Su
e giù per la città barocca
Di
Modica non ce n’è una sola. Ce ne sono tre. Modica Alta, ancora
medievale, con i vicoli e le scalette che si avvinghiano ai fianchi della
collina. Modica Bassa, tutt’intorno al lungo corso Umberto I, quello che i
modicani chiamano il “salone” per l’eleganza dei suoi palazzi
otto-novecenteschi e per i raffinati negozi. Poi c’è il quartiere di
Modica Sorda, la parte più nuova, tagliata a metà dalla statale, con case
moderne e centri commerciali, il luogo in cui i cittadini hanno dato sfogo
alle loro necessità di espansione, lasciando praticamente intatto il centro
storico composto dalle prime due.
La
suddivisione di Modica non fu, comunque, una scelta consapevole, e i
modicani, fino a qualche decennio fa, non erano particolarmente innamorati
della loro città. Nemmeno Salvatore Quasimodo, che pure nacque qui nel
1901, celebrò le proprie radici. Di Modica, in pratica, non si sentiva
quasi mai parlare.
Con
la “scoperta” del barocco siciliano ancora di là da venire e lo
“scippo”, nel 1927, del titolo di capoluogo di provincia a opera della
vicina Ragusa, era come se i modicani si fossero ripiegati su loro stessi,
come se avessero dimenticato che la loro cittadina di provincia discendeva
dalla capitale di uno degli stati feudali più importanti d’Italia.
Era
stato un matrimonio a originare, nel 1296, la ricca e potente contea di
Modica: Manfredi Chiaramonte, già conte di Ragusa nonché erede di una
quantità di altri titoli e possedimenti in tutta la Sicilia, aveva sposato
Isabella Mosca che gli aveva portato in dote Modica e il suo territorio.
Qualche decennio più tardi il feudo, già economicamente florido, passò a
Bernardo Cabrerà. Dal relativo documento si evince che al nuovo conte
spettava la più ampia autonomia amministrativa, giudiziaria, economica:
ben presto la contea divenne un regno nel regno, con tanto di moneta
propria.
La
svolta nella storia di Modica risale al XIV secolo, quando il conte Cabrerà
decise di concedere le proprie terre in enfiteusi ai contadini. Ciò garantì
ai conti un gettito costante, utile per mantenere un alto tenore di vita, ma
allo stesso tempo diede la possibilità ai massari più ricchi di riscattare
le proprietà e di fare un salto di qualità: nel XV secolo, nella contea
di Modica nacque una classe borghese, inesistente nel resto della Sicilia.
Una classe che, insieme alla piccola aristocrazia locale e al clero, diede
forma al proprio status edificando palazzi e chiese eleganti e che, dopo il
terremoto del 1693, finanziò la ricostruzione, dando alla città il suo
aspetto barocco.
Nel
Rinascimento Modica poteva misurarsi alla pari con città come Ferrara e
Milano, e al principio del Novecento una guida turistica la definì una
delle più pittoresche città d’Italia, culla di arti e scienze. Modica,
insomma, avrebbe avuto tutto il diritto di divenire capoluogo della nona
provincia siciliana. La vicina Ragusa, però, aveva più santi in paradiso e
fu dunque preferita. Un affronto che i modicani ancora oggi non hanno del
tutto digerito e che da un lato ha attizzato un fiero campanilismo,
dall’altro ha condotto al ripiegamento di cui dicevamo, superato solo in
tempi recenti grazie a una nuova consapevolezza delle proprie ricchezze e
potenzialità.
Il
riscatto ha, prima di tutto, le straordinarie forme del Barocco siciliano,
esaltate dopo una lunga indifferenza dal saggio dello studioso inglese
Anthony Blunt,
Sicilian Baroque, pubblicato nel 1968. Quando, negli anni Ottanta, questa
fortunata stagione architettonica riuscì a guadagnare l’attenzione
italiana e internazionale, imponendosi per originalità e bellezza, Modica
si ritrovò, per così dire, proprietaria di un tesoro che non sapeva
nemmeno di avere. Le sue splendide chiese, come la svettante San Giorgio e
l’imponente San Giovanni Evangelista a Modica Alta, o la bella San Pietro
a Modica Bassa, insieme ai palazzi sette-ottocenteschi disseminati in
entrambi i quartieri - palazzo Polara e palazzo Grimaldi accanto a San
Giorgio - e lungo viale regina Margherita, diventarono improvvisamente
un’attrazione.
La
rinascita ha trainato, via via, tutto il resto, dal pittoresco tessuto
urbano di Modica Alta all’eleganza novecentesca di corso Umberto I. Fino
al cioccolato, che da semplice produzione locale è diventato una specialità
di cui vantarsi. I cioccolatieri, da piccoli artigiani si sono in breve
trasformati in imprenditori, e se negli anni Novanta si contavano sulle dita
di una mano, oggi le cioccolaterie sono più di trenta, tutte molto attive
nella promozione del loro singolare prodotto, la cui ricetta si fa risalire
al ’500 e si dice mutuata direttamente da quella azteca attraverso i
dominatori spagnoli.
E
mentre si procede a restauri e ristrutturazioni, si moltiplicano alberghi e
bed & breakfast, ristoranti e locali. Oggi Modica è una delle cittadine
siciliane più attive e frizzanti, piena di vita e di iniziative, dove i
monumenti antichi vengono valorizzati e promossi, e vecchio e nuovo
convivono a fianco a fianco. A Modica Bassa, la bella scalinata
fiancheggiata di statue di apostoli che porta all’ingresso della chiesa
di San Pietro è cinta da negozi, bar e boutique sempre affollati, mentre
lungo il sottostante corso Umberto I sfrecciano auto lussuose. A Modica Alta
le vecchie case sono state in buona parte restaurate con cura, e vicoli e
scalinate sono ben tenuti, illuminati da calde luci dorate. Intanto i
recuperi restituiscono sempre nuovi tesori, anche precedenti al terremoto:
come la chiesetta rupestre di San Nicolò Inferiore, con l’abside
rivestita di affreschi in stile bizantino, e la quattrocentesca chiesa di
Santa Maria del Gesù con il suo raffinato chiostro.
Itinerario
Modica
Bassa
Il
nostro
itinerario
a
Modica
Bassa
può
iniziare
da
piazza
Corrado
Rizzone,
cinta
da
palazzi
in
buona
parte
moderni.
