Palermo

 

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Chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio o della Martorana

La chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio, sede della parrocchia di San Nicolò dei Greci e nota come Martorana, è ubicata nel centro storico di Palermo. Adiacente alla chiesa di San Cataldo, si affaccia sulla piazza Bellini ove affianca il Teatro omonimo e fronteggia la chiesa di Santa Caterina d'Alessandria ed il prospetto posteriore del Palazzo Pretorio.

La chiesa appartiene all'eparchia di Piana degli Albanesi, circoscrizione della Chiesa italo-albanese, e officia la liturgia per gli italo-albanesi residenti in città secondo il rito bizantino.

Edificio bizantino del Medioevo, è testimonianza della cultura religiosa e artistica orientale in Italia, ulteriormente apportata dagli esuli albanesi rifugiatisi in Sicilia dal XV secolo sotto l'incalzare delle persecuzioni turco-ottomane nei Balcani. Quest'ultimo influsso ha lasciato notevoli tracce nella pittura delle icone, nel rito religioso, nella lingua, nei costumi tradizionali proprie di alcune colonie albanesi nella provincia di Palermo. La comunità è parte della Chiesa cattolica, ma segue il rito e le tradizioni spirituali che l'accomunano in gran parte alla Chiesa ortodossa.

Si contraddistingue per la molteplicità di stili che s'incontrano, in quanto, con il susseguirsi dei secoli, fu arricchita da vari altri gusti artistici, architettonici e culturali. Oggi si presenta difatti come chiesa-monumento storico, frutto delle molteplici trasformazioni e sottoposta inoltre a tutela nazionale.  

Come dimostrato da un diploma greco-arabo del 1143, da un'iscrizione greca all'esterno della facciata meridionale e dalla stessa raffigurazione musiva di dedicazione, la chiesa fu fondata nel 1143 per volere di Giorgio d'Antiochia, grande ammiraglio siriaco di fede ortodossa al servizio del re normanno Ruggero II dal 1108 al 1151. Costruita da artisti orientali secondo il gusto bizantino, si trovava nei pressi del vicino monastero benedettino, fondato dalla nobildonna Eloisa Martorana nel 1194, motivo per il quale diventò nota successivamente come "Santa Maria dell'Ammiraglio" o della "Martorana" (precedentemente Giorgio l'Antiocheno fece edificare anche il possente "Ponte dell'Ammiraglio" sul fiume Oreto, noto anche per una battaglia dei garibaldini). All'edificio sacro, che nel corso dei secoli è stato più volte distrutto e restaurato, si accede dal campanile: una costruzione a pianta quadrata del XIII secolo, aperta in basso da arcate a colonne angolari e con tre ordini di grandi bifore.

La chiesa possiede una pianta a croce greca, prolungata con il nartece e l'atrio. Un portale assiale (ancora esistente) da sull'atrio e il nartece, come nelle prime chiese cristiane. Al di là del nartece, l'edificio era sistemato e decorato come una chiesa bizantina a 4 colonne, tranne gli archi a sesto acuto e i pennacchi della cupola che erano di gusto islamico. Nel 1193 le case attorno vengono adibite a monastero per le donne e la chiesa verrà poi ad esso inglobata.

Con sede vescovile vacante, il 5 febbraio 1257 l'altare maggiore fu consacrato dal vescovo di Siracusa Matteo de Magistro di Palermo. Nel 1394 c. fu fondato il monastero attiguo, patrocinato dai coniugi Goffredo e Luisa Martorana, da cui prenderà successivamente il nome. Il 7 dicembre 1433, col privilegio concesso da Alfonso V d'Aragona e confermato da Papa Eugenio IV, la chiesa dell'Ammiraglio è assegnata al monastero adiacente. Essendo l'edificio compreso nel recinto della clausura, le monache utilizzano la nuova struttura più prestigiosa, abbandonando il luogo di culto proprio del monastero, passando al rito latino.

Negli anni 1683-1687, per adeguarla alle esigenze del nuovo rito, l'abside centrale viene distrutta e sostituita da una nuova abside rettangolare, progettata da Paolo Amato, e il prospetto meridionale viene abbattuto. Nel 1740 Nicolò Palma progetta un nuovo prospetto secondo il gusto barocco dell'epoca.

Nel 1846 si realizza l'abbassamento del piano della piazza e viene realizzata la scalinata. In considerazione dell'alto valore artistico della chiesa, tra il 1870 e il 1873, su direzione dell'architetto Giuseppe Patricolo, si realizzò il suo restauro. Nell'intento di riportare la chiesa allo stato originario, furono staccati i marmi settecenteschi delle pareti laterali del presbiterio (di cui era prevista la distruzione) e fu accentuato il muro di chiusura originale. La chiesa venne riportata per gran parte al suo aspetto medievale originario eccetto che per la navata e per l'abside centrale. 

Dalla fine del XIX secolo la chiesa cadde in stato di abbandono, quindi sotto l'amministrazione civile-comunale, sino al ritorno al culto orientale nella prima metà del XX secolo per conto della comunità albanese di Sicilia su concessione dell'Arcidiocesi di Palermo. La chiesa assunse il titolo di San Nicolò dei Greci (per "greci" erano scambiate quelle popolazioni albanesi che, dal XV secolo in Italia e Sicilia, conservavano "rito greco"-bizantino, lingua, costumi, identità) dopo che l'omonima chiesa - degli albanesi in Palermo - fu distrutta nel secondo conflitto mondiale. Fu così che la chiesa ha ereditato anche la sede della secolare parrocchia bizantina italo-albanese. La chiesa è stata recentemente restaurata e la sede della parrocchia fu momentaneamente accolta nella chiesa del SS.mo Salvatore delle suore basiliane italo-albanesi in Palermo.

Oggi la chiesa di San Nicolò dei Greci non possiede un vero e proprio territorio parrocchiale, ma è il punto di riferimento di 15.000 fedeli arbëreshë, ossia la comunità albanese di Sicilia presente storicamente nella provicia di Palermo, residenti nella città di Palermo e che professa il rito bizantino.  

Per tradizione continua a chiamarsi "dei Greci", una definizione impropria, poiché la parrocchia appartiene ecclesiasticamente agli italo-albanesi. Greco fu definito - dai non arbëreshë - il rito bizantino per la lingua liturgica utilizzata. Non manca, comunque, la variante sempre maggiormente utilizzata oggi di "Parrocchia San Nicolò o Nicola degli Italo-Albanesi".

Dai propri fedeli albanofoni viene chiamata Klisha arbëreshe Palermë o semplicemente Marturanë e nella versione non colloquiale Famullia/Klisha Shën Kolli i Arbëreshëvet në Palermë. Si può, inoltre, spesso leggere il titolo "Parrocchia San Nicolò dei Greci alla Martorana", questo per intendere che la parrocchia ha sede ora alla "Martorana" e non nella iniziale sede in via Seminario Italo-Albanese.

riti liturgici, le cerimonie nuziali, il battesimo e le festività religiose della parrocchia di San Nicolò dei Greci seguono il calendario bizantino e la tradizione albanese delle comunità dell'Eparchia di Piana degli Albanesi.

