ritroviamo in altre luoghi della stessa chiesa. Esso è un elemento, che fin dall'antichità indica i genitali femminili e quindi la fecondità. Partendo da questa idea, quindi l’inizio di una nuova vita, per il Mondo Cristiano la conchiglia indica la Vergine Maria che dona al mondo la "Perla preziosa": Cristo Gesù. La conchiglia inoltre viene intesa anche come simbolo di rinascita, intesa nel senso di purificazione dello spirito. La cappella era adornata da diverse statue e da un’acquasantiera gaginesca che oggi si trovano al museo Pepoli.

Oggi, la cappella è sede per la Custodia del SS. Sacramento e l'Adorazione.

Dietro l'altare basilicale sono presenti due portali gagineschi del XVI secolo sormontate dal quadro della Annunciazione (1750) di Rosario Matera. Attraverso di esse si entra nella Cappella della Madonna di Trapani, disegnata e realizzata dall'architetto Simone Vaccara nel 1530 in stile rinascimentale.

Lunga 27 metri e larga 8, le pareti imitano marmi di porfido e sono rivestite di quadri di Andrea Marrone esprimenti alcune delle celebri donne dell'Antico Testamento, figure della Vergine Maria. Un gran numero di lampade d'argento e di antica fattura ornano il tempio e l'altare della Madonna.

Sul soffitto due affreschi racchiudono l'Assunzione e la Gloria della Vergine del trapanese Andrea Marrone (1859-1861). Sempre in alto, spicca l'organo del 1630, costruito dalla Ditta Valenti, organari trapanesi con la sua cantoria realizzata dal palermitano Antonino La Valle.

Il pavimento della Cappella in marmi policromi inaugurato il 31 luglio 1956 venne eseguito dalla Ditta Fratelli Bruno di Trapani su disegno dell’Architetto Decio Marrone. Adornano il tempio 14 lampade votive in argento del seicento e, sulla ricca cantoria del palermitano Antonino la Valle, l’organo del 1630 a trasmissione meccanica, ancora in concerto.

Attraverso l’arco marmoreo di Antonello Gagini, commissionato dal Priore del tempo Aloisio de Aiuto insieme alla famiglia Ventimiglia del Bosco, inaugurato il 15 agosto del 1537 (con i profeti che vaticinano la venuta del Messia nato dalla Vergine) e la splendida cancellata bronzea del 1591 del fonditore palermitano Giuliano Musarra – le cui bronzee maglie in rete da pesca con “nodi piani” (i nodi che uniscono due cime e che non si possono sciogliere) simboleggiano l’amore ed il legame di Maria con i marinai e con i trapanesi tutti. Tale opera fu voluta dal priore pro tempore fra Eligio Fiorentino, e finanziata dal Viceré il quale spese l’ingente somma di 12.000 scudi. Il suo nome, insieme a quello della consorte, è segnato sul cartiglio al centro del cancello:

D.O.M.
VIRGINIQUE MARIAE ANNUNTIATAE
DIDACUS HENRIQUEZ ET GUZMAN/COMES ALBADALISTAE SICILIANE PROREX,
ATQUE MARIA DURREA PROREGINA/PIETATE ATQUE RELIGIONE
CLARISSIMI VIRGINIS MATRIS SACELLUM FERREIS CRATIBUS DEMPTIS PRO LOCI DIGNITATE AENEO OPERE EXORNANDUM CURAVERE
ANNO DOMINI MDLXXXXI

A Dio Ottimo Massimo
ed alla Vergine Maria Annunziata
Diego Henriquez e Guzman/Conte di Albadalista Viceré di Sicilia,
e Maria Durrea Viceregina/Chiarissimi per devozione e religiosità/fecero adornare
come richiedeva la dignità del luogo/la Cappella della Vergine Madre
con un’opera di bronzo dopo aver tolto il cancello di ferro
L’anno del Signore 1591

Attraversato il cancello bronzeo, entriamo nel Sacello della Madonna vero scrigno di fede, di arte sacra e di storia plurisecolare adorno di marmi intarsiati variopinti, realizzati tra il 1661-66 dai maestri intagliatori Leonardo Nicoletta e Ottavio Romano, su disegno dello scultore trapanese Alberto Orlando, con simboli 

Il paliotto d'argento donato dal Cardinale Spinola nel 1642; d'argento gli angeli con candelabri accanto alla statua (scolpiti in legno da Alberto Aleo e rivestiti d'argento e cesellati da Giuseppe Costadura); il tabernacolo d'argento (opera di Vincenzo Bonaiuto), il plastico in argento della Città di Trapani ai piedi della Vergine dono del Principe di Paceco. Due grandi candelabri d'argento donati da don Giovanni d'Austria nel 1651.

