Alcamo
(Trapani)
  

 

A circa 50 km sia da Palermo che da Trapani sorge la cittadina di Alcamo ai piedi del Monte Bonifato, alto 825 metri, sul quale esisteva fin dal V secolo una popolazione cristiana sottomessa dai Saraceni i quali in quel periodo (827) erano in guerra coi Bizantini. Vi sono discordanze tra gli storici riguardo la data di fondazione che comunque avvenne tra il IX e X secolo. Secondo alcuni, la città venne fondata nel 828 dal comandante musulmano alKamuk, da cui poi la località avrebbe preso il nome anche se l'etimologia potrebbe derivare anche da una parola araba, "Alqamah", che significa "terra fangosa" intendendo col termine il significato di "fertile", o da Marzil Alqamah, casale di Alqamah. 

Secondo altre fonti la città fu fondata dagli Arabi nel 972 circa, più di un secolo dopo lo sbarco a Mazara del Vallo che aveva dato il via alla loro conquista della Sicilia, ultimata con la caduta di Taormina del 902. Una torre in rovina e ruderi dell'antico serbatoio d'acqua della Funtanazza sono oggi le uniche testimonianze arabe di questo paese montano, abbandonato definitivamente dalla seconda metà del XIV secolo. 

Risale al 1154 il primo documento che parla dell'esistenza di Alcamo ed è un passo del Libro di Ruggero scritto dal geografo berbero Edrisi per ordine del re normanno al fine di ottenere una raccolta di carte geografiche Edrisi descrive la posizione di Alcamo ad un miglio arabico e mezzo da Calatubo e lo definisce mazil (casale o gruppo di case) con terre fertili e un mercato. Un altro documento del 1185 parla ancora di Alcamo a conferma dell'origine araba, è un diario di un pellegrino andaluso, Ibn Jubair, che in viaggio da Palermo a Trapani si fermò ad Alcamo che egli definisce beleda (paese con moschee e mercato). Durante il periodo medioevale l'attuale centro storico era abitato da musulmani e diviso nei quattro casali di S. Vito, S. Leonardo, S. Ippolito e S. Nicolò. 

Agli Arabi succedettero nel 1060 i normanni e poi gli svevi. Una serie di rivolte dei saraceni tra il 1221 e il 1243 indusse l'imperatore Federico II di Svevia (1230-1250) a deportare la popolazione araba da Alcamo e i casali divennero gradualmente cristiani. In quegli anni nasce ad Alcamo il celebre poeta Ciullo o Cielo d'Alcamo, autore del contrasto Rosa fresca aulentissima, prima testimonianza tangibile dell'uso dell'italiano volgare per i componimenti poetici, risalente al XII secolo. Il periodo aragonese segnò lo sviluppo progressivo del paese e pittura, scultura e architettura ne testimoniano lo splendore, e in quello stesso periodo alla popolazione residente sulla terra di Bonifato venne ordinato di scendere a valle fondendosi con quella dei casali. 

La città passò, con brevissimi periodi di demanialità regia, nelle mani di diversi feudatari, dapprima i Ventimiglia, di cui rimangono i resti dell'omonimo castello sulla cima del Monte Bonifato, poi i Conti di Modica, il cui castello è tutt'oggi presente in ottime condizioni allorché restaurato in tempi recenti. Il castello risalirebbe al XIV-XV secolo (1350) ad opera della famiglia Peralta e fu completato successivamente dai feudatari Enrico e Federico Chiaramonte. Fu in possesso dei Cabrera Conti di Modica fino al 1812, e vi soggiornò nel 1535 l'Imperatore Carlo V. Durante il XIV secolo Alcamo conta circa tremila abitanti provenienti anche da varie parti della Sicilia e dell'Italia che negli atti notarili venivano indicati come habitatores.

Durante il XV secolo Alcamo era un centro del commercio del frumento della Sicilia occidentale. Intorno al 1500, Alcamo fu sotto la giurisdizione del capitano di giustizia Ferdinando Vega, che combatté le incursioni dei pirati turchi e impose il rispetto della legge con la forza. Il centro abitato viene cinto da mura difensive merlate che comunicavano con l'esterno attraverso quattro porte: Porta Palermo alla fine dell'attuale via Rossotti, Porta Corleone alla fine dell'attuale via Comm. Navarra, Porta di Gesù posta di fronte la chiesa Santa Maria di Gesù attigua al convento dei Francescani, e Porta Trapani posta all'inizio di via Comm. Navarra. 

