Isole Eolie
(Lipari, Salina, Vulcano, Stromboli, Filicudi, Alicudi, Panarea)
(Messina)

 

Lipari

Sin dal 1928, Lipari é stato teatro di ricerche archeologiche. Si deve al Senatore Orsi la scoperta della necropoli di contrada Diana, e sin dal 1946, l'impegno e l'attività dei valentissimi archeologi Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier ha consentito il ritrovamento di tutti gli altri siti archeologici. 

La dovizia dei reperti testimonia l'importanza assunta, sin dal V millennio a.C., dall'arcipelago eoliano che fungeva da centro di scambi tra Oriente ed Occidente. L'ossidiana ha certo rappresentato, già prima dell'età del bronzo, una fonte di ricchezza. Questo vetro vulcanico nero e tagliente, ampiamente utilizzato nella costruzione di armi, attrezzi da lavoro ed utensili, fu esportato in tutto il Mediterraneo. Probabilmente fu l'ossidiana a destare l'interesse delle prime popolazioni, provenienti dalla Sicilia, che si stanziarono sugli altipiani di Lipari presso il Castellaro Vecchio e a Salina presso Rinicedda. 

Nell'area del Castello ed alla sua base il vento, soffiando sugli altipiani ha depositato, secolo dopo secolo, ceneri vulcaniche che hanno ricoperto e preservato le vestigia di ogni epoca che si é succeduta. Questa stratigrafia é unica nel suo genere. Si ritiene che ai primi abitanti dediti all'agricoltura se ne siano sostituiti altri forse provenienti dalle coste dalmate. Questi ultimi si stanziarono sulla rocca del Castello e diedero un nuovo impulso all'economia ed alla cultura dell'isola, come testimoniano i resti di ceramica dipinta e decorata. Col passare dei secoli la comunità, divenuta più numerosa, si trasferì dal Castello alla contrada Diana. 

A Lipari e nelle isole minori si costituiscono piccoli insediamenti agricoli e una flotta commerciale (III millennio a.C.). Si susseguono nuove culture: quella denominata di Pianoconte (2700 a.C.), che si diffuse sugli altipiani di Lipari e nelle isole minori, e quella di Piano Quartara a Panarea (seconda metà III millennio a.C.) che denotano un periodo di recessione. Gli insediamenti degli ultimi secoli III millennio a.C. in piena età del Bronzo testimoniano, invece, nuova prosperità. In tutte le isole si affermò la cultura di Capo Graziano i cui ritrovamenti più conosciuti sono stati effettuati nell'omonima località di Filicudi. Si tratta dei resti di due abitati: il primo in prossimità della sponda, il secondo in cima alla collina; da ciò si deduce che la popolazione, forse temendo scorrerie ed invasioni, fu costretta a trasferirsi in un luogo più facilmente difendibile. Ciò accadde anche a Lipari dove la popolazione si trasferì dai piedi della rocca del Castello alla sua sommità. Si ritiene siano popolazioni provenienti dalla Grecia, forse gli Eoli di cui narra l'Odissea di Omero, attirate dalla posizione strategica che permetteva di controllare lo Stretto di Messina e la via commerciale con l'Oriente, che diedero vita a questa fase, durata ben sette secoli. 

Verso il XV secolo a.C. Lipari venne conquistata da popolazioni siciliane che diedero vita alla cosiddetta "cultura del Milazzese", dal nome dell'omonimo promontorio di Panarea. Le invasioni si susseguirono e si affacciò un nuovo popolo proveniente dalla penisola Italica (1270 - 1125 a.C. circa): gli Ausoni di re Liparo, a cui si fa risalire l'attuale nome dell'isola maggiore. Questa nuova cultura sovrappose le proprie costruzioni sulla rocca del Castello e a questa fase, denominata Ausonio I, forse si riferisce il ritrovamento di un vaso contenente ottanta Kg. di bronzo in lingotti, armi ed utensili vari. 

