Il
territorio della regione è costituito quasi interamente dall'isola
omonima, la più grande isola
dell'Italia e del Mediterraneo,
nonché la 45ª
isola più estesa nel mondo, bagnata a nord dal Mar
Tirreno, a ovest dal Canale
di Sicilia, a sud-ovest dal Mar
di Sicilia, a sud-est dal canale
di Malta, a est dal Mar
Ionio e a nord-est dallo stretto
di Messina che la separa dalla Calabria,
con la parte rimanente che è costituita dagli arcipelaghi delle Eolie,
delle Egadi e
delle Pelagie e
dalle isole di Ustica e Pantelleria.
È la regione
più estesa d'Italia, la quarta per popolazione (dopo Lombardia, Lazio e Campania),
e il suo territorio è ripartito in 390
comuni a loro volta costituiti in tre città
metropolitane (Palermo, Catania e Messina)
e sei liberi
Consorzi comunali.
Le
più antiche tracce umane nell'isola risalgono al 12.000 a.C. circa. In
era preistorica fiorirono le culture dette di Stentinello,
di Castelluccio,
di Thapsos,
e da qualche decennio è stata indiziata anche una "cultura"
dei dolmen.
Popoli provenienti dal Medioriente e da ogni parte d'Europa vi
s'insediarono nei vari millenni: tra essi i Sicani,
i Siculi e
gli Elimi.
L'VIII
secolo a.C. vide la Sicilia colonizzata dai Fenici e
soprattutto dai Greci e
nei successivi 600 anni divenire campo di battaglia delle guerre
greco-puniche e romano-puniche.
L'isola fu poi assoggettata dai Romani e
divenne parte dell'impero fino alla
sua caduta nel V
secolo d.C..
Fu
quindi terra di conquista e, durante l'Alto
Medioevo, conquistata da Vandali,
dagli Ostrogoti,
dai Bizantini,
dagli Arabi e
dai Normanni con questi ultimi che fondarono il Regno
di Sicilia, che durò dal 1130 al 1816; fu conquistato dagli
Angioini e con la rivolta
del vespro passò agli Aragonesi.
L'isola poi divenne un vicereame di Spagna, passò brevemente ai Savoia
e all'Austria e, infine, nel XVIII secolo, ai Borbone, sotto i quali,
unito il regno
di Sicilia al regno
di Napoli, sorse nel 1816 il Regno
delle Due Sicilie. La Sicilia fu unita allo Stato
italiano nel 1860 con un plebiscito,
in seguito alla spedizione
dei Mille guidata da Giuseppe
Garibaldi durante il Risorgimento.
A partire dal 1946 la Sicilia, è divenuta regione
autonoma, e dal 1947 ha nuovamente un proprio parlamento, l'Assemblea
regionale siciliana o ARS, istituita ancor prima della
nascita della Repubblica
italiana.
La Sicilia è
l'isola più grande del mar
Mediterraneo. Si affaccia a nord sul mar
Tirreno, a nord-est è divisa dalla penisola dallo stretto
di Messina ed è bagnata a est dal mar
Ionio, a sud-ovest è divisa dall'Africa dal canale
di Sicilia.
L'isola
ha una forma che ricorda approssimativamente quella di un triangolo i
cui vertici sono:
-
Capo Peloro (o Punta
del Faro) a Messina, al vertice nord-orientale
-
Capo Boeo (o Lilibeo) a
Marsala, al vertice nord-occidentale
-
Capo Passero a Portopalo,
al vertice sud-orientale.
-
Capo Peloro, inoltre, rappresenta l'estremità orientale della regione;
le isole di Pantelleria, Strombolicchio e Lampedusa, invece,
rappresentano rispettivamente le estremità settentrionale, occidentale
e meridionale.
La
Sicilia appartiene in parte alla placca sicula-iblea, a sua volta
appartenente in gran parte alla placca
africana e alla placca
euroasiatica per una piccola area nord-orientale.
Lo scorrimento della placca africana che per subduzione si immerge sotto
quella euroasiatica ha determinato la creazione dei rilievi montuosi
della regione, nonché la presenza di frequenti attività
sismiche sia di origine tettonica sia vulcanica.
Tra
5,96 e 5,3 milioni di anni, durante il Messiniano (ultima
fase del periodo Miocene),
il Mediterraneo rimase isolato dall'oceano
Atlantico probabilmente a causa di un aumento dell'attività
tettonica. Ciò portò alla crisi
di salinità: il mar Mediterraneo incominciò a evaporare più
velocemente e la concentrazione del sale aumentò. Carbonati e solfati vennero
depositati in grandi quantità sui fondali e ne è rimasta traccia a
lungo nelle miniere di salgemma e gesso che
si possono trovare tuttora nelle province di Agrigento, Caltanissetta ed
Enna.