Nel 1535, in onore dell'imperatore Carlo V di passaggio per Alcamo, di ritorno dalla Tunisia, fu chiusa la vecchia Porta Trapani e ne furono aperte altre quattro: Porta stella, Porta Nuova e le nuove Porta Trapani e Porta Palermo poste all'ingresso e alla fine dell'attuale corso VI Aprile che venne chiamato Corso Imperiale. 

Nel XVI secolo Alcamo ebbe alcune scuole e dei dotti insegnanti, tra cui il poeta ed erudito Sebastiano Bagolino (1562-1604). In questo periodo avvenne anche l'apparizione della Madonna ad alcune popolane e il ritrovamento dell'immagine della Madonna, poi venerata col titolo di Madonna dei Miracoli (1547). 

Tra il 1574 e il 1575, mentre fiorivano l'architettura e la scultura, la popolazione alcamese venne decimata dalla peste. In quel periodo i cadaveri degli appestati furono sepolti nel cimitero di S. Ippolito. Anche il XVII secolo per Alcamo fu contrassegnato da pestilenze e moti popolari. 

Dal 1614 al 1618 Alcamo fu venduta per 2000 scudi da Vittoria Colonna, Contessa di Modica, a Pietro Balsamo, principe di Roccafiorita. Alcamo, dopo le epidemie, conobbe un notevole ripopolamento solo nel XVIII secolo, nel 1798 la popolazione era già di 13.000 abitanti. Quello fu un periodo d'oro anche per le arti, con la costruzione della Chiesa Madre, su progetto degli architetti Angelo Italia e Giuseppe Diamante, il cui interno fu decorato anche con 38 splendidi affreschi del pittore fiammingo Guglielmo Borremans (1699). Di quel periodo furono anche la ristrutturazione della chiesa di S. Oliva, la ricostruzione della chiesa di SS. Paolo e Bartolomeo, il completamento della monumentale chiesa del Collegio e della chiesa di S. Francesco di Paola. 

Nel 1667 Mariano Ballo fece anche costruire un teatro, il teatro Ferrigno, in seguito ribattezzato cine-teatro Euro, e dopo i recenti restauri, teatro Cielo d'Alcamo. Nel 1802 Alcamo diventò demanio regio e del parlamento siciliano fecero parte, in rappresentanza di Alcamo, gli arcipreti Stefano Triolo Galifi e Giuseppe Virgilio e il barone Felice Pastore. 

Nel 1820 una rivolta diede luogo ad assassini e saccheggi, alla liberazione di delinquenti dal carcere e all'incendio degli archivi comunali. Nel 1829 un'epidemia di colera decimò buona parte della popolazione. Nel 1843 venne iniziata la costruzione dell'attuale palazzo comunale, su un terreno che apparteneva al barone Felice Pastore. Diversi alcamesi, tra cui molti sacerdoti furono protagonisti durante il Risorgimento italiano. 

Il 1812, il 1820, il 1848 e il 1860 sono gli anni nei quali Alcamo, insieme alle altre città siciliane più patriottiche, porta avanti gli ideali dell'Italia unita, guidata dalle famiglie Romano, Fazio e Triolo di Sant'Anna. Stefano e Giuseppe Triolo il 6 aprile 1860 fanno sventolare la bandiera tricolore sul palazzo del Comune, costituendo delle squadre di volontari che si recheranno in aiuto a Garibaldi nella battaglia di Calatafimi il quale poi emanerà ad Alcamo alcuni decreti dittatoriali per conto di Vittorio Emanuele II. Sarà Francesco Crispi, poco tempo dopo, a preparare la costituzione per le terre liberate. In occasione della festa della Patrona, nel 1897, venne inaugurata l'illuminazione pubblica. Tra le figure cittadine più importanti di questo periodo ricordiamo il sacerdote Giuseppe Rizzo, fondatore della Cassa Rurale e Artigiana. 

Negli anni successivi, durante la Prima guerra mondiale morirono quattrocento cittadini alcamesi, e il periodo seguente fu caratterizzato da miserie e stenti a causa dell'inflazione monetaria e del brigantaggio. Nel 1918 l'epidemia influenzale chiamata "spagnola" causò la morte di circa cinquecento persone. Col Fascismo, i cittadini chiesero allo stato che Alcamo venisse elevata a capoluogo di provincia, ma la loro richiesta venne rigettata. 

