A circa 50
km sia da Palermo che da Trapani sorge la cittadina di Alcamo ai piedi del
Monte Bonifato, alto 825 metri, sul quale esisteva fin dal V secolo una
popolazione cristiana sottomessa dai Saraceni i quali in quel periodo (827)
erano in guerra coi Bizantini. Vi sono discordanze tra gli storici riguardo
la data di fondazione che comunque avvenne tra il IX e X secolo. Secondo
alcuni, la città venne fondata nel 828 dal comandante musulmano alKamuk, da
cui poi la località avrebbe preso il nome anche se l'etimologia potrebbe
derivare anche da una parola araba, "Alqamah", che significa
"terra fangosa" intendendo col termine il significato di
"fertile", o da Marzil Alqamah, casale di Alqamah.
Secondo
altre fonti la città fu fondata dagli Arabi nel 972 circa, più di un
secolo dopo lo sbarco a Mazara del Vallo che aveva dato il via alla loro
conquista della Sicilia, ultimata con la caduta di Taormina del 902. Una
torre in rovina e ruderi dell'antico serbatoio d'acqua della Funtanazza sono
oggi le uniche testimonianze arabe di questo paese montano, abbandonato
definitivamente dalla seconda metà del XIV secolo.
Risale al
1154 il primo documento che parla dell'esistenza di Alcamo ed è un passo
del Libro di Ruggero scritto dal geografo berbero Edrisi per ordine del re
normanno al fine di ottenere una raccolta di carte geografiche Edrisi
descrive la posizione di Alcamo ad un miglio arabico e mezzo da Calatubo e
lo definisce mazil (casale o gruppo di case) con terre fertili e un mercato.
Un altro documento del 1185 parla ancora di Alcamo a conferma dell'origine
araba, è un diario di un pellegrino andaluso, Ibn Jubair, che in viaggio da
Palermo a Trapani si fermò ad Alcamo che egli definisce beleda (paese con
moschee e mercato). Durante il periodo medioevale l'attuale centro storico
era abitato da musulmani e diviso nei quattro casali di S. Vito, S.
Leonardo, S. Ippolito e S. Nicolò.
Agli Arabi
succedettero nel 1060 i normanni e poi gli svevi. Una serie di rivolte dei
saraceni tra il 1221 e il 1243 indusse l'imperatore Federico II di Svevia
(1230-1250) a deportare la popolazione araba da Alcamo e i casali divennero
gradualmente cristiani. In quegli anni nasce ad Alcamo il celebre poeta
Ciullo o Cielo d'Alcamo, autore del contrasto Rosa fresca aulentissima,
prima testimonianza tangibile dell'uso dell'italiano volgare per i
componimenti poetici, risalente al XII secolo. Il periodo aragonese segnò
lo sviluppo progressivo del paese e pittura, scultura e architettura ne
testimoniano lo splendore, e in quello stesso periodo alla popolazione
residente sulla terra di Bonifato venne ordinato di scendere a valle
fondendosi con quella dei casali.

La città
passò, con brevissimi periodi di demanialità regia, nelle mani di diversi
feudatari, dapprima i Ventimiglia, di cui rimangono i resti dell'omonimo
castello sulla cima del Monte Bonifato, poi i Conti di Modica, il cui
castello è tutt'oggi presente in ottime condizioni allorché restaurato in
tempi recenti. Il castello risalirebbe al XIV-XV secolo (1350) ad opera
della famiglia Peralta e fu completato successivamente dai feudatari Enrico
e Federico Chiaramonte. Fu in possesso dei Cabrera Conti di Modica fino al
1812, e vi soggiornò nel 1535 l'Imperatore Carlo V. Durante il XIV secolo
Alcamo conta circa tremila abitanti provenienti anche da varie parti della
Sicilia e dell'Italia che negli atti notarili venivano indicati come
habitatores.
