- Duomo
La
cattedrale della Natività di Maria Santissima sorge sulla parte elevata
dell'isola di Ortigia, incorporando quello che fu il principale tempio sacro in stile dorico della polis di Syrakousai, dedicato ad Atena (Minerva) e convertito in chiesa con l'avvento del cristianesimo.
Considerata
la chiesa più importante della città di Siracusa, è entrata a far parte
dei beni protetti dall'UNESCO in quanto patrimonio dell'umanità. Il suo stile è all'esterno principalmente barocco e rococò, mentre al suo interno alterna parti risalenti all'epoca siceliota, poiché appartenenti al tempio greco e parti
risalenti all'epoca medievale, costruite dai Normanni e così lasciate fino ai giorni attuali. La sua
struttura interna è composta in diverse navate e cappelle, le quali hanno
uno stile classico e decorato, tipico del barocco anch'esso.
Di
grande significato religioso, custodisce statue, reliquie e spoglie di
santi, martiri e nobili siracusani. I suoi arredi hanno visto il
susseguirsi di artisti provenienti da più parti d'Italia e dall'estero.
Da sempre simbolo della religiosità siracusana, la cattedrale attraversò
le varie fasi storiche e culturali della città.
Il
sito dove sorge il Duomo o Cattedrale di Siracusa lo si può definire
unico nel suo genere, in quanto è stato ininterrottamente il fulcro della
sacralità principale della città di Siracusa. La storia di questo sito
inizia già in tempi pre-greci, quando i siculi vennero a insediarvisi. Poi vi sorse nei suoi pressi un tempio jonico, raro in Italia e in Europa, con somiglianze e analogie allo stile
architettonico orientale. Agli archeologi queste scoperte facevano capire
come quell'area fosse considerata sacra e importante per gli antichi
siracusani. Poi vi arrivò Gelone, il primo tiranno di Siracusa, e vi eresse un tempio dorico, imponente, il più importante della polis, e fu dedicato ad Atena.
Con
l'avvento del cristianesimo il tempio divenne chiesa cristiana e una scritta scolpita nelle sue
pareti all'interno ricorda tutt'oggi a chi la visita l'onere e la
responsabilità che quelle mura ebbero di divenire il luogo che ospitò
"la prima comunità cristiana a nascere in Europa",
ovvero quella siracusana. Oltre ciò la cattedrale di Siracusa divenne la
seconda chiesa dedicata a Cristo dopo quella di Antiochia.
L'imponente
e significativo tempio di Athena era divenuto la prima chiesa cristiana
dell'Occidente.
I
bizantini impressero il loro stile nella nuova struttura
cristiana, i musulmani successivamente, dopo la loro conquista e
distruzione di Siracusa, risparmiarono il Duomo, ma lo mutarono nel luogo
principale del loro culto islamico. La chiesa divenne moschea, subendo dunque le modifiche che richiedeva questo culto religioso.
Con
i normanni la città ritrova il cristianesimo e quindi il
Duomo riprende il suo ruolo principale di chiesa cattolica siracusana. I
normanni ricostruiscono la chiesa e le danno una facciata nel loro stile
architettonico; maestosa e austera viene definita.
Durante
il terribile terremoto del 1693 che rase al suolo diverse città della
Sicilia orientale, compresa gran parte di Siracusa, il Duomo però rimase
in piedi e nonostante la sua facciata normanna venne distrutta, la sua
struttura interna, comprese le colonne del tempio greco, rimasero salve.
L'epoca
tardo-spagnola nella quale avvenne la ricostruzione della
chiesa fece in modo che qui vi rimanessero impressi quello stile barocco
che ancor oggi rimane apertamente visibile e che dà l'esatta percezione
di ciò che fu quel complesso periodo storico siracusano. Durante gli anni
difficili della seconda guerra mondiale la struttura della chiesa resistette ai bombardamenti mentre molte altre
chiese siracusane crollarono sotto la follia della guerra.
Tutta
questa resistenza e il suo rimanere sede sacra principale in tutti i
secoli della storia, hanno fatto di questo Duomo un simbolo per i
siracusani e sicuramente uno dei luoghi più singolari al mondo, in quanto
non vi si trova in altro luogo un edificio che gli assomigli; né per
dimensioni, né per vicissitudini storiche.
Il
Duomo di Siracusa è uno dei pochi esempi ancora visibili di tale
trasformazione. E ciò che veramente rende singolare questo luogo è la
sua concentrazione, in ogni tempo, quale sede principale di religione,
quale luogo sacro permanente per le civiltà che qui vi si susseguirono.
Tempio
di Atena - Il tempio di Atena (o di Minerva), situato nel
punto più alto dell'isola di Ortigia, è senza dubbio uno dei templi, se
non l'unico, che può dirsi vissuto e adoperato dall'epoca
classica fino all'epoca attuale; la gente che vi cammina quotidianamente,
il pavimento lucido che lo circonda, la luce che vi filtra dalle finestre,
le decine di colonne ancora intatte, lo rendono un caso unico nel suo
genere. Sicuramente il tempio siracusano che meglio si è conservato nei
secoli.
Il
tempio era stato preceduto da un luogo di culto risalente all'VIII
secolo a.C., con un altare portato alla
luce negli scavi dell'inizio del XX secolo, e da un primo tempio della metà del VI secolo a.C. Il tempio di Atena, di ordine dorico fu eretto nel V secolo a.C. dal tiranno Gelone in seguito alla vittoria contro i Cartaginesi nella battaglia di Imera. L'Athenaion era esastilo (sei colonne in facciata) periptero (le colonne circondavano la cella su tutti e
quattro i lati), con 14 colonne sui lati lunghi. Secondo Ateneo (scrittore greco antico) il frontone recava il
grande scudo della dea in bronzo dorato. Questo scudo si dice fosse segnale di
riferimento per tutti i naviganti che uscivano o entravano nelle acque di
Siracusa.
Da
Cicerone, che elenca gli ornamenti depredati da Gaio
Licinio Verre, sappiamo che aveva
decorazioni in avorio, borchie d'oro sulla porta e una serie di tavole dipinte che raffiguravano un
combattimento di cavalleria tra Agatocle e i Cartaginesi e 27 ritratti dei tiranni della città.
Molti
dei reperti archeologici ritrovati nel tempio (tegole in marmo, gocciolatoi a forma di testa di leone, l'altare), sono oggi visibili e
custoditi all'interno del Museo archeologico regionale Paolo Orsi di Siracusa. Cicerone lo descrisse ampiamente
quando venne a Siracusa per processare il pretore romano Verre; egli afferma
infatti che il tempio custodiva tra le opere d'arte più preziose che la
città siracusana avesse.
Gelone
per fabbricare la parte alta del tempio aveva importato del pregiato marmo
dalle isole Cicladi, in Grecia, e si era così accostato allo stile classico che stava nascendo nel
continente egeo. Il tempio venne costruito con la roccia bianca calcarea
siracusana e di sopra un sottile strato di stucco. Il sistema di
fondazioni è definito tutt'oggi grandioso in quanto contava
all'origine dei possenti muraglioni su cui gravava la cella e lo
stilobade. Ancor oggi tali fondazioni risultano essere parte del sostegno
del Duomo. La trabeazione mostrava triglifi e metope.
