Palermo

 

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Palazzo Arcivescovile
 
Il Palazzo Arcivescovile di Palermo è la sede dell'Arcivescovado ubicata in pieno centro cittadino a pochi metri dalla cattedrale e dal Palazzo dei Normanni.

L'edificio fu concepito sul finire della sesta decade del XV secolo in sostituzione del primitivo Vecchio Arcivescovado ubicato sul lato settentrionale della cattedrale. Infatti, l'antica struttura rimodulata in epoca normanna e dimora del promotore della ricostruzione del tempio palermitano, l'arcivescovo Gualtiero Offamilio, mostrava evidenti segni d'inadeguatezza e ricettività per via delle vetuste origini risalenti al 444.

L'arcivescovo Simone Beccadelli scelse come luogo di riedificazione la zona prospiciente il prospetto occidentale della cattedrale, su un'area adiacente il torrione medievale, manufatto successivamente inglobato nell'edificio. Nel 1460 è documentato il trasferimento della Corte Vescovile nella nuova sede del Palazzo Arcivescovile evento riportato nelle cronache di Tommaso Fazello.

Della costruzione si ammirano ancora oggi l'elegante trifora gotico-fiammeggiante e il portale gotico-catalano con influenze partenopee, ove è scolpito lo stemma del fondatore adorno delle armi della famiglia Beccadelli di Bologna.  

In epoca spagnola ogni vescovo si fece promotore di importanti lavori d'ingrandimento e abbellimento del sacro palazzo, opera iniziata col patrocinio dei balconi che costituiscono le teorie del prospetto orientale. Il balcone sovrastante il portale d'accesso fu finanziato dal vescovo Diego Haëdo nel 1592. Il cardinale Giannettino Doria provvide alla realizzazione dell'ala destra, mentre Pietro Martinez y Rubio realizzò l'ala sinistra e il raccordo con la torre campanaria. È documentata la Porta Canonica dirimpetto alla porta maggiore della cattedrale.

I lavori conferirono alla facciata l'espressione artistica prettamente più in voga nella Palermo dell'epoca: lo stile rinascimentale. Le pareti in conci squadrati presentano finestre e monofore dal caratteristico profilo superiore a petto d'oca nell'interrato, balconi con finestre sormontate da timpani ad arco o triangolari con stemmi centrali al piano nobile, tredici finestre omogenee sono allineate nel terzo ordine. Solo il balcone centrale presenta un timpano con volute ad arco spezzato e stemma intermedio su elaborato architrave.

Per converso, il prospetto sul Cassaro fu finanziato dall'arcivescovo Cesare Marullo che lo abbellì con il balcone in prossimità dell'angolo, manufatto commissionato a Vincenzo Gagini nel 1587, recante sculture raffiguranti le imprese e le armi della famiglia Marullo. Opera in seguito soggetta ai rifacimenti e restauri voluti rispettivamente dal cardinale Doria e Raffaele Mormile all'inizio del XIX secolo. L'intero prospetto meridionale incorpora il palazzo vescovile e il Seminario dei Chierici, presenta all'angolo dell'ex vicolo di San Crispino il balcone realizzato da Valerio Villareale commissionato dall'arcivescovo Ferdinando Maria Pignatelli.

Nel XVI secolo l'edificio fu ulteriormente ampliato verso Porta Nuova lungo la strada del Cassaro, per ospitare anche il seminario arcivescovile (oggi sede della Pontificia facoltà teologica di Sicilia "San Giovanni Evangelista"). Per costruire quest'ala del palazzo fu abbattuta la preesistente chiesa di Santa Barbara la Sottana, di cui rimane la statua marmorea del 1496 custodita nel Museo Diocesano. I vari corpi inglobati furono modificati per creare un'unica facciata prospicienti le odierne Villa Bonanno e piazza della Vittoria, aree che costituivano il primitivo Piano di Palazzo Reale.

Internamente fu realizzato lo scalone d'onore o primitiva Rampa Marullo del 1587, gli ambienti abbelliti con stucchi realizzati da Serafino Filangieri, all'aggregato furono aggiunte la scuderia e la fontana. Al piano nobile il grande salone di rappresentanza, denominato Sala della Trifora, comunicante con gli appartamenti meridionali con panorama sulla piazza del Real Palazzo e gli appartamenti orientali con vista sulla cattedrale.

Durante il XVII secolo furono effettuate delle modifiche per volontà del cardinale Giannettino Doria, alcuni ambienti furono avvicinati allo stile contemporaneo. In seguito l'interno subisce una rimodulazione nella conformazione delle stanze abbellite con la realizzazione di numerose pitture, in particolare gli affreschi del fiammingo Guglielmo Borremans eseguiti tra il 1733 e il 1734 per volere dell'arcivescovo Matteo Basile, culminanti con il ciclo delle Storie dell'infanzia di Cristo oggi rappresentate dalla Fuga in Egitto e dall'Adorazione dei Pastori. Altre pitture del romano Gaspare Fumagalli e seguaci, costituirono committenza dell'arcivescovo napoletano Serafino Filangieri, che nobilitano le volte e le pareti con splendide finte prospettive e le allegorie della Speranza e della Carità. Altre commissioni documentate furono realizzate da Pietro Martorana.

La selva di torri campanarie neogotiche sul torrione furono progettate dall'architetto Emanuele Palazzotto tra il 1826 e il 1835, intervento successivo ai danni arrecati da terremoto di Pollina del 5 marzo 1823 ed altri eventi sismici immediatamente precedenti.

Nel XIX secolo molti ambienti furono nuovamente modificati secondo il gusto del tempo pertanto le pitture barocche furono in parte eliminate e sostituite con nuove decorazioni come le tempere presenti sui soffitti del Salone Verde, Salone Giallo e Salone Azzurro, realizzate per conto dell'arcivescovo Giovanni Battista Naselli.  

Nel 1927 il settore antistante la cattedrale ospita il museo diocesano di Palermo e negli ultimi decenni all'interno del palazzo sono stati trasferiti gli uffici della curia e del vescovo cittadino.

Per disposizione del cardinale arcivescovo Salvatore Pappalardo, i saloni di rappresentanza su via Matteo Bonello sono stati destinati a nuova sede del Museo Diocesano in sostituzione di quelli dell'intero secondo piano fin dal 1927 occupati da questa istituzione.

Il balcone fu commissionato dal Marullo per celebrare le gesta e le armi di famiglia e fu ripetutamente rimaneggiato e restaurato. Vincenzo Gagini nella realizzazione del balcone consegna cinque ritratti scolpiti sulle facce inferiori delle mensole che reggono il piano di calpestio, raffigurando i componenti più rappresentativi della propria Famiglia. Tutti i rappresentanti maschi dei Gagini costituiscono a vario titolo le maestranze della Fabbrica della Cattedrale di Palermo.

