- Chiesa
di Santa Maria dell'Ammiraglio o della Martorana
La chiesa
di Santa Maria dell'Ammiraglio, sede della parrocchia di San Nicolò
dei Greci e nota come Martorana, è ubicata nel centro
storico di Palermo. Adiacente alla chiesa
di San Cataldo, si affaccia sulla piazza
Bellini ove affianca il Teatro
omonimo e fronteggia la chiesa
di Santa Caterina d'Alessandria ed il prospetto posteriore del Palazzo
Pretorio.
La chiesa appartiene
all'eparchia
di Piana degli Albanesi, circoscrizione della Chiesa
italo-albanese, e officia la liturgia per
gli italo-albanesi residenti in città secondo
il rito
bizantino.
Edificio bizantino del Medioevo,
è testimonianza della cultura religiosa
e artistica orientale in Italia,
ulteriormente apportata dagli esuli albanesi rifugiatisi in Sicilia dal XV
secolo sotto l'incalzare delle persecuzioni turco-ottomane nei Balcani.
Quest'ultimo influsso ha lasciato notevoli tracce nella pittura delle icone,
nel rito
religioso, nella lingua,
nei costumi tradizionali proprie di alcune colonie
albanesi nella provincia
di Palermo. La comunità
è parte della Chiesa
cattolica, ma segue il rito e le tradizioni spirituali che
l'accomunano in gran parte alla Chiesa
ortodossa.
Si
contraddistingue per la molteplicità di stili che s'incontrano, in quanto,
con il susseguirsi dei secoli,
fu arricchita da vari altri gusti artistici, architettonici e culturali.
Oggi si presenta difatti come chiesa-monumento storico,
frutto delle molteplici trasformazioni e sottoposta inoltre a tutela
nazionale.

Come
dimostrato da un diploma greco-arabo del 1143,
da un'iscrizione greca all'esterno della facciata meridionale e dalla stessa
raffigurazione musiva di dedicazione, la chiesa fu fondata nel 1143 per
volere di Giorgio
d'Antiochia, grande ammiraglio siriaco di fede ortodossa al servizio
del re normanno Ruggero
II dal 1108 al 1151. Costruita
da artisti orientali secondo il gusto bizantino, si trovava nei pressi del
vicino monastero benedettino,
fondato dalla nobildonna Eloisa Martorana nel 1194,
motivo per il quale diventò nota successivamente come "Santa Maria
dell'Ammiraglio" o della "Martorana" (precedentemente Giorgio
l'Antiocheno fece edificare anche il possente "Ponte
dell'Ammiraglio" sul fiume Oreto,
noto anche per una battaglia dei garibaldini).
All'edificio sacro, che nel corso dei secoli è stato più volte distrutto e
restaurato, si accede dal campanile: una costruzione a pianta quadrata del XIII
secolo, aperta in basso da arcate a colonne angolari e con tre ordini
di grandi bifore.
La chiesa
possiede una pianta a croce
greca, prolungata con il nartece e
l'atrio. Un portale assiale (ancora esistente) da sull'atrio e
il nartece, come nelle prime chiese cristiane. Al di là del nartece,
l'edificio era sistemato e decorato come una chiesa bizantina a 4 colonne,
tranne gli archi a sesto
acuto e i pennacchi della cupola che
erano di gusto islamico.
Nel 1193 le
case attorno vengono adibite a monastero per
le donne e la chiesa verrà poi ad esso inglobata.
Con sede
vescovile vacante, il 5 febbraio 1257 l'altare
maggiore fu consacrato dal vescovo di Siracusa Matteo
de Magistro di Palermo. Nel 1394 c.
fu fondato il monastero attiguo, patrocinato dai coniugi Goffredo e Luisa
Martorana, da cui prenderà successivamente il nome. Il 7 dicembre 1433,
col privilegio concesso da Alfonso
V d'Aragona e confermato da Papa
Eugenio IV, la chiesa dell'Ammiraglio è assegnata al monastero
adiacente. Essendo l'edificio compreso nel recinto della clausura, le
monache utilizzano la nuova struttura più prestigiosa, abbandonando il
luogo di culto proprio del monastero, passando al rito
latino.
Negli anni 1683-1687,
per adeguarla alle esigenze del nuovo rito, l'abside centrale
viene distrutta e sostituita da una nuova abside rettangolare, progettata da Paolo
Amato, e il prospetto meridionale viene abbattuto. Nel 1740
Nicolò Palma progetta un nuovo prospetto secondo il gusto
barocco dell'epoca.
Nel 1846 si
realizza l'abbassamento del piano della piazza e viene realizzata la
scalinata. In considerazione dell'alto valore artistico della chiesa, tra il 1870 e
il 1873,
su direzione dell'architetto Giuseppe
Patricolo, si realizzò il suo restauro.
Nell'intento di riportare la chiesa allo stato originario, furono staccati i
marmi settecenteschi delle pareti laterali del presbiterio (di
cui era prevista la distruzione) e fu accentuato il muro di chiusura
originale. La chiesa venne riportata per gran parte al suo aspetto medievale
originario eccetto che per la navata e per l'abside centrale.
Dalla fine
del XIX secolo la chiesa cadde in stato di abbandono, quindi sotto
l'amministrazione civile-comunale, sino al ritorno al culto orientale nella
prima metà del XX secolo per conto della comunità albanese di Sicilia su
concessione dell'Arcidiocesi
di Palermo. La chiesa assunse il titolo di San Nicolò dei Greci (per
"greci" erano scambiate quelle popolazioni albanesi che, dal XV
secolo in Italia e Sicilia, conservavano "rito greco"-bizantino,
lingua, costumi, identità) dopo che l'omonima chiesa - degli albanesi in
Palermo - fu distrutta nel secondo conflitto mondiale. Fu così che la
chiesa ha ereditato anche la sede della secolare parrocchia bizantina
italo-albanese. La chiesa è stata recentemente restaurata e la sede della
parrocchia fu momentaneamente accolta nella chiesa del SS.mo Salvatore delle suore
basiliane italo-albanesi in Palermo.
Oggi la
chiesa di San Nicolò dei Greci non possiede un vero e proprio territorio
parrocchiale, ma è il punto di riferimento di 15.000 fedeli arbëreshë,
ossia la comunità albanese di Sicilia presente storicamente nella provicia
di Palermo, residenti nella città di Palermo e che professa il rito
bizantino.

Per tradizione continua a chiamarsi "dei Greci", una definizione
impropria, poiché la parrocchia appartiene
ecclesiasticamente agli italo-albanesi. Greco fu definito - dai non arbëreshë -
il rito
bizantino per la lingua liturgica utilizzata. Non manca,
comunque, la variante sempre maggiormente utilizzata oggi di
"Parrocchia San Nicolò o Nicola degli Italo-Albanesi".
Dai propri
fedeli albanofoni viene chiamata Klisha arbëreshe Palermë o
semplicemente Marturanë e nella versione non colloquiale
Famullia/Klisha Shën Kolli i Arbëreshëvet në Palermë. Si può, inoltre,
spesso leggere il titolo "Parrocchia San Nicolò dei Greci alla
Martorana", questo per intendere che la parrocchia ha sede ora alla
"Martorana" e non nella iniziale sede in via Seminario
Italo-Albanese.