Nel 1935 il cimitero S. Ippolito fu trasformato in campo sportivo (l'attuale campo Don Rizzo). Durante il secondo conflitto mondiale gli alcamesi morti o dispersi in battaglia furono 213. Il 21 luglio 1943 gli Americani entrarono ad Alcamo senza incontrare resistenza. Il 18 dicembre 1944 il disagio economico e sociale portò la popolazione ad insorgere occupando il palazzo Comunale e incendiandone gli archivi. Economia Negli ultimi decenni alle attività economiche alcamesi più tradizionali, l'agricoltura e l'artigianato, si sono affiancate numerose attività commerciali, industriali e orientate all'offerta di servizi. Alcamo oggi conserva il suo ruolo di crocevia commerciale tra Palermo e la provincia di Trapani. 

Il clima è temperato e la posizione centrale rispetto al Golfo di Castellammare regala dei panorami caratterizzati da vasti orizzonti. Dalla cima del Monte Bonifato nelle giornate più terse è possibile scorgere le propaggini più occidentali delle Madonie a est, le isole di Ustica a nord e di Marettimo ad ovest, i monti Sicani verso sud-est e ammirare la vasta campagna circostante. Il territorio comprende anche la località balneare di Alcamo Marina, che si estende con la sua spiaggia per alcuni chilometri, dal territorio del comune di Castellammare del Golfo fino all'antico fortilizio arabo del castello di Calatubo.

Castello dei Conti di Modica

Sull'ampia Piazza della Repubblica, caratterizzata dai lussureggianti e curatissimi giardini, prospetta il magnifico castello di Alcamo, conosciuto anche come Castello dei Conti di Modica. E' accertato dai documenti storici che il Castello fu costruito intorno al 1350 sotto i feudatari Enrico e Federico Chiaramonte, successori del Peralta nella signoria di Alcamo. Sorge, quindi, il castello in pieno feudalesimo, quando i baroni sono in lotta tra di loro per la carenza del potere regio e non solo. Le potenti famiglie siciliane, infatti, si contendono anche il controllo del frumento e delle grandi vie del trasporto granario, essendo sempre stata la Sicilia, per sua vocazione, una grande "azienda" agricola specializzata nella granocoltura.

Alcamo, per la sua privilegiata posizione geografica, veniva ad essere lo scalo marittimo naturale per tutto il commercio di quel grano che si produceva alle spalle della terra alcamese e così, in epoca normanna, entra a far parte di un grande feudo del quale sono investite le famiglie dei Peralta, dei Chiaramonte, dei Ventimiglia e dei Cabrera, conti di Modica. Da qui l'esigenza di costruire un castello, che insieme al Castello di Salemi e a quello di Calatafimi, costituì un triangolo fortificato contro le invasioni provenienti da Mazara e dirette verso Palermo.

La necessità di costruire un castello prima non era stata avvertita, essendo Alcamo un semplice “casale", cosi come viene definita almeno fino al 1317. Il "casale" di Alcamo allora sorgeva nel borgo di S. Vito. Dovranno passare decenni prima che l'abitato possa allargarsi anche per il ritorno degli alcamesi dal Bonifato, luogo dove Alcamo sorge come casale arabo. Una volta che gli abitanti formavano un nucleo consistente e dal momento che strategicamente la terra di Alcamo si prestava per la difesa, i Chiaramonte, potenti feudatari, sentirono il bisogno di crearsi il castello come fortezza-difesa, oltre che come lussuosa dimora. Per questo i castelli, pur variando nella forma esterna, avevano sempre un denominatore comune: apparire minacciosi, inaccessibili, ostili, ma all'interno rimanere un luogo di tranquillità e di sicurezza.

Nel 1400 erano addetti alla custodia del Castello, oltre al Castellano, dodici onorati compagni, impegnati con giuramento. Il Castello era allora di tale capacità che, rifornito di munizioni e di viveri, poteva sostenere per un mese e mezzo ben trenta compagnie di soldati. Inizialmente gli alcamesi videro nel Castello chiaramontano il baluardo della loro difesa e il simbolo di accresciuto prestigio, ma ben presto si accorsero che esso rappresentava anche il simbolo della loro perduta libertà. Per cinque secoli, infatti, quasi ininterrottamente, sperimentarono la prepotenza dei vari possessori del Castello.