Le lingue liturgiche utilizzate sono il greco antico (come di tradizione, che nacque per unificare sotto un'unica lingua di comprensione tutti i popoli della chiesa d'Oriente) o l'albanese (la lingua madre della comunità parrocchiale). Non è raro qui sentire parlare abitualmente i papàdhes e i fedeli in lingua albanese, la lingua, infatti, è il principale elemento che li identifica in una specifica appartenenza etnica. Qualche fanciulla di Piana degli Albanesi si sposa ancora indossando il ricco abito nuziale della tradizione albanese e la cerimonia del matrimonio (martesa) conserva tutti gli elementi della tradizione ortodossa.

Una festa particolare per la popolazione arbëreshe è la Teofania o Benedizione delle acque il 6 gennaio (Ujët e pagëzuam); la festa più importante è la Pasqua (Pashkët), con i riti orientali di forte spiritualità della Settimana Santa (Java e Madhe) e il canto del Christos anesti-Krishti u ngjall (Cristo è risorto). Il 6 dicembre ricorre la festa di San Nicola di Mira (Dita e Shën Kollit).

Le due scene raffiguranti la Natività di Cristo e la Morte della Vergine restano nel cuore. Nella prima, la stella cometa illumina con un raggio il bambino appena nato, strettamente avvolto nelle fasce, mentre le levatrici già preparano il bagnetto saggiando il calore dell’acqua. Nella seconda, un altro bimbo in fasce è portato in cielo da un Cristo adulto: è l’anima di sua madre, che si è appena “addormentata”.

Tutta la Martorana è una vertigine d’arte. Ci si distacca a fatica dalle storie sacre di questa chiesa bomboniera, rivestita da cima a fondo dai mosaici più antichi della Sicilia (insieme a quelli della Cappella Palatina). E visto che le chiese sono comunque opere degli uomini, perlopiù potenti, due riquadri lo ricordano in maniera inequivocabile: in uno Ruggero II viene incoronato direttamente da Cristo, nell’altro Giorgio d’Antiochia si prostra davanti alla Vergine. Nel 1143 fu quest’ultimo, Grande Ammiraglio di re Ruggero, a fondare la chiesa che assunse perciò il nome di Santa Maria dell’Ammiraglio, prima di essere ribattezzata Martorana per la vicinanza con un monastero benedettino fondato nel 1194 dalla nobildonna Eloisa Martorana.

Entrati nel primo corpo della costruzione - rifacimento settecentesco con volte affrescate da Olivio SozziAntonio Grano e Guglielmo Borremans - due decorazioni musive sul fronte del corpo originario raffigurano uno Ruggero II vestito da imperatore bizantino e incoronato re per mano di Gesù Cristo; l'altro la dedicazione della chiesa alla Vergine da parte dell'ammiraglio d'oriente Giorgio d'Antiochia, quest'ultimo rappresentato in umile atto di prostrazione dinanzi alla Madonna.

Il fulcro di tutta la composizione è il “Cristo assiso benedicente“, sulla sommità della cupola, con il mondo ai piedi e, distribuiti sulla volta della calotta, quattro angeli prostrati in atto di adorazione; alla base della cupola un fregio in legno di abete, scoperto nel 1871, reca un’iscrizione dipinta in bianco su fondo turchino, il cui testo, eccezionale esempio di convivenza tra culture diverse, comprende un inno della liturgia bizantina (il sanctus con Osanna e Gloria ) tradotto in arabo, la lingua madre di Giorgio d’Antiochia.

Nel tamburo della cupola sono otto profeti e nelle nicchie dei pennacchi angolari i quattro evangelisti.

Sull’arco trionfale è raffigurata l’Annunciazione, negli arconi la Natività, la Dormizione della Vergine e la Presentazione al Tempio. Nelle volte a botte vi sono raffigurati santi sempre legati alla figura di Maria.

Della decorazione musiva che in origine ornava la parete del portico rimangono soltanto due suggestivi pannelli che nel 1538, a seguito della distruzione del portico, furono spostati nei recessi laterali dell’ingresso,dove ancora oggi si possono ammirare: in quello di destra è raffigurato ”Giorgio d’Antiochia ai piedi della Vergine”, che originariamente era posto sopra la sua tomba, di fianco all’ingresso del santuario, mentre in quello di sinistra è la notissima“incoronazione di re Ruggero II”.

Negli ultimi anni del XVII secolo l’abside centrale semicircolare venne sostituito da un cappellone rettangolare, opera di Paolo Amato, successivamente decorato a marmi mischi e con affreschi nella cupola di Antonino Grano. 

La chiesa è fornita di un'antica iconostasi in marmi mischi, in cui, essendo priva di icone, i papàdes albanesi dell'epoca hanno provvisto la realizzazione dei mosaici della Madonna, del Cristo e dalle icone di Maria Vergine e San Nicola di Mira, questi ultimi che precedono l'iconostasi.

Molto importante per i fedeli arbëreshë è la grande icona raffigurante San Nicolò in trono (XV sec.), posta oggi nel diaconicon e che si trovava nella chiesa di San Nicolò dei Greci che, unitamente al contiguo Seminario Italo-Albanese di Palermo, andò distrutta nel bombardamento aereo del 1943. L'abside, abbattuta sul finire del Seicento, venne sostituita con l'attuale cappella barocca a tarsie marmoree su progetto di Paolo Amato.

Icone contemporanee, alcune delle quali dell'iconografo italo-albanese Zef Giuseppe Barone da Piana degli Albanesi (croce bizantina della morte e resurrezione del Cristo, dipinta in entrambi i lati) e altri realizzate dell'iconografo e mosaicista albanese Josif Droboniku (raffiguranti le dodici feste despotiche e la grande crocifissione dell'altare bizantino), appartengono all'importante patrimonio artistico della parrocchia.

Il magnifico coro delle monache, che sostituisce l’atrio porticato originario costruito alla fine del cinquecento per volontà della badessa Eleonora di Bologna, si è salvato dalle demolizioni ottocentesche condotte dal Patricolo e ospita opere del celebre pittore fiammingo Guglielmo Borremans, di Olivio Sozzi e di Giuseppe Salerno detto lo “zoppo di Ganci”. Splendida è la pavimentazione policroma a mosaici e tarsie marmoree.

Sotto la zona del presbiterio si trova l’antica cripta sepolcrale delle monache, dalla quale attraverso un camminamento sotterraneo sotto Piazza Bellini e Piazza Pretoria, opera dell’architetto Nicolò Palma nel XVIII secolo, si raggiungeva un belvedere su palazzo Guggino Bordonaro, da dove le monache potevano godere dell’ambito affaccio sul Cassaro.

Recenti restauri durati circa due anni hanno riportato a nuova luce il magnifico edificio religioso.