All'Ausonio I si sostituì l'Ausonio II verso la fine del XII secolo a.C. con evidenti tracce di distruzioni. Seguì un periodo di grande prosperità, che durò 150 anni, durante i quali fiorirono gli scambi commerciali con la Sardegna e con la Grecia, come attesta la grande quantità di ceramiche ritrovata. Nell' 850 a.C. la roccaforte di Lipari venne espugnata e l'intero arcipelago rimase quasi disabitato per tre secoli . I discendenti degli scampati all'immane distruzione (solo 500 secondo Diodoro) accolsero di buon grado, verso il 580 a.C., gli Cnidi, un gruppo di colonizzatori greci, che combatterono i pirati etruschi riportando splendide vittorie navali. Colonizzatori ed indigeni si fusero formando un unico popolo che si diede una organizzazione sociale paritaria. Mentre una parte degli abitanti si dedicava all'agricoltura ed alla pastorizia, l'altra provvedeva alla difesa ed alla costruzione di navi. 

Lipari venne ricostruita secondo il modello greco: l'acropoli sulla rocca e il borgo ai piedi delle possenti mura. La nuova comunità progredì e la costruzione di una flotta le consentì di acquistare una posizione di preminenza nel basso Tirreno. Il felice periodo é attestato dai ritrovamenti archeologici: le mura e i resti di una torre; la necropoli di contrada Diana, con le numerosissime tombe e relativi corredi funerari giunti sino a noi intatti; la fossa votiva di un santuario, profonda 7 metri ed a forma di cisterna, con le offerte ritualmente frammentate. Con i frammenti ceramici é stato possibile ricostruire molti vasi, esposti al Museo, che testimoniano il buon livello raggiunto dagli artigiani nella manifattura. 

Lipari fu alleata per lungo tempo ai siracusani, per far fronte ai tentativi espansionistici Cartaginesi ed ateniesi. Il IV secolo a.C. rappresentò l'apice della prosperità economica con un abitato di vaste proporzioni e la produzione di ceramiche dipinte policrome e terrecotte raffiguranti scene teatrali. Nel 304 a.C. Lipari venne saccheggiata dai siracusani di Agatocle, ed iniziò il suo declino. Durante la I guerra punica, fu alleata dei Cartaginesi contro i romani. Dopo alterne vicende, la flotta cartaginese venne distrutta da Caio Duilio e Lipari, assediata, fu devastata nel 251 a.C. con grandi stragi segnando l'inizio della dominazione romana.

La prosperità di cui Lipari godette nei due secoli di influenza greca, ebbe fine con la conquista romana. L'isola, piccola ma indipendente, aveva raggiunto un livello di ricchezza attestato dalla produzione locale di raffinate ceramiche e da un abitato di proporzioni insolite per l'epoca.Alle distruzioni, alle stragi e alle deportazioni romane seguì un lungo periodo di miseria: divenne una cittadina di provincia senza importanza, soggetta ad una guarnigione stanziatasi nel Castello.Diventò Municipio in età imperiale, luogo di deportazioni e confino. 

Dal III secolo, sotto l'influenza bizantina, fu forse sede vescovile e meta di eremiti in cerca di rifugio. La comunità cristiana riconobbe come proprio patrono San Bartolomeo le cui reliquie divennero oggetto di culto. Gli scavi, che hanno portato alla luce i resti di un'arena, di terme e di strade, dimostrano che Lipari, nel V secolo, era tornata all'antica vitalità. Nel 543 i Goti impiantarono a Lipari una base navale. 

Nell'Alto Medioevo, Lipari decadde rapidamente sia a causa della ripresa dell'attività vulcanica del Monte Pelato e della Forgia Vecchia nel 729, sia a causa dei continui attacchi degli arabi che nell'838, devastarono la città deportandone gli abitanti. Le isole rimasero disabitate per due secoli, fino all'arrivo dei Normanni che, nel 1083, insediarono nel Castello i monaci Benedettini che vi fondarono un monastero con annesso chiostro. 

