Modica (Borgo)
(Ragusa)
  
 

 

Su e giù per la città barocca

Di Modica non ce n’è una sola. Ce ne sono tre. Modica Alta, ancora medievale, con i vicoli e le scalette che si avvinghiano ai fianchi della collina. Modica Bassa, tutt’intorno al lungo corso Umberto I, quello che i modicani chiamano il “salone” per l’eleganza dei suoi palazzi otto-novecenteschi e per i raffinati negozi. Poi c’è il quartiere di Modica Sorda, la parte più nuova, tagliata a metà dalla statale, con case moderne e centri commerciali, il luogo in cui i cittadini hanno dato sfogo alle loro necessità di espansione, lasciando praticamente intatto il centro storico composto dalle prime due.

La suddivisione di Modica non fu, comunque, una scelta consapevole, e i modicani, fino a qualche decennio fa, non erano particolarmente innamorati della loro città. Nemmeno Salvatore Quasimodo, che pure nacque qui nel 1901, celebrò le proprie radici. Di Modica, in pratica, non si sentiva quasi mai parlare.  

Con la “scoperta” del barocco siciliano ancora di là da venire e lo “scippo”, nel 1927, del titolo di capoluogo di provincia a opera della vicina Ragusa, era come se i modicani si fossero ripiegati su loro stessi, come se avessero dimenticato che la loro cittadina di provincia discendeva dalla capitale di uno degli stati feudali più importanti d’Italia.

Era stato un matrimonio a originare, nel 1296, la ricca e potente contea di Modica: Manfredi Chiaramonte, già conte di Ragusa nonché erede di una quantità di altri titoli e possedimenti in tutta la Sicilia, aveva sposato Isabella Mosca che gli aveva portato in dote Modica e il suo territorio. Qualche decennio più tardi il feudo, già economicamente florido, passò a Bernardo Cabrerà. Dal relativo documento si evince che al nuovo conte spettava la più ampia autonomia amministrativa, giudiziaria, economi­ca: ben presto la contea divenne un regno nel regno, con tanto di moneta propria.

La svolta nella storia di Modica risale al XIV secolo, quando il conte Cabre­rà decise di concedere le proprie terre in enfiteusi ai contadini. Ciò garantì ai conti un gettito costante, utile per mantenere un alto tenore di vita, ma allo stesso tempo diede la possibilità ai massari più ricchi di riscattare le proprie­tà e di fare un salto di qualità: nel XV secolo, nella contea di Modica nacque una classe borghese, inesistente nel resto della Sicilia. Una classe che, in­sieme alla piccola aristocrazia locale e al clero, diede forma al proprio status edificando palazzi e chiese eleganti e che, dopo il terremoto del 1693, finanziò la ricostruzione, dando alla città il suo aspetto barocco.  

Nel Rinascimento Modica poteva misurarsi alla pari con città come Ferrara e Milano, e al principio del Novecento una guida turistica la definì una delle più pittoresche città d’Italia, culla di arti e scienze. Modica, insomma, avrebbe avuto tutto il diritto di divenire capoluogo della nona provincia siciliana. La vicina Ragusa, però, aveva più santi in paradiso e fu dunque preferita. Un affronto che i modicani ancora oggi non hanno del tutto digerito e che da un lato ha attizzato un fiero campanilismo, dall’altro ha condotto al ripiegamento di cui dicevamo, superato solo in tempi recenti grazie a una nuova consapevolezza delle proprie ricchezze e potenzialità.

Il riscatto ha, prima di tutto, le straordinarie forme del Barocco siciliano, esaltate dopo una lunga indifferenza dal saggio dello studioso inglese Anthony Blunt, Sicilian Baroque, pubblicato nel 1968. Quando, negli anni Ottanta, questa fortunata stagione architettonica riuscì a guadagnare l’attenzione italiana e internazionale, imponendosi per originalità e bellezza, Modica si ritrovò, per così dire, proprietaria di un tesoro che non sapeva nemmeno di avere. Le sue splendide chiese, come la svettante San Giorgio e l’imponente San Giovanni Evangelista a Modica Alta, o la bella San Pietro a Modica Bassa, insieme ai palazzi sette-ottocenteschi disseminati in entrambi i quartieri - palazzo Polara e palazzo Grimaldi accanto a San Giorgio - e lungo viale regina Margherita, diven­tarono improvvisamente un’attrazione.

La rinascita ha trainato, via via, tutto il resto, dal pittoresco tessuto urbano di Modica Alta all’eleganza novecentesca di corso Umberto I. Fino al cioccolato, che da semplice produzione locale è diventato una specialità di cui vantarsi. I cioccolatieri, da piccoli artigiani si sono in breve trasformati in imprenditori, e se negli anni Novanta si contavano sulle dita di una mano, oggi le cioccolaterie sono più di trenta, tutte molto attive nella promozione del loro singolare prodotto, la cui ricetta si fa risalire al ’500 e si dice mutuata direttamente da quella azteca attraverso i dominatori spagnoli.