La volta del soffitto esprime le antiche linee architettoniche catalane con i pennacchi agli spigoli e la cupola araba. Una grande conchiglia chiude la piccola abside.

Sull'altare la statua marmorea della Vergine Maria, sec. XIV, scolpita dalla maestria di Nino Pisano. In marmo pario, alta 1,60 cm, monolitica; dal peso di una tonnellata e mezza, è collocata sotto un magnifico baldacchino del sec. XVII, sostenuto da otto colonne marmoree, il cui numero indicano la Resurrezione e la mediazione tra la Terra e il Cielo, con capitelli di ordine corinzio toccati in oro.

La Vergine tiene al braccio sinistro il bambino, ma ha gli occhi rivolti a chi la guarda, infondendogli quell’arcano sentimento della fede e della speranza, e invitandolo nello stesso tempo a domandare grazie.

Il Bambino ha lo sguardo rivolto alla madre, la quale mentre pare intenta ad ascoltare le preghiere dei fedeli, con la mano destra tiene ferma quella del figlio e quest’atto è fatto con tanta materna tenerezza, che infonde amore anche nei cuori più duri. Il volto della Madonna e i suoi occhi neri sono sereni, larghi e penetranti, le ciglia oltremodo belle, la fronte larga e maestosa e le labbra atteggiate ad un dolce sorriso. Ragionevolmente il vicerè conte d’Albadalista, nel mirarla esclamava: "chi veder la vuol più bella vada in cielo". Quest'espressione di bellezza non è altro che il riverbero della Bellezza di Dio concretizzatosi in Maria.

Accanto al sacello della Madonna la "sala degli ex-voto" (una volta vi si accendeva la cera votiva, oggi sostituita da candele elettroniche), riallestita con i soggetti più antichi. Essa rientra in quella categoria delle testimonianze di devozione e gratitudine alla Beata Vergine di Trapani. Alcuni di questi davvero prodigiosi. Si tratta di piccoli quadri, molti di questi raffiguranti barche o navi in balia delle onde, alcuni di pregevole fattura, altri opera di modesti artigiani, in cui vengono ricordate le circostanze dello scampato pericolo ed i nomi dei marinai che vennero salvati per divina intercessione. Tra questi ricordiamo: "Era venuto l’anno della salute al 1571 a’ 11 di Frebaio, quando la Nave Ragugea di Pietro Xirotta trovandosi in mezo del golfo di Salerno in grande, e prodigiosa tempesta con un pertugio alla Carina, e non havendo rimedio per l'’mpeto del mare, che vi entrava, facendo esso Pietro voto all'Annuntiata di Trapani (è gran maraviglia) un pesce miracolosamente entrò nella fessura, et vietando l’entrarvi alle furiose acque la condusse salva in porto. La spina di questo pesce anzi l’istesso pesce si vede hoggi nella Chiesa di essa Annuntiata Santissima"

Negli ex voto, cronologicamente collocabili tra il XVIII e il XX secolo, le raffigurazioni di imbarcazioni sono maggiormente presenti nei dipinti del XVII e del XVIII secolo accanto alla formula "V.F. & G.A." (Votum Fecit et Gratiam Accepit). L'offerente è il marinaio che ha ricevuto la grazia o il comandante della barca. L'iscrizione abbreviata "V.F.G.A.", traslata in dialetto siciliano, assume curiosamente le caratteristiche di una filastrocca popolare corrispondendo al dialettale Votu Fatto e Grazia Avuta. In alcune tavolette votive sono indicati il giorno, il nome e la tipologia della barca, in altre la formula "V.F.G.A." è sostituita da "P.G.R." ("Per Grazia Ricevuta").

