Ragusa
Ibla
Chi
avrà
fiato
e
tempo
godrà
di
sensazioni
inaspettate.
Si
passa
davanti
a
portoncini
semplici
e
portali
ben
lavorati,
a
cancellate
e
finestre
adorne
di
fiori.
Si
attraversano
rioni
dove
la
vita
scorre
ancora
tranquilla,
quasi
in
un'altra
dimensione.
Quando
le
emozioni
sembrano
ormai
finite,
si
arriva
in
una
piazzetta
da
dove
si
può
ammirare
un
angolo
barocco
ancora
miracolosamente
intatto.
Corre
subito
allo
sguardo
il
palazzo
della
Cancelleria,
o
Palazzo
Nicastro,
un
magnifico
esempio
di
barocco,
di
raffinata
fattura
nella
decorazione
del
portale
e
nella
ricca
ornamentazione
dei
mensoloni,
che
reggono
balconi
fortemente
aggettanti.
L’edificio
si
trova
lungo
la
Salita
del
Commendatore,
dopo
il
Palazzo
Cosentini,
e
la
Chiesa
dell'Itria.
Questa
via
era,
all'epoca,
l’unico
asse
viario
che
al
tempo
collegava
la
parte
superiore
ed
inferiore
della
città.
Siamo
nel
quartiere
“degli
Archi”,
delimitato
dalla
Piazza
della
Repubblica
(nota
anche
come
Piazza
degli
Archi),
da
Corso
Mazzini
e
da
via
Scale.
L’attuale
immobile,
costruito
dopo
il
terremoto
del
1693
e
ultimato
nel
1760,
poggia
su
di
un
altro
edificio
il
cui
impianto
è
ancora
visibile
per
la
presenza
di
una
stalla,
che
risale
a
prima
del
periodo
barocco.
Pare
che
il
Palazzo
presentasse
un
ampio
giardino
interno
ed
una
scala
esterna
che
permettevano
l’accesso
diretto
alla
vicina
chiesa
dell’Itria.
I
Nicastro,
presenti
a
Ragusa
dal
1577
con
Mariano
Nicastro
non
partecipavano
attivamente
alla
vita
sociale
tramite
cariche
elettive,
né
erano
annoverati
fra
i
nobili
dell'antica
Ragusa.
Dal
matrimonio
di
Filippo
Nicastro
con
la
baronessa
Giampiccolo
la
famiglia
iniziò
a
partecipare
alla
vita
pubblica.
I
Nicastro
raggiunsero
l'opulenza
nel
1760,
data
che
segnò
non
solo
l'ultimazione
del
palazzo,
ma
anche
il
momento
di
massima
contribuzione
di
censo.
Filippo
Nicastro
fu
eletto
Cavaliere
di
Malta.
Ottanta
anni
dopo
il
Palazzo,
acquistato
dal
Comune,
diventò
sede
della
Cancelleria.
Dalle
prime
indagini
ci
si
è
resi
conto
che
l'edificio
in
esame
è
costituito
da
due
corpi: il
primo,
prettamente
settecentesco,
da
Salita
Commendatore
si
sviluppa
lungo
vico
Evangelista;
il
secondo,
dalle
caratteristiche
architettoniche
ottocentesche,
salendo
da
via
Scale
giunge
su
Corso
Mazzini.
Due
alte
lesene
racchiudono
lo
spazio
in
cui
troneggia
la
grande
tribuna,
l'elemento
di
maggior
pregio
della
costruzione.
Il
balcone
è
sorretto
da
cinque
enormi
mensole,
di
sapore
ancora
seicentesco,
che
disegnano
tre
grandi
volute,
dietro
la
panciuta
ringhiera
in
ferro
battuto.
L'apertura
è
incorniciata
da
due
lesene
con
volti
di
cherubini
è
sormontata
da
un
timpano
dalle
linee
spezzate.
Il
sottostante
portale
d'ingresso
che
probabilmente
venne
aggiunto
in
un
epoca
successiva,
male
si
raccorda
all'insieme
e,
con
le
sue
linee
fortemente
aggettanti
fuoriesce
dallo
spazio
scandito
dalle
due
lesene
laterali.
Il
prospetto
laterale,
molto
più
unitario,
è
anch'esso
delimitato
da
alte
lesene,
ed
ospita
due
finestroni
raccordati
con
una
cornice
mistilinea
con
i
balconi
del
primo
piano.
