- Ad
Ortigia, nome che sta per "quaglia", data forse
l'abbondanza di questi volatili nella zona, che costituisce il
centro storico della città di Siracusa, si accede attraverso il Ponte
Umbertino. Un tempo Ortigia era una fortezza ben protetta da
mura a cui si accedeva attraverso tre grandi porte, tra cui quella
di Ligne la più importante per monumentalità, che furono demolite
nel 1893 insieme alle mura trasformando l'isola in città aperta.
Della porta Ligne non rimangono che alcune riproduzioni fotografiche
e lo Stemma Reale spagnolo conservato a Palazzo Bellomo. Nei pressi
del ponte sono ancora visibili i resti dei baluardi di S. Filippo ad
est e di S. Lucia ad ovest.
Appena
entrati in Ortigia si arriva alla zona del Tempo di Apollo di cui
si conserva parte del poderoso basamento a quattro gradini, due colonne
intere, grandiosa opera di Epikles, e un tratto del muro della cella. Il
Tempio di Apollo, la cui dedica è ancora visibile sul gradino più alto
del lato est, è il più antico tempio dorico di Siracusa e della Sicilia
(VI secolo a.C.). Lo spazio addensato dall'alto numero di colonne (6
frontali e 17 sui lati lunghi) testimoniano l'architettura decisamente
arcaica del tempio.
Il
calcare usato per costruire il tempio detto giuggiulena, è una tipica
pietra siracusana probabilmente estratta in cave localizzate nella zona
del Plemirio aldilà del Porto di Ortigia. La parte centrale del tempio
era costituito dalla cella divisa in tre navate da due file di colonne che
portava nell'adyton, un ambiente chiuso sul lato occidentale. Gli unici
resti della parte superiore che era rivestita di terrecotte colorate con
motivi geometrici e floreali, sono conservati al Museo Archeologico
Regionale. Alcune aggiunte di muri fra i resti delle colonne indicano che,
nel corso dei secoli, il tempio ha subito varie trasformazioni,
adattandosi a chiesa bizantina, moschea araba e infine chiesa cristiana in
epoca normanna.
Il tempio
venne poi inglobato nella caserma spagnola del Quartiere Vecchio (!562) e
in seguito nella Chiesa della Madonna delle Grazie, poi demolita nel 1864.
In seguito iniziò un lungo lavoro di liberazione del tempio dalle
costruzioni che lo nascondevano terminato nel 14925 quando i resti del
passato vennero isolati e dichiarati monumenti.

A sud del
tempio di Apollo in via XX Settembre alcuni scavi degli anni '60 hanno
portato alla luce resti di età arcaica (fine V secolo a.C.) relativi a
due torri quadrangolari che molto probabilmente costituivano una porta
alla quale si arrivava seguendo una strada parallela al tempio di Apollo e
costituiscono gli unici resti delle fortificazioni greche conservate
sull'isola.
Raggiungendo
l'estremità a sud della via XX Settembre possiamo ammirare l'edificio
Camera di Commercio iniziato su disegno dell'ing. Ruggeri nel 1895 e
finito tra il 1923 e il 1931.
Superata
una zona alberata si arriva a Porta Marina che si trova sulla parte
di mura spagnole meglio conservate. E' l'unica porta di origine spagnola
rimasta in piedi dopo la demolizione delle mura e delle porte spagnole
avvenuta nella seconda metà dell'800.
La
costruzione della Porta Marina avvenne in epoca quattrocentesca, ma
l'aspetto attuale è dovuto ad un rifacimento avvenuto in epoca
cinquecentesca, quando Siracusa passò sotto la dominazione dei Borboni,
che fecero fortificare l'isola di Ortigia con possenti mura che, come
detto prima, vennero demolite. Va detto che la Porta Marina ha resistito
anche alla furia distruttrice del terremoto dell'11 gennaio 1693
conservando il suo aspetto originario fino ai giorni nostri.
