- Lipari
Sin
dal
1928,
Lipari
é
stato
teatro
di
ricerche
archeologiche.
Si
deve
al
Senatore
Orsi
la
scoperta
della
necropoli
di
contrada
Diana,
e
sin
dal
1946,
l'impegno
e
l'attività
dei
valentissimi
archeologi
Luigi
Bernabò
Brea
e
Madeleine
Cavalier
ha
consentito
il
ritrovamento
di
tutti
gli
altri
siti
archeologici.
La
dovizia
dei
reperti
testimonia
l'importanza
assunta,
sin
dal
V
millennio
a.C.,
dall'arcipelago
eoliano
che
fungeva
da
centro
di
scambi
tra
Oriente
ed
Occidente.
L'ossidiana
ha
certo
rappresentato,
già
prima
dell'età
del
bronzo,
una
fonte
di
ricchezza.
Questo
vetro
vulcanico
nero
e
tagliente,
ampiamente
utilizzato
nella
costruzione
di
armi,
attrezzi
da
lavoro
ed
utensili,
fu
esportato
in
tutto
il
Mediterraneo.
Probabilmente
fu
l'ossidiana
a
destare
l'interesse
delle
prime
popolazioni,
provenienti
dalla
Sicilia,
che
si
stanziarono
sugli
altipiani
di
Lipari
presso
il
Castellaro
Vecchio
e
a
Salina
presso
Rinicedda.
Nell'area
del
Castello
ed
alla
sua
base
il
vento,
soffiando
sugli
altipiani
ha
depositato,
secolo
dopo
secolo,
ceneri
vulcaniche
che
hanno
ricoperto
e
preservato
le
vestigia
di
ogni
epoca
che
si
é
succeduta.
Questa
stratigrafia
é
unica
nel
suo
genere.
Si
ritiene
che
ai
primi
abitanti
dediti
all'agricoltura
se
ne
siano
sostituiti
altri
forse
provenienti
dalle
coste
dalmate.
Questi
ultimi
si
stanziarono
sulla
rocca
del
Castello
e
diedero
un
nuovo
impulso
all'economia
ed
alla
cultura
dell'isola,
come
testimoniano
i
resti
di
ceramica
dipinta
e
decorata.
Col
passare
dei
secoli
la
comunità,
divenuta
più
numerosa,
si
trasferì
dal
Castello
alla
contrada
Diana.
A
Lipari
e
nelle
isole
minori
si
costituiscono
piccoli
insediamenti
agricoli
e
una
flotta
commerciale
(III
millennio
a.C.).
Si
susseguono
nuove
culture:
quella
denominata
di
Pianoconte
(2700
a.C.),
che
si
diffuse
sugli
altipiani
di
Lipari
e
nelle
isole
minori,
e
quella
di
Piano
Quartara
a
Panarea
(seconda
metà
III
millennio
a.C.)
che
denotano
un
periodo
di
recessione.
Gli
insediamenti
degli
ultimi
secoli
III
millennio
a.C.
in
piena
età
del
Bronzo
testimoniano,
invece,
nuova
prosperità.
In
tutte
le
isole
si
affermò
la
cultura
di
Capo
Graziano
i
cui
ritrovamenti
più
conosciuti
sono
stati
effettuati
nell'omonima
località
di
Filicudi.
Si
tratta
dei
resti
di
due
abitati:
il
primo
in
prossimità
della
sponda,
il
secondo
in
cima
alla
collina;
da
ciò
si
deduce
che
la
popolazione,
forse
temendo
scorrerie
ed
invasioni,
fu
costretta
a
trasferirsi
in
un
luogo
più
facilmente
difendibile.
Ciò
accadde
anche
a
Lipari
dove
la
popolazione
si
trasferì
dai
piedi
della
rocca
del
Castello
alla
sua
sommità.
Si
ritiene
siano
popolazioni
provenienti
dalla
Grecia,
forse
gli
Eoli
di
cui
narra
l'Odissea
di
Omero,
attirate
dalla
posizione
strategica
che
permetteva
di
controllare
lo
Stretto
di
Messina
e
la
via
commerciale
con
l'Oriente,
che
diedero
vita
a
questa
fase,
durata
ben
sette
secoli.
Verso
il
XV
secolo
a.C.
Lipari
venne
conquistata
da
popolazioni
siciliane
che
diedero
vita
alla
cosiddetta
"cultura
del
Milazzese",
dal
nome
dell'omonimo
promontorio
di
Panarea.