Questi
sono
di
dimensione
più
contenute,
rispetto
alla
tribuna
principale
ma
ne
ripetono
il
motivo
seicentesco
nelle
mensole,
a
due
sole
volute.
Assieme
alla
chiesa
dell'Itria
ed
al
sottostante
palazzo
Cosentini
il
palazzo
costituisce
certamente
il
complesso
barocco
più
importante
della
città.
Completano
questa
pittoresca
e
suggestiva
piazzetta
un
arco
acuto,
sotto
cui
è
un'antica
scala,
e
il
magnifico
campanile
della
chiesa
di
Santa
Maria
dell'ldria
o
di
San
Giuliano.
La
chiesa
fu
costruita
per
l'Ordine
dei
Cavalieri
di
Malta
nel
1639,
sulla
porta
si
nota
ancora
la
croce
dell'ordine
maltese.
La
chiesa
di
Santa
Maria
dell'Idria
(o
più
correttamente
Itria)
oggi
accoglie
anche
il
culto
di San
Giuliano che
gli
deriva
dalla
presenza,
in
tempi
lontani,
in
un
unico
isolato
di
due
chiese
e
dell'antico
ospedale
dedicato
proprio
a
quest'ultimo
Santo.
L'area
dove
sorge
l'attuale
chiesa
è
da
sempre
stata
abitata
come
quella
dove
sorge
la
vicina Santa
Maria
delle
Scale.
Anche
se
resti
di
tombe,
ancora
visibili
nelle
parti
non
edificate
del
versante,
testimoniano
la
presenza
umana
nel
sito
in
periodo
protostorico,
sembra
che
più
stabili
insediamenti
risalgano
ai
primi
secoli
dell'era
cristiana.
Forse
i
primi
ad
occupare
i
luoghi
furono
degli
anacoreti
che
adattarono
qualche
tomba
a
loro
rifugio.
In
seguito,
quasi
sicuramente,
fu
edificata
una
chiesetta
paleocristiano-bizantina,
con
annesso
un
convento
di
basiliani;
dell'esistenza
del
complesso
alcuni
ricercatori
considerano
testimonianza
una
colonna
ottagonale
con
capitello
posta,
oggi,
all'interno
della
sagrestia,
ma
che,
secondo
altri,
potrebbe
essere
più
recente,
trecentesca.
Anche
sulla
denominazione
della
chiesa
i
cultori
di
storia
locale
non
sono
concordi.
Alcuni
fanno
derivare
il
termine
Idria
da
una
corruzione
di
“hydor
-
hidria
=
acqua”
e
quindi
Santa
Maria
dell'Idria
significherebbe
Santa
Maria
delle
acque
(forse
per
una
sorgente
che
c'era
nelle
vicinanze).
Secondo
altri
deriva
dall'appellativo
che
nell'impero
bizantino
si
dava
alla
Madonna
raffigurata
in
piedi
con
il
Bambino
sul
braccio
sinistro:
hodigitria
"patrona
dei
viandanti"
o
"patrona
del
cammino".
Se
si
segue
quest'ultima
tesi
la
denominazione
corretta
dovrebbe
essere
Santa
Maria
dell'Itria.
Durante
la
dominazione
araba
la
chiesa,
molto
probabilmente,
continuò
ad
essere
aperta
al
culto
cristiano
di
rito
greco-bizantino.
Con
la
conquista
normanna
nulla
dovette
cambiare,
almeno
in
un
primo
momento.
Sappiamo,
infatti,
che
Ruggero
I,
il
Gran
Conte,
anche
se
fece
aderire
le
nuove
diocesi
a
Roma,
poiché
i
cristiani
dell'isola
erano
greco-ortodossi,
non
impose
subito
e
in
modo
drastico
un
ritorno
alla
cristianità
latina.
Si
comportò
così
forse
anche
per
esercitare
un'efficace
pressione
sul
papato
e
mantenere
le
prerogative
regie
sulla
Chiesa,
prerogative
che
riuscì
a
farsi
riconoscere
nel
1098,
quando
Urbano
II
concesse
a
lui
e
ai
suoi
successori
i
poteri
di
Legato
Apostolico
in
Sicilia
e
Calabria.
Si
apprende
da
un
anonimo
cronista
del
seicento
che,
oltre
le
altre,
esistevano
a
Ragusa
una
chiesa
di San
Basilio vicina
al
castello,
la
chiesa
dell'Itria
e,
accanto
ad
essa,
una
chiesa
di San
Giuliano o,
cosa
più
probabile,
un
ospedale
con
annessa
chiesetta
o
cappella.