La Porta
Marina è caratterizzata da un arco d'accesso sormontato da una nicchia
quadrata merlata contenente un'epigrafe con cui viene testimoniata la
costruzione della suddetta porta d'accesso all'antica città aretusea.
Sopra di essa vi è una sporgenza merlata utilizzata come postazione di
guardia.

Chiesa
dei Miracoli
Nell'omonima
via, si trova la la Chiesa dei Miracoli (o di San Giorgio), dove un tempo
sorgeva l'antica chiesa intitolata appunto a San Giorgio.
Il nome
che porta tutt'ora le fu dato dal vescovo Gabriele Dalmazio, in ricordo
del miracolo compiuto da un'immagine della Madonna di far cessare
l'epidemia di peste del XVI secolo. Nel 1693 un terremoto danneggiò
gravemente la chiesa, ma fu prontamente ricostruita l'anno seguente.
Elemento di spicco è senz'altro il pregevole portale di marmo, di stile
rinascimentale, fiancheggiato da semicolonne scanalate; sull'architrave
sono incise la data di costruzione, gli stemmi del vescovo Dalmazio, della
città di Siracusa e un'immagine di Santa Lucia. Di particolare interesse
la lunetta in cui si trova un gruppo scultoreo della Madonna col Bambino
tra i santi Rocco e Sebastiano. All'interno degli stipiti di marmo sono
scolpiti rilievi floreali, mentre sulla soglia si notano le figure di due
piccoli leoni. Bella ed elegante l'edicola pentagonale a sinistra del
portale, di stile catalano; custodisce una riproduzione della Madonna col
Bambino (opera di Giovanni della Robia). Nella chiesa si conserva la
statua lignea di S. Lucia che veniva portata in processione prima che si
costruisse il simulacro d'argento che ora ammiriamo.
Nei
Capitoli relativi ai Consolati delle Corporazioni d'arte e mestieri del
1700 a Siracusa, si legge che all'interno della chiesa di S. Maria dei
Miracoli si trovava la cappella dei Santi Crispino e Crispiniano,
protettori dei "curvisieri e cunzaturi" (calzolai e lavoratori
della pelle). Il documento redatto in volgare, elenca gli obblighi dei
suddetti artigiani verso la cappella e i benefici da ottenere in caso di
bisogno. Era fatto obbligo di
riunirsi presso la cappella ogni terza domenica del mese per confessarsi,
comunicarsi e provvedere ai bisogni della cappella e di qualsiasi cosa
riguardasse la salute delle anime e dell'arte dei consociati. Ogni
domenica e ogni festa comandata si doveva far celebrare la messala, in
ricorrenza della festa, il 25 ottobre, organizzare con grande pompa le
celebrazioni in onore dei santi. In quella occasione venivano eletti
quattro rappresentanti della categoria con la funzione di Rettori della
cappella e di Consoli della loro arte. Essi dovevano segnare nel libro dei
conti i proventi, le rendite e le elemosine di cui dovevano rendere conto
ai nuovi rettori. Nel corso dell'anno, ogni settimana, tutti i calzolai, a
turno, andavano a raccogliere le offerte per la cappella presso i
consociati e chi si rifiutava era multato di 1 tari. Da parte loro i
Rettori pro tempore erano obbligati ad andare a visitare i colleghi
ammalati, ad aiutarli in caso di bisogno e accompagnarli, in caso di
morte, nella Chiesa dove venivano seppelliti.
Con il
denaro raccolto, oltre a provvedere alla celebrazione delle funzioni,
all'acquisto dei ceri, ogni anno si doveva istituire una rendita di 20
onze per un capitale di 200 onze, in modo da istituire un legato di
maritaggio o monacaggio per un'orfana figlia di un rappresentante di
quell'arte, purché fosse: "honesta, di bona vita e fama".