I riti
liturgici, le cerimonie
nuziali, il battesimo e
le festività religiose
della parrocchia di San Nicolò dei Greci seguono il calendario bizantino e
la tradizione albanese delle comunità dell'Eparchia
di Piana degli Albanesi.
Le lingue liturgiche utilizzate
sono il greco
antico (come di tradizione, che nacque per unificare sotto
un'unica lingua di comprensione tutti i popoli della chiesa d'Oriente) o l'albanese (la
lingua madre della comunità parrocchiale). Non è raro qui sentire parlare
abitualmente i papàdhes e i fedeli in lingua albanese, la lingua, infatti,
è il principale elemento che li identifica in una specifica appartenenza etnica.
Qualche fanciulla di Piana
degli Albanesi si sposa ancora indossando il ricco abito nuziale
della tradizione albanese e la cerimonia del matrimonio (martesa)
conserva tutti gli elementi della tradizione ortodossa.
Una
festa particolare per la popolazione arbëreshe è la Teofania o
Benedizione delle acque il 6
gennaio (Ujët e pagëzuam); la festa più importante è la Pasqua (Pashkët),
con i riti
orientali di forte spiritualità della Settimana
Santa (Java e Madhe) e il canto del Christos anesti-Krishti
u ngjall (Cristo è risorto). Il 6
dicembre ricorre la festa di San
Nicola di Mira (Dita e Shën Kollit).

Le
due scene raffiguranti la Natività di Cristo e la Morte della
Vergine restano nel cuore. Nella prima, la stella cometa illumina con un
raggio il bambino appena nato, strettamente avvolto nelle fasce, mentre le
levatrici già preparano il bagnetto saggiando il calore dell’acqua. Nella
seconda, un altro bimbo in fasce è portato in cielo da un Cristo adulto: è
l’anima di sua madre, che si è appena “addormentata”.
Tutta
la Martorana è una vertigine d’arte. Ci si distacca a fatica dalle storie
sacre di questa chiesa bomboniera, rivestita da cima a fondo dai mosaici più
antichi della Sicilia (insieme a quelli della Cappella Palatina). E visto
che le chiese sono comunque opere degli uomini, perlopiù potenti, due
riquadri lo ricordano in maniera inequivocabile: in uno Ruggero II viene
incoronato direttamente da Cristo, nell’altro Giorgio d’Antiochia si
prostra davanti alla Vergine. Nel 1143 fu quest’ultimo, Grande Ammiraglio
di re Ruggero, a fondare la chiesa che assunse perciò il nome di Santa
Maria dell’Ammiraglio, prima di essere ribattezzata Martorana per la
vicinanza con un monastero benedettino fondato nel 1194 dalla nobildonna
Eloisa Martorana.
Entrati nel
primo corpo della costruzione - rifacimento settecentesco con volte
affrescate da Olivio
Sozzi, Antonio
Grano e Guglielmo
Borremans - due decorazioni musive sul
fronte del corpo originario raffigurano uno Ruggero
II vestito da imperatore bizantino e incoronato re per mano di
Gesù Cristo; l'altro la dedicazione della chiesa alla Vergine da parte
dell'ammiraglio d'oriente Giorgio d'Antiochia, quest'ultimo rappresentato in
umile atto di prostrazione dinanzi alla Madonna.
Il fulcro
di tutta la composizione è il “Cristo assiso benedicente“, sulla sommità
della cupola, con il mondo ai piedi e, distribuiti sulla volta della
calotta, quattro angeli prostrati in atto di adorazione; alla base della
cupola un fregio in legno di abete, scoperto nel 1871, reca un’iscrizione
dipinta in bianco su fondo turchino, il cui testo, eccezionale esempio di
convivenza tra culture diverse, comprende un inno della liturgia bizantina
(il sanctus con Osanna e Gloria ) tradotto in arabo, la lingua madre di
Giorgio d’Antiochia.
Nel tamburo
della cupola sono otto profeti e nelle nicchie dei pennacchi angolari i
quattro evangelisti.
Sull’arco
trionfale è raffigurata l’Annunciazione, negli arconi la Natività,
la Dormizione della Vergine e la Presentazione al Tempio. Nelle
volte a botte vi sono raffigurati santi sempre legati alla figura di Maria.
Della
decorazione musiva che in origine ornava la parete del portico rimangono
soltanto due suggestivi pannelli che nel 1538, a seguito della distruzione
del portico, furono spostati nei recessi laterali dell’ingresso,dove
ancora oggi si possono ammirare: in quello di destra è raffigurato
”Giorgio d’Antiochia ai piedi della Vergine”, che originariamente era
posto sopra la sua tomba, di fianco all’ingresso del santuario, mentre in
quello di sinistra è la notissima“incoronazione di re Ruggero II”.
Negli
ultimi anni del XVII secolo l’abside centrale semicircolare venne
sostituito da un cappellone rettangolare, opera di Paolo Amato,
successivamente decorato a marmi mischi e con affreschi nella cupola di Antonino
Grano.
La chiesa
è fornita di un'antica iconostasi in
marmi mischi, in cui, essendo priva di icone, i papàdes albanesi dell'epoca
hanno provvisto la realizzazione dei mosaici della Madonna, del Cristo e
dalle icone di Maria Vergine e San Nicola di Mira, questi ultimi che
precedono l'iconostasi.
Molto
importante per i fedeli arbëreshë è
la grande icona raffigurante San Nicolò in trono (XV sec.), posta oggi nel
diaconicon e che si trovava nella chiesa di San Nicolò dei Greci che,
unitamente al contiguo Seminario Italo-Albanese di Palermo, andò distrutta
nel bombardamento aereo del 1943. L'abside,
abbattuta sul finire del Seicento,
venne sostituita con l'attuale cappella barocca a
tarsie marmoree su progetto di Paolo
Amato.
Icone contemporanee,
alcune delle quali dell'iconografo italo-albanese Zef Giuseppe Barone da Piana
degli Albanesi (croce bizantina della morte e resurrezione del
Cristo, dipinta in entrambi i lati) e altri realizzate dell'iconografo e
mosaicista albanese Josif Droboniku (raffiguranti le dodici feste despotiche
e la grande crocifissione dell'altare bizantino), appartengono
all'importante patrimonio artistico della parrocchia.
Il
magnifico coro delle monache, che sostituisce l’atrio porticato originario
costruito alla fine del cinquecento per volontà della badessa Eleonora di
Bologna, si è salvato dalle demolizioni ottocentesche condotte dal
Patricolo e ospita opere del celebre pittore fiammingo Guglielmo Borremans,
di Olivio Sozzi e di Giuseppe Salerno detto lo “zoppo di
Ganci”. Splendida è la pavimentazione policroma a mosaici e tarsie
marmoree.
Sotto la
zona del presbiterio si trova l’antica cripta sepolcrale delle monache,
dalla quale attraverso un camminamento sotterraneo sotto Piazza Bellini e Piazza
Pretoria, opera dell’architetto Nicolò Palma nel XVIII
secolo, si raggiungeva un belvedere su palazzo Guggino Bordonaro, da dove le
monache potevano godere dell’ambito affaccio sul Cassaro.