Le
invasioni
si
susseguirono
e
si
affacciò
un
nuovo
popolo
proveniente
dalla
penisola
Italica
(1270
-
1125
a.C.
circa):
gli
Ausoni
di
re
Liparo,
a
cui
si
fa
risalire
l'attuale
nome
dell'isola
maggiore.
Questa
nuova
cultura
sovrappose
le
proprie
costruzioni
sulla
rocca
del
Castello
e
a
questa
fase,
denominata
Ausonio
I,
forse
si
riferisce
il
ritrovamento
di
un
vaso
contenente
ottanta
Kg.
di
bronzo
in
lingotti,
armi
ed
utensili
vari.
All'Ausonio
I
si
sostituì
l'Ausonio
II
verso
la
fine
del
XII
secolo
a.C.
con
evidenti
tracce
di
distruzioni.
Seguì
un
periodo
di
grande
prosperità,
che
durò
150
anni,
durante
i
quali
fiorirono
gli
scambi
commerciali
con
la
Sardegna
e
con
la
Grecia,
come
attesta
la
grande
quantità
di
ceramiche
ritrovata.
Nell'
850
a.C.
la
roccaforte
di
Lipari
venne
espugnata
e
l'intero
arcipelago
rimase
quasi
disabitato
per
tre
secoli
.
I
discendenti
degli
scampati
all'immane
distruzione
(solo
500
secondo
Diodoro)
accolsero
di
buon
grado,
verso
il
580
a.C.,
gli
Cnidi,
un
gruppo
di
colonizzatori
greci,
che
combatterono
i
pirati
etruschi
riportando
splendide
vittorie
navali.
Colonizzatori
ed
indigeni
si
fusero
formando
un
unico
popolo
che
si
diede
una
organizzazione
sociale
paritaria.
Mentre
una
parte
degli
abitanti
si
dedicava
all'agricoltura
ed
alla
pastorizia,
l'altra
provvedeva
alla
difesa
ed
alla
costruzione
di
navi.
Lipari
venne
ricostruita
secondo
il
modello
greco:
l'acropoli
sulla
rocca
e
il
borgo
ai
piedi
delle
possenti
mura.
La
nuova
comunità
progredì
e
la
costruzione
di
una
flotta
le
consentì
di
acquistare
una
posizione
di
preminenza
nel
basso
Tirreno.
Il
felice
periodo
é
attestato
dai
ritrovamenti
archeologici:
le
mura
e
i
resti
di
una
torre;
la
necropoli
di
contrada
Diana,
con
le
numerosissime
tombe
e
relativi
corredi
funerari
giunti
sino
a
noi
intatti;
la
fossa
votiva
di
un
santuario,
profonda
7
metri
ed
a
forma
di
cisterna,
con
le
offerte
ritualmente
frammentate.
Con
i
frammenti
ceramici
é
stato
possibile
ricostruire
molti
vasi,
esposti
al
Museo,
che
testimoniano
il
buon
livello
raggiunto
dagli
artigiani
nella
manifattura.
Lipari
fu
alleata
per
lungo
tempo
ai
siracusani,
per
far
fronte
ai
tentativi
espansionistici
Cartaginesi
ed
ateniesi.
Il
IV
secolo
a.C.
rappresentò
l'apice
della
prosperità
economica
con
un
abitato
di
vaste
proporzioni
e
la
produzione
di
ceramiche
dipinte
policrome
e
terrecotte
raffiguranti
scene
teatrali.
Nel
304
a.C.
Lipari
venne
saccheggiata
dai
siracusani
di
Agatocle,
ed
iniziò
il
suo
declino.
Durante
la
I
guerra
punica,
fu
alleata
dei
Cartaginesi
contro
i
romani.
Dopo
alterne
vicende,
la
flotta
cartaginese
venne
distrutta
da
Caio
Duilio
e
Lipari,
assediata,
fu
devastata
nel
251
a.C.
con
grandi
stragi
segnando
l'inizio
della
dominazione
romana.
La
prosperità
di
cui
Lipari
godette
nei
due
secoli
di
influenza
greca,
ebbe
fine
con
la
conquista
romana.
L'isola,
piccola
ma
indipendente,
aveva
raggiunto
un
livello
di
ricchezza
attestato
dalla
produzione
locale
di
raffinate
ceramiche
e
da
un
abitato
di
proporzioni
insolite
per
l'epoca.Alle
distruzioni,
alle
stragi
e
alle
deportazioni
romane
seguì
un
lungo
periodo
di
miseria:
divenne
una
cittadina
di
provincia
senza
importanza,
soggetta
ad
una
guarnigione
stanziatasi
nel
Castello.Diventò
Municipio
in
età
imperiale,
luogo
di
deportazioni
e
confino.