Con una
convenzione, stipulata il 25 settembre 1769 dal notaio Sebastiano Innorta,
i calzolai si obbligavano a celebrare, con la chiusura delle botteghe, la
festa di S. Homo Bono, protettore dei sarti, i quali a loro volta si
impegnavano a fare lo stesso in occasione della festa dei Santi Crispino e
Crispiniano protettori dei calzolai. Chi non rispettava questo accordo
veniva multato di 7 tari da versare alla rispettiva cappella.
La
Confraternita dei SS. Martiri Crispino e Crispiniano della chiesa di S.
Maria dei Miracoli, sita nell'ambito della parrocchia di S. Giacomo
maggiore è esistita fino al 1930, come si rileva da un documento
dell'Archivio di Stato.
Piazza
Archimede

Piazza
Archimede, dedicata ad uno dei figli più illustri di Siracusa, è la
seconda piazza più importante di Ortigia, grazie anche alla sua posizione
nodale all’interno del centro storico. In epoca greca, pur non essendo
piazza, era uno degli incroci principali formato dal decumano maggiore
(via Dione-via Roma) e dal decumano minore (via Maestranza-via
Amalfitania). Topograficamente rappresenta l’incrocio principale di
importanti vie e il centro sul quale si affacciano alcuni dei principali
palazzi dell’isola.
La
piazza, di forma trapezoidale, ha assunto l’attuale aspetto in epoca
recente tra il 1872 e il 1878: con la demolizione della chiesa di
Sant’Andrea e successivamente di quella di San Giacomo viene dato
l’avvio ad una serie di operazioni edilizie ritenute necessarie per
l’apertura di una nuova piazza cittadina. Nell’area vuota viene
inserita la fontana di Diana, opera scultorea in cemento armato,
realizzata da Giulio Moschetti nel 1906. La posizione della statua,
raffigurante la dea rivolta verso via Maestranza, rispecchia ancora
l’antica importanza della via come zona di accesso alla piazza. Tra il
1934 e il 1936, in piena epoca fascista, viene attuato il più importante
e decisivo sventramento del tessuto urbano medievale per aprire la nuova
Via del Littorio (oggi Corso Matteotti). Nello stesso periodo viene
anche abbattuta la Caserma Vecchia che consente di riportare alla luce il
Tempio di Apollo.
I
palazzi che si affacciano sulla piazza riassumono tutta la storia
dell’isola, dal Medioevo ai nostri giorni. Arrivando da Corso Matteotti,
partendo da sinistra e procedendo in senso orario, incontriamo il Palazzo
del Banco di Sicilia, sorto nel 1928 su progetto di Salvatore Caronia,
caratterizzato da un portale incorniciato da semi colonne bugnate e da un
secondo ordine scandito da paraste ioniche.
A
seguire, adiacente alla Via Dione vi è il Palazzo Pupillo,
realizzato nella seconda metà del ‘700 in forme tardo-barocche, con il
prospetto leggermente convesso, irregolare rispetto all’asse stradale
via Roma-via Dione. Il prospetto del palazzo presenta cinque portali
arcuati sovrastati da altrettanti balconi di cui quello centrale
sormontato da un timpano spezzato, mentre gli altri quattro possiedono
timpani semicircolari e triangolari. Sopra vi è un’ultima fila di
cinque balconi di cui quello centrale sormontato da un timpano
semicircolare mentre gli altri possiedono un mensolone recante
bassorilievi geometrici. Il palazzo è coronato da una bella trabeazione
merlata.

Accanto
al Palazzo Pupillo si trova il Palazzo dell’Ex Cassa Centrale di
Risparmio Vittorio Emanuele, sorto nell’area occupata fino agli anni
‘50 da Palazzo Corvaia e Palazzo Zumbo. Il primo, opera di Giovanni
Vermexio del 1628, venne danneggiato in modo irreparabile
dall’incursione aerea alleata la notte del 15 Febbraio 1942. Il secondo,
che inglobava strutture architettoniche quattrocentesche, fu abbattuto
nell’autunno 1957 per far luogo al nuovo edificio progettato
dall’architetto Gaetano Rapisardi con la consulenza tecnica
dell’architetto Salvatore Caronia. La soluzione porticata del cantonale
riprende il modello del distrutto edificio vermexiano.