Alcuni
studiosi
di
storia
locale
sostengono
che
furono
i
Chiaramonte,
nel
XIV
secolo
a
donare
all'ordine
cavalleresco
la
chiesa
(o
ospedale)
di
San
Giuliano
fornendola
di
benefici.
La
donazione
fu
confermata
dallo
stesso
Re
Martino
nel
1391.
Secondo
altri
la
presenza
dell'Ordine
a
Ragusa
è
da
riportare
al
1626,
quando
ad
opera
del
cavaliere
Blandano
Arezzo
La
Rocca
barone
di
Serri,
e
con
una
dote
annua
di
trecento
scudi,
al
posto
dell'antica
chiesa
bizantina
sorse
la
nuova
chiesa
dei
cavalieri
di
Malta
(sempre
dedicata
a
Santa
Maria
dell'Itria)
e
dipendente
dalla
Commenda
di
Modica
e
Randazzo.
Dopo
il
terremoto
venne
ricostruita,
nelle
forme
attuali,
soltanto
la
chiesa
dell'Itria
(da
alcuni
chiamata
dell'Itria
e
di
San
Giuliano)
che
da
allora
sarà
considerata
l'unica
chiesa
dell'Ordine
Gerosolimitano
a
Ragusa.
Oggi
la
possiamo
ammirare
lungo
la
Salita
Commendatore,
fra
la
Cancelleria
e
il
palazzo
Cosentini,
ma
non
agevolmente
per
la
strada
angusta.
La
facciata,
rivolta
a
mezzodì,
presenta
un
portale
sormontato
da
un
cornicione
con
festoni
scolpiti
e
due
porte
laterali.
Semipilastri
con
capitelli
ionici
delimitano
il
portone
principale
e
paraste
su
alti
basamenti
dividono
la
facciata
in
tre
porzioni;
le
porte
laterali
inserite
in
cornici
rette
e
lisce
presentano
timpani
leggermente
tondi
su
cui
ci
sono
finestre
rotonde,
diverse
da
quella
quadrata
sopra
al
portone
principale.
Un
cornicione
ben
evidente
separa
i
due
ordini;
in
quello
superiore,
con
un
finestrone
centrale
e
due
balaustre,
si
notano
le
due
grandi
volute
di
raccordo
fra
i
due
ordini
e
il
frontone
triangolare
superiore.
Interessante,
infine,
sulla
facciata
alcuni
mascheroni
che
sembrano
ammiccare
beffardi
fra
le
volute
dei
capitelli
alla
sommità
delle
paraste.
Si
pensa
che
la
costruzione
della
chiesa
sia
iniziata
nella
prima
metà
del
settecento,
ma
mai
realmente
completata
visto
che
al
secondo
ordine
i
piedistalli
non
hanno
le
statue.
Fastoso
l'interno
a
tre
navate
separate
da
due
file
di
cinque
colonne
corinzie.
Contiene
cinque
altari
con
decorazioni
dal
tardo
barocco
al
rococò
realizzati
in
pietra
calcarea
ed
un'elegante
cappella
sulla
destra.
Sulla
porta
centrale,
all'interno,
la
data
1739
ricorda
il
completamento
del
prospetto
(il
portone
è
invece
del
1933
realizzato
da
Salvatore
Imperiale).
Entrando
si
percorra
la
navata
destra
dove
si
incontra
una
prima
cappella
dall'impianto
seicentesco,
con
pianta
quadrangolare,
decorata
e
dedicata
all'Addolorata;
ai
piedi
di
un
bell'altare
marmoreo
un'urna
con
Cristo
morto,
sulla
volta
a
vela
le
decorazioni
di
Giuseppe
Maggiore
del
1846.
Segue
poi
un
altare
con
quadro
dedicato
a
San
Giuseppe
e
quindi
si
giunge
all'abside
della
navata
destra
con
un
Santissimo
Crocifisso,
situato
fra
colonne
tortili
arricchite
da
motivi
floreali
e
da
angioletti,
alla
croce
sono
affiancate
due
statue,
l'Addolorata
(realizzata
a
Napoli
nella
meta
del
secolo
scorso
per
conto
della
stessa
famiglia)
e
un
San
Giovanni
Evangelista
dai
tratti
delicati.
La
cappella,
eretta
nel
1741,
apparteneva
alla
famiglia
dei
Cosentini
con
il
cui
palazzo
era
collegata
per
vie
interne.
