Ragusa
  
  

 

Ragusa Ibla

Chi avrà fiato e tempo godrà di sensazioni inaspettate. Si passa davanti a portoncini semplici e portali ben lavorati, a cancellate e finestre adorne di fiori. Si attraversano rioni dove la vita scorre ancora tranquilla, quasi in un'altra dimensione. Quando le emozioni sembrano ormai finite, si arriva in una piazzetta da dove si può ammirare un angolo barocco ancora miracolosamente intatto.

Corre subito allo sguardo il palazzo della Cancelleria, o Palazzo Nicastro, un magnifico esempio di barocco, di raffinata fattura nella decorazione del portale e nella ricca ornamentazione dei mensoloni, che reggono balconi fortemente aggettanti.  

L’edificio si trova lungo la Salita del Commendatore, dopo il Palazzo Cosentini, e la Chiesa dell'Itria. Questa via era, all'epoca, l’unico asse viario che al tempo collegava la parte superiore ed inferiore della città. Siamo nel quartiere “degli Archi”, delimitato dalla Piazza della Repubblica (nota anche come Piazza degli Archi), da Corso Mazzini e da via Scale. L’attuale immobile, costruito dopo il terremoto del 1693 e ultimato nel 1760, poggia su di un altro edificio il cui impianto è ancora visibile per la presenza di una stalla, che risale a prima del periodo barocco. Pare che il Palazzo presentasse un ampio giardino interno ed una scala esterna che permettevano l’accesso diretto alla vicina chiesa dell’Itria.

I Nicastro, presenti a Ragusa dal 1577 con Mariano Nicastro non partecipavano attivamente alla vita sociale tramite cariche elettive, né erano annoverati fra i nobili dell'antica Ragusa. Dal matrimonio di Filippo Nicastro con la baronessa Giampiccolo la famiglia iniziò a partecipare alla vita pubblica. I Nicastro raggiunsero l'opulenza nel 1760, data che segnò non solo l'ultimazione del palazzo, ma anche il momento di massima contribuzione di censo. Filippo Nicastro fu eletto Cavaliere di Malta.

Ottanta anni dopo il Palazzo, acquistato dal Comune, diventò sede della Cancelleria. Dalle prime indagini ci si è resi conto che l'edificio in esame è costituito da due corpi: il primo, prettamente settecentesco, da Salita Commendatore si sviluppa lungo vico Evangelista; il secondo, dalle caratteristiche architettoniche ottocentesche, salendo da via Scale giunge su Corso Mazzini.  

Due alte lesene racchiudono lo spazio in cui troneggia la grande tribuna, l'elemento di maggior pregio della costruzione. Il balcone è sorretto da cinque enormi mensole, di sapore ancora seicentesco, che disegnano tre grandi volute, dietro la panciuta ringhiera in ferro battuto. L'apertura è incorniciata da due lesene con volti di cherubini è sormontata da un timpano dalle linee spezzate. Il sottostante portale d'ingresso che probabilmente venne aggiunto in un epoca successiva, male si raccorda all'insieme e, con le sue linee fortemente aggettanti fuoriesce dallo spazio scandito dalle due lesene laterali. Il prospetto laterale, molto più unitario, è anch'esso delimitato da alte lesene, ed ospita due finestroni raccordati con una cornice mistilinea con i balconi del primo piano. Questi sono di dimensione più contenute, rispetto alla tribuna principale ma ne ripetono il motivo seicentesco nelle mensole, a due sole volute. Assieme alla chiesa dell'Itria ed al sottostante palazzo Cosentini il palazzo costituisce certamente il complesso barocco più importante della città.

Completano questa pittoresca e suggestiva piazzetta un arco acuto, sotto cui è un'antica scala, e il magnifico campanile della chiesa di Santa Maria dell'ldria o di San Giuliano. La chiesa fu costruita per l'Ordine dei Cavalieri di Malta nel 1639, sulla porta si nota ancora la croce dell'ordine maltese. 

La chiesa di Santa Maria dell'Idria (o più correttamente Itria) oggi accoglie anche il culto di San Giuliano che gli deriva dalla presenza, in tempi lontani, in un unico isolato di due chiese e dell'antico ospedale dedicato proprio a quest'ultimo Santo.