Chiesa di San Cataldo

Fondato da Maione di Bari, negli anni in cui era grande ammiraglio di Guglielmo I, e cioè fra il 1154 e il 1160, l'edificio venne in seguito affidato ai benedettini di Monreale, che lo custodirono fino al 1787.

Nel 1882, dopo varie vicissitudini che videro la chiesa inglobata in una struttura neoclassica ad opera dell'architetto Alessandro Emmanuele Marvuglia e trasformata persino in ufficio postale, venne interamente restaurata da Giuseppe Patricolo e restituita alla rigorosa struttura architettonica originaria.

La chiesa di San Cataldo è utilizzata molto frequentemente come testimonial dell'immagine monumentale di Palermo, in particolare della città in età normanna, per la sua peculiarità di stili presenti (orientale e occidentale). La fondazione della chiesa viene collocata abitualmente negli anni immediatamente successivi alla metà del XII secolo. La realizzazione è tradizionalmente attribuita a Maione da Bari. All'assassinio del Maione, avvenuto nel 1160, le sue proprietà furono vendute a Silvestro, quindi suo figlio Guglielmo le mise in vendita insieme allo jus di una cappella “in predictis domibus costructa”, chiaramente identificabile nel San Cataldo, poiché la stessa chiesa era stata utilizzata per dare sepoltura alla piccola sorella Matilda, morta nel 1161, come si ricava dall'iscrizione che ancora oggi è visibile sopra una delle pareti interne della chiesa, nei pressi dell'ingresso: "EGREGI COMITIS SILVESTRI NATA MATILDIS / NATA DIE MARTIS, MARTIS ADEMPTA DIE / VIVENS TER TERNOS HABUIT MENSES OBIITQUE / DANS ANIMAM COELIS, CORPUS INANE SOLO / HAEC ANNIS DOMINI CENTUM UNDECIES SEMEL UNO / ET DECIES SENIS HAC REQUIEVIT HUMO".

Tornando al possibile ruolo ricoperto nella vicenda da Maione da Bari, la sua origine pugliese potrebbe in realtà spiegare sia la scelta della titolazione stessa a San Cataldo, vescovo di Taranto, sia la scelta dell'impianto architettonico adottato nella chiesa, risolto in copertura attraverso la sequenza in asse di tre cupole. Pur essendo concessa sin dal 1182 all'arcivescovo di Monreale, tale fatto non ha impedito che le radicali trasformazioni operate, durante i secoli successivi, nel piano del Pretore e del suo immediato intorno determinassero una sorta di “fagocitazione” della chiesa all'interno dei nuovi corpi di fabbrica ivi realizzati, soprattutto dopo il taglio della via Maqueda.

È molto plausibile che San Cataldo abbia mantenuto la propria configurazione fino alla fine del XVII secolo, quando l'Arcivescovo di Monreale Giovanni Roano si fece promotore nel 1679 della “ristorazione e degli abbellimenti” dell'edificio, opere ricordate in un'iscrizione ancora visibile, sopra la porta di ingresso. È proprio la realizzazione all'inizio del XIX secolo della nuova sede della regia Posta, inglobando al suo interno la chiesa di San Cataldo e le sue dipendenze, a determinare il futuro della cappella normanna. Nel 1867 la direzione della Posta decise l'utilizzazione anche della cappella per lo svolgimento di alcune mansioni, destinandola all'ufficio per la distribuzione della corrispondenza.

Il progetto di Giuseppe Patricolo (1882) doveva consistere in un'azione di totale ripristino stilistico dell'opera. I lavori furono completati nei primi mesi del 1885, quando anche il problema del rivestimento delle cupole era stato risolto apponendo una rifinitura in intonaco di colore rosso scuro. Questo colore, che caratterizza altri monumenti normanni palermitani, è, dunque, un'invenzione ottocentesca.

La complessa e radicale opera di restauro guidata dal Patricolo aveva condotto la chiesa di San Cataldo ad acquisire una configurazione forse mai avuta nella sua storia: l'edificio era stato, infatti, completamente liberato su tutti i fronti dalle costruzioni annesse, mentre risulta evidente che anche in origine la cappella fosse congiunta ad altri corpi di fabbrica. Ancora oggi l'edificio che possiamo apprezzare è sostanzialmente la fabbrica architettonica restituita dall'opera del Patricolo, anche se dobbiamo registrare alcune trasformazioni operate sia all'interno della chiesa sia nell'immediato intorno durante il XX secolo. Il primo di tali interventi è riconducibile all'acquisizione della chiesa da parte dei cavalieri del Santo Sepolcro, che nel 1937 restaurarono e riconsegnarono al culto la cappella, come riportato nella lapide posta sulla parete meridionale all'interno della chiesa: "ORDO EQU.SCTIU SEPULCRI HIER / ALOYSIO CARD. LAVITRANO PROTEC / TORE COLMITE JOANNE LO BUE / DE LEMOS IN SICILIA LOCUMTE / NENTE RESTAURAVIT AC DIVINO CULTUI RESTITUIT A.D. MCMXXXVII".

Le opere intraprese in tale circostanza riguardarono la collocazione negli alveoli di spigolo delle absidi di colonnine marmoree, che infatti ancora oggi presentano nel capitello il simbolo crociato dei cavalieri, e la chiusura con infissi a transenna delle finestre.

Il secondo intervento riguarda la demolizione dell'edificio seicentesco prospiciente la via Maqueda, danneggiato dai bombardamenti del 1943 e rimosso, infine, nel 1948. In seguito a tale demolizione, ai piedi del basamento su cui spicca oggi la chiesa, è stato ricavato uno slargo, in cui è stato messo in luce un frammento delle antiche mura urbane di età punica.

Esternamente l’edificio, assai severo d’aspetto, si presenta come un elegante quadrilatero cui nitidi volumi eseguiti con piccoli e squadrati conci di pietra messi in opera a corsi regolari, sono appena movimentati da archeggiature cieche che inquadrano le tre finestre aperte su ciascun fronte.

Il coronamento dell’edificio è costituito da una merlatura arabeggiante al di sopra della quale spiccano i volumi emisferici delle tre caratteristiche cupolette rosse che coprono la nave centrale conferendo all’edificio un particolare fascino esotico. Al suo interno, caratterizzato dalla sobria e severa nudità delle sue mura disadorne, svettano le tre campate quadrate della navata centrale, serrata da due brevi navatelle coperte da volte a crociera ogivale.

Gli archi su colonne che in senso longitudinale definiscono le navate sono a sesto acuto; alcuni capitelli sono di spoglio, reimpiegati, come consuetudine in quei tempi, da edifici più antichi e di provenienza diversa. Il passaggio dal quadrato dell’impianto di base alla circonferenza d’imposta è mediato dai caratteristici raccordi angolari a nicchie rientranti. 

L’area presbiteriale, leggermente rialzata rispetto al piano dell’aula, termina in tre absidi di cui le due minori sono ricavate nello spessore murario mentre quella centrale è appena aggettante all’esterno con la sua parete semicircolare, unica deroga alla purezza geometrica del volume parallelepipedo. Degli ornamenti interni si conservano soltanto l’altare e una lastra di marmo bianca ornata da una croce greca con i simboli dei quattro Evangelisti.