L’incrocio
tra via Maestranza e via Roma è caratterizzato dal
prospetto angolare di palazzo Interlandi Pizzuti, realizzato nel
1910 in seguito allo smussamento dell’angolo che in origine lambiva
l’area della piazza e che, a causa della difficile circolazione delle
vetture, aveva subito notevoli danni. Si tratta di un palazzo barocco
costruito nel XVIII secolo e arricchito successivamente con elementi in
stile liberty. Il palazzo possiede due facciate, una in Piazza Archimede
l’altra in Via Roma. Le due facciate sono contraddistinte da una serie
di arcate con chiave di volta liberty con decorazioni geometriche, nel
mezzo delle quali vi sono i portali di ingresso.
Segue
il Palazzo Gargallo, costruito in epoca seicentesca per volere
della potente famiglia Gargallo (una delle più potenti di Siracusa
insieme ai Bonanno, ai Landolina, agli Arezzo della Targia, agli
Interlandi e ai Montalto). Questo palazzo venne danneggiato seriamente dal
terremoto del 1693 e restaurato una prima volta nei primi anni del ‘700
e una seconda volta nell’ultima metà dell’800 fino ad assumere
l’aspetto attuale, con la ricca decorazione in stucco. A quel periodo
risalgono i pregevoli affreschi delle volte, opera di Ernesto Bellandi.
Della originaria struttura seicentesca restano le scuderie, dalle
imponenti volte impiantate su robusti pilastri. Eleganti pilastri e
trabeazioni merlate incorniciano le pareti esterne del palazzo. In questo
palazzo il 25 settembre 1760 nacque Tommaso Gargallo.
Contiguo
al Palazzo Gargallo si trova il Palazzo Lanza Bucceri, il più
antico degli edifici rimasti in piedi presso la Piazza Archimede, in
passato noto anche come ‘Palazzo Platamone’. È un palazzo sorto negli
ultimi anni del 1300 ma presenta rifacimenti rinascimentali risalenti al
1400, e catalani risalenti al 1500-1600. La facciata, piuttosto sobria, è
caratterizzata da un portale semplice di forma rettangolare e da finestre
a bifora (alcune delle quali vistosamente rovinate). Il Palazzo presenta
anche stupende decorazioni scultoree. Conserva ancora gli stemmi sui
capitelli delle colonnine di chiara impostazione catalana, con una bifora
che il vento e la pioggia hanno ricamato.
Posto
tra l’angolo di piazza Archimede con via Amalfitania e
contiguo al palazzo della Banca d’Italia, si trova il Palazzo Ex Casa
Tarantello, entrambi gli edifici sono connessi tra di loro a partire
dall’Ottocento e con il cortile interno in comune.
La
filiale della Banca d’Italia occupa l’altra metà del fabbricato
ottocentesco che anticamente identificato con il nome di ‘Casa
dell’Orologio’, in quanto il Municipio nel 1882 vi aveva posto sul
prospetto principale un orologio simile a quello che vi era nel campanile
della chiesa di Sant’Andrea Apostolo. L’edificio, imponente e austero,
ha origini quattrocentesche, dall’ampio cancello in ferro battuto si può
scorgere la scala catalana a cielo scoperto con leone in posizione
araldica e la bifora scandita da un’esile colonnina. La facciata attuale
presenta un arco d’ingresso chiuso da una bella inferriata in ferro
battuto, sovrastata da un bel balcone di pietra provvisto di un’apertura
a triplice bifora (elemento architettonico di gusto rinascimentale rimasto
inalterato).

Chiesa
del Collegio dei Gesuiti
La loro
prima chiesa i Gesuiti la costruirono sull'antica chiesa di S. Giuseppe
dei maestri d'ascia e la nuova venne anche dedicata a S.