Per questo nel tempo, il Castello fu spesso assalito anche dagli stessi alcamesi per protestare contro gli esosi signori (per es. nel 1392, capeggiati dall'arciprete Pietro De Laudes, gli alcamesi insorsero contro Enrico Ventimiglia e nel 1402 contro Donna Violante De Prades, signora di Alcamo).

Nel 1802 morì, senza lasciare eredi, Maria Teresa de Sylva, ultima contessa di Modica, e Alcamo passò sotto la sovranità dei Borboni. Nel 1816, il Castello, per debiti privati, fu venduto all'incanto e passò agli Stuart.

Nel 1828, per una sentenza del Tribunale Civile di Trapani, ne venne in possesso il Comune di Alcamo. Pur rimanendo maestoso per la sua mole architettonica, il Castello nel tempo apparì sempre più grigio, come le sue pietre, per via degli usi impropri a cui fu sottoposto e in seguito sembrò ancora più triste, essendo divenuto dimora esclusiva dei carcerati.

Il Castello è di forma romboidale, con cortile interno, con quattro torri alternate, due rotonde e due quadrate, riunite da cortine merlate come le torri. Le quattro torri avevano nomi e scopi particolari: la "Maestra", quadrata, nella quale vi si rinchiudevano i prigionieri per la tortura; la seconda, circolare, dove si ammira uno stemma forse appartenuto a Federico Il o ai Peralta; nella terza era il locale per le sentinelle o vigili, nella quarta si trovano comodi appartamenti che servivano per alloggiare ospiti di riguardo, viceré, vescovi e sovrani di passaggio, tra i quali spicca il nome dell'imperatore Carlo V. La visita di Carlo V, reduce vittorioso con il suo esercito da Tunisi, fu evento storico per la città di Alcamo, che allora contava circa 8.000 abitanti.

L'imperatore entrò in Alcamo il 1 settembre 1535 e si fermò 2 giorni presso il Castello dei Conti di Modica. Carlo V definì Alcamo "città opulenta e gioconda". Erano allora signori di Alcamo Don Luigi I Enriquez de Aragona e Donna Anna Il Caprera Moncada (sotto questi conti, Alcamo quasi non sente il peso dei feudatari, essendo essi molto pii e generosissimi). Il loro ritratto rimane in un dipinto esistente nella Chiesa di S. Maria di Gesù dei Frati Minori. Il ritratto, attribuito al palermitano Pietro Ruzzolone, mostra seduta in trono la Vergine col Bambino tra i due fondatori di ordini Religiosi, S. Francesco d'Assisi e S. Benedetto da Norcia; in ginocchio dal lato di S. Francesco vi é il conte Luigi con alcuni/cavalieri in un lussuoso mantello rosso; dall'altro lato si trova Anna Caprera con un gruppo di nobildonne, anch'ella inginocchiata a mani giunte in principesca veste di colore verde.

All'esterno del Castello si possono ammirare bifore e trifore di stile gotico. Il prospetto Nord fu ingentilito da due finestre ad arco acuto con rosone sormontate da un grande arco ogivale. Nel prospetto principale fu aperta una finestra bifora con colonnina marmorea bianca. La facciata Ovest risulta essere inglobata in corpi edilizi residenziali. Tutti gli ambienti interni, nel tempo, sono stati manomessi per via degli usi diversi a cui il Castello è stato adibito: carcere, stalla, uffici comunali. Il pavimento è in pietra, in graniglia di marmo e in battuto di cemento.

Dopo i precedenti restauri (1583, 1594, 1589, 1870), il castello è stato ampiamente restaurato nel decennio 2000-2010 (architetti: Paolo Marconi, Gaetano Cataldo e Giuseppe Saporito) ed oggi il castello è sede museale, vanto della comunità locale. All'interno del castello infatti trovano sede il Museo Etnografico e l’Enoteca Storica Regionale, che permettono definitivamente, alle vecchie e nuove generazioni, di riappropriarsi e di godere di un magnifico bene castellano.

La posizione dominante rispetto all'impianto urbano caratterizzerà la sua funzione di controllo nei secoli successivi, mentre la consistenza volumetrica dell'edificio costituiva, prima dell'assetto urbanistico, la matrice del sistema difensivo che si attuò in vari tempi. La posizione orografica del sedime sul quale il castello è impiantato, pur essendo favorevole alla fortificazione, non avrebbe però impedito ad un eventuale attaccante di farvi accostare le macchine d'assedio, per quei tempi assai micidiali. Ecco perché ci si orientò a realizzare muri di cinta dello spessore assai grande.

