- Palazzo
Arcivescovile
-
- Il Palazzo
Arcivescovile di Palermo è la sede dell'Arcivescovado ubicata
in pieno centro cittadino a pochi metri dalla cattedrale e dal Palazzo dei Normanni.
L'edificio
fu concepito sul finire della sesta decade del XV
secolo in sostituzione del primitivo Vecchio
Arcivescovado ubicato sul lato settentrionale della cattedrale.
Infatti, l'antica struttura rimodulata in epoca normanna e dimora
del promotore della ricostruzione del tempio palermitano, l'arcivescovo Gualtiero Offamilio, mostrava evidenti segni
d'inadeguatezza e ricettività per via delle vetuste origini risalenti al 444.
L'arcivescovo Simone Beccadelli scelse
come luogo di riedificazione la zona prospiciente il prospetto occidentale
della cattedrale, su un'area adiacente il torrione medievale, manufatto
successivamente inglobato nell'edificio. Nel 1460 è
documentato il trasferimento della Corte Vescovile nella nuova sede del
Palazzo Arcivescovile evento riportato nelle cronache di Tommaso
Fazello.
Della
costruzione si ammirano ancora oggi l'elegante trifora gotico-fiammeggiante e il portale gotico-catalano con
influenze partenopee, ove è scolpito lo stemma del fondatore adorno delle
armi della famiglia Beccadelli di Bologna.
In epoca spagnola ogni
vescovo si fece promotore di importanti lavori d'ingrandimento e
abbellimento del sacro palazzo, opera iniziata col patrocinio dei balconi
che costituiscono le teorie del prospetto orientale. Il balcone sovrastante
il portale d'accesso fu finanziato dal vescovo Diego
Haëdo nel 1592. Il cardinale Giannettino
Doria provvide alla realizzazione dell'ala destra, mentre Pietro Martinez y Rubio realizzò
l'ala sinistra e il raccordo con la torre campanaria. È documentata la Porta
Canonica dirimpetto alla porta maggiore della cattedrale.
I
lavori conferirono alla facciata l'espressione artistica prettamente più in
voga nella Palermo dell'epoca: lo stile rinascimentale. Le pareti in
conci squadrati presentano finestre e monofore dal
caratteristico profilo superiore a petto d'oca nell'interrato, balconi con
finestre sormontate da timpani ad arco o
triangolari con stemmi centrali al piano nobile, tredici finestre omogenee
sono allineate nel terzo ordine. Solo il balcone centrale presenta un
timpano con volute ad arco spezzato e stemma intermedio su elaborato architrave.
Per
converso, il prospetto sul Cassaro fu
finanziato dall'arcivescovo Cesare Marullo che lo
abbellì con il balcone in
prossimità dell'angolo, manufatto commissionato a Vincenzo
Gagini nel 1587, recante sculture raffiguranti le imprese
e le armi della famiglia Marullo. Opera
in seguito soggetta ai rifacimenti e restauri voluti rispettivamente dal
cardinale Doria e Raffaele Mormile all'inizio del XIX
secolo. L'intero prospetto meridionale incorpora il palazzo
vescovile e il Seminario dei Chierici, presenta all'angolo dell'ex vicolo di
San Crispino il balcone realizzato da Valerio Villareale commissionato
dall'arcivescovo Ferdinando Maria Pignatelli.
Nel XVI
secolo l'edificio fu ulteriormente ampliato verso Porta Nuova lungo la strada del Cassaro,
per ospitare anche il seminario
arcivescovile (oggi sede della Pontificia
facoltà teologica di Sicilia "San Giovanni Evangelista").
Per costruire quest'ala del palazzo fu abbattuta la preesistente chiesa
di Santa Barbara la Sottana, di cui rimane la statua marmorea del 1496 custodita
nel Museo Diocesano. I vari corpi
inglobati furono modificati per creare un'unica facciata prospicienti le
odierne Villa Bonanno e piazza della Vittoria, aree che
costituivano il primitivo Piano di Palazzo Reale.
Internamente
fu realizzato lo scalone d'onore o primitiva Rampa Marullo del 1587, gli ambienti
abbelliti con stucchi realizzati da Serafino Filangieri, all'aggregato furono
aggiunte la scuderia e la fontana. Al piano nobile il grande salone di
rappresentanza, denominato Sala della Trifora, comunicante con gli
appartamenti meridionali con panorama sulla piazza del Real Palazzo e gli
appartamenti orientali con vista sulla cattedrale.
Durante
il XVII
secolo furono effettuate delle modifiche per volontà del
cardinale Giannettino Doria, alcuni ambienti furono
avvicinati allo stile contemporaneo. In seguito l'interno subisce una
rimodulazione nella conformazione delle stanze abbellite con la
realizzazione di numerose pitture, in particolare gli affreschi del
fiammingo Guglielmo Borremans eseguiti tra il 1733 e
il 1734 per volere dell'arcivescovo Matteo
Basile, culminanti con il ciclo delle Storie dell'infanzia di
Cristo oggi rappresentate dalla Fuga in Egitto e
dall'Adorazione dei Pastori. Altre pitture del romano Gaspare
Fumagalli e seguaci, costituirono committenza dell'arcivescovo
napoletano Serafino Filangieri, che nobilitano le volte e
le pareti con splendide finte prospettive e le allegorie della Speranza e
della Carità.
Altre commissioni documentate furono realizzate da Pietro
Martorana.
La
selva di torri campanarie neogotiche sul torrione furono progettate
dall'architetto Emanuele Palazzotto tra il 1826 e il 1835,
intervento successivo ai danni arrecati da terremoto di Pollina del 5 marzo 1823 ed
altri eventi sismici immediatamente precedenti.
Nel XIX
secolo molti ambienti furono nuovamente modificati secondo il
gusto del tempo pertanto le pitture barocche furono in parte eliminate e
sostituite con nuove decorazioni come le tempere presenti sui soffitti del Salone
Verde, Salone Giallo e Salone Azzurro, realizzate per conto
dell'arcivescovo Giovanni Battista Naselli.
Nel 1927 il settore
antistante la cattedrale ospita il museo diocesano di Palermo e
negli ultimi decenni all'interno del palazzo sono stati trasferiti gli
uffici della curia e del vescovo cittadino.
Per
disposizione del cardinale arcivescovo Salvatore Pappalardo, i saloni
di rappresentanza su via Matteo Bonello sono stati destinati a nuova sede
del Museo Diocesano in sostituzione di quelli dell'intero secondo piano fin
dal 1927 occupati da questa istituzione.

Il
balcone fu commissionato dal Marullo per celebrare le gesta e le armi di
famiglia e fu ripetutamente rimaneggiato e restaurato. Vincenzo
Gagini nella realizzazione del balcone consegna cinque ritratti
scolpiti sulle facce inferiori delle mensole che reggono il piano di
calpestio, raffigurando i componenti più rappresentativi della propria
Famiglia. Tutti i rappresentanti maschi dei Gagini costituiscono a vario
titolo le maestranze della Fabbrica della Cattedrale di Palermo.