Proseguendo
per
via
Tirella,
alla
prima
traversa
a
destra,
ci
si
dirige
verso
il
vasto
piazzale
dove
sorgono
l’incompiuta
chiesa
di
Santa
Maria
delle
Grazie
(Santa
Maria
Ausiliatrice
alle
Cipolluzze)
e
l'attiguo
ex
convento
barocco
dei
padri
Mercedari,
che
oggi
ospita
la
biblioteca
comunale
e
il
museo
etnografico.
Nella
maestosa
facciata
della
chiesa,
arricchita
da
enormi
colonne
ben
modellate,
si
notano
due
nicchie
sprovviste
di
statue
e
belle
decorazioni
barocche,
fra
le
quali
un
bassorilievo
sul
portale
con
lo
stemma
della
contea.
L'interno
a
tre
navate,
da
poco
restaurato,
è
caratterizzato
da
affreschi
di
tipo
classico,
opera
del
pittore
chiaramontano
Giuseppe
Cutello.
Gli
affreschi
della
volta,
del
presbiterio
e
della
cupola
ravvivano
l'ambiente
in
leggera
penombra.
Nella
cupola
e
nella
volta
sono
rappresentati
gli
evangelisti,
alcuni
profeti,
storie
di
Ester
e
Giuditta,
simboli
della
Vergine,
nel
presbiterio
storie
di
Maria.
La
volta
a
botte
è
sostenuta
da
colonne
quadrate
che
dividono
le
navate
con
archi
a
tutto
sesto.
L'altare
maggiore
in
marmo
custodisce
la
sacra
immagine
in
ardesia
della
Madonna
rinvenuta
sul
monte.
Vi
sono,
inoltre,
preziose
tele
fra
le
quali
"L'apparizione
della
Madonna
a
San
Pietro
Nolasco",
fondatore
dell'ordine
dei
padri
Mercedari.
La
chiesa
è
dedicata
alla
Madonna
che,
nel
1709,
liberò
la
città
dalla
peste.
Una
lapide
ricorda
questo
evento
e
proclama
la
Madonna
"Patrona
Civitatis".
Nel
1681,
ai
frati
di
San
Francesco
successero
i
padri
Mercedari
Scalzi
i
quali,
con
l'aiuto
del
comune,
costruirono
un
maestoso
edificio,
chiamato
poi
Lazzaretto,
magnifico
esempio
di
architettura
barocca.
Attualmente
il
Palazzo
dei
Mercedari
è
adibito
a
Museo,
biblioteca
civica
e
sala
per
conferenze,
nel
suo
piano
superiore
è
stato
allestito,
nel
1978,
il
Museo
Ibleo
delle
arti
e
tradizioni
polari
realizzato
dall'associazione
culturale
"Serafino
Amabile
lolla".
Il
museo,
uno
dei
più
interessanti
della
regione,
custodisce
un
ricchissimo
patrimonio
di
attrezzi
agricoli,
arnesi
di
lavoro,
arredi
e
botteghe
artigiane
interamente
ricomposte.
Gli
ambienti,
ricostruiti
con
attrezzature
ed
utensili
originali,
sono
quelli
del
sellaio,
del
carradore,
dello
stagnino,
del
ciabattino,
dello
scalpellino,
del
falegname
ebanista,
del
dolciere,
del
mielaio,
del
fabbro
maniscalco,
del
cannizzaro.
Ricostruita
anche
una
masseria
composta
dal
"bagghiu",
dalla
stalla
con
mangiatoie
ed
attrezzi
da
lavoro
"casa
ri
stari",
dalla
stanza
da
letto
e
dalla
stanza
della
tessitura.
Tra
gli
attrezzi
più
curiosi
quelli
per
la
lavorazione
dei
dolci,
il
torchio
in
legno
di
quercia
per
la
spremitura
del
favo,
la
forgia,
il
mantice,
i
banchi
da
lavoro.
Tornati
in
via
Tirella,
ad
angolo
si
trova
la
Galleria
Antiquaria
ai
Mercedari.
Da
piazza
Rizzone
si
prosegue
per
corso
Umberto
dove
sorgono
bei
palazzi
signorili;
nello
spiazzo,
sulla
destra,
si
notano
l'ex
cinema
ora
"Auditorium
Campailla",
ornato
sulla
fronte
da
quattro
mascheroni
liberty,
la
caserma
dei
carabinieri,
che
si
è
insediata
nell'ex-convento
dei
Carmelitani,
e
la
splendida
e
antica
chiesa
del
Carmine
(Santa
Maria
dell'Annunziata).
Il
complesso,
con
molta
probabilità,
fu
costruito
verso
il
XV
sec,
nel
tempo,
però,
la
chiesa
ha
cambiato
aspetto.
Dopo
il
terremoto
del
1693,
la
parte
superiore
della
facciata
fu
costruita
nello
stile
dell'epoca,
con
una
nicchia
per
la
Madonna
ed
il
campanile;
originali
i
due
piani
inferiori
con
il
bel
portale
ad
arco
acuto
ed
il
magnifico
rosone
traforato.
L'interno
è
preceduto
da
un
vestibolo
con
un
arco
gotico
di
tipo
chiaramontano
ed
una
artistica
acquasantiera.
La
chiesa
è
ad
una
navata
con
ai
lati
altari,
uno
dei
quali
conserva
uno
stupendo
gruppo
gaginiano
fra
i
più
preziosi
di
Modica:
l'annunciazione",
ordinata
agli
autori
nella
prima
metà
del
XVI
secolo,
che
risente
dell'influsso
delle
tradizioni
artistiche
siciliane.
Notevole
è
anche
l’altare
maggiore
in
legno,
scolpito
con
stucchi
in
rilievo,
opera
di
artigiani
locali.
Di
grande
interesse
è
la
visita
del
Museo
Campailla,
intitolato
al
filosofo
e
medico
modicano
che,
con
le
sue
"botti”
curava
la
terribile
sifilide
mediante
inalazioni
di
vapori
di
mercurio.
Ancora
oggi
si
possono
vedere
le
botti,
gli
strumenti,
le
foto
ed
i
documenti
dell'epoca,
conservati
grazie
alla
cura
e
all'impegno
di
Valentino
Guccione.
Proseguendo
per
corso
Umberto,
il
salotto
dei
Modicani,
si
giunge
al
crocevia,
piazza
Principe
di
Napoli,
che
si
apre
alla
confluenza
dei
due
torrenti,
lo
Janni
Mauro
e
il
Pozzo
dei
Pruni,
coperti
dopo
la
grande
alluvione
del
26
settembre
del
1902
dando
vita
al
corso
Umberto
e
alla
via
Marchesa
Tedeschi.
