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Vulcano
Dai greci
detto Hiera, poiché secondo la mitologia su questa isola si situavano le
fucine di Efesto,
dio del fuoco e fabbro che
aveva per aiutanti i Ciclopi.
Di essa parlano Tucidide e Aristotele.
Gli studi
di alcuni noti archeologi ed etno-antropologi, convergono
nell'identificare il sito, come Isola dei morti. Sulla base di alcuni
indizi, essi sostengono che da tutte le isole Eolie, i morti venissero
trasportati qui tramite rudimentali imbarcazioni, onde essere purificati
dal dio del fuoco, con riti sacri. Il mancato ritrovamento di cadaveri fa
supporre che, alla fine dei riti, le salme venissero trasportate e sepolte
nelle isole di appartenenza. Diversamente altri sostengono che i cadaveri
venissero seppelliti sull'Isola, ma la natura vulcanica del terreno ha
cancellato ogni traccia dei resti umani. Le numerose, antichissime, grotte
scavate nella roccia, presenti in località Piano, sembrerebbero essere
legate ai suddetti riti funerari.
Successivamente
i Romani ribattezzarono il dio Efesto, col nome di Vulcano,
conseguentemente l'isola venne così chiamata. Ed è da qui che derivano i
termini vulcano e vulcanesimo.
Come si legge nella Guida di Messina e dintorni del 1902: «In
quelle acque, Ottaviano,
durante la guerra con Sesto
Pompeo, pose la sua stazione navale».
Vulcano
rimase quindi disabitata per secoli. Intorno al 510, re Teodorico vi
relegò, per punizione, il curiale Iovino. Il normanno Ruggero
I, conte di Sicilia, intorno all'anno 1083 fece donazione
dell'Isola, insieme ad altre dell'arcipelago, al Monastero di San
Bartolomeo dei monaci benedettini di Lipari, tramite il suo Abate
Ambrogio. All'epoca le isole erano quasi disabitate e infestate dalla
pirateria arabo-islamica. La chiesa locale costituiva per il Re, una base
di informazioni e un campanello d'allarme. Le isole, colonizzate dalla
Chiesa, potevano vedere un incremento della popolazione e lo sfruttamento
delle risorse naturali. La bolla che Urbano II inviò ad Ambrogio il 3
giugno 1091 inizia proprio ricordando il diritto della Chiesa di Roma
sulle isole risalente all'imperatore Costantino.

Quindi
per secoli l'Isola di Vulcano rimase sotto il dominio della Chiesa di
Lipari. Nel 1813 giunse da Napoli il generale Don Vito
Nunziante, con nulla osta regio, onde potere acquistare terre nelle
Isole Eolie, dalla Mensa Vescovile di Lipari. Egli con due atti separati,
ma entrambi dell'8 aprile 1813, ottenne in enfiteusi, dal Vescovo Mons.
Francesco Todaro, dieci “salmate” di terra in Vulcano, in zona Porto
di Levante, e altrettante in Contrada Porto Ponente. Alla morte di
Nunziante, gli eredi, intorno al 1873 entrarono in contatto con un certo
James Stevenson, ricco signore di Glasgow, interessato all'acquisto di
grandi quantità di zolfo, che forniva al Regno Unito e alla Francia.
L'atto di vendita fra gli eredi di Nunziante e James Stevenson, venne
stipulato nel 1873. L'industria artigianale per la lavorazione dello
zolfo, già avviata nel XVIII, venne ripresa da Nunziante e incrementata
dallo Stevenson. Per i lavori venivano utilizzati i coatti, prigionieri
condannati ai lavori forzati, alloggiati alla meno peggio in dei
“cameroni”, tuttora esistenti, nei quali si lavorava anche lo zolfo.
La notte
del 3 agosto 1888, l'eruzione del Vulcano poneva fine a tutte le attività
lavorative. La moglie dello Stevenson, terrorizzata, obbligò lo stesso ad
abbandonare l'isola e a fare ritorno in Scozia. Alla morte dello
Stevenson, nel 1903, i suoi beni di Vulcano vennero acquistati dalle
famiglie Favaloro e Conti.
Dalla
fine dell'800 cominciarono ad arrivare dalla Sicilia i primi contadini in
cerca di fortuna. Da Gelso, ove vi era una sorta di porto naturale per le
barche, i lavoratori della terra, a dorso di asini e muli, si spostavano a
Vulcano Piano, zona pianeggiante a circa 400 metri di altitudine s.l.m.
