Basilica-Santuario
di
Maria
Santissima
Annunziata
Ai
piedi
del
Monte
San
Giuliano,
oggi
Erice,
a
poche
miglia
dal
promontorio
falcato
della
città
di
Trapani,
sorge
il
Santuario
mariano
più
famoso
della
Sicilia
occidentale:
il
Santuario
di
“Maria
SS.
Annunziata”,
denominato
anche
nella
devozione
popolare
Santuario
della
“Madonna
di
Trapani”.
Il
complesso
religioso,
fin
dai
primordi,
è
stato
officiato
dai
frati
Carmelitani,
giunti
a
Trapani
nella
metà
del
sec.
XIII.
Dove
i
Carmelitani
dimorarono
subito
dopo
il
loro
arrivo
a
Trapani,
non
è
facile
stabilirlo
con
esattezza.
Secondo
alcuni
storici,
essi,
per
benevola
concessione
del
Senato
cittadino,
si
stanziarono
in
un
primo
momento
presso
la
piccola
Chiesa
di
“Santa
Maria
del
parto”,
costruita
dai
pescatori
nei
primi
decenni
del
XIII
secolo
vicino
l’antica
dogana,
alle
spalle
dell’odierna
Chiesa
dell’ex
Collegio
dei
Gesuiti,
accanto
alle
mura
di
tramontana
della
Città.
Poi,
il
24
agosto
del
1250,
ricevute
in
donazione
per
mezzo
di
un
atto
notarile
dal
notar
Domenico
Ribaldo
e
dalla
sua
prima
moglie
donna
Palma
Donores,
trapanesi,
una
piccola
cappella,
dedicata
all’Annunziata
e
le
terre
adiacenti
ad
oriente,
fuori
le
mura
cittadine,
si
trasferirono
là
per
continuare
nella
quiete
della
campagna
la
loro
vita
comune
in
ossequio
a
Gesù
Cristo
come
fraternità
contemplativa
sulle
orme
di
Maria
e
di
Sant’Elia,
il
profeta
del
Carmelo,
eremiti
non
più
pellegrini,
ora
mendicanti
itineranti
in
Europa
in
mezzo
al
popolo.
Successivamente
un’altra
donazione,
non
meno
consistente,
avviene
da
parte
della
seconda
moglie
di
Ribaldo,
Donna
Perna.
Il
1248-1250
sono
gli
anni
in
cui
entra
nel
cenobio
trapanese
un
santo
figlio
illustre:
Sant’Alberto,
parente
degli
Abate.
Attraverso
questo
inaspettato
e
prodigioso
avvenimento
in
seno
alla
nobile
famiglia,
verranno
così
offerti
a
favore
dei
Carmelitani
altri
possedimenti,
per
il
loro
sostentamento
e
per
i
lavori
di
ampliamento
della
primitiva
Chiesetta.
Così,
per
provvidenziale
coincidenza,
la
storia
del
Carmelo
trapanese
inizia
a
legarsi
indissolubilmente
con
la
Famiglia
degli
Abate
e,
nel
corso
dei
secoli,
con
altre
famiglie
nobiliari
che,
con
il
benestare
e
l’ausilio
degli
stessi
sovrani
succedutisi
nel
governo
della
Sicilia,
favoriranno
la
realizzazione
delle
pregevoli
strutture
architettoniche
e
decorative
del
Santuario
in
gran
parte
giunte
fino
a
noi
grazie
anche
alle
cospicue
e
pubbliche
offerte
di
benefattori
di
ogni
ceto
sociale.
Nulla
rimane
di
quanto
era
di
natura
architettonica
o
edilizia
dell’originario
cenobio
carmelitano
del
sec.
XIII
nella
tenuta
degli
Abbate.
Esso
venne
via
via
trasformato
,
sino
ad
essere
del
tutto
sostituito
dal
nuovo
e
grande
complesso
realizzato,
con
larghezza
di
mezzi,
tra
Cinque
e
Seicento.
IL
LUOGO
DI
CULTO
-
All’origine
del
culto
alla
Madonna
di
Trapani
non
c’è
quindi
un
miracolo,
un’apparizione.
C’è
una
Chiesetta
dedicata
all’Annunziata,
alle
falde
del
Monte
San
Giuliano
–
Erice,
accanto
alla
quale
sorge
il
primitivo
convento
dei
Carmelitani.
Essi
accoglieranno
ben
presto
nel
loro
“nuovo
Carmelo”
trapiantato
in
terra
sicula,
l’immagine
marmorea
della
Vergine
col
Bambino,
che
riceverà
il
titolo
di
“Madonna
di
Trapani”,
la
Signora
del
luogo,
così
come
i
primi
eremiti
sul
Carmelo
avevano
associato
il
nome
della
Vergine
a
quella
santa
montagna,
vicino
Nazareth,
nell’innalzare
una
piccola
Chiesa
dedicata
a
Dio
e
in
suo
onore.
Il
1300
rappresenta
il
secolo
della
svolta
nella
storia
spirituale
del
Santuario
sull’onda
della
crescente
venerazione
della
santità
di
Alberto.
Una
crescita
che
ben
s’inquadra
in
quel
risveglio
che
in
Sicilia
sorge
nel
periodo
della
casa
regnante
aragonese
in
particolare
sotto
il
regno
di
Federico
III
d’Aragona,
che,
come
già
detto,
di
Alberto
fu
gran
devoto.
Per
questo
motivo
alla
piccola
Chiesa
romanica
apprestata
e
finanziata
per
i
Carmelitani
nei
possedimenti
della
Famiglia
Abate
fin
dal
loro
arrivo
nelle
“senie”
fuori
le
mura
cittadine,
fa
seguito
la
“Chiesa
Grande”
(così
chiamata
per
distinguerla
dalle
Cappelle
che
sono
sorte
attorno
ad
essa
lungo
i
secoli)
in
puro
stile
gotico
catalano
(a
tre
navate,
con
lunghe
ogive,
con
delle
monofore
e
portali)
i
cui
lavori
iniziarono
intorno
al
1315
e
furono
terminati
(almeno
nella
maggior
parte
dell’impianto)
nel
1333
(i
lavori
continueranno
fino
al
1420
circa).