La
piazza
è
dominata
dallo
sperone
dove
una
volta
sorgeva
il
castello
dei
conti.
Imboccando
la
via
Marchesa
Tedeschi,
sulla
destra
vi
sono
il
Palazzo
Municipale,
l'attigua
chiesa
di
San
Domenico
e
il
convento.
Nel
cortile
del
Municipio,
chiuso
da
colonne
che
sostengono
archi
a
tutto
sesto,
si
trova
una
lapide
che
segna
il
livello
raggiunto
dall’acqua
durante
l'alluvione.
Il
convento
e
la
chiesa
dedicata
alla
Madonna
del
Rosario
vennero
edificati
nel
1361.
La
primitiva
chiesa,
distrutta
dal
terremoto
del
1613
e
ricostruita
nel
1678,
non
subì
danni
durante
il
sisma
del
169.
Le
quattro
nicchie
e
le
quattro
statue,
che
circondano
la
porta
di
ingresso
sulla
quale
è
lo
stemma
dei
domenicani,
rappresentano
un
notevole
esempio
di
architettura
settecentesca
modicana.
L'interno
della
chiesa
è
ad
una
navata
con
volta
a
botte
arricchita
da
stucchi
del
Gianforma.
Al
terzo
altare
destro
si
trova
la
tavola
della
"Madonna
del
Rosario"
realizzata
nel
1535
da
Vincenzo
Aniemolo
rifacendosi
ai
moduli
del
Perugino.

Proseguendo
sulla
stessa
via,
si
giunge
alla
chiesa
di
Santa
Maria
di
Betlemme,
oggi
monumento
nazionale.
Il
tempio
fu
edificato
probabilmente
intorno
al
1400,
al
posto
di
quattro
chiese
preesistenti.
La
chiesa
godette
di
particolari
privilegi,
specialmente
quando
le
fu
donato
un
"capello
della
Madonna"
posto
dentro
un
cristallo
di
rocca.
La
struttura
ha
subito
diversi
rifacimenti,
specie
dopo
i
due
disastrosi
terremoti
del
XVII
secolo,
che
hanno
lascialo
intatto
solo
il
magnifico
portale
della
navata
destra.
Il
prospetto
barocco
si
presenta
a
due
ordini,
con
tre
portali
in
quello
inferiore
e
un
finestrone
in
quello
superiore;
affiancato
alla
chiesa
si
erge
un
bel
campanile,
eretto
nel
1897.
L'interno
è
a
tre
navate,
con
tetto
a
capriate
decorato
ed
istoriato;
il
pavimento
in
marmo
è
del
1888.
Il
capolavoro
di
questa
chiesa
è
la
Cappella
del
Sacramento
o
Cappella
Palatina,
nota
per
la
presenza
di
tombe
gentilizie
ed
eretta
nel
XV
secolo;
essa
è
un
raro
ed
elegante
esempio
di
architettura
tardo-gotica
chiaramontana
con
influssi
arabo
normanni
e
catalani,
dovuti
evidentemente
ai
Cabrera
che
vollero
far
notare
in
questa
chiesa,
posta
ai
piedi
del
loro
castello,
tutta
l’opulenza
della
loro
famiglia.
La
cappella
è
a
pianta
quadrata
con
cupoletta
a
calotta
raccordata
da
pennacchi
angolari
a
nicchie
e
stalattiti.
All'altare
si
trova
la
cinquecentesca
"Madonna
in
trono
con
Bambino",
in
pietra
dipinta.
L'arcata
ogivale,
tutta
scolpita,
è
ornata
da
fasce
ed
arricchita
da
una
bella
cancellata
in
ferro
battuto.
All'altare
maggiore
è
posta
una
enorme
pala
di
G.
B.
Ragazzi
firmata
e
datata
1776;
al
margine
sinistro
è
l'autoritratto
dell'autore.
Nella
navata
sinistra,
in
una
cappella
laterale,
si
trova
un
magnifico
presepe
che
fu
realizzato
nel
1882
da
padre
Benedetto
Papale.
È
composto
da
circa
60
statue
in
terracotta,
provenienti
dalla
fabbrica
di
Bongiovanni
Vaccaro
di
Caltagirone,
che
riproducono
antiche
scene
familiari
collocate
in
paesaggi
di
pietra,
sughero,
cartone,
legno
e
cera.
La
scenografia,
ispirata
alla
cava
di
Santa
Maria,
è
realizzata
con
tale
naturalezza
da
rendere
il
presepe
un
piccolo
capolavoro
artigianale.
Nella
navata
centrale
spiccano
il
maestoso
organo
e
il
monumentale
pulpito
in
legno
scolpito.
Nella
via
Santa
Maria,
che
sale
lungo
il
fianco
sinistro
della
chiesa,
si
vede,
murata
sulla
destra,
una
lunetta
(lunetta
di
Berlon),
in
pietra
con
scritture
gotiche,
rappresentante
la
Natività,
che
probabilmente,
secondo
lo
storico
Belgiorno,
doveva
far
parte
del
portale
d'ingresso
della
preesistente
chiesa
di
Santa
Maria
delle
Cateratte.
Tornando
in
corso
Umberto,
al
n.
14
della
piccola
via
De
Leva
che
si
inerpica
sul
fianco
della
collina,
vi
è
la
casa
De
Leva.
E'
un
edificio
nobiliare
molto
antico,
appartenuto
per
secoli
ad
una
nobile
famiglia
modicana
della
quale
lo
stemma
araldico
domina
ancora
sulla
facciata
principale.
Da
diversi
decenni
ormai
il
Palazzo
De
Leva
viene
adibito
come
location
per
mostre
artistiche
o
eventi
culturali
di
grosso
spessore.
Suggestiva
l'atmosfera
che
si
respira
all'interno,
nel
piccolo
suggestivo
patio
dove
è
possibile
ammirare
un
elaborato
portale
medievale
dal
caratteristico
stile
gotico-chiaramontano.
Il
portale,
in
origine,
apparteneva
ad
un
edificio
religioso
ma,
nella
ricostruzione
dopo
il
terremoto
del
1693,
venne
inglobato
al
palazzo.
Proseguendo
per
corso
Umberto,
"u
salottu",
si
incontrano
magnifici
palazzi
nobiliari
dai
bei
balconi
decorati
con
stupendi
mensoloni,
come
il
palazzo
Ascenzo.
Ciò
che
rende
unico
questo
palazzo
è
il
suo
interno,
ancora
perfettamente
conservato
senza
aver
mai
subito
alcun
restauro.