Durante il
XV secolo Alcamo era un centro del commercio del frumento della Sicilia
occidentale. Intorno al 1500, Alcamo fu sotto la giurisdizione del capitano
di giustizia Ferdinando Vega, che combatté le incursioni dei pirati turchi
e impose il rispetto della legge con la forza. Il centro abitato viene cinto
da mura difensive merlate che comunicavano con l'esterno attraverso quattro
porte: Porta Palermo alla fine dell'attuale via Rossotti, Porta Corleone
alla fine dell'attuale via Comm. Navarra, Porta di Gesù posta di fronte la
chiesa Santa Maria di Gesù attigua al convento dei Francescani, e Porta
Trapani posta all'inizio di via Comm. Navarra.
Nel 1535,
in onore dell'imperatore Carlo V di passaggio per Alcamo, di ritorno dalla
Tunisia, fu chiusa la vecchia Porta Trapani e ne furono aperte altre
quattro: Porta stella, Porta Nuova e le nuove Porta Trapani e Porta Palermo
poste all'ingresso e alla fine dell'attuale corso VI Aprile che venne
chiamato Corso Imperiale.
Nel XVI
secolo Alcamo ebbe alcune scuole e dei dotti insegnanti, tra cui il poeta ed
erudito Sebastiano Bagolino (1562-1604). In questo periodo avvenne anche
l'apparizione della Madonna ad alcune popolane e il ritrovamento
dell'immagine della Madonna, poi venerata col titolo di Madonna dei Miracoli
(1547).

Tra il 1574
e il 1575, mentre fiorivano l'architettura e la scultura, la popolazione
alcamese venne decimata dalla peste. In quel periodo i cadaveri degli
appestati furono sepolti nel cimitero di S. Ippolito. Anche il XVII secolo
per Alcamo fu contrassegnato da pestilenze e moti popolari.
Dal 1614 al
1618 Alcamo fu venduta per 2000 scudi da Vittoria Colonna, Contessa di
Modica, a Pietro Balsamo, principe di Roccafiorita. Alcamo, dopo le
epidemie, conobbe un notevole ripopolamento solo nel XVIII secolo, nel 1798
la popolazione era già di 13.000 abitanti. Quello fu un periodo d'oro anche
per le arti, con la costruzione della Chiesa Madre, su progetto degli
architetti Angelo Italia e Giuseppe Diamante, il cui interno fu decorato
anche con 38 splendidi affreschi del pittore fiammingo Guglielmo Borremans
(1699). Di quel periodo furono anche la ristrutturazione della chiesa di S.
Oliva, la ricostruzione della chiesa di SS. Paolo e Bartolomeo, il
completamento della monumentale chiesa del Collegio e della chiesa di S.
Francesco di Paola.
Nel 1667
Mariano Ballo fece anche costruire un teatro, il teatro Ferrigno, in seguito
ribattezzato cine-teatro Euro, e dopo i recenti restauri, teatro Cielo
d'Alcamo. Nel 1802 Alcamo diventò demanio regio e del parlamento siciliano
fecero parte, in rappresentanza di Alcamo, gli arcipreti Stefano Triolo
Galifi e Giuseppe Virgilio e il barone Felice Pastore.
Nel 1820
una rivolta diede luogo ad assassini e saccheggi, alla liberazione di
delinquenti dal carcere e all'incendio degli archivi comunali. Nel 1829
un'epidemia di colera decimò buona parte della popolazione. Nel 1843 venne
iniziata la costruzione dell'attuale palazzo comunale, su un terreno che
apparteneva al barone Felice Pastore. Diversi alcamesi, tra cui molti
sacerdoti furono protagonisti durante il Risorgimento italiano.