Così Vincenzo consegna ai posteri e alla storia dell'arte le fisionomie dei propri cari, presumibilmente da sinistra verso destra, da occidente verso oriente e in ordine d'età il volto del padre Antonello, contraddistinto dal volto maturo incorniciato dalla folta capigliatura e la barba fluente molto somigliante all'incisione esistente, quello del fratellastro Antonino, dei fratelli Giacomo e Fazio, per concludere, il proprio autoritratto.

Un fermo immagine a tre dimensioni eseguito in età matura e, per cronologia delle fisionomie, collocabile intorno all'anno 1535, ove sono raffigurati il padre Antonello nella piena maturità artistica e ormai prossimo al termine della carriera, se stesso giovanissimo allievo di bottega e in mezzo naturalmente i fratelli nel pieno vigore fisico e artistico. Le raffigurazioni omaggiano il padre scomparso da mezzo secolo e il fratello Fazio mancato venti anni prima. Rilievi fra i pochissimi ritratti dei principali componenti del ramo siciliano della celebre scuola dei Gagini.

Sulla stessa facciata all'angolo opposto il balcone di Valerio Villareale ispirato al precedente e voluto dall'arcivescovo Ferdinando Maria Pignatelli nel 1840. Sulle facce inferiori delle mensole che reggono il piano di calpestio sono raffigurati Pietro NovelliIgnazio Francesco MarabittiGiuseppe Venanzio MarvugliaGiuseppe VelascoVincenzo Riolo.

Chiesa del Santissimo Salvatore

La chiesa del Santissimo Salvatore è un edificio di culto situato nel centro storico di Palermo. Il monumento si affaccia sulla strada del Cassaro (odierno Corso Vittorio Emanuele), nel mandamento Palazzo Reale o Albergaria.

Originariamente sorge come luogo di culto del monastero delle suore basiliane di rito greco voluto da Roberto il Guiscardo nel 1072. L'istituzione religiosa fu successivamente protetta e beneficiata da re Ruggero II di Sicilia.

Le cronache riportano la regina Costanza d'Altavilla, moglie di Enrico VI di Svevia e futura madre dell'imperatore Federico II, come educanda del monastero, monaca professa, infine badessa. La nobildonna è costretta per motivi dinastici e politici a lasciare i voti e convolare a nozze determinando l'unione delle casate regnanti Altavilla - HohenstaufenFederico II dopo il monastero di San Teodoro, il monastero di San Matteo al Cassaro, il monastero di Santa Maria di Loreto, associa al monastero del Santissimo Salvatore il monastero di Santa Maria dell'Itria detto «della Pinta».

Martino I di Sicilia fregia chiesa e monastero col titolo di "Regio" ponendo le strutture sotto il "Regio Patronato".

Nel 1528 l'antica chiesetta normanna è totalmente riedificata e ingrandita. Lo sviluppo è in tre navate, con tre cappelle per lato e abside fra due cappelle minori. Il prospetto è rivolto a oriente sull'attuale salita del Santissimo Salvatore.

Nel 1682 i cospicui lasciti e le rendite consentono la brama di possesso di un tempio ancor più sontuoso, nobilitato dall'ingresso diretto sul Cassaro, pertanto le monache decidono un ulteriore ingrandimento, affidandone il progetto a Paolo Amato. I lavori iniziano immediatamente, durante lo scavo delle fondazioni sono rinvenuti numerosi reperti archeologici, costituiti soprattutto da monete.

Coadiuvato dall'allievo capomastro Giacomo Amato, segue personalmente la realizzazione fino al 1685, anno in cui subentra il gesuita Angelo Italia. Questi, fedele al progetto originario, dirige la realizzazione delle due cappelle presso l'ingresso e della facciata, iniziata nel 1687. Nel 1689 ad Angelo Italia si avvicenda nuovamente Paolo Amato che realizza le due cappelle maggiori alle estremità dell'asse minore della chiesa, il cupolino sul presbiterio e nel 1694 la cupola centrale, la loggetta e le nicchie sulla facciata.

Nel 1704 la chiesa è consacrata, ma risulta mancante di gran parte della decorazione interna, eseguita lungo tutto l'arco del XVIII secolo. La smania di magnificenza determina la lentezza nella prosecuzione dei lavori: alla morte di Paolo Amato avvenuta nel 1714, la gran parte delle decorazioni risulta ancora incompiuta. Nel 1721 Giacomo Amato assieme a Gaetano Lazzara disegna l'altare maggiore della chiesa, andato in seguito distrutto. I gravi dissesti procurati dal «Terremoto di Terrasini» del 1726, costringono a progettare un intervento di consolidamento della cupola e delle altre strutture, come ha evidenziato l'inadeguatezza del terreno atto a sostenere un edificio di così imponente mole.

Nel 1763 sotto la direzione di Vincenzo Giovenco hanno inizio i lavori di costruzione del tiburio a loggiato che ingloba la cupola dall'esterno, opera destinata ad una duplice funzione: quella di sostenere la calotta e di preservarla dalle infiltrazioni pluviali che minacciano la decorazione pittorica, gli stucchi, gli intarsi marmorei. Nello stesso anno ha inizio la decorazione dell'interno da parte di Vito D'Anna, che realizza l'immensa Apoteosi di San Basilio, oggi molto frammentaria e deteriorata.

Nel 1782 sotto la guida di Andrea Giganti segue la realizzazione dei pavimenti marmorei della Cappella di San Basilio a sinistra e della Cappella di Santa Rosalia a destra. L'ultimo intervento di rilievo è la messa in opera del pavimento della grande aula centrale, realizzato nel 1856 sotto la direzione di Giuseppe Patricolo.

1943 1º marzo e 9 maggio 1943, Bombardamenti di Palermo. Un violento bombardamento aereo colpisce l'edificio e distrugge quasi totalmente l'interno. Non scampano tutte le decorazioni marmoree, a stucco e a fresco, comprese quelle della cupola. Restaurata con criteri scientifici, mostra ora chiaramente il contrasto tra l'originaria decorazione superstite e quella reintegrata, saggiamente lasciata in bianco.

1950 - 1969, Con i restauri l'altare principale, un tempo in asse con l'ingresso, è spostato sulla destra, dove oggi troneggia la grande pala della Gloria di Santa Rosalia proveniente dalla chiesa di Santa Rosalia distrutta per la costruzione della via Roma e concessa in deposito dal Museo Diocesano.

La chiesa è adibita ad Auditorium, ma non ha comunque perso la sua funzione di edificio religioso.

Dal 2013 la Chiesa è aperta ai visitatori grazie all'Associazione Amici dei Musei Siciliani, presieduta da Bernardo Tortorici Montaperto Principe di Raffadali.

Dal 2014, dopo alcuni lavori di messa in sicurezza, apre al pubblico anche la grande terrazza della cupola.