Attualmente
all'esterno, restano visibili, sul fianco sinistro del duomo, alcune
colonne con lo stilobate sul quale esse poggiavano, mentre all'interno
dell'attuale Duomo sono altresì ben visibili 9 colonne del lato destro
del periptero e le due antistanti la cella.
Chiesa - La storia della chiesa siracusana ha origini
apostoliche; in questa città infatti venne a predicare nel 61 l'apostolo Paolo di Tarso (poi divenuto San Paolo.
Gli
Atti poi non dicono cosa fece Paolo in città e questo silenzio ha creato
non poca confusione nelle tesi storiche religiose, ma poiché Paolo era
definito l'apostolo delle genti proprio perché predicava il
vangelo ovunque andasse è quindi improbabile che non abbia predicato
anche a Siracusa nei suoi tre giorni di permanenza. San Giovanni Crisostomo ricordò tale predicazione in due sue omelie.
Altra
antica testimonianza della cristianità a Siracusa è data dalle catacombe; tra le più vaste al mondo, seconde solo a
quelle di Roma. Il primo protovescovo della città si narra fu mandato direttamente
dall'apostolo Pietro, nell'anno 39 da Antiochia, antica capitale della Siria, fu Marciano, poi divenuto San
Marciano, tutt'oggi ricordato proprio
nelle statue esterne del Duomo.
Furono
i bizantini a mutare il più importante tempio pagano di
Siracusa in una basilica paleocristiana, e fu il vescovo Zosimo da Siracusa (poi divenuto San Zosimo), nel 640, a trasferire dalla chiesa di San Giovanni alle catacombe alla neo basilica dell'isola di Ortigia, la sede
della cattedrale siracusana e la dedicò alla “Natività di Maria”.
I
bizantini murarono lo spazio tra le colonne doriche (situazione visibile
ancor oggi), mentre nei muri più interni della antica cella furono aperti
8 archi per lato, in modo da realizzare un edificio a tre navate ciascuna
conclusa da un'abside sul fondo. Furono anche eliminati i muri che dividevano il vano
posteriore ("opistodomo") dalla cella e questa dal pronao.
L'orientamento dell'edificio fu inoltre rovesciato e l'attuale facciata
del Duomo occupa il retro del tempio.
Le
navate laterali vennero munite di soffitto a botte, mentre la navata
centrale ebbe un soffitto di legna e di tegole. Con la conquista araba, nell'878 la chiesa fu saccheggiata di tutti i suoi preziosi e trasformata in moschea.
Il
re normanno Ruggero
I, nel 1093, lo restituì alla Siracusa cristiana e al culto della madre di Dio
ripristinando l'arcivescovado affidato al vescovo Ruggero. In epoca
normanna i muri della navata centrale furono innalzati e vi si aprirono
delle finestre, mentre l'abside fu decorata con mosaici. Tale modifica fu effettuata per sostituire l'antica volta del tempio
crollata nel terremoto del 1100; il crollo determinò lo schiacciamento di molti fedeli presenti nel
Duomo, poiché solo i preti rimasero illesi dall'evento perché posti
vicino all'altare e lontano dal soffitto.
Nuove
decorazioni furono opera del vescovo Riccardo Palmer, che rivestì la
cattedra (trono) e il coro, mentre delle vetrate venivano opposte alle
finestre.
Il
pavimento policromo risale al XV secolo e nel 1518 la navata centrale fu coperta con il soffitto ligneo tuttora conservato.
Nel XVI secolo venne inoltre innalzato il campanile.
Molte
testimonianze scritte parlano della facciata normanna, definendola con
positivi commenti, ma di essa non vi sono state tramandate immagini.
La
torre quadrata era visibile in alcune antiche stampe
di Ortigia, poi scomparso in quelle ottocentesche. Il campanile venne
danneggiato dal terremoto del 1542, in seguito fu totalmente distrutto, insieme alla facciata normanna, dal
terremoto del 1693. Nella ricostruzione successiva all'evento sismico, il campanile non fu
più ricostruito mentre la facciata invece venne rielaborata in maniera
diversa. Il vescovo Tommaso Marini lanciò un bando di concorso per la
realizzazione della nuova facciata al quale parteciparono i migliori
architetti della Sicilia. Alla fine il concorso fu vinto dal trapanese Andrea Palma, allievo dell'architetto Giacomo Amato. I lavori iniziarono nel 1728 e terminarono nel 1753.

Struttura del Duomo
-
L'architetto Andrea Palma si mise all'opera nei primi anni del 1700 e
i suoi maestri scelti di fiducia per il progetto stabilito furono gli
architetti-scultori Giuseppe Ferrara e Giovan Battista Alminara, mentre
l'architetto-pittore siracusano Pompeo Picherali fu testimone e revisore
dei lavori.
La
facciata rappresenta una lavorazione molto complessa in quanto ricca di
decorazioni e per questo essa è considerata l'espressione barocca più
alta che vi sia nell'intera Siracusa.
I
lavori vennero completati in due periodi e per questo essa presenta a
detta di molti due stili ornamentali; lo stile barocco e lo stile rococò, a tale punto che vi è chi la definisce barocca
e chi rococò. Ciò è dovuto al fatto che i lavori architettonici della
sua facciata furono divisi in due tempi, dunque in due periodi diversi; i
primi lavori incominciarono nel 1728 e vennero completati nel 1731. Poi vi fu una pausa di vent'anni e si riprese nel 1751, probabilmente è questo li periodo in cui il tardo-barocco lascia spazio allo stile rococò. La facciata
venne completata nel 1753.
Essa
presenta due ordini orizzontali separati da una trabeazione merlata. Il piano inferiore è formato da sei alte e robuste colonne costruite
in ordine corinzio, di cui le quattro centrale sorreggono un
elaborato timpano spezzato con merlature. Le quattro colonne inquadrano il portale centrale, il più grande. Mentre gli altri due portali, minori, sono
delimitati nella loro parte esterna dalle due colonne laterali; esse
sorreggono nella loro estremità le statue dei due martiri siracusani; San
Marciano e Santa Lucia.
L'ordine
superiore è invece composto da quattro alte e robuste colonne corinzie
che sorreggono il timpano superiore che circonda il frontone triangolare il quale reca al centro una croce
fabbricata in ferro battuto la quale rappresenta il punto più alto della
facciata del Duomo e ai lati di essa vi sono scolpiti due angeli. Il piano
superiore presenta una forma trapezoidale delimitata da due contrafforti a spirale posti nei vertici bassi i quali sono
caratterizzati ai lati da bassorilievi scolpiti a forma di gigli.
Al
centro del piano superiore vi è una nicchia arcuata circondata da due colonne corinzie, di dimensioni minori
rispetto alle grandi colonne principali, che sorreggono un timpano
spezzato che al centro reca un elegante stemma con delle statue di angeli scolpite ai suoi lati. All'interno della
nicchia (o cavità) vi è la statua dell'immacolata, dai siracusani detta "Marònna ro Pilèri"
(Madonna del Piliere, del Pilar).