Il 1812, il
1820, il 1848 e il 1860 sono gli anni nei quali Alcamo, insieme alle altre
città siciliane più patriottiche, porta avanti gli ideali dell'Italia
unita, guidata dalle famiglie Romano, Fazio e Triolo di Sant'Anna. Stefano e
Giuseppe Triolo il 6 aprile 1860 fanno sventolare la bandiera tricolore sul
palazzo del Comune, costituendo delle squadre di volontari che si recheranno
in aiuto a Garibaldi nella battaglia di Calatafimi il quale poi emanerà ad
Alcamo alcuni decreti dittatoriali per conto di Vittorio Emanuele II. Sarà
Francesco Crispi, poco tempo dopo, a preparare la costituzione per le terre
liberate. In occasione della festa della Patrona, nel 1897, venne inaugurata
l'illuminazione pubblica. Tra le figure cittadine più importanti di questo
periodo ricordiamo il sacerdote Giuseppe Rizzo, fondatore della Cassa Rurale
e Artigiana.
Negli anni
successivi, durante la Prima guerra mondiale morirono quattrocento cittadini
alcamesi, e il periodo seguente fu caratterizzato da miserie e stenti a
causa dell'inflazione monetaria e del brigantaggio. Nel 1918 l'epidemia
influenzale chiamata "spagnola" causò la morte di circa
cinquecento persone. Col Fascismo, i cittadini chiesero allo stato che
Alcamo venisse elevata a capoluogo di provincia, ma la loro richiesta venne
rigettata.
Nel 1935 il
cimitero S. Ippolito fu trasformato in campo sportivo (l'attuale campo Don
Rizzo). Durante il secondo conflitto mondiale gli alcamesi morti o dispersi
in battaglia furono 213. Il 21 luglio 1943 gli Americani entrarono ad Alcamo
senza incontrare resistenza. Il 18 dicembre 1944 il disagio economico e
sociale portò la popolazione ad insorgere occupando il palazzo Comunale e
incendiandone gli archivi. Economia Negli ultimi decenni alle attività
economiche alcamesi più tradizionali, l'agricoltura e l'artigianato, si
sono affiancate numerose attività commerciali, industriali e orientate
all'offerta di servizi. Alcamo oggi conserva il suo ruolo di crocevia
commerciale tra Palermo e la provincia di Trapani.
Il clima è
temperato e la posizione centrale rispetto al Golfo di Castellammare regala
dei panorami caratterizzati da vasti orizzonti. Dalla cima del Monte
Bonifato nelle giornate più terse è possibile scorgere le propaggini più
occidentali delle Madonie a est, le isole di Ustica a nord e di Marettimo ad
ovest, i monti Sicani verso sud-est e ammirare la vasta campagna
circostante. Il territorio comprende anche la località balneare di Alcamo
Marina, che si estende con la sua spiaggia per alcuni chilometri, dal
territorio del comune di Castellammare del Golfo fino all'antico fortilizio
arabo del castello di Calatubo.
Castello
dei Conti di Modica
Sull'ampia Piazza
della Repubblica, caratterizzata dai lussureggianti e curatissimi giardini,
prospetta il magnifico castello di Alcamo, conosciuto anche
come Castello dei Conti di Modica. E' accertato dai documenti storici
che il Castello fu costruito intorno al 1350 sotto i
feudatari Enrico e Federico Chiaramonte, successori del
Peralta nella signoria di Alcamo. Sorge, quindi, il castello in pieno
feudalesimo, quando i baroni sono in lotta tra di loro per la carenza del
potere regio e non solo. Le potenti famiglie siciliane, infatti, si
contendono anche il controllo del frumento e delle grandi vie del trasporto
granario, essendo sempre stata la Sicilia, per sua vocazione, una grande
"azienda" agricola specializzata nella granocoltura.
Alcamo, per la sua privilegiata
posizione geografica, veniva ad essere lo scalo marittimo naturale per tutto
il commercio di quel grano che si produceva alle spalle della terra alcamese
e così, in epoca normanna, entra a far parte di un grande feudo del quale
sono investite le famiglie dei Peralta, dei Chiaramonte, dei Ventimiglia e
dei Cabrera, conti di Modica. Da qui l'esigenza di costruire un
castello, che insieme al Castello di Salemi e a quello di Calatafimi,
costituì un triangolo fortificato contro le invasioni provenienti da Mazara
e dirette verso Palermo.