La
pazienza
e
l’amore
dei
proprietari,
che
da
generazioni
se
ne
prendono
cura,
hanno
permesso
di
poter
lasciare
inalterati
i
suoi
interni.
Seppur
l’originario
ingresso
coincida
con
il
monumentale
portale
di
Corso
Umberto,
ora sede
di
una
nota
attività
commerciale
locale, ed
oggi
invece
si
entri
dall’ingresso
di
servizio
sito
in
via
Pisacane,
entrambi
i
percorsi
portano
alla
medesima hall. Questo
ampio
e
solenne
ingresso
presenta
una
pavimentazione
in
pietra
pece,
mobilio
ed
infissi
neri
che
trasmettono
una
sensazione
di
estrema
austerità,
spezzati
da
alcuni
elementi
d’arredo.
Spicca
ad
accogliere
l’ospite
il
grande
stemma
di
famiglia,
anche
esso
in
pietra
pece,
sotto
il
quale
è
incorniciata
una
copia
dell’atto
di
nobilitazione
della
famiglia
di
Carlo
V.
Ciò
che
però
emoziona
l’ospite
più
di
ogni
altra
cosa
sono
i
saloni
di
rappresentanza,
ancora
perfettamente
conservati:
sembra
di fare
un
tuffo
nel
passato.
Lungo
il
corso,
alla
sommità
di
un'alta
e
scenografica
scalinata
animata
dalle
statue
degli
apostoli,
sorge
la
fastosa
e
grandiosa
chiesa
di
S.
Pietro,
patrono
della
città.
Ai
piedi
della
scalinata
ogni
anno
per
Pasqua
si
incontrano
le
statue
della
Madonna
e
del
Cristo
risorto
tra
un
tripudio
di
folla
che
acclama
l'avvenimento.
Si
tratta
della
festa
della
Madonna
Vasa
Vasa,
durante
la
quale
si
svolgono
rappresentazioni
sacre,
riti
pasquali
e
concerti
musicali.
Nelle
vicinanze
del
Duomo,
in
un
modesto
slargo,
si
trova
la
chiesetta
Nicolò
Inferiore.
Si
tratta
di
una
grotta,
scoperta
nel
1987
da
Duccio
Belgiorno,
quasi
interamente
affrescata.
Le
pitture
più
interessanti
sono
quelle
risalenti
al
XIV-XV
sec.
dove
è
rappresentato,
tra
l'altro,
un
Cristo
Pantocrator
in
una
grande
mandorla,
contornato
da
angeli
e
santi.
Nei
pressi
si
trova
la
casa
natale
del
premio
Nobel
per
la
letteratura
Salvatore
Quasimodo
che
custodisce
documenti,
foto
e
ricordi
del
poeta.
Il
tratto
seguente
del
corso
Umberto
I
mostra
palazzi
settecenteschi
di
buona
fattura;
da
ricordare
il
palazzo
Rosso
con
balconi
sostenuti
da
caratteristici
mensoloni
che
rappresentano
sirene
musicanti
che
cavalcano
delfini
e
mascheroni.
Proseguendo
lungo
il
corso
si
notano
la
chiesa
di
Santa
Maria
del
Soccorso
annessa
all'ex
collegio
gesuitico,
recentemente
restaurata
e
dalla
caratteristica
facciata
curvilinea;
il
palazzo
Rubino,
caratterizzato
da
bellissimi
balconi
ricchi
di
decorazioni
e
sostenuti
da
mensoloni
che
rappresentano
personaggi
con
cappelli
piumati
dall'aria
severa
con
baffi
e
pizzo,
dolci
figure
muliebri
e
i
tipici
mascheroni
ghignanti,
sommersi
da
una
folta
selva
di
foglie
d'acanto;
palazzo
Arena,
dal
bel
balcone
unico
sostenuto
da
mensoloni
che
rappresentano
volti
vampireschi
e
grotteschi;
il
teatro
Garibaldi
ed
altri
palazzi
nobiliari.
Duomo
di
San
Pietro

Un
documento
del vescovo
di
Siracusa ne
attesta
l'esistenza
in
sito
nel 1396,
ma
la
data
della
sua
prima
edificazione
è
da
collocarsi
dal 1301 al
1350
circa,
come
attestato
dallo
storico
secentesco Placido
Carafa.
Eretta
in collegiata con bolla
papale di Clemente
VIII del
2
gennaio 1597,
due
secoli
dopo
per Decreto
Regio di Carlo
III
di
Borbone (1797),
e
in
seguito
a
secolare
disputa,
è
stata
dichiarata Chiesa
madre al
pari
di San
Giorgio,
la
chiesa
"ufficiale"
dei conti
di
Modica.
Il
terremoto
del
1693
colpì
gravemente
la
chiesa
proprio
nel
momento
in
cui
tentava
di
consolidare
il
suo
ruolo
istituzionale
di
chiesa
Madre
in
opposizione
alla
chiesa
di
San
Giorgio,
pur
tra
gravi
disavventure
religiose,
confortata
dalle
pingui
rendite
ricevute
in
dono
dalle
nobildonne
Petra
Mazzara
e
Agata
Caggia
durante
la
seconda
metà
del
Seicento.
Ed
è
proprio
la
volontà
di
affermare
il
ruolo
istituzionale
all'interno
della
città
a
determinare
la
decisione
di
ricostruire
subito,
mantenendo,
molto
probabilmente
le
dimensioni
della
chiesa
andata
distrutta.
Nel
primo
decennio
del
Settecento
era
già
stato
costruito
il
primo
ordine
della
facciata,
come
buona
parte
delle
strutture
murarie
e
delle
colonne.
Rimane
tuttora
sconosciuto
il
progettista
della
ricostruzione
settecentesca;
son
giunte
fino
a
noi,
invece,
le
perizie
dei
capimastri
Rosario
Boscarino
e
Mario
Spata
per
stimare
i
lavori,
il
che
non
autorizza,
però,
ad
assegnare
ad
essi
il
disegno
della
chiesa.
L'architettura
dell'edificio
non
presenta
caratteri
stilistici
unitari,
essendo
il
risultato
di
due
momenti
progettuali.
Il
primo
ordine,
infatti,
ha
caratteri
secenteschi
nel
disegno
dei
portali,
nei
motivi
decorativi
delle
colonne
e
delle
trabeazioni;
il
secondo
ordine,
invece,
va
riferito
sicuramente
alla
seconda
metà
del
Settecento:
gli
elementi
stilistici
della
finestra
e
della
volute
di
raccordo
ci
indirizzano
verso
un
gusto
rococò.