Lateralmente
la facciata presenta nella parte inferiore sinistra il suo originario
aspetto di tempio di epoca siceliota in quanto sono visibili le possenti
colonne di ordine dorico. Vi si notano le strette finestre aperte in
epoca medievale e il terrazzo è delimitato da ornamenti architettonici posti
in linea dritta e aventi tutti eguale misura e figura arrotondata. In
questo lato vi è una porta secondaria che dà accesso all'interno del
Duomo. La parte laterale superiore invece è data dal campanile, costruito nella stessa epoca settecentesca
della facciata. Esso presenta due grandi arcate (o celle) al cui interno
vi si trovano le campane della chiesa. Infine nel punto più alto di essa
vi sono stati posti due orologi solari per cui privi di lancette.
La
parte laterale destra non è invece visibile in quanto essa è coperta
dall'edificazione del Palazzo Arcivescovile di Siracusa (1854) che affianca totalmente il Duomo ed è spesso considerato visivamente
parte dello stesso.
Infine
la parte posteriore della facciata è stata coperta da successive
costruzioni tipiche dello stretto e labirintoso tessuto urbano ortigiano
che, va ricordato, in epoca medievale rappresentava la sola parte abitata
della città di Siracusa; dunque venne fortificata e densamente abitata,
mostrando ai giorni nostri un particolare sistema urbano.

Il
Duomo di Siracusa presenta diverse statue al suo esterno. Sono opera dello
scultore palermitano Ignazio Marabitti; formatosi a Roma, egli lavorò principalmente a
Palermo, eccetto quando scolpì opere note fuori della sua città come
quelle fatte per la Cattedrale di Siracusa o per il Duomo di Monreale. Fu il più noto scultore siciliano della sua
epoca.
Le
statue principali del Duomo poste al suo esterno sono in totale cinque e
rappresentano cinque martiri legati alla storia della fede siracusana:
La
statua di San Pietro è posta sul lato sinistro del Duomo, nella sua
parte inferiore. Raffigura l'apostolo Pietro, legato alla chiesa siracusana perché fu
egli che mandò a questa città il suo primo vescovo, Marciano, facendola
divenire una delle più antiche chiese cattoliche al mondo.
La
statua di San Paolo è posta sul lato destro del Duomo, nella parte
inferiore. Raffigura Paolo di Tarso, l'apostolo che si fermò tre giorni a
Siracusa mentre era in rotta verso Roma per giungere da Cesare che lo
aveva mandato a chiamare.
La
statua di San
Marciano è posta sul lato sinistro del
piano superiore del Duomo. Raffigura Marciano di Siracusa, il vescovo venuto da Antiochia e mandato dall'apostolo Pietro a diffondere il
vangelo in città, a lui venne affidato il comando della chiesa
siracusana, fu infatti il primo vescovo di Siracusa. Martirizzato durante
l'impero romano, venne dichiarato santo dalla chiesa cattolica e
ortodossa.
La
statua di Santa Lucia è posta sul lato destro del piano superiore del
Duomo. Raffigura Lucia da Siracusa, patrona della città e santa venerata
in tutto il mondo. A lei i siracusano sono molto devoti per questo motivo
la cattedrale le è stata dedicata (insieme alla dedica per la Natività
di Maria) venendo chiamata anche "Cattedrale di Santa Lucia".
La
statua dell'Immacolata è posta al centro del piano superiore del
Duomo. Raffigura l'Immacolata, ovvero la Madonna, ed è legata alla chiesa
siracusana in quanto il culto mariano è stato sempre predicato a Siracusa
e inoltre il Duomo venne per la prima volta dedicato dai bizantini alla
"Natività di Maria", che si collega dunque all'Immacolata. La
statua di Maria viene chiamata dai siracusani anche "A Madonna ro
Pilieri" ("La Madonna del Piliere").
Un
sagrato composto da spessi scalini di marmo delimitati da due basamenti
quadrangolari sopra cui si trovano le statue che raffigurano gli apostoli
Pietro e Paolo (poste l'una a sinistra e l'altra a destra) aprono la via
d'accesso al Duomo di Siracusa e ai suoi tre portali.
I
tre portali sono posti rispettivamente al lato sinistro della cattedrale,
al centro e al lato destro della stessa. Quelli laterali presentano
entrambi una forma arcuata e cancellate in ferro battuto. Dei bassorilievi
con motivi floreali li decorano e sopra di essi si trovano dei timpani
triangolari merlati. Al di sopra di questi due portoni laterali si trovano
due finestre arcuate recanti ciascuna un timpano semicircolare merlato.

Il
portone centrale è invece più grande rispetto agli altri due, poiché
esso rappresenta l'ingresso principale all'atrio del Duomo.
Esso
è formato da un grande arco sostenuto da due colonne in stile corinzio e
cinto da un elaborato cancello, notevole per decori e dimensioni, in ferro
battuto. Nella sommità del portale centrale vi si trova un grande fregio
scolpito in bassorilievo raffigurante due angeli scolpiti con la forma di
bambini paffuti (cherubini); al centro di queste decorazioni vi si trova lo
stemma araldico del Vescovo Marini. A circondare il tutto vi è un timpano
semicircolare con forma arcuata che è circondato da motivi floreali
rappresentati da ghirlande e mascheroni grotteschi. Ancor più su vi è
scolpita in pietra una grande aquila che reca al suo petto uno scudo cinto
da corona, che rappresenta la blasonatura settecentesca appartenente al
vescovo Requiesenz (1757).
Al centro
dell'elaborata trabeazione merlata vi è posta un bassorilievo scolpito
con forma di pergamena che recita la seguente frase in latino:
«MEMORIAE
OPTIMORUM ANTISTITUM THOMAE MARINI ET FRANCISCI
TESTAE QUOD PRIMUS TEMPLI FRONTEM HUCUSQUE EXCITAVERIT ALTER
PERFECERIT ET ORNAVERIT COLLEGIUM CANONICORUM POSUIT ANNO MDCCLIV»
|
La
frase vuole commemorare l'iniziativa che ebbero i vescovi Tommaso Marino e
Francis, i quali fecero restaurare la facciata del Duomo rendendola
lavorata e decorata così come oggi la vediamo.
Varcato
il portone d'ingresso ci si ritrova nell'atrio del Duomo. Esso racchiude al suo interno diversi
elementi architettonici interessanti. Anch'esso presenta altri tre portali
che conducono all'interno della cattedrale. Il centrale è sempre quello
più vasto e mostra una elegante fregiatura tutto intorno.
La
porta centrale stavolta è di forma rettangolare e il suo notevole fregio
è composto da motivi floreali e grappoli d'uva. La colonna che ospita
tali bassorilievi è di forma tornita; la sua sagoma la fa sembrare
naturalmente attorcigliata su se stessa. Ve ne sono due di queste eleganti
colonne e sorreggono un mensolone merlato posto sopra i capitelli di stile corinzio appartenenti alle due colonne.
Racchiuso alla sommità del portale vi è un timpano semicircolare. Il
portale è invece in legno; austero, semplice, con al suo interno dei grandi quadrati intagliati,
dando loro forme geometriche.
Gli
altri due portali dell'atrio, anch'essi di forma rettangolare, sono
sormontati da timpano semicircolare aperto, ed entrambi hanno sopra di
essi una finestra arcuata avente un timpano triangolare.