Viene
edificata
quindi
in
virtù
di
una
partecipazione
sempre
più
intensa
del
popolo
di
Dio,
al
culto
divino,
alla
preghiera,
alla
vita
sacramentale,
attratto
dall’ideale
di
santità
dell’illustre
discendente
degli
Abate
e
dai
continui
miracoli
che
egli
otteneva
dal
Signore
a
favore
dei
suoi
devoti.
Questa
nuova
Chiesa
accoglierà
soprattutto
il
Simulacro
marmoreo
della
Beata
Vergine
Maria,
Madre
di
Dio,
che
diverrà
sempre
più
caro
al
popolo
cristiano
ed
oggetto
principale,
col
tempo,
della
sua
devozione.
I
secoli
successivi,
fino
ai
nostri
giorni,
portano
all’abbellimento
o
al
consolidamento
delle
strutture
già
esistenti
con
l’aggiunta
di
alcuni
elementi
architettonici
come,
ad
esempio,
il
Ciborio
dell’Altare
della
“Chiesa
Grande”
(lavori
terminatati
nel
1967),
costruito
dopo
l’erezione
del
Santuario
al
titolo
e
privilegi
di
Basilica
Pontificia (1950)
e
il
rifacimento
dell’arredo
della
Cappella
della
Madonna
con
finti
marmi
di
porfido
e
la
sostituzione
dell’ampio
apparato
pittorico
con
tele
del
trapanese
Andrea
Marrone
(1859-1861).
Da
queste
memorie
storiche,
si
deduce
chiaramente
come
la
complessa
realtà
del
Santuario
dell’Annunziata
di
Trapani,
rispecchia
la
vitalità
cultuale
e
culturale
che
ha
caratterizzato
lungo
i
secoli
i
Fratelli
della
Beata
Vergine
Maria
del
Monte
Carmelo,
rendendo
questo
luogo
uno
dei
loro
più
importati
centri
di
spiritualità.
BASILICA
PONTIFICIA
MINORE
-
Una
data
così
fausta
deve
essere
ricordata
attraverso
i
secoli,
secondo
il
detto
della
Scrittura:
"Questo
giorno
sarà
per
voi
un
memoriale;
lo
celebrerete
come
festa
del
Signore:
di
generazione
in
generazione,
lo
celebrerete
come
un
rito
perenne" (Es
12,18).
In
vista
della
ricorrenza
del
VII
centenario
della
donazione
da
parte
della
famiglia
di
Domenico
Ribaldo
ai
Carmelitani
della
piccola
Cappella
dell’Annunziata,
con
i
territori
annessi
(1250
-
24
agosto
-
1950),
il
M.to
Rev.do
padre
Lorenzo
Piazza,
Priore
Provinciale
dei
Carmelitani
di
Sicilia pro
tempore,
predispose
la
richiesta
al
Papa
con
una
pertinente
relazione
storica
sul
Santuario
(che
senza
ombra
di
dubbio
è
il
frutto
delle
ricerche
storiche
condotte
fino
a
quel
momento
sul
Santuario
e
sulla
Statua
della
Madonna),
avvalorata
dalla
lettera
commendatizia
dell’allora
Vescovo
di
Trapani
S.
Ecc.
Rev.ma
Mons.
Filippo
Jacolino,
per
poter
vedere
elevato
il
Santuario
–
già
Parrocchia dal
15
dicembre
1909
–,
al
titolo
di
Basilica
Minore.
Sua
Santità
il
Papa
Pio
XII,
accogliendo
volentieri
tale
richiesta
e
a
norma
del
regolamento
canonico
vigente
all’epoca,
promulgò
il
25
Marzo
1950,
Solennità
dell’Annunciazione
del
Signore
–
titolo
del
Santuario
–
la
Lettera
Apostolica "Ex
hoc" (dal
suo incipit),
in
virtù
della
quale
elevava
il
Santuario
al
Titolo
e
Dignità
di
Basilica
Pontifica
Minore.
Riportiamo
qui
di
seguito
la
traduzione
integrale
del
testo
latino
della
Lettera
Apostolica,
ad
opera
del
Carmelitano
padre
Pio
Piazza,
ed
edito
nella
monografia
dello
storico
carmelitano
padre
Gabriele
Monaco
(† 1988) «La
Madonna
di
Trapani» (Edizioni
Laurenziana,
Napoli
1981),
alle
pagine
284-286:

“Dal
momento
che
-
come
disse
S.
Bonaventura
-
la
Vergine
Maria
divenne
Madre
di
Dio,
divenne
anche
Madre
di
tutte
le
creature”.
Per
questa
ragione
sulla
terra
vengono
eretti
parecchi
templi
dedicati
a
tanta
Madre
e
fra
questi
i
principali
e
i
più
frequenti
dai
fedeli
sogliono
essere
dai
Romani
Pontefici
nobilitati
di
maggiore
dignità.
Nel
numero
di
questi
deve
essere
annoverata
la
chiesa
dedicata
a
Dio
in
onore
della
Beata
Vergine
Maria
Annunziata,
fuori
le
mura
dell'antichissima
città
di
Trapani
in
Sicilia.
Essa
è
consacrata
e
giustamente
divenuta
celebre
in
quella
Regione.
Infatti
l'anno
1250
il
nobile
Ribaldo
Abbate
offrì
in
modo
degno
della
sua
munificenza
ai
frati
Carmelitani
esuli
dalla
Palestina,
con
terreni
ed
altri
beni,
una
sua
cappella
sacra
alla
Beata
Vergine
Maria
sotto
il
titolo
di
Madre
di
Dio
e
l'illustre
donna
Perna
Abbate,
seconda
moglie
di
detto
Ribaldo,
legò
a
questa
chiesetta
la
sua
cospicua
fortuna.
Ma
quella
piccola
chiesa
divenne
insufficiente
perché,
a
causa
del
Simulacro
dell'Alma
B.
Vergine
Maria,
Madre
di
Dio,
diveniva
di
giorno
in
giorno
sempre
più
cara
al
popolo
cristiano.
Si
cominciò
dunque
ad
ampliarla
con
il
denaro
raccolto
per
ordine
del
re
Giacomo
d'Aragona
e
soprattutto
per
lo
zelo
dei
Religiosi
Carmelitani
sicché
assurse
al
fastigio
di
Tempio
Mariano.
Il
sacro
edificio
di
stile
gotico
a
tre
navate
fu
compiuto
l'anno
1333,
ma
in
seguito
col
prevalere
di
un
nuovo
stile,
fu
ridotto
a
una
sola.