E mentre si procede a restauri e ristrutturazioni, si moltiplicano alberghi e bed & breakfast, ristoranti e locali. Oggi Modica è una delle cittadine siciliane più attive e frizzanti, piena di vita e di iniziative, dove i monumenti antichi vengono valorizzati e promossi, e vecchio e nuovo convivono a fianco a fianco. A Modica Bassa, la bella scalinata fiancheggiata di statue di aposto­li che porta all’ingresso della chiesa di San Pietro è cinta da negozi, bar e bou­tique sempre affollati, mentre lungo il sottostante corso Umberto I sfrecciano auto lussuose. A Modica Alta le vecchie case sono state in buona parte restaurate con cura, e vicoli e scalinate sono ben tenuti, illuminati da calde luci dorate. Intanto i recuperi restituiscono sempre nuovi tesori, anche precedenti al terremoto: come la chiesetta rupestre di San Nicolò Inferiore, con l’abside rivestita di affreschi in stile bizantino, e la quattrocentesca chiesa di Santa Maria del Gesù con il suo raffinato chiostro.

Itinerario Modica Bassa

Il nostro itinerario a Modica Bassa può iniziare da piazza Corrado Rizzone, cinta da palazzi in buona parte moderni. Proseguendo per via Tirella, alla prima traversa a destra, ci si dirige verso il vasto piazzale dove sorgono l’incompiuta chiesa di Santa Maria delle Grazie (Santa Maria Ausiliatrice alle Cipolluzze) e l'attiguo ex convento barocco dei padri Mercedari, che oggi ospita la biblioteca comunale e il museo etnografico.

Nella maestosa facciata della chiesa, arricchita da enormi colonne ben modellate, si notano due nicchie sprovviste di statue e belle decorazioni barocche, fra le quali un bassorilievo sul portale con lo stemma della contea. L'interno a tre navate, da poco restaurato, è caratterizzato da affreschi di tipo classico, opera del pittore chiaramontano Giuseppe Cutello. Gli affreschi della volta, del presbiterio e della cupola ravvivano l'ambiente in leggera penombra. Nella cupola e nella volta sono rappresentati gli evangelisti, alcuni profeti, storie di Ester e Giuditta, simboli della Vergine, nel presbiterio storie di Maria. La volta a botte è sostenuta da colonne quadrate che dividono le navate con archi a tutto sesto. L'altare maggiore in marmo custodisce la sacra immagine in ardesia della Madonna rinvenuta sul monte. Vi sono, inoltre, preziose tele fra le quali "L'apparizione della Madonna a San Pietro Nolasco", fondatore dell'ordine dei padri Mercedari. La chiesa è dedicata alla Madonna che, nel 1709, liberò la città dalla peste. Una lapide ricorda questo evento e proclama la Madonna "Patrona Civitatis".

Nel 1681, ai frati di San Francesco successero i padri Mercedari Scalzi i quali, con l'aiuto del comune, costruirono un maestoso edificio, chiamato poi Lazzaretto, magnifico esempio di architettura barocca. Attualmente il Palazzo dei Mercedari è adibito a Museo, biblioteca civica e sala per conferenze, nel suo piano superiore è stato allestito, nel 1978, il Museo Ibleo delle arti e tradizioni polari realizzato dall'associazione culturale "Serafino Amabile lolla". 

Il museo, uno dei più interessanti della regione, custodisce un ricchissimo patrimonio di attrezzi agricoli, arnesi di lavoro, arredi e botteghe artigiane interamente ricomposte. Gli ambienti, ricostruiti con attrezzature ed utensili originali, sono quelli del sellaio, del carradore, dello stagnino, del ciabattino, dello scalpellino, del falegname ebanista, del dolciere, del mielaio, del fabbro maniscalco, del cannizzaro. Ricostruita anche una masseria composta dal "bagghiu", dalla stalla con mangiatoie ed attrezzi da lavoro "casa ri stari", dalla stanza da letto e dalla stanza della tessitura. Tra gli attrezzi più curiosi quelli per la lavorazione dei dolci, il torchio in legno di quercia per la spremitura del favo, la forgia, il mantice, i banchi da lavoro.  

Tornati in via Tirella, ad angolo si trova la Galleria Antiquaria ai Mercedari

Da piazza Rizzone si prosegue per corso Umberto dove sorgono bei palazzi signorili; nello spiazzo, sulla destra, si notano l'ex cinema ora "Auditorium Campailla", ornato sulla fronte da quattro mascheroni liberty, la caserma dei carabinieri, che si è insediata nell'ex-convento dei Carmelitani, e la splendida e antica chiesa del Carmine (Santa Maria dell'Annunziata).

Il complesso, con molta probabilità, fu costruito verso il XV sec, nel tempo, però, la chiesa ha cambiato aspetto. Dopo il terremoto del 1693, la parte superiore della facciata fu costruita nello stile dell'epoca, con una nicchia per la Madonna ed il campanile; originali i due piani inferiori con il bel portale ad arco acuto ed il magnifico rosone traforato. 

L'interno è preceduto da un vestibolo con un arco gotico di tipo chiaramontano ed una artistica acquasantiera.

