Monterosso
Almo dista 28 chilometri da Ragusa ed
è uno dei tre comuni montani della provincia. È il comune più a
nord della provincia di Ragusa, inoltre è il secondo comune meno abitato
della provincia dopo Giarratana.
Sorge sui Monti
Iblei a pochi chilometri dalla vetta di Monte
Lauro.
In
età normanna il borgo si chiamava Lupia (o Casal Lupino) per la presenza
dei lupi; in età aragonese il suo nome era probabilmente Mons
Almo (Monte Almo) o Johalmo.
Dal conte Rosso di Messina che lo rifondò nel 1338 prese il nome di Mons
Rubens, Monte Rosso.
Le
origini di Monterosso affondano nella notte dei tempi: la necropoli di
Calaforno e l'abitato di monte Casasia, scoperti negli anni sessanta,
dimostrano infatti come il territorio sia stato abitato da popolazioni
sicule. L'ipogeo
di Calaforno è stato inizialmente usato come luogo di
sepoltura, poi come luogo di abitazione e, nel periodo romano come luogo di
rifugio dei cristiani.
Queste
popolazioni in seguito alle incursioni dei greci si ritirarono sui monti
interni, dando vita ad altri centri. Non esistono documenti che risalgono al
periodo greco-romano. In una zona situata sulla strada Vizzini-Monterosso si
trovano le grotte dei Santi con alcuni affreschi bizantini, che sono state
abitate nel periodo delle persecuzioni cristiane.
Nel 1168 il
paese appartenne a Goffredo figlio del Conte Ruggero. Già il paese aveva
una fisionomia e un certo numero di abitanti e prese il nome di Monte
Jahalmo. Successivamente il paese appartenne al conte Enrico
Rosso che costruì un castello presso la contrada Casale del
quale si è persa ogni traccia. In seguito alle nozze di Enrico con la
figlia di Federico Chiaramonte, il paese entra a far parte della Contea
di Modica e in questo periodo prende il nome di Monterosso.
Dopo
la caduta dei Chiaramonte, intorno all'anno 1393,
la contea, e quindi anche Monterosso, passò in mano di Bernardo Cabrera. Il
Cabrera, assetato di potere, portò il paese alla rovina, dopo che fallite
le sue ambizioni di ottenere la corona di Sicilia fu costretto a pagare un
forte debito vendendo il paese. In seguito, nel 1508,
il paese fu ricomprato dagli eredi del Cabrera, i quali vi costruirono due
castelli.
Nel
1649 ebbe inizio la costruzione del nuovo convento di S. Anna,
l'edificazione del monastero fu finanziata da Donna Marcella dell'Albani,
originaria di Biscari, e dal marito Don Giovanni Francesco Distefano; nella
chiesa conventuale trovò sepoltura Don Angelo Distefano. L'11 gennaio del 1693 anche
Monterosso fu colpito dal tremendo terremoto che distrusse la Sicilia
orientale, vi furono circa 200 morti e solo pochi ruderi rimasero
quali la cappella di Sant'Antonio e il Mulino Vecchio. Da allora il paese è
stato ricostruito sempre più in cima al monte, assumendo l'attuale
topografia.

Visitare
il borgo
Monterosso
Almo, piccolo paesino di circa 3000 abitanti nel cuore dei Monti Iblei, è
inserito nel circuito dei “Borghi più belli d’Italia”. E non è un
caso… Qui l’aria è buona, la vita a misura d’uomo e nel piccolo
centro abitato, tra chiese, vicoli e monumenti, i suoi abitanti vivono una
realtà intessuta di relazioni umane e antiche tradizioni. Un’atmosfera
che ha colpito registi del calibro di Tornatore e Sciarra che hanno scelto
Monterosso Almo come set cinematografico ideale per film di successo come
“L’uomo delle Stelle” e “La Stanza dello Scirocco”.
