Modica (Borgo)
(Ragusa)
  
 

 

Itinerario Modica Alta 

Dalla chiesa di S. Pietro inizia via Garibaldi che, con una serie di curve, porta a Modica Alta offrendo belle vedute della parte bassa della città. All'altezza del n. 106 si può ammirare un caratteristico angolo barocco rimasto ancora intatto; esso è formato da un piccolo ingresso coperto da basole di calcare e da un arco che immette nel portico del palazzo Zacco-Pirrera. Da questa via inizia la scenografica scalinata che, a più rampe e con 250 gradini, porta alla monumentale chiesa di San Giorgio, uno dei più importanti capolavori artistici di Modica. Il sisma del 1693 danneggiò il tempio in maniera talmente seria che fu necessario riedificarlo in base ad un nuovo progetto del Gagliardi. Il validissimo architetto, con questa chiesa e quella di Ragusa Ibla (San Giorgio), creò quello che sarà il prototipo delle altre chiese settecentesche della regione.

I lavori iniziarono nel 1702. La gradinata, costruita per superare un enorme dislivello, fu portata a termine nel 1818 dal gesuita Francesco Di Marco; il terzo ordine e la cuspide furono conclusi nel 1834 dal modicano don Gaspare Cannata. La colossale scalinata, vero e proprio prodigio dell'architettura del 700, si inerpica fino alla chiesa con quattro rampe che formano un calice; le rampe sono interrotte ad intervalli regolari da quattro spiazzi, ottimi per il riposo durante la faticosa salita ed utili per poter ammirare, man mano che si sale, panorami sempre più ampi della città bassa e visioni sempre nuove e complete della maestosa facciata della chiesa.

La solenne facciata della chiesa, scandita nella parte centrale da più ordini di colonne aggettanti, "tende con una spinta ascensionale verso il culmine della torre campanaria, che svetta dal corpo centrale a conferisce un vigoroso accento curvilineo all'intero impianto". 

L'interno, riccamente ornato di stucchi, è, come si intuisce dai cinque portali esterni, a cinque navate che, all'incrocio col transetto, danno luogo ad un'aerea cupola centrale e a due cupolette laterali. Nel pavimento del transetto è stata tracciata una meridiana solare dal matematico Armando Perini nel 1895. 

Molti sono i tesori ed i capolavori conservati in questa chiesa. La solennità dell'interno, oltre che dalla sapiente luce, è data dagli stucchi, dalle artistiche decorazioni, dagli arredi sacri, come l'organo a canne del 1885, dall'altare d'argento intarsiato con scene della vita di S. Giorgio e S. Ippolito, dal coro intagliato del 1630, dal grandioso polittico in dieci tavole del 1513 dell'altare centrale, del pittore modicano Niger. Di enorme valore artistico è il tesoro della chiesa che, oltre ai pissidi, candelabri ed ostensori in argento, comprende l'''Arca Santa" comunemente chiamata "Santa Cassa", una pregevole opera d'argento intarsiato costruita a Venezia nel XIV secolo. All'ingresso della navata centrale si nota a sinistra il sepolcro del poeta filosofo modicano Tommaso Campania morto nel 1740. Nella cappella, alla fine della navata sinistra, è posta la statua della "Madonna della Neve" di G. Mancino e B. Berrettaro, eseguita verso il 1511. Fra i quadri è notevole l'Assunta  di F. Paladino realizzata nel 1610. 

Adiacente alla chiesa è il palazzo Polara, donato dalla proprietaria alla città. Nelle sale è ospitata una pinacoteca che, oltre ad antichi mobili, raccoglie tele del Seicento, del Settecento ed opere di pittori contemporanei. In questa zona si notano ancora, sui muri delle strade, le mattonelle che indicano il "Limite delle due Matrici". Sono i confini che i devoti delle chiese di S. Giorgio e di S. Pietro non potevano oltrepassare durante le processioni, altrimenti si innescavano lotte che potevano anche sfociare nel sangue. 

Proseguendo nella salita verso Modica Alta, dal primo tornante si può avere una visione d'insieme della città bassa e del grande ponte Guerrieri che la sovrasta. Da questo punto si entrava nel castello dei conti di Modica.

Del castello rimangono pochi resti: le mura esterne, la torre circolare, sulla quale è stato impiantato un orologio, e le carceri, alle cui pareti si notano antichi graffiti e stelle di David. Oggi ospita un'opera pia e una scuola di scherma. Il castello è stato edificato su un alto sperone roccioso, facilmente difendibile e molto importante per la posizione strategica. I primi abitatori vi hanno scavato un rilevante numero di grotte, erigendo templi per i loro dei. Qualche scrittore nel '600 testimonia che vi fossero resti di un antico tempio, forse dedicato a Cibele.