All'interno
dell'atrio (o vestibolo)
sono poste due statue rispettivamente nel lato sinistro e nel lato destro
dell'ambiente. Sono poste nei muri laterali, collocate all'interno di due
nicchie o cavità, sormontate da timpani semicircolari. Le due statue
raffigurano: San
Luigi Bertrando (o anche Ludovico), posto nel
lato destro, e San
Vincenzo Ferreri
posto sul lato sinistro. Furono due Santi appartenenti all'ordine
dei Domenicani, del quale faceva parte anche
l'Arcivescovo Marino.

Interno
-
All'interno del Duomo le sembianze del tempio greco sono altamente
visibili e riconoscibili, infatti il Duomo di Siracusa a differenza di
molte altre eleganti chiese e cattedrali non mostra lisce colonne o fregi
articolati, la sua navata è stata ottenuta aprendo dei varchi nelle
spesse mura dell'antica cella del tempio siceliota, dunque li risultato che oggi vediamo è frutto
di una struttura che sta lì da millenni ed è questo il motivo della sua
austerità e del suo singolare aspetto.
Varcato
il portone centrale dell'atrio si giunge all'interno del Duomo siracusano,
al suo ingresso si possono ammirare due grandi colonne doriche, delle quali rimane visibile il robusto, largo
fusto (i fusti delle colonne doriche siracusane erano spessi ciascuno 2
m.) e i capitelli. Queste due colonne appartenevano all'Opistodomo del tempio (οπισθόδομος) era
la stanza delle offerte sacre agli dei e vi potevano accedere solo i
sacerdoti.
L'interno
non è stato modificato e le sembianze che mostra sono ancora quelle
dell'originaria basilica di epoca normanna. Anche i restauri avvenuti nel 1924-26 sono stati effettuati rispettando e non
cambiando l'originaria forma medievale.
Vicino
all'ingresso si possono vedere due acquasantiere aventi forma di putti,
che sono opera dello scultore siracusano G. Puglisi (scolpite nel 1802).
Il
soffitto della navata centrale risale al 1528, è composto da robuste tavole lignee a travature. Nel restauro del 1645 vi vennero aggiunti gli stemmi delle famiglie nobili siracusane. Sotto
la volta lignea vi è scolpita la frase in latino che riporta la risposta
della lettera di Papa Leone X che nel 1517 riconobbe alla chiesa siracusana li
ruolo di prima chiesa d'occidente e figlia dell'evangelizzazione degli
apostoli (vedere frase latina citata già nel capitolo "storia"
del Duomo).
La
balaustra e il pavimento in marmo levigato sono di fine settecento (mentre
quello della navata centrale risale al 1444); l'intera pavimentazione raffigura elaborate figure geometriche. I lampadari in ferro battuto sono opera dell'artigiano lombardo Alessandro Mazzucotelli (1865-1938). Al centro della navata un grande arco trionfale si apre e mostra un
crocefisso in legno del XX secolo. Sempre al centro vi è una raffigurazione
dell'edificio in epoca normanna. In fondo alla navata centrale vi si trovano due
pulpiti, in stile medievale, costruiti nel 1926 e servivano per svolgere la
loro funzione di rialzo per le orazioni; a sinistra per il vescovo a
destra per il clero.
Il
presbiterio è in stile barocco, è stato progettato dagli architetti siracusani Pompeo Picherali e Luciano Alì.
È composto dal coro (la parte finale di una chiesa), dalla tribuna e dall'altare maggiore, la cui mensa è data dal grande monolite della trabeazione del tempio greco crollato
durante il terremoto del 1693. Secondo le occasioni liturgiche esso può
essere ricoperto o di vesta argentata oppure dorata (nella seconda
fotografia di sinistra qui posta è possibile vedere la mensa ricoperta da
mantello verde e bianco con ricami). Al centro dell'abside, progettato da Pompeo Pichereli e completato da Ignazio
Marabitti, si trova un quadro
seicentesco (olio su tela) raffigurante la "Natività di Maria",
il cui artista si pensa sia o Agostino Scilla o Leburn. Nell'edicola del frontone vi è invece posta la tela di "Cristo Re"
dipinto da Mario Albertella nel 1927. La parte strutturale dell'abside centrale è
formato da quattro colonne in stile corinzio con elaborati stucchi di
colore oro che sorreggono un ciborio barocco con decorazioni, bassorilievi e stucchi policromi.
Dall'estremità
superiore delle quattro colonne si vedono modellate altrettante coppe
decorate con lo stesso colore oro.
La
volta del presbiterio è lignea ed è impreziosita da elementi dorati, la
sua composizione è a cassettoni e termina con tante piccole cupole di
dorma ottagonale. Ai lati vi sorge il coro ligneo scolpito nel 1770 da Corrado Mazza
e rivestito da una cupola progettata da Luciano Alì. All'interno del coro
si possono vedere due grandi tele raffiguranti "S.Pietro nel porto
di Antiochia" e "S.Paolo che predica nelle catacombe",
sono opera del pittore romano Silvio Galimberti che le dipinse nel 1927. Al di sotto delle tele
il coro presenta degli stalli lignei a pareti risalenti al XVII secolo. Dietro al coro si vedono due cantorie in legno,
una delle due serve a sorreggere l'organo del Duomo, recentemente
restaurato e tornato pienamente funzionante dopo quasi 30 anni di
silenzio. Qui vi è la tomba dell'Arcivescovo Giambattista Alagona, morto nel 1802.

Navata
del lato Sinistro - Nella navata di sinistra un tempo vi erano
degli altari barocchi, eliminati poi durante i lavori di restauro del 1912-1915 e del 1924-1927. Al loro posto vennero messe delle statue e
vennero riaperte le finestre bizantine. La navata sinistra è infatti
caratterizzata da statue. Oltre alle imponenti colonne doriche è
possibile vedere una serie di pregiate sculture cinquecentesche poste tra
lo spazio che intercorre tra una colonna e l'altra. Queste sculture sono
opera della famiglia
Gagini.
La
Cappella della Madonna della Neve - La statua della Madonna della Neve
nella cappella della navata sinistra.
Alla
fine della navata sinistra, superate le statue e le robuste colonne
doriche, vi si trova davanti una abside che contiene una cappella di epoca normanna che è stata dedicata alla Madonna
della Neve, perché la statua di questa
Madonna riuscì a rimanere illesa nonostante la furia del terremoto del
1693. Ad ella dunque è stata consacrata la cappella, infatti al suo
interno vi è anche una statua della Madonna della Neve, opera di Antonello Gagini. A questa cappella vi si può accedere anche da
una porta secondaria cinquecentesca tamponata che si trova nel lato
laterale sinistro del Duomo, in via Minerva. Qui vi si trova anche la
tomba dell'Arcivescovo Benedetto Lavecchia. La cappella è stata in parte
ricostruita nel 1910. Il cancello che la cinge è in ferro battuto ed
è stata opera dei fabbri fratelli Paradiso che vi hanno lavorato nel 1928.