Nella
piazza principale, chiamata in dialetto “U Chianu” (Il Piano), converge
l’elegante Chiesa di S. Giovanni Battista, con la facciata a forma
piramidale che raggiunge i 22 metri di altezza e al suo interno una
scenografica volta mozzafiato che illumina di bianco avorio tutta la
navata centrale. Il Palazzo Cocuzza, oggi sede del Museo Civico, domina con
la sua imponenza tutta la piazza, come faceva un tempo la famiglia omonima
con i numerosi possedimenti nel territorio circostante. Il senatore Federico
Cocuzza, all’inizio del secolo scorso, mise insieme tutte le sue forze e
la sua influenza per dare vita ad un nuovo tratto di ferrovia che partiva da
Siracusa, si biforcava al bivio di Giarratana per raggiungere Ragusa o
Caltagirone, passando vicino Monterosso. Di quella ferrovia oggi
rimangono alcune gallerie, piccole stazioni abbandonate e un progetto nel
cassetto per farla diventare un inedito percorso di trekking.
Piccoli
vicoli, cortiletti, stette scalinate e antichi passaggi ad arco ci conducono
nel quartiere più antico del paese, detto “Matrice”. Qui sorge la
Chiesa della Madonna Addolorata, ricostruita dopo il terremoto del 1693, che
si affaccia sulla caratteristica Piazza S. Antonio e presenta al suo esterno
due inediti semicerchi con sedute in pietra che sembrano custodirne
amorevolmente la facciata. Sul lato opposto della piazza, al termine di una
scenografica scalinata, troviamo l’imponente Chiesa Madre, anch’essa
crollata nel 1693 e ricostruita. Particolarmente bella la sua facciata in
stile neogotico con finestre a bifora e il portale. Dal sagrato antistante
la chiesa si può ammirare un panorama suggestivo della vallata sottostante.
Ma
la storia di Monterosso Almo ha radici ancora più antiche, risalenti
all’età del rame, come testimoniano l’Ipogeo di Calaforno, il più
antico del Val di Noto con le sue 35 camere, e gli insediamenti di Monte
Casasia risalenti al VII secolo A.C..
Monterosso
Almo è il luogo ideale anche per immergersi in un’esperienza
enogastronomica che propone sapori genuini, frutto di antiche tradizioni
contadine, come cavateddi, ciliegie, pane e scacce, funghi, salsicce e carne
di cinghiale. E una particolare varietà di mandorla che ha trovato il suo
habitat ideale qui, alle pendici dei Monti Iblei.
Basilica
di San Giovanni Battista
È
difficile risalire con precisione alla data di fondazione della prima chiesa.
Si può ipotizzare il periodo dalla diffusione del culto di San
Giovanni Battista nel territorio, ad opera dei Normanni,
da riscontri o fonti indirette, poiché molti documenti dell'archivio
parrocchiale sono andati perduti. A quell'epoca, Monterosso possedeva
una sola chiesa, di cui non viene specificata l'intitolazione. La
venerazione del Santo però è sempre stata molto diffusa nella zona, come
dimostrato dalla toponomastica di
alcune località, come puoju ri San Giuanni o rutti ri San
Giuanni. Un'indicazione precisa sulla chiesa di San
Giovanni Battista a Monterosso
Almo tuttavia esiste:
«Monterosso
almo alzò al grande Battista un tempio a tre navate sica dal 1265...»
(Padre Samuele di Chiaromonte)
Certo
è che la chiesa esisteva già nel XVI
secolo, e probabilmente anche nel XV
secolo. Dai Riveli del beni e delle anime, censimenti,
si apprende che già nel 1593 esisteva il quartiere San Giovanni,
sviluppatosi molto probabilmente attorno ad un'omonima chiesa. In un
documento d'archivio del 19 novembre 1596,
dove viene detto che la chiesa di San
Francesco deve essere abbattuta e ricostruita vicino al convento
e che durante il periodo di ricostruzione il Santissimo
Sacramento deve essere portato dentro la chiesa di San Giovanni
Battista.
Il
27 marzo 1634,
il vescovo della diocesi
di Siracusa, a cui apparteneva Monterosso, concesse ai procuratori
della chiesa e della confraternita di San
Giovanni Battista la "licenza di potersi fare, come gli è
stato solito ogni anno, nel giovedì santo la processione del Cristo alla
colonna, la mattina di Pasqua di Resurrezione la processione del Cristo
resuscitato e nell'ultima domenica di Augusto la processione di Nostra
Signora delli periculi...".