La chiesa è ad una navata con ai lati altari, uno dei quali conserva uno stupendo gruppo gaginiano fra i più preziosi di Modica: l'annunciazione", ordinata agli autori nella prima metà del XVI secolo, che risente dell'influsso delle tradizioni artistiche siciliane. Notevole è anche l’altare maggiore in legno, scolpito con stucchi in rilievo, opera di artigiani locali. Di grande interesse è la visita del Museo Campailla, intitolato al filosofo e medico modicano che, con le sue "botti” curava la terribile sifilide mediante inalazioni di vapori di mercurio. Ancora oggi si possono vedere le botti, gli strumenti, le foto ed i documenti dell'epoca, conservati grazie alla cura e all'impegno di Valentino Guccione.  

Proseguendo per corso Umberto, il salotto dei Modicani, si giunge al crocevia, piazza Principe di Napoli, che si apre alla confluenza dei due torrenti, lo Janni Mauro e il Pozzo dei Pruni, coperti dopo la grande alluvione del 26 settembre del 1902 dando vita al corso Umberto e alla via Marchesa Tedeschi. La piazza è dominata dallo sperone dove una volta sorgeva il castello dei conti.

Imboccando la via Marchesa Tedeschi, sulla destra vi sono il Palazzo Municipale, l'attigua chiesa di San Domenico e il convento. Nel cortile del Municipio, chiuso da colonne che sostengono archi a tutto sesto, si trova una lapide che segna il livello raggiunto dall’acqua durante l'alluvione.

Il convento e la chiesa dedicata alla Madonna del Rosario vennero edificati nel 1361. La primitiva chiesa, distrutta dal terremoto del 1613 e ricostruita nel 1678, non subì danni durante il sisma del 169. Le quattro nicchie e le quattro statue, che circondano la porta di ingresso sulla quale è lo stemma dei domenicani, rappresentano un notevole esempio di architettura settecentesca modicana.

L'interno della chiesa è ad una navata con volta a botte arricchita da stucchi del Gianforma. Al terzo altare destro si trova la tavola della "Madonna del Rosario" realizzata nel 1535 da Vincenzo Aniemolo rifacendosi ai moduli del Perugino.

Proseguendo sulla stessa via, si giunge alla chiesa di Santa Maria di Betlemme, oggi monumento nazionale. Il tempio fu edificato probabilmente intorno al 1400, al posto di quattro chiese preesistenti. La chiesa godette di particolari privilegi, specialmente quando le fu donato un "capello della Madonna" posto dentro un cristallo di rocca. La struttura ha subito diversi rifacimenti, specie dopo i due disastrosi terremoti del XVII secolo, che hanno lascialo intatto solo il magnifico portale della navata destra.

Il prospetto barocco si presenta a due ordini, con tre portali in quello inferiore e un finestrone in quello superiore; affiancato alla chiesa si erge un bel campanile, eretto nel 1897. L'interno è a tre navate, con tetto a capriate decorato ed istoriato; il pavimento in marmo è del 1888.  Il capolavoro di questa chiesa è la Cappella del Sacramento o Cappella Palatina, nota per la presenza di tombe gentilizie ed eretta nel XV secolo; essa è un raro ed elegante esempio di architettura tardo-gotica chiaramontana con influssi arabo normanni e catalani, dovuti evidentemente ai Cabrera che vollero far notare in questa chiesa, posta ai piedi del loro castello, tutta l’opulenza della loro famiglia.

La cappella è a pianta quadrata con cupoletta a calotta raccordata da pennacchi angolari a nicchie e stalattiti. All'altare si trova la cinquecentesca "Madonna in trono con Bambino", in pietra dipinta. L'arcata ogivale, tutta scolpita, è ornata da fasce ed arricchita da una bella cancellata in ferro battuto. All'altare maggiore è posta una enorme pala di G. B. Ragazzi firmata e datata 1776; al margine si­nistro è l'autoritratto dell'autore. Nella navata sinistra, in una cap­pella laterale, si trova un magnifico presepe che fu realizzato nel 1882 da padre Benedetto Papale. È composto da circa 60 statue in terracotta, provenienti dalla fabbrica di Bongiovanni Vaccaro di Caltagirone, che riproducono antiche scene familiari collocate in paesaggi di pietra, sughero, cartone, legno e cera. La scenografia, ispirata alla cava di Santa Maria, è realizzata con tale naturalezza da rendere il presepe un piccolo capolavoro artigianale. Nella navata centrale spiccano il maestoso organo e il monumentale pulpito in legno scolpito. Nella via Santa Maria, che sale lungo il fianco sinistro della chiesa, si vede, murata sulla destra, una lunetta (lunetta di Berlon), in pietra con scritture gotiche, rappresentante la Natività, che probabilmente, secondo lo storico Belgiorno, doveva far parte del portale d'ingresso della preesistente chiesa di Santa Maria delle Cateratte.