La
Navata del lato Destro - Prima cappella: Il Battistero - La navata destra
è composta da diverse cappelle, la prima che si incontra dall'ingresso è
la cappella del Battistero, così chiamata perché al suo interno
custodisce un grande vaso battesimale. Questo vaso (o anfora) è di epoca
greca e fu trovato nelle catacombe siracusane di San Giovanni, poi fu
trasportato nella chiesa di San Giacomo, poi all'interno del Castello Maniace e infine giunse al Duomo. Il vaso battesimale è
posto su dei leoncini di bronzo di periodo normanno.
Resta
comunque il fatto che tale Vaso, anche se vi sono dei dubbi sul periodo
della sua iniziale funzione come fonte battesimale, è pur sempre un
cimelio prezioso poiché di fattura molto antica e ha assunto nei secoli
significato religioso in quanto antico simbolo battesimale. Nella cappella
vi è poi una vetrata artistica che si trova dietro la fonte e
raffigura "il battesimo di Gesù Cristo", opera
dell'artista romano Eugenio Cisterna. Nelle pareti della cappella vi sono posti due
preziosi mosaici anch'essi di epoca normanna, che un tempo decoravano l'abside e la cattedra
episcopale della basilica normanna. Da questa cappella inoltre vi è una
porta dalla quale si accede alle stanze del Palazzo Arcivescovile,
comunicante con il Duomo, presso il quale si trova la stanza dove vi è
l'esposizione del cosiddetto "Museo Luciano", ovvero un
museo dedicato a Santa Lucia, siracusana e patrona di questa città, dove
vi si trovano reliquie appartenute alla Santa (capi vestiari ad esempio),
poi vi sono degli Ex voto donati dai devoti e molte rappresentazioni
pittoriche e fotografiche delle periodiche feste a lei dedicate.
Seconda
cappella: La cappella di Santa Lucia
- La cappella di Santa Lucia è di grande significato per i siracusani,
poiché in essa sono custoditi cimeli e ricordi della propria storia. Tale
cappella fu progettata dall'architetto siracusano Pompeo Picherali, verso
gli anni del settecento. Vi si accede tramite una lavorata inferriata di
ferro battuto costruita dal fabbro, anch'esso siracusano, Pietro
Spagnuolo.
La
forma della cappella è a pianta rettangolare con una cupola sul soffitto.
Gli affreschi che decorano la cupola sono opera del pittore milanese Mario Albertella che vi lavorò nel 1926. Al centro della cappella vi è un altare composto da paliotto d'argento realizzato da Desio Fornò sui disegni
di Mauro Troia (1750-1800). Dietro l'altare vi è posto un quadro olio su
tela raffigurante la Vergine Lucia del XIII sec. di artista ignoto.
Alle
spalle del quadro vi è una nicchia, nella quale vi è posto il prezioso simulacro argenteo di Santa Lucia, opera dello scultore palermitano
Pietro Rizzo (1599-1600), mentre la cassa, anch'essa in argento, su cui
poggia il simulacro, è attribuita a Nibilio Gagini, ed è decorata con bassorilievi che
rappresentano le scene di vita della Santa.
Il simulacro viene tenuto chiuso al sicuro dentro
una custodia formata da due sportelli lignei e davanti ad essi un robusto
cancello in ferro che la protegge, in quanto essa è considerata l'opera
più preziosa del Duomo, e poiché un tempo venne rubata e poi ritrovata,
da allora si sono prese misure più precauzionali. Una foto posta sul lato
destro dell'altare consente di vedere la statua argentea della Santa in
una raffigurazione della festività religiosa ad essa dedicata.
Descrizione
del simulacro d'argento di Santa Lucia
: questo simulacro è stato fabbricato a Palermo dai due argentieri prima
citati. La cassa raffigura sei scene, divisi in pannelli, della vita della
Santa: Lucia da Siracusa si spoglia dei suoi beni e li dona ai poveri;
viene interrogata davanti al pretore romano Pascasio; risulta
immune al supplizio del fuoco; avviene il prodigio dell'immobilità;
prende la comunione; il seppellimento della Santa.
La
statua invece supera un po' le dimensioni dell'altezza naturale e
rappresenta la Santa in movimento nell'atto di avanzare, tranquilla, con
lo sguardo fiero verso il martirio. Le sue vesti hanno motivi floreali, il
braccio destro è teso in avanti e la sua mano tiene un piatto con gli
occhi, simbolo della vista, della luce.
Al
centro del piatto una fiamma scolpita dorata simboleggia la passione. La
sua mano sinistra regge una palma e un giglio (in precedenza vi era anche
un mazzo di rose), simbolo di fede e del martirio. Sulla gola un pugnale
gemmato in lamine d'oro, poiché la Santa venne decapitata, e sulla testa
una corona con otto cuspidi la cui estremità superiore è di forma
lanceolata e in una di esse è incastonata una sardonica con incisa una
porta turrita, l'antico stemma della città di Siracusa. La collana in
smalto e la fibula alla vite sono doni preziosi fatti alla Santa da parte
di cittadini devoti o benestanti. Sulla fibula sono incastonati dei
preziosi ex voto. Il Senato della città donò al simulacro quattro vasi
in argento con fiori e spighe indorate che sono stati posti ai lati della
cassa. Un trofeo argenteo eseguito da Vincenzo Catera nel 1850 è posto
nel lato frontale della cassa; esso fu donato un militare e duca di
Taormina ai militari di Siracusa, come segno di affetto e riconoscenza
verso la Santa.
Ai
lati dell'altare sono poste due statue in marmo bianco raffiguranti sant'Antonio abate e Santa Maria Immacolata, sono attribuite anch'esse a scultori della famiglia Gagini. Sotto
l'altare vi è posta una reliquia appartenente a Santa Lucia. Frontalmente
vi sono delle panche sulle quali i fedeli possono sedere per pregare o
sostare all'interno della cappella luciana.
Nelle
pareti laterali della cappella sono state poste le tombe dell'Arcivescovo
Requiesenz e degli esponenti della famiglia Bonanno - Landolina (nobili ed
ecclesiastici siracusani). Sopra di essi vi sono delle formelle,
medaglioni marmorei con i busti di Santa Lucia (a sinistra) e San'Eutichio
(a destra), opera dello scultore Ignazio Marabitti che le scolpì nel 1711. A destra del pavimento vi è conservato un
cimelio molto particolare, si tratta infatti di una antica bomba da
cannone inesplosa, si narra per miracolo, poiché essa era indirizzata al
comandante austriaco assediato dagli spagnoli; Austria e Spagna
combattevano per ottenere il controllo della città di Siracusa e ad un
certo punto una bomba, quella bomba, finì sulla tavola da pranzo del
comandante austriaco, il quale disperato fece voto a Santa Lucia
promettendo che se la bomba non fosse esplosa egli avrebbe dichiarato
Siracusa libera dagli austriaci. Così avvenne e così cessò la guerra
per la città aretusea. Per questo motivo quel cimelio è conservato
all'interno del Duomo.
Il
pavimento della cappella è in marmo decorato con motivi floreali
policromi, ad opera di Gian Battista Rodolico, lavorazione risalente al 1740.
Terza
cappella: la cappella del Sacramento
- La terza cappella è quella consacrata al "Santissimo
Sacramento", chiamata anche "cappella Torres", viene
definita artisticamente e strutturalmente la più bella del Duomo, per via
dei suoi affreschi sulla cupola e per via delle lavorate decorazioni
architettoniche che la compongono.