L'area dove sorge l'attuale chiesa è da sempre stata abitata come quella dove sorge la vicina Santa Maria delle Scale. Anche se resti di tombe, ancora visibili nelle parti non edificate del versante, testimoniano la presenza umana nel sito in periodo protostorico, sembra che più stabili insediamenti risalgano ai primi secoli dell'era cristiana.

Forse i primi ad occupare i luoghi furono degli anacoreti che adattarono qualche tomba a loro rifugio. In seguito, quasi sicuramente, fu edificata una chiesetta paleocristiano-bizantina, con annesso un convento di basiliani; dell'esistenza del complesso alcuni ricercatori considerano testimonianza una colonna ottagonale con capitello posta, oggi, all'interno della sagrestia, ma che, secondo altri, potrebbe essere più recente, trecentesca.

Anche sulla denominazione della chiesa i cultori di storia locale non sono concordi. Alcuni fanno derivare il termine Idria da una corruzione di “hydor - hidria = acqua” e quindi Santa Maria dell'Idria significherebbe Santa Maria delle acque (forse per una sorgente che c'era nelle vicinanze). Secondo altri deriva dall'appellativo che nell'impero bizantino si dava alla Madonna raffigurata in piedi con il Bambino sul braccio sinistro: hodigitria "patrona dei viandanti" o "patrona del cammino". Se si segue quest'ultima tesi la denominazione corretta dovrebbe essere Santa Maria dell'Itria.

Durante la dominazione araba la chiesa, molto probabilmente, continuò ad essere aperta al culto cristiano di rito greco-bizantino.

Con la conquista normanna nulla dovette cambiare, almeno in un primo momento. Sappiamo, infatti, che Ruggero I, il Gran Conte, anche se fece aderire le nuove diocesi a Roma, poiché i cristiani dell'isola erano greco-ortodossi, non impose subito e in modo drastico un ritorno alla cristianità latina. Si comportò così forse anche per esercitare un'efficace pressione sul papato e mantenere le prerogative regie sulla Chiesa, prerogative che riuscì a farsi riconoscere nel 1098, quando Urbano II concesse a lui e ai suoi successori i poteri di Legato Apostolico in Sicilia e Calabria.

Si apprende da un anonimo cronista del seicento che, oltre le altre, esistevano a Ragusa una chiesa di San Basilio vicina al castello, la chiesa dell'Itria e, accanto ad essa, una chiesa di San Giuliano o, cosa più probabile, un ospedale con annessa chiesetta o cappella.

Alcuni studiosi di storia locale sostengono che furono i Chiaramonte, nel XIV secolo a donare all'ordine cavalleresco la chiesa (o ospedale) di San Giuliano fornendola di benefici. La donazione fu confermata dallo stesso Re Martino nel 1391. Secondo altri la presenza dell'Ordine a Ragusa è da riportare al 1626, quando ad opera del cavaliere Blandano Arezzo La Rocca barone di Serri, e con una dote annua di trecento scudi, al posto dell'antica chiesa bizantina sorse la nuova chiesa dei cavalieri di Malta (sempre dedicata a Santa Maria dell'Itria) e dipendente dalla Commenda di Modica e Randazzo.

Dopo il terremoto venne ricostruita, nelle forme attuali, soltanto la chiesa dell'Itria (da alcuni chiamata dell'Itria e di San Giuliano) che da allora sarà considerata l'unica chiesa dell'Ordine Gerosolimitano a Ragusa.

Oggi la possiamo ammirare lungo la Salita Commendatore, fra la Cancelleria e il palazzo Cosentini, ma non agevolmente per la strada angusta.

La facciata, rivolta a mezzodì, presenta un portale sormontato da un cornicione con festoni scolpiti e due porte laterali. Semipilastri con capitelli ionici delimitano il portone principale e paraste su alti basamenti dividono la facciata in tre porzioni; le porte laterali inserite in cornici rette e lisce presentano timpani leggermente tondi su cui ci sono finestre rotonde, diverse da quella quadrata sopra al portone principale. Un cornicione ben evidente separa i due ordini; in quello superiore, con un finestrone centrale e due balaustre, si notano le due grandi volute di raccordo fra i due ordini e il frontone triangolare superiore. Interessante, infine, sulla facciata alcuni mascheroni che sembrano ammiccare beffardi fra le volute dei capitelli alla sommità delle paraste. Si pensa che la costruzione della chiesa sia iniziata nella prima metà del settecento, ma mai realmente completata visto che al secondo ordine i piedistalli non hanno le statue.