Il
19 marzo 1651,
l'allora arcivescovo
Giovanni Antonio Capobianco fece una visita
pastorale alla chiesa, annotando inoltre le tazze sacre che
custodivano il Sacramento e
gli altari (l'altare
maggiore, l'altare di San Giovanni Battista con statua,
l'altare di San
Giovanni Evangelista, l'altare dei Santi Cosma
e Damiano che corrisponde all'attuale altare di San
Francesco di Paola, l'altare di San
Giuseppe, l'altare del battesimo di San
Giovanni, l'altare di Santa Caterina, l'altare di San Gregorio o
delle anime del Purgatorio,
l'altare della Pietà, l'altare di Santa
Maria Maddalena e l'altare di Santa
Maria dei Pericoli con statua.
I
documenti dell'archivio parrocchiale attestano che la chiesa, dal XVII
secolo, era chiamata basilica, con diritto di battezzare sin dal 1645.
Il 16 maggio 1653 le
venne conferita l'autorizzazione ad amministrare i sacramenti.
La
chiesa di San
Giovanni uscì solo in parte danneggiata dal terribile terremoto che
l'11 gennaio 1693 mise
in ginocchio la Val
di Noto. La stessa fortuna non interessò però anche la chiesa
di Sant'Antonio e la chiesa
Madre, che vennero rase al suolo. Proprio per questo, nei due anni
successivi al sisma,
la funzione di chiesa Madre fu ricoperta dalla chiesa di San Giovanni, già
con il titolo di succursale,
mentre veniva ricostruita la vera titolare. Le strutture del vecchio
edificio della chiesa di San Giovanni Battista che resistettero al
terremoto, furono inglobate nelle nuove.
 Il
periodo successivo al sisma fu caratterizzato da un incredibile fervore
ricostruttivo in tutta la Val di Noto. Anche Monterosso fu
sede di numerosi cantieri, per recuperare ciò che era andato perduto. A
proposito della chiesa di San Giovanni, in un documento del 9 ottobre 1704,
viene detto "per ritrovarsi in fabbrica", a testimoniare che in
quel periodo vi sono stati dei lavori, molto probabilmente per riparare i
danni causati dal terremoto. Questi lavori hanno portato alla realizzazione
di quella che può essere definita la "seconda chiesa di San Giovanni
Battista", la quale, pur non avendo assunto l'aspetto attuale, indica
la volontà di riedificare un simbolo dell'intero quartiere, di cui ne
esprimeva l'importanza religiosa, politica e sociale.
Tra
le nuove opere di cui si arricchì la chiesa vi è la nuova statua di
Santa Maria dei Pericoli, risalente al 1741,
opera del maestro Carmelo Cultraro di Ragusa.
I lavori di ristrutturazione proseguirono a più riprese per tutto il XVIII
secolo.
Altri
edifici religiosi
Chiesa
di Santa Maria Assunta, monumento
nazionale e basilica
minore;
Chiesa
di Sant'Antonio Abate o Santuario Diocesano
dell'Addolorata;
Chiesa
di Sant'Anna.
Architetture
civili
Casa
palazzata Barone Burgio.
Fontana
pubblica del 1894.
Palazzo
Barone Noto (o Palazzo Noto), antico palazzo appartenuto alla famiglia
Noto di Monterosso Almo parzialmente distrutto dal terremoto
del 1693, ricostruito tra il XIX e il XX secolo con un diverso stile.
Palazzo
Cocuzza - Palazzo Cocuzza è voluto dalla potente famiglia Cocuzza che
intende lasciare un segno tangibile della sua influenza, e commissiona la
costruzione della propria dimora in piazza San Giovanni, nuovo fulcro dell'élite
emergente. I Cocuzza comprano quasi un intero quartiere e ne fanno radere al
suolo le umili abitazioni per fare spazio all'imponente edificio (più di
quaranta ambienti su tre piani e un porticato) realizzato sul finire
dell'Ottocento da maestranze del circondario. Per un portone sormontato da
un arco con al centro lo stemma della famiglia si passa in un atrio che
immette al primo piano le cui stanze ospitano il locale museo civico con
reperti archeologici provenienti dal sito di Monte Casasia. Una scenografica
scala a rampa ellittica conduce al piano nobile ove prevale lo stile
neoclassico e liberty. Le volte della sala da pranzo e del salone delle
feste sono variamente affrescate, e gli ambienti sono decorati da tondi con
scene di caccia e medaglioni con figure femminili.
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