Tra il dicembre 2015 e il giugno 2016 l'Associazione Amici dei Musei Siciliani provvede alla ripulitura di tutti gli apparati marmorei e al ripristino della scalinata nel vestibolo di ingresso.

Il 22 ottobre 2016 la pala raffigurante Sant'Orsola e storie della sua vita, custodita in precedenza presso la Sala V del Museo Diocesano di Palermo, viene ricollocata nell'altare sud-est dopo un'assenza totale di 87 anni. Si tratta di una tavola delle dimensioni 270 x 143 cm, olio e tempera attribuita, a seguito degli studi della Soprintendenza dei Beni Culturali di Palermo, all'artista fiammingo Simone de Wobreck documentato a Palermo tra il 1558 e il 1587, autore di molti dipinti nel territorio palermitano tra cui altre quattro opere nella collezione del Diocesano.

Nei primi mesi del 2017 viene restaurato il grande affresco della parete destra del vestibolo raffigurante La predica di San Basilio opera di Vito d'Anna.

Nei primi mesi del 2018 viene restaurato anche il secondo grande affresco di Vito d'Anna posto sulla parete di sinistra del vestibolo e raffigurante Il miracolo di San Basilio.

Per i primi mesi del 2019 viene programmato il restauro dell'affresco della volta della Cappella di S. Rosalia, raffigurante Santa Rosalia in abiti basiliani.

L'aspetto attuale della costruzione, però, si discosta notevolmente da quello normanno, poiché le forme, già rimaneggiate nel Cinquecento, diventarono pienamente barocche con l'affidamento dell'incarico all'architetto Paolo Amato, il quale adottò il modello di una pianta centrale dodecagonale con cupola ellittica.

Coppie di paraste binate delimitano il vano centrale. Il vuoto sopra il semplice portale lascia supporre un prospetto lasciato incompiuto: le due nicchie tra colonne dovevano accogliere statue che non sono mai state collocate.  

La pianta concepita da Paolo Amato risulta dall'innesto di una croce greca su un vasto dodecagono irregolare inscritto in una ellisse. Un altro notevole impianto planimetrico ellittico: quello della chiesa di San Carlo dei Milanesi del 1691.

I due ordini di paraste sono divisi da una cornice continua che segue l'andamento della pianta che genera un "affaccio" o ballatoio che le monache potevano percorrere lungo tutto il perimetro dell'edificio, assistendo indisturbate alle funzioni. Lo sviluppo parietale è tripartito in un primo ordine d'altari, un secondo ordine di finestre e cantorie, il terzo da logge.

Ma ciò che colpisce maggiormente l'immaginazione è il fastoso interno, interamente decorato da marmi policromi, stucchi ed affreschi. A proposito di questi ultimi le fonti attribuiscono quelli del cupolino che chiude il cappellone maggiore a Filippo Tancredi del 1705 con l'Adorazione dell'Agnello Mistico e quelli che decorano il vestibolo d'ingresso e la volta (1765) al grande artista palermitano Vito D'Amma: La guarigione di un bimbo per intercessione di San Basilio e la Predica di San Basilio, le figure allegoriche della Fortezza, Prudenza, Teperanza e della Giustizia nel vestibolo, quelle della Fede e della Carità nei pennacchi.

La chiesa, seriamente colpita dai bombardamenti anglo-americani del 1943 che ne distrusse parte dell'apparato, intorno al 1959 fu restaurata e trasformata dall'architetto Franco Minissi in auditorium.

Piazza Villena (Quattro Canti)
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I Quattro Canti, o piazza Villena, o Ottagono del Sole, o Teatro del Sole, è il nome di una piazza ottagonale all'incrocio dei due principali assi viari di Palermo: la via Maqueda e il Cassaro, oggi Via Vittorio Emanuele.  

Il nome esatto della piazza è Piazza Villena (in omaggio al Viceré il cui nome completo era marchese don Juan Fernandez Pacheco de Villena y Ascalon), ma le fonti antiche la ricordano come Ottangolo o Teatro del Sole perché durante le ore del giorno almeno una delle quinte architettoniche è illuminata dal sole.

I Quattro Canti propriamente detti sono i quattro apparati decorativi che delimitano lo spazio dell'incrocio. Realizzati tra il 1609 e il 1620 e sormontati dagli stemmi (in marmo bianco) reale senatorio e viceregio, i quattro prospetti presentano un'articolazione su più livelli, con una decorazione basata sull'uso degli ordini architettonici e di inserimenti figurativi che, dal basso in alto, si susseguono secondo un principio di ascensione dal mondo della natura a quello del cielo. I quattro piani di facciata risultano così decorati: al piano inferiore, fontane che rappresentano i fiumi della città antica (OretoKemonia, Pannaria, Papireto); quindi, un ordine in stile dorico, contenente le allegorie dalle quattro stagioni (rappresentate da EoloVenereCerere e Bacco); l'ordine successivo, in stile ionico, ospita le statue di Carlo V, Filippo IIFilippo III e Filippo IV; infine, nell'ordine superiore, le quattro sante palermitane, AgataNinfaOliva e Cristina, patrone della città già prima dell'avvento di Santa Rosalia (1624) e di san Benedetto da San Fratello (1652).

Un antico detto che celebrava nei Quattro canti il centro virtuale di Palermo recitava "feste e forche a Piazza Villenalan" (pubbliche feste ed esecuzioni capitali).

Assunto nel 1606 il governo della città e dell'isola, il viceré, due anni dopo, affidò all'architetto fiorentino Giulio Lasso la sistemazione urbanistica della piazza, alla quale si lavorò per molti anni. Il progetto era ispirato al crocevia delle Quattro Fontane di Roma, disegnato dagli urbanisti di Papa Sisto V in forme molto più dimesse della successiva versione palermitana.

Nel 1609 doveva già essere terminata la parte strutturale dei due cantoni poi detti di Santa Ninfa e di Sant'Agata, che portano gli stemmi del viceré Vigliena. Nel 1612 era completo il cantone di Santa Cristina, aderente a San Giuseppe, promosso dal viceré Ossuna.

Nel 1615 Giulio Lasso è già morto e dal 1617 è direttore dei lavori Mariano Smiriglio, ingegnere del Senato e già sorvegliante del cantiere durante la direzione del Lasso.

Con Mariano Smiriglio si assiste ad un cambiamento del programma decorativo iniziale: nell'ordine superiore, che in origine avrebbe dovuto ospitare le statue dei sovrani, vengono sistemate le statue delle quattro sante vergini palermitane: Santa Cristina, Santa Ninfa,  Sant'Oliva e Sant'Agata. Dei quattro simulacri regali, previsti originariamente in bronzo, da Scipione Li Volsi, vengono eseguiti soltanto quelli di Carlo V d'Asburgo, poi collocato in piazza dei Bologna e quello di Filippo IV, un tempo posto sopra una macchina marmorea nel piano del Palazzo dei Normanni e poi distrutto. Le attuali statue in marmo presenti ai Quattro Canti furono scolpite fra il 1661 ed il 1663 da Carlo D'Aprile.