Recenti
restauri durati circa due anni hanno riportato a nuova luce il magnifico
edificio religioso.
- Chiesa
di San Cataldo

Fondato
da Maione di
Bari, negli anni in cui era grande ammiraglio di Guglielmo
I, e cioè fra il 1154 e
il 1160,
l'edificio venne in seguito affidato ai benedettini di Monreale,
che lo custodirono fino al 1787.
Nel
1882, dopo varie vicissitudini che videro la chiesa inglobata in una
struttura neoclassica ad opera dell'architetto Alessandro
Emmanuele Marvuglia e trasformata persino in ufficio postale,
venne interamente restaurata da Giuseppe
Patricolo e restituita alla rigorosa struttura architettonica
originaria.
La
chiesa di San Cataldo è utilizzata molto frequentemente come testimonial
dell'immagine monumentale di Palermo, in particolare della città in età
normanna, per la sua peculiarità di stili presenti (orientale e
occidentale). La fondazione della chiesa viene collocata abitualmente negli
anni immediatamente successivi alla metà del XII secolo. La realizzazione
è tradizionalmente attribuita a Maione da Bari. All'assassinio del Maione,
avvenuto nel 1160, le sue proprietà furono vendute a Silvestro, quindi suo
figlio Guglielmo le mise in vendita insieme allo jus di una cappella “in
predictis domibus costructa”, chiaramente identificabile nel San Cataldo,
poiché la stessa chiesa era stata utilizzata per dare sepoltura alla
piccola sorella Matilda, morta nel 1161, come si ricava dall'iscrizione che
ancora oggi è visibile sopra una delle pareti interne della chiesa, nei
pressi dell'ingresso: "EGREGI COMITIS SILVESTRI NATA MATILDIS / NATA
DIE MARTIS, MARTIS ADEMPTA DIE / VIVENS TER TERNOS HABUIT MENSES OBIITQUE /
DANS ANIMAM COELIS, CORPUS INANE SOLO / HAEC ANNIS DOMINI CENTUM UNDECIES
SEMEL UNO / ET DECIES SENIS HAC REQUIEVIT HUMO".
Tornando
al possibile ruolo ricoperto nella vicenda da Maione da Bari, la sua origine
pugliese potrebbe in realtà spiegare sia la scelta della titolazione stessa
a San Cataldo, vescovo di Taranto, sia la scelta dell'impianto
architettonico adottato nella chiesa, risolto in copertura attraverso la
sequenza in asse di tre cupole. Pur essendo concessa sin dal 1182
all'arcivescovo di Monreale, tale fatto non ha impedito che le radicali
trasformazioni operate, durante i secoli successivi, nel piano del Pretore e
del suo immediato intorno determinassero una sorta di “fagocitazione”
della chiesa all'interno dei nuovi corpi di fabbrica ivi realizzati,
soprattutto dopo il taglio della via Maqueda.
È
molto plausibile che San Cataldo abbia mantenuto la propria configurazione
fino alla fine del XVII secolo, quando l'Arcivescovo di Monreale Giovanni
Roano si fece promotore nel 1679 della “ristorazione e degli
abbellimenti” dell'edificio, opere ricordate in un'iscrizione ancora
visibile, sopra la porta di ingresso. È proprio la realizzazione all'inizio
del XIX secolo della nuova sede della regia Posta, inglobando al suo interno
la chiesa di San Cataldo e le sue dipendenze, a determinare il futuro della
cappella normanna. Nel 1867 la direzione della Posta decise l'utilizzazione
anche della cappella per lo svolgimento di alcune mansioni, destinandola
all'ufficio per la distribuzione della corrispondenza.
Il
progetto di Giuseppe Patricolo (1882) doveva consistere in un'azione di
totale ripristino stilistico dell'opera. I lavori furono completati nei
primi mesi del 1885, quando anche il problema del rivestimento delle cupole
era stato risolto apponendo una rifinitura in intonaco di colore rosso
scuro. Questo colore, che caratterizza altri monumenti normanni palermitani,
è, dunque, un'invenzione ottocentesca.
La
complessa e radicale opera di restauro guidata dal Patricolo aveva condotto
la chiesa di San Cataldo ad acquisire una configurazione forse mai avuta
nella sua storia: l'edificio era stato, infatti, completamente liberato su
tutti i fronti dalle costruzioni annesse, mentre risulta evidente che anche
in origine la cappella fosse congiunta ad altri corpi di fabbrica. Ancora
oggi l'edificio che possiamo apprezzare è sostanzialmente la fabbrica
architettonica restituita dall'opera del Patricolo, anche se dobbiamo
registrare alcune trasformazioni operate sia all'interno della chiesa sia
nell'immediato intorno durante il XX secolo. Il primo di tali interventi è
riconducibile all'acquisizione della chiesa da parte dei cavalieri del Santo
Sepolcro, che nel 1937 restaurarono e riconsegnarono al culto la cappella,
come riportato nella lapide posta sulla parete meridionale all'interno della
chiesa: "ORDO EQU.SCTIU SEPULCRI HIER / ALOYSIO CARD. LAVITRANO
PROTEC / TORE COLMITE JOANNE LO BUE / DE LEMOS IN SICILIA LOCUMTE / NENTE
RESTAURAVIT AC DIVINO CULTUI RESTITUIT A.D. MCMXXXVII".
Le
opere intraprese in tale circostanza riguardarono la collocazione negli
alveoli di spigolo delle absidi di colonnine marmoree, che infatti ancora
oggi presentano nel capitello il simbolo crociato dei cavalieri, e la
chiusura con infissi a transenna delle finestre.
Il
secondo intervento riguarda la demolizione dell'edificio seicentesco
prospiciente la via Maqueda, danneggiato dai bombardamenti del 1943 e
rimosso, infine, nel 1948. In seguito a tale demolizione, ai piedi del
basamento su cui spicca oggi la chiesa, è stato ricavato uno slargo, in cui
è stato messo in luce un frammento delle antiche mura urbane di età
punica.
Esternamente
l’edificio, assai severo d’aspetto, si presenta come un elegante
quadrilatero cui nitidi volumi eseguiti con piccoli e squadrati conci di
pietra messi in opera a corsi regolari, sono appena movimentati da
archeggiature cieche che inquadrano le tre finestre aperte su ciascun
fronte.
Il
coronamento dell’edificio è costituito da una merlatura arabeggiante al
di sopra della quale spiccano i volumi emisferici delle tre caratteristiche
cupolette rosse che coprono la nave centrale conferendo all’edificio un
particolare fascino esotico. Al suo interno, caratterizzato dalla sobria e
severa nudità delle sue mura disadorne, svettano le tre campate quadrate
della navata centrale, serrata da due brevi navatelle coperte da volte a
crociera ogivale.
Gli
archi su colonne che in senso longitudinale definiscono le navate sono a
sesto acuto; alcuni capitelli sono di spoglio, reimpiegati, come
consuetudine in quei tempi, da edifici più antichi e di provenienza
diversa. Il passaggio dal quadrato dell’impianto di base alla
circonferenza d’imposta è mediato dai caratteristici raccordi angolari a
nicchie rientranti.