Fastoso l'interno a tre navate separate da due file di cinque colonne corinzie. Contiene cinque altari con decorazioni dal tardo barocco al rococò realizzati in pietra calcarea ed un'elegante cappella sulla destra. Sulla porta centrale, all'interno, la data 1739 ricorda il completamento del prospetto (il portone è invece del 1933 realizzato da Salvatore Imperiale).

Entrando si percorra la navata destra dove si incontra una prima cappella dall'impianto seicentesco, con pianta quadrangolare, decorata e dedicata all'Addolorata; ai piedi di un bell'altare marmoreo un'urna con Cristo morto, sulla volta a vela le decorazioni di Giuseppe Maggiore del 1846. Segue poi un altare con quadro dedicato a San Giuseppe e quindi si giunge all'abside della navata destra con un Santissimo Crocifisso, situato fra colonne tortili arricchite da motivi floreali e da angioletti, alla croce sono affiancate due statue, l'Addolorata (realizzata a Napoli nella meta del secolo scorso per conto della stessa famiglia) e un San Giovanni Evangelista dai tratti delicati. La cappella, eretta nel 1741, apparteneva alla famiglia dei Cosentini con il cui palazzo era collegata per vie interne.

L'altare maggiore è caratterizzato da un baldacchino in legno scolpito sorretto da quattro colonne scanalate, due per lato. La Madonna dell'Itria è posta all'interno della nicchia centrale (un tempo questa statua era portata in processione). Ai lati erano San Corrado da Piacenza e San Guglielmo da Scicli. Sulla volta un affresco raffigura l'Assunzione e l'Incoronazione di Maria (1744).

Ritornando verso l'uscita, lungo la navata sinistra, si incontra un altare barocco con colonnine tortili ai lati di un quadro che rappresenta San Giuliano e San Giovanni Battista; quest'opera da molti è attribuita a Mattia Preti, detto il calabrese, da qui transitato nella sua fuga verso Malta; nel quadro, a destra in basso, vi è uno stemma con chiaro riferimento alla Croce di Malta e una sigla (A.C.D.).

Chiude la navata un ultimo altare con pala in calcare tenero della fine del settecento che contiene un quadro di San Biagio e accanto un quadro con San Gregorio Nazianzeno di Ignazio Scacco.

La chiesa possiede, infine, opere provenienti dalla dismissione di altre chiese quali le due pale con Sacra Famiglia e Presentazione al tempio, il quadro a San Basilio e quello dell'Immacolata proveniente dalla dismessa chiesa di San Paolo.

Sopra l'entrata principale c'è un organo in legno (vi si accede da una scala che porta anche al campanile), mentre sul pavimento sono presenti tre lastre tombali in pietra asfaltica di tipo seicentesco.

Completa questo angolo caratteristico soprattutto se visto dall'alto, cioè dai tornanti della via Mazzini, un bel campanile alla sinistra della chiesa; costruito su preesistenze, forse fu realizzato, secondo i più recenti studi nel 1701. Il campanile, a sezione quadra, è coronato da una balaustra (datata 1754) e sormontato da un cupolino che poggia su un'alto tamburo a sezione ottagonale, le cui facce sono decorate da maioliche colorate che rappresentano iris di vari colori in vasi. Nella cella campanaria vi erano quattro campane oggi c'è solo quella che era la maggiore che reca la data, 1700, il nome del fonditore Pietro Grimaldi di Catania, e la dedica a Santa Maria dell'Itria.

Oltre a San Giuliano la chiesa è legata all'Addolorata, di cui ospitava una Confraternita popolare, e per la devozione ne possedeva le statue; la più antica un tempo, era portata in processione ogni anno la Domenica delle Palme.

Nel periodo pasquale anche in questa chiesa, chiusa per la maggior parte dell'anno, viene allestito il "sepolcro", adornato secondo una insolita usanza di antichissima tradizione con piatti con germogli di grano fatti crescere al buio (reminescenza dei giardini di Adone).

Finita la discesa, si arriva in piazza della Repubblica, denominata "Gli Archi". Proprio alla fine delle scale, ad angolo con via Mazzini, si staglia il palazzo Cosentini, tipica costruzione del barocco siciliano del 700. 