Già nel 1091 il monastero acquistò la signoria feudale sulle isole Eolie con una Bolla di Papa Urbano II. L'abate del monastero, il monaco Ambrogio, promulgò, nel 1095, il "Constitutum", un documento che concedeva ai cittadini e ai loro eredi la proprietà della terra che coltivavano. Allo scopo di colonizzare Lipari, la proprietà venne concessa anche ai forestieri, ma solo dopo aver coltivato i fondi per tre anni e con l'obbligo, in caso di vendita, di alienarlo agli abitanti del luogo. Fu attuata una concreta opera di rinascita delle isole mediante il ripopolamento e il conseguente sfruttamento dei terreni abbandonati dopo l'incursione saracena dell'838. Una riproduzione fotografica del documento si può visionare nella XXVI sala del Museo di Lipari. 

La cattedrale dedicata a San Bartolomeo fu costruita accanto all'abbazia benedettina, dopo un secolo dall'arrivo dei Normanni, con materiali provenienti dalle mura greche, sulle rovine di quella protocristiana che a sua volta aveva forse sostituito un tempio greco-romano. La grandiosità della cattedrale dimostra che nuovamente la città era tornata a vivere. I commerci rifiorirono anche grazie ai privilegi fiscali (libera esportazione di zolfo, allume e pomice) che i re Angioini e Aragonesi concessero ai Liparesi. 

Nel 1544, il pirata saraceno Ariadeno "Barbarossa", alleato dei francesi contro Carlo V, attaccò Lipari con una flotta di 150 navi e la saccheggiò dopo un lungo assedio. Ne bruciò le case e la cattedrale e deportò 8000 abitanti, l'intera popolazione, come schiavi. Grande fu lo smarrimento nel mondo cristiano. Carlo V, sovrano spagnolo di Napoli, fece costruire mura più imponenti attorno alla cittadina e, mediante esenzioni fiscali e privilegi, favorì il ripopolamento di Lipari (dove si trasferirono principalmente spagnoli e campani). Tuttavia, le isole continuarono a vivere sotto il terrore delle incursioni e, nel 1589, vennero annesse al Regno delle Due Sicilie. Bisogna attendere la fine del 1700 perché, con la scomparsa della pirateria turca, la città torni ad espandersi, prima sotto gli Spagnoli, poi sotto i Borboni, i Savoia, gli Austriaci ed infine nuovamente sotto gli Spagnoli fino all'Unità d'Italia.

Con i suoi 37 km2, Lipari è l'isola più vasta dell'arcipelago. I fianchi delle sue montagne si presentano straordinari per i colori e per i materiali vulcanici che li costituiscono: dapprima le colate rossastre di ossidiana, poi le bianche cave di pomice, che formano fantastici scivoli verso l'azzurro del mare. L'isola presenta numerose manifestazioni vulcaniche secondarie, rappresentate da sorgenti termali, fumarole e solfatare. 

“L’isola di Lipari è di piccole dimensioni, abbastanza fertile ma, soprattutto, possiede quei prodotti che rendono lussuosa la vita degli uomini: fornisce ai suoi abitanti pesci di ogni tipo in gran quantità e quei frutti in grado di offrire straordinario diletto a chi ne goda.” Diodoro Siculo, nella sua Biblioteca Historica, offre una spiegazione più che condivisibile del motivo per cui Lipari nell’antichità era chiamata Meligunis, “terra dolce”. 

Anche il toponimo che si è poi affermato non si discosta molto dalla descrizione fatta dallo storico di Agira: Lipara significa infatti “grassa, untuosa”, e per estensione “fertile, brillante”. La più grande delle Eolie, con i suoi 37 chilometri quadrati di superficie, è anche la più ricca di storia, concentrata in un luogo-simbolo. 