Alcuni scavi hanno portato alla luce le scale d'ingresso al castello, le mura esterne, alcuni sotterranei che portavano verso la chiesa di Santa Maria di Betlemme e verso il fiume, utili come vie di fuga e di rifornimento idrico in caso di assedio. 

Lungo la salita s'incontrano l'abside della chiesa di San Giorgio, con la bella cupola coperta da squame, e, proprio di fronte al tempio, il palazzo Napolino, uno degli edifici barocchi più belli di Modica. Il palazzo è caratterizzato, nel piano inferiore, da un ampio portale in pietra calcarea ben lavorato ma ormai consumato dal tempo; nel piano nobile spiccano i bellissimi balconi in ferro battuto dalle inferriate panciute e sostenuti da mensoloni a mascheroni e foglie d'acanto; in alto troneggia lo stemma dei Napolino, sormontato dalla corona baronale.

Proseguendo lungo i tornanti per Modica Alta, si incontrano molte altre chiese settecentesche, tutte dalle belle facciate e dagli interni caldi e sereni, palazzi nobiliari dai balconi barocchi, cortili ed angoli suggestivi. Nella parte più alta della città, imponente è la chiesa di San Giovanni, sulla sommità di una ampia scalinata che conferisce al tempio slancio e maestosità. Lungo la gradinata si elevano 26 pilastri che sorreggevano statue, oggi ne restano solo tre. La barocca facciata, costruita nel 1839, si presenta su due ordini ravvivati da due coppie di colonne nel corpo centrale. Al luminosissimo interno, a tre navate con transetto, risaltano le pregevoli opere in stucco della volta, il presbiterio, le cappelle laterali e il transetto con stucchi, opera del palazzolese Sebastiano Giuliana. 

Attraverso il vicolo a destra della chiesa si giunge alla diruta ex chiesa di Santa Maria del Gesù con annesso convento del XV secolo. I resti, oltre allo stile gotico chiaramontano, mostrano influenze prettamente spagnole. La chiesa, di cui rimane solo la stupenda facciata, crollò durante il terremoto del 1693. Il portale ad ogiva presenta una forte strombatura, ingentilita da fasci di colonnine dai capitelli finemente lavorati, e ha sull'ultima fascia delle colonne un lavoratissimo cartiglio con uno stemma centrale. Nella lunetta, ormai completamente deteriorata, s'intravedono sculture di animali. Ai lati del cartiglio due stupende monofore completano la bellezza di questo portale. Le due finestre sono un vero capolavoro di scultura e di pazienza, veri e propri ricami. L'autore, un certo Mastru Ramunnu, fu anche l'artefice del chiostro che ancora conserva meravigliose colonnine binate.

La cinquecentesca chiesa di San Francesco si trova nei pressi della stazione ferroviaria ed è raggiungibile risalendo la collina dell'ldria. A metà strada comincia una scalinata che porta fino alla chiesa. La facciata si presenta nuda e semplice; l'interno, luminoso ed austero, è ad una sola navata con due ringhiere ai lati, unico esempio di questo genere nella zona. Bellissimi il pavimento del presbiterio, in ceramica di Caltagirone, e l'altare in legno scolpito. Affiancato alla chiesa è il convento con un tipico chiostro.

Sulla strada per Scicli sorge la chiesa di S. Giacomo, isolata in un bel boschetto di pini e di eucalipti, proprio sotto il grandioso ponte, in un luogo altamente suggestivo. Si tratta, molto probabilmente, della più antica chiesa di Modica che ha resistito quasi intatta alla furia del tempo e degli uomini. La chiesetta, la cui costruzione si può fare risalire al XIV sec, si presenta in forme semplici, in conci a vista, con due portali ogivali privi di decorazioni, strette feritoie e un piccolo e modesto campanile a vela. All'interno, nudo e semplice, si trovano resti di un affresco, nella lunetta dell'abside, rappresentante l'"Altissimo fra angeli". Nel vano adiacente, al quale si accede mediante un arco acuto, si trova un antico altare in pietra

Palazzo Zacco Pirrera

Palazzo Zacco, tra i più belli di Ragusa superiore, fu costruito dal barone Melfi. Si presenta con due prospetti, in ognuno dei quali si aprono tre balconi nel piano nobile. Il portone d’ingresso è fiancheggiato da due colonne su alti plinti in pietra pece, con capitelli corinzi sui quali poggia il balcone centrale con una ringhiera mistilinea in ferro battuto. Gli stipiti dei balconi sono sorretti da mensoloni con due registri: in quello inferiore mascheroni grotteschi, in quello superiore figure fantastiche che ricalcano quelli di altri palazzi nobiliari coevi o realizzati nei decenni precedenti.

