Il
Castello di Donnafugata dista circa 20 chilometri da Ragusa. Al
contrario di quanto il nome possa pensare non si tratta di un vero e proprio
castello medievale bensì di una sontuosa dimora nobiliare del tardo '800.
La dimora sovrastava quelli che erano i possedimenti della ricca famiglia
Arezzo De Spuches. Fin dall'arrivo il castello rivela la sua sontuosità.
L'edificio copre un'area di circa 2500 metri quadrati ed un'ampia facciata
in stile neogotico, coronata da due torri laterali accoglie i visitatori.
Ci
sono varie ipotesi sull'origine del nome "Donnafugata". Usualmente
viene ricondotto ad un episodio leggendario, quale la fuga della regina
Bianca
di Navarra, vedova del re
e reggente del
regno di Sicilia che venne imprigionata nel castello dal conte Bernardo
Cabrera, che aspirava alla
sua mano e, soprattutto al titolo di re. In realtà la costruzione del
castello è successiva alla leggenda. Secondo altri il nome è la libera
interpretazione e trascrizione del termine arabo Ayn as Jafat (Fonte della
Salute) che in "siciliano" diviene Ronnafuata, da cui la
denominazione attuale.
La
prima costruzione del castello sembra dovuta ai Chiaramonte, conti di Modica
nel XIV secolo. Nel XV secolo potrebbe essere stata una delle residenze di
Bernardo Cabrera, all'epoca gran giustiziere del Regno di Sicilia, pur se
si deve tener conto del fatto che tutti i dati riguardanti tale castello,
precedenti il Settecento, ivi compresa la sua primitiva costruzione, sono
solo il frutto della leggenda quattrocentesca, riguardante Bernardo Cabrera
e Bianca di Navarra, e sono dati che non hanno alcun riscontro probatorio
storico. Successivamente, la costruzione fu acquistata da Francesco Maria
Arezzo De Spuches, barone di Donnafugata che ne fece una casina di campagna.
La maggior parte della costruzione si deve però al figlio, il barone
Corrado Arezzo, eclettico uomo di studi e politico.

Agli
inizi del XIX secolo il barone Francesco Maria Arezzo, barone di Donnafugata
cominciò ad accrescere il patrimonio abitativo del primitivo nucleo delle
case padronali all'interno del feudo. Ecco quindi come cominciò a prendere
corpo il sontuoso edificio che nel sogno del figlio Corrado si materializzò
in quanto oggi ancora sopravvive. Il giovane Donnafugata, cresciuto negli
studi presso i padri Filippini a Palermo, città di nascita della madre
Vincenza De Spucches Brancoli, continuò il progetto del padre ampliando e
lasciando vuote soltanto la grande loggia del prospetto frontale.
Donnafugata
divenne allora il "buen retiro" del senatore Corrado, un luogo ove
sogno e memoria si fondevano coniugando il verbo più gradito: trovar pace.
Il barone Corrado, pur avendo attraversato un cursus honorum molto ampio
(dagli incarichi borbonici al seggio senatoriale, alla sindacatura di
Ragusa, al seggio di Consigliere provinciale a Siracusa) ebbe una vita
familiare molto travagliata e funestata dalla scomparsa ante diem della
figlia Vincenzina e, a poca distanza, anche della consorte.
Per
certi versi il barone ebbe sempre presente la precarietà della vita e
idealmente ripeteva a se stesso l'adagio biblico ''Vanitas vanitatis et
omnia vanitas". Non è un caso infatti che, in un angolo del parco di
Donnafugata, fece costruire una sorta di cenotafio con due tombe fittizie
contornate da folti cipressi. La sua preoccupazione per la vita post-mortem
si evidenzia inoltre nella cappella funeraria che fece costruire accanto
alla chiesa di S. Francesco all'Immacolata a Ibla, donando alla costruzione
religiosa il luogo sepolcrale che ospita la sua persona, la moglie e la
figlia.
Nella
vicenda del castello di Donnafugata dobbiamo precisare che si sono
sovrapposte in esso ben tre mani: il barone Francesco, il figlio Corrado e
la nipote Clementina, cui si deve il completamento della loggia frontale e
la torre quadrata di rinforzo sul lato nord-est.