Una
scalinata
con
le
statue
dei dodici
apostoli,
chiamati
dal
popolo
"santoni",
conduce
alla
facciata
suddivisa
in
due
ordini,
e
abbellita
da
quattro
statue,
raffiguranti san
Cataldo, santa
Rosalia,
san
Pietro
e
la
Madonna,
che
arricchiscono
il
secondo
ordine,
che
è
infine
sormontato
all'apice
della
facciata
dalla
scultura,
in altorilievo,
di
un
Gesù
Cristo
in
trionfo.
Nonostante
i
tempi
e
gli
stili
diversi,
la
facciata
si
presenta
elegante
e
raffinata.
L'interno
è
a
tre
navate,
divise
da
colonne
con
capitelli
corinzi,
con
due
cappelle
che
si
affiancano
alle
navate
minori.
È
uno
spazio
monumentale
unitario
nella
sua
articolazione
definitiva.
Le
cappelle,
realizzate
lungo
tutto
il
Settecento
ed
in
alcuni
casi
nel
secolo
scorso,
riflettono
la
cultura
architettonica
tardo-barocca
nelle
colonne
tortili
ed
in
quelle
ornate
da
motivi
fogliacei.
Lo
spazio
più
ricco
di
elementi
decorativi
è
quello
dell'abside,
articolato
da
semicolonne
e
dalla
presenza
delle
sculture
dell'Assunta,
di
S.
Pietro,
di
S.
Paolo,
realizzato
fra
il
1773
e
il
1775
dal
napoletano
Pietro
Padula,
autore,
in
quegli
stessi
anni,
delle
sculture
del
presepe
di
S.
Bartolomeo
di
Scicli.
La
chiesa
continuerà
ad
essere
trasformata
durante
l'Ottocento
con
la
realizzazione
di
alcune
cappelle
e
con
la
ricostruzione
delle
volte
delle
navate
laterali.
Nel
corso
di
quest'ultimo
intervento
motivi
tardo
ottocenteschi
e
stilemi
tardo-barocchi
vengono
a
definire
lo
spazio
interno.
L'ultima
integrazione
di
rilievo
è
quella
dell'organo
realizzato
negli
anni
Venti
dai
fratelli
Giovanni
e
Francesco
Foti
per
la
parte
lignea
e
da
Michele
Polizzi
per
la
parte
meccanica.
All'interno
si
conservano
due
statue
marmoree,
una
"Madonna
di
Trapani"
attribuibile
ad
un
allievo
di Francesco
Laurana,
databile
intorno
al
1470,
ed
una
"Signora
del
Soccorso"
(1507),
altrimenti
detta Madonna
della
mazza per
la
stretta
somiglianza con
l'analoga
opera
dello
scultore Giorgio
da
Milano,
detto
Il Brigno,
presente
nel Duomo
di
Termini
Imerese (altra
Madonna
col
Bambino,
datata 1497,
molto
simile
nel
panneggio
a
quella
di
Modica,
sempre
dello
stesso
scultore,
si
trova
nella chiesa
di
Santa
Caterina a Naro,
col
nome
di
Madonna
delle
Grazie).
La
statua
ora
in
San
Pietro
è
proveniente
dalla chiesa
di
Santa
Maria
del
Soccorso,
dove
a
sua
volta
era
stata
portata
dalla
vecchia
chiesa
dallo
stesso
nome
distrutta
nel
1927
per
costruire
l'istituto
magistrale.
Giorgio
Brigno
da
Milano,
considerato
dal Pitruzzella uno
dei
migliori
artisti
del Rinascimento
siciliano,
lavorava
a
Palermo
nella
bottega
di Domenico
Gagini.
È
presente
inoltre
un
gruppo
statuario
che
raffigura San
Pietro
e
il
paralitico,
del
1893,
in
legno
di
quercia,
del
palermitano
Benedetto
Civiletti.
Il
lampadario
centrale,
che
incombeva
sull'altare
maggiore,
era
un
notevole
lavoro
di
vetreria
proveniente
da Murano,
ma
è
ora
in
attesa
di
essere
rimpiazzato
dopo
essersi
distrutto
precipitando
al
suolo
nel
marzo 2011.
Il
patrono
di
Modica
è
San
Pietro,
ma
la
festa
più
sentita
e
ricca
di
partecipazione
popolare
è
quella
della
"Madonna
Vasa-Vasa".
La
festa
inizia
con
la
vestizione
della
statua
della
Madonna
nella
chiesa
di
Santa
Maria
di
Betlemme.
La
Madonna
è
"a
lutto"
per
la
morte
di
suo
figlio
Gesù
e
viene
coperta
da
un
manto
nero
ornato
d'oro.
Il
suono
delle
campane
e
della
banda
musicale
annuncia
l'uscita
dalla
chiesa
di
Santa
Maria
di
Betlemme
della
statua
di
Gesù
resuscitato,
portato
a
braccia
dai
fedeli.
Il
Cristo,
col
torso
nudo
e
coperto
solo
da
una
tunica
rossa,
porta
nella
mano
destra
benedicente
delle
foglie
di
palma
intrecciate
dalla
forma
di
piccola
spada
e
nella
mano
sinistra
il
vessillo
con
i
colori
della
resurrezione.
Successivamente
i
modicani
portano
la
statua
della
Madonna
in
giro
per
le
vie
e
le
chiese
di
Modica
alla
ricerca
del
figlio,
accompagnata
solo
dal
suono
del
tamburo.
Le
statue
s'incontreranno
alle
dodici
in
Piazza
San
Domenico:
la
Madonna,
perduto
il
manto
nero
per
la
gioia
di
avere
incontrato
il
figlio
risorto,
è
vestita
di
un
manto
celeste
e
abbraccia
il
figlio,
inchinandosi
di
fronte
a
lui
e
baciandolo
(da
qui
il
nome
di
Madonna
Vasa-Vasa).
Fra
la
gioia
del
popolo
le
due
statue
affiancate
benedicono
i
fedeli
e
proseguono
verso
la
chiesa
di
San
Pietro
dove
avverrà
un
altro
incontro
per
poi
rientrare
in
chiesa.
In
anni
passati,
nel
solenne
momento
del
primo
incontro
detto
della
"pace",
si
facevano
volare
delle
colombe
con
nastrini
colorati
appesi
alle
zampe
e
dal
loro
volo
il
popolo
traeva
gli
auspici
per
l'andamento
dell'annata.
Tra
coloro
che
assistevano
commossi
vi
era
uno
scambio
di
baci
e
abbracci,
dimenticando
vecchie
offese
e
rancori.