Nella testata ad angolo tra le due strade l’enorme scudo araldico dei Melfi di S. Antonio. Con questo palazzo entra a Ragusa lo stile rococò più sfrenato che ha riscontro solo in pochi altri edifici.

Il palazzo diverrà la sede del museo delle tradizioni ragusane.

Duomo di San Giorgio

Il Duomo di San Giorgio è la chiesa madre della città ed è inserito nella Lista Mondiale dei Beni dell'Umanità dell'UNESCO.

Esso viene spesso indicato e segnalato come monumento simbolo del Barocco siciliano, di cui rappresenta l'architettura più scenografica e monumentale. Lo storico dell'arte Maurizio Fagiolo dell'Arco ha dichiarato che tale Chiesa «forse andrebbe inserita tra le sette meraviglie del mondo barocco».

L'edificio è il risultato finale della ricostruzione sei/settecentesca, avvenuta in seguito ai disastrosi terremoti che colpirono Modica nel 1542, nel 1613 e nel 1693 (il più grave, vedi Terremoto del Val di Noto); lievi danni apportarono i sismi nell'area iblea succedutisi nel corso del Settecento e nel 1848.  

Il primo documento ufficiale che certifica la presenza di una chiesa dedicata a San Giorgio nella città di Modica è una bolla pontificia del 1150, emanata da papa Eugenio III, con la quale bolla la Ecclesia S. Giorgi de Mohac veniva posta, insieme alla consorella di S. Giovanni Evangelista già presente nella parte alta della città, sotto la tutela del Monastero di Mileto, in Calabria. Ma verosimilmente la sua prima edificazione sarebbe stata voluta direttamente dal Conte Ruggero d'Altavilla, a partire dalla conquista normanna della Sicilia, intorno al 1090. San Giorgio fu eretta a Collegiata con bolla di Urbano VIII del 6 novembre 1630.

L'impianto secentesco era stato progettato dall'architetto Frate Marcello da Palermo, dei Minori Riformati di San Francesco di Modica, con la posa della prima pietra nel 1643.

Il capomaestro della fabbrica di S. Giorgio, promosso poi nel 1649 a capomaestro incegniero della città di Modica, era Carlo D'Amico, anch'egli originario di Palermo. 

Misterioso rimane il nome dell'autore del progetto di risistemazione settecentesca della facciata, anche se indicazioni ricavate da attenti studi inducono a pensare, anche in considerazione della lunga durata dei lavori, ad una continua rielaborazione ad opera dei più validi architetti del Settecento isolano, fra i quali Rosario Gagliardi per il progetto iniziale, Francesco Paolo Labisi da Noto dal 1761 in poi (per quanto riguarda la costruzione del II e del III ordine, ma la direzione dei lavori gli venne tolta, ed affidata a capimastri), infine Carmelo Cultraro limitatamente al coronamento del III ordine grazie alla costruzione di una guglia, fra il 1841 ed il 1842. 

Il Gagliardi ed il Làbisi, pur agendo in ambito squisitamente siciliano, erano professionisti aggiornati e buoni conoscitori dello stile barocco e tardo barocco italiano ed europeo dell'epoca. In particolare il Làbisi, per quanto riguarda l'originale soluzione della facciata-torre, pare essersi ispirato alla Cattedrale di Dresda, completata nel 1753 su progetto dell'italiano Gaetano Chiaveri.  

I lavori per la ristrutturazione e rimodulazione del I ordine della facciata secentesca, che aveva resistito alle forti scosse del terremoto del 1693, con la modalità della giustapposizione, ovvero dello sfabbricare piccole porzioni per rifabbricare sopra, iniziarono nel 1702 e furono completati nel 1738, mantenendo il vecchio stile. 

Cospicue furono le offerte, per i restauri o i rifacimenti ex novo, da parte dei fedeli modicani, cui si aggiunsero un grosso contributo del Comune, e la generosa elargizione di re Filippo IV, che rinunciò a favore della chiesa al contributo annuale che la Contea versava al Real Patrimonio di Spagna; in pochi mesi, si raccolsero ben 5.350 onze, parecchi milioni di euro attuali come valore spendibile. 

Della facciata antecedente il terremoto, quella costruita secondo il modello di Frate Marcello, se ne lesionò solo un pezzo, un arco di una porta, rifatto fra il 1702 ed il 1704 conforme all'antica pianta, al costo di appena 300 onze, comprendendo tale spesa il rifacimento di un pezzo di tetto della navata centrale, e del campanile. La consegna dei lavori fu solennemente festeggiata in città il 9 febbraio del 1738 con un corteo alla presenza di tutte le autorità religiose (il vescovo di Siracusa, Mons. Matteo Trigona in testa), civili e militari dell'epoca. Poi una lunga pausa fra il 1738 ed il 1760.