Dal
III
secolo,
sotto
l'influenza
bizantina,
fu
forse
sede
vescovile
e
meta
di
eremiti
in
cerca
di
rifugio.
La
comunità
cristiana
riconobbe
come
proprio
patrono
San
Bartolomeo
le
cui
reliquie
divennero
oggetto
di
culto.
Gli
scavi,
che
hanno
portato
alla
luce
i
resti
di
un'arena,
di
terme
e
di
strade,
dimostrano
che
Lipari,
nel
V
secolo,
era
tornata
all'antica
vitalità.
Nel
543
i
Goti
impiantarono
a
Lipari
una
base
navale.
Nell'Alto
Medioevo,
Lipari
decadde
rapidamente
sia
a
causa
della
ripresa
dell'attività
vulcanica
del
Monte
Pelato
e
della
Forgia
Vecchia
nel
729,
sia
a
causa
dei
continui
attacchi
degli
arabi
che
nell'838,
devastarono
la
città
deportandone
gli
abitanti.
Le
isole
rimasero
disabitate
per
due
secoli,
fino
all'arrivo
dei
Normanni
che,
nel
1083,
insediarono
nel
Castello
i
monaci
Benedettini
che
vi
fondarono
un
monastero
con
annesso
chiostro.
Già
nel
1091
il
monastero
acquistò
la
signoria
feudale
sulle
isole
Eolie
con
una
Bolla
di
Papa
Urbano
II.
L'abate
del
monastero,
il
monaco
Ambrogio,
promulgò,
nel
1095,
il
"Constitutum",
un
documento
che
concedeva
ai
cittadini
e
ai
loro
eredi
la
proprietà
della
terra
che
coltivavano.
Allo
scopo
di
colonizzare
Lipari,
la
proprietà
venne
concessa
anche
ai
forestieri,
ma
solo
dopo
aver
coltivato
i
fondi
per
tre
anni
e
con
l'obbligo,
in
caso
di
vendita,
di
alienarlo
agli
abitanti
del
luogo.
Fu
attuata
una
concreta
opera
di
rinascita
delle
isole
mediante
il
ripopolamento
e
il
conseguente
sfruttamento
dei
terreni
abbandonati
dopo
l'incursione
saracena
dell'838.
Una
riproduzione
fotografica
del
documento
si
può
visionare
nella
XXVI
sala
del
Museo
di
Lipari.
La
cattedrale
dedicata
a
San
Bartolomeo
fu
costruita
accanto
all'abbazia
benedettina,
dopo
un
secolo
dall'arrivo
dei
Normanni,
con
materiali
provenienti
dalle
mura
greche,
sulle
rovine
di
quella
protocristiana
che
a
sua
volta
aveva
forse
sostituito
un
tempio
greco-romano.
La
grandiosità
della
cattedrale
dimostra
che
nuovamente
la
città
era
tornata
a
vivere.
I
commerci
rifiorirono
anche
grazie
ai
privilegi
fiscali
(libera
esportazione
di
zolfo,
allume
e
pomice)
che
i
re
Angioini
e
Aragonesi
concessero
ai
Liparesi.
Nel
1544,
il
pirata
saraceno
Ariadeno
"Barbarossa",
alleato
dei
francesi
contro
Carlo
V,
attaccò
Lipari
con
una
flotta
di
150
navi
e
la
saccheggiò
dopo
un
lungo
assedio.
Ne
bruciò
le
case
e
la
cattedrale
e
deportò
8000
abitanti,
l'intera
popolazione,
come
schiavi.
Grande
fu
lo
smarrimento
nel
mondo
cristiano.
Carlo
V,
sovrano
spagnolo
di
Napoli,
fece
costruire
mura
più
imponenti
attorno
alla
cittadina
e,
mediante
esenzioni
fiscali
e
privilegi,
favorì
il
ripopolamento
di
Lipari
(dove
si
trasferirono
principalmente
spagnoli
e
campani).
Tuttavia,
le
isole
continuarono
a
vivere
sotto
il
terrore
delle
incursioni
e,
nel
1589,
vennero
annesse
al
Regno
delle
Due
Sicilie.
Bisogna
attendere
la
fine
del
1700
perché,
con
la
scomparsa
della
pirateria
turca,
la
città
torni
ad
espandersi,
prima
sotto
gli
Spagnoli,
poi
sotto
i
Borboni,
i
Savoia,
gli
Austriaci
ed
infine
nuovamente
sotto
gli
Spagnoli
fino
all'Unità
d'Italia.

Con
i
suoi
37
km2,
Lipari
è
l'isola
più
vasta
dell'arcipelago.