Sbarcando a Marina Corta i bar affollati, i negozietti e i ragazzini che si tuffano dal molo ci fanno sentire lontanissimi dalla pericolosa malia di Vulcano. A Lipari si viene soprattutto per toccare con mano la millenaria storia dell'arcipelago. 

Basta alzare la testa, arrivati a Marina Corta, insieme a Marina Lunga uno dei due porti di Lipari città, per scorgere la sagoma della "cittadella" o "Castello". Il Castello occupa una roccia a strapiombo sul Tirreno, le cui scoscese pareti costituiscono una difesa naturale formidabile contro gli attacchi provenienti dal mare, tanto che la cittadella risulta abitata da circa 6000 anni e gli scavi iniziati nel 1950 hanno permesso di ricostruire 10 metri di stratigrafia culturale. Il Castello attuale risale al XVI secolo e fu voluto da Carlo V (1500-1558) dopo l’ennesimo attacco turco che aveva messo a ferro e fuoco l’isola, distruggendo anche la Concattedrale di San Bartolomeo. Il culto dell’apostolo sull’isola era molto forte: secondo la tradizione le sue reliquie erano giunte a Lipari nel 264, e lì rimasero fino al sacco dei Saraceni nell’838. La chiesa in cui erano custodite le spoglie del santo fu riedificata nella seconda metà dell’XI secolo da Ruggero I di Sicilia e una seconda volta appunto dopo l’attacco turco: grazie alla scenografica scalinata che permette di raggiungerla, la facciata dell’edifìcio, impreziosita da portali di marmo con colonne ioniche, sembra protendersi verso il cielo; di particolare interesse è anche il chiostro normanno. 

La parte più antica di questa lunga storia è conservata nelle sale del Museo Archeologico Eoliano, ospitato in vari edifici tutti nella Cittadella. Il Museo archeologico regionale eoliano è situato nel complesso del Castello di Lipari ed è intitolato a Luigi Bernabò Brea (1910-1999), l’archeologo che lo diresse per lungo tempo e che grazie ai suoi studi riuscì a individuare importanti correlazioni tra le civiltà del Mediterraneo occidentale e orientale. I sei padiglioni del museo documentano e illustrano gli insediamenti umani e il loro sviluppo nell’Arcipelago dal Neolitico fino alle soglie dell’Età moderna, ri percorrendone le varie fasi: dallo sfruttamento dell’ossidiana alle capanne di pietra dell’Età del Bronzo, dai corredi funerari di epoca greca e romana della Necropoli di contrada Diana a Lipari, fino alle centinaia di reperti rinvenuti nei relitti sui fondali delle Eolie. Il complesso ospita inoltre un padiglione in cui viene approfondita (a storia dei vulcani dell’Arcipelago e una collezione di arte contemporanea, che ha sede nelle ex carceri del Castello.

Terminato il tuffo nella storia si può partire alla scoperta dell'isola, muovendosi verso nord, in direzione Canneto, il secondo centro abitato. Da qui una breve camminata porta alle famose Spiagge Bianche, dove i colori dell'acqua sono caraibici per la presenza di polvere di candida pomice estratta dalle cave della vicina Porticello, posta quattro chilometri più a nord e raggiungibile in autobus o in barca. Per avere un'idea dell'intera isola si può percorrere la provinciale che, partendo da Lipari, gira ad anello collegando i punti principali. Imperdibile la strepitosa vista sui faraglioni e su Vulcano che offre il Belvedere Quattrocchi, una terrazza panoramica tra Pianoconte e Lipari.  

Due sono gli approdi: Marina Corta, attracco per aliscafi e pescherecci, collegata tramite un breve istmo alla penisoletta su cui sorge la chiesa delle Anime del Purgatorio, e Marina Lunga, destinata alle navi. Il periplo delle sue coste offre un'incredibile varietà di colori: il tipico rossastro del promontorio di Monterosa, il bianco fondale di pomice della Spiaggia Bianca, la colata di ossidiana delle Rocche Rosse... Vale una visita anche l'entroterra: Piano Conte, situato a 300 metri di altitudine, coltivato a vigneti, è preceduto dal belvedere di Quattrocchi, da cui si gode un suggestivo panorama. 