Proprio a Gelso ritroviamo la prima chiesa dell'isola (Sec. XIX), poco più
che una stanza, tuttora esistente. Vulcano Porto si cominciò invece a
popolare nel XX secolo, con la presenza di pochissimi nuclei familiari,
provenienti dalle coste siciliane e dalla vicina Lipari.
Solo
intorno al 1950 Vulcano iniziò ad essere frequentata da turisti, che oggi
costituiscono la maggiore risorsa economica dell'isola.

Dopo
l'ultima eruzione avvenuta
tra il 1888 e il 1890, l’attività del vulcano si è limitata alle
fumarole che conferiscono all’acqua della spiaggia di Porto Levante,
riscaldata dall’anidride solforosa, effetti benefìci sulla pelle.
Da
lì si parte per salire al Gran Cratere, un’ascesa di poco meno di 3
chilometri, dove la sabbia vulcanica del primo tratto è presto sostituita
dal tufo argilloso su cui l’acqua piovana ha scavato profondi solchi; il
premio per chi arriva in vetta è costituito dalla visione dell’enorme
cratere (500 metri di diametro) immerso nel paesaggio lunare e dal
panorama mozzafiato che si può ammirare tutt’intorno.
Altri
due crateri si trovano nelle vicinanze: Vulcano Vecchio, a sud,
rappresenta il cono originario e raggiunge i 500 metri di altitudine; il
Lentia, a nordovest, è di dimensioni molto minori.
Il
più giovane è invece Vulcanello: secondo quanto riporta Plinio il
Vecchio (23-79), eruttò per la prima volta nel 183 a.C. Ai tempi era
un’isola distinta da quella principale, cui si unì solo in seguito a
un’eruzione avvenuta nel Cinquecento, grazie all’Istmo di Vulcano:
Vulcanello disegna una penisola - che si protende verso nord e verso
Lipari - al cui interno è ospitata la Valle dei Mostri, costituita da
rocce che richiamano le forme di animali mitologici.
Il
borgo, con la sua vasca termale naturale all'aperto, sorge tra le due baie
speculari di Porto di Ponente e di Porto di Levante, entrambe dotate di
una spiaggia nera. Assai più selvaggi sono gli arenili posti nell'estremo
sud dell'isola, raggiungibili percorrendo l'unica strada che taglia
Vulcano in direzione nord-sud. D'obbligo una sosta per un bagno in acque
da favola sulla spiaggia di Gelso o di Punta dell'Asino. Due ultimi must
sono il periplo in barca dell'isola che permette di bagnarsi nella Piscina
di Venere, anfiteatro naturale tra le rocce della costa nordoccidentale,
e una passeggiata sul cratere spento di Vulcanello. Ai suoi piedi, nella
Valle dei Mostri, spuntano inquietanti concrezioni di aguzza lava nera.
Vulcano è costituita da tre sistemi vulcanici sorti in epoche diverse. A
sud si trova il cratere più antico che, sottoposto a intensi fenomeni di
erosione, è praticamente smantellato. Il secondo è un cono vulcanico di
sette chilometri di circonferenza che continua a emettere fumarole e
zolfatare ad altissima temperatura. A nord, un'esplosione sottomarina ha
creato Vulcanello, un sistema di 123 metri di altezza di forma circolare,
con tre crateri, unito all'isola da colate laviche emesse nel corso della
stessa eruzione. Un affascinante fenomeno nello zoccolo sottomarino di
Vulcanello è costituito dalle sorgenti di acqua dolce calda che fanno
ribollire l'acqua del mare. L'eruzione, naturalmente di tipo vulcaniano,
è caratterizzata dall'emissione di lave viscose, tipo pietra pomice,
che si raffreddano con molta rapidità producendo colate di estensione
limitata.

Durante le esplosioni, più o meno
violente, vengono scagliate
bombe, lapilli e ceneri. Il cratere che si genera è il risultato di tali
esplosioni. Fin dalla più remota antichità, quest'attività vulcanica
impressionò talmente le popolazioni locali che l'isola venne considerata
come dimora del dio del fuoco, Efesto per i Greci, Vulcano per i Romani.
Tali credenze continuarono in epoca cristiana: Vulcano venne infatti
considerata come "anticamera dell'inferno". Ma le particolarità
dell'isola non finiscono qui: nei mesi estivi il suolo assume una
speciale colorazione dovuta a sublimazioni fumaroliche e solfato di ferro
e alluminio trasudati dal terreno, colorazione che viene lavata via dalle
precipitazioni piovose. Davanti alla spiaggia si verifica anche il
tipico fenomeno del gorgoglio dell'acqua provocato da fumarole
sottomarine.