Giuseppe.Costruita secondo lo spirito dei decreti del Concilio di Trento:
è stata progettata a navata unica, perché l'attenzione dei fedeli fosse
concentrata sull'altare e sul celebrante.
La prima
pietra fu posta il 31 luglio 1635 in coincidenza con la festa di
Sant'Ignazio. Per la costruzione occorsero 52 anni e i padri Gesuiti si
adoperarono molto per abbellirla con marmi scelti.
La
chiesa presenta una bella facciata Barocca posta su di un breve Sagrato
delimitato da una splendida inferriata in ferro battuto e divisa in due
ordini. L'ordine inferiore (quello più monumentale) è solcato da sei
pilastri recanti eleganti capitelli corinzi. Sulla sommità del portale è
possibile ammirare un bassorilievo che raffigura un volto fanciullesco
circondato da ghirlande floreali.
Ai lati
del portale vi sono due colonne corinzie più piccole che sostengono uno
splendido timpano spezzato che al centro reca lo stemma araldico che
rappresenta l'Ordine dei Gesuiti sorretto da due "Angeli". I due
portali laterali sono sempre di forma rettangolare, ma sono sormontati da
timpani triangolari sopra cui vi sono poste delle eleganti nicchie
sormontate da piccoli timpani spezzati di forma sempre triangolare.
L'altare
di S. Ignazio fu ornato da una maestosa edicola sulla quale fu posta la
statua del Santo opera del Marabitti.
Emozionanti
anche le tele di S. Francesco Saverio, opera del Maddiona, dell'Ultima
cena e di S. Giuseppe.
Nel
1648 i padri ottennero il permesso di variare l'ingresso e quindi il
prospetto della chiesa che dava prima su via Ruggero VII e su via Amalfìtania.
Per fare ciò dovettero risolvere moltissime liti con i proprietari degli
immobili limitrofi che dovettero acquistare per poter completare la
chiesa. L'interno è con dodici colonne di marmo grigio e nove altari.
Attualmente la chiesa, tra le più belle dell'isola, è chiusa per la
partenza da Siracusa dei padri Gesuiti.
Palazzo
Beneventano del Bosco
Prima
di essere acquistato dalla famiglia nobiliare Beneventano del Bosco,
questo palazzo era un sito quattrocentesco, fatto costruire dagli
Arezzo, altra nobiliare famiglia che in seguito fece costruire l'adiacente Palazzo
Arezzo della Targia, e aveva ospitato tra le sue mura importanti organi
giuridici e amministrativi come la Camera Regionale di Siracusa,
il Senato della città e la Commenda dei Cavalieri del
Santo Sepolcro. Il palazzo fu infine distrutto dal violento terremoto del 1693.
Venne poi riacquistato e ricostruito nel 1778 dal barone Guglielmo
Beneventano, passando così di proprietà a questa famiglia nobiliare.
I
Beneventano furono un'antica casata nobiliare di Siracusa, Modica e Lentini.
Essi possederono numerosi feudi e nelle citate città occuparono sempre
posizioni di primo piano.
Si
chiamarono Beneventano "del Bosco" perché avevano un vasto
feudo tra Siracusa e Floridia; nelle attuali Contrade Case Bianche,
Benali, Rigiliffi-Tivoli e Capo Corso, zone che in quel tempo mostravano
un folto bosco di macchia mediterranea, da quei luoghi
deriva l'appellativo della famiglia Beneventano.
Nel
balcone centrale vi è un monolite con le armi gentilizie dei
Beneventano e l'epigrafe che ricorda la visita del Re di Borbone.