Il 2 agosto 1630 vennero appaltati i lavori per la fabbrica delle quattro fontane con le statue delle Quattro Stagioni, anch'esse previste in bronzo e poi realizzate in marmo: la Primavera e l'Estate furono realizzate da Gregorio Tedeschi; l'Autunno e l'Inverno da Nunzio La Mattina. Le attuali conche inferiori delle quattro fontane sono ottocentesche e furono realizzate per compensare il dislivello creatosi nel piano di calpestio della piazza che era stato ribassato a causa del livellamento della via. Il "Quinto Canto" che si vede su via Vittorio Emanuele ed è parte della facciata destra della Chiesa di San Giuseppe dei Teatini fu decorato nel 1844.  

L'architettura della piazza è molto semplice, rappresenta un perfetto ottagono formato da quattro edifici alternati da sbocchi viari.

Direzione Sud Ovest Nord Est
 
Quartiere Alberghiera Seralcadio / Caio La Loggia Kalsa
Mandamento Palazzo Reale Monte di Pietà Castellammare Tribunali
Stagione Primavera

Estate

Autunno Inverno
Sovrano Carlo V Filippo II Filippo III Filippo IV
Patrona Cristina Ninfa Oliva Agata

Chiesa di San Giuseppe dei Teatini

Il monumento occupa l'area delimitata a nord dalla strada del Cassaro (odierno Corso Vittorio Emanuele), a oriente delimitata da Via Maqueda si affaccia su piazza Pretoria, a mezzogiorno è divisa da Vicolo D'Alessi dalla Casa dei Teatini, dal Convento dei Teatini e dall'Oratorio di San Giuseppe dei Falegnami. Costituisce il vertice del mandamento Palazzo Reale o Albergaria, ingloba la facciata sud di Piazza Vigliena o dei Quattro Canti.

1398, È documentata la chiesa di Sant'Elia a "Porta Giudaica".

1557 - 1565, La corporazione dei falegnami per ordine del Viceré di Sicilia Juan de la Cerda 4º duca di Medinaceli, è costretta ad abbandonare la primitiva chiesa di San Giuseppe contigua al monastero di Montevergine. I falegnami ottengono la chiesa di Sant'Elia a "Porta Giudaica" con l'obbligo di non mutare il titolo.

XVI secolo, Muta il nome del luogo di culto divenuto chiesa di San Giuseppe dei Falegnami.

I Padri Teatini giungono da Napoli per stabilirsi a Palermo intorno al 1600 su invito del Senato e dalla nobiltà palermitana. La loro prima sede è il convento adiacente la chiesa di Santa Maria della Catena.

1602, I Teatini ottengono la chiesa di Santa Maria della Catena ma, non godono dei privilegi e delle rendite ad essa assegnati.

1602, I Teatini ottengono la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami dal ceto omonimo con l'impegno di costruire una cappella nella nuova chiesa, l'Oratorio di San Giuseppe dei Falegnami e festeggiare le ricorrenze annuali di San Giuseppe e di Sant'Elia.

1603, Insediamento da parte dei Teatini nella chiesa di San Giuseppe dei Falegnami.

La costruzione dell'edificio e delle pertinenze s'inserisce nel grande progetto urbanistico della città che prevede la realizzazione della principale arteria cittadina costituita dalla via Maqueda, in onore del Viceré Bernardino de Cárdenas y Portugal Duca di Maqueda, che interseca perpendicolarmente il primitivo Cassaro. Si assiste quindi alla demolizione di antiche strutture per l'edificazione di manufatti che costituiscono la quasi totalità dei tesori artistici che compongono attualmente il patrimonio storico e artistico di Palermo. L'architetto non fu Giacomo o Jacopo Besio, savonese dell'Ordine Chierici Regolari Teatini e conosciuto a Genova come squisito scalpellino nella chiesa di San Siro. Non diventò mai sacerdote, fu autore della sola sacrestia della chiesa palermitana e direttore dei lavori di costruzione fino al compimento.

1612, Avvio lavori dell'attuale chiesa, arcivescovo Giannettino Doria. Architetto Pietro Caracciolo, Giacomo Besio autore della sacrestia.

1632, Inaugurazione presenti l'arcivescovo Giannettino Doria e il Viceré Fernando Afán de Ribera y Enríquez duca d'Alcalà.

1645, Perfezionamento di Piero Faxardo Zuniga y Requesens marchese de Los Veles e dei Padri dell'Ordine dei Teatini.

1677, Consacrazione solenne da parte del vescovo Giuseppe Cicala.

XX secolo, Restauro: la riscoperta e la rivalorizzazione di molteplici tesori d'arte.

1943 1º marzo e 9 maggio 1943, Bombardamenti di Palermo.

1950 - 1954, Gli affreschi della volta della navata centrale sono gravemente danneggiati durante le incursioni aeree e interamente rifatti insieme alla decorazione plastica. La volta centrale è totalmente ricostruita grazie all'apporto fotografico, così pure il pavimento.

2011, Restauro promosso dal Ministero dell'Interno per la minaccia concreta di infiltrazioni dal tetto per la prevenzione di conseguenti danni alla volta e alle pareti.  

Il prospetto su Corso Vittorio Emanuele è costituito dall'ingresso principale e da due raccordi arcuati laterali: sulla sinistra è la facciata del cantone sud di Piazza Vigliena, per simmetria sulla piazzetta San Giuseppe è realizzato il «quinto canto».

Il «quinto canto» sulla destra è in stile barocco speculare all'altro dei Quattro Canti. Nel secondo ordine contornata da colonne ioniche, da ghirlande di fiori e teste alate di angeli, all'interno della nicchia è la statua di San Gaetano da Thiene. Al centro nel terzo ordine è collocata la statua di Sant'Elia.

1844, L'ingresso principale di recente realizzazione è in stile classico. Due paraste laterali con capitelli corinzi sorreggono un architrave sormontato da timpano triangolare. Il portone è delimitato da due coppie di colonne ioniche con capitelli corinzi disposte in prospettiva convessa sormontate da architrave dalle ricche modanature con arco centrale. Nel primo ordine, in una nicchia incassata tra lesene e architrave è collocata la statua di San Giuseppe opera di Baldassarre Pampillonia del 1738. Ai piedi della nicchia è posto lo stemma della corporazione dei Falegnami raffigurante l'ascia incoronata.

Controfacciata - Sulla parete interna speculari e simmetriche sono incastonate ai lati del portale due "Acquasantiere sorrette da Angeli" opere di Ignazio Marabitti a sinistra e dell'allievo Federico Siracusa a destra. Su un piedistallo addossata alla parete destra la Madonna dell'Oreto, statua marmorea, opera di Domenico Gagini fine XV secolo. Il tutto è sormontato dalla cantoria e tre gruppi di canne di un monumentale organo.  