L’area
presbiteriale, leggermente rialzata rispetto al piano dell’aula, termina
in tre absidi di cui le due minori sono ricavate nello spessore murario
mentre quella centrale è appena aggettante all’esterno con la sua parete
semicircolare, unica deroga alla purezza geometrica del volume
parallelepipedo. Degli ornamenti interni si conservano soltanto l’altare e
una lastra di marmo bianca ornata da una croce greca con i simboli dei
quattro Evangelisti.
L’impressione
che il visitatore riceve, entrando in questa chiesa, è quella di un calmo
stupore; nella penombra delle navate si respira un’atmosfera suggestiva
data dalla luce morbida e sapientemente orientata che proviene dalle
aperture arcuate poste sulle pareti delle cupole, che illuminano la chiesa
in un gioco di luce che le conferisce solennità e mistero.
Completa
questo gioiello il suggestivo pavimento originale cosmatesco stupendamente
decorato a tarsie in marmo e lastre di porfido egiziano e serpentino, vero
emblema del connubio dell’arte decorativa islamica con elementi latini e
bizantini.
Dal
1937 la chiesa è la sede dei cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme,
il più antico e prestigioso ordine sacro-militare che da allora ne detiene
la custodia. L’associazione Culturale Amici dei Musei Siciliani ne
garantisce tutti i giorni la pubblica fruizione.
Chiesa
di Santa Caterina

Col
beneplacito dell'imperatore Federico II di Svevia, l'Ordine dei frati
predicatori giunge in Sicilia, mentre San Domenico è ancora
attivo e ha appena costituito l'ordine in Francia nel 1216 - 1220.
Nel 1217 i primi frati sono ospitati inizialmente dall'Ordine
teutonico della Magione Magione fondato da religiosi tedeschi,
quindi ben visti agli occhi dell'Imperatore. Riparano brevemente nell'ex
monastero delle suore basiliane presso la primitiva chiesa di San
Matteo al Cassaro.
Sotto
la direzione dell'ordine, nella sede del Cassaro è istituito il
monastero femminile di Santa Caterina, grazie agli ingenti lasciti di
Benvenuta Mastrangelo, della madre Palma Mastrangelo e del marito di
quest'ultima Guglielmo di Santa Flora, sui terreni ove sorgeva il palazzo di Giorgio
Antiocheno ammiraglio del re Ruggero II d'Altavilla.
1310 - 1312
- Il testamento di Benvenuta Mastrangelo prevede l'area per l'edificazione
del nuovo edificio comprendente la primitiva chiesa di San Matteo al Cassaro e
la chiesa di Santo Stefano d'Ammirato, le rendite dei beni di
Palermo, Salemi, Sciacca e Trapani necessarie per la realizzazione. Dispone
il proprio monumento funebre nella primitiva «Cappella di Sant'Orsola»
della chiesa di San Domenico e il futuro trasferimento dello
stesso nell'erigenda chiesa del monastero di Santa Caterina.
1407
- Il re Martino I di Sicilia constatato il generale rilassamento
dei costumi e dell'osservanza delle regole dell'Ordine, modifica lo statuto
prevedendo due nuovi responsabili in affiancamento alla badessa che
rispondono direttamente al Capitolo della Cattedrale e ai giurati
del Senato Palermitano.
1532
- L'istituzione perde col tempo la caratteristica peculiare d'assistenza
rivolta alle classi femminili più deboli e svantaggiate quali le semplici
donne meretrici, rivolgendosi in modo marcato alla clausura delle classi
nobiliari, pertanto è previsto l'ingrandimento della struttura che prevede
l'incorporazione della primitiva chiesa di San Matteo.
XVII
secolo seconda
metà circa - Realizzazione della cupola opera di Francesco
Ferrigno.
1566 - 1596,
La ricostruzione avviene per opera della madre priora suor Maria del
Carretto. Il progetto architettonico per molto tempo è stato attribuito
all'architetto Giorgio di Faccio, studi più recenti dimostrano il
coinvolgimento di architetti e costruttori quali il fiorentino Francesco
Camilliani e il milanese Antonio Muttone, artisti già impegnati
per la nuova rimodulazione di piazza Pretoria.
1596 24
novembre - La nuova chiesa di Santa Caterina d'Alessandria d'Egitto è
inaugurata nel giorno della ricorrenza della Santa Titolare.
1664 16
marzo - Solenne consacrazione da parte dell'arcivescovo dell'arcivescovo Pietro
Martinez y Rubio, regnante Filippo IV di Spagna (Filippo III di
Sicilia) rappresentato dal viceré di Sicilia Francesco Caetani duca di
Sermoneta.
1863
- Realizzazione del coro.
Durante
i moti del 1820 - 1821, della Rivoluzione siciliana del 1848 1848,
della Rivolta della Gancia, dell'Insurrezione di Palermo del 1860 e
della Rivolta del sette e mezzo del 1866 subì notevoli danni
causa i bombardamenti dei Borboni, se ne vedono ancora le ferite sulle
pareti che si affacciano sulla direttrice del Cassaro.
2014
- Incuria e disinteresse hanno causato pericolosi cedimenti e distacchi
dalle superfici esterne dell'edificio che hanno dettato urgenti interventi
di consolidamento e restauro.
Dal
luglio 2014 il monastero di Santa Caterina non accoglie
più le monache dell'Ordine Domenicano e l'intera struttura, seppur di
proprietà del Ministero dell'Interno dipartimento del patrimonio Fondo
Edifici di Culto, è affidata alla Curia palermitana.
Sulle
pareti statue di beate di stirpe reale fronteggiano statue di sante.
Beata
Chiara o Sancia di Maiorca consorte
di Roberto d'Angiò, Beata Margherita di Ungheria, Beata Giovanna del
Portogallo, Sant'Agnese Segni di Montepulciano, Santa Caterina da Siena,
Santa Caterina de' Ricci
L'impianto
è a unica navata con tre cappelle per lato, si sviluppa longitudinalmente
ed è attraversato dal transetto su cui si innesta la cupola.
Ciò
che colpisce di più è la ricca decorazione dell'interno, ad unica navata,
tipico dell'età della Controriforma.
La
decorazione degli spazi interni, così come per molte altre chiese
palermitane, è costituita da un sontuoso apparato in marmi mischi e
tramischi, stucchi ed affreschi che si fondono, in un'unica armonica
lettura, con le strutture architettoniche portanti.
Tra
gli artisti chiamati a decorare l'aula:
1744
- Filippo Randazzo da Nicosia detto il Monocolo
autore del Trionfo di Santa Caterina affresco sulla volta
della navata e della Gloria delle Domenicane;
1750
- Francesco Ferrigno autore del progetto e direttore dei lavori
nella realizzazione della cupola.
1751
- Vito D'Anna autore del Trionfo dell'Ordine domenicano affresco
che ricopre le superfici all'interno della cupola e delle Allegorie
dei quattro continenti realizzate nei pennacchi di
raccordo ai pilastri.
XVIII
secolo inizi
- Giovanni Battista Ragusa autore delle statue addossate ai
pilastri che reggono la cupola, raffiguranti i principali Santi Domenicani: San
Domenico, San Pietro martire, San Tommaso d'Aquino e San
Vincenzo Ferreri.
XVIII
secolo - Procopio Serpotta è l'autore degli stucchi decorativi.