In
esso
sorgono
undici
altari
con
quadri
rappresentanti
fatti
della
vita
del
Salvatore
e
della
Sua
Inclita
Madre
e
vi
si
ammirano
altre
opere
d'arte
fra
le
quali
è
giustamente
celebre
la
cappella
della
stessa
Vergine
splendente
di
marmi
di
vario
colore
e
di
lampade
d'argento.
Il
visitatore
che
viene
dal
centro
città,
intravede
un
bel
giardino,
la
villa
Pepoli,
ove
scorge
la
facciata
del
complesso
religioso
dell'Annunziata.
Essa
è
l'ingresso
alla
Basilica,
costruita
nel
1332
per
esigenze
di
culto
e
necessità
dei
fedeli,
che
andavano
aumentando.
La
sua
costruzione
fu
ampia
a
tre
navate,
suddivise
da
pilastri.
Di
essa
ne
rimangono
i
muri
perimetrali
con
portali
e
finestre
monofore
e
alcune
coperture,
come
quelle
a
crociera
costolonata
delle
due
cappelle
ai
lati
del
presbiterio
e
quella
polilobata
dello
stesso.
La
facciata,
si
presenta
oggi
con
la
sovrapposizione
dei
due
stili
architettonici:
con
il
suo
portale
in
stile
arabo
normannno
a
forma
ogivale
del
1361
e
stupendo
rosone
a
raggiera,
e
con
la
cornice
e
il
rialzo
settecenteschi.
Essa
è
affiancata
dal
monumentale
campanile
barocco
(1655-1671),
opera
del
capomastro
Nicola
Pisano,
con
le
quattro
campane,
tre
delle
quali
rifuse
nel
1947
(Fonderia
Carmine
Capezzuto,
Napoli)
e
benedette
il
16
novembre
dello
stesso
anno
da
S.
Em.
il
Signor
Cardinale
Ernesto
Ruffini,
Arcivescovo
Metropolita
di
Palermo
ed
Amministratore
Apostolico
della
Diocesi
di
Trapani.
All’interno
del
Tempio,
sulla
porta
centrale,
si
trova
il
maestoso
e
nuovo
organo
a
trasmissione
elettrica
(tre
manuali
di
61
note
e
pedaliera
32
tasti,
concavo/radiale,
41
registri
e
circa
tremila
canne)
inaugurato
il
21
febbraio
1981,
realizzato
dalla
Ditta
“G.
Ruffatti
e
Figli”
di
Padova
che
ampliò
il
precedente
strumento
della
Ditta
“G.
Tamburini”
di
Crema.
La
chiesa
grande
nel
1760
fu
trasformata
dallo
stile
gotico
catalano
(a
tre
navate,
con
lunghe
ogive,
con
delle
monofore
e
portali,
di
cui
alcuni
ancora
visibili
sul
fianco
settentrionale
della
Chiesa),
allo
stile
barocco
rinascimentale,
(realizzando
un’unica
e
grande
navata
con
sedici
colonne
addossate
alle
pareti
e
con
stucchi
dorati
con
motivi
molto
gradevoli)
effettuata
tra
il
1740
e
il
1770
su
progetto
dell’architetto
trapanese,
il
sacerdote
Giovanni
Biagio
Amico
e
si
presenta
oggi
in
un'unica
navata
ornata
di
16
colonne
monolitiche,
“di
pietra
dello
petropalazzo”
che
danno
l'impressione
di
sorreggere
l'accentuata
trabeazione
che
rigira,
oltre
metà
altezza,
lungo
le
pareti.
Sotto
la
cupola
di
forma
ovale,
circondato
da
un
coro
in
noce
del
sec.
XVII,
costruito
dal
carmelitano
P.
Leonardo
Maltisi,
l'altare
papale,
sormontato
dal
moderno
ciborio
(lavori
terminati
nel
1967
dopo
l'erezione
del
Santuario
al
titolo
e
privilegio
di
Basilica
minore
-1950-),
con
otto
statue
in
bronzo
del
prof.
Domenico
Li
Muli.
Essi
rappresentano:
il
beato
Luigi
Rabatà,
sant'Alberto,
san
Telesforo
papa,
sant'Angelo
martire,
Sant'Elia,
sant'Eliseo,
san
Simone
Stock
e
sant'Andrea
Corsini
vescovo. Sotto
la
mensa
riposano
inoltre
le
reliquie
del
martire
romano
San
Clemente
provenienti
dal
cimitero
di
“Santa
Ciriaca”
sottostante
la
Basilica
di
San
Lorenzo
al
Verano,
sulla
via
Tiburtina
in
Roma.
Della
concessione
delle
sue
reliquie
da
parte
della
Santa
Sede
alla
Comunità
religiosa
Carmelitana
del
Santuario
si
conserva
tutt’oggi
la
lettera
datata
17
dicembre
1778.
Una
scritta
posta
al
centro
dell’Altare
recita:
E
coemeterio
Ciriacae 1778.
Drepani
1781,
ricordando
inoltre
l’anno
dell’arrivo
delle
reliquie
a
Trapani. Un
bel
coro
in
noce
del
secolo
XVII,
costruito
dal
Carmelitano
fra
Leonardo
Maltisi,
circonda
l’Altare
basilicale.
Nell’unica
grande
navata
sono
presenti
otto
tele
con
storie
di
vita
della
Vergine
Maria:
sette
(L’Immacolata
Concezione,
La
nascita
di
Maria,
La
presentazione
di
Maria
al
Tempio,
La
Visitazione,
La
presentazione
di
Gesù
al
Tempio,
il
Transito
di
Maria,
L’assunzione
di
Maria)
ad
opera
del
pittore
trapanese
Giuseppe
Felici
(1724-1734)
ed
una
(La
Vergine
tra
i
Santi
e
ai
suoi
piedi
la
Città
di
Trapani)
di
Domenico
La
Bruna
(1735
ca.).
Sotto
i
dipinti
sorgevano
i
rispettivi
altari
demoliti
dopo
la
riforma
liturgica
apportata
dal
Concilio
Ecumenico
Vaticano
II
(1962-1965).
Nel
2009
le
pareti
vengono
tinteggiate
nuovamente
e
arricchite
della
preghiera
carmelitana
Flos
Carmeli.