Così
Vincenzo consegna ai posteri e alla storia dell'arte le fisionomie dei
propri cari, presumibilmente da sinistra verso destra, da occidente verso
oriente e in ordine d'età il volto del padre Antonello,
contraddistinto dal volto maturo incorniciato dalla folta capigliatura e la
barba fluente molto somigliante all'incisione esistente, quello del
fratellastro Antonino, dei fratelli Giacomo e Fazio,
per concludere, il proprio autoritratto.
Un
fermo immagine a tre dimensioni eseguito in età matura e, per cronologia
delle fisionomie, collocabile intorno all'anno 1535, ove sono
raffigurati il padre Antonello nella piena maturità artistica e ormai
prossimo al termine della carriera, se stesso giovanissimo allievo di
bottega e in mezzo naturalmente i fratelli nel pieno vigore fisico e
artistico. Le raffigurazioni omaggiano il padre scomparso da mezzo secolo e
il fratello Fazio mancato venti anni prima. Rilievi fra i pochissimi
ritratti dei principali componenti del ramo siciliano della celebre scuola
dei Gagini.
Sulla
stessa facciata all'angolo opposto il balcone di Valerio Villareale ispirato al precedente
e voluto dall'arcivescovo Ferdinando Maria Pignatelli nel
1840. Sulle facce inferiori delle mensole che reggono il piano di calpestio
sono raffigurati Pietro Novelli, Ignazio
Francesco Marabitti, Giuseppe Venanzio Marvuglia, Giuseppe
Velasco, Vincenzo Riolo.
Chiesa
del Santissimo Salvatore

La chiesa
del Santissimo Salvatore è un edificio di culto situato nel centro
storico di Palermo. Il monumento si affaccia sulla strada del Cassaro (odierno Corso
Vittorio Emanuele), nel mandamento Palazzo
Reale o Albergaria.
Originariamente
sorge come luogo di culto del monastero delle suore basiliane di rito
greco voluto da Roberto
il Guiscardo nel 1072. L'istituzione religiosa fu successivamente
protetta e beneficiata da re Ruggero
II di Sicilia.
Le
cronache riportano la regina Costanza
d'Altavilla, moglie di Enrico
VI di Svevia e futura madre dell'imperatore Federico
II, come educanda del monastero, monaca professa, infine badessa. La
nobildonna è costretta per motivi dinastici e politici a lasciare i voti e
convolare a nozze determinando l'unione delle casate regnanti Altavilla - Hohenstaufen. Federico
II dopo il monastero
di San Teodoro, il monastero
di San Matteo al Cassaro, il monastero
di Santa Maria di Loreto, associa al monastero
del Santissimo Salvatore il monastero
di Santa Maria dell'Itria detto «della Pinta».
Martino
I di Sicilia fregia chiesa
e monastero col titolo di "Regio" ponendo le strutture sotto il
"Regio Patronato".
Nel 1528 l'antica
chiesetta normanna è totalmente riedificata e ingrandita. Lo sviluppo è in
tre navate, con tre cappelle per lato e abside fra due cappelle minori. Il prospetto è
rivolto a oriente sull'attuale salita del Santissimo Salvatore.
Nel 1682 i
cospicui lasciti e le rendite consentono la brama di possesso di un tempio
ancor più sontuoso, nobilitato dall'ingresso diretto sul Cassaro,
pertanto le monache decidono un ulteriore ingrandimento, affidandone il
progetto a Paolo
Amato. I lavori iniziano immediatamente, durante lo scavo delle
fondazioni sono rinvenuti numerosi reperti archeologici, costituiti
soprattutto da monete.
Coadiuvato
dall'allievo capomastro Giacomo
Amato, segue personalmente la realizzazione fino al 1685,
anno in cui subentra il gesuita Angelo
Italia. Questi, fedele al progetto originario, dirige la
realizzazione delle due cappelle presso l'ingresso e della facciata,
iniziata nel 1687. Nel 1689 ad Angelo
Italia si avvicenda nuovamente Paolo
Amato che realizza le due cappelle maggiori alle estremità
dell'asse minore della chiesa, il cupolino sul presbiterio e
nel 1694 la
cupola centrale, la loggetta e le nicchie sulla facciata.

Nel 1704 la
chiesa è consacrata, ma risulta mancante di gran parte della decorazione
interna, eseguita lungo tutto l'arco del XVIII
secolo. La smania di magnificenza determina la lentezza nella
prosecuzione dei lavori: alla morte di Paolo Amato avvenuta nel 1714,
la gran parte delle decorazioni risulta ancora incompiuta. Nel 1721 Giacomo
Amato assieme a Gaetano
Lazzara disegna l'altare maggiore della chiesa, andato in
seguito distrutto. I gravi dissesti procurati dal «Terremoto di Terrasini»
del 1726,
costringono a progettare un intervento di consolidamento della cupola e
delle altre strutture, come ha evidenziato l'inadeguatezza del terreno atto
a sostenere un edificio di così imponente mole.
Nel 1763 sotto
la direzione di Vincenzo
Giovenco hanno inizio i lavori di costruzione del tiburio a loggiato che
ingloba la cupola dall'esterno, opera destinata ad una duplice funzione:
quella di sostenere la calotta e
di preservarla dalle infiltrazioni pluviali che minacciano la decorazione
pittorica, gli stucchi, gli intarsi marmorei. Nello stesso anno ha inizio la
decorazione dell'interno da parte di Vito
D'Anna, che realizza l'immensa Apoteosi di San Basilio, oggi
molto frammentaria e deteriorata.
Nel 1782 sotto
la guida di Andrea
Giganti segue la realizzazione dei pavimenti marmorei della Cappella
di San Basilio a sinistra e della Cappella di Santa Rosalia a
destra. L'ultimo intervento di rilievo è la messa in opera del pavimento
della grande aula centrale, realizzato nel 1856 sotto
la direzione di Giuseppe
Patricolo.
1943 1º
marzo e 9 maggio 1943,
Bombardamenti di Palermo. Un violento bombardamento aereo colpisce
l'edificio e distrugge quasi totalmente l'interno. Non scampano tutte le
decorazioni marmoree, a stucco e a fresco, comprese quelle della cupola.
Restaurata con criteri scientifici, mostra ora chiaramente il contrasto tra
l'originaria decorazione superstite e quella reintegrata, saggiamente
lasciata in bianco.
1950 - 1969,
Con i restauri l'altare principale, un tempo in asse con l'ingresso, è
spostato sulla destra, dove oggi troneggia la grande pala della Gloria
di Santa Rosalia proveniente dalla chiesa
di Santa Rosalia distrutta per la costruzione della via
Roma e concessa in deposito dal Museo
Diocesano.
La
chiesa è adibita ad Auditorium, ma non ha comunque perso la sua funzione di
edificio religioso.

Dal
2013 la Chiesa è aperta ai visitatori grazie all'Associazione Amici dei
Musei Siciliani, presieduta da Bernardo Tortorici Montaperto Principe
di Raffadali.