La
necessità di costruire un castello prima non era stata avvertita, essendo
Alcamo un semplice “casale", cosi come viene definita almeno fino
al 1317. Il "casale" di Alcamo allora sorgeva nel borgo di S.
Vito. Dovranno passare decenni prima che l'abitato possa allargarsi anche
per il ritorno degli alcamesi dal Bonifato, luogo dove Alcamo sorge come
casale arabo. Una volta che gli abitanti formavano un nucleo consistente e
dal momento che strategicamente la terra di Alcamo si prestava per la
difesa, i Chiaramonte, potenti feudatari, sentirono il bisogno di
crearsi il castello come fortezza-difesa, oltre che come lussuosa dimora.
Per questo i castelli, pur variando nella forma esterna, avevano sempre un
denominatore comune: apparire minacciosi, inaccessibili, ostili, ma
all'interno rimanere un luogo di tranquillità e di sicurezza.
Nel 1400 erano
addetti alla custodia del Castello, oltre al Castellano, dodici onorati
compagni, impegnati con giuramento. Il Castello era allora di tale capacità
che, rifornito di munizioni e di viveri, poteva sostenere per un mese e
mezzo ben trenta compagnie di soldati. Inizialmente gli alcamesi videro nel
Castello chiaramontano il baluardo della loro difesa e il simbolo di
accresciuto prestigio, ma ben presto si accorsero che esso rappresentava
anche il simbolo della loro perduta libertà. Per cinque secoli, infatti,
quasi ininterrottamente, sperimentarono la prepotenza dei vari possessori
del Castello.
Per
questo nel tempo, il Castello fu spesso assalito anche dagli stessi alcamesi
per protestare contro gli esosi signori (per es. nel 1392, capeggiati
dall'arciprete Pietro De Laudes, gli alcamesi insorsero contro Enrico
Ventimiglia e nel 1402 contro Donna Violante De Prades, signora di Alcamo).

Nel 1802
morì, senza lasciare eredi, Maria Teresa de Sylva, ultima contessa di
Modica, e Alcamo passò sotto la sovranità dei Borboni. Nel 1816, il
Castello, per debiti privati, fu venduto all'incanto e passò agli Stuart.
Nel 1828,
per una sentenza del Tribunale Civile di Trapani, ne venne in possesso il
Comune di Alcamo. Pur rimanendo maestoso per la sua mole architettonica, il
Castello nel tempo apparì sempre più grigio, come le sue pietre, per via
degli usi impropri a cui fu sottoposto e in seguito sembrò ancora più
triste, essendo divenuto dimora esclusiva dei carcerati.
Il
Castello è di forma romboidale, con cortile interno, con quattro torri
alternate, due rotonde e due quadrate, riunite da cortine merlate come le
torri. Le quattro torri avevano nomi e scopi particolari: la
"Maestra", quadrata, nella quale vi si rinchiudevano i
prigionieri per la tortura; la seconda, circolare, dove si ammira uno stemma
forse appartenuto a Federico Il o ai Peralta; nella terza era il locale per
le sentinelle o vigili, nella quarta si trovano comodi appartamenti che
servivano per alloggiare ospiti di riguardo, viceré, vescovi e sovrani di
passaggio, tra i quali spicca il nome dell'imperatore Carlo V. La
visita di Carlo V, reduce vittorioso con il suo esercito da Tunisi, fu
evento storico per la città di Alcamo, che allora contava circa 8.000
abitanti.
L'imperatore
entrò in Alcamo il 1 settembre 1535 e si fermò 2 giorni presso
il Castello dei Conti di Modica. Carlo V definì Alcamo "città
opulenta e gioconda". Erano allora signori di Alcamo Don Luigi I
Enriquez de Aragona e Donna Anna Il Caprera Moncada (sotto questi conti,
Alcamo quasi non sente il peso dei feudatari, essendo essi molto pii e
generosissimi). Il loro ritratto rimane in un dipinto esistente
nella Chiesa di S. Maria di Gesù dei Frati Minori. Il ritratto,
attribuito al palermitano Pietro Ruzzolone, mostra seduta in trono la
Vergine col Bambino tra i due fondatori di ordini Religiosi, S. Francesco
d'Assisi e S. Benedetto da Norcia; in ginocchio dal lato di S. Francesco vi
é il conte Luigi con alcuni/cavalieri in un lussuoso mantello rosso;
dall'altro lato si trova Anna Caprera con un gruppo di nobildonne, anch'ella
inginocchiata a mani giunte in principesca veste di colore verde.