I fianchi
delle
sue
montagne
si
presentano
straordinari
per
i
colori
e
per
i
materiali
vulcanici
che
li
costituiscono:
dapprima
le
colate
rossastre
di
ossidiana,
poi
le
bianche
cave
di
pomice,
che
formano
fantastici
scivoli
verso
l'azzurro
del
mare.
L'isola
presenta
numerose
manifestazioni
vulcaniche
secondarie,
rappresentate
da
sorgenti
termali,
fumarole
e
solfatare.
“L’isola
di
Lipari
è
di
piccole
dimensioni,
abbastanza
fertile
ma,
soprattutto,
possiede
quei
prodotti
che
rendono
lussuosa
la
vita
degli
uomini:
fornisce
ai
suoi
abitanti
pesci
di
ogni
tipo
in
gran
quantità
e
quei
frutti
in
grado
di
offrire
straordinario
diletto
a
chi
ne
goda.”
Diodoro
Siculo,
nella
sua
Biblioteca
Historica,
offre
una
spiegazione
più
che
condivisibile
del
motivo
per
cui
Lipari
nell’antichità
era
chiamata
Meligunis,
“terra
dolce”.
Anche
il
toponimo
che
si
è
poi
affermato
non
si
discosta
molto
dalla
descrizione
fatta
dallo
storico
di
Agira:
Lipara
significa
infatti
“grassa,
untuosa”,
e
per
estensione
“fertile,
brillante”.
La
più
grande
delle
Eolie,
con
i
suoi
37
chilometri
quadrati
di
superficie,
è
anche
la
più
ricca
di
storia,
concentrata
in
un
luogo-simbolo.
Sbarcando
a
Marina
Corta
i
bar
affollati,
i
negozietti
e
i
ragazzini
che
si
tuffano
dal
molo
ci
fanno
sentire
lontanissimi
dalla
pericolosa
malia
di
Vulcano.
A
Lipari
si
viene
soprattutto
per
toccare
con
mano
la
millenaria
storia
dell'arcipelago.
Basta
alzare
la
testa,
arrivati
a
Marina
Corta,
insieme
a
Marina
Lunga
uno
dei
due
porti
di
Lipari
città,
per
scorgere
la
sagoma
della
"cittadella"
o
"Castello".
Il
Castello
occupa
una
roccia
a
strapiombo
sul
Tirreno,
le
cui
scoscese
pareti
costituiscono
una
difesa
naturale
formidabile
contro
gli
attacchi
provenienti
dal
mare,
tanto
che
la
cittadella
risulta
abitata
da
circa
6000
anni
e
gli
scavi
iniziati
nel
1950
hanno
permesso
di
ricostruire
10
metri
di
stratigrafia
culturale.
Il
Castello
attuale
risale
al
XVI
secolo
e
fu
voluto
da
Carlo
V
(1500-1558)
dopo
l’ennesimo
attacco
turco
che
aveva
messo
a
ferro
e
fuoco
l’isola,
distruggendo
anche
la
Concattedrale
di
San
Bartolomeo.
Il
culto
dell’apostolo
sull’isola
era
molto
forte:
secondo
la
tradizione
le
sue
reliquie
erano
giunte
a
Lipari
nel
264,
e
lì
rimasero
fino
al
sacco
dei
Saraceni
nell’838.
La
chiesa
in
cui
erano
custodite
le
spoglie
del
santo
fu
riedificata
nella
seconda
metà
dell’XI
secolo
da
Ruggero
I
di
Sicilia
e
una
seconda
volta
appunto
dopo
l’attacco
turco:
grazie
alla
scenografica
scalinata
che
permette
di
raggiungerla,
la
facciata
dell’edifìcio,
impreziosita
da
portali
di
marmo
con
colonne
ioniche,
sembra
protendersi
verso
il
cielo;
di
particolare
interesse
è
anche
il
chiostro
normanno.
La
parte
più
antica
di
questa
lunga
storia
è
conservata
nelle
sale
del
Museo
Archeologico
Eoliano,
ospitato
in
vari
edifici
tutti
nella
Cittadella. Il Museo
archeologico
regionale
eoliano
è
situato
nel
complesso
del
Castello
di
Lipari
ed
è
intitolato
a
Luigi
Bernabò
Brea
(1910-1999),
l’archeologo
che
lo
diresse
per
lungo
tempo
e
che
grazie
ai
suoi
studi
riuscì
a
individuare
importanti
correlazioni
tra
le
civiltà
del
Mediterraneo
occidentale
e
orientale.