Un
fenomeno geologico peculiare è il vulcanesimo
sedimentario, riscontrabile nei siti delle macalube
di Aragona, in provincia di Agrigento, e delle maccalube
di Terrapelata, a Caltanissetta. Questo raro fenomeno rende
l'area interessata brulla, di colore biancastro e popolata da una serie
di vulcanelli
di fango, alti intorno al metro. Il fenomeno è legato alla
presenza di terreni argillosi poco consistenti, intercalati da livelli
di acqua salmastra, che sovrastano bolle di gas metano sottoposto
a una certa pressione. Il gas, attraverso discontinuità del terreno,
affiora in superficie, trascinando con sé sedimenti argillosi e acqua,
che danno luogo a un cono di fango, la cui sommità è del tutto simile
a un cratere
vulcanico. Il fenomeno assume talora carattere esplosivo, con
espulsione di materiale argilloso misto a gas e acqua scagliato a
notevole altezza.
La
regione e le isole circostanti sono interessate da un'intensa attività
vulcanica. I vulcani più importanti sono: Etna, Stromboli e Vulcano.
Essi hanno la singolarità di appartenere a tre tipologie differenti:
eruzioni di lave basaltiche intervallate a periodi di calma il primo;
eruzioni continue, e fontane di lava,
il secondo, le cui caratteristiche sono state prese come modello
tipologico dagli scienziati del settore, che hanno coniato il termine Tipo
stromboliano per designare le attività similari dei vulcani
terrestri; infine di tipo esplosivo o pliniano il terzo,
caratterizzato da lunghi periodi di apparente calma ed eruzioni
violente.
Infine
si ricorda l'attività eruttiva che nell'Ottocento,
nella zona del canale di Sicilia oggi denominata banco di Graham, ha
portato alla nascita dell'effimera isola
Ferdinandea.

La
Sicilia è una regione totalmente insulare: è costituita, oltre che
dall'isola principale, da un insieme di arcipelaghi e
di isole
minori che formano circa l'1,11% di tutta la superficie
regionale (circa 285,4 km² su 25.711 km² totali). Compresa
l'isola di
Sicilia, vi sono 19 isole abitate (33.172 abitanti nelle sole
isole minori).
I
principali gruppi di isole del grande arcipelago della Sicilia sono le Eolie,
le Egadi e
le Pelagie;
le isole
dello Stagnone e le isole
Ciclopi, invece, costituiscono due piccoli arcipelaghi
rispettivamente a ovest e a est dell'isola siciliana, di fronte le coste
di Marsala, nel trapanese,
e di Aci
Trezza, nel catanese.
Ustica e Pantelleria,
nel mar
Tirreno e nel canale
di Sicilia, formano due distinti comuni delle province
di Palermo e Trapani. I centri storici di Siracusa e Augusta,
nel siracusano,
sono situati su due isole collegate alla terraferma.
Sono
collegate all'arcipelago siciliano, da un punto di vista prettamente
geografico, anche le isole
Calipsee, formanti la Repubblica
di Malta; al contrario, due delle Pelagie (Lampedusa e Lampione)
rappresentano un territorio periferico della Repubblica
Italiana, trovandosi, geograficamente, nel continente
africano.
La
Sicilia è una regione prevalentemente collinare (per
il 61,4% del territorio), mentre per il 24,5% è montuosa e
per il restante 14,1% è pianeggiante (la
pianura più grande è quella di Catania).
Il rilievo è vario e, mentre nella Sicilia orientale si può
riconoscere nell'Appennino
siculo l'ideale continuazione dell'Appennino
calabro, la Sicilia centrale e occidentale ospita massicci
isolati. Si trova nelle Madonie la
seconda vetta più alta dell'isola: il pizzo
Carbonara (1979 metri).
Al centro
della Sicilia vi sono i Monti
Erei su cui si trova, a 948 metri di altezza, la città di Enna;
mentre nella fascia sud-orientale tra la provincia ragusana e quella
siracusana troviamo i monti
Iblei la cui cima più alta, il monte
Lauro, arriva a un'altezza di 986 m. A ovest sorgono altri monti
dall'altezza variabile, come i Sicani,
la cui cima più alta è il monte
Cammarata (1578 metri), e i monti che circondano la Conca
d'Oro, la pianura dove, affacciata sul mare, si estende Palermo,
città capoluogo di questa regione.
A
est si erge, visibile dallo Stretto
di Messina, nonché dalla cima calabrese dell'Aspromonte,
la cima innevata dell'Etna,
alto 3.323 metri. Con le sue frequenti eruzioni, l'Etna ha ricoperto il
territorio circostante della sua lava nera. Contrariamente a quanto si
potrebbe pensare, però, la vicina piana di Catania non
è di origine vulcanica, bensì di origine alluvionale, essendo stata
creata dai detriti trasportati nei secoli dai fiumi Dittaino,
Gornalunga, Simeto e San Leonardo.
Di
forma triangolare, la Sicilia ebbe nell'antichità il nome di Trinacria.
Le coste settentrionali, alte e rocciose, si aprono sul Mar
Tirreno con frequenti e ampie insenature, come i golfi di Castellammare
del Golfo, di Palermo,
di Termini
Imerese, di Patti,
di Milazzo e molti altri paesi ospitano ampie spiagge coperte di
finissima sabbia come Capo
d'Orlando, Cefalù o Sant'Agata
Militello.