Prospetto laterale su Via Maqueda è caratterizzato da altissime lesene sormontate da contrafforti con archi rampanti. Sul tetto ogni campata inscrive una cupola con lanternino e un doppio livello di balaustre a colonnine. Il portale barocco reca inciso su un capitello l'anno 1632. Finestroni con grate per l'illuminazione della chiesa ipogea.  

Chiude il prospetto orientale il caratteristico campanile semplice e scenografico. Incompleto per via del ridotto sviluppo in altezza, consta di una cella campanaria aperta con sviluppo ottagonale, che appena supera il secondo ordine, e di una copertura lignea. Ogni pilastro al vertice della struttura è accompagnato da una colonna tortile in pietra viva con ricco basamento arricchito da fregi, putti e conchiglie. Un festone di foglia d'acanto impreziosisce lo sviluppo elicoidale.

L'impianto dell'edificio è a croce latina alata, cupola con lanterna e cappelle nelle navate laterali. L'aula è suddivisa da colonne con capitelli corinzi sostenenti 12 archi, nei pennacchi sono presenti affreschi raffiguranti i 12 apostoli opere del palermitano Antonio Manno del 1799.

Sulla cornice della navata centrale poggia la volta a botte tutta ornata di grandi stucchi dorati di Paolo Corso su disegni di Giacomo Amato e di affreschi del messinese Filippo Tancredi del 1693 raffiguranti L'Apoteosi di San Gaetano da Thiene e dell'Ordine Teatino e il Ciclo di episodi della vita del santo. Il tetto, la volta centrale, gli affreschi sono totalmente ricostruiti, su scorta di fotografie, dopo gli ultimi eventi bellici.

Nei peducci della volta, le figure degli apostoli sono di Antonio Manno e Giuseppe Velasco. Del primo artista i Dottori della Chiesa nelle vele del Chiesa nelle vele del coro.

La cupola è opera di Giuseppe Mariani da Pistoia. L'esterno è interamente maiolicato, il tamburo e costituito da colonne binate alternate a larghi finestroni. L'affresco interno cupola opera di Guglielmo Borremans raffigura La caduta degli angeli ribelli del 1724. Nei pennacchi sono riconoscibili attraverso i simboli iconografici gli evangelisti attribuiti a Antonio Manno o Vincenzo Manno.

Le 34 colonne sono prevalentemente tratte da un unico blocco di marmo grigio proveniente dalle cave del palermitano Monte Billiemi. Durante il trasporto si verificò la rottura di una delle enormi colonne monolitiche, è per questo motivo che la «via Colonna Rotta» assunse questo nome. I capitelli sono in stile corinzio e le basi sono di marmo bianco.  

All'interno è presente una cripta con una falda acquifera, la cripta non è accessibile, ma è diffusa la credenza che la sua acqua sia miracolosa.

Andrea Carrera pittore trapanese è sepolto nella chiesa. 

Gli affreschi  della volta sono opera di un pittore messinese, Filippo Tancredi.

Piazza Pretoria

Piazza Pretoria detta anche piazza della Vergogna si trova sul limite del quartiere della Kalsa, in prossimità dell'angolo del Cassaro con via Maqueda, a pochi metri dai Quattro Canti, centro esatto della città storica di Palermo.

Nel 1573 il senato palermitano acquistò la fontana con l'intenzione di collocarla nella piazza.

L'elaborato manufatto in marmo di Carrara era inizialmente destinato al palazzo di San Clemente di Firenze, opera commissionata da Luigi, fratello di García Álvarez futuro viceré di Sicilia e della granduchessa di Toscana Eleonora di Toledo, entrambi figli di Pedro Álvarez de Toledo y Zúñigaviceré di Napoli. Eleonora fu la prima moglie di Cosimo I de' Medici.

Per collocare la monumentale realizzazione concepita per un luogo aperto, furono demolite diverse abitazioni. La fontana fu riadattata al luogo con l'aggiunta di nuove parti. Nel 1581 furono ultimati i lavori di sistemazione della fontana sulla piazza diretti da Camillo Camilliani e coadiuvato da Michelangelo Naccherino.

Dal 1861 a seguito dell'invasione sabauda piemontese, la fontana fu considerata la rappresentazione della municipalità corrotta e i palermitani soprannominarono la piazza, anche per le nudità delle statue, piazza della Vergogna.

Al centro della piazza è collocata la fontana Pretoria opera di Francesco Camilliani realizzata nel 1554 che occupandone gran parte dell'estensione caratterizza fortemente il Piano Pretorio.

Tre dei quattro lati sono chiusi da edifici: il palazzo Pretorio, sede del comune costruito nel XIV secolo e ristrutturato nel XIX secolo; la chiesa di Santa Caterina d'Alessandria edificata alla fine del XVI secolo; due palazzi baronali: palazzo Bonocore e palazzo Bordonaro separati da una scalinata sul Cassaro. Sul quarto lato la piazza scende con una scalinata su via Maqueda dirimpetto al prospetto sinistro della chiesa di San Giuseppe dei Teatini.    

La fontana Pretoria fu realizzata nel 1554 da Francesco Camilliani a Firenze, ma nel 1581 venne trasferita in piazza Pretoria a Palermo.

La fontana fu realizzata per il giardino di don Luigi Álvarez de Toledo y Osorio a Firenze, su un terreno ottenuto dalle suore del convento di San Domenico al Maglio nel 1551 dopo molte pressioni. Su questo terreno in seguito sarebbe stato costruito, a partire dal 1584, il palazzo di San Clemente ancora oggi esistente.

La realizzazione dell'insolito giardino, privo di un palazzo o di un edificio di rilievo, e della monumentale fontana furono commissionate da Pedro Álvarez allo scultore fiorentino Francesco Camilliani, allievo di Baccio Bandinelli, che vi lavorò a partire dal 1554. La fontana comprendeva 48 statue e aveva dimensioni inusuali, non essendo destinata ad uno spazio pubblico, ed era fronteggiata da una lunga pergola formata da 90 colonne di legno messe in opera sotto la sorveglianza di Bartolomeo Ammannati.  

Spinto dai debiti ed in procinto di spostarsi a Napoli, don Luigi, grazie al fratello don García Álvarez, riuscì nel 1573 a vendere la fontana alla città di Palermo. Don Garçia, che era stato viceré di Sicilia, era in buoni rapporti con il Senato palermitano, che decise di acquistare la fontana e di collocarla nella piazza su cui prospetta il Palazzo Pretorio. Luis di Toledo, García Álvarez ed Eleonora di Toledo sono entrambi figli di Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga, viceré di Napoli. Eleonora fu la prima moglie di Cosimo I de' Medici.