Il I ordine della facciata attuale era dunque già completo nel 1760, anno in cui fu dato l'incarico al Làbisi di un progetto che, partendo da un rafforzamento plastico della struttura portante del I ordine, consentisse a quest'ultimo di sostenere il peso del II e del III ordine, previsto dal progetto stesso, mantenendo una uniformità stilistica, nonostante l'ardito disegno di innalzare una facciata a torre. 

Il lavoro del Labisi fu oltremodo importante, in quanto l'architetto netino riuscì a disegnare il II ed il III ordine in maniera perfettamente armonica rispetto allo stile tardo-barocco con cui era stato ricostruito il I ordine della facciata, rimodulato qualche decennio prima sui disegni o del Gagliardi (dei quali disegni non abbiamo testimonianza, ma che operava a Modica, ad esempio, nel 1714, per la facciata gesuitica dell'attuale chiesa dedicata a Santa Maria del Soccorso) o di altro architetto (risultano pagamenti, anteriori al 1761, da parte del canonico Francesco Gaetano Basile, tesoriere di San Giorgio, a favore di Vincenzo Sinatra, anch'egli di Noto, allievo del Gagliardi) che ai suoi dettami si rifaceva. Il III ordine fu completato nel 1780 avendo previsto nel 1777 il posizionamento delle campane più grandi nell'apposita cella, e dell'orologio meccanico nel suo quadrante. 

Le campane e l'orologio, completato il III ordine, furono spostati nel 1777 al piano superiore, lasciando vuoti, come li vediamo attualmente, la cella campanaria del II ordine ed il relativo quadrante dell'orologio. Il rifacimento in nuovo stile della facciata del Duomo, a distanza di 78 anni dall'inizio dei lavori, poteva definirsi quasi completato, mancando però il coronamento del III ordine e la guglia finale con la croce. A questo provvede, con un suo progetto, il ragusano Carmelo Cultraro, coadiuvato dai maestri di fabbrica Primo Muccio e Gaudenzio Lauretta, dal 1841 al 1842.

Nel 1841 (atto del 26 marzo) fu infatti dato incarico al "capomaestro di fabbrica" Carmelo Cultraro di realizzare, entro un anno e cinque mesi, una guglia su cui apporre la croce in ferro, a completamento del progetto originario della chiesa madre. La committenza al Cultraro elenca minuziosamente le sculture, le forme, i fregi, i decori, di cui dotare la cuspide della chiesa. Nel 1842 anche questo progetto era interamente compiuto, come attesta un cartiglio lapideo apposto nel coronamento che sormonta il III ordine.

L'imponente facciata a torre, che si eleva per un'altezza complessiva di 62 metri, fu costruita a partire dal 1702 e completata, nel coronamento finale e con l'apposizione della croce in ferro sulla guglia, nel 1842.

La facciata attuale - dalle sorprendenti analogie con la coeva Katholische Hofkirche di Dresda - fu realizzata modificando, forse anche con parziali demolizioni, quella secentesca preesistente, di cui non abbiamo documenti o disegni ma che aveva resistito alla forza del terremoto. Peraltro mai furono sospese le attività liturgiche nel Duomo, salvo qualche mese dopo il tremendo terremoto del 1693 che ne aveva fatto crollare i tetti, ripristinati i quali già nel 1696, alla visita pastorale del vescovo di Siracusa, la chiesa era nel pieno esercizio delle sue funzioni.

La cupola s'innalza per 36 metri. Una scenografica scalinata di 164 gradini, disegnata per la parte sopra strada dal gesuita Francesco Di Marco nel 1814 e completata nel 1818, conduce ai cinque portali del tempio, che fanno da preludio alle cinque navate interne della chiesa, che ha pianta basilicale a croce latina e tre absidi dopo il transetto. La parte della scalinata sotto il Corso San Giorgio fu progettata nel 1874 dall'architetto Alessandro Cappellani Judica e completata nel 1880. La prospettiva frontale di tutto l'insieme è arricchita da un giardino pensile su più livelli, detto Orto del Piombo, costeggiato dalla scalinata monumentale, e compone una scenografia che ricorda Trinità dei Monti in Roma.  