Di
altissima qualità i riquadri a intarsio marmoreo alla base delle paraste
della navata centrale: l'episodio di Giona e la balena, Il
sacrificio d'Isacco opere di Giovanni Battista Ragusa, la Probatica
Piscina, la Fontana, numerosi altorilievi in marmi mischi
con episodi tratti dal Vecchio Testamento e medaglioni con le storie di
Santa Caterina nelle pareti dell'area presbiteriale.
Cappelle
lato destro
- Stemma della nobile Famiglia Bruno.
Prima
campata: Cappella dei Sette Dolori. Sono presenti i dipinti di Gesù
sotto la croce al centro, la Deposizione di Cristo del XVII
secolo della scuola del Ribera a destra, l'Ultima Cena a
sinistra.
Seconda
campata: Cappella del Santissimo Crocifisso con reliquiario.
Il dipinto dell'Adultera a destra, la Lavanda dei piedi a
sinistra;
Terza
campata: Cappella della Madonna del Carmine. Al centro la tela
raffigurante la Madonna del Carmelo, la Trasfigurazione a
destra, La Madonna intercede per le anime del Purgatorio a
sinistra.
Cappelle
lato sinistro
- Stemma della nobile famiglia Amato con leone araldico.
Prima
campata: Cappella dell'Immacolata Concezione". Tela dell'Immacolata
Concezione al centro, Adorazione a destra, Nascita
della Vergine a sinistra.
Seconda
campata: Cappella del Rosario. Tela raffigurante Pio V
benedice Andrea Doria a destra, Madonna a sinistra
dipinti d'autori anonimi appartenenti alla scuola di Pietro Novelli.
Terza
campata: Cappella di San Domenico: Al centro il dipinto
raffigurante Il massacro degli Albigesi, a destra la Madonna
del Rosario, a sinistra Il rogo dei libri proibiti.
Altare
maggiore - 1725, Cappellone dipinto
dai fratelli Paolo e Antonio Filocamo con l'affresco Esaltazione
dell'Eucaristia realizzato nella volta del presbiterio e
l'Esaltazione dell'Eucaristia".
L'altare
maggiore è realizzato in pietre dure, agate grigie e verdi, con
ornamenti in rame dorato su progetto di Andrea Palma, paliotto in
pietre dure con sepolcro della madre badessa suor Maria del Carretto del 1598,
colei che promosse i lavori di rinnovamento. Ai lati sono presenti due
splendidi angeli lignei dorati con vesti e ali laminate in argento.
Tabernacolo
in ametista - Lato Epistola è
presente il sepolcro del Conte Guglielmo di Santa Flora del 1318 trasferito
dalla chiesa di San Domenico. Sono presenti i sepolcri di Girolamo
Assali e familiari.
La Cappella
di Santo Stefano celebra il ricordo della preesistente chiesa
di Santo Stefano.
La
balaustra è disegnata da Giacomo Amato e si suppone anche il
pavimento. Molte altre le preziosità artigianali custodite:
Le
griglie in argento a canestro fitto dei confessionali, le elaborate grate - gelosie dei
corridoi, il grande torciere ligneo seicentesco sospeso sotto la cupola.
Transetto
- Parete transetto destro: Cappella di Santa Caterina d'Alessandria.
Sontuoso altare barocco progettato dall'architetto e frate domenicano Andrea
Palma, nella nicchia la statua marmorea di Santa Caterina
d'Alessandria d'Egitto realizzata da Antonello Gagini nel 1534. Ai
lati su mensole sono presenti due angeli, sulle cimase della
nicchia sono posti due putti, sopra il frontone della nicchia due angioletti
sospesi reggono la corona della fedeltà.
Il
manufatto è rialzato rispetto al piano di calpestio. Il basamento presenta
alle estremità due mensoloni a ricciolo sui quali sono collocate le statue
allegoriche della Fortezza a destra e della Prudenza a
sinistra, sotto la mensa è presente una teca di legno con lastra
di cristallo che accoglie la preziosa statua in cera della Dormitio
Virginis, vestita con una veste di seta bianca con ricami in filo d'oro.
Due
gruppi simmetrici di colonne dai fastosi basamenti, con elaborati capitelli
corinzi per ciascun lato: ogni gruppo è composto da una parasta centrale,
due colonne scanalate ai lati, una colonna tortile in marmo in posizione
avanzata.
La
successione in prospettiva crea una composizione animata e scenografica
determinando un'articolata trabeazione. Sulle sime spezzate e sfalsate sono
adagiati putti osannanti.
Nella
parte superiore addossate alla parete all'interno del timpano spezzato
simmetrico, una coppia di paraste sfalsate sormontate da sime a
ricciolo delimitano la Gloria di Dio Padre e gli angeli musicanti,
medaglione in altorilievo, autore Giovanni Battista Ragusa.
Nella
parte mediana all'altezza della lunga grata del corridoio orientale, uno
stemma coronato sovrasta il capolavoro. Ai lati, sulle pareti interamente
intarsiate sono presenti i busti di Sant'Agata a destra e di Santa
Rosalia sulla sinistra.
Fastosa
e sontuosa commistione di marmi, pietre dure, stucchi, fregi, volute e
intarsi che si identifica nel puro stile barocco per esaltare
un'opera del rinascimento siciliano con richiami vagamente rococò.
Parete
transetto sinistro: portale laterale sinistro.
La
chiesa è famosa per «Il Sepolcro» la sera del Giovedì Santo. Per la
solennità è realizzato nel presbiterio un fastoso altare della
Reposizione adornato adornato con parte dei ricchissimi arredi sacri
ancora custoditi all'interno del monastero.
Prospetto
meridionale - Ingresso principale
di Piazza Bellini.
Prospetto
sud caratterizzato da scenografica scalinata a doppia rampa isoscele su
piazza Bellini, il portale tardo-rinascimentale del 1685 è sormontato da
un'edicola con timpano contenente una nicchia ove
è collocata la statua marmorea di Santa Caterina d'Alessandria. Il
portale è delimitato da colone scanalate con capitelli corinzi che
sorreggono un architrave decorato. Sulla modanatura i
contrafforti laterali delimitano eleganti volute che ornano
l'edicola votiva centrale.
I
due ordini sono divisi da una trabeazione riccamente decorata con
festoni che incorniciano facce di putti alati, il primo livello è
caratterizzato da due coppie di lesene per lato inframezzate da
finestre. Nel secondo ordine solo due coppie di lesene delimitano un
finestrone centrale. Due volute con riccioli raccordano
i contrafforti laterali con la spessa trabeazione superiore. Una
balconata chiude il frontone sovrastato da un medaglione nella
parte mediana del timpano incompleto raffigurante gli attributi della
santa titolare: la ruota dentata strumento del martirio, la palma
del martirio, la spada del coraggio e della decollazione
infine il giglio stilizzato simbolo di purezza.
Nella controfacciata è
allestito il coro sostenuto da 2 possenti colonne tortili di
granito rosso. L'impianto ad aula consentiva alle suore di partecipare,
non viste, ai riti liturgici dal coro sistemato all'ingresso e collegato
tramite corridoi sopraelevati protetti da elaborate grate. Gli affreschi
delle volte a crociera del sottocoro e delle pareti del coro sono
opera di Francesco Sozzi e del cognato Alessandro D'Anna,
rispettivamente figli d'arte dei famosi Olivio Sozzi e Vito
D'Anna, eseguiti nel 1769.