La fontana giunse a Palermo il 26 maggio 1574 smontata in 644 pezzi dei quali 112 imballati in 69 casse. Per far posto alla monumentale realizzazione, concepita per un luogo aperto, furono demolite diverse abitazioni. La fontana tuttavia non arrivò completa e alcune sculture si erano rovinate durante il trasporto, mentre altre forse furono trattenute dal proprietario. Tra queste sono da considerare probabilmente le due Divinità nel Museo del Bargello a Firenze, e altre statue che vennero collocate nel giardino privato di don Luigi a Napoli (che alla sua morte furono portate nel giardino del Palazzo di Sotofermoso di Abadía nella provincia di Cáceres, di proprietà della famiglia Toledo).

A Palermo furono quindi necessari alcuni adattamenti nella ricomposizione dei pezzi e ne vennero aggiunti altri.

La cura della ricomposizione e dell'adattamento della fontana fu affidata nel 1574 a Camillo Camilliani, figlio di Francesco, che ultimò i suoi interventi nel 1581, con l'aiuto di Michelangelo Naccherino.

Per tutto il XVIII secolo e parte del XIX secolo fu considerata una sorta di rappresentazione della corrotta municipalità cittadina, che vide in quelle immagini il riflesso e i personaggi discutibili del tempo. I palermitani soprannominarono la piazza, anche per la nudità delle statue, "piazza della Vergogna".

Nel novembre del 1998 fu intrapresa un'opera di restauro, che durò fino al novembre del 2003. A dicembre dello stesso anno la fontana è stata riaperta e successivamente è stata riattivata la circolazione dell'acqua.  

La fontana ruota attorno ad un bacino centrale circondato da quattro ponti di scalinate e da un recinto di balaustre, l'elevazione piramidale è costituita da tre vasche coassiali da cui prende l'avvio il gioco d'acqua, elemento versato dalla sommità da un Bacco, nella rimodulazione palermitana identificato col Genio di Palermo.

Il primo ordine dietro la cancellata è delimitato esternamente da una gradinata circolare e dalla balaustra interrotta da quattro varchi corrispondenti alle quattro rampe di scale balaustrate formate da nove gradini ciascuna, rampe disposte su assi ortogonali tra loro.

I varchi d'accesso esterni e le balaustre, a inizio e fine rampe, presentano coppie di personaggi mitologici o figure allegoriche collocate su piedistalli:

Una prima corona circolare presenta un'ampia pavimentazione pedonale, la seconda corona interna costituisce la vasca circolare di raccolta delle acque a sua volta scavalcata ortogonalmente dalle quattro rampe di scale conducenti al secondo livello. La teoria di statue intermedie poste all'accesso delle rampe presenta sul piedistallo un'urna per la raccolta delle acque.

Ciascuno dei quattro settori ospita in posizione intermedia, ovvero nello spazio compreso fra rampe di scale, una vasca ornata da gruppi scultorei raffiguranti allegorie di fiumi. Ogni gruppo è costituito da una colossale statua distesa su rupe, quali immaginifica sorgente, attorniata rispettivamente da un tritone e una nereide. Le fonti classiche fanno riferimento al padre di tutti i fiumi, il corso d'acqua più conosciuto sin dall'antichità, il Nilo, ai suoi due affluenti e l'Ippocrene, fiume della mitologia greca. Come consuetudine, nella trasposizione palermitana, nella rinominazione operata da Antonio Veneziano, i quattro gruppi assumono il nome dei maggiori corsi d'acqua cittadini. Nel particolare contesto storico detti corsi ricoprono rilevante importanza in quanto i letti non interrati e le loro foci costituiscono ancora gran parte degli approdi naturali del vasto porto di Palermo, pertanto il monumento mira ad esaltare, celebrare e magnificare attraverso il mito l'elemento primordiale e le attività ad esso connesse.

Nella dislocazione originale le scarne fonti documentali fiorentine fanno riferimento al fiume Arno e al suo affluente il Mugnone, rappresentati rispettivamente dalle due divinità barbute, e ancora l'Affrico o il Tevere e forse il Mensola. Tra la commissione di don Pedro di Toledo, realizzazione, installazione, vendita, trasferimento, danneggiamento e rimodulazione resta il dubbio su quanti e quali manufatti siano effettivamente pervenuti nella nuova sede. Opinioni contrastanti investigano circa il primitivo numero di allegorie, di certo il pingue e grottesco uomo maturo è un'aggiunta postuma, integrazione verosimilmente realizzata per sopperire e ovviare ai numerosi guasti causati dalla traslazione nonché per conferire armoniosa simmetria all'aggregato, così come le nereidi, i tritoni e le erme del cerchio esterno, con altre aggiunte dal carattere caricaturale al limite del goffo e bizzarro sono tutte attribuite, molte di esse autografe, allo stile gagliardo e scanzonato di Michelangelo Naccherino.

Nelle sei nicchie ricavate nella parete esterna di ciascun settore circolare del secondo ordine sono collocate altrettante teste d'animali o di mostri mitologici, per un totale di 24 figure, ognuna delle quali versa - dalla bocca o dalle narici - getti d'acqua nella vasca ad anello. Altrii 5 getti dipartono dalle colonnine della balaustrata superiore per un totale di 20 zampilli aggiuntivi.

56 canali alimentano altrettanti zampilli: 24 getti dipartono dalle maschere d'animali, 20 dalle colonnine delle balaustre del secondo livello, 8 nelle vasche esterno rampe, 4 nelle vasche dei fiumi. Il computo non tiene conto del getto sommitale presso il Genio di Palermo.

20 urne: 4 conche coassiali e peschiera circolare suddivisa in quattro sezioni, 8 conche alla base delle divinità esterno rampe, 4 vasche fiumi.

37 statue: (3 livelli x 8 statue) 24 divinità, 12 elementi compongono i 4 gruppi dei fiumi, 1 Genio di Palermo collocato in cima.

24 teste d'animali e mostri mitologici poste sulla parete circolare dell'elevazione centrale.

Nel 1737 fu recintata con una cancellata

Tra i monumenti d'età medioevale, tardo-rinascimentali e barocchi del centro storico di Palermo, la fontana, che rende il Piano Pretore un elemento urbanistico sorprendente, è uno dei più spettacolari della città.

Il Palazzo Pretorio, noto anche come Palazzo delle Aquile (già denominato Palazzo Senatorio o Palazzo di Città), si trova in piazza Pretoria. È la sede di rappresentanza del Comune di Palermo.  

In epoca aragonese il titolo di pretore equivaleva a quello di bajulo. Nel 1322 il sovrano Federico III riconosce la necessità di erigere una sede idonea destinata alle assemblee cittadine, esigenza supplita con riunioni in luoghi di culto (Chiesa di San Francesco d'Assisi).