Dal
2014, dopo alcuni lavori di messa in sicurezza, apre al pubblico anche la
grande terrazza della cupola.
Tra
il dicembre 2015 e il giugno 2016 l'Associazione Amici dei Musei Siciliani
provvede alla ripulitura di tutti gli apparati marmorei e al ripristino
della scalinata nel vestibolo di ingresso.
Il
22 ottobre 2016 la
pala raffigurante Sant'Orsola e storie della sua vita, custodita in
precedenza presso la Sala V del Museo
Diocesano di Palermo, viene ricollocata nell'altare sud-est dopo
un'assenza totale di 87 anni. Si tratta di una tavola delle dimensioni 270 x
143 cm, olio e tempera attribuita, a seguito degli studi della Soprintendenza
dei Beni Culturali di Palermo, all'artista fiammingo Simone
de Wobreck documentato a Palermo tra
il 1558 e il 1587, autore di molti dipinti nel territorio palermitano tra
cui altre quattro opere nella collezione del Diocesano.
Nei
primi mesi del 2017 viene restaurato il grande affresco della parete destra
del vestibolo raffigurante La predica di San Basilio opera di Vito
d'Anna.
Nei
primi mesi del 2018 viene restaurato anche il secondo grande affresco di Vito
d'Anna posto sulla parete di sinistra del vestibolo e
raffigurante Il miracolo di San Basilio.
Per
i primi mesi del 2019 viene programmato il restauro dell'affresco della
volta della Cappella di S. Rosalia, raffigurante Santa Rosalia in abiti
basiliani.

L'aspetto
attuale della costruzione, però, si discosta notevolmente da quello
normanno, poiché le forme, già rimaneggiate nel Cinquecento, diventarono
pienamente barocche con l'affidamento dell'incarico all'architetto Paolo
Amato, il quale adottò il modello di una pianta centrale
dodecagonale con cupola ellittica.
Coppie
di paraste binate
delimitano il vano centrale. Il vuoto sopra il semplice portale lascia
supporre un prospetto lasciato
incompiuto: le due nicchie tra colonne dovevano accogliere statue che non
sono mai state collocate.
La
pianta concepita da Paolo
Amato risulta dall'innesto di una croce
greca su un vasto dodecagono irregolare
inscritto in una ellisse. Un altro notevole impianto planimetrico ellittico:
quello della chiesa
di San Carlo dei Milanesi del 1691.
I
due ordini di paraste sono
divisi da una cornice continua che segue l'andamento della pianta che genera
un "affaccio" o ballatoio che
le monache potevano percorrere lungo tutto il perimetro dell'edificio,
assistendo indisturbate alle funzioni. Lo sviluppo parietale è tripartito
in un primo ordine d'altari, un secondo ordine di finestre e cantorie, il
terzo da logge.
Ma
ciò che colpisce maggiormente l'immaginazione è il fastoso interno,
interamente decorato da marmi policromi, stucchi ed affreschi. A proposito
di questi ultimi le fonti attribuiscono quelli del cupolino che chiude il
cappellone maggiore a Filippo
Tancredi del 1705 con
l'Adorazione dell'Agnello Mistico e quelli che decorano il vestibolo
d'ingresso e la volta (1765)
al grande artista palermitano Vito
D'Amma: La guarigione di un bimbo per intercessione di San Basilio e
la Predica di San Basilio, le figure allegoriche della Fortezza,
Prudenza, Teperanza e della Giustizia nel vestibolo,
quelle della Fede e
della Carità nei pennacchi.
La
chiesa, seriamente colpita dai bombardamenti anglo-americani del 1943 che ne
distrusse parte dell'apparato, intorno al 1959 fu restaurata e trasformata
dall'architetto Franco
Minissi in auditorium.
Piazza
Villena (Quattro Canti)
Video

I
Quattro Canti, o piazza Villena, o Ottagono del Sole, o Teatro
del Sole, è il nome di una piazza ottagonale all'incrocio dei due
principali assi viari di Palermo:
la via
Maqueda e il Cassaro,
oggi Via Vittorio Emanuele.
Il
nome esatto della piazza è Piazza Villena (in omaggio al
Viceré il cui nome completo era marchese don Juan Fernandez Pacheco de
Villena y Ascalon), ma le fonti antiche la ricordano come Ottangolo o Teatro
del Sole perché durante le ore del giorno almeno una delle quinte
architettoniche è illuminata dal sole.
I
Quattro Canti propriamente detti sono i quattro apparati decorativi che
delimitano lo spazio dell'incrocio. Realizzati tra il 1609 e
il 1620 e
sormontati dagli stemmi (in marmo bianco) reale senatorio e viceregio, i
quattro prospetti presentano un'articolazione su più livelli, con una
decorazione basata sull'uso degli ordini architettonici e di inserimenti
figurativi che, dal basso in alto, si susseguono secondo un principio di
ascensione dal mondo della natura a quello del cielo. I quattro piani di
facciata risultano così decorati: al piano inferiore, fontane che
rappresentano i fiumi della città antica (Oreto, Kemonia,
Pannaria, Papireto);
quindi, un ordine in stile
dorico, contenente le allegorie dalle quattro stagioni (rappresentate
da Eolo, Venere, Cerere e Bacco);
l'ordine successivo, in stile
ionico, ospita le statue di Carlo V, Filippo
II, Filippo
III e Filippo
IV; infine, nell'ordine superiore, le quattro sante palermitane, Agata, Ninfa, Oliva e Cristina,
patrone della città già prima dell'avvento di Santa
Rosalia (1624)
e di san Benedetto
da San Fratello (1652).
Un
antico detto che celebrava nei Quattro canti il centro virtuale di Palermo
recitava "feste e forche a Piazza Villenalan" (pubbliche feste ed
esecuzioni capitali).

Assunto
nel 1606 il
governo della città e dell'isola, il viceré, due anni dopo, affidò
all'architetto fiorentino Giulio
Lasso la sistemazione urbanistica della piazza, alla quale si
lavorò per molti anni. Il progetto era ispirato al crocevia delle Quattro
Fontane di Roma,
disegnato dagli urbanisti di Papa
Sisto V in forme molto più dimesse della successiva versione
palermitana.
Nel 1609 doveva
già essere terminata la parte strutturale dei due cantoni poi detti di
Santa Ninfa e di Sant'Agata, che portano gli stemmi del viceré Vigliena.
Nel 1612 era
completo il cantone di Santa Cristina, aderente a San Giuseppe, promosso dal
viceré Ossuna.
Nel 1615 Giulio
Lasso è già morto e dal 1617 è
direttore dei lavori Mariano
Smiriglio, ingegnere del Senato e già sorvegliante del cantiere
durante la direzione del Lasso.