Una
targa commemora la madre priora suor Maria Vittoria Branciforti, è
collocata per la consacrazione della chiesa. Sul portale d'ingresso è
presente una raggiera con la raffigurazione di un cane che reca la
fiaccola simbolo dei Domenicani.
Prospetto
occidentale - Ingresso laterale sinistro di Piazza Pretoria corrispondente
al braccio sinistro del transetto.
Prospetto
ovest caratterizzato da scenografica scalinata a doppia rampa isoscele su piazza
Pretoria, il portale tardo-rinascimentale è sormontato da timpano
ad arco. Il portale è delimitato da colone scanalate con capitelli
corinzi che sorreggono un architrave decorato con stile
simmetrico e speculare da fregi d'acanto e putti danzanti che reggono uno stemma centrale.
All'interno del timpano lo stemma coronato e ghirlande fitoformi.
I
due ordini divisi da una trabeazione riccamente decorata con
festoni che incorniciano facce di putti alati, il primo livello è
caratterizzato da una lesena per lato. Nel secondo ordine
altrettante lesene delimitano un finestrone centrale. Due volute con
riccioli raccordano i contrafforti lateralii con la copertura
superiore. Interessante la prospettiva dei poderosi contrafforti a ricciolo
del secondo ordine ricavate sui tetti delle cappelle laterali.
Monastero
- Il monastero destinato in principio alle
semplici donne meretrici, solo verso il XVI secolo per
magnificenza e ricchezza diviene uno dei monasteri nobiliari e di clausura,
più importanti del territorio palermitano. Il fasto e la grandezza
della chiesa esterna dovevano significare la potenza del Papato. Nel caso
specifico di tutto il complesso di Santa Caterina, altri due elementi in più:
la nobiltà, il censo, il rango, il blasone delle monache e il fatto che la
chiesa ubicata al centro della città, doveva essere all'altezza del luogo.
Tutte
le chiese annesse ai monasteri presentavano la chiesa interna molto più
semplice e confinante, attraverso il presbiterio, con la chiesa esterna,
secondo le regole della Controriforma. Dietro di esso vi è la Chiesa
interna o grande Coro, dove le monache andavano a pregare, non viste, e
assistevano alle funzioni della Chiesa esterna attraverso le grandi finestre
che si affacciano proprio sull'altare.
All'interno
del monastero resistono le strutture della casa dell'ammiraglio Giorgio
d'Antiochia, oggi Sala Capitolare.
Il
ruolo religioso e caritatevole del gruppo monacale di Santa Caterina è ben
noto ai palermitani, soprattutto ai più anziani, che continuano a mantenere
vivo il ricordo dei sapori dei dolci tipici siciliani, che le suore usavano
produrre nei giorni di festa.
Chiostro
- Chiostro, elegante struttura, per ubicazione crocevia di tutti gli
ambienti dell'aggregato monasteriale. Presenta portici con 10 luci
o campate per ogni lato, trasformati in luminose verande. Ugualmente le
logge utilizzate come disimpegno e area ricreativa individuale per le celle
di ogni singola religiosa. Al centro del cortile alberato una fontana con
elevazione formata da vasche a conchiglia. Sul piedistallo centrale è
collocata la statua raffigurante San Domenico, opera realizzata
da Ignazio Marabitti.
Cripta
- Sotto l'altare è ubicata la cripta: il
cimitero privato del monastero.
Chiesa
del
Gesù (Casa Professa)

Il 15
agosto del 1534 nasce a Montmartre, allora sobborgo fuori Parigi, la
Compagnia di Gesù. Fondatori furono il nobile basco Inigo Lopez de Recalde,
conosciuto poi come Ignazio di Loyola, con altri sei compagni, gli spagnoli
Francesco Xavier, Nicola Bobadilla, Alfonso Salmeron e Diego Laynez, il
portoghese Simone Rodriguez e il savoiardo Pietro Favre, tutti studenti a
Parigi. In brevissimo tempo la “Compagnia di Gesù”
divenne uno degli ordini religiosi più organizzati e potenti della Chiesa.
I
Gesuiti arrivano in Sicilia nell'anno 1547, a seguito del vicerè Don Juan
de Vega che intuisce l’utilità di affiancarsi un nucleo di religiosi che
in pochi anni hanno già dimostrato notevoli qualità organizzative e ottime
capacità di aggregare consenso. Ma soprattutto è la viceregina Donna
Eleonora Osorio amica di Ignazio che garantisce protezione e favori per i
padri Gesuiti. Nel 1549 Ignazio di Loyola invia a Palermo Padre Diego
Laynez, uno dei fondatori della Compagnia, per iniziarvi, assieme ad altri
12 Gesuiti, un collegio d’istruzione richiesto dal Vicerè e dal Senato
cittadino.
Già
Messina, città in cui la compagnia per la prima volta assume la cura di
istruire la gioventù, aveva ottenuto l’anno precedente un collegio che fu
modello a tutti gli altri dell’isola. La prima sede dei Padri Gesuiti a
Palermo, fu nelle case di Sigismondo Platamone presso la chiesetta di S.
Maria della Misericordia nella piazza oggi detta di Sant’Anna e
successivamente, nel 1550, si trasferirono nella casa del nobile Girolamo
Xirotta, presso la chiesa di S. Antonio Abate (oggi via Roma). Infine nel
1553 passarono nella sede dell’antica Abazia normanna di S. Maria della
Grotta, fondata dal duca Roberto il Guiscardo nel 1072 sotto la regola di
San Basilio, nel quartiere dell’Albergheria, dove sorge l’attuale chiesa
del Gesù.
Essendosi
rivelata troppo angusta la chiesa di S.
Maria della Grotta,
nel 1564, i padri Gesuiti iniziarono la fondazione della loro nuova chiesa,
inglobando anche quella dei Santi Filippo e Giacomo. I lavori per la
fabbrica del nuovo complesso ecclesiastico su disegno del Consiliarum ferrarese
Giovanni Tristano, e sotto la direzione dei fratelli Gesuiti Francesco Costa
e Alfio Vinci furono ultimati nel 1578. Le prime manomissioni della chiesa
avvennero già nel 1591, quando, investendo capitali non indifferenti, si
diede via ad una serie di lavori che portarono all’abbattimento dei muri
divisori delle cappelle che trasformarono la chiesa da una a tre navate, su
progetto redatto dal Gesuita messinese Padre Natale Masuccio.
Ma
un’altra significativa trasformazione dell’edificio religioso avvenne
agli inizi del secolo successivo, quando si pensò ad ulteriori
ingrandimenti della struttura per adeguarla alle esigenze di fasto e
grandiosità tipiche dell’architettura gesuita. Sempre secondo un disegno
del Masuccio i lavori furono realizzati soltanto dopo l’acquisto dei
locali della Confraternita dei Santi Cosma e Damiano avvenuto nel 1606. Fra
la seconda e la terza decade del XVII secolo sotto la direzione
dell’architetto Padre Tommaso Blandino, la chiesa fu oggetto di altri
importanti ampliamenti, specie nella zona del transetto e dell’abside che
diedero al tempio gesuita l’attuale e definitivo aspetto. Il 16 di agosto
del 1636 avvenne la solenne consacrazione della chiesa presieduta dal
cardinale Giannettino Doria.