Altre donazioni o ex-voto, sono esposte nella cappella di San Vito. Sia le tavolette antiche che le donazioni moderne, costituiscono insieme ai monili preziosi (molti dei quali al museo Pepoli) il tesoro della Madonna.

Adiacente alla cappella della Madonna, si trova la cappella di Sant'Alberto degli Abati del 1582. Di essa si hanno le prime notizie nel 1370 grazie ad un manoscritto compilato dal Carmelitano Basilio Cavarretta. I lavori di ampliamento e di riorientamento della stessa, vennero realizzati tra il 1582 e il 1624 per munificenza della Famiglia Ventimiglia - del Bosco. Così l’ammiriamo tutt’oggi.
L'altare è rivestito di "marmi mischi e intramischi" commissionato dai fratelli Giuseppe, Antonio e Salvatore Ripa, dell’Ordine Senatorio della Città, venne realizzato nel 1676.  

Sull'altare la Statua reliquario di Sant' Alberto, di altezza naturale, in argento, opera datata del 1752 degli argentieri trapanesi Vincenzo Bonaiuto (†1771) e Michele Tamburello (†1761). La statua, contiene il teschio del Santo. A contatto col teschio vi è del cotone che ogni anno viene distribuito agli ammalati.

Le pareti dell'intera cappella sono pregiati da dipinti del fiammingo-novellesco Geronimo Gerardi (La Sacra Famiglia con i Santi Gioacchino ed Anna) e di Pietro d'Andrea detto Poma (Apoteosi carmelitana, sec. XVIII) .
Dalla porticina laterale a destra si passa nella "celletta" di S. Alberto, da lui abitata. Un ambiente rettangolare ove si conserva le miracolose reliquie del Santo ed anche le reliquie del B. Luigi Rabatà. All'interno vi è una lapide sepolcrale che ricorda i religiosi conversi Benedetto Bonsignore e Franco Selliti, che sistemarono la cella nel 1623. 

Sotto la mensa del piccolo altare della celletta si trova un esametro che (tradotto dal latino) dice: "Questa fu la piccola cella di Alberto trapanese: fermati e dal petto effondi pie preghiere".

Sull'altare vi è una tela raffigurante il Santo attribuita a Domenico La Bruna realizzata verso il 1730-40. Nella parete opposta un'altra tela raffigura il carmelitano Cataldo de Anselmo di Monte San Giuliano che mostra il  Teschio di Sant’Alberto: infatti, per mezzo suo la sacra reliquia dopo varie peripezie arrivò a Trapani nel 1318.

I ritratti dei benefattori Notar Ribaldo e Donna Perna (di autore ignoto, sec. XVIII?) e copie di documenti del 1280 e del 1289 riguardanti la donazione ai Carmelitani (tra le firme abbiamo anche quella di Sant'Alberto) completano la celletta.

Dalla cappella di Sant'Alberto, passando per una porta massiccia ove vi è incisa la seguente iscrizione (tradotta dal latino): "Antonio l'Affamato e Geremia de Modica fecero questa porta l'anno del Signore 1729", si accede all'ampia sacrestia settecentesca.

Sulla sinistra vi sono tre grandi armadi in noce chiaro opera del capomastro-progettista Giuseppe Bonfanti e del maestro intagliatore Giuseppe Basile (1767). Ai piedi delle colonne che separano gli armadi, da un oblò in vetro si può ammirare l'antico pavimento.

Sulla parete di fronte c'è il vano della porta (oggi murata) che portava all'aula Capitolare, sottratta ai Frati dalle leggi eversive del 1870 con tutto il grandioso convento, trasformato, fortunatamente, in Museo nazionale. Su questa parete troviamo un Crocifisso in gesso coronato da quattro statue raffiguranti le quattro Virtù Cardinali, Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza, studi preziosi del professor Domenico Li Muli (sec. XX).  Nel soffitto tre affreschi importanti di Domenico La Bruna, raffiguranti episodi della vita del profeta Elia, ispiratore dell'Ordine Carmelitano. Il primo presenta il profeta che richiama il re Acab, ostinato a prestare culto al falso dio Baal. Il secondo, il centrale, narra la visione della nuvoletta che apparve al Profeta sul Carmelo e che simboleggia l'Immacolato concepimento della Vergine Maria. Il terzo è la sintesi apocalittica della missione di Elia: a terra è piantata la croce della redenzione; il profeta, che ha nelle mani e nei piedi i fori dei chiodi della crocifissione del Messia, agita il vessillo della vittoria, mentre l'Anticristo viene colpito dal fulmine della potenza divina. Due angeli recano il cartiglio con su scritto: "ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande del Signore" (Malachia 3,23).