Nella Baia di Ponente si trova la spiaggia più popolare
dell'isola, le Sabbie Nere. La Grotta del Cavallo, a nord della Punta
della Sciara del Monte, si presta invece a incredibili giochi di luce.
L'apertura della grotta consente l'ingresso di una piccola imbarcazione,
che può proseguire fino al punto terminale dell'antro.
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Stromboli
Stromboli
è nota, frequentata e abitata fin dall'antichità remota di cui è noto
l'importante villaggio
preistorico di San Vincenzo, e la sua economia si è sempre fondata
sulle produzioni agricole tipicamente mediterranee: olivo, vite, fichi -
e poi sulla pesca e sulla marineria. Fino al XIX
secolo questa economia fu fiorente e nel 1891 Stromboli arrivò
a contare circa 2 700 abitanti secondo i dati ufficiali a
disposizione.
Il
peggioramento delle condizioni economiche seguito all'unità d'Italia, il
ripetersi di eruzioni e terremoti (in particolare l'eruzione del 1930) e
infine l'attacco della peronospora che
negli anni
trenta sterminò la più redditizia coltura locale, quella
della vite,
fecero sì che una grandissima maggioranza degli stromboliani prendesse la
via dell'emigrazione,
soprattutto verso l'Australia e
l'America e
l'isola rischiò seriamente di restare abbandonata.
Venne
riscoperta dopo la guerra da Roberto
Rossellini che, con il film del 1949 Stromboli
terra di Dio (con protagonista femminile la giovane Ingrid
Bergman), portò l'isola e la sua straordinarietà all'attenzione
del pubblico.

La
gente del posto lo chiama Iddìi, “lui” in siciliano: il vulcano che dà
il nome a Stromboli è per i suoi abitanti una presenza fissa, costante,
una divinità che è meglio non nominare direttamente, se non si vuole
rischiare di scatenarne la furia. In fondo è uno dei vulcani più attivi
al mondo, le cui regolari esplosioni si susseguono generalmente a distanza
di pochi minuti: a causarle sono bolle di gas che risalgono più
velocemente del magma circostante e avvengono dalle bocche eruttive poste
a 750 metri sul livello del mare (la sommità del vulcano è a 926). Le
colate laviche vere e proprie sono più rare ma non infrequenti e si
riversano nel versante nordoccidentale, lungo la Sciara (“strada”) del
Fuoco, giungendo da lì direttamente in mare senza rappresentare un
pericolo per i centri abitati dell’isola. Proprio la Sciara del Fuoco è
una delle attrazioni di Stromboli. La si può ammirare dal Semaforo di
Punta Labronzo, all’estremità settentrionale,
e gli amanti del trekking possono raggiungerla grazie a sentieri
costeggiati da palme, ulivi, fichi d’india, bougainvillee e
capperi.
Il
vulcano determina anche le spiagge nere dell’isola, con ciottoli scuri
di origine lavica. Per chi vuole ritrovare intatta l’antica architettura
eoliana, il borgo marinaro di Ginostra rappresenta l’approdo ideale;
fino a qualche anno fa poteva vantare il porto più piccolo del mondo, in
cui trovavano posto solo tre imbarcazioni, mentre le altre erano messe in
secca e calate in acqua alla bisogna. In
prossimità si trovano le I ’iscinette di Ginestra, create dalle rocce
che circondano il molo, dove l’acqua assume sfumature dal turchese
all’indaco. A circa un 1,5 chilometri dalla costa, ecco lo
Strombolicchio: questo vulcano spento da millenni è oggi una minuscola
isola a picco sul mare che ospita fiori rari e la lucertola delle Eolie, a
rischio estinzione; secondo una leggenda, si tratterebbe del tappo dello
Stromboli, lanciato in mezzo al mare durante un’eruzione particolarmente
violenta.
La
zona del Porto, è il centro dell'Isola, lungo la costa nordorientale
dell’isola. Appena sbarcati a Punta Scari, si nota subito il
fascino di quest’isola con alte scogliere spezzate da piccole spiagge di
sabbia nerissima alternate da insenature e grotte, le bianche case
mediterranee, gli agrumi che si poggiano sopra un aspro ma fascinoso cono
vulcanico appartato in un mare blu intensissimo. Uscendo dal porto si
trova una strada che si immette direttamente all’interno del centro
abitato con i negozietti tipici dove è possibile degustare le
delizie locali.
Dalla
piazza di San Vincenzo, che prende nome dall'omonima Chiesa, inizia una
salita che conduce sulla cima dello Stromboli.