L'altare
maggiore
è
caratterizzato
da
un
baldacchino
in
legno
scolpito
sorretto
da
quattro
colonne
scanalate,
due
per
lato.
La
Madonna
dell'Itria
è
posta
all'interno
della
nicchia
centrale
(un
tempo
questa
statua
era
portata
in
processione).
Ai
lati
erano
San
Corrado
da
Piacenza
e
San
Guglielmo
da
Scicli.
Sulla
volta
un
affresco
raffigura
l'Assunzione
e
l'Incoronazione
di
Maria
(1744).
Ritornando
verso
l'uscita,
lungo
la
navata
sinistra,
si
incontra
un
altare
barocco
con
colonnine
tortili
ai
lati
di
un
quadro
che
rappresenta San
Giuliano e
San
Giovanni
Battista;
quest'opera
da
molti
è
attribuita
a
Mattia
Preti,
detto
il
calabrese,
da
qui
transitato
nella
sua
fuga
verso
Malta;
nel
quadro,
a
destra
in
basso,
vi
è
uno
stemma
con
chiaro
riferimento
alla
Croce
di
Malta
e
una
sigla
(A.C.D.).
Chiude
la
navata
un
ultimo
altare
con
pala
in
calcare
tenero
della
fine
del
settecento
che
contiene
un
quadro
di
San
Biagio
e
accanto
un
quadro
con
San
Gregorio
Nazianzeno
di
Ignazio
Scacco.
La
chiesa
possiede,
infine,
opere
provenienti
dalla
dismissione
di
altre
chiese
quali
le
due
pale
con
Sacra
Famiglia
e
Presentazione
al
tempio,
il
quadro
a
San
Basilio
e
quello
dell'Immacolata
proveniente
dalla
dismessa
chiesa
di
San
Paolo.
Sopra
l'entrata
principale
c'è
un
organo
in
legno
(vi
si
accede
da
una
scala
che
porta
anche
al
campanile),
mentre
sul
pavimento
sono
presenti
tre
lastre
tombali
in
pietra
asfaltica
di
tipo
seicentesco.
Completa
questo
angolo
caratteristico
soprattutto
se
visto
dall'alto,
cioè
dai
tornanti
della
via
Mazzini,
un
bel
campanile
alla
sinistra
della
chiesa;
costruito
su
preesistenze,
forse
fu
realizzato,
secondo
i
più
recenti
studi
nel
1701.
Il
campanile,
a
sezione
quadra,
è
coronato
da
una
balaustra
(datata
1754)
e
sormontato
da
un
cupolino
che
poggia
su
un'alto
tamburo
a
sezione
ottagonale,
le
cui
facce
sono
decorate
da
maioliche
colorate
che
rappresentano
iris
di
vari
colori
in
vasi.
Nella
cella
campanaria
vi
erano
quattro
campane
oggi
c'è
solo
quella
che
era
la
maggiore
che
reca
la
data,
1700,
il
nome
del
fonditore
Pietro
Grimaldi
di
Catania,
e
la
dedica
a
Santa
Maria
dell'Itria.
Oltre
a
San
Giuliano
la
chiesa
è
legata
all'Addolorata,
di
cui
ospitava
una
Confraternita
popolare,
e
per
la
devozione
ne
possedeva
le
statue;
la
più
antica
un
tempo,
era
portata
in
processione
ogni
anno
la
Domenica
delle
Palme.
Nel
periodo
pasquale
anche
in
questa
chiesa,
chiusa
per
la
maggior
parte
dell'anno,
viene
allestito
il
"sepolcro",
adornato
secondo
una
insolita
usanza
di
antichissima
tradizione
con
piatti
con
germogli
di
grano
fatti
crescere
al
buio
(reminescenza
dei
giardini
di
Adone).
Finita
la
discesa,
si
arriva
in
piazza
della
Repubblica,
denominata
"Gli
Archi".
Proprio
alla
fine
delle
scale,
ad
angolo
con
via
Mazzini,
si
staglia
il
palazzo
Cosentini,
tipica
costruzione
del
barocco
siciliano
del
700.
L'edificazione
del
palazzo
risale
al
terzo
quarto
del
XVIII
secolo
per
iniziativa
del
barone
Raffaele
Cosentini e
del
figlio
Giuseppe
e,
probabilmente,
si
concluse
nel
1779,
a
questo
anno
risale
infatti
un
documento
che
fa
riferimento
all'acquisto
delle
tegole
per
il
tetto.