Tornando in corso Umberto, al n. 14 della piccola via De Leva che si inerpica sul fianco della collina, vi è la casa De Leva. E' un edificio nobiliare molto antico, appartenuto per secoli ad una nobile famiglia modicana della quale lo stemma araldico domina ancora sulla facciata principale. Da diversi decenni ormai il Palazzo De Leva viene adibito come location  per mostre artistiche o eventi culturali di grosso spessore. Suggestiva l'atmosfera che si respira all'interno, nel piccolo suggestivo patio dove è possibile ammirare un elaborato portale medievale dal caratteristico stile gotico-chiaramontano. Il portale, in origine, apparteneva ad un edificio religioso ma, nella ricostruzione dopo il terremoto del 1693, venne inglobato al palazzo.  

Proseguendo per corso Umberto, "u salottu", si incontrano magnifici palazzi nobiliari dai bei balconi decorati con stupendi mensoloni, come il palazzo Ascenzo

Ciò che rende unico questo palazzo è il suo interno, ancora perfettamente conservato senza aver mai subito alcun restauro. La pazienza e l’amore dei proprietari, che da generazioni se ne prendono cura, hanno permesso di poter  lasciare inalterati  i suoi interni.

Seppur l’originario ingresso coincida con il monumentale portale di Corso Umberto, ora sede di una nota attività commerciale locale, ed oggi invece si entri dall’ingresso di servizio sito in via Pisacane, entrambi i percorsi portano alla medesima hall. Questo ampio e solenne ingresso presenta una pavimentazione in pietra pece, mobilio ed infissi neri che trasmettono una sensazione di estrema austerità, spezzati da alcuni elementi d’arredo.

Spicca ad accogliere l’ospite il grande stemma di famiglia, anche esso in  pietra pece, sotto il quale è incorniciata una copia dell’atto di nobilitazione della famiglia di Carlo V.

Ciò che però  emoziona l’ospite più di ogni altra cosa sono i saloni di rappresentanza, ancora perfettamente conservati: sembra di fare un tuffo nel passato. 

Lungo il corso, alla sommità di un'alta e scenografica scalinata animata dalle statue degli apostoli, sorge la fastosa e grandiosa chiesa di S. Pietro, patrono della città.

Ai piedi della scalinata ogni anno per Pasqua si incontrano le statue della Madonna e del Cristo risorto tra un tripudio di folla che acclama l'avvenimento. Si tratta della festa della Madonna Vasa Vasa, durante la quale si svolgono rappresentazioni sacre, riti pasquali e concerti musicali.  

Nelle vicinanze del Duomo, in un modesto slargo, si trova la chiesetta Nicolò Inferiore. Si tratta di una grotta, scoperta nel 1987 da Duccio Belgiorno, quasi interamente affrescata. Le pitture più interessanti sono quelle risalenti al XIV-XV sec. dove è rappre­sentato, tra l'altro, un Cristo Pantocrator in una grande mandorla, contornato da angeli e santi.  

Nei pressi si trova la casa natale del premio Nobel per la letteratura Salvatore Quasimodo che custodisce documenti, foto e ricordi del poeta.  

Il tratto seguente del corso Umberto I mostra palazzi settecenteschi di buona fattura; da ricordare il palazzo Rosso con balconi sostenuti da caratteristici mensoloni che rappresentano sirene musicanti che cavalcano delfini e mascheroni.  

Proseguendo lungo il corso si notano la chiesa di Santa Maria del Soccorso annessa all'ex collegio gesuitico, recentemente re­staurata e dalla caratteristica facciata curvilinea; il palazzo Rubino, caratterizzato da bellissimi balconi ricchi di decorazioni e sostenuti da mensoloni che rappresentano personaggi con cap­pelli piumati dall'aria severa con baffi e pizzo, dolci figure mulie­bri e i tipici mascheroni ghignanti, sommersi da una folta selva di foglie d'acanto; palazzo Arena, dal bel balcone unico sostenuto da mensoloni che rappresentano volti vampireschi e grotteschi; il teatro Garibaldi ed altri palazzi nobiliari.

Duomo di San Pietro

Un documento del vescovo di Siracusa ne attesta l'esistenza in sito nel 1396, ma la data della sua prima edificazione è da collocarsi dal 1301 al 1350 circa, come attestato dallo storico secentesco Placido Carafa. Eretta in collegiata con bolla papale di Clemente VIII del 2 gennaio 1597, due secoli dopo per Decreto Regio di Carlo III di Borbone (1797), e in seguito a secolare disputa, è stata dichiarata Chiesa madre al pari di San Giorgio, la chiesa "ufficiale" dei conti di Modica

Il terremoto del 1693 colpì gravemente la chiesa proprio nel momento in cui tentava di consolidare il suo ruolo istituzionale di chiesa Madre in opposizione alla chiesa di San Giorgio, pur tra gravi disavventure religiose, confortata dalle pingui rendite ricevute in dono dalle nobildonne Petra Mazzara e Agata Caggia durante la seconda metà del Seicento. Ed è proprio la volontà di affermare il ruolo istituzionale all'interno della città a determinare la decisione di ricostruire subito, mantenendo, molto probabilmente le dimensioni della chiesa andata distrutta. 