FERDINANDO
III UTRUSQUE SICILIAE
REGI CLEMENTISSIMO QUI
SYRACUSANORUM PORTUS
ET MOENIA LUSTRANDO
HANC AEDEM
ADIUIT HONESTAVIT BEAVIT
FRANCISCUS BENEVENTANO
IN GRATI ANIMI PIGNUS
ET ACCEPTE HONORIS MEMORIAM
POSVIT
DIE XXVIII APRILIS ANO MDCCCVI
L'architetto
dell'attuale palazzo fu il siciliano Luciano Alì. La sua facciata si
divide in tre ordini i cui lati sono delimitati da pilastri a gradoni. Il
portale d'ingresso è di forma arcuata e si presenta inquadrato da quattro
colonne, due per ogni lato, in stile corinzio; il tutto sorregge un
balcone riccamente lavorato.
Ai
lati del portale principale vi sono sei portoni più piccoli tutti
arcuati, divisi tre per ogni lato e sopra di essi vi sono altrettanti
balconcini cinti da lavorate inferriate bombate in ferro battuto. Il
balcone posto sopra il portale è anch'esso racchiuso da un parapetto
bombato di dimensioni più estese. Al centro della facciata vi è la già
citata lapide commemorativa del re.
Queste
sei aperture laterali sono sormontate da timpani di forma
semicircolare. La trabeazione, in stile merlato, cinge la parte
superiore della facciata e presenta al centro un lavorato timpano
triangolare. Il terzo piano del palazzo è composto da delle formelle
poligonali che delimitano tutti i balconi. Tali formelle sono sormontate
da dei frontoni fregiati con elaborate figure floreali scolpite in bassorilievo.
Infine il frontone centrale corona la facciata del palazzo ed è
delimitato da due pinnacoli a sfera, che sono anche posti sui lati esterni
della facciata.
Il
palazzo è caratterizzato da un elegante cortile interno con elementi in
stile barocco. Oltre l'ingresso vi è un atrio composto da una volta con
stucchi e da qui si aprono altri due portali che giungono infine
all'interno del palazzo. Proseguendo dritti invece ci si trova di fronte
ad un cancello in ferro battuto, recante nella sua cima lo stemma
nobiliare dei Beneventano. Oltre il cancello si vedono eleganti finestre
vetrate e un porticato a tre arcate. Delle statue poste sul
terrazzo vengono viste dal basso verso l'alto creando un effetto di
profondità.
La
pavimentazione del cortile è data da un elaborato acciottolato bianco e
nero, che lo fa sembrare un tappeto disegnato sul pavimento. Proseguendo
per i due portoni laterali a quello centrale ci si immette in un altro
piccolo cortile, caratterizzato da una fontanella pensile con mascheroni e
una balaustra fiorita e traforata del terrazzino.
Salendo
per il portone centrale del cortile si arriva agli interni del palazzo con
i relativi piani inferiori e superiori. Le stanze sono riccamente
decorate, con affreschi policromi e stucchi ad opera dei palermitani Ermenegildo
Martorana e Gregorio Lombardo, il marmoreo è invece catanese. Vi è
una elaborata cappella con un grande crocifisso in legno. I mobili sono
d'epoca e i cristalli che decorano le stanze furono fatti venire
direttamente da Malta e da Venezia. Merita inoltre
attenzione la collezione di stampe antiche dei Beneventano
esposta nel palazzo, raffiguranti mappe d'epoca sulla città di Siracusa,
sulla Sicilia e sull'Italia.
Il
palazzo ha ospitato diverse personalità illustri:
Il re Ferdinando
III di Borbone venne a Siracusa nel 1806; alloggiò durante la sua
permanenza al palazzo Beneventano del Bosco dal quale balcone assistette
divertito anche ad una commedia teatrale che i siracusani misero in scena
per lui. Ancora oggi la lapide commemorativa posta sotto quel balcone
ricorda l'illustre visita che ricevette il palazzo.
Ancor
prima del re, a palazzo vi soggiornò anche l'ammiraglio britannico Nelson,
quando approdò con la sua flotta a Siracusa, prima e dopo aver sconfitto
le navi di Napoleone Bonaparte nelle acque di Abukir.