Il
palazzo
si
trova
alla
confluenza
di
due
importantissime
vie
di
comunicazione
della
città
antica,
la
Salita
Commendatore
con
la
scalinata
che
metteva
in
comunicazione
il
quartiere
inferiore
con
quello
superiore
e
la
strada
di
S.
Rocco,
che
passando
davanti
alla
chiesa
omonima,
attraversava
la
vallata
di
S.
Leonardo
e
si
collegava
alle
"trazzere"
che
conducevano
a
Comiso
e
Chiaramonte.
Per
questo
motivo
ai
due
cantonali
si
trovavano,
come
ci
dice
una
descrizione
dei
primi
anni
del
secolo
XX,
le
statue
dei
protettori
dei
viandanti:
S.
Francesco
di
Paola,
ancora
esistente,
dal
lato
della
scalinata,
e
San
Cristoforo
o
S.
Rocco,
dall'altro
lato. Il
prospetto
principale
dell'edificio,
a
due
piani
è
delineato
da
due
alte
paraste,
che
terminano
con
un
curioso
capitello
arricchito
da
festoni
e
dalla
conchiglia,
elemento
tra
i
più
caratteristici
delle
decorazioni
barocche.

Sulla
Salita
Commendatore
è
posto
l'ingresso
principale
di
chiaro
stile
barocco,
che
si
apre
in
un
grande
atrio
che
mette
in
comunicazione
i
vari
livelli
del
palazzo,
compreso
lo
spazio
esterno
denominato
ingresso
dei
cavalli.
Una
scala
in
pietra
pece
conduce
al
piano
nobile
e
al
bellissimo
ingresso
sul
piano
della
chiesa
dell'Itria
volgarmente
nascosto
da
una
scala
in
cemento
armato.
Il
piano
terra
risultava
planimetricamente
alterato;
è
emerso
che
gli
ambienti
interni
sono
stati
suddivisi
creando
vari
livelli,
appesantendo
la
struttura
e
provocando
dissesti
alla
muratura.
Gli
ambienti
che
si
affacciano
su
Corso
Mazzini
presentavano
le
volte
con
decorazioni
originarie,
medaglioni
e
riquadri
in
gesso
di
ottima
fattura,
con
sovrapposti
dipinti
a
tempera
di
autori
recenti
“ex
carrettieri”
eseguiti
negli
anni
sessanta-settanta.
Palazzo
Cosentini
ha
una
posizione
angolare
e
mostra
eleganti
balconi
sorretti
da
ornatissimi
mensoloni
su
cui
appaiono
personaggi,
animali,
figure
fantastiche,
mostruose,
maschere
di
esseri
burloni
e
ghignanti
(es.
il
balcone
che
dà
sulla
piazza
),
in
contrasto
con
le
figure
femminili
leggiadre
a
busto
scoperto,
forse
per
alleggerire
la
bruttezza
delle
caricature
umane.
Si
osservano
mascheroni
con
animali
immondi
in
bocca;
uno
è
bendato,
ha
un
naso
enorme
e
uno
scorpione
in
bocca,
altri
con
serpi,
topi
e
rane,
indicanti
forse
la
maldicenza
umana
e
la
condanna
di
quanti
sono
abituati
a
sputare
sentenze
nonché
a
giudicare
le
azioni
degli
altri.
Nel
primo
balcone
del
corso
Mazzini
si
notano
figure
diverse:
un
gruppo
di
girovaghi
cantastorie
che
vengono
fermati
poco
prima
della
recitazione.
La
figura
centrale
ha
un
rotolo
in
mano,
forse
il
copione;
ai
suoi
lati
gli
amici
accompagnatori,
con
zufoli,
mandolini
e
tamburi.
Sotto
queste
figure
spiccano
i
soliti
mascheroni
deformi.
Le
figure
femminili,
cariche
di
frutti
e
cornucopie,
simboleggiano
la
ricchezza.
Nell’ultimo
balcone
troviamo
una
scena
ripresa
in
un’osteria
del
tempo,
con
l’oste
calvo
e
una
botte
sulla
spalla,
un
gobbo
con
zufolo
e
una
giovane
che
offre
le
sue
grazie
ad
un
nobile
signore
(forse
un
personaggio
della
famiglia,
quindi
reale).
Sono
comunque
scene
di
vita
quotidiana
e
ritratti
dal
vero,
testimonianza
di
opere
scultoree
e
architettoniche
di
indubbie
capacità.