Con Mariano
Smiriglio si assiste ad un cambiamento del programma decorativo
iniziale: nell'ordine superiore, che in origine avrebbe dovuto ospitare le
statue dei sovrani, vengono sistemate le statue delle quattro sante vergini
palermitane: Santa Cristina, Santa Ninfa, Sant'Oliva e Sant'Agata. Dei
quattro simulacri regali, previsti originariamente in bronzo, da Scipione
Li Volsi, vengono eseguiti soltanto quelli di Carlo
V d'Asburgo, poi collocato in piazza dei Bologna e quello di Filippo
IV, un tempo posto sopra una macchina marmorea nel piano del Palazzo
dei Normanni e poi distrutto. Le attuali statue in marmo
presenti ai Quattro Canti furono scolpite fra il 1661 ed
il 1663 da Carlo
D'Aprile.
Il
2 agosto 1630 vennero
appaltati i lavori per la fabbrica delle quattro fontane con le statue delle
Quattro Stagioni, anch'esse previste in bronzo e poi realizzate in marmo: la
Primavera e l'Estate furono realizzate da Gregorio Tedeschi; l'Autunno e
l'Inverno da Nunzio La Mattina. Le attuali conche inferiori delle quattro
fontane sono ottocentesche e furono realizzate per compensare il dislivello
creatosi nel piano di calpestio della piazza che era stato ribassato a causa
del livellamento della via. Il "Quinto Canto" che si vede su via
Vittorio Emanuele ed è parte della facciata destra della Chiesa
di San Giuseppe dei Teatini fu decorato nel 1844.
L'architettura
della piazza è molto semplice, rappresenta un perfetto ottagono formato da
quattro edifici alternati da sbocchi viari.
Chiesa
di San Giuseppe dei Teatini
Il
monumento occupa l'area delimitata a nord dalla strada del Cassaro (odierno Corso
Vittorio Emanuele), a oriente delimitata da Via Maqueda si
affaccia su piazza Pretoria, a mezzogiorno è divisa da
Vicolo D'Alessi dalla Casa dei Teatini, dal Convento dei Teatini e
dall'Oratorio di San Giuseppe dei Falegnami. Costituisce il vertice del
mandamento Palazzo Reale o Albergaria, ingloba la facciata sud di Piazza
Vigliena o dei Quattro Canti.
1398,
È documentata la chiesa di Sant'Elia a "Porta
Giudaica".
1557 - 1565,
La corporazione dei falegnami per ordine del Viceré di Sicilia Juan
de la Cerda 4º duca di Medinaceli, è costretta ad abbandonare la
primitiva chiesa di San Giuseppe contigua al monastero di
Montevergine. I falegnami ottengono la chiesa di Sant'Elia a
"Porta Giudaica" con l'obbligo di non mutare il titolo.
XVI
secolo,
Muta il nome del luogo di culto divenuto chiesa di San Giuseppe dei
Falegnami.
I
Padri Teatini giungono da Napoli per stabilirsi a Palermo intorno al 1600 su
invito del Senato e dalla nobiltà palermitana. La loro prima sede è il
convento adiacente la chiesa di Santa Maria della Catena.
1602,
I Teatini ottengono la chiesa di Santa Maria della Catena ma,
non godono dei privilegi e delle rendite ad essa assegnati.
1602,
I Teatini ottengono la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami dal
ceto omonimo con l'impegno di costruire una cappella nella nuova chiesa,
l'Oratorio di San Giuseppe dei Falegnami e festeggiare le ricorrenze
annuali di San Giuseppe e di Sant'Elia.
1603,
Insediamento da parte dei Teatini nella chiesa di San
Giuseppe dei Falegnami.
La
costruzione dell'edificio e delle pertinenze s'inserisce nel grande progetto
urbanistico della città che prevede la realizzazione della principale
arteria cittadina costituita dalla via Maqueda, in onore del Viceré Bernardino
de Cárdenas y Portugal Duca di Maqueda, che interseca perpendicolarmente il
primitivo Cassaro. Si assiste quindi alla demolizione di antiche
strutture per l'edificazione di manufatti che costituiscono la quasi totalità
dei tesori artistici che compongono attualmente il patrimonio storico e
artistico di Palermo. L'architetto non fu Giacomo o Jacopo Besio,
savonese dell'Ordine Chierici Regolari Teatini e conosciuto a Genova come
squisito scalpellino nella chiesa di San Siro. Non diventò mai
sacerdote, fu autore della sola sacrestia della chiesa palermitana e
direttore dei lavori di costruzione fino al compimento.
1612,
Avvio lavori dell'attuale chiesa, arcivescovo Giannettino Doria. Architetto Pietro
Caracciolo, Giacomo Besio autore della sacrestia.
1632,
Inaugurazione presenti l'arcivescovo Giannettino Doria e il Viceré Fernando
Afán de Ribera y Enríquez duca d'Alcalà.
1645,
Perfezionamento di Piero Faxardo Zuniga y Requesens marchese de
Los Veles e dei Padri dell'Ordine dei Teatini.
1677,
Consacrazione solenne da parte del vescovo Giuseppe Cicala.
XX
secolo, Restauro:
la riscoperta e la rivalorizzazione di molteplici tesori d'arte.
1943 1º
marzo e 9 maggio 1943, Bombardamenti di Palermo.
1950 - 1954,
Gli affreschi della volta della navata centrale sono gravemente danneggiati
durante le incursioni aeree e interamente rifatti insieme alla decorazione
plastica. La volta centrale è totalmente ricostruita grazie all'apporto
fotografico, così pure il pavimento.
2011,
Restauro promosso dal Ministero dell'Interno per la minaccia concreta di
infiltrazioni dal tetto per la prevenzione di conseguenti danni alla volta e
alle pareti.
Il
prospetto su Corso Vittorio Emanuele è costituito dall'ingresso
principale e da due raccordi arcuati laterali: sulla sinistra è la facciata
del cantone sud di Piazza Vigliena, per simmetria sulla piazzetta San
Giuseppe è realizzato il «quinto canto».
Il
«quinto canto» sulla destra è in stile barocco speculare all'altro dei Quattro
Canti. Nel secondo ordine contornata da colonne ioniche, da ghirlande
di fiori e teste alate di angeli, all'interno della nicchia è la statua di San
Gaetano da Thiene. Al centro nel terzo ordine è collocata la statua di Sant'Elia.
1844,
L'ingresso principale di recente realizzazione è in stile classico. Due paraste laterali
con capitelli corinzi sorreggono un architrave sormontato da timpano triangolare.
Il portone è delimitato da due coppie di colonne ioniche con capitelli
corinzi disposte in prospettiva convessa sormontate da architrave dalle
ricche modanature con arco centrale. Nel primo ordine, in una
nicchia incassata tra lesene e architrave è collocata la statua
di San Giuseppe opera di Baldassarre Pampillonia del 1738.
Ai piedi della nicchia è posto lo stemma della corporazione dei Falegnami
raffigurante l'ascia incoronata.
Controfacciata
- Sulla parete interna speculari e simmetriche sono incastonate ai lati del
portale due "Acquasantiere sorrette da Angeli" opere di Ignazio
Marabitti a sinistra e dell'allievo Federico Siracusa a
destra. Su un piedistallo addossata alla parete destra la Madonna
dell'Oreto, statua marmorea, opera di Domenico Gagini fine XV
secolo. Il tutto è sormontato dalla cantoria e tre gruppi di
canne di un monumentale organo.