Nel primo decennio del Settecento era già stato costruito il primo ordine della facciata, come buona parte delle strutture murarie e delle colonne. Rimane tuttora sconosciuto il progettista della ricostruzione settecentesca; son giunte fino a noi, invece, le perizie dei capimastri Rosario Boscarino e Mario Spata per stimare i lavori, il che non autorizza, però, ad assegnare ad essi il disegno della chiesa. L'architettura dell'edificio non presenta caratteri stilistici unitari, essendo il risultato di due momenti progettuali. Il primo ordine, infatti, ha caratteri secenteschi nel disegno dei portali, nei motivi decorativi delle colonne e delle trabeazioni; il secondo ordine, invece, va riferito sicuramente alla seconda metà del Settecento: gli elementi stilistici della finestra e della volute di raccordo ci indirizzano verso un gusto rococò.

Una scalinata con le statue dei dodici apostoli, chiamati dal popolo "santoni", conduce alla facciata suddivisa in due ordini, e abbellita da quattro statue, raffiguranti san Cataldosanta Rosalia, san Pietro e la Madonna, che arricchiscono il secondo ordine, che è infine sormontato all'apice della facciata dalla scultura, in altorilievo, di un Gesù Cristo in trionfo. 

Nonostante i tempi e gli stili diversi, la facciata si presenta elegante e raffinata. L'interno è a tre navate, divise da colonne con capitelli corinzi, con due cappelle che si affiancano alle navate minori. È uno spazio monumentale unitario nella sua articolazione definitiva. 

Le cappelle, realizzate lungo tutto il Settecento ed in alcuni casi nel secolo scorso, riflettono la cultura architettonica tardo-barocca nelle colonne tortili ed in quelle ornate da motivi fogliacei. Lo spazio più ricco di elementi decorativi è quello dell'abside, articolato da semicolonne e dalla presenza delle sculture dell'Assunta, di S. Pietro, di S. Paolo, realizzato fra il 1773 e il 1775 dal napoletano Pietro Padula, autore, in quegli stessi anni, delle sculture del presepe di S. Bartolomeo di Scicli.

La chiesa continuerà ad essere trasformata durante l'Ottocento con la realizzazione di alcune cappelle e con la ricostruzione delle volte delle navate laterali. Nel corso di quest'ultimo intervento motivi tardo ottocenteschi e stilemi tardo-barocchi vengono a definire lo spazio interno. L'ultima integrazione di rilievo è quella dell'organo realizzato negli anni Venti dai fratelli Giovanni e Francesco Foti per la parte lignea e da Michele Polizzi per la parte meccanica. 

All'interno si conservano due statue marmoree, una "Madonna di Trapani" attribuibile ad un allievo di Francesco Laurana, databile intorno al 1470, ed una "Signora del Soccorso" (1507), altrimenti detta Madonna della mazza per la stretta somiglianza con l'analoga opera dello scultore Giorgio da Milano, detto Il Brigno, presente nel Duomo di Termini Imerese (altra Madonna col Bambino, datata 1497, molto simile nel panneggio a quella di Modica, sempre dello stesso scultore, si trova nella chiesa di Santa Caterina a Naro, col nome di Madonna delle Grazie). 

La statua ora in San Pietro è proveniente dalla chiesa di Santa Maria del Soccorso, dove a sua volta era stata portata dalla vecchia chiesa dallo stesso nome distrutta nel 1927 per costruire l'istituto magistrale. Giorgio Brigno da Milano, considerato dal Pitruzzella uno dei migliori artisti del Rinascimento siciliano, lavorava a Palermo nella bottega di Domenico Gagini.

È presente inoltre un gruppo statuario che raffigura San Pietro e il paralitico, del 1893, in legno di quercia, del palermitano Benedetto Civiletti. Il lampadario centrale, che incombeva sull'altare maggiore, era un notevole lavoro di vetreria proveniente da Murano, ma è ora in attesa di essere rimpiazzato dopo essersi distrutto precipitando al suolo nel marzo 2011.

Il patrono di Modica è San Pietro, ma la festa più sentita e ricca di partecipazione popolare è quella della "Madonna Vasa-Vasa". La festa inizia con la vestizione della statua della Madonna nella chiesa di Santa Maria di Betlemme. 

La Madonna è "a lutto" per la morte di suo figlio Gesù e viene coperta da un manto nero ornato d'oro. Il suono delle campane e della banda musicale annuncia l'uscita dalla chiesa di Santa Maria di Betlemme della statua di Gesù resuscitato, portato a braccia dai fedeli. Il Cristo, col torso nudo e coperto solo da una tunica rossa, porta nella mano destra benedicente delle foglie di palma intrecciate dalla forma di piccola spada e nella mano sinistra il vessillo con i colori della resurrezione. 

Successivamente i modicani portano la statua della Madonna in giro per le vie e le chiese di Modica alla ricerca del figlio, accompagnata solo dal suono del tamburo.

Le statue s'incontreranno alle dodici in Piazza San Domenico: la Madonna, perduto il manto nero per la gioia di avere incontrato il figlio risorto, è vestita di un manto celeste e abbraccia il figlio, inchinandosi di fronte a lui e baciandolo (da qui il nome di Madonna Vasa-Vasa). Fra la gioia del popolo le due statue affiancate benedicono i fedeli e proseguono verso la chiesa di San Pietro dove avverrà un altro incontro per poi rientrare in chiesa.