Il
sentiero, fino a quota 450 mt, si presenta poco insidioso, con una
vegetazione composta principalmente da arbusti. Il tratto successivo è più
impegnativo, pertanto è necessaria una guida specializzata che potrete
trovare facilmente sull'Isola. Il tempo di percorrenza fino alla cima del
vulcano è di circa due ore ma lo sforzo sarà ripagato quando vi
troverete immersi in un paesaggio arido e deserto, dove i crateri, con la
continua attività eruttiva, dominano tutto lo scenario.

Tornando
al paese, dopo la Chiesa di San Vincenzo, incontriamo a Chiesa di San
Bartolomeo, struttura realizzata nel 1801.
Proseguendo dalla chiesa si arriva facilmente a Piscità, la strada
porta fino ad un’ampia spiaggia di sabbia nera che delimita la fine del
centro abitato e l’inizio della della Sciara del Fuoco.
All’estremità di Piscità vi è una stradina alquanto polverosa ma
ricca di macchia mediterranea che conduce all’osservatorio, oggi
trasformato in ristorante (fatevi accompagnare dalle classiche apette
adibite al trasporto di persone), il luogo dista solo 100 m dal cratere.
Di sera, mentre comodamente gusterete la vostra cena, potrete vedere le
meravigliose esplosioni ed i lanci di lapilli, eventi che si ripetono in
media ogni 15/20 minuti.
Durante
gli spostamenti notturni non dimenticate di portare con voi una torcia,
l’isola per volontà dei locali non è illuminata per permettere
un'ottima visione del cielo stellato!
Il
secondo centro abitato, Ginostra, è un piccolo paesino lungo la
costa sudorientale raggiungibile unicamente via mare. Il paese, che
conta una trentina di abitanti, si distende su un ripido pendio in cui le
poche case, tutt’oggi, mantengono l’architettura eoliana tradizionale
intatta. Per coloro che amano la pace e la tranquillità questo è un vero
paradiso, gli unici rumori percepiti sono quelli del vento e del mare.
I
fondali a Stromboli sono molto profondi e regalano esperienze uniche a
coloro che amano le immersioni; a Lazzaro, dove un vecchio
scivolo di alaggio conduce comodamente a mare. Nella zona antistante la
chiesa, alla profondità di 15/20 metri, vi è un relitto di una vecchia
nave militare.
Un
piccolo isolotto vulcanico, sito a circa un miglio da Stromboli,
rappresenta il punto più settentrionale di tutta la regione siciliana.
Aspro, inabitato, lo Strombolicchio si erge fino a 50 m di
altezza e si estende su una superficie di 300 m² . Il piccolo isolotto è
un raro esempio di collo vulcanico (neck).
I capperi
Il
cappero ha trovato nelle Eolie l’habitat perfetto per prosperare, grazie
al clima caldo e ventilato e al fertile suolo vulcanico delle Sette Perle.
Il
fiore del cappero è di una bellezza unica, tanto da meritarsi
nell’antica Grecia l’appellativo di “orchidea del Mediterraneo”.
Tuttavia, per gustare il cappero è fondamentale che non si arrivi alla
fioritura: per arrestare il processo, i capperi appena raccolti vengono
stesi su teli di juta.
a
coltivazione del cappero su queste isole ha radici antichissime. In realtà,
quello che chiamiamo cappero è il bocciolo del fiore, mentre i frutti
veri e propri, i “cucunci”, sono simili a piccoli cetrioli e vengono
di solito conservati sotto aceto o sotto sale e serviti come antipasto. La
fama di quello che è probabilmente il prodotto gastronomico più celebre
della zona inizia a crescere nel XVII secolo, quando il Cappero delle
Isole Eolie (che recentemente si è guadagnato
il marchio DOP dall’Unione Europea) viene menzionato nella
corrispondenza mercantile insieme al vino dolce prodotto
nell’Arcipelago.
La
pianta trova nelle Eolie il suo habitat ideale, perché al fertile suolo
vulcanico e al clima caldo e ventilato si aggiunge l’azione del mare, la
cui presenza garantisce l’umidità che porta alle cosiddette
“precipitazioni occulte”, in grado di fornire alla vegetazione un
surplus d’acqua. Alle condizioni ambientali va sommato poi il fattore
umano, che ha portato alla selezione delle cultivar migliori per
l’ecosistema.
La
raccolta avviene a mano, tra maggio e agosto, solitamente alle prime luci
dell’alba per evitare la calura: i capperi vengono poi sistemati in
grossi contenitori (le tineddé), alternati a strati di sale grosso, e
travasati nei giorni successivi per evitare il processo di fermentazione;
dopo una quarantina di giorni sono pronti per impreziosire le specialità
eoliane e deliziare il palato dei locali e dei turisti.

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