L'edificazione del palazzo risale al terzo quarto del XVIII secolo per iniziativa del barone Raffaele Cosentini e del figlio Giuseppe e, probabilmente, si concluse nel 1779, a questo anno risale infatti un documento che fa riferimento all'acquisto delle tegole per il tetto. Il palazzo si trova alla confluenza di due importantissime vie di comunicazione della città antica, la Salita Commendatore con la scalinata che metteva in comunicazione il quartiere inferiore con quello superiore e la strada di S. Rocco, che passando davanti alla chiesa omonima, attraversava la vallata di S. Leonardo e si collegava alle "trazzere" che conducevano a Comiso e Chiaramonte.

Per questo motivo ai due cantonali si trovavano, come ci dice una descrizione dei primi anni del secolo XX, le statue dei protettori dei viandanti: S. Francesco di Paola, ancora esistente, dal lato della scalinata, e San Cristoforo o S. Rocco, dall'altro lato. Il prospetto principale dell'edificio, a due piani è delineato da due alte paraste, che terminano con un curioso capitello arricchito da festoni e dalla conchiglia, elemento tra i più caratteristici delle decorazioni barocche.

Sulla Salita Commendatore è posto l'ingresso principale di chiaro stile barocco, che si apre in un grande atrio che mette in comunicazione i vari livelli del palazzo, compreso lo spazio esterno denominato ingresso dei cavalli. Una scala in pietra pece conduce al piano nobile e al bellissimo ingresso sul piano della chiesa dell'Itria volgarmente nascosto da una scala in cemento armato. 

Il piano terra risultava planimetricamente alterato; è emerso che gli ambienti interni sono stati suddivisi creando vari livelli, appesantendo la struttura e provocando dissesti alla muratura. Gli ambienti che si affacciano su Corso Mazzini presentavano le volte con decorazioni originarie, medaglioni e riquadri in gesso di ottima fattura, con sovrapposti dipinti a tempera di autori recenti “ex carrettieri” eseguiti negli anni sessanta-settanta.  

Palazzo Cosentini ha una posizione angolare e mostra eleganti balconi sorretti da ornatissimi mensoloni su cui appaiono personaggi, animali, figure fantastiche, mostruose, maschere di esseri burloni e ghignanti (es. il balcone che dà sulla piazza ), in contrasto con le figure femminili leggiadre a busto scoperto, forse per alleggerire la bruttezza delle caricature umane.

Si osservano mascheroni con animali immondi in bocca; uno è bendato, ha un naso enorme e uno scorpione in bocca, altri con serpi, topi e rane, indicanti forse la maldicenza umana e la condanna di quanti sono abituati a sputare sentenze nonché a giudicare le azioni degli altri.

Nel primo balcone del corso Mazzini si notano figure diverse: un gruppo di girovaghi cantastorie che vengono fermati poco prima della recitazione. La figura centrale ha un rotolo in mano, forse il copione; ai suoi lati gli amici accompagnatori, con zufoli, mandolini e tamburi. Sotto queste figure spiccano i soliti mascheroni deformi. Le figure femminili, cariche di frutti e cornucopie, simboleggiano la ricchezza.

Nell’ultimo balcone troviamo una scena ripresa in un’osteria del tempo, con l’oste calvo e una botte sulla spalla, un gobbo con zufolo e una giovane che offre le sue grazie ad un nobile signore (forse un personaggio della famiglia, quindi reale).

Sono comunque scene di vita quotidiana e ritratti dal vero, testimonianza di opere scultoree e architettoniche di indubbie capacità.

Le paraste dell’edificio culminano con capitelli corinzi, festoni e conchiglie.

L'altro lato della piazza è occupato dalla scenografica facciata della chiesa del Purgatorio, una tra le più belle chiese di Ibla che  sembra accogliere il visitatore che dalla città nuova attraverso la strada interna, la scalinata o il più agevole ingresso di via Don Minzoni vuole ammirare Ibla.

La chiesa sorge al sommo di una bella scalinata che domina l'attuale piazza della Repubblica, conosciuta anche come piazza Archi (per gli archi di un antico acquedotto oggi inesistente) o Largo dei Comizi.

L'isolato che l'accoglie è definito fra la Salita dell'Orologio da un lato e la via Aquila Sveva dal lato meridionale. Lungo queste due vie si osservano i resti murari della cinta esterna del fortilizio bizantino che difendeva il paese dalla parte che lo collegava con la collina del Patro e con l'altopiano. Era questo l'avamposto del più forte castello poi restaurato dai normanni, ma crollato irrimediabilmente nel 1693.