Nei dintorni si trova la settecentesca chiesa dell'Annunziata, dall'insolita scala di accesso a forma di imbuto rovesciato. In pochi minuti si possono raggiungere anche le terme di San Calogero, ove sgorgano le acque utilizzate per fanghi e bagni nella cura della gotta e dei reumatismi. 

Qui è venuto alla luce il più antico impianto termale esistente al mondo, completo di canalizzazioni e di stufa: risale al XVII secolo a.C.

Ma le attrattive di Lipari non si riducono alla sola storia, perché il mare nelle Eolie è sempre protagonista: tra i tanti angoli suggestivi bisogna menzionare la Spiaggia Acquacalda, nella zona nord- est dell’isola, nota anche come Spiaggia Bianca; è infatti sovrastata da una duna di pomice bianca finissima, trovandosi in prossimità delle cave da cui veniva estratto il materiale, come testimoniano i pontili utilizzati per trasportare sulle navi la pomice e l’ossidiana.  

Alicudi

L'isola di Alicudi è la più occidentale dell'arcipelago eoliano e si trova a circa 34 miglia marine (quasi 63 km) a ovest di Lipari. È dominata dal monte Filo dell'Arpa, il cui toponimo deriva dal termine dialettale arpa o arpazza col quale si indica la poiana.

La pianta dell'isola è quasi circolare, con superficie di circa 5 km², con coste ripide ed aspre, e costituisce la parte emersa, dai 1.500 m di profondità del fondo del mare fino ai 675 m s.l.m. del punto culminante, di un vulcano spento, sorto attorno a 150.000 anni fa e rimodellato da successive eruzioni e fenomeni quaternari.

L'isola è abitata solo sul versante meridionale, digradante verso il mare in lenze (stretti appezzamenti), sostenute da muri a secco. Questo versante, significativamente antropizzato a scopi abitativi e colturali, risulta meno scosceso di quello opposto, battuto dai venti e continuamente soggetto a fenomeni erosivi e conseguenti frane, dette sciare.

Alicudi fu abitata dal Neolitico, come attestato da tracce rinvenute presso l'attuale porto e sulla sommità dell'isola. Al IV secolo a.C. sono datate alcune sepolture a lastre di pietra lavica rinvenute in località Fucile nel 1924, con corredo funerario di lucerne e vasi fittili.

Frammenti di vasellame di età romana si rinvengono sulla costa orientale dell'isola.

L'Isola dell'erica era abitata nel dopoguerra da oltre 600 persone, in gran parte poi emigrate in Australia. Nel 2001 la popolazione contava meno di cento residenti che, però, diminuiscono notevolmente nel periodo invernale.  

Le spiagge dell'isola sono a ciottoli e scogli e le mareggiate invernali le fanno arretrare o avanzare, lasciando a volte pochi lembi di rena scura.

Il giro dell'isola è possibile, ma presenta il rischio della caduta di pietre, smosse dal vento o dalle capre brade, e richiede l'aggiramento a nuoto di alcune formazioni rocciose. Risalendo invece le ripide mulattiere, ci si immerge nella macchia. Nella zona del vecchio cratere e sui fianchi sommitali l'ambiente, più fresco, presenta felci, distese di asfodelo, pochi castagni residui, erica ed altri arbusti.

La fauna è molto varia e ricca; in primavera e autunno compaiono uccelli migratori come il pellicano, l'airone rosso, l'airone cenerino, il fenicottero rosa. Tra le specie stanziali vi sono il corvo imperiale, il piccione selvatico, il germano reale, la berta maggiore e la berta minore, detta localmente araghiuni. Tra i rapaci il falco pellegrino, il lodolaio, il falco della regina e il falco cuculo. Tra i mammiferi, il coniglio selvatico.  