L'interno della chiesa è a cinque navate, con 22 colonne sormontate da capitelli corinzi. Il tempio è dedicato ai martiri San Giorgio e Ippolito, e fra le navate vi si possono ammirare un grandioso organo con 4 tastiere, 80 registri e 3000 canne, perfettamente funzionante, costruito tra il 1885 e il 1888 dal bergamasco Casimiro Allieri; un dipinto di scuola toscana, L'Assunta, del tardo-manierista fiorentino Filippo Paladini (1610); una deliziosa pittura naif su legno, La Natività del pittore milanese Carlo Cane (1615-1688), della seconda metà del Seicento; la tela secentesca (1671Il Martirio di Sant'Ippolito, firmata dal poco noto Cicalesius, una statua marmorea di scuola gaginiana, la Madonna della Neve, della bottega palermitana dei carraresi Bartolomeo Berrettaro e Giuliano Mancino, del 1511. Sull'altare in fondo ad una delle due navate di destra, poggia l'Arca Santa, chiamata Santa Cassa, opera in argento intarsiato costruita a Venezia nel XIV secolo, e donata alla Chiesa dai conti - mecenati della dinastia dei Chiaramonte.

Sul pavimento dinanzi l'altare maggiore, nel 1895 il matematico Armando Perini disegnò una meridiana solare; il raggio di sole, che entra dal foro dello gnomone posto in alto sulla destra, a mezzogiorno, segna sulla meridiana il mezzogiorno locale. All'estremo sinistro della meridiana, una lapide del pavimento contiene l'indicazione delle coordinate geografiche della chiesa, e dunque della stessa città di Modica.

L'elenco dei siti ospitanti le installazioni di meridiane: la Cattedrale di Maria Santissima Annunziata di Acireale, la Scuola Tecnica Regia di Caltanissetta, la Chiesa dei Santissimi Apostoli Pietro e Paolo di Castiglione di Sicilia, il Duomo di Santa Maria Assunta di Castroreale, la Chiesa di San Nicolò l'Arena di Catania, la Basilica Cattedrale Protometropolitana della Santa Vergine Maria Assunta di Messina, il Duomo di San Giorgio di Modica, la Cattedrale Metropolitana della Santa Vergine Maria Assunta di Palermo.

Un paragrafo a parte merita il grandioso polittico posto nel fondo della parete absidale dietro l'altare maggiore, composto da ben 10 tavole, dipinte, si credeva fino agli anni Settanta del secolo scorso, dal messinese Girolamo Alibrandi nel 1513, e raffiguranti le scene della Sacra Famiglia e della vita di Gesù, dalla Nascita fino alla Resurrezione e all'Ascensione, oltre a 2 riquadri con le classiche iconografie dei due santi cavalieri, San Giorgio che sconfigge il Drago, e San Martino che divide il proprio mantello con Gesù, che gli si presenta sotto le vesti di un povero accattone. 

La datazione e l'autore del polittico, contestati per la difficile lettura della terza cifra sotto la pancia del cavallo di San Martino, sembravano avvalorati dal fatto che Girolamo Alibrandi, oltre ad essere contemporaneo e concittadino, era anche cognato di Giovanni Resalibra da Messina, l'abile intarsiatore ed indoratore delle cornici e dell'intera tribuna che contiene le 10 pale che compongono il polittico. Nessun dubbio che l'autore del Polittico di San Giorgio fosse stato Girolamo Alibrandi (1470-1524, noto come il "Raffaello di Sicilia") ebbe mai lo storico dell'arte Gioacchino Di Marzo (1839-1916), il quale adduceva come prove, oltre alla datazione, anche l'affinità di stile che la Presentazione di Gesù al Tempio (una delle dieci tavole di Modica), presenta con il famoso dipinto della Presentazione al Tempio eseguito dall'Alibrandi per la Compagnia della Candelora in Messina, oggi esposto presso il Museo Nazionale della stessa città.  

Chiesa di San Giovanni Evangelista

La chiesa di San Giovanni Evangelista presenta una facciata la cui ultima versione è stata rifatta dopo il 1839, per essere completata fra il 1893 ed il 1901.  

Il luogo di culto si trova in questo sito dal 1150 (bolla papale di papa Eugenio III). Un documento del marzo 1217 cita le chiese di San Giovanni e di San Giorgio in Modica come poste sotto la tutela della Diocesi di Mileto, in Calabria. Si trovava in questa spianata il primo edificio religioso di Modica, la chiesa di San Pietro extra moenia del VII secolo, con adiacente un coevo monastero dei Benedettini, uno dei sei fondati in Sicilia da San Gregorio Magno. Ma un diploma di cui riferisce lo storico Placido Carrafa, riporta che il Preposto di San Giorgio ordinò la demolizione, avvenuta nel 1454, del monastero attiguo a San Pietro fuori le mura, lasciando spazio ad una nuova e più grande costruzione, un sol corpo con quella di San Pietro, e che venne dedicata anche a San Giovanni Evangelista. Successivamente, essendo sorta nel frattempo, nel Trecento, una chiesa dedicata a San Pietro nella parte bassa della città, la chiesa di Modica Alta mantenne la sola intitolazione a San Giovanni Evangelista, per quanto una campana fusa nel 1550 riporti ancora incise le effigi di ambedue gli Apostoli.