A
est la costa ionica è più varia; strette spiagge di ghiaia fin quasi a Taormina e
fra la foce del fiume
Alcantara e Riposto;
frastagliata verso sud,
con insenature e baie come
quella di Giardini
Naxos; laviche come ad Acireale,
e di aspre scogliere basaltiche fino a Catania.
L'ampio golfo
di Catania presenta una spiaggia di sabbia dorata,
ma al suo termine la costa riprende a essere rocciosa con
una serie di fiordi tra
cui quello di Brucoli.
Quindi l'ampia baia di Augusta,
che ospita il più grande porto commerciale della Sicilia, e il golfo di
Siracusa nel quale la costa riprende a essere sabbiosa fino
quasi a Capo
Passero. Il litorale meridionale - di fronte all'Africa -
è generalmente sabbioso e uniforme nella parte centrale formata dal
golfo più vasto della regione, il golfo
di Gela, mentre si presenta più vario nel ragusano e
nel tratto agrigentino e trapanese.

I fiumi siciliani
sono tutti di portata ed estensione limitata. Quelli appenninici a
nord vengono chiamati fiumare,
e sono a carattere torrentizio in
quanto d'estate sono quasi perennemente in secca. Gli unici corsi
d'acqua che raggiungono delle dimensioni apprezzabili sono l'Imera
Meridionale, il più lungo dell'isola, e il Simeto,
quello con il bacino
idrografico più ampio. Sfociano nel Mar
Ionio il Simeto,
l'Alcantara,
l'Agrò,
il Ciane e
l'Anapo,
nel Mar
Tirreno l'Imera
Settentrionale e il Torto,
mentre nel canale di Sicilia il Platani,
l'Imera
Meridionale (o Salso) e il Belice.
Per
quanto riguarda i laghi naturali,
fatto salvo il Lago
di Pergusa e quello semi-artificiale del Lago
Biviere di Lentini, la Sicilia ne è praticamente priva. Il lago
di Pergusa, di origine tettonica, è celebre per gli antichissimi miti e
leggende che lo riguardano e per la fauna e
per la flora che
lo circonda; tutt'intorno a esso corre un autodromo,
in passato sede di un Gran Premio di Formula
3000. Il lago è stato a rischio di prosciugamento, non avendo immissari,
a causa del costante prelievo di acqua per uso civile.
La
costruzione di dighe ha
creato grandi invasi artificiali, come il lago
dell'Ancipa e il lago
Pozzillo (il maggiore dell'isola). Vanno ricordati anche il lago
Arancio, il lago
Disueri, il lago
di Piana degli Albanesi, il lago
di Ogliastro e il lago
Trinità.
Il clima della
Sicilia è generalmente mediterraneo secco,
con estati calde e molto lunghe, inverni miti e piovosi, stagioni
intermedie molto mutevoli. Sulle coste, soprattutto quella
sud-occidentale e sud-orientale, il clima risente maggiormente delle
correnti africane per cui le estati sono
torride. Durante la stagione invernale, nelle zone interne, le
temperature sono leggermente più rigide, avendosi così un clima
mediterraneo ma con caratteristiche simili a quelle del clima
continentale.
La neve cade
in inverno al di sopra dei 900-1000 metri ma talvolta può nevicare
anche a quote collinari, le nevicate sulle zone costiere e pianeggianti
sono rarissime, quando avvenute sono sempre state molto esigue e
riscontrabili solo durante forti ondate di freddo. I monti interni, in
particolare i Nebrodi, le Madonie e l'Etna, hanno un clima di tipo
appenninico. L'Etna si presenta solitamente innevato da ottobre a
maggio. Soprattutto d'estate non è raro che soffi lo scirocco,
il vento proveniente
dal Sahara.
La piovosità è in genere scarsa e si rivela insufficiente ad
assicurare l'approvvigionamento idrico in alcune province dove possono
avvenire vere e proprie crisi
idriche.
Storia

La
presenza umana nell'area palermitana è attestata sin dall'epoca
preistorica dai graffiti e dalle pitture rupestri delle grotte
dell'Addaura: figure danzanti in un rito magico propiziatorio, forse
"sciamani" di un popolo non identificato che abitò l'isola.
La grotta del del Genovese, nell'isola di Levanzo fu abitata
dall'uomo tra i 10.000 e i 6.000 anni prima di Cristo. Altre grotte
dell'isola, dei Porci, di Cala Tramontana, di Punta Capperi hanno
fornito materiale risalente al paleolitico superiore. L'analisi
stratigrafica al carbonio-14 ha indicato l'anno 9230 a.C.: la
presenza nella sequenza stratigrafica di un frammento calcareo di
notevoli dimensioni, con un bovide inciso, di stile del tutto affine
alle raffigurazioni parietali sulle pareti, ha permesso di ottenere
questa datazione assoluta. La grotta dell'Uzzo all'interno
della Riserva naturale orientata dello Zingaro presenta
analoghe tracce di insediamento.
Scavi
a Lipari hanno prodotto testimonianze stratificate delle civiltà che
dal Neolitico (VI millennio a.C.) in poi hanno colonizzato
l'isola. Lipari era un centro di produzione di ossidiana e di ceramiche.