Oggi
ad
ogni
incontro
si
leva
un
applauso.
Chiesa
di
Santa
Maria
del
Carmelo

La chiesa
di
Santa
Maria
del
Carmelo,
detta
"del Carmine"
(fine
XIV
-
inizi
XV
sec.),
in
precedenza chiesa
di
Santa
Maria
dell'Annunziata
è
uno
dei
pochi
monumenti
che
resistette
alla
violenza
del terremoto
del
1693.
Il prospetto,
che
aveva
in
parte
superato
anche
i terremoti
del
1542 e 1613,
è
arricchito
da
un
bel portale risalente
alla
fine
del Trecento,
già
dichiarato Monumento
Nazionale all'inizio
del XX
secolo,
sovrastato
da
un rosone
francescano
con
dodici
raggi,
il
tutto
in
stile tardogotico
chiaramontano.
Le
parti
superiori
della facciata e
del
campanile
sono
comunque
sovrastrutture
barocche settecentesche
post-terremoto.
All'interno,
a
lato
dell'altare,
si
conserva
una
cappella
tardo-gotica,
anch'essa
databile
alla
fine
del
XIV
secolo,
riportata
alla
luce
di
recente.
Presenta
essa
tracce
di
affreschi
murali,
ed
il
suo
pavimento
ricopre
una
cripta
funeraria,
visibile
da
una
botola,
mentre
una
parete
di
tamponamento
del
Settecento
ha
tenuto
nascosto
per
tre
secoli
l'arco
d'ingresso
alla
cappella,
trapuntato
come
un
merletto.
Tamponato
da
un
muro,
un
altro
arco
di
accesso
ad
una
delle
antiche
cappelle
laterali
è
visibile
sul
muro
di
destra
non
appena
si
entra
in
chiesa.
Sempre
all'interno
dell'atrio,
sulla
destra,
è
esposta
una Madonna
del
latte (secolo
XIV):
una
statua
in cartapesta,
originale
come
tema
e
da
considerare
una
rarità
anche
per
la
datazione,
essendo
coeva
all'edificazione
della
chiesa.
Un
altare
sulla
sinistra
accoglie
il
gruppo
statuario
in
marmo
bianco
dell'Annunciazione,
opera
di Antonello
Gagini.
Il
gruppo
scultoreo
fu
consegnato
all'ordine
Carmelitano nel 1532.
All'interno
della
chiesa
si
conserva
anche
la tavola
di Sant'Alberto (forse
facente
parte
di
un polittico),
dipinta
nei
primi
anni
del Cinquecento (durante
la
sua
residenza
siciliana
fra
il 1513 ed
il 1517)
da Cesare
da
Sesto,
allievo
di Leonardo
da
Vinci.
Girando
lo
sguardo
all'indietro,
nella
cantoria
collocata
sopra
l'ingresso
della
chiesa,
si
ammira
un
delizioso
piccolo
organo
monumentale
in
legno,
il
più
antico
fra
quelli
ancora
funzionanti
a
Modica,
datato 1774.
Risale
al 2006,
invece,
durante
lavori
edili
di
sgombero,
il
ritrovamento
da
parte
di
un
privato,
proprietario
di
un
locale
attiguo
alla
chiesa
sul
lato
di
via
Pellico,
di
un
altro
portale gotico di
fine Trecento,
che
costituiva
l'ingresso
dalla navata ad
una
delle
cappelle
laterali,
poi
andata
svenduta,
quindi
adattata
a
civile
abitazione,
dopo
i
danni
causati
dal
terremoto
del 1693.
I
lavori
di
recupero
-
supervisionati
dalla Soprintendenza
alle
Belle
Arti -
avvisata
della
scoperta
dallo
stesso
proprietario
-
hanno
portato
anche
al
rinvenimento
di
una cripta sotterranea,
colma
di
ossa,
probabili
reliquie
dei monaci carmelitani.
L'edificazione
avvenne
a
seguire
la
Chiesa
omonima,
fra
la
fine
del Trecento e
la
prima
metà
del Quattrocento,
per
ospitare
i
frati Carmelitani giunti
in
Sicilia
già
da
qualche
decennio.
Il
convento
era
dotato
di
23
celle,
ed
è
stato
sottoposto
a
varie
ristrutturazioni
ed
ampliamenti
da
sovraelevazione
nel
corso
dei
secoli,
soprattutto
dopo
i
danni
del
terremoto
del
1693,
e
successivamente,
quando
fu
requisito
dal
Regno
d'Italia
nel 1861 per
farne
sede
della
Caserma
dei Carabinieri.
È
in
questa
occasione
che
vengono
a
scomparire
gli
orti
antistanti
il
convento,
per
essere
trasformati
nella
pubblica
piazza
del
Carmine,
intitolata
nel
secolo
successivo
a
Giacomo
Matteotti.
Il
prospetto
è
stato
interamente
rifatto,
in
stile
neorinascimentale-liberty.
Trasferitasi
l'Arma
dei
Carabinieri
in
altra
sede
intorno
al
2000,
sono
stati
pensati,
progettati,
ed
in
questo
inizio
d'anno
2012
quasi
conclusi,
degli
importanti
lavori
di
restauro
e
consolidamento,
che
hanno
portato
a
fortuiti
rinvenimenti
delle
strutture
portanti
medievali,
sono
state
scrostate
le
mura,
e
riportati
alla
luce
i
pavimenti
in
acciottolato
del
XIV
secolo,
gli
archi
ogivali
gotici
che
immettono
da
un
ambiente
conventuale
ad
un
altro,
delle
finestrelle
in
stile
svevo
chiaramontano
del
XIV
secolo.
Il
pavimento
di
un
ambiente,
confinante
con
l'attigua
ex
Chiesa
di
San
Giovanni
Battista
dei
Cavalieri
Gerosolimitani,
sembra,
per
il
suo
disegno
geometrico,
con
quasi
certezza
appartenere
ad
una
vecchia
strada
laterale
al
convento
stesso
inglobata
successivamente
all'interno
della
struttura
conventuale.
Le
notevoli
risultanze
e
rinvenimenti
di
questi
restauri
sono
stati
presentati
nel
corso
della
XX
giornata
del
Fondo
Ambiente
Italiano
(FAI),
del
24
e
25
marzo
2012.
Chiesa
di
Santa
Maria
di
Betlem

La chiesa
di
Santa
Maria
di
Betlem è
una
delle
tre
antiche collegiate (dal 1645)
di Modica,
risalente
al XIV
secolo.