L’impressione che il visitatore riceve, entrando in questa chiesa, è quella di un calmo stupore; nella penombra delle navate si respira un’atmosfera suggestiva data dalla luce morbida e sapientemente orientata che proviene dalle aperture arcuate poste sulle pareti delle cupole, che illuminano la chiesa in un gioco di luce che le conferisce solennità e mistero. 

Completa questo gioiello il suggestivo pavimento originale cosmatesco stupendamente decorato a tarsie in marmo e lastre di porfido egiziano e serpentino, vero emblema del connubio dell’arte decorativa islamica con elementi latini e bizantini.

Dal 1937 la chiesa è la sede dei cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme, il più antico e prestigioso ordine sacro-militare che da allora ne detiene la custodia. L’associazione Culturale Amici dei Musei Siciliani ne garantisce tutti i giorni la pubblica fruizione.

Chiesa di Santa Caterina

Col beneplacito dell'imperatore Federico II di Svevia, l'Ordine dei frati predicatori giunge in Sicilia, mentre San Domenico è ancora attivo e ha appena costituito l'ordine in Francia nel 1216 - 1220. Nel 1217 i primi frati sono ospitati inizialmente dall'Ordine teutonico della Magione Magione fondato da religiosi tedeschi, quindi ben visti agli occhi dell'Imperatore. Riparano brevemente nell'ex monastero delle suore basiliane presso la primitiva chiesa di San Matteo al Cassaro.

Sotto la direzione dell'ordine, nella sede del Cassaro è istituito il monastero femminile di Santa Caterina, grazie agli ingenti lasciti di Benvenuta Mastrangelo, della madre Palma Mastrangelo e del marito di quest'ultima Guglielmo di Santa Flora, sui terreni ove sorgeva il palazzo di Giorgio Antiocheno ammiraglio del re Ruggero II d'Altavilla.

1310 - 1312 - Il testamento di Benvenuta Mastrangelo prevede l'area per l'edificazione del nuovo edificio comprendente la primitiva chiesa di San Matteo al Cassaro e la chiesa di Santo Stefano d'Ammirato, le rendite dei beni di Palermo, Salemi, Sciacca e Trapani necessarie per la realizzazione. Dispone il proprio monumento funebre nella primitiva «Cappella di Sant'Orsola» della chiesa di San Domenico e il futuro trasferimento dello stesso nell'erigenda chiesa del monastero di Santa Caterina.

1407 - Il re Martino I di Sicilia constatato il generale rilassamento dei costumi e dell'osservanza delle regole dell'Ordine, modifica lo statuto prevedendo due nuovi responsabili in affiancamento alla badessa che rispondono direttamente al Capitolo della Cattedrale e ai giurati del Senato Palermitano.

1532 - L'istituzione perde col tempo la caratteristica peculiare d'assistenza rivolta alle classi femminili più deboli e svantaggiate quali le semplici donne meretrici, rivolgendosi in modo marcato alla clausura delle classi nobiliari, pertanto è previsto l'ingrandimento della struttura che prevede l'incorporazione della primitiva chiesa di San Matteo.

XVII secolo seconda metà circa - Realizzazione della cupola opera di Francesco Ferrigno.

1566 - 1596, La ricostruzione avviene per opera della madre priora suor Maria del Carretto. Il progetto architettonico per molto tempo è stato attribuito all'architetto Giorgio di Faccio, studi più recenti dimostrano il coinvolgimento di architetti e costruttori quali il fiorentino Francesco Camilliani e il milanese Antonio Muttone, artisti già impegnati per la nuova rimodulazione di piazza Pretoria.

1596 24 novembre - La nuova chiesa di Santa Caterina  d'Alessandria d'Egitto è inaugurata nel giorno della ricorrenza della Santa Titolare.

1664 16 marzo - Solenne consacrazione da parte dell'arcivescovo dell'arcivescovo Pietro Martinez y Rubio, regnante Filippo IV di Spagna (Filippo III di Sicilia) rappresentato dal viceré di Sicilia Francesco Caetani duca di Sermoneta.

1863 - Realizzazione del coro.

Durante i moti del 1820 - 1821, della Rivoluzione siciliana del 1848 1848, della Rivolta della Gancia, dell'Insurrezione di Palermo del 1860 e della Rivolta del sette e mezzo del 1866 subì notevoli danni causa i bombardamenti dei Borboni, se ne vedono ancora le ferite sulle pareti che si affacciano sulla direttrice del Cassaro.

2014 - Incuria e disinteresse hanno causato pericolosi cedimenti e distacchi dalle superfici esterne dell'edificio che hanno dettato urgenti interventi di consolidamento e restauro. 

Dal luglio 2014 il monastero di Santa Caterina non accoglie più le monache dell'Ordine Domenicano e l'intera struttura, seppur di proprietà del Ministero dell'Interno dipartimento del patrimonio Fondo Edifici di Culto, è affidata alla Curia palermitana.

Sulle pareti statue di beate di stirpe reale fronteggiano statue di sante.

Beata Chiara o Sancia di Maiorca consorte di Roberto d'Angiò, Beata Margherita di Ungheria, Beata Giovanna del Portogallo, Sant'Agnese Segni di Montepulciano, Santa Caterina da Siena, Santa Caterina de' Ricci

L'impianto è a unica navata con tre cappelle per lato, si sviluppa longitudinalmente ed è attraversato dal transetto su cui si innesta la cupola.

Ciò che colpisce di più è la ricca decorazione dell'interno, ad unica navata, tipico dell'età della Controriforma.

La decorazione degli spazi interni, così come per molte altre chiese palermitane, è costituita da un sontuoso apparato in marmi mischi e tramischi, stucchi ed affreschi che si fondono, in un'unica armonica lettura, con le strutture architettoniche portanti.

Tra gli artisti chiamati a decorare l'aula:

1744 - Filippo Randazzo da Nicosia detto il Monocolo autore del Trionfo di Santa Caterina affresco sulla volta della navata e della Gloria delle Domenicane;

1750 - Francesco Ferrigno autore del progetto e direttore dei lavori nella realizzazione della cupola.

1751 - Vito D'Anna autore del Trionfo dell'Ordine domenicano affresco che ricopre le superfici all'interno della cupola e delle Allegorie dei quattro continenti realizzate nei pennacchi di raccordo ai pilastri.

XVIII secolo inizi - Giovanni Battista Ragusa autore delle statue addossate ai pilastri che reggono la cupola, raffiguranti i principali Santi Domenicani: San DomenicoSan Pietro martireSan Tommaso d'Aquino e San Vincenzo Ferreri.

XVIII secolo - Procopio Serpotta è l'autore degli stucchi decorativi.