Significative le rovine di un villaggio neolitico sul promontorio di
Capo Graziano a Filicudi. Non è tuttavia ancora chiara l'identità
o la provenienza dei primi abitanti dell'isola.
Il
capoluogo siciliano fu fondato come città-porto dai coloni Fenici di
Tiro (l'odierno Libano) intorno al 734 a.C. Come luogo d'insediamento
scelsero un promontorio di roccia prospiciente il mare contornato da due
fiumi che corrisponde alla zona occupata attualmente dalla cattedrale di
Palermo e dalla villa Bonanno.
Nel
secolo VI la costa occidentale dell'isola apparteneva ai Cartaginesi,
fondatori di Zyz, Mozia e di Solunto. Rimaneva
importante anche la presenza degli Elimi, che furono i fondatori
delle città di Eryx e Segesta.
La
Sicilia entra in modo più significativo nella Storia con la colonizzazione
greca, che ha inizio con la fondazione di Naxos per opera dei Calcidesi e
di Siracusa per opera dei Corinti, verso la metà
dell'VIII secolo a.C. (circa contemporaneamente alla fondazione di
Palermo); sempre i Calcidesi, ma in data imprecisata, fondarono Zancle.
Naxos, a sua volta fondò Katane e Leontinoi e i greci
megaresi fondarono Megara Hyblaea. Nella prima metà del VII
secolo a.C. sorsero Ghelas per opera dei rodio-cretesi e
poi Akrai ed Eloro per opera dei siracusani.
Selinunte per
opera dei megaresi di Sicilia e Himera, opera dei calcidesi-zanclei,
sorsero a metà del VII secolo. Esse costituiscono le colonie più
occidentali fondate da greci, rispettivamente lungo la costa sud e lungo
la costa nord; peraltro nei secoli seguenti l'influenza greca penetrò
gradualmente anche a Segesta e in altre località della Sicilia
occidentale.
Dal VI
secolo a.C. in poi, i greci fondarono nuove colonie all'interno del
perimetro già colonizzato. Al principio del VI secolo Akragas fu
fondata dai gelesi mentre i siracusani fondarono Kamarina. Verso la
metà del VI secolo greci di origine calcidese giunsero a
Morgantina, molto addentrata nell'interno dell'isola.
Epoca
greca - La
civiltà dei discendenti dei Greci stabilitisi in Sicilia (Sicelioti) è
analoga a quella della Grecia propriamente detta. La loro
entità politica è la "polis", la città-stato; anche quando
si formano stati più vasti, questi sono pur sempre aggregati a essa.
Non pare che nelle città siceliote (come neppure in quelle Italiote)
vi sia stata mai la monarchia, sebbene prerogative monarchiche ebbero
alcuni tiranni sicelioti. L'aristocrazia fondiaria mantenne generalmente
il potere fino alla metà del secolo VI; gareggiò poi con essa la
plutocrazia industriale e commerciale. Successivamente al periodo di
egemonia aristocratica si ha la lotta tra l'aristocrazia e il popolo,
mirante quest'ultimo a ottenere l'uguaglianza dinanzi alla legge (donde
le legislazioni attribuite a personaggi leggendari, tra i quali Caronda)
e la partecipazione ai diritti politici. L'opposizione all'aristocrazia
favorì, come in Grecia, il sorgere dei tiranni, che intorno al 500 a.C.
salirono al potere in quasi tutte le città siceliote.
La
Sicilia fu, al pari della Magna Grecia, un centro di cultura greca:
si ricordano Archimede, Caronda, Empedocle, Epicarmo, Gorgia, Sofrone e Stesicoro.
Splendida fu la fioritura artistica, specialmente nell'architettura
religiosa. Tra la fine del secolo VII e il principio del VI sorsero i
primi templi, per esempio, a Siracusa e Agrigento; nel
corso del VI secolo si ebbero le grandi costruzioni dei templi
dorici. Con le costruzioni architettoniche si sviluppò la decorazione
scultorea: famose sono le metope di Selinunte. Di grande
valore artistico sono anche le monete delle città siceliote.
Al
primo posto per importanza politica in Sicilia fu Siracusa, che divenne
antesignana nella lotta con Cartaginesi ed Etruschi. La sua ascesa
risale al principio del V secolo sotto il tiranno Gelone,
vincitore a Imera (circa 480) dei Cartaginesi, mentre il
fratello e successore Gerone sconfisse gli Etruschi a Cuma per
mare (474). Dopo la sua morte si ebbe a Siracusa una rivoluzione in
senso democratico, che provocò il ristabilimento dell'indipendenza
delle città siciliane assoggettate dai tiranni siracusani. Siracusa
tuttavia proseguì la sua attività marittima estendendola fin
nell'Italia centrale. Si ebbe in Sicilia un tentativo dei Siculi di
liberarsi dal dominio greco e di costituire un regno proprio sotto Ducezio,
che sollevò un vasto movimento di rivolta nazionalistica, una vera e
propria lega sicula, tentativo che finì per fallire (460-440).