Prospetto
laterale su Via Maqueda è caratterizzato da altissime lesene sormontate
da contrafforti con archi rampanti. Sul tetto ogni
campata inscrive una cupola con lanternino e un doppio
livello di balaustre a colonnine. Il portale barocco reca inciso
su un capitello l'anno 1632. Finestroni con grate per l'illuminazione
della chiesa ipogea.
Chiude
il prospetto orientale il caratteristico campanile semplice e scenografico.
Incompleto per via del ridotto sviluppo in altezza, consta di una cella
campanaria aperta con sviluppo ottagonale, che appena supera il secondo
ordine, e di una copertura lignea. Ogni pilastro al vertice della struttura
è accompagnato da una colonna tortile in pietra viva con ricco
basamento arricchito da fregi, putti e conchiglie. Un festone di foglia
d'acanto impreziosisce lo sviluppo elicoidale.
L'impianto
dell'edificio è a croce latina alata, cupola con lanterna e cappelle nelle
navate laterali. L'aula è suddivisa da colonne con capitelli corinzi sostenenti
12 archi, nei pennacchi sono presenti affreschi raffiguranti i 12 apostoli
opere del palermitano Antonio Manno del 1799.
Sulla
cornice della navata centrale poggia la volta a botte tutta ornata di grandi
stucchi dorati di Paolo Corso su disegni di Giacomo Amato e
di affreschi del messinese Filippo Tancredi del 1693 raffiguranti L'Apoteosi
di San Gaetano da Thiene e dell'Ordine Teatino e il Ciclo di
episodi della vita del santo. Il tetto, la volta centrale, gli
affreschi sono totalmente ricostruiti, su scorta di fotografie, dopo gli
ultimi eventi bellici.
Nei
peducci della volta, le figure degli apostoli sono di Antonio Manno e Giuseppe
Velasco. Del primo artista i Dottori della Chiesa nelle vele del
Chiesa nelle vele del coro.
La
cupola è opera di Giuseppe Mariani da Pistoia. L'esterno è
interamente maiolicato, il tamburo e costituito da colonne binate alternate
a larghi finestroni. L'affresco interno cupola opera di Guglielmo
Borremans raffigura La caduta degli angeli ribelli del 1724.
Nei pennacchi sono riconoscibili attraverso i simboli iconografici gli evangelisti attribuiti
a Antonio Manno o Vincenzo Manno.
Le
34 colonne sono prevalentemente tratte da un unico blocco di marmo grigio
proveniente dalle cave del palermitano Monte Billiemi. Durante il
trasporto si verificò la rottura di una delle enormi colonne monolitiche,
è per questo motivo che la «via Colonna Rotta» assunse questo nome. I
capitelli sono in stile corinzio e le basi sono di marmo bianco.
All'interno
è presente una cripta con una falda acquifera, la cripta non è
accessibile, ma è diffusa la credenza che la sua acqua sia miracolosa.
Andrea
Carrera pittore
trapanese è sepolto nella chiesa.
Gli
affreschi della
volta sono opera di un pittore messinese, Filippo Tancredi.
Piazza
Pretoria

Piazza
Pretoria detta
anche piazza della Vergogna si
trova sul limite del quartiere della Kalsa,
in prossimità dell'angolo del Cassaro con via
Maqueda, a pochi metri dai Quattro
Canti, centro esatto della città
storica di Palermo.
Nel 1573 il
senato palermitano acquistò la fontana con
l'intenzione di collocarla nella piazza.
L'elaborato
manufatto in marmo di Carrara era inizialmente destinato al palazzo
di San Clemente di Firenze,
opera commissionata da Luigi, fratello di García
Álvarez futuro viceré
di Sicilia e della granduchessa di Toscana Eleonora
di Toledo, entrambi figli di Pedro
Álvarez de Toledo y Zúñiga, viceré
di Napoli. Eleonora fu la prima moglie di Cosimo
I de' Medici.
Per
collocare la monumentale realizzazione concepita per un luogo aperto, furono
demolite diverse abitazioni. La fontana fu riadattata al luogo con
l'aggiunta di nuove parti. Nel 1581 furono
ultimati i lavori di sistemazione della fontana sulla piazza diretti da Camillo
Camilliani e coadiuvato da Michelangelo
Naccherino.
Dal 1861 a
seguito dell'invasione sabauda piemontese, la fontana fu considerata la
rappresentazione della municipalità corrotta e i palermitani
soprannominarono la piazza, anche per le nudità delle statue, piazza della
Vergogna.
Al
centro della piazza è collocata la fontana
Pretoria opera di Francesco
Camilliani realizzata nel 1554 che
occupandone gran parte dell'estensione caratterizza fortemente il Piano
Pretorio.
Tre
dei quattro lati sono chiusi da edifici: il palazzo
Pretorio, sede del comune costruito nel XIV
secolo e ristrutturato nel XIX
secolo; la chiesa
di Santa Caterina d'Alessandria edificata alla fine del XVI
secolo; due palazzi baronali: palazzo
Bonocore e palazzo
Bordonaro separati da una scalinata sul Cassaro.
Sul quarto lato la piazza scende con una scalinata su via
Maqueda dirimpetto al prospetto sinistro della chiesa
di San Giuseppe dei Teatini.
La fontana
Pretoria fu realizzata nel 1554 da Francesco
Camilliani a Firenze, ma nel 1581 venne trasferita in piazza
Pretoria a Palermo.
La
fontana fu realizzata per il giardino di don Luigi Álvarez de Toledo y
Osorio a Firenze, su un terreno ottenuto dalle suore del convento
di San Domenico al Maglio nel 1551 dopo molte pressioni. Su
questo terreno in seguito sarebbe stato costruito, a partire dal 1584, il palazzo
di San Clemente ancora oggi esistente.
La
realizzazione dell'insolito giardino, privo di un palazzo o di un edificio
di rilievo, e della monumentale fontana furono commissionate da Pedro
Álvarez allo scultore fiorentino Francesco Camilliani, allievo di Baccio
Bandinelli, che vi lavorò a partire dal 1554. La fontana comprendeva 48
statue e aveva dimensioni inusuali, non essendo destinata ad uno spazio
pubblico, ed era fronteggiata da una lunga pergola formata da 90 colonne di
legno messe in opera sotto la sorveglianza di Bartolomeo Ammannati.
Spinto
dai debiti ed in procinto di spostarsi a Napoli, don Luigi, grazie al
fratello don García Álvarez, riuscì nel 1573 a vendere la
fontana alla città di Palermo. Don Garçia, che era stato viceré
di Sicilia, era in buoni rapporti con il Senato palermitano, che decise
di acquistare la fontana e di collocarla nella piazza su cui prospetta il Palazzo
Pretorio. Luis
di Toledo, García Álvarez ed Eleonora di Toledo sono entrambi
figli di Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga, viceré di Napoli. Eleonora fu
la prima moglie di Cosimo I de' Medici.