Nell’abside
si
trova
invece
la
grande
tela
dell’Annunziata,
titolare
della
Basilica
–
Santuario
–
Parrocchia,
del
Sacerdote
Rosario
Matera
(sec.
XVIII).
Al
di
sopra
si
può
ammirare
la
volta
a
costoloni,
retaggio
giunto
fino
a
noi
del
precedente
stile
gotico.

La
costruzione
della
prestigiosa
Cappella
dei
Pescatori
non
ha
una
chiara
datazione.
Tuttavia
una
epigrafe
dipinta
nella
parete
settentrionale
riporta
la
data
MDXXXVII.
Inoltre,
un'interessantissima
iscrizione
marmorea,
esposta
nel
chiostro
dell'Annunziata,
recita
FECERUNT
PISCATORES
1569
ed
è
corredata
dalle
insegne
della
maestranza:
due
pesci
e
una
barca.
Alcune
fonti
denominano
la
cappella: "Cappella
Divae
Mariae
Misericordiae
Sanctissimi
Petri
et
Pauli".
L’elemento
di
base
della
Cappella
dei
Pescatori,
costruita
a
forma
cubica,
è
dominato
da
una
cupola
la
cui
matrice
islamica
e
normanna
è
riscontrabile
nella
sua
forma
a
spicchi
individuabili
all’esterno,
come
pure
nei
decori
dell’arco
riconoscibile
di
fronte
all’ingresso,
e
nei
pennacchi
angolari
a
ventaglio.
Alla
cappella
si
accede
dalla
Basilica
(chiesa
grande)
per
mezzo
di
un
passaggio
demarcato
da
un
piccolo
cancello
in
ferro
battuto
che
separa
le
due
zone.
Appena
entrati
ci
si
trova
davanti
al
grande
portale
ad
ogiva,
la
cui
maestosità
fa
pensare
che
originariamente
sia
stato
realizzato
per
uno
spazio
esterno,
e
sia
stato
portato
all’interno
in
una
seconda
fase.
La
presenza
sulla
modanatura
dell’arco
di
una
vasta
tipologia
di
pesci
ne
conferma
la
committenza
da
parte
del
ceto
dei
Pescatori.
Un
altro
arco
ad
ogiva,
di
gran
lunga
più
semplice
del
precedente,
incornicia
l’attuale
ingresso
alla
cappella,
inquadrato
tra
due
colonne
della
chiesa,
ma
fuori
centro
rispetto
all’arco
anzidetto:
questo
dettaglio
svela
che
la
moderna
apertura
è
posteriore
alla
realizzazione
originaria
della
cappella.
Tre
riquadri
affrescati
mostrano
poi
una
scena
di
pesca
di
corallo,
un
cartiglio
che
riporta
la
data
1537,
e
la
rappresentazione
di
pesci.
Nella
parete
di
sinistra
abbiamo
la
trasfigurazione
e
la
pesca
miracolosa,
ma
varie
e
diffuse
tracce
di
pittura
lasciano
supporre
che
originariamente
tutta
la
cappella
fosse
affrescata.

All'occhio
del
visitatore,
la
Cappella
della
Risurrezione
o
dei
Marinai,
si
presenta
compatta,
sostenuta
da
quattro
torri
angolari
(anche
esternamente)
a
impianto
ottagonale
e
dall'abside
emergente
del
perimetro
murario.
Essa
fu
costruita
sulla
metà
del
XV
secolo
dai
marinai,
come
loro
propria
cappella.
Successivamente,
nel
1514,
la
Confraternita
dei
Marinai
chiese
ai
Carmelitani
di
poterla
rinnovare
e
ampliare,
utilizzando
lo
spazio
dove
allora
si
trovava
la
figura
della
Vergine
della
Misericordia,
posizionata
a
destra
dell’altare
maggiore.
La
costruzione
fu
terminata
nei
primi
decenni
successivi.
La
cappella
si
presenta
a
vano
quadrato
di
circa
8
metri
di
lato
coperto
da
una
cupola
emisferica
in
pietra
a
vista,
realizzata
attraverso
una
sequenza
di
anelli
concentrici
in
conci
di
calcarenite
locale,
raccordati
al
tamburo
di
base
tramite
quattro
nicchie
angolari
con
conchiglie
al
loro
interno.
L’elemento
della
conchiglia
lo
ritroviamo
in
altre
luoghi
della
stessa
chiesa.
Esso
è
un
elemento,
che
fin
dall'antichità
indica
i
genitali
femminili
e
quindi
la
fecondità.
Partendo
da
questa
idea,
quindi
l’inizio
di
una
nuova
vita,
per
il
Mondo
Cristiano
la
conchiglia
indica
la
Vergine
Maria
che
dona
al
mondo
la
"Perla
preziosa":
Cristo
Gesù.
La
conchiglia
inoltre
viene
intesa
anche
come
simbolo
di
rinascita,
intesa
nel
senso
di
purificazione
dello
spirito.
La
cappella
era
adornata
da
diverse
statue
e
da
un’acquasantiera
gaginesca
che
oggi
si
trovano
al
museo
Pepoli.
Oggi,
la
cappella
è
sede
per
la
Custodia
del
SS.
Sacramento
e
l'Adorazione.

Dietro
l'altare
basilicale
sono
presenti
due
portali
gagineschi
del
XVI
secolo
sormontate
dal
quadro
della
Annunciazione
(1750)
di
Rosario
Matera.
Attraverso
di
esse
si
entra
nella
Cappella
della
Madonna
di
Trapani,
disegnata
e
realizzata
dall'architetto
Simone
Vaccara
nel
1530
in
stile
rinascimentale.
Lunga
27
metri
e
larga
8,
le
pareti
imitano
marmi
di
porfido
e
sono
rivestite
di
quadri
di
Andrea
Marrone
esprimenti
alcune
delle
celebri
donne
dell'Antico
Testamento,
figure
della
Vergine
Maria.
Un
gran
numero
di
lampade
d'argento
e
di
antica
fattura
ornano
il
tempio
e
l'altare
della
Madonna.
Sul
soffitto
due
affreschi
racchiudono
l'Assunzione
e
la
Gloria
della
Vergine
del
trapanese
Andrea
Marrone
(1859-1861).
Sempre
in
alto,
spicca
l'organo
del
1630,
costruito
dalla
Ditta
Valenti,
organari
trapanesi
con
la
sua
cantoria
realizzata
dal
palermitano
Antonino
La
Valle.