La destinazione di castello-fortezza e non di castello-residenza rispetto alla città murata pianificata fece sì che il suo ruolo cessasse definitivamente quando l'espansione fuori le mura cominciò a rappresentare un fenomeno incontrollabile. Una porta della città si apriva presso il suo fianco Est. Scomparsa la cinta urbana il castello si trova, oggi, all'interno dell'abitato.

Il castello, frutto di diversi maneggiamenti, è di forma romboidale, con quattro torri alternate, due quadrate negli angoli dei perimetri murarii delle cinte e due circolari di buon diametro e altezza, unite da larghe cortine. Per tutto il Trecento le torri a pianta quadrata erano state le più frequentemente realizzate. Ma verso la fine di questo secolo si torna ad apprezzare i vantaggi del torrione cilindrico che era stato già utilizzato dall'architettura difensiva regia nel Duecento. Il suo principale vantaggio risiedeva nella maggiore resistenza al lancio dei proiettili di pietra da parte delle macchine balistiche.

Nella torre quadrata, denominata Maestra perché più alta delle altre tre, si rinchiudevano i prigionieri per la tortura, nella seconda circolare si ammira uno stemma con un'aquila con una corona sul capo e la testa rivolta a sinistra forse appartenuto a Federico II o ai Peralta, nella terza quadrata vi erano i locali per le sentinelle (alla sua custodia erano addetti il castellano e dodici compagni impegnati con giuramento) e nella quarta gli alloggi per i sovrani di passaggio: re Martino con la regina Maria nel 1392 dopo la sconfitta dei Chiaramonte, l'infante Eleonora d'Aragona e l'imperatore Carlo V con la sua corte al ritorno dall'impresa di Tunisi del 1535.

Ai lati Nord, Est e Sud del perimetro si addossano dei corpi di fabbrica con numerosi ambienti disposti su due livelli ed una cappella. All'interno dell'edificio si apre un cortile oblungo di forma pressocché rettangolare. L'ingresso del castello si apre sul lato Est; sul prospetto Sud, quello che è volto verso la parte più antica di Alcamo, si aprono delle eleganti bifore incorniciate da ghiere intagliate. Le mura esterne sono state abbattute durante il restauro che è stato recentemente completato e che dovrebbe adibire il castello a museo etnografico.

Sul monte Bonifato sussistono ancora le mura di un castello, forse mai ultimato oppure, distrutto il versante Sud-Est, questo venne chiuso con un muro provvisorio diagonale. L'impianto originario, che rimanda alla planimetria dei castra bizantini, è di forma rettangolare con torri quadrilatere agli angoli. Le mura assai spesse racchiudono una superficie assai vasta. Nel lato Nord, al centro, sporge in aggetto dal muro una torretta quadrata. Gli ambienti delle torri hanno copertura a botte. Nell'ala di Sud-Ovest sono evidenti tracce di abitazione e di una cappella. Con la costruzione del castello di Alcamo la funzione difensiva di Bonifato decadde e questo edificio venne abbandonato progressivamente al degrado.

Castello dei Ventimiglia

Il castello dei Ventimiglia (o castello di Bonifato) è un antico castello a quattro torri fatto edificare alla fine del XIV secolo dalla famiglia dei Ventimiglia sulla cima del Monte Bonifato (all'interno della Riserva naturale Bosco di Alcamo).

Enrico Ventimiglia, conte di Alcamo, figlio di Guarnieri Ventimiglia al quale succedette, dichiarò di avere fatto erigere il castello sul monte Bonifato come protezione da eventuali attacchi. Secondo diverse interpretazioni, il castello risalirebbe invece ad un'epoca anteriore.

Il castello fu distrutto nel 1243 per ordine di Federico II di Svevia, per essere riedificato prima del 1391 a proprie spese dalla famiglia Ventimiglia. È documentato però che nel 1340 il castello di Bonifato fu assegnato da Federico III di Sicilia al conte di Caltabellotta Raimondo Peralta.

Nel 1779 le rovine del castello vennero inserite nel Plano di conservazione dei Beni Culturali della Sicilia da Gabriele Lancillotto Castello, principe di Torremuzza.

In epoca moderna, le rovine del castello sono state ulteriormente deturpate dall'installazione di un'antenna radiotelevisiva, che è stata posizionata al centro delle mura del castello, modificando profondamente l'aspetto della zona.  