All'esterno
del Castello si possono ammirare bifore e trifore di
stile gotico. Il prospetto Nord fu ingentilito da due finestre ad arco acuto
con rosone sormontate da un grande arco ogivale. Nel
prospetto principale fu aperta una finestra bifora con colonnina marmorea
bianca. La facciata Ovest risulta essere inglobata in corpi edilizi
residenziali. Tutti gli ambienti interni, nel tempo, sono stati manomessi
per via degli usi diversi a cui il Castello è stato adibito: carcere,
stalla, uffici comunali. Il pavimento è in pietra, in graniglia di marmo e
in battuto di cemento.
Dopo i
precedenti restauri (1583, 1594, 1589, 1870), il castello è stato
ampiamente restaurato nel decennio 2000-2010 (architetti: Paolo Marconi,
Gaetano Cataldo e Giuseppe Saporito) ed oggi il castello è sede museale,
vanto della comunità locale. All'interno del castello infatti trovano sede
il Museo Etnografico e l’Enoteca Storica Regionale, che
permettono definitivamente, alle vecchie e nuove generazioni, di
riappropriarsi e di godere di un magnifico bene castellano.

La posizione dominante rispetto all'impianto urbano
caratterizzerà la sua funzione di controllo nei secoli successivi, mentre
la consistenza volumetrica dell'edificio costituiva, prima dell'assetto
urbanistico, la matrice del sistema difensivo che si attuò in vari tempi.
La posizione orografica del sedime sul quale il castello è impiantato, pur
essendo favorevole alla fortificazione, non avrebbe però impedito ad un
eventuale attaccante di farvi accostare le macchine d'assedio, per quei
tempi assai micidiali. Ecco perché ci si orientò a realizzare muri di
cinta dello spessore assai grande.
La
destinazione di castello-fortezza e non di castello-residenza rispetto alla
città murata pianificata fece sì che il suo ruolo cessasse definitivamente
quando l'espansione fuori le mura cominciò a rappresentare un fenomeno
incontrollabile. Una porta della città si apriva presso il suo fianco Est.
Scomparsa la cinta urbana il castello si trova, oggi, all'interno
dell'abitato.
Il
castello, frutto di diversi maneggiamenti, è di forma romboidale, con
quattro torri alternate, due quadrate negli angoli dei perimetri murarii
delle cinte e due circolari di buon diametro e altezza, unite da larghe
cortine. Per tutto il Trecento le torri a pianta quadrata erano state le
più frequentemente realizzate. Ma verso la fine di questo secolo si torna
ad apprezzare i vantaggi del torrione cilindrico che era stato già
utilizzato dall'architettura difensiva regia nel Duecento. Il suo principale
vantaggio risiedeva nella maggiore resistenza al lancio dei proiettili di
pietra da parte delle macchine balistiche.

Nella
torre quadrata, denominata Maestra perché più alta delle altre tre, si
rinchiudevano i prigionieri per la tortura, nella seconda circolare si
ammira uno stemma con un'aquila con una corona sul capo e la testa rivolta a
sinistra forse appartenuto a Federico II o ai Peralta, nella terza quadrata
vi erano i locali per le sentinelle (alla sua custodia erano addetti il
castellano e dodici compagni impegnati con giuramento) e nella quarta gli
alloggi per i sovrani di passaggio: re Martino con la regina Maria nel 1392
dopo la sconfitta dei Chiaramonte, l'infante Eleonora d'Aragona e
l'imperatore Carlo V con la sua corte al ritorno dall'impresa di Tunisi del
1535.