Questo tratto murario era già stato abbandonato molto prima, forse dai tempi dell'abbattimento delle mura della "città imprendibile" così come era stata definita dagli arabi e da essi voluto nel IX secolo o in seguito al terremoto disastroso del 1169 che rovinò molte preesistenze. Questa era una zona densamente abitata specie dopo l'arrivo dei normanni che avevano portato al seguito un gruppo di cosentini insediatosi a ridosso del versante.

La chiesa veniva aperta ai fedeli nel seicento, forse sin dal 1658 come risulta da un inventario depositato e dalla testimonianza della visita pastorale del 1683. Non si sa neanche se abbia sofferto eccessivi danni nel 1693; non crollò e solo tre anni dopo era riaperta al culto. Si sa che nel 1703 si riparava la zona absidale dell'altare maggiore visto che un palazzo costruito a lato crollando l'aveva danneggiato, mentre solo successivamente veniva abbellita e decorata (1720-1730) con sovvenzioni di privati. Nel 1737 si completavano i lavori della scalinata in pietra asfaltica. Successivamente, verso la metà del settecento, venivano innalzate le colonne e rinnovate le strutture murarie, mentre a un paio di decenni dopo risale il rifacimento dell'abside.

Infine, nel 1786, si passò agli stucchi e alle decorazioni. Gli interni vennero restaurati all'inizio dell'attuale secolo (1908) dal Flaccavento e in quella stessa occasione furono effettuati altri interventi di abbellimento quali la sostituzione di parti di pavimentazione, la verniciatura delle colonne dipinte a smalto per simulare il marmo, e così pure fregi e cornici delle lunette e della volta della navata centrale. Attualmente è iniziata una nuova fase di consolidamenti e restauro.

La scalinata ai piedi della chiesa è delimitata da una ringhiera metallica realizzata da Angelo Paradiso di Acireale, lo stesso che realizzò quella di San Giorgio.

L'ardita facciata, suddivisa in due ordini, è scandita da quattro colonne scanalate su alti plinti e arricchite da capitelli corinzi. Oltre al portone centrale ci sono altre due porte laterali oggi murate. Il portale presenta modanature elegantemente intagliate alle quali sono addossate due colonnine corinzie; sopra la cimasa un elegante fregio regge un piccolo bassorilievo che rappresenta le Anime del Purgatorio che espiano i loro peccati fra le fiamme; ai lati due piccole nicchie contengono due statuette calcaree: San Pietro e San Paolo.

Degne di nota anche le porte laterali, in particolare per l'insolita presenza, sulla parte terminale dei montanti di teschi su tibie incrociate.

Oltre l'aggettante cornicione del primo ordine si eleva una campata centrale delimitata da colonne corinzie e da volute sulla quale si apre una finestra; al culmine un frontone triangolare.

Sul campanile, che sorge a partire da una balza rocciosa in posizione staccata dalla chiesa, c'era un antico orologio sprovvisto di quadrante in seguito sostituito da uno più moderno.

L'interno, diviso in tre navate da due file di sei colonne con capitelli corinzi, conserva cinque altari e sul fondo tre cappelle con al centro la maggiore e quelle laterali di forma diseguale. Molti degli altari sono in pietra dipinta ad imitazione del marmo come uso del tempo per una zona dove i marmi erano costosi perchè dovevano esser importati.

Entrando nella navata destra si ammira accanto all'acquasantiera il gruppo statuario della Madonna del Carmelo, mentre accanto alla cappella battesimale un quadro rappresenta il Battesimo di Gesù.

Il primo altare della navata destra conserva invece un quadro di Sant'Aloi proveniente dalla dismessa chiesa di San Paolo ; nel secondo altare c'è un quadro della Madonna del Rosario forse di uno dei fratelli Manno, Antonino.

Si arriva così alla prima delle cappelle affianco dell'altare maggiore dedicata al Santissimo e che sull'altare presenta un quadro di Santa Barbara proveniente dall'omonima chiesa dismessa.

L'altare maggiore è in marmo e delimitato da quattro colonne di stile corinzio; lo adorna un quadro alle Anime del Purgatorio con vari santi, fra cui San Giorgio, che invocano il perdono; questo lavoro del 1800 è opera del palermitano Francesco Manno (detto Francescone, famoso per il ritratto di Pio VII e per gli affreschi al Quirinale).