Nella
seconda metà del V secolo Atene venne a contrastare la
potenza della dorica Siracusa, ma la grande spedizione ateniese del
415-413 a.C. finì in un disastro. Di quest'indebolimento dei Greci
approfittò Cartagine per una ripresa in Sicilia, occupando
nel 409 a.C. Selinunte e nel 405 a.C. Agrigento. Siracusa
venne alla riscossa sotto il tiranno Dionigi il Vecchio, che però
non spinse a fondo la guerra contro i Cartaginesi perché impegnato
nella sottomissione delle città siceliote e nei tentativi
espansionistici in Italia, ove si spinse fin nell'Adriatico superiore.
Dopo la sua morte si ebbe a Siracusa un lungo periodo di sconvolgimenti,
terminato nel 343 con il ristabilimento della libertà per opera di Timoleonte,
il quale vinse i Cartaginesi, promosse la liberazione delle città
siceliote e la loro alleanza.
Siracusa
riprese la politica egemonica intorno al 316 a.C. per opera del tiranno Agatocle,
che sottomise le altre città greche, assunse il titolo di re (305) e
combatté contro Cartagine. Morto lui (289) Siracusa tornò in
libertà. Premuta nuovamente dai Cartaginesi, essa, assieme ad Agrigento,
invitò Pirro re dell'Epiro che era venuto in Italia su
chiamata di Taranto, a combattere i Romani. Pirro passò in Sicilia
e ottenne successi; ma la discordia insorse tra lui e i suoi alleati ed
egli fece allora ritorno sul continente. I Cartaginesi ristabilirono la
loro potenza su parte dell'isola, mentre Siracusa era impegnata a
difendersi dai Mamertini, mercenari campani impadronitisi di
Messina. Durante la guerra contro di essi si ebbe la costituzione a
Siracusa della nuova tirannia di Gerone II (270) e
l'intervento dei Romani, chiamati dai Mamertini. Di qui l'inizio della prima
guerra punica.
Epoca
romana - A
seguito della prima guerra punica (264-241 a.C.) l'isola fu
assoggettata a Roma, che dopo la vittoria di Torquato Attico e Catulo sulle
truppe cartaginesi di Annone nella battaglia delle Isole
Egadi, ne fece la sua prima provincia Romana: una parte del territorio
venne considerato ager publicus mentre il resto fu
sottoposto a tributo. Vi si mantennero tuttavia, o vi si formarono, città
federate (fra cui Siracusa, che mantenne per alcuni decenni una
limitata autonomia) e municipi romani. Per quanto concerne l'ambito
economico-produttivo il territorio siciliano fu coltivato estensivamente
a frumento per approvvigionare Roma, al punto tale da definire le
Sicilia stessa il granaio di Roma.
Durante
la seconda guerra punica (218-202 a.C.) vi furono ribellioni
siceliote contro i Romani, principalmente ad Agrigento e Siracusa.
Celebre fu il lungo assedio che quest'ultima subì da parte
dell'esercito romano, che culminò nel 212 a.C. con
l'espugnazione e il saccheggio della città. Le misure repressive che
vennero adottate da parte dei vincitori recarono un grave colpo alla
Sicilia. Siracusa divenne una città tributaria, mentre
l'intera popolazione di Agrigento fu ridotta in schiavitù,
venduta e sostituita da siciliani provenienti da zone rimaste fedeli a
Roma. Le confische di beni e territori portarono allo sviluppo del
latifondo e a una stagnazione della popolazione isolana, costituita in
gran parte da schiavi che diedero vita alle guerre servili. Fra
queste ultime rivestì una certa importanza quella scoppiata nel 138
a.C., in cui emerse anche un risveglio di sentimenti d'indipendenza da
parte di alcuni centri abitati dell'isola.
La
rivolta fu capeggiata dallo schiavo Euno, una volta proclamato re
arrivò a contare un esercito di 200.000 Siciliani, la rivolta venne
successivamente soffocata dal console Publio Rupilio. La
feracità dell'isola fece di essa, fin da tarda età repubblicana, una
delle regioni cereagricole più importanti del mondo romano. Dopo la
morte di Giulio Cesare, la Sicilia fu governata, per alcuni anni,
insieme alla Sardegna, da Sesto Pompeo. In età augustea si
moltiplicarono gli stanziamenti dei veterani e dei coloni romani che
favorirono il processo di latinizzazione di gran parte dell'isola. Essa,
tuttavia, nell'ordinamento delle regioni augustee, era considerata come
non facente parte dell'Italia. La concessione generale della
cittadinanza romana fatta a suo tempo da Marco Antonio non fu
tuttavia mantenuta da Augusto, il quale però assegnò alle
principali città lo status di municipio romano o di
colonia latina.
La
Sicilia godette di un relativo benessere fino all'epoca Antonina,
ma nel III secolo partecipò al generale processo di decadenza
economica e politica dell'Impero. Con il nuovo ordinamento
amministrativo ideato da Diocleziano (Diocesi d'Italia) e
mantenuto in massima parte dagli imperatori successivi, la Sicilia, con
la Sardegna e la Corsica, venne unita amministrativamente
all'Italia. All'effimera ripresa culturale ed economica dell'Impero
durante il IV secolo l'isola non restò probabilmente
estranea: di quest'epoca è la celebre villa romana del Casale di Piazza
Armerina, che con i suoi 3.500 m² di mosaici. costituisce uno dei
più superbi esempi di arte romana tardoantica. Attorno alla metà del V
secolo i Vandali di Genserico, stabilitisi in Africa,
s'impadronirono dell'isola.