Ai lati
Nord, Est e Sud del perimetro si addossano dei corpi di fabbrica con
numerosi ambienti disposti su due livelli ed una cappella. All'interno
dell'edificio si apre un cortile oblungo di forma pressocché rettangolare.
L'ingresso del castello si apre sul lato Est; sul prospetto Sud, quello che
è volto verso la parte più antica di Alcamo, si aprono delle eleganti
bifore incorniciate da ghiere intagliate. Le mura esterne sono state
abbattute durante il restauro che è stato recentemente completato e che
dovrebbe adibire il castello a museo etnografico.
Sul monte Bonifato sussistono ancora le mura di un castello, forse mai
ultimato oppure, distrutto il versante Sud-Est, questo venne chiuso con un
muro provvisorio diagonale. L'impianto originario, che rimanda alla
planimetria dei castra bizantini, è di forma rettangolare
con torri quadrilatere agli angoli. Le mura assai spesse racchiudono una
superficie assai vasta. Nel lato Nord, al centro, sporge in aggetto dal muro
una torretta quadrata. Gli ambienti delle torri hanno copertura a botte.
Nell'ala di Sud-Ovest sono evidenti tracce di abitazione e di una cappella.
Con la costruzione del castello di Alcamo la funzione difensiva di Bonifato
decadde e questo edificio venne abbandonato progressivamente al degrado.
Castello
dei Ventimiglia
Il castello
dei Ventimiglia (o castello di Bonifato) è un antico castello a
quattro torri fatto
edificare alla fine del XIV secolo dalla famiglia
dei Ventimiglia sulla cima del Monte
Bonifato (all'interno della Riserva
naturale Bosco di Alcamo).
Enrico
Ventimiglia, conte di Alcamo, figlio di Guarnieri
Ventimiglia al quale succedette, dichiarò di avere fatto
erigere il castello sul monte Bonifato come protezione da eventuali
attacchi. Secondo diverse interpretazioni, il castello risalirebbe
invece ad un'epoca anteriore.
Il
castello fu distrutto nel 1243 per ordine di Federico II di Svevia, per
essere riedificato prima del 1391 a proprie spese dalla famiglia
Ventimiglia. È documentato però che nel 1340 il castello di Bonifato fu
assegnato da Federico
III di Sicilia al conte di Caltabellotta Raimondo
Peralta.
Nel
1779 le rovine del castello vennero inserite nel Plano di conservazione
dei Beni Culturali della Sicilia da Gabriele
Lancillotto Castello, principe di Torremuzza.
In
epoca moderna, le rovine del castello sono state ulteriormente deturpate
dall'installazione di un'antenna radiotelevisiva, che è stata posizionata
al centro delle mura del castello, modificando profondamente l'aspetto della
zona.
Il
castello in origine presentava quattro torri ed una pianta a forma di
trapezio rettangolo. L'unica torre rimasta è il mastio o Torre
maestram (chiamata impropriamente "torre saracena"), che in
origine era alta tre piani e vi si accedeva tramite una scala mobile in
legno al primo piano. Tale torre è posizionata a nord-ovest e
presentava pianta rettangolare e mura spesse 2,2 m. Essa era la torre più
importante del castello, in quanto grazie alla sua imponenza e posizione
svolgeva la funzione di punto di avvistamento strategico, in modo da
controllare la strada che conduce al castello, fino alla porta di ingresso, che
era collocata sul lato a sud-ovest.
Al
suo interno, la torre maestra comprendeva quattro piani:
al
piano terra si trovava la cisterna per la raccolta delle acque piovane e le
prigioni;
al
primo piano si trovano due stanze con soffitto a volta, di cui una dotata di
camino;
al
secondo piano si trovavano altre due stanze con soffitto in legno;
al
terzo piano si trovava una stanza in cui venivano accesi fuochi per le
segnalazioni; il soffitto era probabilmente in pietra.