La
fontana giunse a Palermo il 26 maggio 1574 smontata in 644 pezzi
dei quali 112 imballati in 69 casse. Per far posto alla monumentale
realizzazione, concepita per un luogo aperto, furono demolite diverse
abitazioni. La fontana tuttavia non arrivò completa e alcune sculture si
erano rovinate durante il trasporto, mentre altre forse furono trattenute
dal proprietario. Tra queste sono da considerare probabilmente le due Divinità nel Museo
del Bargello a Firenze, e altre statue che vennero collocate nel
giardino privato di don Luigi a Napoli (che alla sua morte furono
portate nel giardino del Palazzo di Sotofermoso di Abadía nella
provincia di Cáceres, di proprietà della famiglia Toledo).
A
Palermo furono quindi necessari alcuni adattamenti nella ricomposizione dei
pezzi e ne vennero aggiunti altri.
La
cura della ricomposizione e dell'adattamento della fontana fu affidata nel 1574 a Camillo
Camilliani, figlio di Francesco, che ultimò i suoi interventi nel 1581, con
l'aiuto di Michelangelo Naccherino.
Per
tutto il XVIII secolo e parte del XIX secolo fu
considerata una sorta di rappresentazione della corrotta municipalità
cittadina, che vide in quelle immagini il riflesso e i personaggi
discutibili del tempo. I palermitani soprannominarono la piazza, anche per
la nudità delle statue, "piazza della Vergogna".
Nel
novembre del 1998 fu intrapresa un'opera di restauro, che durò
fino al novembre del 2003. A dicembre dello stesso anno la fontana
è stata riaperta e successivamente è stata riattivata la circolazione
dell'acqua.
La
fontana ruota attorno ad un bacino centrale circondato da quattro ponti di
scalinate e da un recinto di balaustre, l'elevazione piramidale è
costituita da tre vasche coassiali da cui prende l'avvio il gioco d'acqua,
elemento versato dalla sommità da un Bacco, nella rimodulazione
palermitana identificato col Genio di Palermo.
Il
primo ordine dietro la cancellata è delimitato esternamente da una
gradinata circolare e dalla balaustra interrotta da quattro varchi
corrispondenti alle quattro rampe di scale balaustrate formate da nove
gradini ciascuna, rampe disposte su assi ortogonali tra loro.
I
varchi d'accesso esterni e le balaustre, a inizio e fine rampe, presentano
coppie di personaggi mitologici o figure allegoriche collocate su
piedistalli:

Una
prima corona circolare presenta un'ampia pavimentazione pedonale,
la seconda corona interna costituisce la vasca circolare di raccolta delle
acque a sua volta scavalcata ortogonalmente dalle quattro rampe di scale
conducenti al secondo livello. La teoria di statue intermedie poste
all'accesso delle rampe presenta sul piedistallo un'urna per la raccolta
delle acque.
Ciascuno
dei quattro settori ospita in posizione intermedia, ovvero nello spazio
compreso fra rampe di scale, una vasca ornata da gruppi scultorei
raffiguranti allegorie di fiumi. Ogni gruppo è costituito da una colossale
statua distesa su rupe, quali immaginifica sorgente, attorniata
rispettivamente da un tritone e una nereide. Le fonti
classiche fanno riferimento al padre di tutti i fiumi, il corso d'acqua più
conosciuto sin dall'antichità, il Nilo, ai suoi due affluenti e
l'Ippocrene, fiume della mitologia greca. Come consuetudine, nella
trasposizione palermitana, nella rinominazione operata da Antonio
Veneziano, i quattro gruppi assumono il nome dei maggiori corsi d'acqua
cittadini. Nel particolare contesto storico detti corsi ricoprono rilevante
importanza in quanto i letti non interrati e le loro foci costituiscono
ancora gran parte degli approdi naturali del vasto porto di Palermo,
pertanto il monumento mira ad esaltare, celebrare e magnificare attraverso
il mito l'elemento primordiale e le attività ad esso connesse.
Nella
dislocazione originale le scarne fonti documentali fiorentine fanno
riferimento al fiume Arno e al suo affluente il Mugnone,
rappresentati rispettivamente dalle due divinità barbute, e ancora
l'Affrico o il Tevere e forse il Mensola. Tra la
commissione di don Pedro di Toledo, realizzazione, installazione, vendita,
trasferimento, danneggiamento e rimodulazione resta il dubbio su quanti e
quali manufatti siano effettivamente pervenuti nella nuova sede. Opinioni
contrastanti investigano circa il primitivo numero di allegorie, di certo il
pingue e grottesco uomo maturo è un'aggiunta postuma, integrazione
verosimilmente realizzata per sopperire e ovviare ai numerosi guasti causati
dalla traslazione nonché per conferire armoniosa simmetria all'aggregato,
così come le nereidi, i tritoni e le erme del cerchio esterno,
con altre aggiunte dal carattere caricaturale al limite del goffo e bizzarro
sono tutte attribuite, molte di esse autografe, allo stile gagliardo e
scanzonato di Michelangelo Naccherino.

Nelle
sei nicchie ricavate nella parete esterna di ciascun settore circolare del
secondo ordine sono collocate altrettante teste d'animali o di mostri
mitologici, per un totale di 24 figure, ognuna delle quali versa - dalla
bocca o dalle narici - getti d'acqua nella vasca ad anello. Altrii 5 getti
dipartono dalle colonnine della balaustrata superiore per un totale di 20
zampilli aggiuntivi.
56
canali alimentano altrettanti zampilli: 24 getti dipartono dalle maschere
d'animali, 20 dalle colonnine delle balaustre del secondo livello, 8 nelle
vasche esterno rampe, 4 nelle vasche dei fiumi. Il computo non tiene
conto del getto sommitale presso il Genio di Palermo.
20
urne: 4 conche coassiali e peschiera circolare suddivisa in quattro sezioni,
8 conche alla base delle divinità esterno rampe, 4 vasche fiumi.
37
statue: (3 livelli x 8 statue) 24 divinità, 12 elementi compongono i 4
gruppi dei fiumi, 1 Genio di Palermo collocato in cima.
24
teste d'animali e mostri mitologici poste sulla parete circolare
dell'elevazione centrale.
Nel 1737 fu
recintata con una cancellata
Tra
i monumenti d'età medioevale, tardo-rinascimentali e barocchi del centro
storico di Palermo, la fontana, che rende il Piano Pretore un
elemento urbanistico sorprendente, è uno dei più spettacolari della città.

Il Palazzo
Pretorio, noto anche come Palazzo
delle Aquile (già denominato Palazzo
Senatorio o Palazzo
di Città), si trova in piazza
Pretoria. È la sede di rappresentanza del Comune di
Palermo.
In epoca
aragonese il titolo di pretore equivaleva a quello di bajulo.
Nel 1322 il
sovrano Federico III riconosce
la necessità di erigere una sede idonea destinata alle assemblee cittadine,
esigenza supplita con riunioni in luoghi di culto (Chiesa
di San Francesco d'Assisi).