Le
paraste
dell’edificio
culminano
con
capitelli
corinzi,
festoni
e
conchiglie.
L'altro
lato
della
piazza
è
occupato
dalla
scenografica
facciata
della
chiesa
del
Purgatorio,
una
tra
le
più
belle
chiese
di
Ibla
che
sembra
accogliere
il
visitatore
che
dalla
città
nuova
attraverso
la
strada
interna,
la
scalinata
o
il
più
agevole
ingresso
di
via
Don
Minzoni
vuole
ammirare
Ibla.
La
chiesa
sorge
al
sommo
di
una
bella
scalinata
che
domina
l'attuale
piazza
della
Repubblica,
conosciuta
anche
come
piazza
Archi
(per
gli
archi
di
un
antico
acquedotto
oggi
inesistente)
o
Largo
dei
Comizi.
L'isolato
che
l'accoglie
è
definito
fra
la
Salita
dell'Orologio
da
un
lato
e
la
via
Aquila
Sveva
dal
lato
meridionale.
Lungo
queste
due
vie
si
osservano
i
resti
murari
della
cinta
esterna
del
fortilizio
bizantino
che
difendeva
il
paese
dalla
parte
che
lo
collegava
con
la
collina
del
Patro
e
con
l'altopiano.
Era
questo
l'avamposto
del
più
forte
castello
poi
restaurato
dai
normanni,
ma
crollato
irrimediabilmente
nel
1693.
Questo
tratto
murario
era
già
stato
abbandonato
molto
prima,
forse
dai
tempi
dell'abbattimento
delle
mura
della
"città
imprendibile"
così
come
era
stata
definita
dagli
arabi
e
da
essi
voluto
nel
IX
secolo
o
in
seguito
al
terremoto
disastroso
del
1169
che
rovinò
molte
preesistenze.
Questa
era
una
zona
densamente
abitata
specie
dopo
l'arrivo
dei
normanni
che
avevano
portato
al
seguito
un
gruppo
di
cosentini
insediatosi
a
ridosso
del
versante.
La
chiesa
veniva
aperta
ai
fedeli
nel
seicento,
forse
sin
dal
1658
come
risulta
da
un
inventario
depositato
e
dalla
testimonianza
della
visita
pastorale
del
1683.
Non
si
sa
neanche
se
abbia
sofferto
eccessivi
danni
nel
1693;
non
crollò
e
solo
tre
anni
dopo
era
riaperta
al
culto.
Si
sa
che
nel
1703
si
riparava
la
zona
absidale
dell'altare
maggiore
visto
che
un
palazzo
costruito
a
lato
crollando
l'aveva
danneggiato,
mentre
solo
successivamente
veniva
abbellita
e
decorata
(1720-1730)
con
sovvenzioni
di
privati.
Nel
1737
si
completavano
i
lavori
della
scalinata
in
pietra
asfaltica.
Successivamente,
verso
la
metà
del
settecento,
venivano
innalzate
le
colonne
e
rinnovate
le
strutture
murarie,
mentre
a
un
paio
di
decenni
dopo
risale
il
rifacimento
dell'abside.
Infine,
nel
1786,
si
passò
agli
stucchi
e
alle
decorazioni.
Gli
interni
vennero
restaurati
all'inizio
dell'attuale
secolo
(1908)
dal
Flaccavento
e
in
quella
stessa
occasione
furono
effettuati
altri
interventi
di
abbellimento
quali
la
sostituzione
di
parti
di
pavimentazione,
la
verniciatura
delle
colonne
dipinte
a
smalto
per
simulare
il
marmo,
e
così
pure
fregi
e
cornici
delle
lunette
e
della
volta
della
navata
centrale.
Attualmente
è
iniziata
una
nuova
fase
di
consolidamenti
e
restauro.
La
scalinata
ai
piedi
della
chiesa
è
delimitata
da
una
ringhiera
metallica
realizzata
da
Angelo
Paradiso
di
Acireale,
lo
stesso
che
realizzò
quella
di San
Giorgio.
L'ardita
facciata,
suddivisa
in
due
ordini,
è
scandita
da
quattro
colonne
scanalate
su
alti
plinti
e
arricchite
da
capitelli
corinzi.
Oltre
al
portone
centrale
ci
sono
altre
due
porte
laterali
oggi
murate.