I
sei
padiglioni
del
museo
documentano
e
illustrano
gli
insediamenti
umani
e
il
loro
sviluppo
nell’Arcipelago
dal
Neolitico
fino
alle
soglie
dell’Età
moderna,
ri
percorrendone
le
varie
fasi:
dallo
sfruttamento
dell’ossidiana
alle
capanne
di
pietra
dell’Età
del
Bronzo,
dai
corredi
funerari
di
epoca
greca
e
romana
della
Necropoli
di
contrada
Diana
a
Lipari,
fino
alle
centinaia
di
reperti
rinvenuti
nei
relitti
sui
fondali
delle
Eolie.
Il
complesso
ospita
inoltre
un
padiglione
in
cui
viene
approfondita
(a
storia
dei
vulcani
dell’Arcipelago
e
una
collezione
di
arte
contemporanea,
che
ha
sede
nelle
ex
carceri
del
Castello.

Terminato
il
tuffo
nella
storia
si
può
partire
alla
scoperta
dell'isola,
muovendosi
verso
nord,
in
direzione
Canneto,
il
secondo
centro
abitato.
Da
qui
una
breve
camminata
porta
alle
famose
Spiagge
Bianche,
dove
i
colori
dell'acqua
sono
caraibici
per
la
presenza
di
polvere
di
candida
pomice
estratta
dalle
cave
della
vicina
Porticello,
posta
quattro
chilometri
più
a
nord
e
raggiungibile
in
autobus
o
in
barca.
Per
avere
un'idea
dell'intera
isola
si
può
percorrere
la
provinciale
che,
partendo
da
Lipari,
gira
ad
anello
collegando
i
punti
principali.
Imperdibile
la
strepitosa
vista
sui
faraglioni
e
su
Vulcano
che
offre
il
Belvedere
Quattrocchi,
una
terrazza
panoramica
tra
Pianoconte
e
Lipari.
Due
sono
gli
approdi:
Marina
Corta,
attracco
per
aliscafi
e
pescherecci,
collegata
tramite
un
breve
istmo
alla
penisoletta
su
cui
sorge
la
chiesa
delle
Anime
del
Purgatorio,
e
Marina
Lunga,
destinata
alle
navi.
Il
periplo
delle
sue
coste
offre
un'incredibile
varietà
di
colori:
il
tipico
rossastro
del
promontorio
di
Monterosa,
il
bianco
fondale
di
pomice
della
Spiaggia
Bianca,
la
colata
di
ossidiana
delle
Rocche
Rosse...
Vale
una
visita
anche
l'entroterra:
Piano
Conte,
situato
a
300
metri
di
altitudine,
coltivato
a
vigneti,
è
preceduto
dal
belvedere
di
Quattrocchi,
da
cui
si
gode
un
suggestivo
panorama.
Nei
dintorni
si
trova
la
settecentesca
chiesa
dell'Annunziata,
dall'insolita
scala
di
accesso
a
forma
di
imbuto
rovesciato.
In
pochi
minuti
si
possono
raggiungere
anche
le
terme
di
San
Calogero,
ove
sgorgano
le
acque
utilizzate
per
fanghi
e
bagni
nella
cura
della
gotta
e
dei
reumatismi.
Qui
è
venuto
alla
luce
il
più
antico
impianto
termale
esistente
al
mondo,
completo
di
canalizzazioni
e
di
stufa:
risale
al
XVII
secolo
a.C.
Ma
le
attrattive
di
Lipari
non
si
riducono
alla
sola
storia,
perché
il
mare
nelle
Eolie
è
sempre
protagonista:
tra
i
tanti
angoli
suggestivi
bisogna
menzionare
la
Spiaggia
Acquacalda,
nella
zona
nord-
est
dell’isola,
nota
anche
come
Spiaggia
Bianca;
è
infatti
sovrastata
da
una
duna
di
pomice
bianca
finissima,
trovandosi
in
prossimità
delle
cave
da
cui
veniva
estratto
il
materiale,
come
testimoniano
i
pontili
utilizzati
per
trasportare
sulle
navi
la
pomice
e
l’ossidiana.
- Alicudi

L'isola
di
Alicudi
è
la
più
occidentale
dell'arcipelago eoliano
e
si
trova
a
circa
34
miglia
marine
(quasi
63 km)
a
ovest
di Lipari.
È
dominata
dal
monte Filo
dell'Arpa,
il
cui toponimo deriva
dal
termine
dialettale arpa o arpazza col
quale
si
indica
la poiana.