Le case tradizionali hanno il tetto piano per la raccolta dell'acqua piovana, che viene convogliata in grandi cisterne; camere  intercomunicanti affiancate, che si aprono su terrazzi con sedute in muratura e tipiche colonne a tronco di cono, sulle quali si appoggiano le travi in legno dei pergolati, sostegno di viti ombreggianti.

In molte case sono ancora sfruttati, per conservare gli alimenti, i rifriggiraturi, piccoli vani con una porticina, posti allo sbocco di cunicoli di comunicazione ipogea, da cui fuoriescono soffi d'aria alla temperatura costante di una decina di gradi.

Accanto alle abitazioni si trovano ancora numerose mànnare, costruzioni di pietre naturali a secco, a pianta circolare, coperte con falsa cupola, a cui si accede da bassi ingressi privi di serramento, con pavimento in terra battuta, destinate un tempo a ricovero di ovini.

Sull'isola non esistono grotte in cui entri il mare; invece sul fianco ovest, a mezza altezza ma impossibile da raggiungere in sicurezza se non con tecniche alpinistiche, si trova una grotta popolata da chirotteri.

Altre conformazioni geologiche tipiche, oltre alle sciare, sono il Perciato, lo Scoglio della Palumba con la prospiciente Praia della Palumba e lo Scoglio Galera, alta quinta naturale che si inabissa e riemerge pericolosamente a pelo d'acqua sul lato occidentale. Rappresentano variegate opere d'arte naturali gli scogli e le bancate di rocce, dal colore grigio scuro al bruno-arancio che sconfina anche nel rosso vinaceo, granulose o lisce al tatto, trabecolate o semplicemente solcate da fessure.

L'isola è in parte protetta, essendo inserita in un Parco naturale con percorsi segnalati; ci si affida alla sensibilità dei visitatori per l'attenzione da prestare ai rischi di incendi estivi e alla salvaguardia di fiori, essenze, insetti e animali selvatici.  

Le case sono distribuite in sei agglomerati principali, raggiungibili solamente percorrendo mulattiere, antiche o ricostruite, a gradoni di pietra:

- Alicudi porto, a livello del mare, posta tra il molo nuovo, attracco per aliscafi e traghetti, e il molo vecchio, da cui faceva la spola in precedenza il rollo (barca a remi) verso le navi al largo, e l'arco di roccia detto Perciato. Vi si trovano le due sole botteghe di generi alimentari dell'isola, un bar, una boutique, l'unico albergo, l'ufficio postale, la centrale elettrica. Più in alto si trova la Chiesa del Carmine, in posizione panoramica, con la torre campanaria separata dal corpo centrale dell'edificio. Ad Alicudi non esistono agenzie bancarie, bancomat e farmacie.

- Contrada Tonna, antico insediamento con suggestivi edifici in puro stile eoliano, è la frazione più ad ovest dell'isola.

- San Bartolo o Montagna, borgo posto ad una altezza di circa 370 metri e a quasi mille gradini dal mare, in passato era il principale abitato dell'isola, permettendo ai contadini di raggiungere le campagne coltivate. Oggi è del tutto disabitato. A poca distanza si trova la Chiesa di San Bartolo, risalente al 1821, edificata sui resti di una sacrestia seicentesca e considerata l'unico monumento storico dell'isola.

- Contrada Pianicello, posta alla medesima altezza di S. Bartolo ma più ad ovest, è abitata da una popolazione di madrelingua tedesca. Non vi arrivano acqua corrente, né energia elettrica.

- Contrada Sgurbio, anch'essa alla stessa quota di S. Bartolo, sulle balze di un costone nel lato Est dell'isola. Questa piccolissima frazione è composta da cinque case, ad ognuna delle quali è stato dato il nome di uno dei sensi del corpo umano.