Il
portale
presenta
modanature
elegantemente
intagliate
alle
quali
sono
addossate
due
colonnine
corinzie;
sopra
la
cimasa
un
elegante
fregio
regge
un
piccolo
bassorilievo
che
rappresenta
le
Anime
del
Purgatorio
che
espiano
i
loro
peccati
fra
le
fiamme;
ai
lati
due
piccole
nicchie
contengono
due
statuette
calcaree:
San
Pietro
e
San
Paolo.
Degne
di
nota
anche
le
porte
laterali,
in
particolare
per
l'insolita
presenza,
sulla
parte
terminale
dei
montanti
di
teschi
su
tibie
incrociate.
Oltre
l'aggettante
cornicione
del
primo
ordine
si
eleva
una
campata
centrale
delimitata
da
colonne
corinzie
e
da
volute
sulla
quale
si
apre
una
finestra;
al
culmine
un
frontone
triangolare.
Sul
campanile,
che
sorge
a
partire
da
una
balza
rocciosa
in
posizione
staccata
dalla
chiesa,
c'era
un
antico
orologio
sprovvisto
di
quadrante
in
seguito
sostituito
da
uno
più
moderno.
L'interno,
diviso
in
tre
navate
da
due
file
di
sei
colonne
con
capitelli
corinzi,
conserva
cinque
altari
e
sul
fondo
tre
cappelle
con
al
centro
la
maggiore
e
quelle
laterali
di
forma
diseguale.
Molti
degli
altari
sono
in
pietra
dipinta
ad
imitazione
del
marmo
come
uso
del
tempo
per
una
zona
dove
i
marmi
erano
costosi
perchè
dovevano
esser
importati.
Entrando
nella
navata
destra
si
ammira
accanto
all'acquasantiera
il
gruppo
statuario
della
Madonna
del
Carmelo,
mentre
accanto
alla
cappella
battesimale
un
quadro
rappresenta
il
Battesimo
di
Gesù.
Il
primo
altare
della
navata
destra
conserva
invece
un
quadro
di
Sant'Aloi
proveniente
dalla
dismessa
chiesa
di San
Paolo ; nel
secondo
altare
c'è
un
quadro
della
Madonna
del
Rosario
forse
di
uno
dei
fratelli
Manno,
Antonino.
Si
arriva
così
alla
prima
delle
cappelle
affianco
dell'altare
maggiore
dedicata
al
Santissimo
e
che
sull'altare
presenta
un
quadro
di
Santa
Barbara
proveniente
dall'omonima
chiesa
dismessa.
L'altare
maggiore
è
in
marmo
e
delimitato
da
quattro
colonne
di
stile
corinzio;
lo
adorna
un
quadro
alle
Anime
del
Purgatorio
con
vari
santi,
fra
cui
San
Giorgio,
che
invocano
il
perdono;
questo
lavoro
del
1800
è
opera
del
palermitano
Francesco
Manno
(detto
Francescone,
famoso
per
il
ritratto
di
Pio
VII
e
per
gli
affreschi
al
Quirinale).
A
sinistra
dell'altare
maggiore
l'altra
cappella,
detta
del
Crocefisso,
ha
l'altare
delimitato
da
quattro
colonne
tortili
ornate
nella
parte
basale
di
palme
e
foglie;
sono
presenti
due
statue
una
dell'Addolorata
e
l'altra
con
San
Giovanni
Evangelista
che
pregano
un
Gesù
in
croce
del
1769.
Imboccata
la
navata
sinistra
e
superata
la
porta
della
sagrestia,
sul
primo
altare
c'è
una
tela
che
rappresenta
la
Sacra
Famiglia,
opera
di
Tommaso
Pollaci
del
1801.
Al
lato
sinistro
un
quadro
celebra
Santo
Omobono
protettore
di
mercanti
e
sarti.
L'ultimo
altare
è
veramente
monumentale
e
bello
per
i
bassorilievi
che
rappresentano
i
temi
dell'Annunciazione;
sono
inoltre
presenti
tre
statuette
raffiguranti
San
Rocco,
Sant'Agata
e
Santa
Lucia.
Nei
pressi
dell'uscita
secondaria
(costruita
in
un
secondo
tempo
rispetto
all'impianto
originario;
dà
su
una
scalinata
che
immette
direttamente
in
via
del
Mercato)
c'è
una
statua
di
San
Giovanni
Bosco
mentre
sulla
parete
soprastante
c'è
un
quadro
di
ignoto
rappresentante
San
Cristoforo.