Di altissima qualità i riquadri a intarsio marmoreo alla base delle paraste della navata centrale: l'episodio di Giona e la balenaIl sacrificio d'Isacco opere di Giovanni Battista Ragusa, la Probatica Piscina, la Fontana, numerosi altorilievi in marmi mischi con episodi tratti dal Vecchio Testamento e medaglioni con le storie di Santa Caterina nelle pareti dell'area presbiteriale.

Cappelle lato destro - Stemma della nobile Famiglia Bruno.

Prima campata: Cappella dei Sette Dolori. Sono presenti i dipinti di Gesù sotto la croce al centro, la Deposizione di Cristo del XVII secolo della scuola del Ribera a destra, l'Ultima Cena a sinistra.

Seconda campata: Cappella del Santissimo Crocifisso con reliquiario. Il dipinto dell'Adultera a destra, la Lavanda dei piedi a sinistra;

Terza campata: Cappella della Madonna del Carmine. Al centro la tela raffigurante la Madonna del Carmelo, la Trasfigurazione a destra, La Madonna intercede per le anime del Purgatorio a sinistra.

Cappelle lato sinistro - Stemma della nobile famiglia Amato con leone araldico.

Prima campata: Cappella dell'Immacolata Concezione". Tela dell'Immacolata Concezione al centro, Adorazione a destra, Nascita della Vergine a sinistra.

Seconda campata: Cappella del Rosario. Tela raffigurante Pio V benedice Andrea Doria a destra, Madonna a sinistra dipinti d'autori anonimi appartenenti alla scuola di Pietro Novelli.

Terza campata: Cappella di San Domenico: Al centro il dipinto raffigurante Il massacro degli Albigesi, a destra la Madonna del Rosario, a sinistra Il rogo dei libri proibiti.

Altare maggiore - 1725, Cappellone dipinto dai fratelli Paolo e Antonio Filocamo con l'affresco Esaltazione dell'Eucaristia realizzato nella volta del presbiterio e l'Esaltazione dell'Eucaristia".

L'altare maggiore è realizzato in pietre dure, agate grigie e verdi, con ornamenti in rame dorato su progetto di Andrea Palma, paliotto in pietre dure con sepolcro della madre badessa suor Maria del Carretto del 1598, colei che promosse i lavori di rinnovamento. Ai lati sono presenti due splendidi angeli lignei dorati con vesti e ali laminate in argento.

Tabernacolo in ametista - Lato Epistola è presente il sepolcro del Conte Guglielmo di Santa Flora del 1318 trasferito dalla chiesa di San Domenico. Sono presenti i sepolcri di Girolamo Assali e familiari.

La Cappella di Santo Stefano celebra il ricordo della preesistente chiesa di Santo Stefano.

La balaustra è disegnata da Giacomo Amato e si suppone anche il pavimento. Molte altre le preziosità artigianali custodite:

Le griglie in argento a canestro fitto dei confessionali, le elaborate grate - gelosie dei corridoi, il grande torciere ligneo seicentesco sospeso sotto la cupola.

Transetto - Parete transetto destro: Cappella di Santa Caterina d'Alessandria. Sontuoso altare barocco progettato dall'architetto e frate domenicano Andrea Palma, nella nicchia la statua marmorea di Santa Caterina d'Alessandria d'Egitto realizzata da Antonello Gagini nel 1534. Ai lati su mensole sono presenti due angeli, sulle cimase della nicchia sono posti due putti, sopra il frontone della nicchia due angioletti sospesi reggono la corona della fedeltà.

Il manufatto è rialzato rispetto al piano di calpestio. Il basamento presenta alle estremità due mensoloni a ricciolo sui quali sono collocate le statue allegoriche della Fortezza a destra e della Prudenza a sinistra, sotto la mensa è presente una teca di legno con lastra di cristallo che accoglie la preziosa statua in cera della Dormitio Virginis, vestita con una veste di seta bianca con ricami in filo d'oro.

Due gruppi simmetrici di colonne dai fastosi basamenti, con elaborati capitelli corinzi per ciascun lato: ogni gruppo è composto da una parasta centrale, due colonne scanalate ai lati, una colonna tortile in marmo in posizione avanzata. 

La successione in prospettiva crea una composizione animata e scenografica determinando un'articolata trabeazione. Sulle sime spezzate e sfalsate sono adagiati putti osannanti.

Nella parte superiore addossate alla parete all'interno del timpano spezzato simmetrico, una coppia di paraste sfalsate sormontate da sime a ricciolo delimitano la Gloria di Dio Padre e gli angeli musicanti, medaglione in altorilievo, autore Giovanni Battista Ragusa.

Nella parte mediana all'altezza della lunga grata del corridoio orientale, uno stemma coronato sovrasta il capolavoro. Ai lati, sulle pareti interamente intarsiate sono presenti i busti di Sant'Agata a destra e di Santa Rosalia sulla sinistra.

Fastosa e sontuosa commistione di marmi, pietre dure, stucchi, fregi, volute e intarsi che si identifica nel puro stile barocco per esaltare un'opera del rinascimento siciliano con richiami vagamente rococò.

Parete transetto sinistro: portale laterale sinistro.

La chiesa è famosa per «Il Sepolcro» la sera del Giovedì Santo. Per la solennità è realizzato nel presbiterio un fastoso altare della Reposizione adornato adornato con parte dei ricchissimi arredi sacri ancora custoditi all'interno del monastero.

Prospetto meridionale - Ingresso principale di Piazza Bellini.

Prospetto sud caratterizzato da scenografica scalinata a doppia rampa isoscele su piazza Bellini, il portale tardo-rinascimentale del 1685 è sormontato da un'edicola con timpano contenente una nicchia ove è collocata la statua marmorea di Santa Caterina d'Alessandria. Il portale è delimitato da colone scanalate con capitelli corinzi che sorreggono un architrave decorato. Sulla modanatura i contrafforti laterali delimitano eleganti volute che ornano l'edicola votiva centrale.

I due ordini sono divisi da una trabeazione riccamente decorata con festoni che incorniciano facce di putti alati, il primo livello è caratterizzato da due coppie di lesene per lato inframezzate da finestre. Nel  secondo ordine solo due coppie di lesene delimitano un finestrone centrale. Due volute con riccioli raccordano i contrafforti laterali con la spessa trabeazione superiore. Una balconata chiude il frontone sovrastato da un medaglione nella parte mediana del timpano incompleto raffigurante gli attributi della santa titolare: la ruota dentata strumento del martirio, la palma del martirio, la spada del coraggio e della decollazione infine il giglio stilizzato simbolo di purezza.

Nella controfacciata è allestito il coro sostenuto da 2 possenti colonne tortili di granito rosso. L'impianto ad aula consentiva alle suore di partecipare, non viste, ai riti liturgici dal coro sistemato all'ingresso e collegato tramite corridoi sopraelevati protetti da elaborate grate. Gli affreschi delle volte a crociera del sottocoro e delle pareti del coro sono opera di Francesco Sozzi e del cognato Alessandro D'Anna, rispettivamente figli d'arte dei famosi Olivio Sozzi e Vito D'Anna, eseguiti nel 1769.