Attraversando la cappella della Madonna, in parallelo alla cappella di Sant'Alberto, si va verso la cappella di San Vito. Subito, entrando a sinistra s'incontra una grande nicchia, un incavo chiamato "rifugio" perché lì venne collocata, a riparo dai bombardamenti, la statua della Madonna di Trapani, durante la Seconda guerra mondiale: dal 27 giugno 1940 al 20 luglio 1944. Sulla parete frontale vi è un bel dipinto del carmelitano padre Gabriele Saggi. Sotto il dipinto, una lapide ricorda l’evento storico (tradotta dal latino): «Dal 27 giugno 1940 al 20 luglio 1944, durante la fierissima guerra dell’Italia alleata della Germania contro l’America e l'Inghilterra, qui stette al sicuro, dalle bombe lanciate dagli aerei dei nemici, il simulacro della Beata Vergine Maria di Trapani, mentre i fedeli effondevano pie e sante orazioni».

Lasciando il "rifugio", diamo uno sguardo alla cappella di San Vito, che negli ultimi decenni, ha subito diverse trasformazioni.

Costruita tra il 1579 e il 1582 dedicandola al martire san Vito, Patrono della Diocesi di Mazara del Vallo (la Città di Trapani ne fece parte fino al maggio 1844).

Dopo la canonizzazione di santa Teresa di Gesù, la cappella fu dedicata anche alla serafina del Carmelo. Vi fu collocata una tela del 1616, commissionata dagli stessi frati (oggi al museo Pepoli). Oggi, al suo posto vi è un grande Crocefisso di cui non si conosce l'autore.

Tra le opere esistenti nel Santuario, vi sono le statue lignee di San Giuseppe e Sant'Elia di Domenico e Antonio Nolfo; il grande Crocefisso di Pietro Orlando; la Madonna del Carmine di Girolamo Bagnasco.  

Chiesa del collegio dei Gesuiti

La chiesa del collegio dei Gesuiti è una chiesa barocca dedicata all'Immacolata Concezione, sita in corso Vittorio Emanuele, nel centro storico. Adiacente, sulla destra della chiesa, è l'edificio dell'ex collegio, mentre l'ex convento dà sulla via Roma.  

Nel 1580 i religiosi della Compagnia di Gesù eressero nel tempio dei Confrati di San Michele un altare sotto il titolo della Concezione della Vergine Maria.

Gesuiti nel periodo compreso tra il 1581 e il 1596, ottennero il permesso di costruire la chiesa, grazie alle donazioni del Senato cittadino, con annesso il collegio, e il convento. La chiesa fu progettata nel 1614 dall'architetto gesuita messinese Natale Masuccio ed è uno tra i più significativi monumenti barocchi della città. I Confrati di San Michele abbandonarono il sito nel 1616. Nel 1655 a Francesco Bonamici da Lucca fu affidata la direzione dei lavori per il completamento del prospetto.

La chiesa fu consacrata il 13 giugno 1638 dal cardinale Giovanni Domenico Spinola, vescovo di Mazara del Vallo. 

Dopo la soppressione della Compagnia di Gesù del 1767, i Padri Gesuiti dovettero lasciare Trapani nel 1770 e i loro beni passarono sotto la giurisdizione della diocesi di Mazara del Vallo.

Il Collegio, divenne poi il liceo ginnasio Ximenes dopo l'unità d'Italia, mentre il convento fu sede del tribunale fino agli anni '50 del 900.

Chiusa, per inizio dei restauri, dal 1961, ed è stata riaperta nel gennaio 2003, ma i lavori di restauro architettonico della chiesa da parte della soprintendenza si sono completati definitivamente solo nel 2011.  

Sotto lo stemma regio, nella parte mediana dell'architrave, la targa dedicatoria recante l'iscrizione "IN NOMINE DOMINI DEI NOSTRI INVOCABIMVS".