Si
racconta che anticamente il castello dei Ventimiglia aveva anche un tunnel
sotterraneo che portava fino a quello
di Calatubo.
Castello
di Calatubo

Il
sito, che presenta frequentazioni antichissime, con resti di un insediamento elimo e
di una necropoli, ha subito nel corso dei secoli diversi
rimaneggiamenti.
Le
origini del castello risalgono a prima del 1093, anno in cui il conte
Ruggero definì i confini della diocesi di Mazara del Vallo,
includendovi "Calatubo con tutte le sue dipendenze".
Anticamente,
attorno al castello sorgeva il villaggio di Calatubo, che fondava il proprio
commercio sull'esportazione di cereali e di pietra da mulino (ad acqua e a
vento, questi ultimi detti "mulini persiani"), estratta dalle cave
attorno al torrente Finocchio, come menzionato dal geografo arabo al-Idrisi nel Libro
di Re Ruggero, scritto nel 1154.
A
partire dal Medioevo, a causa della sua visibilità, il castello di
Calatubo ebbe un importante ruolo strategico: infatti esso faceva parte di
una linea di torri e forti situati lungo la costa che va da Palermo a Trapani;
tale linea difensiva veniva utilizzata per trasmettere segnali luminosi in
caso di attacco dei nemici saraceni. In particolare, il castello di
Calatubo garantiva il flusso di informazioni che avvenivano tra gli
avamposti di Carini, Partinico e Castellammare del
Golfo. Nel 1338 fu assegnato a Raimondo Peralta, conte di
Caltabellotta.
Il
villaggio di Calatubo fu abbandonato in seguito alla conquista da parte di Federico
II e il castello perse la sua funzione originaria di fortezza militare,
trasformandosi in un baglio. Durante tale periodo, al castello si
aggiunsero magazzini, stalle e altre strutture utilizzate per
l'amministrazione agricola del feudo di Calatubo.
Alla
fine del XIX secolo in corrispondenza del secondo cortile furono poi
allestiti magazzini per la produzione del vino "Calatubo".
Il
castello rimase in buone condizioni fino al 1968, anno del terremoto
del Belice. A peggiorare l'azione distruttrice del terremoto fu l'utilizzo
della struttura come ovile e gli scavi di frodo, che avevano come
obiettivo i reperti della necropoli del VII secolo a.C. attinente
al castello. Inoltre nel luglio 2013 il castello è stato colpito da un
incendio che oltre ad annerirne le pareti interne ed esterne ha
verosimilmente arrecato ulteriori danni alla struttura.
Nel
2007 il Comune di Alcamo ha acquistato il castello per 60 mila euro dalla
famiglia Papè di Valdina. Nel corso degli ultimi anni (2003-2014) è
stato segnalato più volte nell'ambito dell'iniziativa "I Luoghi del
Cuore" promossa dal Fondo Ambiente Italiano (FAI), che ha
come obiettivo la protezione e la valorizzazione del patrimonio artistico e
paesaggistico italiano, posizionandosi al terzo posto (dunque tra i
vincitori dei fondi da parte del FAI) nella classifica del 2014-2015. In
seguito a tale risultato, è stato creato un percorso da alcuni volontari
dell'associazione "Salviamo il Castello di Calatubo" ed è
stato possibile visitarlo per tre giorni tra il 20 e il 22 marzo 2015, ricevendo
circa 5.000 visite.
L'11
e il 12 giugno 2016, sempre grazie all'intervento dei volontari
dell'associazione "Salviamo il Castello di Calatubo", il castello
di Calatubo è stato di nuovo aperto al pubblico durante un evento culturale
all'interno del quale sono state raccontate le antiche storie del castello
da Sara Cappello, una cantastorie di musica popolare siciliana, che in tale
occasione ha recitato "U cunto di lu castellu di Calatubo".
Nel
marzo 2017, è stato stipulato un accordo tra il comune di Alcamo e
l'associazione "Salviamo il Castello di Calatubo" al fine di
salvaguardare e tutelare il castello di Calatubo, la rocca dove sorge, le
sue grotte, la zona archeologica circostante e la vicina Cuba delle
rose.