In anni passati, nel solenne momento del primo incontro detto della "pace", si facevano volare delle colombe con nastrini colorati appesi alle zampe e dal loro volo il popolo traeva gli auspici per l'andamento dell'annata.

Tra coloro che assistevano commossi vi era uno scambio di baci e abbracci, dimenticando vecchie offese e rancori. Oggi ad ogni incontro si leva un applauso. 

Chiesa di Santa Maria del Carmelo

La chiesa di Santa Maria del Carmelo, detta "del Carmine" (fine XIV - inizi XV sec.), in precedenza chiesa di Santa Maria dell'Annunziata è uno dei pochi monumenti che resistette alla violenza del terremoto del 1693.  

Il prospetto, che aveva in parte superato anche i terremoti del 1542 e 1613, è arricchito da un bel portale risalente alla fine del Trecento, già dichiarato Monumento Nazionale all'inizio del XX secolo, sovrastato da un rosone francescano con dodici raggi, il tutto in stile tardogotico chiaramontano. Le parti superiori della facciata e del campanile sono comunque sovrastrutture barocche settecentesche post-terremoto.

All'interno, a lato dell'altare, si conserva una cappella tardo-gotica, anch'essa databile alla fine del XIV secolo, riportata alla luce di recente. Presenta essa tracce di affreschi murali, ed il suo pavimento ricopre una cripta funeraria, visibile da una botola, mentre una parete di tamponamento del Settecento ha tenuto nascosto per tre secoli l'arco d'ingresso alla cappella, trapuntato come un merletto. 

Tamponato da un muro, un altro arco di accesso ad una delle antiche cappelle laterali è visibile sul muro di destra non appena si entra in chiesa.

Sempre all'interno dell'atrio, sulla destra, è esposta una Madonna del latte (secolo XIV): una statua in cartapesta, originale come tema e da considerare una rarità anche per la datazione, essendo coeva all'edificazione della chiesa. Un altare sulla sinistra accoglie il gruppo statuario in marmo bianco dell'Annunciazione, opera di Antonello Gagini. Il gruppo scultoreo fu consegnato all'ordine Carmelitano nel 1532.

All'interno della chiesa si conserva anche la tavola di Sant'Alberto (forse facente parte di un polittico), dipinta nei primi anni del Cinquecento (durante la sua residenza siciliana fra il 1513 ed il 1517) da Cesare da Sesto, allievo di Leonardo da Vinci. Girando lo sguardo all'indietro, nella cantoria collocata sopra l'ingresso della chiesa, si ammira un delizioso piccolo organo monumentale in legno, il più antico fra quelli ancora funzionanti a Modica, datato 1774. Risale al 2006, invece, durante lavori edili di sgombero, il ritrovamento da parte di un privato, proprietario di un locale attiguo alla chiesa sul lato di via Pellico, di un altro portale gotico di fine Trecento, che costituiva l'ingresso dalla navata ad una delle cappelle laterali, poi andata svenduta, quindi adattata a civile abitazione, dopo i danni causati dal terremoto del 1693. I lavori di recupero - supervisionati dalla Soprintendenza alle Belle Arti - avvisata della scoperta dallo stesso proprietario - hanno portato anche al rinvenimento di una cripta sotterranea, colma di ossa, probabili reliquie dei monaci carmelitani.  

L'edificazione avvenne a seguire la Chiesa omonima, fra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento, per ospitare i frati Carmelitani giunti in Sicilia già da qualche decennio. Il convento era dotato di 23 celle, ed è stato sottoposto a varie ristrutturazioni ed ampliamenti da sovraelevazione nel corso dei secoli, soprattutto dopo i danni del terremoto del 1693, e successivamente, quando fu requisito dal Regno d'Italia nel 1861 per farne sede della Caserma dei Carabinieri. È in questa occasione che vengono a scomparire gli orti antistanti il convento, per essere trasformati nella pubblica piazza del Carmine, intitolata nel secolo successivo a Giacomo Matteotti. Il prospetto è stato interamente rifatto, in stile neorinascimentale-liberty.

Trasferitasi l'Arma dei Carabinieri in altra sede intorno al 2000, sono stati pensati, progettati, ed in questo inizio d'anno 2012 quasi conclusi, degli importanti lavori di restauro e consolidamento, che hanno portato a fortuiti rinvenimenti delle strutture portanti medievali, sono state scrostate le mura, e riportati alla luce i pavimenti in acciottolato del XIV secolo, gli archi ogivali gotici che immettono da un ambiente conventuale ad un altro, delle finestrelle in stile svevo chiaramontano del XIV secolo. Il pavimento di un ambiente, confinante con l'attigua ex Chiesa di San Giovanni Battista dei Cavalieri Gerosolimitani, sembra, per il suo disegno geometrico, con quasi certezza appartenere ad una vecchia strada laterale al convento stesso inglobata successivamente all'interno della struttura conventuale. Le notevoli risultanze e rinvenimenti di questi restauri sono stati presentati nel corso della XX giornata del Fondo Ambiente Italiano (FAI), del 24 e 25 marzo 2012.