La
facciata
è
rinascimentale
nel
suo
primo
ordine
di
fine
Cinquecento,
disegnato
dall'architetto netino Corrado
Rubino nel 1571,
mentre
è
stata
ricostruita
dopo
il terremoto
del
1693,
per
essere
completata
fra
il 1816 ed
il 1821 nel
suo
secondo
ordine,
di stile
neoclassico.
Il
campanile
fu
costruito
nel
1897
dal
capomastro
modicano Giuseppe
Garofalo
Giannone.
Nasconde
al
suo
interno
una
pregevolissima
Cappella
Palatina,
detta
anche
Cappella
Cabrera
(1474-1520, Monumento
nazionale),
in
stile tardo
gotico,
sopravvissuta
al
terremoto
del
1693
e
incastonata
nella
nuova
architettura
settecentesca.
L'arco
di
ingresso
alla
Cappella
(deve
il
suo
nome
al
conte Giovanni
Cabrera,
presente
al Castello
di
Modica dal 1466,
onde
ringraziarlo
per
le
ingenti
donazioni
fatte
alla
chiesa
nel
suo
testamento
del 1474),
con
elementi
decorativi
arabi,
normanni
e
catalani,
è
uno
dei
più
bei
monumenti
che
l'architettura
abbia
prodotto
in Sicilia a
cavallo
dei
secoli
XV
e
XVI,
dando
persino
nome
ad
uno
stile
artistico,
il gotico
chiaramontano,
che
in Sicilia viene
riconosciuto
e
descritto
semplicemente
come stile
chiaramontano,
a
ricordo
della
dinastia
dei Chiaramonte, conti
di
Modica,
e
regnanti
a
Palermo
insieme
ed
in
collaborazione
ai
re
aragonesi.
L'arco
è
composto
da
un
fascio
di
colonne
per
lato
riccamente
arabescate,
con
infiniti
ornamenti,
bizzarri
motivi
vegetali
e
animali,
figure
di
uomini
grottesche
o
fantastiche;
le
colonne
terminano
con
capitelli
finemente
scolpiti.
L'organo
monumentale
in
legno
è
del 1818,
il
soffitto
a
cassettoni
ed
il
pavimento
sono
di
fine
Ottocento.
Di
buona
fattura,
dietro
l'altare,
la
grande
tela
dell'Assunzione
della
Vergine,
dipinta
da Gian
Battista
Ragazzi nel 1713.
Suggestivo
in
questa
chiesa
è
anche
il
Presepe
Monumentale
permanente
(1881/82),
la
cui
scenografia
è
del
cappuccino
fra Benedetto
Papale,
con
62
statuette
in
terracotta
realizzate
a Caltagirone;
all'esterno,
in
una
parete
a
sinistra
della
chiesa,
è
incassata
la Lunetta
di
Berlon,
bassorilievo
con
Natività
(fine
Trecento),
appartenente
al
prospetto
della
chiesetta
di
Santa
Maria
di
Betlem
che
insisteva
in
precedenza
sul
luogo
in
cui
sorge
l'attuale
Santa
Maria;
alla
base
della
scultura
si
intravede
una
iscrizione
in
lettere
gotiche.
La
chiesa
è
parrocchia
della
diocesi
di
Noto
e
si
svolgono
regolari
funzioni
religiose,
la
Santa
Messa
domenicale
è
alle
ore
11.00.
Chiesa
di
San
Domenico
La
chiesa
di
San
Domenico,
detta
del
Rosario,
presenta
uno
dei
pochi
prospetti
rimasti
integri
dopo
il
terremoto
del 1693.
L'originaria
costruzione
della
chiesa,
con
l'annesso
convento
dei Domenicani risale
al 1461.
Quindicesima
istituzione
dell'ordine
in
terra
di
Sicilia
patrocinata
dai
membri
della
casata Almirante
di
Castiglia, Henriquez-Cabrera, Conti
di
Modica. Il
luogo
sacro
è
ricco
di
interessanti
tele
del
Cinquecento,
ed
ha
una
cappella
interna,
un
tempo
riservata
alla
preghiera
dei
frati,
riccamente
decorata
con
pitture
murali
e
pregevoli
stucchi.
Il
convento
è
sede
del
Palazzo
Municipale,
dal 1869,
anche
se
da
documenti
d'archivio
risulta
che
il
consesso
dei
Giurati
(come
si
chiamavano
allora
i
consiglieri)
ivi
si
riunivano
già
nel 1626.
Nell'atrio
è
visitabile
una
interessante
cripta
sotterranea
(Seicento),
scoperta
da
Giovanni
Modica
Scala
a
metà
Novecento,
contenente
resti
ossei,
attribuibili
ai
Frati
Domenicani
stessi,
e
che
lascia
intravedere
tracce
di
affreschi.
Il
convento
era
sede,
per
la
diocesi
di
Siracusa,
del Tribunale
dell'Inquisizione,
o
Sant'Uffizio.
Casa
natale
di
Salvatore
Quasimodo
Casa
natale
di Salvatore
Quasimodo,
in
cui
il
20
agosto 1901 nacque
il
poeta,
insignito
del Premio
Nobel
per
la
Letteratura il
10
dicembre
1959.
La
casa,
dove
Salvatore
visse
solo
i
primi
5
giorni
della
sua
vita è
visitabile.
Contiene,
nella
stanza
in
cui
vide
la
luce,
un
letto
in
ferro
battuto,
un
inginocchiatoio,
un
capezzale
e
altri
mobili
ed
arredi
di
primo
Novecento;
inoltre
sono
presenti
una
vecchia
macchina
da
scrivere Olivetti,
uno
scrittoio,
una
collezione
di
dischi,
una
libreria
con
annessi
libri,
provenienti
da
uno
degli
studi
di
Milano,
che
il
figlio
Alessandro
ha
venduto
alla
Regione
Siciliana
nel 1996,
insieme
ad
altri
oggetti
regolarmente
inventariati
dall'Assessorato
Regionale
ai
Beni
Culturali.
Da
un
vecchio
nastro,
ai
visitatori
viene
fatta
ascoltare
la
voce
del
Poeta
che
recita
alcune
sue
poesie,
e
sempre
dalla
sua
viva
voce,
il
discorso
dal
titolo
"Il
Politico
ed
il
Poeta"
da
Quasimodo
letto
a
Stoccolma
in
occasione
del
conferimento
del
Nobel.