Sorto nell'attuale sede nel XIV secolo secondo alcune fonti ad opera di Federico II d'Aragona, intorno alla fine del Quattrocento venne interamente ricostruito per iniziativa del pretore Pietro Speciale, signore di Alcamo e di Calatafimi, sotto la direzione dei lavori di Giacomo Benfante, secondo la tesi di Giovanni Meli i lavori iniziarono nel 1470 e si conclusero nel 1478.

Le trasformazioni e i rifacimenti che si susseguirono nel corso del Cinquecento e del Seicento avevano trasformato l'edificio in una vera e propria stratificazione di stili architettonici. In origine il portale principale si affacciava sul piano di San Cataldo inserito nel prospetto rivolto a meridione descritto come un loggiato delimitato da torri laterali, manufatto ornato dalle statue dei due Litiganti ignudi, copie romane di atleti greci, una attualmente è collocata nella Sala Rossa.

Durante i lavori di ampliamento fu rifatto l'attuale prospetto principale nel 1553, perfezionato nel 1597, manufatto volto a celebrare la riunificazione di tutti gli uffici civici, fino a quel momento sparsi sull'intero territorio cittadino. L'utilizzo del prospetto a settentrione come ingresso principale avviene verosimilmente in concomitanza del processo di risistemazione del Piano Pretorio, del prolungamento del Cassaro e dell'installazione della celebre fontana. La nuova disposizione del sito con le opere d'arte installate costituivano la degna cornice per la rigenerata struttura, sintesi della potenza e dello splendore del regno, tutti elementi caratterizzati da competizione in ambito artistico fra capitali del panorama europeo, ambizione verso il bello e grandioso non scevro da propensione ad una spiccata prodigalità.

Nuovamente ristrutturato da Mariano Smiriglio nel 1615 - 1617. Nel 1661 sul cornicione fu collocata la statua della patrona della città, Santa Rosalia, opera di Carlo D'Aprile.

Il Senato o Magistratura Municipale Annonaria provvede all'amministrazione patrimoniale della città. L'istituzione è presieduta da un capo col titolo di pretore e sei senatori in carica per due anni. L'organo è eletto dal Consiglio Civico, consesso formato da 110 cittadini aventi una rendita annua di 50 onze, in carica per quattro anni. Il 15 agosto 1722 l'imperatore Carlo VI d'Asburgo conferì ai suoi componenti la Grandia di Spagna di prima classe e il titolo di Eccellenza. Il consiglio è affiancato da sette nobili ufficiali: maestro notaio, maestro razionale, tesoriere, cancelliere, marammiere, conservatore delle armi e un archiviario.

Il 3 aprile 1746 il re Carlo III di Borbone conferisce al Senato la Magistratura Suprema, Generale, Unica ed Indipendente della Salute, organo composto dal pretore con funzione di Presidente, sei senatori pro tempore, l'arcivescovo di Palermo, un ecclesiastico, quattro ex-pretori, due giureconsulti, quattro ex-senatori, tre medici, un cancelliere, tutti componenti nominati a vita e reintegrati alla bisogna dal Senato e dalla Deputazione.

L'intero complesso monumentale subì un ampliamento dopo il terremoto di Pollina del 5 marzo 1823.

Dopo la Presa di Palermo del 1860 fu sede del governo dittatoriale di Garibaldi e una targa ricorda l'evento. Nel 1875, l'architetto Giuseppe Damiani Almeyda lo reinterpretò in stile neorinascimentale, rivestendolo all'esterno con un bugnato color ocra e lo definì Palazzo delle Aquile.

Nel 1877 il Piano Pretorio fu raccordato al livello della Via Maqueda con un'elegante gradinata delimitata da due sfingi in marmo di Billiemi, opera dello scultore Domenico Costantino.

Dall'Unità d'Italia, nella Sala della Lapidi si tengono le riunioni del consiglio comunale, nella Sala Gialla quelle della Giunta, mentre quella del sindaco è detta Sala Rossa.

L'antico orologio del palazzo, fermo dagli anni 1980, è stato rimesso in funzione nel 2014.

L'edificio ha forma rettangolare, con cortile centrale. Sul portale, che dà su Piazza Pretoria, campeggia l'aquila, simbolo della città di Palermo.

I quattro prospetti sono orientati secondo i punti cardinali, l'ingresso principale volge a settentrione affacciato su piazza Pretoria e la monumentale fontana Pretoria.

Ripartito in quattro ordini con tre livelli sovrastanti il pianterreno, esternamente rivestito con pietre d'intaglio, al presente ricoperto da spesso intonaco riproducente l'effetto bugnato, presenta teorie di finestroni, eccezione la serie di balconi con balaustre e colonnine in corrispondenza del piano nobile ubicato al secondo piano.

Sono documentate le iscrizioni e i medaglioni marmorei raffiguranti Vittorio Amedeo II di Savoia e la consorte Anna Maria d'Orleans commemoranti l'incoronazione regia del 24 dicembre 1713, cornice disegnata da Paolo Amato. La nomina di Carlo III a rex utriusque Siciliae nel 1735, cornice disegnata da Andrea PalmaStemma di Palermo sostenuto da un telamone del 1625, opera di Gregorio Tedeschi. Numerose epigrafi, targhe, statue, riproduzioni di aquile ornano e arricchiscono tutti i prospetti, quella in bassorilievo sotto il balcone centrale è opera di Salvatore Valenti.

Tra le epigrafi quelle commemoranti le manifestazioni avvenute nella piazza, come la visita di Giuseppe Garibaldi e di Papa Giovanni II.  

Attraverso l'atrio, gli immediati ambienti del Portico coperto e lo Scalone monumentale, il percorso storico - artistico - monumentale dell'edificio contempla il piano nobile con:

la Sala dei Bassorilievi, la Sala dei Gonfaloni o degli Stemmi, la Sala Rossa, la Sala Gialla, la Sala delle Lapidi, la Sala Garibaldi, la Sala Montalbo, la Cappella di Santa Rosalia.

In vari ambienti sono riprodotti i campioni di pesi e misure utilizzati nelle varie attività merceologiche, i grandi saloni del piano nobile preposti alle assemblee - oggi destinati ad uffici di rappresentanza del Comune - sono ricoperti di iscrizioni e custodiscono preziosi reperti delle varie epoche, opere d'arte e manifatture delle più rappresentative correnti e scuole siciliane, della penisola, europee e una collezione di esotiche porcellane cinesi.

Dalla portineria si accede all'ambiente attraverso il portale barocco del 1691 con colonne tortili disegnato da Paolo Amato e realizzato da Giovan Battista Marino, sulla destra è documentata la sede del Banco Pubblico istituito il 21 febbraio 1553 al Garaffello e qui trasferito nel 1617. A sinistra campeggiano i dipinti raffiguranti il Santissimo Crocifisso opera di Giuseppe d'Alvino detto il Sozzo del 1591 e Maria Vergine attorniata da Santi realizzata da Giovanni Paolo Fondulli.