La
pianta
dell'isola
è
quasi
circolare,
con
superficie
di
circa
5 km²,
con
coste
ripide
ed
aspre,
e
costituisce
la
parte
emersa,
dai
1.500 m
di
profondità
del
fondo
del
mare
fino
ai
675 m
s.l.m.
del
punto
culminante,
di
un vulcano spento,
sorto
attorno
a
150.000
anni
fa
e
rimodellato
da
successive
eruzioni
e
fenomeni
quaternari.
L'isola
è
abitata
solo
sul
versante
meridionale,
digradante
verso
il
mare
in lenze (stretti
appezzamenti),
sostenute
da
muri
a
secco.
Questo
versante,
significativamente
antropizzato
a
scopi
abitativi
e
colturali,
risulta
meno
scosceso
di
quello
opposto,
battuto
dai
venti
e
continuamente
soggetto
a
fenomeni
erosivi
e
conseguenti
frane,
dette sciare.
Alicudi
fu
abitata
dal Neolitico,
come
attestato
da
tracce
rinvenute
presso
l'attuale
porto
e
sulla
sommità
dell'isola.
Al IV
secolo
a.C. sono
datate
alcune
sepolture
a
lastre
di
pietra
lavica
rinvenute
in
località Fucile nel
1924,
con
corredo
funerario
di
lucerne
e
vasi fittili.
Frammenti
di
vasellame
di
età
romana
si
rinvengono
sulla
costa
orientale
dell'isola.
L'Isola
dell'erica era
abitata
nel
dopoguerra
da
oltre
600
persone,
in
gran
parte
poi
emigrate
in
Australia.
Nel
2001
la
popolazione
contava
meno
di
cento
residenti
che,
però,
diminuiscono
notevolmente
nel
periodo
invernale.
Le
spiagge
dell'isola
sono
a
ciottoli
e
scogli
e
le
mareggiate
invernali
le
fanno
arretrare
o
avanzare,
lasciando
a
volte
pochi
lembi
di
rena
scura.
Il
giro
dell'isola
è
possibile,
ma
presenta
il
rischio
della
caduta
di
pietre,
smosse
dal
vento
o
dalle
capre
brade,
e
richiede
l'aggiramento
a
nuoto
di
alcune
formazioni
rocciose.
Risalendo
invece
le
ripide
mulattiere,
ci
si
immerge
nella
macchia.
Nella
zona
del
vecchio
cratere
e
sui
fianchi
sommitali
l'ambiente,
più
fresco,
presenta
felci,
distese
di asfodelo,
pochi castagni residui,
erica
ed
altri
arbusti.
La
fauna
è
molto
varia
e
ricca;
in
primavera
e
autunno
compaiono
uccelli
migratori
come
il pellicano,
l'airone
rosso,
l'airone
cenerino,
il
fenicottero
rosa.
Tra
le
specie
stanziali
vi
sono
il corvo
imperiale,
il piccione
selvatico,
il germano
reale,
la berta
maggiore e
la berta
minore,
detta
localmente araghiuni.
Tra
i
rapaci
il falco
pellegrino,
il lodolaio,
il falco
della
regina e
il falco
cuculo.
Tra
i
mammiferi,
il coniglio
selvatico.
Le
case
tradizionali
hanno
il
tetto
piano
per
la
raccolta
dell'acqua
piovana,
che
viene
convogliata
in
grandi
cisterne;
camere
intercomunicanti
affiancate,
che
si
aprono
su
terrazzi
con
sedute
in
muratura
e
tipiche
colonne
a
tronco
di
cono,
sulle
quali
si
appoggiano
le
travi
in
legno
dei
pergolati,
sostegno
di
viti
ombreggianti.
In
molte
case
sono
ancora
sfruttati,
per
conservare
gli
alimenti,
i rifriggiraturi,
piccoli
vani
con
una
porticina,
posti
allo
sbocco
di
cunicoli
di
comunicazione
ipogea,
da
cui
fuoriescono
soffi
d'aria
alla
temperatura
costante
di
una
decina
di
gradi.
Accanto
alle
abitazioni
si
trovano
ancora
numerose
mànnare,
costruzioni
di
pietre
naturali
a
secco,
a
pianta
circolare,
coperte
con
falsa
cupola,
a
cui
si
accede
da
bassi
ingressi
privi
di
serramento,
con
pavimento
in
terra
battuta,
destinate
un
tempo
a
ricovero
di
ovini.
Sull'isola
non
esistono
grotte
in
cui
entri
il
mare;
invece
sul
fianco
ovest,
a
mezza
altezza
ma
impossibile
da
raggiungere
in
sicurezza
se
non
con
tecniche
alpinistiche,
si
trova
una
grotta
popolata
da chirotteri.