Chiesa
rupestre
di
San
Nicolò
Inferiore
Presenta
dei
magnifici
affreschi
sulla
nuda
roccia,
di
stile
tardo-bizantino,
databili
fra
il
XII
ed
il
XVI
secolo
(l'anno
1594
si
trova
dipinto
sulla
roccia
accanto
ad
una
raffigurazione):
si
tratta
di
una
grotta
artificiale,
in
pieno
centro
cittadino,
nella
quale
si
osservano
diversi
cicli
di
affreschi;
una
chiesa
rupestre
definita
dagli
studiosi
un unicum nel
panorama
della
Sicilia
medievale.
L'affresco
principale
è
un
bellissimo Cristo
Pantocratore posto
al
centro
dell'abside,
dove
si
raffigura
un
Cristo
benedicente
racchiuso
in
una
mandorla
seduto
su
un
trono
fra
due
coppie
di
Angeli.
Sul
lato
destro
dell'abside
si
trova
un
catino
battesimale,
scavato
nella
roccia,
per
il
battesimo
con
rito
orientale.
Ultimi
in
ordine
di
tempo,
alcuni
lavori
di
scavo
hanno
portato
alla
luce
una
serie
di
cripte
e
di
tombe
terragne.
Palazzo
Grimaldi
con
Pinacoteca
Palazzo
Grimaldi,
XVIII-XIX
secolo,
con
l'annesso
portale
della
Chiesetta
di
S.
Cristoforo,
cappella
privata
della
famiglia
Grimaldi,
si
incontra
lungo
il
corso
principale
a
poche
decine
di
metri
dal
Duomo
di
San
Pietro.
Rappresenta,
forse,
con
i
suoi
14
balconi
in
due
piani,
il
più
bell'esempio
di
edificio
in
stile
neorinascimentale
fra
quelli
che
si
affacciano
sul
centro
storico
di
Modica
Bassa.
Il
terzo
piano
è
stato
sovrapposto
nel
secondo
Ottocento
ma
il
progettista
ha
lavorato
nel
segno
di
chi
lo
aveva
preceduto,
inserendo
le
mensole
sotto
i
balconi
del
terzo
piano.
Qui,
peraltro,
il
partito
centrale
ripropone
un
balcone
quasi
identico
a
quello
del
secondo
piano,
in
cui
si
nota
la
presenza
ai
lati
degli
scudi
araldici
di
famiglia.
Il
palazzo
è
sede
della Fondazione
Giovan
Pietro
Grimaldi,
creata
dall'illustre
fisico
che
fu
anche Magnifico
Rettore
dell'Università
di
Catania,
nonché
fratello
del
celebre
agronomo Clemente,
ed
ospita
nei
suoi
saloni
una
Pinacoteca,
ricca
di
opere
pittoriche
dei
più
noti
artisti
dell'area
iblea
dalla
seconda
metà
dell'Ottocento fino
ai
nostri
giorni.
Teatro
Garibaldi
La
prima
costruzione
fu
realizzata
fra
il 1815 ed
il 1820,
accorpando
un
magazzino
con
la
casa
di
un
aristocratico,
e
fu
chiamato Real
Teatro
Ferdinandeo in
onore
al
regnante
dell'epoca.
Aveva
due
file
di
24
palchi
e
la
platea.
Nel 1844 fu
affidato
all'ingegner
Salvatore
Riga
il
compito
di
progettare
l'ampliamento
del
teatro,
raddoppiando
la
grandezza
della
platea,
innalzando
una
terza
fila
di
palchi
ed
aggiungendo
il
loggione,
riproducendo
così
lo
stile
dei
teatri
lirici
all'italiana
presenti
nelle
maggiori
città
siciliane.
Eseguiti
i
lavori
fra
il 1852 ed
il 1857 sotto
la
direzione
dell'architetto
Salvatore
Toscano,
il
teatro,
dopo
l'Unità
d'Italia
fu
intitolato
a
Garibaldi.
Esso
si
presenta
con
la
facciata
in
stile
liberty
(o
neoclassico),
con
i
due
piani
sormontati
da
una
balaustra
che
presenta
al
centro
un
pannello
scultoreo
decorato
con
strumenti
musicali.
Sopra
il
pannello
fu
posto,
sorretto
da
due
figure
maschili,
un
orologio,
con
in
cima
l'aquila,
simbolo
della
Contea
di
Modica.
Fu
inaugurato
nel 1857 con
la Traviata di Giuseppe
Verdi.
È
un
piccolo
vero
gioiello,
che
in
miniatura
riproduce
i
teatri
delle
grandi
città,
con
la
sua
platea,
i
suoi
tre
ordini
di
palchi
molto
eleganti,
il
loggione,
la
volta
istoriata
nell'agosto-settembre 1999 con
un
grandioso
dipinto,
un
olio
su
tela
(diametro
m.
4,40)
del
maestro Piero
Guccione e
degli
altri
del
Gruppo
di
Scicli,
i
pittori
Franco
Sarnari,
Giuseppe
Colombo
e
Piero
Roccasalva.
Dopo
lavori
di
restauro
e
di
messa
in
sicurezza,
è
stato
riaperto
al
pubblico
definitivamente
nel 2004.
Nel Dicembre 2016,
sono
stati
avviati
i
lavori
di
recupero
della fossa
orchestrale al
fine
di
ospitare
spettacoli
di opera
in
musica.
Già
da
un
decennio
(2017),
il
Teatro
Garibaldi,
con
i
suoi
313
posti
complessivi,
è
ritornato
ad
essere
il
luogo
di
intrattenimento
culturale
per
eccellenza
per
i
modicani,
ma
anche
per
gli
appassionati
di
teatro
e
musica
di
vario
genere
dell'intero
comprensorio
orientale
della
provincia.
Al
fine
di
valorizzare
il
Teatro
ai
massimo
livelli,
per
quanto
riguarda
la
sua
funzione
culturale,
e
per
la
fruizione
turistica,
nel
corso
del 2009 è
stato
approntato
lo
statuto
della Fondazione
Teatro
Garibaldi,
istituita
ufficialmente
il
29
gennaio 2010,
che
ogni
anno
organizza
una
stagione
teatrale
con
spettacoli
di
prosa
e
musicali,
valorizzando
anche
le
realtà
locali
con
rassegne
di
teatro
dialettale
e
con
una
rassegna
musicale
dedicata
al
Liceo
Musicale
dell'I.I.S.
"G.Verga"
di
Modica.
La
gestione
al
2017
è
affidata
a Tonino
Cannata nella
figura
di
soprintendente
ed
a Carlo
Cartier e Giovanni
Cultrera nella
figura
di
direttore
artistico
rispettivamente
per
la
prosa
e
per
la
musica.
Pag.
1
Pag.
3
Agosto
2019
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