Epoca
gotica e bizantina - Alla caduta
dell'Impero romano d'Occidente, Odoacre ne ottenne la
restituzione da Genserico dietro pagamento di tributo. Nel 493 Teodorico,
re degli Ostrogoti, ne conservò il possesso senza più pagare il
tributo. I Goti non fecero stanziamenti in Sicilia, rimanendo
effettivamente nel dominio dei latifondisti romani (fra cui
principale il vescovo di Roma) e questo facilitò la sua immediata
adesione al generale imperiale Belisario quando vi sbarcò nel 535 d.C.
incominciando la riconquista della penisola. L'isola rimase per tre
secoli sotto la dominazione bizantina senza far parte né della circoscrizione
italiana, né di quella africana, in dipendenza diretta da Costantinopoli,
come una specie di dominio imperiale. È nota la grandissima influenza
che continuò ad avervi la chiesa romana, che possedeva numerosi
possedimenti amministrati da rettori inviati direttamente dal Papa.
Durante
la dominazione Bizantina la Sicilia dovette subire una pesante
tassazione che impoverì la popolazione.
Nel
VII secolo, incominciarono le incursioni musulmane dall'Africa, che
reputavano la Sicilia come punto strategico da dove si poteva
controllare tutto il mar Mediterraneo. Verso la fine del VII
secolo, la Sicilia sotto il regno di Giustiniano II, divenne uno dei themata (Sikelia)
dell'Impero Bizantino.
La
successiva disgregazione dell'Impero bizantino e la sua debolezza,
alimentarono un forte malcontento in Sicilia, così tra il 663 e
il 668 l'imperatore d'Oriente Costante II trasferì
la capitale dell'impero da Costantinopoli a Siracusa, ma,
anziché portare benefici alla Sicilia e all'Impero, causò una lunga
guerra tra le due città e l'indipendenza del thema di Sikelia.
Il turmarca della flotta siculo-bizantina Eufemio di
Messina, che aveva dichiarato l'indipendenza da Costantinopoli nell'823,
venne cacciato dai nobili locali e sconfitto duramente dai Bizantini
sotto la guida di Fotino, e costretto fuggì in Ifriqiya (all'incirca
l'attuale Tunisia).
Li
Eufemio trovò rifugio presso l'emiro aghlabide di Qayrawān, Ziyadat
Allah I, cui chiese aiuti per realizzare uno sbarco in Sicilia e
cacciare gli odiati bizantini, i musulmani, che forse avevano già
progettato un'invasione delle Sicilia, prepararono una flotta di 70
navi, chiamando al jihād marittimo il maggior numero
di volontari.
Eufemio
assassinato a Castrogiovanni durante l'assedio dell'828-829,
verrà considerato come l'uomo che causò l'invasione islamica
della Sicilia e l'inizio dei due secoli della loro dominazione
sull'isola.
Epoca
islamica - L'occupazione
stabile dell'isola da parte dei musulmani ebbe inizio però
solo con lo sbarco nell'827 a Capo Granitola, presso Marsala. La
conquista proseguì lentamente: nell'831 fu presa Palermo, nell'843
Messina, nell'859 Castrogiovanni. Rimase ancora ai Bizantini (ma
forse è meglio dire in stato di semi-anarchia, dato che le flotte
bizantine lasciarono la Sicilia abbandonata a se stessa) una striscia a
oriente con Siracusa, che cadde solo nell'878, e Taormina, che
resse ancora fino al 902.
L'occupazione
islamica della Sicilia e dei suoi arcipelaghi terminò con Rometta nel
965. Vari fattori assicurarono per secoli il dominio dei musulmani in
Sicilia: l'efficienza del loro sistema amministrativo, fiscale ed
economico (con la dissoluzione del latifondo e la facilità
dei rapporti commerciali con il più avanzato e contiguo mondo nordafricano in
particolare e islamico in genere), la forza delle strutture
militari (che godevano tra l'altro della prossimità degli stanziamenti
musulmani nell'Italia meridionale), la divisione politica delle potenze
italiche e l'impotenza dei vari sovrani cristiani.
Epoca
normanna - Furono
invece i Normanni stabilitisi nel Mezzogiorno che, prima
ancora di compiere la conquista del continente, concentrarono i propri
sforzi per cacciare dall'isola i musulmani, forti del placet papale. Ruggero
I d'Altavilla incominciò l'impresa nel 1060 e la compì nel 1091
tenendo la Sicilia con il titolo comitale come feudo di Roberto il
Guiscardo. A lui succedette Ruggero II, che alla Sicilia riunì il
Mezzogiorno continentale ed ebbe nel 1130 dall'antipapa Anacleto II, e
poi nel 1139 da Innocenzo II, la corona di Sicilia come feudo della
Santa Sede. Scelse come sede reale, la cittadina di Cefalù, dove
fece erigere nel 1131 la Basilica Cattedrale come suo mausoleo. Gli
successe il figlio Guglielmo il Malo (1154-1166), cosiddetto
per la durezza con cui egli, o piuttosto il suo potente ministro,
l'ammiraglio Maione di Bari, represse le rivolte dei grandi,
specialmente di Puglia. Questi si erano rivolti a Federico
Barbarossa e all'imperatore bizantino Manuele I Comneno. Le
milizie bizantine sbarcarono in Puglia, occupando Brindisi e Trani.