Chiesa di Santa Maria di Betlem  

La chiesa di Santa Maria di Betlem è una delle tre antiche collegiate (dal 1645) di Modica, risalente al XIV secolo.  

La facciata è rinascimentale nel suo primo ordine di fine Cinquecento, disegnato dall'architetto netino Corrado Rubino nel 1571, mentre è stata ricostruita dopo il terremoto del 1693, per essere completata fra il 1816 ed il 1821 nel suo secondo ordine, di stile neoclassico

Il campanile fu costruito nel 1897 dal capomastro modicano Giuseppe Garofalo Giannone. Nasconde al suo interno una pregevolissima Cappella Palatina, detta anche Cappella Cabrera (1474-1520Monumento nazionale), in stile tardo gotico, sopravvissuta al terremoto del 1693 e incastonata nella nuova architettura settecentesca. 

L'arco di ingresso alla Cappella (deve il suo nome al conte Giovanni Cabrera, presente al Castello di Modica dal 1466, onde ringraziarlo per le ingenti donazioni fatte alla chiesa nel suo testamento del 1474), con elementi decorativi arabi, normanni e catalani, è uno dei più bei monumenti che l'architettura abbia prodotto in Sicilia a cavallo dei secoli XV e XVI, dando persino nome ad uno stile artistico, il gotico chiaramontano, che in Sicilia viene riconosciuto e descritto semplicemente come stile chiaramontano, a ricordo della dinastia dei Chiaramonteconti di Modica, e regnanti a Palermo insieme ed in collaborazione ai re aragonesi. L'arco è composto da un fascio di colonne per lato riccamente arabescate, con infiniti ornamenti, bizzarri motivi vegetali e animali, figure di uomini grottesche o fantastiche; le colonne terminano con capitelli finemente scolpiti. 

L'organo monumentale in legno è del 1818, il soffitto a cassettoni ed il pavimento sono di fine Ottocento. Di buona fattura, dietro l'altare, la grande tela dell'Assunzione della Vergine, dipinta da Gian Battista Ragazzi nel 1713

Suggestivo in questa chiesa è anche il Presepe Monumentale permanente (1881/82), la cui scenografia è del cappuccino fra Benedetto Papale, con 62 statuette in terracotta realizzate a Caltagirone; all'esterno, in una parete a sinistra della chiesa, è incassata la Lunetta di Berlon, bassorilievo con Natività (fine Trecento), appartenente al prospetto della chiesetta di Santa Maria di Betlem che insisteva in precedenza sul luogo in cui sorge l'attuale Santa Maria; alla base della scultura si intravede una iscrizione in lettere gotiche. La chiesa è parrocchia della diocesi di Noto e si svolgono regolari funzioni religiose, la Santa Messa domenicale è alle ore 11.00.

Chiesa di San Domenico

La chiesa di San Domenico, detta del Rosario, presenta uno dei pochi prospetti rimasti integri dopo il terremoto del 1693. L'originaria costruzione della chiesa, con l'annesso convento dei Domenicani risale al 1461. Quindicesima istituzione dell'ordine in terra di Sicilia patrocinata dai membri della casata Almirante di CastigliaHenriquez-CabreraConti di Modica. Il luogo sacro è ricco di interessanti tele del Cinquecento, ed ha una cappella interna, un tempo riservata alla preghiera dei frati, riccamente decorata con pitture murali e pregevoli stucchi.

Il convento è sede del Palazzo Municipale, dal 1869, anche se da documenti d'archivio risulta che il consesso dei Giurati (come si chiamavano allora i consiglieri) ivi si riunivano già nel 1626. Nell'atrio è visitabile una interessante cripta sotterranea (Seicento), scoperta da Giovanni Modica Scala a metà Novecento, contenente resti ossei, attribuibili ai Frati Domenicani stessi, e che lascia intravedere tracce di affreschi. Il convento era sede, per la diocesi di Siracusa, del Tribunale dell'Inquisizione, o Sant'Uffizio.  

Casa natale di Salvatore Quasimodo

Casa natale di Salvatore Quasimodo, in cui il 20 agosto 1901 nacque il poeta, insignito del Premio Nobel per la Letteratura il 10 dicembre 1959. 

La casa, dove Salvatore visse solo i primi 5 giorni della sua vita è visitabile.

Contiene, nella stanza in cui vide la luce, un letto in ferro battuto, un inginocchiatoio, un capezzale e altri mobili ed arredi di primo Novecento; inoltre sono presenti una vecchia macchina da scrivere Olivetti, uno scrittoio, una collezione di dischi, una libreria con annessi libri, provenienti da uno degli studi di Milano, che il figlio Alessandro ha venduto alla Regione Siciliana nel 1996, insieme ad altri oggetti regolarmente inventariati dall'Assessorato Regionale ai Beni Culturali. 

Da un vecchio nastro, ai visitatori viene fatta ascoltare la voce del Poeta che recita alcune sue poesie, e sempre dalla sua viva voce, il discorso dal titolo "Il Politico ed il Poeta" da Quasimodo letto a Stoccolma in occasione del conferimento del Nobel.  