Venne
edificata nel 1616 dai fratelli Andrea e Giovanni Vermexio. La sua pianta è ottagonale e la sua
caratteristica principale sono i bassorilievi murali che la circondano,
composti da colonne in stile corinzio ornate da numerose rifiniture
dorate. In stile barocco, il centro della cappella presenta un tabernacolo (o ciborio) in legno dorato a forma di piccolo tempio, opera dell'architetto
pittore napoletano Luigi Vanvitelli, noto per essere stato colui che progettò la Reggia
di Caserta a Napoli. Ai lati dell'altare
vi sono due portali, circondati da elaborate decorazioni scultoree, che
conducono alla Sagrestia del Duomo.
Al
centro dell'altare vi è scolpito un paliotto marmoreo, opera dello scultore fiorentino Filippo Valle che vi lavorò nel 1762 e che raffigura l'Ultima Cena di Gesù. La balaustra marmorea e la decorazione artistica del
pavimento sono opera del palermitano Ignazio Marabitti e del napoletano
Giovan Battista Marino, il contratto dei lavori venne loro fatto
dall'architetto siracusano Pompeo Picherali che, ormai in età avanzata,
ammirava i lavori del giovane Marabitti e affidò loro l'opera nel 1746. Il pavimento della cappella si pensa sia opera degli stessi due
scultori sopra citati, ma ci si affida all'intuizione per l'attribuzione
poiché nessun documento al riguardo è stato trovato, però osservando la
somiglianza e la simile armonia che vi è con la balaustra, si è dunque
dedotta questa teoria.
Nella
cappella, sul lato sinistro, vi è il Sepolcro dell'Arcivescovo Luigi
Bignami, struttura scolpita dallo scultore catanese Sebastiano
Agati. Sempre lateralmente vi è
nella cappella anche una pregiata statua raffigurante la Madonna
del Rosario, opera di artisti ignoti, la
statua è posta su di un piccolo altare, posata su di una cavità la quale
è circondata da due slanciate colonne marmoree in stile corinzio che
danno sul grigio-verde e sopra di esse vi si trova un lavorato timpano con
al centro dei bassorilievi scolpiti. Tre cartaglorie furono opera dell'argentiere romano Giuseppe
Veladier (1791). Gli incensieri e la navetta furono opera dell'argentiere Lorenzo Petronelli
e altri arredi sempre in argento furono invece opera dei fratelli
siracusani Chindemi. Le cancellate in ferro battuto con i simboli
eucaristici che si trovano tra le colonne doriche e l'ingresso della
cappella furono lavorate dal catanese Domenico Ruggeri sui disegni di
Alessandro Campo nel 1807-1811. La cappella viene detta anche
"Torres" poiché fu il vescovo spagnolo di Siracusa, Juan de Torres Osorio, che volle la sua costruzione ed edificazione,
per questo la cappella, oltre che al sacramento al quale è stata
dedicata, porta anche il suo nome.
Come
abbiamo potuto vedere a questa cappella vi lavorarono numerosi artisti e
artigiani provenienti da più luoghi, alcuni dei quali parteciparono anche
alla ricostruzione di Siracusa post-terremoto seicentesco. Tra gli altri
nomi si citano quelli dei capimastri delle Regie Fabbriche, Antonio Greco,
Cosimo Russo e Giuseppe Guido e poi ancora gli scultori maltesi Michele Casanova e Marcello Gaffar.
Affreschi della cappella del Sacramento - La cappella del Sacramento
è nota soprattutto per i suoi affreschi pittorici. La cupola fu infatti dipinta per opera dell'artista messinese Agostino Scilla, il quale vi lasciò qui delle figure che ancor
oggi vengono apprezzate e descritte. La cupola è composta da cinque vani,
ognuno dei quali presenta una scena biblica riguardante l'Antico
Testamento.
Affresco
primo: vi è raffigurato il re David che riceve il pane santificato dal sacerdote Achimelech.
Affresco
secondo: vi è raffigurato un angelo che offre del pane e dell'acqua al
profeta Elia;
Affresco
terzo: vi è raffigurato Daniele nella fossa dei leoni che riceve il pane dal profeta Abacuc indotto da un angelo.
Affresco
quarto: vi sono raffigurati due esploratori israeliti che portano un mazzo di spighe ed un tralcio di
vite con un grosso grappolo d'uva nera.
Affresco
quinto: vi è raffigurato Mosè che assieme ad altri raccoglie la manna piovuta dal ciclo.
Oltre
ciò nel vano centrale della cupola, nella parte inferiore, vi è l'ovale
raffigurante il vescovo Torres, fondatore della cappella del Sacramento.
Quarta
cappella: la cappella del Santissimo Crocifisso
L'ultima
cappella è dedicata al Santissimo Crocifisso ed è situata sul finire
della navata destra. Venne edificata nel 1691 per volere dell'arcivescovo Giuseppe Fortezza. Questa cappella è divisa
dal resto della cattedrale poiché per la sua edificazione vennero
distrutte le ultime tre colonne del pronao del tempio greco e dunque
costituisce nel perimetro una chiesa a sé. Due anni dopo la sua
costruzione avvenne il terribile terremoto che distrusse gran parte della
Sicilia orientale, per cui molte parti della cattedrale vennero
ricostruite tra cui anche la scritta incisa sull'ingresso di questa
cappella.
La
sua pavimentazione con motivi geometrica risale al 1885
ed è caratterizzata da marmo bianco e nero che vanno a formare una figura
di scacchiera. La cappella presenta tre altari che furono consacrati nel
seguente ordine: il maggiore al Santissimo Crocefisso; l'altare di
sinistra a San Marziano e l'altare di destra all’Immacolata.
Nei
due altari laterali sono state aperte due nicchie dedicate una alla Madre
degli Abbandonati e l'altra per l'Addolorata, vi si collocarono le
rispettive statue scolpite nel 1858. Negli anni successivi cambiò poi la consacrazione dei due altari
laterali e dunque vennero consacrati: quello di sinistra a San Zosimo e
quello di destra a San Marziano. Caratterizzati entrambi da due grandi
tele attribuite la prima, quattrocentesca, ad Antonella da Messina e la
seconda alla scuola antonelliana. Sotto la mensa dei due altari vi si
trovano due urne racchiudenti i corpi dei martiri San Benedetto e Santa Vittoria, presi entrambi dalle catacombe
di San Callisto a Roma. Nelle pareti della cappella sono collocate le
lapidi sepolcrali e monumenti funerari del vescovo Ettore Baranzini e
arcivescovo Giacomo Carabelli. Il vescovo Baranzini fu noto alla popolazione
dell'epoca poiché nel periodo della sua guida all'arcidiocesi siracusana,
avvenne la celebre "Lacrimazione della Madonnina" nel 1953. Il suo monumento, scolpito in bronzo dallo scultore rosilinese Biagio Poidomani, raffigura la scena di
quell'evento. Il monumento dell'arcivescovo Carabelli venne invece
scolpito dal siracusano Pasquale Sgandurra.