Una targa commemora la madre priora suor Maria Vittoria Branciforti, è collocata per la consacrazione della chiesa. Sul portale d'ingresso è presente una raggiera con la raffigurazione di un cane che reca la fiaccola simbolo dei Domenicani.

Prospetto occidentale - Ingresso laterale sinistro di Piazza Pretoria corrispondente al braccio sinistro del transetto.

Prospetto ovest caratterizzato da scenografica scalinata a doppia rampa isoscele su piazza Pretoria, il portale tardo-rinascimentale è sormontato da timpano ad arco. Il portale è delimitato da colone scanalate con capitelli corinzi che sorreggono un architrave decorato con stile simmetrico e speculare da fregi d'acanto e putti danzanti che reggono uno stemma centrale. All'interno del timpano lo stemma coronato e ghirlande fitoformi.

I due ordini divisi da una trabeazione riccamente decorata con festoni che incorniciano facce di putti alati, il primo livello è caratterizzato da una lesena per lato. Nel secondo ordine altrettante lesene delimitano un finestrone centrale. Due volute con riccioli raccordano i contrafforti lateralii con la copertura superiore. Interessante la prospettiva dei poderosi contrafforti a ricciolo del secondo ordine ricavate sui tetti delle cappelle laterali.

Monastero - Il monastero destinato in principio alle semplici donne meretrici, solo verso il XVI secolo per magnificenza e ricchezza diviene uno dei monasteri nobiliari e di clausura, più importanti del territorio palermitano. Il fasto e la grandezza della chiesa esterna dovevano significare la potenza del Papato. Nel caso specifico di tutto il complesso di Santa Caterina, altri due elementi in più: la nobiltà, il censo, il rango, il blasone delle monache e il fatto che la chiesa ubicata al centro della città, doveva essere all'altezza del luogo.

Tutte le chiese annesse ai monasteri presentavano la chiesa interna molto più semplice e confinante, attraverso il presbiterio, con la chiesa esterna, secondo le regole della Controriforma. Dietro di esso vi è la Chiesa interna o grande Coro, dove le monache andavano a pregare, non viste, e assistevano alle funzioni della Chiesa esterna attraverso le grandi finestre che si affacciano proprio sull'altare.

All'interno del monastero resistono le strutture della casa dell'ammiraglio Giorgio d'Antiochia, oggi Sala Capitolare.

Il ruolo religioso e caritatevole del gruppo monacale di Santa Caterina è ben noto ai palermitani, soprattutto ai più anziani, che continuano a mantenere vivo il ricordo dei sapori dei dolci tipici siciliani, che le suore usavano produrre nei giorni di festa.

Chiostro - Chiostro, elegante struttura, per ubicazione crocevia di tutti gli ambienti dell'aggregato monasteriale. Presenta portici con 10 luci o campate per ogni lato, trasformati in luminose verande. Ugualmente le logge utilizzate come disimpegno e area ricreativa individuale per le celle di ogni singola religiosa. Al centro del cortile alberato una fontana con elevazione formata da vasche a conchiglia. Sul piedistallo centrale è collocata la statua raffigurante San Domenico, opera realizzata da Ignazio Marabitti.

Cripta - Sotto l'altare è ubicata la cripta: il cimitero privato del monastero.

Chiesa del Gesù (Casa Professa)

Il 15 agosto del 1534 nasce a Montmartre, allora sobborgo fuori Parigi, la Compagnia di Gesù. Fondatori furono il nobile basco Inigo Lopez de Recalde, conosciuto poi come Ignazio di Loyola, con altri sei compagni, gli spagnoli Francesco Xavier, Nicola Bobadilla, Alfonso Salmeron e Diego Laynez, il portoghese Simone Rodriguez e il savoiardo Pietro Favre, tutti studenti a Parigi. In brevissimo tempo la “Compagnia di Gesù” divenne uno degli ordini religiosi più organizzati e potenti della Chiesa.

I Gesuiti arrivano in Sicilia nell'anno 1547, a seguito del vicerè Don Juan de Vega che intuisce l’utilità di affiancarsi un nucleo di religiosi che in pochi anni hanno già dimostrato notevoli qualità organizzative e ottime capacità di aggregare consenso. Ma soprattutto è la viceregina Donna Eleonora Osorio amica di Ignazio che garantisce protezione e favori per i padri Gesuiti. Nel 1549 Ignazio di Loyola invia a Palermo Padre Diego Laynez, uno dei fondatori della Compagnia, per iniziarvi, assieme ad altri 12 Gesuiti, un collegio d’istruzione richiesto dal Vicerè e dal Senato cittadino. 

Già Messina, città in cui la compagnia per la prima volta assume la cura di istruire la gioventù, aveva ottenuto l’anno precedente un collegio che fu modello a tutti gli altri dell’isola. La prima sede dei Padri Gesuiti a Palermo, fu nelle case di Sigismondo Platamone presso la chiesetta di S. Maria della Misericordia nella piazza oggi detta di Sant’Anna e successivamente, nel 1550, si trasferirono nella casa del nobile Girolamo Xirotta, presso la chiesa di S. Antonio Abate (oggi via Roma). Infine nel 1553 passarono nella sede dell’antica Abazia normanna di S. Maria della Grotta, fondata dal duca Roberto il Guiscardo nel 1072 sotto la regola di San Basilio, nel quartiere dell’Albergheria, dove sorge l’attuale chiesa del Gesù.  

Essendosi rivelata troppo angusta la chiesa di S. Maria della Grotta, nel 1564, i padri Gesuiti iniziarono la fondazione della loro nuova chiesa, inglobando anche quella dei Santi Filippo e Giacomo. I lavori per la fabbrica del nuovo complesso ecclesiastico su disegno del Consiliarum ferrarese Giovanni Tristano, e sotto la direzione dei fratelli Gesuiti Francesco Costa e Alfio Vinci furono ultimati nel 1578. Le prime manomissioni della chiesa avvennero già nel 1591, quando, investendo capitali non indifferenti, si diede via ad una serie di lavori che portarono all’abbattimento dei muri divisori delle cappelle che trasformarono la chiesa da una a tre navate, su progetto redatto dal Gesuita messinese Padre Natale Masuccio. 

Ma un’altra significativa trasformazione dell’edificio religioso avvenne agli inizi del secolo successivo, quando si pensò ad ulteriori ingrandimenti della struttura per adeguarla alle esigenze di fasto e grandiosità tipiche dell’architettura gesuita. Sempre secondo un disegno del Masuccio i lavori furono realizzati soltanto dopo l’acquisto dei locali della Confraternita dei Santi Cosma e Damiano avvenuto nel 1606. Fra la seconda e la terza decade del XVII secolo sotto la direzione dell’architetto Padre Tommaso Blandino, la chiesa fu oggetto di altri importanti ampliamenti, specie nella zona del transetto e dell’abside che diedero al tempio gesuita l’attuale e definitivo aspetto. Il 16 di agosto del 1636 avvenne la solenne consacrazione della chiesa presieduta dal cardinale Giannettino Doria.