Il
palazzo nel 1500 ospitò anche i Cavalieri del Santo Sepolcro
che qui trovarono ristoro durante il loro soggiorno a Siracusa. Dopo la
loro partenza il palazzo divenne allora sede siracusana della Commenda dell'ordine
dei Cavalieri di Malta fondata dal nobile Pietro Borgia nella
prima metà del XVII secolo.

Palazzo
Vermexio o Palazzo del Senato
Il
Palazzo del Senato, sede del Municipio, occupa l'angolo N-E di piazza
Duomo, in un'area di grande importanza fin dall'età greca: parti delle
fondazioni ricadono sui resti di un tempio ionico della fine del VI secolo
a.C.
Commissionato
nel 1629 dal Senato della città, fino ad allora ospite nel Palazzo della
Camera Regionale e successivamente nel Palazzo Beneventano del Bosco,
all'architetto siracusano di origine spagnola Giovanni Vermexio (a causa
di ciò il palazzo è detto anche Palazzo Vermexio), fu consegnato nel
1632.
Il
"quadrato" edificio si presenta con peculiari caratteristiche
architettoniche dovute alla progettazione del Vermexio, caratteristiche
che avranno uno straordinario riscontro in tutta l'edilizia cittadina dei
secoli successivi. L'artista in questa sua opera riuscì a fondere la
nobiltà delle passate civiltà con lo sfarzo spagnolo: timpani dei
balconi, cornici spezzate e sporgenti, nicchie, capitelli ornati di
conchiglie e maschere. Le nicchie vuote avrebbero dovuto ospitare, secondo
il progetto originale dell'architetto, statue marmoree dei re di Spagna,
commissionate a Gregorio Tedeschi che, a causa della morte prematura, portò
a compimento solo la grande aquila a due teste coronate simbolo
dell'impero spagnolo (tale statua sovrasta il balcone centrale).
Dopo
il 1850 la struttura originale del palazzo è stata modificata con
l'aggiunta del piano attico per l'ampliamento degli uffici del Comune.
Nelle
vicende del palazzo, che non subì danni per il terremoto, va ricordata la
funzione di teatro, cui venne adibita una parte del salone di
rappresentanza nel 1740, successivamente rimosso (1880).
Vermexio,
chiamato il lucertolone forse in riferimento al suo aspetto fisico o
semplicemente perché il nome Vermexio in spagnolo significa
"vermicello", firmò alcune sue opere scolpendo, in angoli più
o meno in vista, una lucertola. Il palazzo in questione è stato
autografato dall'artista nell'angolo sinistro (fra due stipiti) del
cornicione del prospetto principale.
La
facciata si presenta di forma quadrata (così come l'intero edificio
progettato dal Vermexio) solcata da sei pilastri che nell'ordine inferiore
si presentano bugnati e sorreggono una ricca trabeazione, mentre
nell'ordine superiore si presentano lisci. Il portale d'ingresso è
incassato dentro la parete centrale della facciata (in bugnato), ai lati
della quale vi sono due finestre sormontate da timpani semicircolari
(nella fiancata destra del Palazzo ve ne sono due uguali ad esse).
Presso il
portale d'ingresso (sormontato da un mascherone grottesco). vi sono due
splendidi lampioni in ferro battuto e un piedistallo in cui è posta la
targa con cui si commemora l'iscrizione di Siracusa e Pantalica nei
"Luoghi Patrimonio dell'Umanità" da parte dell'Unesco.
La
trabeazione centrale si presenta arricchita da decorazioni geometriche
scolpite con la tecnica del bassorilievo, eccezion fatta per lo spigolo
sinistro di essa in cui è scolpita una lucertola, che Giovanni Vermexio
applicò per "firmare" molte sue costruzioni, oltre al suddetto
palazzo.