- Bazzina, ultimo gruppo orientale di case ed unica località pianeggiante dell'isola in riva al mare. È raggiungibile solo in barca o, partendo dalla Chiesa del Carmine, attraverso un sentiero a strapiombo sul mare. Bazzina Alta è stato il primo borgo ad essere stato abbandonato dagli isolani e sovrasta l'omonimo abitato costiero.

Il mare sfoggia un intenso colore blu alla Yves Klein, che ti avvolge arrivando in aliscafo da Lipari, oppure in alternativa col battello dalla costa messinese. Alicudi, la seconda isola più piccola e quella meno abitata delle Eolie, è un cono vulcanico che spunta soltanto un po’ dall’acqua. Per il resto, quasi un chilometro e mezzo, vi è immersa completamente e verticalmente. Non ci sono strade né automobili, soltanto mulattiere risalenti agli anni Venti del secolo scorso. Le valigie e le merci vengono caricate in groppa a Otto e agli altri sei muli che scalano agili i gradoni, detti «lenze», sino alla sommità, posta alla quota di 675 metri.

La vita dei 180 alicudani ruota tutta intorno alla piazzetta dedicata a San Giuseppe: i pescatori – sono quattro e si chiamano Silvio, Fabio, Alduccio e Dario – ormeggiano le proprie barchette stipate di palloni da calcio in plastica e offrono i loro saraghi a chi si addentra un poco in mare per contrattare il pescato o accordarsi sull’orario della cena a casa loro, dove le mogli cucinano per gli amanti del mare, del trekking e della solitudine che scelgono di avventurarsi sino a qui.

Ma Alicudi non è un’isola per eremiti. Al bar L’Airone sul molo che porta alla scenografica spiaggia di Perciato, dove le rocce laviche paiono sparate dalla bocca del vulcano come turaccioli di bottiglie, c’è sempre una folla che si disseta dall’arsura già in giugno mangiando granite alla mandorla e al gelso o sorseggia avidamente i sorbetti al limone. Mentre lì accanto, all’ora dell’aperitivo – il momento, insieme all’alba, in cui la sagoma di solito un po’ sinistra di Stromboli fa capolino e magari anche l’inchino all’orizzonte – ci si ritrova con le birre e i panini comprati all’alimentari di Luca Baratta: ricercatore universitario che d’estate torna sull’isola per dare una mano ai suoi genitori.

Pochi metri più avanti si può cenare sotto la veranda tinteggiata di bianco dell’Hotel Ericusa oppure andare a casa di Pino La Mancusa, pittore e cantastorie, il quale con la moglie cucina divinamente e nelle notti di luna piena intona nenie agli astri. I giornali arrivano soltanto il giovedì e nelle case che si affittano la televisione non c’è. Per trovarne una bisogna chiedere alle signore che dai balconi osservano col binocolo l’arrivo dei traghetti, oppure vendono sugli usci frullati di fichi d’India e barattoli di capperi.

Mentre ci si inerpica diretti alla chiesa di San Bartolo, il primo belvedere dell’isola posto a quota 754 gradini, e a quello successivo e un po’ più arduo di Pianicello, si imparano a riconoscere il citiso delle Eolie, l’erica arborescens, il lentisco, la ferula communis che crescono selvagge e indomite anche accanto alla casa in cui Nanni Moretti girò alcune scene di Caro diario. Da lì si può scendere alla spiaggia di Bazzina, dove il paesaggio si cheta. Tanto che ci si può anche mettere a correre sull’arenile di rocce tonde e sassi rossi, per poi tuffarsi nuotando liberi e nudi nell’azzurro circondati da massi in granito a forma di pinne e dorso di squalo, mentre Stromboli vi osserva accigliato da lontano. Giurassico è il trekking verso la contrada di Tonna dove le case sono bianche e piene di archi, abitate da artisti un po’ solitari e abbastanza eccentrici, che volentieri vi invitano a raggiungerli sulle terrazze sfoggianti colonne e sedute dette «bisuoli»; sulle quali infine accoccolarsi a scrutare, con un calice di malvasia eoliano, l’orizzonte blu.

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