Nella controfacciata è addossata la cantoria.

L'interno è a tre navate, con colonne ed archi a serliana. Le pareti sono decorate con stucchi realizzati da Bartolomeo Sanseverino, allievo del Serpotta, e da marmi. Sono preminenti nella chiesa i preziosi lavori di tarsie di marmi colorati; tra i più pregevoli l'altare dedicato a Sant'Ignazio di Loyola e il prezioso pulpito.

Navata - L'apparato decorativo plastico comprende otto medaglioni in stucco delimitati da foglie d'acanto sul pennacchio delle colonne binate. altrettanti Altrettanti quadroni in cornici mistilinee ornano le porzioni di pareti comprese fra finestroni. Sulla volta due quadroni minori delimitano una grande scena centrale sull'asse mediano. La statuaria annovera quattro manufatti inserite in nicchie sulle pareti laterali e diversi busti marmorei.

Navata destra

Prima campata: Cappella della Sacra Famiglia. Sulla parete è documentato il dipinto raffigurante la Sacra Famiglia, opera di Domenico La Bruna. All'interno della navata centrale un'acquasantiera in marmo rosso.

Nicchia con statua. Nel vano inferiore è collocata una statua della Madonna di Trapani.

Seconda campata: Cappella di Sant'Alberto. Ambiente con cancellata, sopraelevazione costituita da colonne tortili intarsiate. Nell'edicola il dipinto raffigurante Sant'Alberto degli Abbati.

Nicchia con statua. Vano inferiore con confessionale.

Terza campata: Cappella della Madonna di Trapani. Ambiente oggetto di restauri.

Busto su parete intarsiata in marmi mischi.

Vani pseudotransetto.

Navata sinistra

Ingresso ambiente.

Prima campata: Cappella di Santa Rosalia. Sotto la mensa è collocata una scultura marmorea realizzata nel 1717 da Giacomo Tartaglio in alabastro bianco di Gibellina. Omaggio dei trapanesi a Santa Rosalia. All'interno della navata centrale un'acquasantiera in marmo rosso.

Nicchia con statua. Vano inferiore.

Seconda campata: Cappella del Beato Luigi Rabatà.

Nicchia con statua. Vano inferiore con confessionale. Nella navata centrale il pulpito marmoreo con arpie sul fusto e le raffigurazioni degli evangelisti nella conca.

Terza campata: Cappella del Santissimo Crocifisso. Il Crocifisso è opera di Giuseppe Milanti. Busto su parete intarsiata in marmi mischi. Varco d'accesso agli ambienti della sacrestia.

Absidiola destra: Cappella di San Francesco Saverio. L'ambiente è arricchito dal dipinto raffigurante San Francesco Saverio, opera di Pietro Novelli.

Absidiola sinistra: Cappella di Sant'Ignazio. Nel XVIII secolo fu realizzato dall'architetto Giovanni Biagio Amico l'ambiente dedicato al fondatore della Compagnia, pregevole il quadro raffigurante Sant'Ignazio di Loyola, opera di Vito Carrera inserito in un'edicola delimitata da colonne tortili e timpano ad arco spezzato. Pareti arricchite da colonne, marmi, mensole, volute, vasi acroteriali, stucchi e reliquiari lignei di Santi Martiri.

Collegio dei Gesuiti - Edificio progettato nel 1613 dall'architetto gesuita messinese Natale Masuccio. Adiacente al corpo ecclesiale ad occidente, con prospetto su corso Vittorio Emanuele e chiostro interno. Altrettanti aree di corpi di fabbrica chiudono l'isolato a settentrione, determinando di fatto un complesso di grandi dimensioni.

Nel 1767 con l'espulsione e soppressione della Compagnia di Gesù, il Collegio divenne sede delle scuole borboniche e nel 1834 divenne Real Liceo Leonardo Ximenes. La vasta biblioteca fu trasferita a Palermo e poi è andata dispersa: oggi i libri e i documenti si trovano sparsi tra la Biblioteca centrale della Regione Siciliana, il fondo gesuitico della Biblioteca Nazionale di Parigi, l'archivio storico dei Gesuiti di Roma, la Biblioteca Fardelliana.

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