E' necessario a questo
punto chiarire un poco la successione dei personaggi donnafugaschi per
capire meglio lo svolgimento dei fatti. Il senatore Corrado aveva avuto una
sola figlia, Vincenzina, sposata col catenese Paternò Castello; un
matrimonio di breve durata perché il consorte abbandonò la moglie e le
due figlie Maria e Clementina. La lunga malattia di Vincenzina e la sua
solitudine imposero ai genitori di curarsi delle nipotine, cura che continuò
a maggior ragione dopo la sua scomparsa. Maria andò in sposa al messinese
Marullo di Condojanni, e morì tragicamente nel sisma messinese del 1908,
senza lasciare figli.
Il
castello, diviso su tre piani, conta oltre 120 stanze di cui una ventina
sono oggi fruibili ai visitatori. Visitando le stanze che contengono ancora
gli arredi ed i mobili originali dell'epoca, sembra quasi di fare un salto
nel passato, nell'epoca degli ultimi "gattopardi".
La facciata
principale, sulla quale vi è una grande terrazza, ha un modesto ingresso.
Ai lati dell'edificio si ergono due torrioni circolari con strette scalette
di accesso.
La terrazza conduce alla grande torre e, attraverso un'ampia e
sontuosa scalinata, al parco. Nella parte superiore della scala vi sono due
grandi sfingi, in quella inferiore due leoni.
Al centro della facciata,
tra la loggetta in stile gotico-veneziano e la terrazza, sono incastonati
cinque stemmi di case nobiliari fra i quali quello degli Arezzo recante
quattro ricci. Sotto la loggetta si aprono porte a sesto acuto, arricchite da figure femminili alternate a sculture che ricordano motivi
del bestiario romanico. Oltre il portone d'ingresso, sulla sinistra si
trovano dei magazzini e sulla destra una cappella (da pochi anni sede della
parrocchia di Sant'Antonio Abate). Il semplice ambiente della cappella,
con le volte a botte e la luce soffusa, crea un senso di mistica
serenità.
Nel vasto cortile si aprono quattro archi di ingresso, un gran numero di
porte, balconi e finestre.
All'ingresso
iniziano le rampe di scale in pietra pece adornate da panche, vasi e statue.
Le stanze del castello sono 122 ma le più interessanti per gli arredi sono
quelle del primo piano. La visita guidata inizia dal grande salone degli
stemmi o delle armature alle cui pareti la carta da parati reca dipinti
gli stemmi nobiliari delle più importanti famiglie siciliane.
Ai lati della
porta d'ingresso sono poste due armature del XVII secolo; l'arredamento è
completato da mobili intagliati, cassapanche con fregi gentilizi, quadri e
piccoli divani.

Prima di
iniziare la lunga serie di corridoi che conducono alle altre stanze, sulla
destra si apre un balcone d'inverno, chiuso da vetrate che danno sul
parco.
La stanza successiva è il salottino del
barone che contiene una grande specchiera con cornice dorata, vari mobili e
alcuni ritratti di famiglia.
Si accede,
quindi al salone degli specchi le cui pareti sono rivestite da 17 specchi e
stucchi dorati che rendono più sfarzoso e suggestivo questo ambiente di
rappresentanza. L'arredamento, anche se non in ottimo stato di
conservazione, dà un'idea di come doveva essere una casa signorile
dell'epoca.
Il
corridoio termina nella sala del biliardo dove si conserva ancora il tavolo
al centro della stanza. La sala è arricchita da carte da parati con
paesaggi siciliani e graziosi tendaggi dagli effetti scenografici. In
particolare, sul soffitto, si può immaginare una finestra aperta nel cielo.
Questa sala introduce agli appartamenti del Vescovo, che comprendono
un'anticamera e l'appartamento vero e proprio, dove il vescovo veniva
spesso ospitato. Un tempo, le sale erano ricche di mobili intagliati e intarsiati in stile Boulle, fra i più preziosi di tutto il castello.
Ritornati nella sala del biliardo, si accede alla pinacoteca, un piccolo
ambiente dove sono esposti alcuni quadri in stile neoclassico, attribuiti
a Luca Giordano, che rappresentano scene mitologiche e sacre. Da questa
stanza inizia una serie di cinque ambienti riservati un tempo agli ospiti,
con camere da letto e un salottino di disimpegno.