Danneggiato il primo tempio dal terremoto del 1542, fu presto riedificato nelle dimensioni attuali, per essere poi gravemente colpito dal terremoto del 1693. La chiesa fu ricostruita in forme barocche tra i primi decenni del Settecento ed il 1839, anno in cui l'architetto Salvatore Toscano progetta il II e III ordine e la scalinata monumentale che scende fino alla piazza. Il prospetto fu lievemente lesionato dall'ulteriore sisma del 1848, il che portò alla decisione, nel 1893, di modificare ulteriormente la facciata, dando forma a quella definitiva di fine Ottocento, in stile neoclassico, simile al prospetto della basilica Collegiata di Catania, che possiamo ammirare ancor oggi. L'ultima ridefinizione architettonica della facciata fu operata dal capomastro modicano Giuseppe Garofalo Giannone, su disegno dell'architetto Salvatore Rizza di Avola. 

Ricca di stucchi decorativi all'interno, con le rappresentazioni dei quattro Evangelisti, vi si conserva il gruppo statuario dell'Addolorata, del Cinquecento, composto dalle statue della Vergine Maria e di Marta che piangono Gesù appena spirato, staccato dalla Croce, e sostenuto dalle braccia amorose della Maddalena. Al gruppo statuario originario, nell'Ottocento, furono aggiunte le statue del Redentore moribondo pendente dalla Croce, e quella del suo discepolo preferito, Giovanni (poi Evangelista).

Ai piedi dell'Altare di San Giovanni Evangelista è poggiata un'arca, contenente quasi tutti i resti del corpo di Santa Temperanza martire, donati alla chiesa da un certo don Fidenzio di Ascoli, su licenza di don Ottavio CarafaArcivescovo di Patrasso, donazione avvenuta alla metà circa del XVII secolo (come risulta dai documenti custoditi in parrocchia, fra cui gli Atti di una ricognizione eseguita il 20 giugno 1664 dal Vicario generale di Siracusa, Giuseppe Capobianco, su disposizione del cardinale Ginetti). 

La chiesa presenta all'esterno scalinata, che contribuisce al contesto scenografico urbano, ai cui lati i muri perimetrali sono intercalati da ventisei pilastri, che in tempi passati dovevano sorreggere altrettante statue, mentre ora se ne conservano solo tre. La chiesa si trova nella parte alta del centro storico della città, e la croce che sormonta l'apice della guglia rappresenta, con i suoi 449 m, il punto più alto di Modica. Sul lato sinistro della chiesa, un tortuoso reticolo di vicoli di retaggio medievale conducono al Belvedere della città alta, il cosiddetto Pizzo, da cui si domina il centro storico di Modica.  

Chiesa di Santa Maria del Gesù

Il Convento dei Frati Francescani Minori Osservanti con l’annessa Chiesa di Santa Maria del Gesù è uno dei monumenti superstiti dell’architettura del quattro - cinquecento siciliano tra i più rilevanti e meno conosciuti. Conservano uno splendido chiostro a due ordini in stile tardo-gotico, con tante colonnine tortili, a spiga, romaniche o arabo-normanne, variamente ricamate e ognuna diversa da quella accanto.  

Furono costruiti in quella che era allora la « Vicaria», la parte esterna alla città e rimasero per questo motivo isolati. Vi si accedeva da un viale monumentale voluto dagli Henriquez ma che nell’800’ fu poi demolito per costruire uno dei quartieri più popolosi della città. 

La Chiesa fu costruita restaurando una preesistente chiesa francescana già presente almeno dal 1343, per la volontà e la munificenza della Contessa Giovanna Ximenes, al fine di celebrarvi, nel gennaio del 1481, le nozze della propria figlia Anna Cabrera con Federico Enriquez, primo cugino del Re di Spagna Ferdinando il Cattolico. Purtroppo la chiesa e il convento attualmente non sono visitabili, in quanto l'ex Convento è sede carceraria sin dal 1865 dopo l’Unità d’Italia e ciò ha determinato un mutamento d’uso isolandolo totalmente dalla vita urbana della Città.  

Castello

Il castello di Modica rappresentò per secoli la sede del potere politico e amministrativo della contea storica di Modica.  