Altre
conformazioni
geologiche
tipiche,
oltre
alle sciare,
sono
il Perciato,
lo Scoglio
della
Palumba con
la
prospiciente Praia
della
Palumba e
lo Scoglio
Galera,
alta
quinta
naturale
che
si
inabissa
e
riemerge
pericolosamente
a
pelo
d'acqua
sul
lato
occidentale.
Rappresentano
variegate
opere
d'arte
naturali
gli
scogli
e
le
bancate
di
rocce,
dal
colore
grigio
scuro
al
bruno-arancio
che
sconfina
anche
nel
rosso
vinaceo,
granulose
o
lisce
al
tatto,
trabecolate
o
semplicemente
solcate
da
fessure.
L'isola
è
in
parte
protetta,
essendo
inserita
in
un
Parco
naturale
con
percorsi
segnalati;
ci
si
affida
alla
sensibilità
dei
visitatori
per
l'attenzione
da
prestare
ai
rischi
di
incendi
estivi
e
alla
salvaguardia
di
fiori,
essenze,
insetti
e
animali
selvatici.
Le
case
sono
distribuite
in
sei
agglomerati
principali,
raggiungibili
solamente
percorrendo
mulattiere,
antiche
o
ricostruite,
a
gradoni
di
pietra:
-
Alicudi
porto,
a
livello
del
mare,
posta
tra
il
molo
nuovo,
attracco
per
aliscafi
e
traghetti,
e
il
molo
vecchio,
da
cui
faceva
la
spola
in
precedenza
il
rollo
(barca
a
remi)
verso
le
navi
al
largo,
e
l'arco
di
roccia
detto Perciato.
Vi
si
trovano
le
due
sole
botteghe
di
generi
alimentari
dell'isola,
un
bar,
una
boutique,
l'unico
albergo,
l'ufficio
postale,
la
centrale
elettrica.
Più
in
alto
si
trova
la Chiesa
del
Carmine,
in
posizione
panoramica,
con
la
torre
campanaria
separata
dal
corpo
centrale
dell'edificio.
Ad
Alicudi
non
esistono
agenzie
bancarie,
bancomat
e
farmacie.
-
Contrada
Tonna,
antico
insediamento
con
suggestivi
edifici
in
puro
stile
eoliano,
è
la
frazione
più
ad
ovest
dell'isola.
-
San
Bartolo o Montagna,
borgo
posto
ad
una
altezza
di
circa
370
metri
e
a
quasi
mille
gradini
dal
mare,
in
passato
era
il
principale
abitato
dell'isola,
permettendo
ai
contadini
di
raggiungere
le
campagne
coltivate.
Oggi
è
del
tutto
disabitato.
A
poca
distanza
si
trova
la Chiesa
di
San
Bartolo,
risalente
al
1821,
edificata
sui
resti
di
una
sacrestia
seicentesca
e
considerata
l'unico
monumento
storico
dell'isola.
-
Contrada
Pianicello,
posta
alla
medesima
altezza
di
S.
Bartolo
ma
più
ad
ovest,
è
abitata
da
una
popolazione
di
madrelingua
tedesca.
Non
vi
arrivano
acqua
corrente,
né
energia
elettrica.
-
Contrada
Sgurbio,
anch'essa
alla
stessa
quota
di
S.
Bartolo,
sulle
balze
di
un
costone
nel
lato
Est
dell'isola.
Questa
piccolissima
frazione
è
composta
da
cinque
case,
ad
ognuna
delle
quali
è
stato
dato
il
nome
di
uno
dei
sensi
del
corpo
umano.
-
Bazzina,
ultimo
gruppo
orientale
di
case
ed
unica
località
pianeggiante
dell'isola
in
riva
al
mare.
È
raggiungibile
solo
in
barca
o,
partendo
dalla
Chiesa
del
Carmine,
attraverso
un
sentiero
a
strapiombo
sul
mare. Bazzina
Alta è
stato
il
primo
borgo
ad
essere
stato
abbandonato
dagli
isolani
e
sovrasta
l'omonimo
abitato
costiero.

Il
mare
sfoggia
un
intenso
colore
blu
alla
Yves
Klein,
che
ti
avvolge
arrivando
in
aliscafo
da
Lipari,
oppure
in
alternativa
col
battello
dalla
costa
messinese.
Alicudi,
la
seconda
isola
più
piccola
e
quella
meno
abitata
delle
Eolie,
è
un
cono
vulcanico
che
spunta
soltanto
un
po’
dall’acqua.