Il
pavimento
della
Cappella
in
marmi
policromi
inaugurato
il
31
luglio
1956
venne
eseguito
dalla
Ditta
Fratelli
Bruno
di
Trapani
su
disegno
dell’Architetto
Decio
Marrone.
Adornano
il
tempio
14
lampade
votive
in
argento
del
seicento
e,
sulla
ricca
cantoria
del
palermitano
Antonino
la
Valle,
l’organo
del
1630
a
trasmissione
meccanica,
ancora
in
concerto.
Attraverso
l’arco
marmoreo
di
Antonello
Gagini,
commissionato
dal
Priore
del
tempo
Aloisio
de
Aiuto
insieme
alla
famiglia
Ventimiglia
del
Bosco,
inaugurato
il
15
agosto
del
1537
(con
i
profeti
che
vaticinano
la
venuta
del
Messia
nato
dalla
Vergine)
e
la
splendida
cancellata
bronzea
del
1591
del
fonditore
palermitano
Giuliano
Musarra
–
le
cui
bronzee
maglie
in
rete
da
pesca
con
“nodi
piani”
(i
nodi
che
uniscono
due
cime
e
che
non
si
possono
sciogliere)
simboleggiano
l’amore
ed
il
legame
di
Maria
con
i
marinai
e
con
i
trapanesi
tutti.
Tale
opera
fu voluta
dal
priore
pro
tempore
fra
Eligio
Fiorentino,
e
finanziata
dal
Viceré
il
quale
spese
l’ingente
somma
di
12.000
scudi.
Il
suo
nome,
insieme
a
quello
della
consorte,
è
segnato
sul
cartiglio
al
centro
del
cancello:
D.O.M.
VIRGINIQUE
MARIAE
ANNUNTIATAE
DIDACUS
HENRIQUEZ
ET
GUZMAN/COMES
ALBADALISTAE
SICILIANE
PROREX,
ATQUE
MARIA
DURREA
PROREGINA/PIETATE
ATQUE
RELIGIONE
CLARISSIMI
VIRGINIS
MATRIS
SACELLUM
FERREIS
CRATIBUS
DEMPTIS
PRO
LOCI
DIGNITATE
AENEO
OPERE
EXORNANDUM
CURAVERE
ANNO
DOMINI
MDLXXXXI
A
Dio
Ottimo
Massimo
ed
alla
Vergine
Maria
Annunziata
Diego
Henriquez
e
Guzman/Conte
di
Albadalista Viceré
di
Sicilia,
e
Maria
Durrea
Viceregina/Chiarissimi
per
devozione
e
religiosità/fecero
adornare
come
richiedeva
la
dignità
del
luogo/la
Cappella
della
Vergine
Madre
con
un’opera
di
bronzo
dopo
aver
tolto
il
cancello
di
ferro
L’anno
del
Signore
1591
Attraversato
il
cancello
bronzeo, entriamo
nel
Sacello
della
Madonna
vero
scrigno
di
fede,
di
arte
sacra
e
di
storia
plurisecolare
adorno
di
marmi
intarsiati
variopinti,
realizzati
tra
il
1661-66
dai
maestri
intagliatori
Leonardo
Nicoletta
e
Ottavio
Romano,
su
disegno
dello
scultore
trapanese
Alberto
Orlando,
con
simboli
Il
paliotto
d'argento
donato
dal
Cardinale
Spinola
nel
1642;
d'argento
gli
angeli
con
candelabri
accanto
alla
statua
(scolpiti
in
legno
da
Alberto
Aleo
e
rivestiti
d'argento
e
cesellati
da
Giuseppe
Costadura);
il
tabernacolo
d'argento
(opera
di
Vincenzo
Bonaiuto),
il
plastico
in
argento
della
Città
di
Trapani
ai
piedi
della
Vergine
dono
del
Principe
di
Paceco.
Due
grandi
candelabri
d'argento
donati
da
don
Giovanni
d'Austria
nel
1651.
La
volta
del
soffitto
esprime
le
antiche
linee
architettoniche
catalane
con
i
pennacchi
agli
spigoli
e
la
cupola
araba.
Una
grande
conchiglia
chiude
la
piccola
abside.
Sull'altare
la
statua
marmorea
della
Vergine
Maria,
sec.
XIV,
scolpita
dalla
maestria
di
Nino
Pisano.
In
marmo
pario,
alta
1,60
cm,
monolitica;
dal
peso
di
una
tonnellata
e
mezza,
è
collocata
sotto
un
magnifico
baldacchino
del
sec.
XVII,
sostenuto
da
otto
colonne
marmoree,
il
cui
numero
indicano
la
Resurrezione
e
la
mediazione
tra
la
Terra
e
il
Cielo,
con
capitelli
di
ordine
corinzio
toccati
in
oro.
La
Vergine
tiene
al
braccio
sinistro
il
bambino,
ma
ha
gli
occhi
rivolti
a
chi
la
guarda,
infondendogli
quell’arcano
sentimento
della
fede
e
della
speranza,
e
invitandolo
nello
stesso
tempo
a
domandare
grazie.
Il
Bambino
ha
lo
sguardo
rivolto
alla
madre,
la
quale
mentre
pare
intenta
ad
ascoltare
le
preghiere
dei
fedeli,
con
la
mano
destra
tiene
ferma
quella
del
figlio
e
quest’atto
è
fatto
con
tanta
materna
tenerezza,
che
infonde
amore
anche
nei
cuori
più
duri.
Il
volto
della
Madonna
e
i
suoi
occhi
neri
sono
sereni,
larghi
e
penetranti,
le
ciglia
oltremodo
belle,
la
fronte
larga
e
maestosa
e
le
labbra
atteggiate
ad
un
dolce
sorriso.
Ragionevolmente
il
vicerè
conte
d’Albadalista,
nel
mirarla
esclamava: "chi
veder
la
vuol
più
bella
vada
in
cielo".
Quest'espressione
di
bellezza
non
è
altro
che
il
riverbero
della
Bellezza
di
Dio
concretizzatosi
in
Maria.
Accanto
al
sacello
della
Madonna
la
"sala
degli
ex-voto"
(una
volta
vi
si
accendeva
la
cera
votiva,
oggi
sostituita
da
candele
elettroniche),
riallestita
con
i
soggetti
più
antichi.