La chiesa
del Gesù, comunemente conosciuta dai palermitani con il nome di Casa
Professa, che le deriva dall’annessa casa madre dell’ordine, è uno dei
monumenti più celebri del capoluogo: senza dubbio una delle chiese più
fastose di tutta la Sicilia, tra le massime espressioni dell’arte barocca,
nella sua forma più “ridondante”, ricca, appariscente ed esuberante.
La facciata
principale, sontuosa ma semplice, mancante dei due campanili laterali
previsti dal Masuccio, ripete il motivo delle chiese barocche gesuitiche,
con un cornicione orizzontale che divide il prospetto in due parti, nella
parte inferiore tra due coppie di lesene, tre portali, uno più grande al
centro sormontato da una pregevole statua settecentesca che raffigura la
Madonna della Grotta e due laterali più piccoli, sormontati da nicchie che
contengono le statue di S. Ignazio e S. Francesco Saverio.
La parte
superiore presenta delle partiture lineari costituite da lesene binate ai
lati della grande finestra centrale con timpano ad arco spezzato. Il tutto
sormontato dal grande timpano con al centro, lo stemma della venerata sigla
dei Gesuiti ”IHS”.
L’interno,
che presenta una pianta a croce latina con tre navate, un ampio presbiterio
e una serie di cappelle laterali, col suo incredibile tripudio barocco, è
in netto contrasto con l’austera facciata. Una opulenta decorazione copre
interamente, da pavimento a soffitto, tutti i muri e le colonne della
chiesa, dalla controfacciata al presbiterio, dalle navate alle cappelle, in
ogni dove si estende un manto ininterrotto di sculture, tarsie policrome,
ornati marmorei, stucchi e affreschi realizzati da una schiera di rinomati
artisti (Ignazio Marabitti, Vito D’Anna, G.no Vitagliano, A.no Grano,
Giacomo e Procopio Serpotta, Pietro Novelli, Paolo Amato, Gaspare Bazano,
Giacomo Pennino, Camillo Camilliani) per citare i più importanti, che
lavorarono nell’arco di oltre due secoli per ottenere questa mirabile
opera d’arte. Innumerevoli e strabilianti decorazioni in marmi mischi e
tramischi che secondo l’autorevole storico dell’arte americano Donald
Gaarstang "appartengono al mondo della fantasia sfrenata”,
celebrano, in rilievo, la gloria di Gesù e della Vergine Madre: una sorta
di “Bibliapauperorum”
che attraverso le scene bibliche rappresentate propone il duplice cammino
cristologico e mariologico.
Le cappelle
sono autentici scrigni pieni di arte, ospitano splendide opere di immenso
valore artistico.
Entrando
subito a destra si trova la Cappella delle SS: Vergini, in
essa troviamo affreschi attribuiti a Gaspare Bazano e il magnifico altare
sulla quale troneggia la statua dell’angelo custode.
La
seconda, quella dei SS. Confessori (ora Madonna di Pompei), dove al
centro si trova un’imponente pala d’altare che raffigura i tre Santi
Martiri Giapponesi del 1629, conserva alle pareti laterali, due quadri del
pittore monrealese Pietro Novelli: a sinistra S. Paolo Eremita (a sinistra
del quadro l’autoritratto dell’autore) e a destra S. Filippo d’Agira
nell’atto di guarire un ossesso.
Seguono
la cappella dedicata ai SS. Martiri con opere di Francesco Spatafora e
affreschi di Antonino Grano.
Proseguendo
sempre sul lato destro della chiesa si incontra la Cappella della Madonna.
Sullo sfondo, nell’altare, una statua gaginesca della Madonna di Trapani.
Ai lati dell’altare possiamo ammirare dei marmi mischi a rilievo che
raffigurano due serie di false prospettive di colonne tortili attribuite
allo scultore toscano Camillo Camilliani.
Arrivati al
transetto sempre sulla destra troviamo la Cappella di San Francesco
Saverio
dove al centro, nell’altare, si trova il quadro del Santo
gesuita opera di Federico Spoltore che sostituisce l’originario distrutto
dai bombardamenti del 1943, opera di Pietro d’Asaro detto il monocolo di
Racalmuto.
L’ultima
sulla destra è la Cappella di San Luigi Gonzaga con il suo magnifico
altare dove fa bella mostra un bellissimo altorilievo del Santo in gloria,
pregevole opera di Ignazio Marabitti. In questo altare sono presenti alcuni
elementi marmorei dell’altare che custodiva il famoso quadro di Raffaello
“lo Spasimo di Sicilia”
opera di Antonello Gagini.
L’absidiola
di destra è la Cappella della Sacra Famiglia, particolarmente bella con un
bel dipinto di A.no Grano che raffigura la Sacra Famiglia al centro
dell’altare circondato da stucchi di Procopio Serpotta. Di grande pregio
artistico il paliotto ad intarsio marmoreo policromo di questo altare,
raffinata opera di oreficeria marmorea realizzata da marmorari locali.
Al centro
la Cappella maggiore (presbiterio), la più bella del tempio, uno stupendo
scenario di allegorie volte a rappresentare, attraverso un complesso
discorso teologico, la glorificazione del Nome di Gesù. Tutto il fondo
dell’abside è consacrato all’incarnazione del Verbo del SS. Sacramento.
Particolare menzione meritano i gruppi marmorei del nicchione centrale,
quello di Abigal e David e quello di Achimelech e David realizzati da
Gioacchino Vitagliano probabilmente su disegni di Giacomo Serpotta. Ai lati
dell’altare maggiore sulle due cantorie è collocato un prezioso organo a
canne, a trasmissione elettrica, costruito nel 1952 dalla ditta organaria di
Crema Tamburini, considerato tra i più interessanti esistenti a Palermo.
Dall’ingresso
subito a sinistra troviamo la Cappella di S. Rosalia, sull’altare un
quadro raffigurante la Santa Patrona di Palermo ritratta come da tradizione
con le vesti simili a quelle delle monache basiliane, riproduzione di un
quadro portato in processione in occasione della peste del 1624 rifatto da
Vito D’Anna nel 1745. I grandi affreschi delle pareti sono dello stesso
D’Anna mentre quelli della volta sono di Antonino Grano.
La seconda
di sinistra è la Cappella dell'Immacolata e di San Francesco Borgia: il
quadro del Santo genuflesso davanti all’Immacolata è opera di Rosalia
Novelli.
A seguire
troviamo la Cappella dei SS. Martiri giapponesi (ora Sacro Cuore di Gesù), la
più esuberante e ricca di decorazioni a pietre mischie. Il quadro del Sacro
Cuore di Gesù posto al centro dell’altare è della pittrice palermitana
Maria Salmeri Lojacono del 1965.
La
successiva, la Cappella del Crocifisso, custodisce un magnifico crocifisso
ligneo su uno splendido reliquiario dorato. Alle pareti vi troviamo
affreschi raffiguranti la Crocifissione, l’Invenzione della Croce, la
Deposizione e l’Esaltazione della Croce mentre nel soffitto è raffigurato
il trionfo della Croce, opere del gesuita Orazio Ferraro.