Sorto
nell'attuale sede nel XIV
secolo secondo alcune fonti ad opera di Federico
II d'Aragona, intorno alla fine del Quattrocento venne
interamente ricostruito per iniziativa del pretore Pietro Speciale, signore
di Alcamo e di Calatafimi, sotto la direzione dei lavori di Giacomo
Benfante, secondo la tesi di Giovanni
Meli i lavori iniziarono nel 1470 e si conclusero nel 1478.
Le
trasformazioni e i rifacimenti che si susseguirono nel corso del Cinquecento e
del Seicento avevano
trasformato l'edificio in una vera e propria stratificazione di stili
architettonici. In origine il portale principale
si affacciava sul piano di San Cataldo inserito nel prospetto rivolto a
meridione descritto come un loggiato delimitato da torri laterali, manufatto
ornato dalle statue dei due Litiganti ignudi, copie romane di
atleti greci, una attualmente è collocata nella Sala
Rossa.
Durante i
lavori di ampliamento fu rifatto l'attuale prospetto principale nel 1553,
perfezionato nel 1597, manufatto volto a celebrare la riunificazione di
tutti gli uffici civici, fino a quel momento sparsi sull'intero territorio
cittadino. L'utilizzo del prospetto a settentrione come ingresso principale
avviene verosimilmente in concomitanza del processo di risistemazione del Piano
Pretorio, del prolungamento del Cassaro e dell'installazione
della celebre fontana.
La nuova disposizione del sito con le opere d'arte installate costituivano
la degna cornice per la rigenerata struttura, sintesi della potenza e dello
splendore del regno, tutti elementi caratterizzati da competizione in ambito
artistico fra capitali del panorama europeo, ambizione verso il bello e
grandioso non scevro da propensione ad una spiccata prodigalità.
Nuovamente
ristrutturato da Mariano
Smiriglio nel 1615 - 1617. Nel 1661 sul cornicione fu collocata
la statua della patrona della città, Santa
Rosalia, opera di Carlo
D'Aprile.
Il Senato o Magistratura
Municipale Annonaria provvede all'amministrazione patrimoniale
della città. L'istituzione è presieduta da un capo col titolo di pretore e
sei senatori in carica per due anni. L'organo è eletto dal Consiglio
Civico, consesso formato da 110 cittadini aventi una rendita annua di 50 onze,
in carica per quattro anni. Il 15 agosto 1722 l'imperatore Carlo
VI d'Asburgo conferì ai suoi componenti la Grandia di
Spagna di prima classe e il titolo di Eccellenza. Il
consiglio è affiancato da sette nobili ufficiali: maestro notaio, maestro
razionale, tesoriere, cancelliere, marammiere, conservatore delle armi e un
archiviario.
Il 3 aprile
1746 il re Carlo III di
Borbone conferisce al Senato la Magistratura
Suprema, Generale, Unica ed Indipendente della Salute, organo
composto dal pretore con funzione di Presidente, sei senatori pro
tempore, l'arcivescovo di Palermo, un ecclesiastico, quattro ex-pretori,
due giureconsulti, quattro ex-senatori, tre medici, un cancelliere, tutti
componenti nominati a vita e reintegrati alla bisogna dal Senato e dalla
Deputazione.
L'intero
complesso monumentale subì un ampliamento dopo il terremoto
di Pollina del 5 marzo 1823.
Dopo la Presa
di Palermo del 1860 fu sede del governo
dittatoriale di Garibaldi e una targa ricorda l'evento. Nel 1875,
l'architetto Giuseppe Damiani
Almeyda lo reinterpretò in stile neorinascimentale,
rivestendolo all'esterno con un bugnato color ocra e lo definì Palazzo
delle Aquile.
Nel 1877 il
Piano Pretorio fu raccordato al livello della Via
Maqueda con un'elegante gradinata delimitata da due sfingi in
marmo di Billiemi, opera dello scultore Domenico
Costantino.
Dall'Unità
d'Italia, nella Sala della Lapidi si tengono le
riunioni del consiglio
comunale, nella Sala Gialla quelle della Giunta,
mentre quella del sindaco è detta Sala Rossa.
L'antico
orologio del palazzo, fermo dagli anni 1980, è stato rimesso in funzione
nel 2014.
L'edificio
ha forma rettangolare, con cortile centrale. Sul portale,
che dà su Piazza Pretoria,
campeggia l'aquila, simbolo
della città di Palermo.
I quattro
prospetti sono orientati secondo i punti cardinali, l'ingresso principale
volge a settentrione affacciato su piazza
Pretoria e la monumentale fontana
Pretoria.
Ripartito
in quattro ordini con tre livelli sovrastanti il pianterreno, esternamente
rivestito con pietre d'intaglio, al presente ricoperto da spesso intonaco
riproducente l'effetto bugnato,
presenta teorie di finestroni, eccezione la serie di balconi con balaustre e
colonnine in corrispondenza del piano nobile ubicato al secondo piano.
Sono
documentate le iscrizioni e i medaglioni marmorei raffiguranti Vittorio
Amedeo II di Savoia e la consorte Anna
Maria d'Orleans commemoranti l'incoronazione regia del 24
dicembre 1713, cornice disegnata da Paolo
Amato. La nomina di Carlo
III a rex utriusque Siciliae nel 1735, cornice
disegnata da Andrea Palma. Stemma
di Palermo sostenuto da un telamone del 1625, opera di Gregorio
Tedeschi. Numerose epigrafi, targhe, statue, riproduzioni di aquile ornano
e arricchiscono tutti i prospetti, quella in bassorilievo sotto il balcone
centrale è opera di Salvatore
Valenti.
Tra le
epigrafi quelle commemoranti le manifestazioni avvenute nella piazza, come
la visita di Giuseppe
Garibaldi e di Papa
Giovanni II.
Attraverso
l'atrio, gli immediati ambienti del Portico
coperto e lo Scalone
monumentale, il percorso storico - artistico - monumentale
dell'edificio contempla il piano nobile con:
la Sala
dei Bassorilievi, la Sala
dei Gonfaloni o degli Stemmi, la Sala
Rossa, la Sala Gialla,
la Sala delle Lapidi,
la Sala Garibaldi, la Sala
Montalbo, la Cappella
di Santa Rosalia.
In vari
ambienti sono riprodotti i campioni di pesi e misure utilizzati nelle varie
attività merceologiche, i grandi saloni del piano
nobile preposti alle assemblee - oggi destinati ad uffici di
rappresentanza del Comune -
sono ricoperti di iscrizioni e custodiscono preziosi reperti delle varie
epoche, opere d'arte e manifatture delle più rappresentative correnti
e scuole siciliane, della penisola, europee e una collezione di esotiche
porcellane cinesi.
Dalla
portineria si accede all'ambiente attraverso il portale barocco
del 1691 con colonne tortili disegnato da Paolo
Amato e realizzato da Giovan
Battista Marino, sulla destra è documentata la sede del Banco
Pubblico istituito il 21 febbraio 1553 al Garaffello e
qui trasferito nel 1617. A sinistra campeggiano i dipinti raffiguranti
il Santissimo Crocifisso opera di Giuseppe
d'Alvino detto il Sozzo del 1591 e Maria
Vergine attorniata da Santi realizzata da Giovanni
Paolo Fondulli.