Il castello in origine presentava quattro torri ed una pianta a forma di trapezio rettangolo. L'unica torre rimasta è il mastio o Torre maestram (chiamata impropriamente "torre saracena"), che in origine era alta tre piani e vi si accedeva tramite una scala mobile in legno al primo piano. Tale torre è posizionata a nord-ovest e presentava pianta rettangolare e mura spesse 2,2 m. Essa era la torre più importante del castello, in quanto grazie alla sua imponenza e posizione svolgeva la funzione di punto di avvistamento strategico, in modo da controllare la strada che conduce al castello, fino alla porta di ingresso, che era collocata sul lato a sud-ovest.

Al suo interno, la torre maestra comprendeva quattro piani:

al piano terra si trovava la cisterna per la raccolta delle acque piovane e le prigioni;

al primo piano si trovano due stanze con soffitto a volta, di cui una dotata di camino;

al secondo piano si trovavano altre due stanze con soffitto in legno;

al terzo piano si trovava una stanza in cui venivano accesi fuochi per le segnalazioni; il soffitto era probabilmente in pietra.

Si racconta che anticamente il castello dei Ventimiglia aveva anche un tunnel sotterraneo che portava fino a quello di Calatubo.

Castello di Calatubo

Il sito, che presenta frequentazioni antichissime, con resti di un insediamento elimo e di una necropoli, ha subito nel corso dei secoli diversi rimaneggiamenti.

Le origini del castello risalgono a prima del 1093, anno in cui il conte Ruggero definì i confini della diocesi di Mazara del Vallo, includendovi "Calatubo con tutte le sue dipendenze".

Anticamente, attorno al castello sorgeva il villaggio di Calatubo, che fondava il proprio commercio sull'esportazione di cereali e di pietra da mulino (ad acqua e a vento, questi ultimi detti "mulini persiani"), estratta dalle cave attorno al torrente Finocchio, come menzionato dal geografo arabo al-Idrisi nel Libro di Re Ruggero, scritto nel 1154.

A partire dal Medioevo, a causa della sua visibilità, il castello di Calatubo ebbe un importante ruolo strategico: infatti esso faceva parte di una linea di torri e forti situati lungo la costa che va da Palermo a Trapani; tale linea difensiva veniva utilizzata per trasmettere segnali luminosi in caso di attacco dei nemici saraceni. In particolare, il castello di Calatubo garantiva il flusso di informazioni che avvenivano tra gli avamposti di Carini, Partinico e Castellammare del Golfo. Nel 1338 fu assegnato a Raimondo Peralta, conte di Caltabellotta.

Il villaggio di Calatubo fu abbandonato in seguito alla conquista da parte di Federico II e il castello perse la sua funzione originaria di fortezza militare, trasformandosi in un baglio. Durante tale periodo, al castello si aggiunsero magazzini, stalle e altre strutture utilizzate per l'amministrazione agricola del feudo di Calatubo.

Alla fine del XIX secolo in corrispondenza del secondo cortile furono poi allestiti magazzini per la produzione del vino "Calatubo".

Il castello rimase in buone condizioni fino al 1968, anno del terremoto del Belice. A peggiorare l'azione distruttrice del terremoto fu l'utilizzo della struttura come ovile e gli scavi di frodo, che avevano come obiettivo i reperti della necropoli del VII secolo a.C. attinente al castello. Inoltre nel luglio 2013 il castello è stato colpito da un incendio che oltre ad annerirne le pareti interne ed esterne ha verosimilmente arrecato ulteriori danni alla struttura.

Nel 2007 il Comune di Alcamo ha acquistato il castello per 60 mila euro dalla famiglia Papè di Valdina. Nel corso degli ultimi anni (2003-2014) è stato segnalato più volte nell'ambito dell'iniziativa "I Luoghi del Cuore" promossa dal Fondo Ambiente Italiano (FAI), che ha come obiettivo la protezione e la valorizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico italiano, posizionandosi al terzo posto (dunque tra i vincitori dei fondi da parte del FAI) nella classifica del 2014-2015. In seguito a tale risultato, è stato creato un percorso da alcuni volontari dell'associazione "Salviamo il Castello di Calatubo" ed è stato possibile visitarlo per tre giorni tra il 20 e il 22 marzo 2015, ricevendo circa 5.000 visite.