L'ordine
superiore è caratterizzato da una splendida balconata (sorretta dalla
trabeazione sopraelencata) racchiusa da una splendida ringhiera in ferro
battuto sopra cui si affacciano tre finestroni (due nella parte laterale
del palazzo) di cui quello centrale sormontato da un timpano spezzato che
reca al centro lo stemma dei Borboni (un'aquila con due teste) sotto la
quale è posta la targa in cui si onoravano i Borboni di Spagna (opera
dello scultore fiorentino Gregorio Tedeschi).
Le due
finestre laterali sono sormontate da timpani spezzati più piccoli sopra
cui è posto lo stemma araldico della città di Siracusa. Nella parete
laterale le due finestre sono sormontate da timpani semicircolari. Tra le
finestre vi sono delle nicchie arcuate che in origine dovevano contenere i
busti dei Re borbonici vissuti fino ad allora (dovevano essere scolpite
sempre da Gregorio Tedeschi, ma l'improvvisa morte dell'artista rese
impossibile ciò). Una seconda trabeazione merlata riportante motivi
floreali scolpiti con la tecnica del bassorilievo cinge l'attico del
Palazzo (costruito nel 1850).
L'interno
del Palazzo presenta moderne stanze restaurate, ma anche locali rimasti
tali e quali come la "Sala del Sindaco" (foderata in tela
verde), il cortile interno e l'atrio d'ingresso che presenta una splendida
volta "a botte" e due eleganti portali laterali. Qui vi possiamo
ammirare la targa in pietra iblea su cui è riportata per intero la
dichiarazione dell'Unesco con cui Siracusa e la Necropoli di Pantalica
(quest'ultima situata tra i territori comunali di Sortino, Cassaro e
Ferla) sono state dichiarate ufficialmente "Patrimonio dell'Umanità".
Presso il
Palazzo Vermexio possiamo ammirare infine la splendida "Carrozza del
Senato"; si tratta di uno splendido carro settecentesco utilizzato
dalle maggiori autorità della città aretusea per muoversi all'interno
della di essa. Questa carrozza viene fatta sfilare ogni anno in occasione
dei festeggiamenti in onore di "Santa Lucia".
Tempio
di Minerva
Il tempio
di Minerva o Athena sorse sui resti di un più antico tempio risalente
alla metà del VI secolo a.C. di cui rimane solo un capitello e delle
terrecotte ritrovate durante le varie ricerche. Il Tempio dedicato ad
Atena venne fatto costruire interamente con pietra calcarea del posto dal
tiranno Gelone dopo la vittoria di Himera sui Cartaginese (480 a.C.);
constava di sei colonne sulla fronte e quattordici sui lati lunghi del
diametro di 2 metri e alte 8,60 metri poggiate su un basamento che
misurava 56 metri per 22, a tre gradini rispecchiando i canoni classici
dello stile dorico. Sul frontone del tempio era posto un grande scudo
d'oro che rifletteva i raggi del sole e costituiva un segnale per i
naviganti.
Il suo
interno, completamente saccheggiato da Verre, era arricchito da grandiose
pitture e immagini di re e tiranni della Sicilia, da pregevoli opere in
avorio e oro che ne decoravano la porta. Oggi è possibile ammirare una di
queste opere al Museo Archeologico: una Nike alata che molto probabilmente
decorava un acroterio del tempio.
Il
tempio, già adattato a chiesa cristiana dai Bizantini, fu trasformato nel
640 d.C. per volere del vescovo Zosimo che vi trasferì la cattedrale da
San Giovanni fuori le mura (spesso attaccata dai corsari). Per soddisfare
i canoni cristiani, vennero murati gli spazi tra le colonne in modo da
creare le tipiche tre navate. Fu adattata a moschea dagli Arabi e
ritrasformata in chiesa cristiana per opera dei Normanni nel 1169, che
rifecero la facciata in stile gotico, innalzarono il campanile (entrambi
rollati durante il terremoto del 1693) e ne adornarono l'interno con
mosaici.

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3
Agosto
2019
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