La
copertura del porticato interno quattrocentesco con una cupola in metallo e
vetro ha permesso il recupero e l'utilizzo di una vasta area per stanze
interne e locali ad uso espositivo ove spiccano un gruppo marmoreo di età
imperiale raffigurante due sposi che si danno la mano destra -
monumento funerario proveniente dal cantonale di nord - est, la statua
del poeta palermitano Giovanni
Meli opera di Vincenzo
D'Amore del 1888, un'urna cineraria sormontata da Giano bifronte
con iscrizione apocrifa allegoria dell'alleanza tra Palermo e Roma, un
altorilievo in bronzo di Antonio
Ugo, una targa con ritratto dedicata a Dante
Alighieri fra le allegorie della Vittoria e
dell'Italia del
1921, cippo raffigurante la Trinacria accarezzata da Cerere sormontato
da aquila marmorea con l'acronimo SPQP.
Scalone
monumentale
- L'ambiente e manufatti sono stati ricostruiti nelle forme attuali
nel 1827 con i lavori di restauro in seguito al sisma del 1823. Accostato
alla parete sul pianerottolo d'accesso al maestoso scalone è collocato il Genio
di Palermo, nume tutelare della città, opera di Domenico
Gagini e di Gabriele
di Battista, caratterizzata dall'incisione della celebre iscrizione
volta a magnificare e celebrare gli stranieri trascurando e ignorando
l'operato dei suoi figli:
Ai lati due
putti o attendenti recanti scudi, uno con raffigurata l'Aquila simbolo
della città, l'altro con le armi di Giovanni
Ventimiglia, marchese di Geraci, principe di Castelbuono, presidente
del regno. Sovrastano le rampe le monumentali targhe regie documentate
all'esterno.
Sala
dei Bassorilievi -
Ambiente così chiamato per la presenza dell'opera marmorea opera di Valerio
Villareale raffigurante la Sicilia incoronata da Minerva e
Cerere del 1819.
Sala
rossa - Vano realizzato da Giuseppe
Damiani Almeyda, trae il nome dal colore acceso dei suoi arredi,
adibita a studio del sindaco. All'interno è collocata la statua
raffigurante un Efebo del
gruppo Litiganti ignudi, dal soffitto a scomparti pendono due
magnifici lampadari di Murano, preziosamente decorato nei suoi riquadri e
nei suoi sopraporte da leggiadre fanciulle, amorini, danzatori, figure
muliebri e dalle allegorie della Prosperità e
della Giustizia affrescati nel 1891 da Francesco
Padovani, e dall'allegoria della Pace affrescata
da Gustavo Mancinelli.
Sala
delle Lapidi - Già primitiva Sala
del Pubblico Consiglio o Sala
Maggiore. Salone deputato alle riunioni del Consiglio Comunale, così
denominato per via delle numerose iscrizioni marmoree poste alle pareti.
L'ambiente custodisce 50 targhe in marmo collocate nel 1875 dal gesuita e
storico dell'arte Gioacchino Di
Marzo, e un soffitto in legno dipinto del XIV
secolo le cui decorazioni sono state riprese dal pittore
fiorentino Tito Covoni.
Un lampadario in legno intagliato e il pavimento in marmo intarsiato
proveniente dall'Oratorio della
Pace
Nel
settembre 1760, il Senato Palermitano in questo
ambiente tenne la cerimonia inaugurale della Biblioteca
cittadina. L'istituzione ebbe la sua prima sede in una stanzetta del
Palazzo Pretorio, ma ben presto il gran numero di donazioni di manoscritti e
stampati rese lo spazio insufficiente e fu necessario affittare alcuni
locali del palazzo del duca di Castelluccio, fino al definitivo
trasferimento presso le strutture gesuitiche di Casa
Professa.
Sala
Gialla -
Già primitiva Sala del
Senato. Ambiente così denominato per via del colore oro del
broccato della tappezzeria, locale deputato alle riunioni della Giunta
Comunale. Presenta un monumentale camino plasmato in gesso da Vincenzo
Ragusa nel 1868, le decorazioni di Rocco
Lentini e Francesco Padovani, i ritratti raffiguranti Umberto
I e Margherita
di Savoia opere di Gustavo Mancinelli del 1884, quest'ultime
realizzate - insieme ad altre opere presenti nel palazzo e in città - in
occasione dell'Esposizione
Nazionale cittadina del 1891 - 1892. I reali presenziarono alla
cerimonia d'inaugurazione della manifestazione.
Sala
dei Gonfaloni o degli Stemmi -
La volta della sala presenta gli emblemi delle principali città
dell'isola dipinti da Salvatore
Gregorietti del 1922, lungo le pareti sono collocati scanni in
legno con leoni e pannelli dipinti con numerose aquile, simboli della città,
dello stesso autore.
Sala
Antinoo - L'ambiente ospitava uno
dei due Litiganti ignudi o Efebo o Antinoo oggi
custodito nella Sala Rossa,
i busti in marmo raffiguranti Francesco
Crispi e Mariano
Stabile, alle pareti dipinti opere di Michele
Catti, Lete, Ettore
De Maria Bergler, Francesco
Lojacono, Salvatore Lo
Forte, Rocco Lentini.
Accesso
alla piccola Cappella
Senatoria del 1663 in stile barocco.
Cappella
di Santa Rosalia -
Altrimenti nota come Cappella Senatoria. L'ambiente
custodisce nella nicchia sommitale della volta la statua raffigurante Santa
Rosalia ritratta su un'aquila opera dello scultore Cosmo
Sorgi, la statua di Sant'Agata raffigurata
con gli strumenti del martirio, due sculture raffiguranti San
Sebastiano e San
Rocco, sull'altare è custodito il dipinto dell'Immacolata
Concezione.
Sala
Garibaldi - Dal balcone l'eroe dei
due mondi parlò ai palermitani il 30 maggio 1860. Alle pareti lastre di
marmo recano incise stralci dei discorsi di Giuseppe
Garibaldi, custodisce un ritratto del condottiero opera di Salvatore
Lo Forte, dipinti di Francesco
Lojacono, Rocco
Lentini, un busto in bronzo di Mario
Rutelli raffigurante Francesco
Crispi del 1893. Vasi, arazzi e armi cesellate donate da Napoleone
Bonaparte all'ammiraglio Federico
Carlo Gravina.
Sala
Montalbo -
Nell'ambiente campeggia il bellissimo bassorilievo in bronzo di Benedetto
Civiletti raffigurante Federico III d'Aragona che pone
la prima pietra del Palazzo Pretorio del 1876, il dipinto ad olio
di Salvatore Marchesi raffigurante Interno
della chiesa di San Domenico, e sette busti marmorei di Sindaci,
scolpiti da Benedetto
Civiletti.
Al di
sotto del palazzo, e dell'antistante Piazza
Pretoria, si estende un rifugio antiaereo risalente alla seconda
guerra mondiale, e a cui si accede dall'attuale portineria.

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2018
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