Successo
a Guglielmo I il secondogenito Guglielmo il Buono (1166-1189),
il regno si andò pacificando. Nella contesa tra il papato e i comuni da
una parte e il Barbarossa dall'altra, Guglielmo II stette con i primi
per difendersi dalle mire imperiali. Dopo Legnano egli
concluse a Venezia, al pari dei comuni lombardi, una tregua con il
Barbarossa (1177) e la pace a Costanza (1183).
Il
che favorì un'intesa fra impero tedesco e regno normanno: Guglielmo II
fidanzò l'unico discendente legittimo della dinastia, Costanza
d'Altavilla, figlia di Ruggero II, con il figlio del Barbarossa, Enrico
(1184). Il matrimonio fu celebrato a Milano nel gennaio 1186.
Morto
Guglielmo II, contro Enrico VI si levò un forte partito che
gli oppose un rampollo illegittimo della casa normanna, Tancredi, conte
di Lecce, che fu riconosciuto da papa Clemente III. Una prima
spedizione di Enrico VI (1191) non riuscì nella conquista del regno;
una seconda, avvenuta dopo la morte di Tancredi (febbraio 1194), portò
al successo, e alla fine del 1194 Enrico fu incoronato Re di
Sicilia a Palermo. Tentativi di rivolta furono da lui ferocemente
repressi. Egli intendeva fare del regno una base per una grande
spedizione contro l'Impero bizantino, ma la morte sopraggiunse
improvvisamente a Messina nel settembre 1197.
La storia
della Sicilia sotto suo figlio, Federico II, detto stupor
mundi, il quale procedette a un riordinamento generale del regno, è
narrata nella voce relativa; e il seguito di essa in quella su Manfredi.
Caduto questi a Benevento (1266), Carlo I d'Angiò, al
quale il pontefice aveva trasmesso il regno, ne rimase padrone; e vana
riuscì la spedizione di Corradino di Svevia (1268), che venne
decapitato a Napoli.
Epoca
angioina - La
Sicilia fu particolarmente malcontenta del governo angioino,
innanzitutto per il suo fiscalismo. Alcune parziali sollevazioni in
favore di Corradino vennero ferocemente domate con lo sterminio d'intere
cittadinanze, e molti nobili furono spogliati per dare i loro beni ai
francesi. Inoltre la Sicilia si sentiva posposta a Napoli, ove
Carlo aveva la sua sede.
Il
popolo era malcontento anche per il modo licenzioso con cui i francesi
trattavano le donne siciliane: malcontento che scoppiò
nell'insurrezione dei Vespri Siciliani, incominciata il 30 marzo
1282, cui seguirono l'intervento di Pietro III d'Aragona acclamato
re di Sicilia e la guerra cosiddetta del Vespro fra Angioini e Aragonesi.
Epoca
aragonese - Con
la pace di Caltabellotta (1302) la Sicilia rimase a Federico
III di Aragona con il titolo di re di Trinacria. Alla sua morte
l'isola sarebbe dovuta tornare agli Angioini; invece Federico fece
riconoscere per successore il figlio Pietro. Di qui una lunga guerra fra
i due regni che fu inconcludente e assai dannosa, con incursioni
reciproche e sbarchi sulle coste e con la legislazione e l'appoggio dato
a re Roberto; a Pietro successe Luigi (1342-1355). Sotto di lui e il suo
successore Federico III, Giovanna I di Napoli e il marito Luigi
di Taranto intervennero, chiamati da molti signori, ricevettero a
Messina (1356) l'omaggio dei sudditi siciliani e per qualche tempo
furono nella maggior parte dell'isola. Ben presto però Federico riprese
il sopravvento; e nel 1372 fu conclusa la pace, per la quale la Sicilia
rimaneva alla casa cadetta aragonese come del papa.
L'isola
rimarrà indipendente e con una propria dinastia regale fino al 1410
circa. Morto Federico III nel 1377, la successione della figlia Maria
non venne riconosciuta da Pietro IV d'Aragona del ramo
principale, che cedette i suoi diritti sulla Sicilia al secondogenito Martino
il Vecchio, il quale li trasmise al figlio Martino il Giovane.
L'isola si divise in fazione aragonese e siciliana, quest'ultima
dominata dai potentissimi baroni Chiaramonte. La regina Maria fu
fatta prigioniera dalla fazione aragonese, condotta in Catalogna e
maritata a Martino il Giovane, e questi venne coronato a Palermo (1392).
Pure la guerra civile continuò sin verso la fine del secolo. Morti
Maria (1402) e Martino il Giovane (1409), Martino il Vecchio re
d'Aragona si dichiarò erede del Regno di Trinacria; ma, morto
anche lui quasi subito dopo (1410) ed estintasi la casa d'Aragona, seguì
un periodo d'interregno e confusione, finché i siciliani, al pari degli
Aragonesi, riconobbero il figliolo della sorella di Martino il Vecchio, Ferdinando
I d'Aragona, venendo così a riunire i due regni di Aragona e di Sicilia
con l'isola che perdette l'indipendenza.