Nel
transetto di sinistra la cappella dedicata a S. Ignazio di Loyola, dove al
centro dell’altare possiamo ammirare l’imponente statua di S. Ignazio
che trionfa sull’eresia di Giovanni Maria Benzoni (copia di quella
esistente nella basilica di S. Pietro a Roma).
A
sinistra del presbiterio la Cappella di Sant'Anna, dopo quella del
presbiterio forse la più bella della chiesa. Nell’altare il dipinto della
Santa genitrice della Madonna. Posti dentro le nicchie delle pareti si
trovano dei gruppi scultorei che rappresentano a sinistra S. Gioacchino e S.
Anna che ringraziano l’Eterno Padre per la fecondità concessa e a destra
la Vergine bambina tra i genitori. Gli affreschi della cupola sono di Pietro
Novelli.
I
devastanti bombardamenti del maggio 1943 danneggiarono pesantemente
l’edificio, una bomba distrusse la cupola che cadendo trascinò con sé le
parti vicine compreso gran parte delle opere che decoravano presbiterio e
transetto. Per l’ennesima volta (era stata rifatta già altre tre volte),
la cupola fu interamente ricostruita e un accurato restauro riuscì a
recuperare i gravi sfregi inferti al monumento.
Il 24
febbraio del 2009 dopo sei anni di impegnativi restauri, questo splendido
esempio del barocco palermitano è stato restituito alla città in tutto il
suo splendore, con una messa solenne celebrata da monsignor Paolo Romeo
arcivescovo di Palermo alla quale parteciparono autorità cittadine e molti
esponenti dell’ordine gesuita.
Chiesa
di San Francesco d'Assisi
Silenziosa
e appartata nella omonima Piazza S. Francesco, uno degli angoli più
suggestivi del centro storico di Palermo, si erge nella sua severa
monumentalità la Basilica di S. Francesco d’Assisi, certamente tra le più
illustri e significative chiese palermitane per pregio d’arte e valore
storico.
Un
monumento di enorme rilevanza architettonica, un museo vero e proprio per la
quantità e il pregio delle opere d’arte in essa custodite. Un autentico
scrigno di storia e di capolavori d’arte dei più grandi artisti siciliani
e non solo, che qui lasciarono opere di straordinaria bellezza.
La
costruzione ebbe inizio nel 1254, sui resti di una chiesa precedente
distrutta nel 1240 dall’imperatore Federico II, e si concluse attorno al
1277. La parte più integra della chiesa è certamente la sua superba
facciata di gusto tardo- romanico, notevole per il suo equilibrio
compositivo, rimasta pressochè indenne da rifacimenti di epoche successive.
Adornata
da uno stupendo portale trecentesco dove si incentra, come nel crescendo di
una sinfonia, tutto il movimento della facciata e dove ancora campeggiano le
insegne della potente famiglia dei Chiaramonte che ne furono i
committenti. Nella strombatura del portale, a piani digradanti si allarga la
cornice dell’arco ogivale, i cui motivi a zig-zag, derivanti dall’arte
islamica, sono stati paragonati a ” onde concentriche che, in un mare
increspato, si allargano in semicerchi solenni”.
Completa
la facciata il preziosissimo rosone; una ruota marmorea, che pare vorticare
col giro molteplice dei suoi archetti e dei suoi raggi attorno
all’immobile “Agnus Dei”. Distrutto dal terremoto del 1823 fu
ricostruito magistralmente dall’architetto Patricolo alla fine del XIX
secolo: esemplato su quello della coeva chiesa di S. Agostino.

L’impianto
planimetrico della costruzione primitiva era molto simile all’attuale, ma
la chiesa originaria mancava di cappelle ed aveva sui muri esterni delle
navate laterali una serie di sedici magnifiche bifore di stile gotico, delle
quali ancora rimane qualche traccia.
A partire dalla prima metà del trecento vennero edificate le prime cappelle
in stile gotico chiaramontano, caratterizzate da robusti costoloni e con
intarsi di pietra lavica sul tufo grigio. Di seguito a partire dal XV secolo
ne furono aggiunte altre in nitide forme rinascimentali; la più bella è
senza dubbio la “Cappella Mastrantonio” (1468-1470) di Francesco Laurana
e Pietro da Bonitade, dove gli autori abbandonato il goticismo
verticalizzante adottano la chiara linea dell’arco romano: questa opera
segna l’introduzione delle forme rinascimentali nell’arte siciliana.
Sempre
nello stesso secolo il primo iniziatore del Rinascimento a Palermo Dominico
Gagini, realizzò a San Francesco, committente il “magnifico” pretore
Pietro Speciale, lo splendido monumento funebre del suo unico figlio, Nicolò
Antonio. Ma ogni secolo ha lasciato nel tempio francescano la sua impronta.
Nel
XVII secolo fu arricchita di stucchi, di preziosi affreschi e soprattutto
della meravigliosa cappella dell’Immacolata, una delle opere più
rappresentative del barocco palermitano, col suo fastoso addobbo di marmi
mischi policromi di squisito disegno.
Nel
seicento le vicende della chiesa francescana si intrecciano strettamente a
quelle della città.
Nel
giugno del 1624 per scongiurare la peste che desolava la città, l’allora
pretore don Vincenzo del Bosco principe di Cattolica, a nome del
popolo palermitano, tutto assembrato in piazza Pretoria, fece voto di
professare il privilegio dell’Immacolato Concepimento di Maria fino allo
“spargimento di sangue”, di offrire ogni anno alla Vergine un donativo
di 100 onze nel giorno dell’Immacolata e di digiunare la vigilia.
Nel
dicembre dello stesso anno, declinando la peste, la città solennizzò con
“luminarie e processioni” la festa dell'Immacolata Concezione e
il pretore offrì per la prima volta al simulacro argenteo
dell’Immacolata, venerata in S. Francesco, le 100 onze promesse. Tale
funzione si rinnovò puntualmente ogni anno ed anche oggi, il sindaco il
giorno della festa dell’Immacolata offre alla Vergine su un bacile
d’argento l’equivalente delle antiche cento onze.
Come
il seicento donò alla chiesa duecentesca la decorazione a marmi mischi, così
il secolo successivo vi lasciò i suoi stucchi, e a Palermo dire arte dello
stucco è la stessa cosa di dire “Giacomo Serpotta”. Il grande artista
realizzò in S. Francesco una serie di figurazioni allegoriche femminili,
piene di raffinata grazia ed eleganza.
Sconvolta
nel 1823 da una scossa di terremoto, la basilica duecentesca rinacque con
vesti neoclassiche.
Nella
seconda metà dello stesso secolo si sentì il bisogno di restituire la
chiesa alla purezza delle sue forme originarie, ma i disastrosi
bombardamenti della seconda guerra mondiale squarciarono ancora l’antica
basilica.
La ricostruzione pareva impossibile, ma l’amore e la tenacia dei
padri francescani fecero risorgere ancora una volta il loro tempio, più
semplice e nudo, tanto più simile all’antico eppure ancora tanto ricco di
opere d’arte d’inestimabile valore accumulate attraverso i tanti secoli
di vita di questo splendido monumento.
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Agosto
2018
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