Chiesa rupestre di San Nicolò Inferiore

Presenta dei magnifici affreschi sulla nuda roccia, di stile tardo-bizantino, databili fra il XII ed il XVI secolo (l'anno 1594 si trova dipinto sulla roccia accanto ad una raffigurazione): si tratta di una grotta artificiale, in pieno centro cittadino, nella quale si osservano diversi cicli di affreschi; una chiesa rupestre definita dagli studiosi un unicum nel panorama della Sicilia medievale.

L'affresco principale è un bellissimo Cristo Pantocratore posto al centro dell'abside, dove si raffigura un Cristo benedicente racchiuso in una mandorla seduto su un trono fra due coppie di Angeli. Sul lato destro dell'abside si trova un catino battesimale, scavato nella roccia, per il battesimo con rito orientale. Ultimi in ordine di tempo, alcuni lavori di scavo hanno portato alla luce una serie di cripte e di tombe terragne.  

Palazzo Grimaldi con Pinacoteca

Palazzo Grimaldi, XVIII-XIX secolo, con l'annesso portale della Chiesetta di S. Cristoforo, cappella privata della famiglia Grimaldi, si incontra lungo il corso principale a poche decine di metri dal Duomo di San Pietro. Rappresenta, forse, con i suoi 14 balconi in due piani, il più bell'esempio di edificio in stile neorinascimentale fra quelli che si affacciano sul centro storico di Modica Bassa. 

Il terzo piano è stato sovrapposto nel secondo Ottocento ma il progettista ha lavorato nel segno di chi lo aveva preceduto, inserendo le mensole sotto i balconi del terzo piano. Qui, peraltro, il partito centrale ripropone un balcone quasi identico a quello del secondo piano, in cui si nota la presenza ai lati degli scudi araldici di famiglia. 

Il palazzo è sede della Fondazione Giovan Pietro Grimaldi, creata dall'illustre fisico che fu anche Magnifico Rettore dell'Università di Catania, nonché fratello del celebre agronomo Clemente, ed ospita nei suoi saloni una Pinacoteca, ricca di opere pittoriche dei più noti artisti dell'area iblea dalla seconda metà dell'Ottocento fino ai nostri giorni.  

Teatro Garibaldi  

La prima costruzione fu realizzata fra il 1815 ed il 1820, accorpando un magazzino con la casa di un aristocratico, e fu chiamato Real Teatro Ferdinandeo in onore al regnante dell'epoca. Aveva due file di 24 palchi e la platea. Nel 1844 fu affidato all'ingegner Salvatore Riga il compito di progettare l'ampliamento del teatro, raddoppiando la grandezza della platea, innalzando una terza fila di palchi ed aggiungendo il loggione, riproducendo così lo stile dei teatri lirici all'italiana presenti nelle maggiori città siciliane. Eseguiti i lavori fra il 1852 ed il 1857 sotto la direzione dell'architetto Salvatore Toscano, il teatro, dopo l'Unità d'Italia fu intitolato a Garibaldi. 

Esso si presenta con la facciata in stile liberty (o neoclassico), con i due piani sormontati da una balaustra che presenta al centro un pannello scultoreo decorato con strumenti musicali. Sopra il pannello fu posto, sorretto da due figure maschili, un orologio, con in cima l'aquila, simbolo della Contea di Modica. 

Fu inaugurato nel 1857 con la Traviata di Giuseppe Verdi. È un piccolo vero gioiello, che in miniatura riproduce i teatri delle grandi città, con la sua platea, i suoi tre ordini di palchi molto eleganti, il loggione, la volta istoriata nell'agosto-settembre 1999 con un grandioso dipinto, un olio su tela (diametro m. 4,40) del maestro Piero Guccione e degli altri del Gruppo di Scicli, i pittori Franco Sarnari, Giuseppe Colombo e Piero Roccasalva. Dopo lavori di restauro e di messa in sicurezza, è stato riaperto al pubblico definitivamente nel 2004. Nel Dicembre 2016, sono stati avviati i lavori di recupero della fossa orchestrale al fine di ospitare spettacoli di opera in musica.

Già da un decennio (2017), il Teatro Garibaldi, con i suoi 313 posti complessivi, è ritornato ad essere il luogo di intrattenimento culturale per eccellenza per i modicani, ma anche per gli appassionati di teatro e musica di vario genere dell'intero comprensorio orientale della provincia. Al fine di valorizzare il Teatro ai massimo livelli, per quanto riguarda la sua funzione culturale, e per la fruizione turistica, nel corso del 2009 è stato approntato lo statuto della Fondazione Teatro Garibaldi, istituita ufficialmente il 29 gennaio 2010, che ogni anno organizza una stagione teatrale con spettacoli di prosa e musicali, valorizzando anche le realtà locali con rassegne di teatro dialettale e con una rassegna musicale dedicata al Liceo Musicale dell'I.I.S. "G.Verga" di Modica. La gestione al 2017 è affidata a Tonino Cannata nella figura di soprintendente ed a Carlo Cartier e Giovanni Cultrera nella figura di direttore artistico rispettivamente per la prosa e per la musica.

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Agosto 2019