La
chiesa
conserva
opere
d'arte
provenienti
da
chiese
vicine
dismesse:
tra
le
tante
è
da
ricordare
un
San
Lorenzo
proveniente
dalla
chiesa
di San
Paolo.
L'insolito
motivo
dei
teschi,
presente
all'esterno
sulle
porte
laterali,
è
ripreso
all'interno
negli
stucchi
al
di
sopra
delle
lesene,
qui
i
teschi
portano
copricapi
tipici
degli
alti
prelati.
L'organo
del
1883
è
opera
di
Casimiro
Allieri
e
Serasi
Ferdinando
di
Bergamo,
gli
stessi
di
quello
di San
Giorgio.
Agli
anelli
di
ferro
infissi
all'esterno
della
chiesa
venivano
legati
i
bestemmiatori
ai
tempi
della
Santa
Inquisizione.
Si
osservi,
infine,
sulla
parte
destra
della
chiesa
il
grande
contrafforte
ad
arco
che
scavalca
la
via
Aquila
Sveva;
l'opera
sembra
sia
stata
costruita
per
misura
cautelare
al
manifestarsi
dei
primi
cedimenti
nella
metà
dello
scorso
secolo,
al
di
là
del
fattore
sicurezza,
con
la
sua
imponenza
rende
questo
angolo
del
quartiere
veramente
surreale.

In
questa
zona,
presso
la
chiesa
del
Purgatorio,
si
staglia
la
massiccia
mole
del
barocco
palazzo
dei
Sortino-Trono.
Venne
edificato
per
iniziativa
di
don
Ignazio
Sortino
Trono,
nel
1778,
su
alcune case
della
sua
famiglia
e,
probabilmente,
su
parte
delle
mura
dell'antico
castello.
La
ricostruzione
si
svolse
in
diverse
fasi
per
la durata
di
ben
quindici
anni,
per
concludersi
nel
1793.
L'importante
prospetto
sovrasta
la
piazza
"degli
Archi"
e
si
affaccia
sulla
balconata
chiamata
"cianu
re
Signuri"
(piano
dei
Signori),
accessibile,
tramite
una
ripida
scala,
dalla
sottostante
via
del
Mercato.
L'ingresso
è
asimmetrico
rispetto
alla
facciata
del
palazzo,
sta
infatti
all'estrema
destra
della
costruzione,
non
a
centro
come
quelli
di
quel
periodo.
La
facciata
è
scandita
da
cinque
paraste
su
plinti,
culminanti
con
capitelli
a
volute
unite
da
festoni
di
fiori,
da
mensoloni
e
alla
sommità
da
una
fascia
marcapiano
spezzata
in
corrispondenza
delle
paraste.
Ai
lati
del
portale
ci
sono
dei
fini
pilastri
a
bugnato
culminanti
con
capitelli
compositi,
su
cui
poggia
il
balcone
del
piano
nobile
con
le
panciute
ringhiere
decorate
con
fioroni
e
ricche
sculture
che
lo
completano.
Al
portone
principale
seguono
a
sinistra
tre
semplici
balconi
con
una
scultura
sommitale
e
al
piano
nobile
altri
tre
balconi
più
ricchi
sia
nei
mensoloni
scolpiti
a
volute
e
foglie
d'acanto
che
negli
archi
superiori.
E'
il
livello
intermedio
quello
che
presenta
la
doppia
entrata
dalla
retrostante
via
Ioppolo,
entrata
che
immette
in
un
ampio
androne
pavimentato
in
pece.
Da
quest'ambiente
inizia
una
scala
a
tre
rampe
che
porta
al
primo
piano,
quello
nobile,
caratterizzato
da
quattro
saloni
di
rappresentanza
e
dagli
appartamenti.
Nei
saloni
posti
in
successione
fra
di
loro
si
apprezzano
pavimenti
in
pece
con
decorazioni
geometriche
e
soffitti
a
botte
decorati
con
motivi
floreali
di
tipo
neoclassico;
anche
le
sopraporte
sono
dipinte
con
scene
mitologiche
realizzate
ad
olio
(del
XVIII
secolo).
Gli
infissi
un
tempo
erano
decorati
in
oro
zecchino,
oggi
sono
purtroppo
verniciati.
L'ultimo
piano
è
interamente
piastrellato
in
ceramica
policroma
di
Caltagirone
del
settecento.
Oggi
è
in
parte
di
proprietà
privata
ed
in
parte
comunale
ed
i
bassi
sono
stati
adattati
a
scuola
materna.

Pag.
2
Pag.
4
Agosto
2019
|