Per
il
resto,
quasi
un
chilometro
e
mezzo,
vi
è
immersa
completamente
e
verticalmente. Non
ci
sono
strade
né
automobili,
soltanto
mulattiere
risalenti
agli
anni
Venti
del
secolo
scorso. Le
valigie
e
le
merci
vengono
caricate
in
groppa
a
Otto
e
agli
altri
sei
muli
che
scalano
agili
i
gradoni,
detti
«lenze»,
sino
alla
sommità,
posta
alla
quota
di
675
metri.
La
vita
dei
180
alicudani
ruota
tutta
intorno
alla
piazzetta
dedicata
a
San
Giuseppe:
i
pescatori
–
sono
quattro
e
si
chiamano
Silvio,
Fabio,
Alduccio
e
Dario
–
ormeggiano
le
proprie
barchette
stipate
di
palloni
da
calcio
in
plastica
e
offrono
i
loro
saraghi
a
chi
si
addentra
un
poco
in
mare
per
contrattare
il
pescato
o
accordarsi
sull’orario
della
cena
a
casa
loro,
dove
le
mogli
cucinano
per
gli
amanti
del
mare,
del
trekking
e
della
solitudine
che
scelgono
di
avventurarsi
sino
a
qui.
Ma
Alicudi
non
è
un’isola
per
eremiti. Al
bar
L’Airone
sul
molo
che
porta
alla
scenografica
spiaggia
di
Perciato,
dove
le
rocce
laviche
paiono
sparate
dalla
bocca
del
vulcano
come
turaccioli
di
bottiglie, c’è
sempre
una
folla
che
si
disseta
dall’arsura
già
in
giugno mangiando
granite
alla
mandorla
e
al
gelso o
sorseggia
avidamente
i
sorbetti
al
limone.
Mentre
lì
accanto, all’ora
dell’aperitivo –
il
momento,
insieme
all’alba,
in
cui
la
sagoma
di
solito
un
po’
sinistra
di
Stromboli
fa
capolino
e
magari
anche
l’inchino
all’orizzonte
– ci
si
ritrova
con
le
birre
e
i
panini
comprati
all’alimentari
di
Luca
Baratta:
ricercatore
universitario
che
d’estate
torna
sull’isola
per
dare
una
mano
ai
suoi
genitori.
Pochi
metri
più
avanti
si
può
cenare
sotto
la
veranda
tinteggiata
di
bianco
dell’Hotel
Ericusa oppure andare
a
casa
di
Pino
La
Mancusa,
pittore
e
cantastorie,
il
quale
con
la
moglie
cucina
divinamente
e
nelle
notti
di
luna
piena
intona
nenie
agli
astri.
I
giornali
arrivano
soltanto
il
giovedì
e
nelle
case
che
si
affittano
la
televisione
non
c’è.
Per
trovarne
una
bisogna
chiedere
alle
signore
che
dai
balconi
osservano
col
binocolo
l’arrivo
dei
traghetti,
oppure
vendono
sugli
usci
frullati
di
fichi
d’India
e
barattoli
di
capperi.
Mentre
ci
si
inerpica
diretti alla
chiesa
di
San
Bartolo,
il
primo
belvedere
dell’isola
posto
a
quota
754
gradini,
e
a
quello
successivo
e
un
po’
più
arduo
di Pianicello,
si
imparano
a
riconoscere
il
citiso
delle
Eolie,
l’erica
arborescens,
il
lentisco,
la
ferula
communis
che
crescono
selvagge
e
indomite
anche
accanto
alla
casa
in
cui
Nanni
Moretti
girò
alcune
scene
di
Caro
diario.
Da
lì
si
può
scendere
alla spiaggia
di
Bazzina,
dove
il
paesaggio
si
cheta.
Tanto
che
ci
si
può
anche
mettere
a
correre
sull’arenile
di
rocce
tonde
e
sassi
rossi,
per
poi
tuffarsi
nuotando
liberi
e
nudi
nell’azzurro
circondati
da
massi
in
granito
a
forma
di
pinne
e
dorso
di
squalo,
mentre
Stromboli
vi
osserva
accigliato
da
lontano. Giurassico
è
il
trekking
verso
la
contrada
di
Tonna
dove
le
case
sono
bianche
e
piene
di
archi,
abitate
da
artisti
un
po’
solitari
e
abbastanza
eccentrici,
che
volentieri
vi
invitano
a
raggiungerli
sulle
terrazze
sfoggianti
colonne
e
sedute
dette
«bisuoli»;
sulle
quali
infine
accoccolarsi
a
scrutare,
con
un
calice
di
malvasia
eoliano,
l’orizzonte
blu.
Pag.
2
Pag.
4 |