La chiesa del Gesù, comunemente conosciuta dai palermitani con il nome di Casa Professa, che le deriva dall’annessa casa madre dell’ordine, è uno dei monumenti più celebri del capoluogo: senza dubbio una delle chiese più fastose di tutta la Sicilia, tra le massime espressioni dell’arte barocca, nella sua forma più “ridondante”, ricca, appariscente ed esuberante.    

La facciata principale, sontuosa ma semplice, mancante dei due campanili laterali previsti dal Masuccio, ripete il motivo delle chiese barocche gesuitiche, con un cornicione orizzontale che divide il prospetto in due parti, nella parte inferiore tra due coppie di lesene, tre portali, uno più grande al centro sormontato da una pregevole statua settecentesca che raffigura la Madonna della Grotta e due laterali più piccoli, sormontati da nicchie che contengono le statue di S. Ignazio e S. Francesco Saverio. 

La parte superiore presenta delle partiture lineari costituite da lesene binate ai lati della grande finestra centrale con timpano ad arco spezzato. Il tutto sormontato dal grande timpano con al centro, lo stemma della venerata sigla dei Gesuiti ”IHS”.  

L’interno, che presenta una pianta a croce latina con tre navate, un ampio presbiterio e una serie di cappelle laterali, col suo incredibile tripudio barocco, è in netto contrasto con l’austera facciata. Una opulenta decorazione copre interamente, da pavimento a soffitto, tutti i muri e le colonne della chiesa, dalla controfacciata al presbiterio, dalle navate alle cappelle, in ogni dove si estende un manto ininterrotto di sculture, tarsie policrome, ornati marmorei, stucchi e affreschi realizzati da una schiera di rinomati artisti (Ignazio Marabitti, Vito D’Anna, G.no Vitagliano, A.no Grano, Giacomo e Procopio Serpotta, Pietro Novelli, Paolo Amato, Gaspare Bazano, Giacomo Pennino, Camillo Camilliani) per citare i più importanti, che lavorarono nell’arco di oltre due secoli per ottenere questa mirabile opera d’arte. Innumerevoli e strabilianti decorazioni in marmi mischi e tramischi che secondo l’autorevole storico dell’arte americano Donald Gaarstang "appartengono al mondo della fantasia sfrenata, celebrano, in rilievo, la gloria di Gesù e della Vergine Madre: una sorta di “Bibliapauperorum” che attraverso le scene bibliche rappresentate propone il duplice cammino cristologico e mariologico.  

Le cappelle sono autentici scrigni pieni di arte, ospitano splendide opere di immenso valore artistico.

Entrando subito a destra si trova la Cappella delle SS: Vergini, in essa troviamo affreschi attribuiti a Gaspare Bazano e il magnifico altare sulla quale troneggia la statua dell’angelo custode.

La seconda, quella dei SS. Confessori (ora Madonna di Pompei), dove al centro si trova un’imponente pala d’altare che raffigura i tre Santi Martiri Giapponesi del 1629, conserva alle pareti laterali, due quadri del pittore monrealese Pietro Novelli: a sinistra S. Paolo Eremita (a sinistra del quadro l’autoritratto dell’autore) e a destra S. Filippo d’Agira nell’atto di guarire un ossesso.

Seguono la cappella dedicata ai SS. Martiri con opere di Francesco Spatafora e affreschi di Antonino Grano.

Proseguendo sempre sul lato destro della chiesa si incontra la Cappella della Madonna. Sullo sfondo, nell’altare, una statua gaginesca della Madonna di Trapani. Ai lati dell’altare possiamo ammirare dei marmi mischi a rilievo che raffigurano due serie di false prospettive di colonne tortili attribuite allo scultore toscano Camillo Camilliani.

Arrivati al transetto sempre sulla destra troviamo la Cappella di San Francesco Saverio dove al centro, nell’altare, si trova il quadro del Santo gesuita opera di Federico Spoltore che sostituisce l’originario distrutto dai bombardamenti del 1943, opera di Pietro d’Asaro detto il monocolo di Racalmuto.

L’ultima sulla destra è la Cappella di San Luigi Gonzaga con il suo magnifico altare dove fa bella mostra un bellissimo altorilievo del Santo in gloria, pregevole opera di Ignazio Marabitti. In questo altare sono presenti alcuni elementi marmorei dell’altare che custodiva il famoso quadro di Raffaello “lo Spasimo di Sicilia” opera di Antonello Gagini.  

L’absidiola di destra è la Cappella della Sacra Famiglia, particolarmente bella con un bel dipinto di A.no Grano che raffigura la Sacra Famiglia al centro dell’altare circondato da stucchi di Procopio Serpotta. Di grande pregio artistico il paliotto ad intarsio marmoreo policromo di questo altare, raffinata opera di oreficeria marmorea realizzata da marmorari locali.  

Al centro la Cappella maggiore (presbiterio), la più bella del tempio, uno stupendo scenario di allegorie volte a rappresentare, attraverso un complesso discorso teologico, la glorificazione del Nome di Gesù. Tutto il fondo dell’abside è consacrato all’incarnazione del Verbo del SS. Sacramento. Particolare menzione meritano i gruppi marmorei del nicchione centrale, quello di Abigal e David e quello di Achimelech e David realizzati da Gioacchino Vitagliano probabilmente su disegni di Giacomo Serpotta. Ai lati dell’altare maggiore sulle due cantorie è collocato un prezioso organo a canne, a trasmissione elettrica, costruito nel 1952 dalla ditta organaria di Crema Tamburini, considerato tra i più interessanti esistenti a Palermo.  

Dall’ingresso subito a sinistra troviamo la Cappella di S. Rosalia, sull’altare un quadro raffigurante la Santa Patrona di Palermo ritratta come da tradizione con le vesti simili a quelle delle monache basiliane, riproduzione di un quadro portato in processione in occasione della peste del 1624 rifatto da Vito D’Anna nel 1745. I grandi affreschi delle pareti sono dello stesso D’Anna mentre quelli della volta sono di Antonino Grano.

La seconda di sinistra è la Cappella dell'Immacolata e di San Francesco Borgia: il quadro del Santo genuflesso davanti all’Immacolata è opera di Rosalia Novelli.

A seguire troviamo la Cappella dei SS. Martiri giapponesi (ora Sacro Cuore di Gesù)la più esuberante e ricca di decorazioni a pietre mischie. Il quadro del Sacro Cuore di Gesù posto al centro dell’altare è della pittrice palermitana Maria Salmeri Lojacono del 1965.

La successiva, la Cappella del Crocifisso, custodisce un magnifico crocifisso ligneo su uno splendido reliquiario dorato. Alle pareti vi troviamo affreschi raffiguranti la Crocifissione, l’Invenzione della Croce, la Deposizione e l’Esaltazione della Croce mentre nel soffitto è raffigurato il trionfo della Croce, opere del gesuita Orazio Ferraro.