Era infatti presidio fortificato militare e carcerario, residenza dei Conti prima, del Governatore della contea in nome del Conte, dopo Carlo I d'Angiò fece redigere due elenchi dei castelli demaniali siciliani: gli Statuta Castrorum Siciliae, emanati nel 1268 e nel 1272. È nel secondo elenco che troviamo citato il castello di Modica. Oltre che nello Statutum Castrorum Siciliae del 1272, il castello di Modica compare inserito in una Bolla papale datata Anagni 21 agosto 1255, indirizzata a fra Ruffino de' Minori, cappellano e penitenziere del Papa. 

Fu in questo castello che il conte Matteo Chiaramonte ospitò, nel 1366 il re Federico IV d'Aragona, e nel 1401 il conte Bernardo Cabrera vi accolse il re di Sicilia Martino I. Ivi si amministrava anche la Giustizia, essendo sede, dal 1361, della Gran Corte, cui si aggiunse nel 1392 la Corte delle I e II Appellazioni, per divenire poi dal 2 giugno 1862 Tribunale civile e penale di I grado e Corte d'Assise

La città divenne Capoluogo di Distretto della Intendenza di Siracusa, e la sede di tutti gli uffici rimase nel castello fino al 1865. Con l'Unità d'Italia, furono cacciati dai loro conventi e monasteri gli Ordini religiosi, ed il Castello dei Conti fu definitivamente abbandonato, andandosi a trasferire il Carcere, il Tribunale e gli Uffici Circondariali pressi i vari conventi resisi disponibili.  

Dal punto di vista monumentale, il Castello, o ciò che di esso rimane, nato come fortificazione rupestre che si sovrappone ad un'emergenza funeraria del tipo di Pantalica, viene modificato in varie epoche tra l'VIII e il XIX secolo, e si erge su un promontorio roccioso difficilmente attaccabile, con due lati su tre costituiti da pareti a strapiombo. All'esterno rimane una torre poligonale (XIV sec). Nel cortile interno sono visitabili le carceri medievali, civili e "criminali", una serie di stanze squadrate ricavate dalla roccia, ognuna riservata ad una specifica categoria di carcerati: donne, condannati comuni, galantuomini, persone in attesa di giudizio.

Per i briganti più pericolosi c'erano (una è ancor oggi visibile) due grandi fosse profonde circa sette metri, chiuse in alto da una possente grata di ferro, dalla quale entravano la luce e l'aria. Nello stesso cortile poi è presente la più recente chiesa della Madonna del Medagliere (sorta nel 1930 sui ruderi della chiesa di San Leonardo, a conforto dei carcerati fino al 1865), inoltre è visibile ciò che resta della chiesa di San Cataldo, che era la cappella privata del Conte e del Governatore, e infine tre nicchie campanarie oggi murate all'esterno, il suono delle cui campane indicava alla città le ore, ed i momenti che si vivevano all'interno del Castello. Crollate a causa del terremoto del 1693, o demolite perché di intralcio allo sviluppo urbanistico moderno della zona, quasi nulla più resta delle 5 torri, delle 4 porte e della cinta muraria dell'antico maniero. 

Recentemente è venuto alla luce, e reso fruibile, un suggestivo cunicolo sotterraneo scavato nella roccia, che trapassa lo sperone roccioso su cui sorge il Castello: era un passaggio di ronda militare. Recentissimi scavi archeologici nell'area del castello, che vanno di pari passo coi lavori di un grande progetto per un riuso moderno della parte nuova del castello stesso come centro congressi, stanno portando alla luce suppellettili varie, arredi funerari, ceramiche, monete bronzee, vasellame, pavimentazioni, fondamenta di grosse mura portanti, nascosti sotto carichi secolari di materiali di risulta, e risalenti dal bronzo antico, passando per il periodo ellenistico, quello romano, poi tracce del periodo arabo, per arrivare a coprire tutto il periodo dell'uso amministrativo, militare e carcerario del castello, fino a tutto l'Ottocento.

Sui resti post-terremoto (fine XVII secolo) di una torretta di avvistamento medioevale del castello dei Conti, posta a cavaliere delle mura sottostanti, è stato apposto, nel 1725, un orologio meccanico a contrappesi, ancora perfettamente funzionante, i cui complessi meccanismi vengono controllati e riavviati ogni 24 ore circa. 

Nel 1777 viene inviata lettera a Re Ferdinando di Borbone, in cui si chiede autorizzazione alla spesa per un primo restauro, in quanto il primo orologio è arrivato a tale stato che rendesi affatto inservibile... perché tutte le ruote sono contorte in grado che da più tempo a questa parte or non suona, ed or trasferisce notabilmente le ore in grave pregiudizio del pubblico nella vita civile. Gli ingranaggi, che permettono il funzionamento di quest'orologio esclusivamente in modo meccanico, vengono quotidianamente curati e regolati da un tecnico del Comune. 