Al
centro della Cappella, sul pavimento, vi è una lapide che copre un
ossario dentro il quale sono sepolti i vescovi, i preti e i seminaristi
vissuti nei secoli precedenti al 1700. Sempre la medesima cappella contiene anche le reliquie gentilizie di
altri arcivescovi e nobili siracusani.
L'Altare
Maggiore è invece composto da quattro colonne in stile corinzie, divise
due per lato, le quali sorreggono un timpano spezzato che reca al centro
una vetrata artistica. L'elemento che caratterizza l'altare maggiore
è un grande crocifisso bizantino posto al centro, il quale proveniente dalla
Chiesa siracusana di San Giovanni alle Catacombe. La volta in gesso fu
fatta costruire dal vescovo Alagona nel 1778 e presenta affreschi con figure di Santi. In
precedenza nel coro vi erano tredici pannelli, di scuola antonelliana, con
figure di Cristo ed apostoli, che sono poi state rimosse per timore di
furto, oggi vengono dunque custodite. L'altare maggiore della cappella subì
un trasloco, infatti nel 1885 Monsignor Alagona decise di restaurare e
abbellire la cappella del Santissimo Crocifisso e vi tolse l'antico altare
maggiore trasferendolo nella ex cattedrale di San Giovanni fuori le mura,
e lo sostituì con l'altare maggiore che vi era nella cappella dell'antico
Seminario di Chierici.
L'abside
della Cappella mostra affreschi d’Angeli del Paradiso, di firma
ignota. Attraverso un'apertura sulla parete sinistra sull'altare maggiore
si passa nella sagrestia dove sono custoditi 16 stalli lignei del sec.
XVIII per la custodia delle suppellettili sacre.
Dall'ultima
cappella, attraverso un'apertura sulla parete sinistra posta sull'altare
maggiore, si passa nella sagrestia, presso la quale sono custoditi 16 stalli lignei
del XVIII secolo. La stanza è decorata con diversi affreschi
settecenteschi ad opera del pittore Giuseppe
Crestadoro, autore di numerose pitture in
altri luoghi sacri della provincia
siracusana (Palazzolo Acreide, Buscemi, Buccheri, Sortino).
Infine,
dalla sagrestia si ha accesso alle stanze del tesoro del Duomo, o Museo
del Duomo, presso il quale sono conservati oggetti sacri di grande
valore. L'architettura di queste stanze è opera dei fratelli siracusani
Chindemi.
Chiesa
Santa Lucia alla Badia
Ubicata
nel cuore di Ortigia, a pochi passi dal Duomo
di Siracusa, la chiesa di Santa Lucia alla Badia rappresenta,
per la Sicilia, un unicum architettonico, un mix perfetto di culture
e di forme in cui lo stile tardo barocco ben si integra con i
ricordi di età spagnola e la suggestiva pavimentazione in
Non si
conosce la data di fondazione della chiesa e dell’adiacente monastero,
ma le fonti testimoniano l’esistenza del complesso monastico già
nella metà del XV secolo.
La chiesa
ha sempre avuto un posto di rilievo nella vita cittadina, sia per la
sua ubicazione nel cuore di Ortigia, che per il legame con la santa
patrona di Siracusa, i cui simboli iconografici sono scolpiti sulla
straordinaria facciata barocca.
Al suo interno si nasconde un tesoro artistico costituito da opere di
grande valore come il Seppellimento di Santa Luciadel Caravaggio e
due crocifissi lignei del XIV secolo.
Il pavimento
della chiesa è stato interamente restaurato riprendendo
l’originaria decorazione settecentesca, composta da formelle
quadrangolari di maiolica dipinta.
Il luogo
a volte è sede di mostre, un appuntamento importante per ogni turista.

L'edificio si sviluppa verticalmente senza movimenti spaziali importanti,
ad esclusione del balcone in ferro battuto che divide il
prospetto in due ordini.
L’attuale
balcone in ferro battuto non è quello originale, che fu smontato durante
la seconda guerra mondiale per utilizzare il metallo per scopi bellici, ma
proviene da un altro sito ed è stato tagliato ed adattato al prospetto
della chiesa; si veda a conferma che l’asse di simmetria del
balcone non corrisponde con l’asse di simmetria del prospetto.
Il
fastoso portale barocco, affiancato da colonne tortili, è sormontato
da un frontone arcuato dentro il quale sono scolpiti gli emblemi
del martirio di santa Lucia. Questi ultimi si ripetono per ben due volte
sulla facciata, forse per volontà di rendere visibile lo stemma da punti
di vista diversi. Sulle due fasce laterali campeggiano gli stemmi dei
re di Spagna.
La
pianta, costituita da un’unica ampia navata rettangolare, è chiusa dal
presbiterio sormontato da una cupola. La chiesa è divisa in due zone ben
distinte fra loro: la navata e l’abside. La navata è
cadenzata sulle pareti laterali da 12 pilastri sporgenti nei quali si
inseriscono quattro altari barocchi ed è decorata da stucchi; l’abside
è una sala ottagonale, ampia quanto la navata, al centro della quale è
sistemato l’altare.
Nel 1783
la chiesa fu interessata da nuovi interventi di abbellimento e
decorazione della volta, con un grande affresco raffigurante il miracolo
di Santa Lucia del 1646 che si verificò proprio all’interno
della chiesa di Santa Lucia alla Badia di Siracusa: si narra che mentre
una gran folla si era riunita in chiesa per rivolgere preghiere d’aiuto
alla Santa Patrona per scampare alla grave carestia che affliggeva la città,
una colomba si posò sul trono vescovile e in quello stesso momento giunse
la notizia che una nave colma di frumento e legumi avrebbe ceduto il suo
carico in cambio di ospitalità. Da allora, ogni anno, la prima
domenica di Maggio si celebra una festività in ricordo
dell’avvenimento, comunemente chiamata “Santa Lucia delle Quaglie”.
La denominazione ha origine dall’antica usanza delle monache di liberare
in volo, dalla balconata della Badia, colombe e quaglie durante
la festa.
Oggi il
complesso si presenta alterato rispetto all’impianto originario, il più
pesante intervento di demolizione è stato quello eseguito dopo la seconda
guerra mondiale, a causa della quale la struttura appariva già fortemente
danneggiata.
La pavimentazione della navata riprende l’originale barocca,
che venne sostituita nel 1970 in quanto risultava fortemente danneggiata a
causa dell’umidità.

Gli
ultimi tre anni della vita del Caravaggio, dal 1608 al 1610, sono
tragici e convulsi. Il 6 ottobre 1608 il Merisi risulta già fuggito da
Malta e il 6 dicembre 1608 è arrivato a Messina. Durante questo
breve arco temporale fu a Siracusa dove gli fu commissionata la
tela raffigurante Il Seppellimento di Santa Lucia per la Chiesa
di Santa Lucia al Sepolcro di Siracusa: il capolavoro fu realizzato in
poco più di un mese.