Nel transetto di sinistra la cappella dedicata a S. Ignazio di Loyola, dove al centro dell’altare possiamo ammirare l’imponente statua di S. Ignazio che trionfa sull’eresia di Giovanni Maria Benzoni (copia di quella esistente nella basilica di S. Pietro a Roma).

A sinistra del presbiterio la Cappella di Sant'Anna, dopo quella del presbiterio forse la più bella della chiesa. Nell’altare il dipinto della Santa genitrice della Madonna. Posti dentro le nicchie delle pareti si trovano dei gruppi scultorei che rappresentano a sinistra S. Gioacchino e S. Anna che ringraziano l’Eterno Padre per la fecondità concessa e a destra la Vergine bambina tra i genitori. Gli affreschi della cupola sono di Pietro Novelli.  

I devastanti bombardamenti del maggio 1943 danneggiarono pesantemente l’edificio, una bomba distrusse la cupola che cadendo trascinò con sé le parti vicine compreso gran parte delle opere che decoravano presbiterio e transetto. Per l’ennesima volta (era stata rifatta già altre tre volte), la cupola fu interamente ricostruita e un accurato restauro riuscì a recuperare i gravi sfregi inferti al monumento.

Il 24 febbraio del 2009 dopo sei anni di impegnativi restauri, questo splendido esempio del barocco palermitano è stato restituito alla città in tutto il suo splendore, con una messa solenne celebrata da monsignor Paolo Romeo arcivescovo di Palermo alla quale parteciparono autorità cittadine e molti esponenti dell’ordine gesuita.  

Chiesa di San Francesco d'Assisi

Silenziosa e appartata nella omonima Piazza S. Francesco, uno degli angoli  più suggestivi del centro storico di Palermo, si erge nella sua severa monumentalità la Basilica di S. Francesco d’Assisi, certamente tra le più illustri e significative chiese palermitane per pregio d’arte e valore storico.

Un monumento di enorme rilevanza architettonica, un museo vero e proprio per la quantità e il pregio delle opere d’arte in essa custodite. Un autentico scrigno di storia e di capolavori d’arte dei più grandi artisti siciliani e non solo, che qui lasciarono opere di straordinaria bellezza.

La costruzione ebbe inizio nel 1254, sui resti di una chiesa precedente distrutta nel 1240 dall’imperatore Federico II, e si concluse attorno al 1277. La parte più integra della chiesa è certamente la sua superba facciata di gusto tardo- romanico, notevole per il suo equilibrio compositivo, rimasta pressochè indenne da rifacimenti di epoche successive.

Adornata da uno stupendo portale trecentesco dove si incentra, come nel crescendo di una sinfonia, tutto il movimento della facciata e dove ancora campeggiano le insegne della potente famiglia dei Chiaramonte che ne furono i committenti. Nella strombatura del portale, a piani digradanti si allarga la cornice dell’arco ogivale, i cui motivi a zig-zag, derivanti dall’arte islamica, sono stati paragonati a ” onde concentriche che, in un mare increspato, si allargano in semicerchi solenni”.

Completa la facciata il preziosissimo rosone; una ruota marmorea, che pare vorticare col giro molteplice dei suoi archetti e dei suoi raggi attorno all’immobile “Agnus Dei”. Distrutto dal terremoto del 1823 fu ricostruito magistralmente dall’architetto Patricolo alla fine del XIX secolo: esemplato su quello della coeva chiesa di S. Agostino.

L’impianto planimetrico della costruzione primitiva era molto simile all’attuale, ma la chiesa originaria mancava di cappelle ed aveva sui muri esterni delle navate laterali una serie di sedici magnifiche bifore di stile gotico, delle quali ancora rimane qualche traccia.
A partire dalla prima metà del trecento vennero edificate le prime cappelle in stile gotico chiaramontano, caratterizzate da robusti costoloni e con intarsi di pietra lavica sul tufo grigio. Di seguito a partire dal XV secolo ne furono aggiunte altre in nitide forme rinascimentali; la più bella è senza dubbio la “Cappella Mastrantonio” (1468-1470) di Francesco Laurana e Pietro da Bonitade, dove gli autori abbandonato il goticismo verticalizzante adottano la chiara linea dell’arco romano: questa opera segna l’introduzione delle forme rinascimentali nell’arte siciliana.

Sempre nello stesso secolo il primo iniziatore del Rinascimento a Palermo Dominico Gagini, realizzò a San Francesco, committente il “magnifico” pretore Pietro Speciale, lo splendido monumento funebre del suo unico figlio, Nicolò Antonio. Ma ogni secolo ha lasciato nel tempio francescano la sua impronta.

Nel XVII secolo fu arricchita di stucchi, di preziosi affreschi e soprattutto della meravigliosa cappella dell’Immacolata, una delle opere più rappresentative del barocco palermitano, col suo fastoso addobbo di marmi mischi policromi di squisito disegno.

Nel seicento le vicende della chiesa francescana si intrecciano strettamente a quelle della città.

Nel giugno del 1624 per scongiurare la peste che desolava la città, l’allora pretore  don Vincenzo del Bosco  principe di Cattolica, a nome del popolo palermitano, tutto assembrato in piazza Pretoria, fece voto di professare il privilegio dell’Immacolato Concepimento di Maria fino allo “spargimento di sangue”, di offrire ogni anno alla Vergine un donativo di 100 onze nel giorno dell’Immacolata e di digiunare la vigilia.

Nel dicembre dello stesso anno, declinando la peste, la città solennizzò con “luminarie e processioni” la festa dell'Immacolata Concezione e il pretore offrì per la prima volta al simulacro argenteo dell’Immacolata, venerata in S. Francesco, le 100 onze promesse. Tale funzione si rinnovò puntualmente ogni anno ed anche oggi, il sindaco il giorno della festa dell’Immacolata offre alla Vergine su un bacile d’argento l’equivalente delle antiche cento onze.

Come il seicento donò alla chiesa duecentesca la decorazione a marmi mischi, così il secolo successivo vi lasciò i suoi stucchi, e a Palermo dire arte dello stucco è la stessa cosa di dire “Giacomo Serpotta”. Il grande artista realizzò in S. Francesco una serie di figurazioni allegoriche femminili, piene di raffinata grazia ed eleganza.

Sconvolta nel 1823 da una scossa di terremoto, la basilica duecentesca rinacque con vesti neoclassiche.

Nella seconda metà dello stesso secolo si sentì il bisogno di restituire la chiesa alla purezza delle sue forme originarie, ma i disastrosi bombardamenti della seconda guerra mondiale squarciarono ancora l’antica basilica. 

La ricostruzione pareva impossibile, ma l’amore e la tenacia dei padri francescani fecero risorgere ancora una volta il loro tempio, più semplice e nudo, tanto più simile all’antico eppure ancora tanto ricco di opere d’arte d’inestimabile valore accumulate attraverso i tanti secoli di vita di questo splendido monumento.

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Agosto 2018