L'interno della torretta - caratterizzato grandi molle metalliche, pesi e contrappesi, grosse funi e catene - è visitabile soltanto in particolari occasioni. Dalla balaustra della torre si può godere di un suggestivo, insolito, panorama sulla parte bassa del centro storico. 

La torre dell'orologio - imponente testimone secolare della vita cittadina - è sempre stata considerata il "simbolo" dell'antica nobile Città di Modica e insieme alle due chiese maggiori di Modica - dichiarate "patrimonio dell'Umanità" - è il monumento più fotografato della Città.  

Palazzo Polara

Sul lato sinistro del Duomo di San Giorgio è visibile Palazzo Polara, della fine del Settecento, sul cui frontone spicca lo stemma della famiglia con la stella polare. Palazzo Polara, è una costruzione in stile tardo barocco, introdotta da un elegante scalone. 

La facciata, in un tutt'uno scenografico con la scalinata monumentale ed il prospetto del Duomo di San Giorgio, domina la parte bassa del centro storico di Modica e le colline che la circondano facendole corona, in un suggestivo colpo d'occhio che ci conduce verso il Belvedere della città alta, il cosiddetto Pizzo.

Palazzo Napolino-Tommasi Rosso

Posto nel cuore dell'antico quartiere di Francavilla, alle spalle del Duomo di San Giorgio e nei pressi dell'entrata del Castello dei Conti, è fra le testimonianze più significative dell'architettura tardo-barocca di Modica. La sua costruzione risale alla seconda metà del XVIII secolo. 

La sua facciata comprende un bel portale d'ingresso, le cui colonne ai lati lasciano scendere degli eleganti tendaggi scolpiti nella pietra, ed emergenti dalla bocca di due leoni. Il portale è sovrastato da un elegante balcone in ferro battuto, sorretto da mensoloni decorati con mascheroni. 

Altri due balconi sono posti simmetricamente ai lati di quello centrale, a completare il prospetto di quella che è riconosciuta come la più elegante architettura civile del barocco modicano. Edificato dai Lorefice, poi passato ai Napolino ed infine ai Tommasi Rosso.  

Palazzo Castro Grimaldi

Situato nel cuore di Modica Alta, Palazzo Castro Grimaldi fu costruito, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, su commissione del cav. Francesco Castro, per abitarlo con la consorte donna Grazietta Grimaldi, benefattrice della città e discendente di un ramo dei principi Grimaldi di Monaco. Il Palazzo si trova in una posizione strategica, a pochi metri dal maestoso Duomo di San Giorgio.

Dai suoi terrazzi è possibile godere di una vista unica che racchiude il meraviglioso centro storico, i palazzi nobiliari di Modica Alta e Modica Bassa, fino ai quartieri più lontani che si ergono sulle colline della città. Nel 1903, per volere della famiglia Castro - Grimaldi, il palazzo subì dei lavori di ristrutturazione e da allora gli interni non sono più stati rimaneggiati. 

Gli arredi, i suppellettili, i dipinti, gli affreschi, la carta da parati, tutto è rimasto intatto, al fine di preservare il fascino storico della dimora e mantenerne vive le tradizioni. Gli interni del Palazzo, con i dettagli preziosi e le decorazioni eleganti, opera dei migliori artigiani siciliani dell’epoca, rivelano il gusto tipico della nobiltà siciliana di fine ‘800 e inizio ‘900.  

Palazzo degli Studi

Il Palazzo degli Studi (1610 - 1630) era in realtà il convento dei Gesuiti, i quali fin dal loro insediamento nella struttura ne fecero il Collegio dove istruire i rampolli dell'aristocrazia di Modica. Il Collegio, costruito ampliando e restaurando un palazzo donato al Comune dal nobile palermitano Alliata, era annesso alla chiesa dei SS. Gesù e Maria, o del Collegio (poi diventata S. Maria del Soccorso), il cui prospetto barocco fu rifatto nel 1714 su progetto di Rosario Gagliardi, mentre il convento, resistendo al terremoto del 1693, determinò la scelta dei Gesuiti e del popolo modicano di non spostare la città sugli altopiani limitrofi. 

L'intero edificio sorse per volontà della contessa Vittoria Colonna de Cabrera, che si fece promotrice della venuta a Modica dei Gesuiti, e contribuì finanziariamente, insieme al Comune e ai possidenti del tempo, al che nella capitale della Contea si istituissero corsi di studio di livello universitario. Fu dunque sede del Collegio Gesuitico sin dal 1630, del Ginnasio comunale nel 1862, del Regio Istituto Tecnico "Archimede" dal 1866, e ospita, dal 1878, il Liceo Classico intitolato allo scienziato e filosofo modicano Tommaso Campailla.

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Agosto 2019