Il
castello di Calatubo è un complesso architettonico che si
sviluppa prevalentemente in direzione est-ovest, costituito principalmente
dalla struttura del castello originario, che ha subito diverse modifiche per
adattarsi nel corso dei secoli alla sua destinazione d'uso. Tale complesso
ha le dimensioni di circa 150×35 metri e sorge su una roccia di
natura calcarea che si trova ad un'altezza di circa 152 m sopra il
livello del mare, dominando con la sua altezza il territorio
circostante. Da tale posizione sono visibili in particolare il Monte
Bonifato e il Golfo di Castellammare.
Il
castello è inaccessibile su tre lati a causa delle pareti scoscese della
roccia sulla quale è costruito. L'unico accesso percorribile è situato a
occidente, dove si raggiunge la prima linea difensiva del castello
attraverso una rampa gradonata. Dalla prima linea difensiva, che
comprende tra l'altro un pozzo, una chiesa ad aula e altri locali, si arriva
ad un cortile che comunica con la seconda cerchia muraria attraverso un
portale, fino ad arrivare alla terza cerchia muraria, che comprende una
torre oblunga, arrivando infine al nucleo principale del castello, che
è una struttura a pianta rettangolare delle dimensioni di 7×21,50 m,
posizionata sulla parte meridionale della rocca.
Torre
Calandrino
La torre
Calandrino (o campanile della Chiesa del Soccorso o torre
Rocca) è situata nel centro
storico di Alcamo.
Non si
trovano riferimenti storici che indichino un periodo sull'origine di questo
edificio antecedente al 1519, anche se secondo alcuni risalirebbe
addirittura alla dominazione araba in Sicilia, diventando così il più
antico edificio esistente nel centro storico di Alcamo, antecedente anche al Castello
dei Conti di Modica (1350), di cui si ipotizza fosse in origine
una torre di guardia, per essere adattata a campanile.
Forma e
struttura di questa costruzione (distacco dalla chiesa, cisterna e altre
caratteristiche all’interno di essa) potrebbero anche fare ritenere che
fosse esistente prima del 1519-1520 e in seguito ricostruita.
Essa
avrebbe così funzionato sia da torre
di guardia che da campanile; infatti, venne acquistata dalla Diocesi
di Trapani nei primi anni del 1400; la chiesa
di Santa Maria del Soccorso ne ha usufruito dopo che la chiesa
madre, che l'aveva utilizzata come campanile, ebbe costruito il
proprio.
Vi erano
allora due campane: una più grande sul lato ovest ed una più piccola sul
lato nord, smontata intorno al 1950 per motivi di sicurezza;
rimase abbandonata a se stessa fino alla metà del 1800, quando
una parte venne ceduta ad altri cittadini privati.
In origine
vi erano due campanili: uno all'inizio di via Don Rizzo (ex via Teatro), che
andò distrutto completamente durante la prima guerra mondiale, e l'altro
campanile, il "torrione di controllo" che esiste ancora oggi,
accessibile anche attraverso l'abitazione privata ad esso adiacente, che è
un fabbricato risalente al 1654. Una parte di questo edificio è inserito
con un vano con balcone nel torrione di controllo del 1400, accessibile
anche attraverso l'abitazione; questo edificio appartenne ai padri
Filippini, in quanto era un convento dell'Ordine di San Filippo che nel 1802
vendette l'intero complesso alla famiglia Rocca e Filippi ed anche muri in
comune con la chiesa del Soccorso. L'intero edificio si sviluppa lungo la
via Don Rizzo e oggi si divide in due parti, di cui una della famiglia Rocca
e una della famiglia Filippi. Nel 1968, a causa del terremoto, tali
abitazioni subirono gravi danni.
Oggi la
torre è di proprietà del sig. Ignazio Calandrino, che pur adattandola alle
proprie esigenze, ne ha voluto mantenerne l'originalità.
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