Essa
rientra
in
quella
categoria
delle
testimonianze
di
devozione
e
gratitudine
alla
Beata Vergine
di
Trapani.
Alcuni
di
questi
davvero
prodigiosi. Si
tratta
di
piccoli
quadri,
molti
di
questi
raffiguranti
barche
o
navi
in
balia
delle
onde,
alcuni
di
pregevole
fattura,
altri
opera
di
modesti
artigiani,
in
cui
vengono
ricordate
le
circostanze
dello
scampato
pericolo
ed
i
nomi
dei
marinai
che
vennero
salvati
per
divina
intercessione.
Tra
questi
ricordiamo: "Era
venuto
l’anno
della
salute
al
1571
a’
11
di
Frebaio,
quando
la
Nave
Ragugea
di
Pietro
Xirotta
trovandosi
in
mezo
del
golfo
di
Salerno
in
grande,
e
prodigiosa
tempesta
con
un
pertugio
alla
Carina,
e
non
havendo
rimedio
per
l'’mpeto
del
mare,
che
vi
entrava,
facendo
esso
Pietro
voto
all'Annuntiata
di
Trapani
(è
gran
maraviglia)
un
pesce
miracolosamente
entrò
nella
fessura,
et
vietando
l’entrarvi
alle
furiose
acque
la
condusse
salva
in
porto.
La
spina
di
questo
pesce
anzi
l’istesso
pesce
si
vede
hoggi
nella
Chiesa
di
essa
Annuntiata
Santissima".
Negli
ex
voto,
cronologicamente
collocabili
tra
il
XVIII
e
il
XX
secolo,
le
raffigurazioni
di
imbarcazioni
sono
maggiormente
presenti
nei
dipinti
del
XVII
e
del
XVIII
secolo
accanto
alla
formula
"V.F.
&
G.A."
(Votum
Fecit
et
Gratiam
Accepit).
L'offerente
è
il
marinaio
che
ha
ricevuto
la
grazia
o
il
comandante
della
barca.
L'iscrizione
abbreviata
"V.F.G.A.",
traslata
in
dialetto
siciliano,
assume
curiosamente
le
caratteristiche
di
una
filastrocca
popolare
corrispondendo
al
dialettale
Votu
Fatto
e
Grazia
Avuta.
In
alcune
tavolette
votive
sono
indicati
il
giorno,
il
nome
e
la
tipologia
della
barca,
in
altre
la
formula
"V.F.G.A."
è
sostituita
da
"P.G.R."
("Per
Grazia
Ricevuta").
Altre
donazioni
o
ex-voto,
sono
esposte
nella
cappella
di
San
Vito.
Sia
le
tavolette
antiche
che
le
donazioni
moderne,
costituiscono
insieme
ai
monili
preziosi
(molti
dei
quali
al
museo
Pepoli)
il
tesoro
della
Madonna.

Adiacente
alla
cappella
della
Madonna,
si
trova
la
cappella
di
Sant'Alberto
degli
Abati
del
1582.
Di
essa
si
hanno
le
prime
notizie
nel
1370
grazie
ad
un
manoscritto
compilato
dal
Carmelitano
Basilio
Cavarretta.
I
lavori
di
ampliamento
e
di
riorientamento
della
stessa,
vennero
realizzati
tra
il
1582
e
il
1624
per
munificenza
della
Famiglia
Ventimiglia
-
del
Bosco.
Così
l’ammiriamo
tutt’oggi.
L'altare
è
rivestito
di
"marmi
mischi
e
intramischi"
commissionato
dai
fratelli
Giuseppe,
Antonio
e
Salvatore
Ripa,
dell’Ordine
Senatorio
della
Città,
venne
realizzato
nel
1676.
Sull'altare
la
Statua
reliquario
di
Sant'
Alberto,
di
altezza
naturale,
in
argento,
opera
datata
del
1752
degli
argentieri
trapanesi
Vincenzo
Bonaiuto
(†1771)
e
Michele
Tamburello
(†1761).
La
statua,
contiene
il
teschio
del
Santo.
A
contatto
col
teschio
vi
è
del
cotone
che
ogni
anno
viene
distribuito
agli
ammalati.
Le
pareti
dell'intera
cappella
sono
pregiati
da
dipinti
del
fiammingo-novellesco
Geronimo
Gerardi
(La
Sacra
Famiglia con
i
Santi
Gioacchino
ed
Anna)
e
di
Pietro
d'Andrea
detto
Poma
(Apoteosi
carmelitana,
sec.
XVIII)
.
Dalla
porticina
laterale
a
destra
si
passa
nella
"celletta"
di
S.
Alberto,
da
lui
abitata.
Un
ambiente
rettangolare
ove
si
conserva
le
miracolose
reliquie
del
Santo
ed
anche
le
reliquie
del
B.
Luigi
Rabatà.
All'interno
vi
è
una
lapide
sepolcrale
che
ricorda
i
religiosi
conversi
Benedetto
Bonsignore
e
Franco
Selliti,
che
sistemarono
la
cella
nel
1623.
Sotto
la
mensa
del
piccolo
altare
della
celletta
si
trova
un
esametro
che
(tradotto
dal
latino)
dice: "Questa
fu
la
piccola
cella
di
Alberto
trapanese:
fermati
e
dal
petto
effondi
pie
preghiere".
Sull'altare
vi
è
una
tela
raffigurante
il
Santo
attribuita
a
Domenico
La
Bruna
realizzata
verso
il
1730-40.
Nella
parete
opposta
un'altra
tela
raffigura
il
carmelitano
Cataldo
de
Anselmo
di
Monte
San
Giuliano
che
mostra
il
Teschio
di
Sant’Alberto:
infatti,
per
mezzo
suo
la
sacra
reliquia
dopo
varie
peripezie
arrivò
a
Trapani
nel
1318.
I
ritratti
dei
benefattori
Notar
Ribaldo
e
Donna
Perna
(di
autore
ignoto,
sec.
XVIII?)
e
copie
di
documenti
del
1280
e
del
1289
riguardanti
la
donazione
ai
Carmelitani
(tra
le
firme
abbiamo
anche
quella
di
Sant'Alberto)
completano
la
celletta.