A sinistra dell'altare maggiore l'altra cappella, detta del Crocefisso, ha l'altare delimitato da quattro colonne tortili ornate nella parte basale di palme e foglie; sono presenti due statue una dell'Addolorata e l'altra con San Giovanni Evangelista che pregano un Gesù in croce del 1769.

Imboccata la navata sinistra e superata la porta della sagrestia, sul primo altare c'è una tela che rappresenta la Sacra Famiglia, opera di Tommaso Pollaci del 1801. Al lato sinistro un quadro celebra Santo Omobono protettore di mercanti e sarti. L'ultimo altare è veramente monumentale e bello per i bassorilievi che rappresentano i temi dell'Annunciazione; sono inoltre presenti tre statuette raffiguranti San Rocco, Sant'Agata e Santa Lucia.

Nei pressi dell'uscita secondaria (costruita in un secondo tempo rispetto all'impianto originario; dà su una scalinata che immette direttamente in via del Mercato) c'è una statua di San Giovanni Bosco mentre sulla parete soprastante c'è un quadro di ignoto rappresentante San Cristoforo.

La chiesa conserva opere d'arte provenienti da chiese vicine dismesse: tra le tante è da ricordare un San Lorenzo proveniente dalla chiesa di San Paolo.

L'insolito motivo dei teschi, presente all'esterno sulle porte laterali, è ripreso all'interno negli stucchi al di sopra delle lesene, qui i teschi portano copricapi tipici degli alti prelati.

L'organo del 1883 è opera di Casimiro Allieri e Serasi Ferdinando di Bergamo, gli stessi di quello di San Giorgio.

Agli anelli di ferro infissi all'esterno della chiesa venivano legati i bestemmiatori ai tempi della Santa Inquisizione.

Si osservi, infine, sulla parte destra della chiesa il grande contrafforte ad arco che scavalca la via Aquila Sveva; l'opera sembra sia stata costruita per misura cautelare al manifestarsi dei primi cedimenti nella metà dello scorso secolo, al di là del fattore sicurezza, con la sua imponenza rende questo angolo del quartiere veramente surreale.

In questa zona, presso la chiesa del Purgatorio, si staglia la massiccia mole del barocco palazzo dei Sortino-Trono. Venne edificato per iniziativa di don Ignazio Sortino Trono, nel 1778, su alcune case della sua famiglia e, probabilmente, su parte delle mura dell'antico castello. La ricostruzione si svolse in diverse fasi per la durata di ben quindici anni, per concludersi nel 1793.

L'importante prospetto sovrasta la piazza "degli Archi" e si affaccia sulla balconata chiamata "cianu re Signuri" (piano dei Signori), accessibile, tramite una ripida scala, dalla sottostante via del Mercato.  

L'ingresso è asimmetrico rispetto alla facciata del palazzo, sta infatti all'estrema destra della costruzione, non a centro come quelli di quel periodo. La facciata è scandita da cinque paraste su plinti, culminanti con capitelli a volute unite da festoni di fiori, da mensoloni e alla sommità da una fascia marcapiano spezzata in corrispondenza delle paraste. Ai lati del portale ci sono dei fini pilastri a bugnato culminanti con capitelli compositi, su cui poggia il balcone del piano nobile con le panciute ringhiere decorate con fioroni e ricche sculture che lo completano. Al portone principale seguono a sinistra tre semplici balconi con una scultura sommitale e al piano nobile altri tre balconi più ricchi sia nei mensoloni scolpiti a volute e foglie d'acanto che negli archi superiori.

E' il livello intermedio quello che presenta la doppia entrata dalla retrostante via Ioppolo, entrata che immette in un ampio androne pavimentato in pece. Da quest'ambiente inizia una scala a tre rampe che porta al primo piano, quello nobile, caratterizzato da quattro saloni di rappresentanza e dagli appartamenti. Nei saloni posti in successione fra di loro si apprezzano pavimenti in pece con decorazioni geometriche e soffitti a botte decorati con motivi floreali di tipo neoclassico; anche le sopraporte sono dipinte con scene mitologiche realizzate ad olio (del XVIII secolo). Gli infissi un tempo erano decorati in oro zecchino, oggi sono purtroppo verniciati. L'ultimo piano è interamente piastrellato in ceramica policroma di Caltagirone del settecento. Oggi è in parte di proprietà privata ed in parte comunale ed i bassi sono stati adattati a scuola materna.

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Agosto 2019