In
quest’ opera, che potremmo definire autobiografica, si ritrovano i segni
indelebili della vita tormentata dell’ artista che, cerca di
seppellire insieme al corpo della Santa anche il suo dolore. Il colore
predominante è dato dal fondo della tela che ha la stessa tonalità
della terra nella quale santa Lucia viene sepolta, ed oscilla intorno
alle tonalità del ruggine sul quale la luce radente fa risaltare il lento
scalare delle figure. Un duplice movimento percorre tutta la
composizione: una diagonale che dalla mitra del vescovo a destra
declina verso le figure più basse a sinistra, e un procedere dal
primo piano, su cui emerge la tensione fisica dei due fossori. La figura
della Vergine giace a terra distesa, unico segno orizzontale della
composizione.
Al centro
del quadro, ritto in piedi, quasi a formare la sagoma di una T
capovolta con il corpo della Santa, c’è un giovane dalle cui
spalle pende un mantello rosso: il rosso della passione e del
sangue, unica nota di colore vivace in mezzo al prevalere di
tinte brune.
Le
figure del secondo piano, a differenza di quelle del primo, sono
tormentate. La donna con il volto reclinato sulla mano sinistra
e l’altra donna che nasconde il viso tra le mani: certamente si tratta
della madre Eutichia e della nutrice. Il pastorale del
vescovodenota un ripensamento pittorico del Caravaggio, nella prima
versione la spirale del pastorale era rivolta verso destra, all’esterno
del quadro. Nella versione definitiva invece Caravaggio rivolge la spirare
all’interno, verso le figure, in modo da chiudere la composizione.
Fonte
Aretusa

C'era
una volta, una ninfa di nome Aretusa, molto bella, dai folti capelli neri,
che dedicava la sua vita a Diana, la dea della caccia. Era bella ma
modesta e dava poco valore all'aspetto esteriore. C'era una volta, un
dio di nome Alfeo, giovane, bello, fiero e spavaldo che abitava in un
fiume. Ci sono tutti gli ingredienti della fiaba: la bellezza, la
giovinezza a cui si aggiungerà l'amore.
Aretusa
è una ninfa dell'Elide che in un giorno di calura si immerge nelle acque
del fiume in cui abita Alfeo che se ne innamora e vorrebbe farla sua. Ma
Aretusa fugge spaventata, inseguita dal giovane e quando si vede perduta,
invoca Diana che la tra- sforma in fiume. Anche Alfeo ridiventa fiume e la
insegue. Scorrono nel mar Ionio e riemergono nella costa siracusana là
dove oggi si trova la fonte: Alfeo unisce le sue limpide acque a quelle di
Aretusa in un punto del Porto grande detto "Occhio della
Ziilica".
Questo
mito dei giovani innamorati è raccontato da Ovidio nelle
"Metamorfosi" ma ha ispirato tanti altri poeti antichi, come
Ibico, Pindaro, Teocrito, Virgilio e moderni, come Carducci, D'Annunzio,
Milton, Shelley e Quasimodo che hanno cantato la bellezza di questo amore
simboleggiante il legame dei coloni alla Grecia lontana, il trapasso della
cultura ellenica in Sicilia.

La
fonte si trova nell'estremità occidentale dell'isola di Ortigia e
costituisce il motivo fondamentale per cui i coloni greci si insediarono
in quel sito. Essi conoscevano già l'esistenza della fonte dal vaticinio
dell'oracolo di Delti ad Archia. Pausania, Cicerone e molti storici
siracusani raccontano le vicende della fonte nel tempo.
Presso
la fonte sorgeva la "Porta Aretusa", attraverso la quale, per il
tradimento di Merico, i Romani entrarono in città nel 212 a.C. Essa era
anche chiamata " Saccaria" o "Saccariorum" perché la
città nel 1550 aveva un importante commercio dello zucchero. Vicino alla
fonte sorgeva il baluardo di S. Maria della Porta. La porta venne chiusa
entro le fortificazioni fatte fare da Cario V, e subì le conseguenze di
vari terremoti. Nel 1700 la fonte attraversa un periodo di degrado: molti
viaggiatori italiani e stranieri lamentano che fosse ridotta a un
lavatoio, popolato da donne vociami, e che le acque, un tempo
limpidissime, avessero perduto il loro splendore. Eppure essa continua ad
esercitare un fa- scino particolare e c'è qualcuno che sostiene che porti
fortuna, come appare chiaro dalla lettera inviata nel giugno del 1798 al
Senato siracusano dall'Ammiraglio Nelson, che nelle acque di Aretusa,
immagazzinate durante una sosta delle navi dirette in Egitto, riponeva la
speranza della vittoria.
Nei
primi anni dell'Ottocento, come risulta da vari documenti conservati
nell'Archivio di Stato, sono molte le lamentele da parte di abitanti del
posto che temono un eventuale crollo del costone roccioso e chiedono che
si proceda a lavori di accomodo, ma si lamentano pure le lavandaie che
temono di perdere il lavoro.
Sotto
la sindacatura del barone Borgia, "venne tolto quell'oscuro ridotto
di garrule e disoneste lavandaie, in cui era stato da tempo mutato il
celebre fonte Aretusa, e si die una forma di semicerchio al bacino, ora
adorno delle piante rigogliose del siracusano papiro, popolato di pesci
natii e di uccelli acquatici ed abbellito di sopra di pilastri intagliati
a fregi e di ringhiere".

Le
acque dell'Aretusa, come quelle del Ciane e dell'Anapo, hanno origine
dalla gran massa pluviale assorbita dai monti Iblei. Attraversando terreni
calcarei, spesso fragili e permeabili, le acque si incanalano sotto terra
e ricompaiono in superfice appena incontrano un terreno roccioso poco
permeabile. La fonte Aretusa sgorga a circa 0,65 m sul livello del mare,
essa risente dell'influenza delle stagioni, delle alluvioni e di tutti
quei fenomeni che nel territorio si possono verificare. Durante il
terremoto del 1169, la fonte seccò per qualche giorno; quando le acque
ricomparvero, erano salmastre; nel 1506 scomparvero e diedero vita a molte
altre fonti, nel 1623 crebbero per 3 giorni fuori misura, nel 1793, a
causa di alcune alluvioni, cominciarono a scorrere per 3 giorni torbide
per la terra; nel 1870, essendo piovuto poco per parecchi anni, le acque
dell'Aretusa e di tutte le altre sorgenti e dei pozzi vicini, scomparvero
per ricomparire e scorrere normalmente col ritorno delle piogge.
Le
condizioni della fonte oggi non attirano certo l'ammirazione dei
visitatori, infatti le acque non sono sempre limpide, i ciuffi di papiro a
volte poco rigogliosi, i rampicanti rinsecchiti e le pareti sgretolate; i
cefali nuotano stanchi e sembrano annoiati dei nostri eterni discorsi.
Solo le paparelle, care ai vecchi siracusani che amano "a fumana rè
papiri" continuano a starnazzare tranquille fin quando qualche
teppista di turno non tirerà loro il collo per divertimento!
Su
una parete della fonte una lapide ricorda i versi di Virgilio, un gruppo
bronzeo dello scultore Poidomani, raffigurante Alfeo ed Aretusa è
collocato in uno spazio antistante la vasca. Una nota splendida è
l'albero piantato nel 1700; un ficus detto proprio "ficus aretuseò"
per ricordare ancora la ninfa bella e inaccessibile che Cimone ed Eveneto
raffigurarono nelle loro meravigliose monete.
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Agosto
2019
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