Risulta
di notevole effetto scenografico osservare la fuga delle camere quando le porte allineate sono tutte aperte. I tendaggi e la luce che entra
dalle finestre e si diffonde come una lama negli ambienti e sui pavimenti in
pietra pece rendono la visione ancora più suggestiva.

Proseguendo si giunge
alla stanza della musica, cosi detta perché vi sono conservati tre
pianoforti meccanici a cilindro rotante e un pianoforte verticale. La
grande sala è una delle più belle di tutto il castello, ricca di divani
e poltrone disposti a gruppi per la conversazione e l'ascolto della
musica. Questa è l'unica sala ad avere le pareti affrescate. Tra una
colonna e l'altra sono raffigurati paesaggi, che danno la sensazione di
trovarsi davanti a grandi finestre, che culminano in alto in una bellissima
cornice.
Da questa sala si passa in un piccolo appartamentino nel quale,
secondo una credenza popolare, fu rinchiusa la regina Bianca di Navarra,
dopo essere stata rapita dal conte Bernardo Cabrerà. In una romantica
alcova, nascosta da una grande tenda, oltre a pochi mobili si trovano un
lettino e una stanza da bagno con una vasca e uno scaldacqua a legna
dell'800.
Superata la
sala della musica, si accede al salotto delle signore, utilizzato per le
conversazioni. La sala presenta, oltre alla solita carta da parati e alle
belle tende, due grandi specchiere, un caminetto e un mobiletto intarsiato
di notevole fattura. Al centro vi è uno dei lampadari più preziosi di
tutta la residenza, interamente realizzato in vetro di Murano policromo, che
ben si intona all'arredamento e all'ambiente prettamente femminile.
Successivamente si apre il salotto dei fumatori, stanza riservata agli
uomini per conversare e fumare. La tappezzeria e la carta da parati
riproducono una serie di pipe e un contenitore di sigari. L'ultimo ambiente
è la sala di attesa, vasta e arredata con pochi mobili. L'arredamento è
costituito da una grande specchiera con consolle in stile neoclassico con
cornici dipinte in oro e un ricchissimo fregio. Anche i vasi posti sulla
consolle sono di buona fattura. Alle pareti vi sono diversi quadri che
riproducono il barone Arezzo, Santa Cecilia e un gentiluomo del 700.
Presso la sala degli stemmi si apre un altro ingresso
che immette
negli appartamenti in cui dimoravano, fino ad alcuni
anni fa,
gli eredi del barone Arezzo. Sono ambienti arredati
con mobili
dell'inizio del secolo. Anche in questa ala del castello si
trovano
delle sale per ospiti con tutti i comfort. Molto raccolta e
luminosa è
la stanza da letto, realizzata in forma ovale ed arredata
secondo i canoni dell'epoca.
La biblioteca, che contiene oltre 4000 volumi alcuni dei quali di
grande valore, purtroppo non è aperta al
pubblico.
Dopo aver visitato
gli ambienti interni, è piacevole fare un giro per
l'immenso
parco. Gli imponenti ficus offrono, nei caldi mesi estivi, un fresco riparo
alla forte calura. Grazie ad una speciale autorizzazione, le foglie di
questi ficus potevano essere spedite come
cartoline
postali.
Alla fine del lungo viale di bossi si staglia una
costruzione in
stile neoclassico, denominata coffehouse, dove il barone al mattino soleva
fare colazione. In tutto il parco si trovano lavoratissimi vasi di
terracotta di Caltagirone con piante esotiche e, nei luoghi più raccolti e
romantici, sedili in pietra la cui sagoma richiama morbidi cuscini. Nella
zona centrale del parco sono state ricavate alcune grotte artificiali
adornate di stalattiti sospese alla volta. Sopra il piccolo poggio vi è una
cupoletta in stile classico e con il firmamento affrescato nella volta.
Per lo
svago degli ospiti e dei bambini era stato costruito un labirinto al cui
ingresso era posto un burbero quanto imponente soldato borbonico con fucile:
quasi ad ammonire che dal posto è difficile uscire. Nei pressi del
labirinto vi è una piccola cappella dove un tempo, quando si salivano i
gradini, si metteva in funzione un congegno che apriva una porta da cui
usciva un finto monaco barbuto che veniva incontro allo spaventato
visitatore: "Uno scherzo da frate".

Agosto 2019
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