L'11 e il 12 giugno 2016, sempre grazie all'intervento dei volontari dell'associazione "Salviamo il Castello di Calatubo", il castello di Calatubo è stato di nuovo aperto al pubblico durante un evento culturale all'interno del quale sono state raccontate le antiche storie del castello da Sara Cappello, una cantastorie di musica popolare siciliana, che in tale occasione ha recitato "U cunto di lu castellu di Calatubo".

Nel marzo 2017, è stato stipulato un accordo tra il comune di Alcamo e l'associazione "Salviamo il Castello di Calatubo" al fine di salvaguardare e tutelare il castello di Calatubo, la rocca dove sorge, le sue grotte, la zona archeologica circostante e la vicina Cuba delle rose.

Il castello di Calatubo è un complesso architettonico che si sviluppa prevalentemente in direzione est-ovest, costituito principalmente dalla struttura del castello originario, che ha subito diverse modifiche per adattarsi nel corso dei secoli alla sua destinazione d'uso. Tale complesso ha le dimensioni di circa 150×35 metri e sorge su una roccia di natura calcarea che si trova ad un'altezza di circa 152 m sopra il livello del mare, dominando con la sua altezza il territorio circostante. Da tale posizione sono visibili in particolare il Monte Bonifato e il Golfo di Castellammare.

Il castello è inaccessibile su tre lati a causa delle pareti scoscese della roccia sulla quale è costruito. L'unico accesso percorribile è situato a occidente, dove si raggiunge la prima linea difensiva del castello attraverso una rampa gradonata. Dalla prima linea difensiva, che comprende tra l'altro un pozzo, una chiesa ad aula e altri locali, si arriva ad un cortile che comunica con la seconda cerchia muraria attraverso un portale, fino ad arrivare alla terza cerchia muraria, che comprende una torre oblunga, arrivando infine al nucleo principale del castello, che è una struttura a pianta rettangolare delle dimensioni di 7×21,50 m, posizionata sulla parte meridionale della rocca.

Torre Calandrino

La torre Calandrino (o campanile della Chiesa del Soccorso o torre Rocca) è situata nel centro storico di Alcamo.

Non si trovano riferimenti storici che indichino un periodo sull'origine di questo edificio antecedente al 1519, anche se secondo alcuni risalirebbe addirittura alla dominazione araba in Sicilia, diventando così il più antico edificio esistente nel centro storico di Alcamo, antecedente anche al Castello dei Conti di Modica (1350), di cui si ipotizza fosse in origine una torre di guardia, per essere adattata a campanile.

Forma e struttura di questa costruzione (distacco dalla chiesa, cisterna e altre caratteristiche all’interno di essa) potrebbero anche fare ritenere che fosse esistente prima del 1519-1520 e in seguito ricostruita.

Essa avrebbe così funzionato sia da torre di guardia che da campanile; infatti, venne acquistata dalla Diocesi di Trapani nei primi anni del 1400; la chiesa di Santa Maria del Soccorso ne ha usufruito dopo che la chiesa madre, che l'aveva utilizzata come campanile, ebbe costruito il proprio.

Vi erano allora due campane: una più grande sul lato ovest ed una più piccola sul lato nord, smontata intorno al 1950 per motivi di sicurezza; rimase abbandonata a se stessa fino alla metà del 1800, quando una parte venne ceduta ad altri cittadini privati.

In origine vi erano due campanili: uno all'inizio di via Don Rizzo (ex via Teatro), che andò distrutto completamente durante la prima guerra mondiale, e l'altro campanile, il "torrione di controllo" che esiste ancora oggi, accessibile anche attraverso l'abitazione privata ad esso adiacente, che è un fabbricato risalente al 1654. Una parte di questo edificio è inserito con un vano con balcone nel torrione di controllo del 1400, accessibile anche attraverso l'abitazione; questo edificio appartenne ai padri Filippini, in quanto era un convento dell'Ordine di San Filippo che nel 1802 vendette l'intero complesso alla famiglia Rocca e Filippi ed anche muri in comune con la chiesa del Soccorso. L'intero edificio si sviluppa lungo la via Don Rizzo e oggi si divide in due parti, di cui una della famiglia Rocca e una della famiglia Filippi. Nel 1968, a causa del terremoto, tali abitazioni subirono gravi danni.

Oggi la torre è di proprietà del sig. Ignazio Calandrino, che pur adattandola alle proprie esigenze, ne ha voluto mantenerne l'originalità.

Pag. 2