La copertura del porticato interno quattrocentesco con una cupola in metallo e vetro ha permesso il recupero e l'utilizzo di una vasta area per stanze interne e locali ad uso espositivo ove spiccano un gruppo marmoreo di età imperiale raffigurante due sposi che si danno la mano destra - monumento funerario proveniente dal cantonale di nord - est, la statua del poeta palermitano Giovanni Meli opera di Vincenzo D'Amore del 1888, un'urna cineraria sormontata da Giano bifronte con iscrizione apocrifa allegoria dell'alleanza tra Palermo e Roma, un altorilievo in bronzo di Antonio Ugo, una targa con ritratto dedicata a Dante Alighieri fra le allegorie della Vittoria e dell'Italia del 1921, cippo raffigurante la Trinacria accarezzata da Cerere sormontato da aquila marmorea con l'acronimo SPQP.

Scalone monumentale - L'ambiente e manufatti sono stati ricostruiti nelle forme attuali nel 1827 con i lavori di restauro in seguito al sisma del 1823. Accostato alla parete sul pianerottolo d'accesso al maestoso scalone è collocato il Genio di Palermo, nume tutelare della città, opera di Domenico Gagini e di Gabriele di Battista, caratterizzata dall'incisione della celebre iscrizione volta a magnificare e celebrare gli stranieri trascurando e ignorando l'operato dei suoi figli:

Ai lati due putti o attendenti recanti scudi, uno con raffigurata l'Aquila simbolo della città, l'altro con le armi di Giovanni Ventimiglia, marchese di Geraci, principe di Castelbuono, presidente del regno. Sovrastano le rampe le monumentali targhe regie documentate all'esterno.

Sala dei Bassorilievi - Ambiente così chiamato per la presenza dell'opera marmorea opera di Valerio Villareale raffigurante la Sicilia incoronata da Minerva e Cerere del 1819.

Sala rossa - Vano realizzato da Giuseppe Damiani Almeyda, trae il nome dal colore acceso dei suoi arredi, adibita a studio del sindaco. All'interno è collocata la statua raffigurante un Efebo del gruppo Litiganti ignudi, dal soffitto a scomparti pendono due magnifici lampadari di Murano, preziosamente decorato nei suoi riquadri e nei suoi sopraporte da leggiadre fanciulle, amorini, danzatori, figure muliebri e dalle allegorie della Prosperità e della Giustizia affrescati nel 1891 da Francesco Padovani, e dall'allegoria della Pace affrescata da Gustavo Mancinelli.

Sala delle Lapidi - Già primitiva Sala del Pubblico Consiglio o Sala Maggiore. Salone deputato alle riunioni del Consiglio Comunale, così denominato per via delle numerose iscrizioni marmoree poste alle pareti. L'ambiente custodisce 50 targhe in marmo collocate nel 1875 dal gesuita e storico dell'arte Gioacchino Di Marzo, e un soffitto in legno dipinto del XIV secolo le cui decorazioni sono state riprese dal pittore fiorentino Tito Covoni. Un lampadario in legno intagliato e il pavimento in marmo intarsiato proveniente dall'Oratorio della Pace

Nel settembre 1760, il Senato Palermitano in questo ambiente tenne la cerimonia inaugurale della Biblioteca cittadina. L'istituzione ebbe la sua prima sede in una stanzetta del Palazzo Pretorio, ma ben presto il gran numero di donazioni di manoscritti e stampati rese lo spazio insufficiente e fu necessario affittare alcuni locali del palazzo del duca di Castelluccio, fino al definitivo trasferimento presso le strutture gesuitiche di Casa Professa.

Sala Gialla - Già primitiva Sala del Senato. Ambiente così denominato per via del colore oro del broccato della tappezzeria, locale deputato alle riunioni della Giunta Comunale. Presenta un monumentale camino plasmato in gesso da Vincenzo Ragusa nel 1868, le decorazioni di Rocco Lentini e Francesco Padovani, i ritratti raffiguranti Umberto I e Margherita di Savoia opere di Gustavo Mancinelli del 1884, quest'ultime realizzate - insieme ad altre opere presenti nel palazzo e in città - in occasione dell'Esposizione Nazionale cittadina del 1891 - 1892. I reali presenziarono alla cerimonia d'inaugurazione della manifestazione.

Sala dei Gonfaloni o degli Stemmi - La volta della sala presenta gli emblemi delle principali città dell'isola dipinti da Salvatore Gregorietti del 1922, lungo le pareti sono collocati scanni in legno con leoni e pannelli dipinti con numerose aquile, simboli della città, dello stesso autore.

Sala Antinoo - L'ambiente ospitava uno dei due Litiganti ignudi o Efebo o Antinoo oggi custodito nella Sala Rossa, i busti in marmo raffiguranti Francesco Crispi e Mariano Stabile, alle pareti dipinti opere di Michele CattiLeteEttore De Maria BerglerFrancesco LojaconoSalvatore Lo ForteRocco Lentini.

Accesso alla piccola Cappella Senatoria del 1663 in stile barocco.

Cappella di Santa Rosalia - Altrimenti nota come Cappella Senatoria. L'ambiente custodisce nella nicchia sommitale della volta la statua raffigurante Santa Rosalia ritratta su un'aquila opera dello scultore Cosmo Sorgi, la statua di Sant'Agata raffigurata con gli strumenti del martirio, due sculture raffiguranti San Sebastiano e San Rocco, sull'altare è custodito il dipinto dell'Immacolata Concezione.

Sala Garibaldi - Dal balcone l'eroe dei due mondi parlò ai palermitani il 30 maggio 1860. Alle pareti lastre di marmo recano incise stralci dei discorsi di Giuseppe Garibaldi, custodisce un ritratto del condottiero opera di Salvatore Lo Forte, dipinti di Francesco LojaconoRocco Lentini, un busto in bronzo di Mario Rutelli raffigurante Francesco Crispi del 1893. Vasi, arazzi e armi cesellate donate da Napoleone Bonaparte all'ammiraglio Federico Carlo Gravina.

Sala Montalbo - Nell'ambiente campeggia il bellissimo bassorilievo in bronzo di Benedetto Civiletti raffigurante Federico III d'Aragona che pone la prima pietra del Palazzo Pretorio del 1876, il dipinto ad olio di Salvatore Marchesi raffigurante Interno della chiesa di San Domenico, e sette busti marmorei di Sindaci, scolpiti da Benedetto Civiletti.  

Al di sotto del palazzo, e dell'antistante Piazza Pretoria, si estende un rifugio antiaereo risalente alla seconda guerra mondiale, e a cui si accede dall'attuale portineria.

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Agosto 2018