Dalla
cappella
di
Sant'Alberto,
passando
per
una
porta
massiccia
ove
vi
è
incisa
la
seguente
iscrizione
(tradotta
dal
latino):
"Antonio
l'Affamato
e
Geremia
de
Modica
fecero
questa
porta
l'anno
del
Signore
1729",
si
accede
all'ampia
sacrestia
settecentesca.
Sulla
sinistra
vi
sono
tre
grandi
armadi
in
noce
chiaro
opera
del
capomastro-progettista
Giuseppe
Bonfanti
e
del
maestro
intagliatore
Giuseppe
Basile
(1767). Ai
piedi
delle
colonne
che
separano
gli
armadi,
da
un
oblò
in
vetro
si
può
ammirare
l'antico
pavimento.
Sulla
parete
di
fronte
c'è
il
vano
della
porta
(oggi
murata)
che
portava
all'aula
Capitolare,
sottratta
ai
Frati
dalle
leggi
eversive
del
1870
con
tutto
il
grandioso
convento,
trasformato,
fortunatamente,
in
Museo
nazionale.
Su
questa
parete
troviamo
un
Crocifisso
in
gesso
coronato
da
quattro
statue
raffiguranti
le
quattro
Virtù
Cardinali,
Prudenza,
Giustizia,
Fortezza
e
Temperanza,
studi
preziosi
del
professor
Domenico
Li
Muli
(sec.
XX).
Nel
soffitto
tre
affreschi
importanti
di
Domenico
La
Bruna,
raffiguranti
episodi
della
vita
del
profeta
Elia,
ispiratore
dell'Ordine
Carmelitano.
Il
primo
presenta
il
profeta
che
richiama
il
re
Acab,
ostinato
a
prestare
culto
al
falso
dio
Baal.
Il
secondo,
il
centrale,
narra
la
visione
della
nuvoletta
che
apparve
al
Profeta
sul
Carmelo
e
che
simboleggia
l'Immacolato
concepimento
della
Vergine
Maria.
Il
terzo
è
la
sintesi
apocalittica
della
missione
di
Elia:
a
terra
è
piantata
la
croce
della
redenzione;
il
profeta,
che
ha
nelle
mani
e
nei
piedi
i
fori
dei
chiodi
della
crocifissione
del
Messia,
agita
il
vessillo
della
vittoria,
mentre
l'Anticristo
viene
colpito
dal
fulmine
della
potenza
divina.
Due
angeli
recano
il
cartiglio
con
su
scritto: "ecco,
io
invierò
il
profeta
Elia
prima
che
giunga
il
giorno
grande
del
Signore" (Malachia
3,23).
Attraversando
la
cappella
della
Madonna,
in
parallelo
alla
cappella
di
Sant'Alberto,
si
va
verso
la
cappella
di
San
Vito.
Subito,
entrando
a
sinistra
s'incontra
una
grande
nicchia,
un
incavo
chiamato "rifugio" perché
lì
venne
collocata,
a
riparo
dai
bombardamenti,
la
statua
della
Madonna
di
Trapani,
durante
la
Seconda
guerra
mondiale:
dal
27
giugno
1940
al
20
luglio
1944.
Sulla
parete
frontale
vi
è
un
bel
dipinto
del
carmelitano
padre
Gabriele
Saggi.
Sotto
il
dipinto,
una
lapide
ricorda
l’evento
storico
(tradotta
dal
latino): «Dal
27
giugno
1940
al
20
luglio
1944,
durante
la
fierissima
guerra
dell’Italia
alleata
della
Germania
contro
l’America
e
l'Inghilterra,
qui
stette
al
sicuro,
dalle
bombe
lanciate
dagli
aerei
dei
nemici,
il
simulacro
della
Beata
Vergine
Maria
di
Trapani,
mentre
i
fedeli
effondevano
pie
e
sante
orazioni».
Lasciando
il
"rifugio",
diamo
uno
sguardo
alla
cappella
di
San
Vito,
che
negli
ultimi
decenni,
ha
subito
diverse
trasformazioni.
Costruita
tra
il
1579
e
il
1582
dedicandola
al
martire
san
Vito,
Patrono
della
Diocesi
di
Mazara
del
Vallo
(la
Città
di
Trapani
ne
fece
parte
fino
al
maggio
1844).
Dopo
la
canonizzazione
di
santa
Teresa
di
Gesù,
la
cappella
fu
dedicata
anche
alla
serafina
del
Carmelo.
Vi
fu
collocata
una
tela
del
1616,
commissionata
dagli
stessi
frati
(oggi
al
museo
Pepoli).
Oggi,
al
suo
posto
vi
è
un
grande
Crocefisso
di
cui
non
si
conosce
l'autore.
Tra
le
opere
esistenti nel
Santuario,
vi
sono
le
statue
lignee
di
San
Giuseppe
e
Sant'Elia
di
Domenico
e
Antonio
Nolfo;
il
grande
Crocefisso
di
Pietro
Orlando;
la
Madonna
del
Carmine
di
Girolamo
Bagnasco.
Chiesa
del
collegio
dei
Gesuiti
La chiesa
del
collegio
dei
Gesuiti è
una
chiesa
barocca
dedicata
all'Immacolata
Concezione,
sita
in
corso
Vittorio
Emanuele,
nel
centro
storico. Adiacente,
sulla
destra
della
chiesa,
è
l'edificio
dell'ex
collegio,
mentre
l'ex
convento
dà
sulla
via
Roma.
Nel
1580
i
religiosi
della Compagnia
di
Gesù eressero
nel
tempio
dei
Confrati
di
San
Michele
un
altare
sotto
il
titolo
della
Concezione
della
Vergine
Maria.
I Gesuiti nel
periodo
compreso
tra
il
1581
e
il
1596,
ottennero
il
permesso
di
costruire
la
chiesa,
grazie
alle
donazioni
del
Senato
cittadino,
con
annesso
il
collegio,
e
il
convento.
La
chiesa
fu
progettata
nel
1614
dall'architetto
gesuita
messinese Natale
Masuccio ed
è
uno
tra
i
più
significativi
monumenti
barocchi
della
città. I
Confrati
di
San
Michele
abbandonarono
il
sito
nel
1616. Nel
1655
a Francesco
Bonamici da
Lucca
fu
affidata
la
direzione
dei
lavori
per
il
completamento
del
prospetto.
La
chiesa
fu
consacrata
il
13
giugno
1638
dal
cardinale Giovanni
Domenico
Spinola,
vescovo
di
Mazara
del
Vallo.
Dopo
la soppressione
della
Compagnia
di
Gesù del
1767,
i
Padri
Gesuiti
dovettero
lasciare
Trapani
nel
1770
e
i
loro
beni
passarono
sotto
la
giurisdizione
della diocesi
di
Mazara
del
Vallo.
Il
Collegio,
divenne
poi
il liceo
ginnasio
Ximenes dopo
l'unità
d'Italia,
mentre
il
convento
fu
sede
del
tribunale
fino
agli
anni
'50
del
900.
Chiusa,
per
inizio
dei
restauri,
dal
1961,
ed
è
stata
riaperta
nel
gennaio
2003,
ma
i
lavori
di
restauro
architettonico
della
chiesa
da
parte
della
soprintendenza
si
sono
completati
definitivamente
solo
nel
2011.
Sotto
lo
stemma
regio,
nella
parte
mediana
dell'architrave,
la
targa
dedicatoria
recante
l'iscrizione
"IN
NOMINE
DOMINI
DEI
NOSTRI
INVOCABIMVS".
Nella controfacciata è
addossata
la cantoria.
L'interno
è
a
tre
navate,
con
colonne
ed
archi
a
serliana.
Le
pareti
sono
decorate
con
stucchi
realizzati
da Bartolomeo
Sanseverino,
allievo
del Serpotta,
e
da
marmi.
Sono
preminenti
nella
chiesa
i
preziosi
lavori
di
tarsie
di
marmi
colorati;
tra
i
più
pregevoli
l'altare
dedicato
a Sant'Ignazio
di
Loyola e
il
prezioso
pulpito.
Navata
-
L'apparato
decorativo
plastico
comprende
otto
medaglioni
in
stucco
delimitati
da
foglie
d'acanto sul
pennacchio
delle
colonne
binate.
altrettanti
Altrettanti
quadroni
in
cornici
mistilinee
ornano
le
porzioni
di
pareti
comprese
fra
finestroni.
Sulla
volta
due
quadroni
minori
delimitano
una
grande
scena
centrale
sull'asse
mediano.
La
statuaria
annovera
quattro
manufatti
inserite
in
nicchie
sulle
pareti
laterali
e
diversi
busti
marmorei.
Navata
destra
Prima
campata: Cappella
della
Sacra
Famiglia.
Sulla
parete
è
documentato
il
dipinto
raffigurante
la Sacra
Famiglia,
opera
di Domenico
La
Bruna.
All'interno
della
navata
centrale
un'acquasantiera in
marmo
rosso.
Nicchia
con
statua.
Nel
vano
inferiore
è
collocata
una
statua
della Madonna
di
Trapani.
Seconda
campata: Cappella
di
Sant'Alberto.
Ambiente
con
cancellata,
sopraelevazione
costituita
da colonne
tortili intarsiate.
Nell'edicola
il
dipinto
raffigurante Sant'Alberto
degli
Abbati.
Nicchia
con
statua.
Vano
inferiore
con confessionale.
Terza
campata: Cappella
della
Madonna
di
Trapani.
Ambiente
oggetto
di
restauri.
Busto
su
parete
intarsiata
in
marmi
mischi.
Vani
pseudotransetto.

Navata
sinistra
Ingresso
ambiente.
Prima
campata: Cappella
di
Santa
Rosalia.
Sotto
la
mensa
è
collocata
una
scultura
marmorea
realizzata
nel
1717
da Giacomo
Tartaglio in
alabastro
bianco
di
Gibellina.
Omaggio
dei
trapanesi
a Santa
Rosalia.
All'interno
della
navata
centrale
un'acquasantiera in
marmo
rosso.
Nicchia
con
statua.
Vano
inferiore.
Seconda
campata: Cappella
del
Beato
Luigi
Rabatà.
Nicchia
con
statua.
Vano
inferiore
con confessionale.
Nella
navata
centrale
il pulpito marmoreo
con arpie sul
fusto
e
le
raffigurazioni
degli
evangelisti
nella
conca.
Terza
campata: Cappella
del
Santissimo
Crocifisso.
Il Crocifisso è
opera
di
Giuseppe
Milanti.
Busto
su
parete
intarsiata
in
marmi
mischi.
Varco
d'accesso
agli
ambienti
della sacrestia.

Absidiola
destra: Cappella
di
San
Francesco
Saverio.
L'ambiente
è
arricchito
dal
dipinto
raffigurante San
Francesco
Saverio,
opera
di Pietro
Novelli.
Absidiola
sinistra: Cappella
di
Sant'Ignazio.
Nel XVIII
secolo fu
realizzato
dall'architetto Giovanni
Biagio
Amico
l'ambiente
dedicato
al
fondatore
della
Compagnia,
pregevole
il
quadro
raffigurante Sant'Ignazio
di
Loyola, opera
di Vito
Carrera inserito
in
un'edicola delimitata
da colonne
tortili e
timpano
ad
arco
spezzato.
Pareti
arricchite
da
colonne,
marmi,
mensole,
volute,
vasi
acroteriali,
stucchi
e
reliquiari
lignei
di
Santi
Martiri.
Collegio
dei
Gesuiti
-
Edificio
progettato
nel
1613
dall'architetto
gesuita
messinese Natale
Masuccio.
Adiacente
al
corpo
ecclesiale
ad
occidente,
con
prospetto
su
corso
Vittorio
Emanuele
e chiostro interno.
Altrettanti
aree
di
corpi
di
fabbrica
chiudono
l'isolato
a
settentrione,
determinando
di
fatto
un
complesso
di
grandi
dimensioni.
Nel
1767
con
l'espulsione
e soppressione
della
Compagnia
di
Gesù,
il
Collegio
divenne
sede
delle
scuole
borboniche
e
nel
1834
divenne Real
Liceo Leonardo
Ximenes. La
vasta
biblioteca
fu
trasferita
a
Palermo
e
poi
è
andata
dispersa:
oggi
i
libri
e
i
documenti
si
trovano
sparsi
tra
la Biblioteca
centrale
della
Regione
Siciliana,
il
fondo
gesuitico
della
Biblioteca
Nazionale
di
Parigi,
l'archivio
storico
dei
Gesuiti
di
Roma,
la Biblioteca
Fardelliana.
Pag.
1
Pag.
3
|