In
Sicilia i primi re aragonesi emanarono molte costituzioni per difendere
i diritti popolari dagli abusi feudali e fiscali, e costituirono
definitivamente l'istituto del parlamento, un'assemblea d'origine
normanna composta di nobili, clero e deputati delle città regie (cioè
non feudali), cui fu riservato il diritto di deliberare pace e guerra,
di votare le imposte, di censurare i pubblici ufficiali. I re per tener
a freno la nobiltà favorirono anche le libertà municipali; ma,
nonostante tutto questo, i feudatari acquistarono un potere
preponderante a danno dell'autorità regia e dei comuni. Tutto ciò portò
l'isola a una profonda decadenza. Da questi eventi e dalle loro
ripercussioni in Sicilia si favorì la ripopolazione e la costruzione di
nuovi centri abitati, anche da colonie non siciliane.
Alfonso
d'Aragona re di Sicilia, figlio di Ferdinando I d'Aragona,
acquistò anche Napoli nel 1442. Ma alla sua morte (1458) la
riunione ebbe termine, perché la Sicilia passò con l'Aragona al
fratello Giovanni II d'Aragona, mentre Napoli fu lasciata da
Alfonso, come acquisto personale, al figlio naturale legittimato, Ferdinando
I.
Età
moderna - Con Ferdinando
il Cattolico figlio di Giovanni, re di Aragona e di Sicilia,
che condivise con Isabella il governo dei regni di Castiglia e
di Aragona, si ebbe la conquista del Napoletano (1501-03) da lui
operata contro la Francia. Ferdinando regolamentò l'istituto del viceré rendendo
la carica triennale, attuò una grande riforma fiscale che gli assicurò
il consenso parlamentare alla richiesta dei donativi in cambio di una
convocazione certa e regolare del Parlamento, ordinariamente ogni tre
anni, e attuò nel suo lungo regno una serie di riforme che disegnarono
il sistema di governo del regno per i seguenti due secoli.
Prevalentemente
a Palermo (a volte a Messina) risiedé un viceré, alter
ego del sovrano lontano, che doveva attenersi nella sua azione ai poteri
previsti dagli ordinamenti del Regno di Sicilia. Nel sistema
imperiale degli Asburgo di Spagna infatti, ogni Regno o
territorio che ne faceva parte (Castiglia, Aragona, Catalogna,
Sicilia, Sardegna, Napoli, Milano, Paesi Bassi etc.)
manteneva i suoi ordinamenti politici, le sue istituzioni, le sue leggi.
le sue unità di misura, la sua moneta, la sua lingua, e dal punto di
vista giuridico nessuno poteva 'dominare' sugli altri. Il re legittimo,
che casualmente era re e principe di altri territori, poteva esercitare
il potere nei modi e nelle forme stabilite dalle costituzioni del Regno
e dai capitoli sottoscritti e giurati tra re e communitas Siciliae
(regime pattizio). Pertanto le antiche consuetudini, immunità e i
privilegi dei vari ceti (feudalità, nobiltà cittadina, clero)
rappresentati nel Parlamento del Regno rimasero in vigore e la loro
conservazione e salvaguardia costituì l'ideologia ufficiale dei ceti
dirigenti siciliani. Sotto il governo degli Asburgo di Spagna (Carlo V
imperatore, Filippo II, Filippo III, Filippo IV, Carlo
II) la Sicilia ebbe un periodo di grande sviluppo economico, sociale,
religioso, artistico, demografico che grosso modo durò per tutto il
Cinquecento sino ai primi decenni del Seicento, e fu poi coinvolta nella
crisi e nel declino dell'Impero spagnolo (bellicismo, fiscalismo,
tradizionalismo economico e sociale) anche a causa della grande crisi
generale del Seicento e della marginalizzazione del sistema economico
mediterraneo a favore della nuova economia atlantica.
Nel
periodo spagnolo moderno la popolazione siciliana raddoppiò, nacquero
decine di nuovi paesi nell'area interna cerealicola (colonizzazione
interna), Palermo passò da 30.000 abitanti a 140.000, Messina da 25.000
a 90.000, entrando nel ristretto novero delle prime dieci città europee
per popolazione, ricchezza, e bellezza urbanistica, si svilupparono
l'industria dello zucchero e della seta nel Val Demone, decadute
nel Seicento per la concorrenza del lavoro schiavile nelle Americhe e
della rivolta messinese ma sostituite dall'ampliamento dell'area
vitivinicola e agrumicola.
Il
bilancio della presenza spagnola nella Sicilia moderna deve tener conto
dei fattori negativi, dati soprattutto dal conservatorismo sociale,
dalle scelte economiche sbagliate, dall'eccessivo fiscalismo, che
tuttavia furono problemi generali di tutta la società spagnola e non
certo conseguenza di una inesistente dominazione sui siciliani (che a
questi errori contribuirono notevolmente), ma anche dei fattori positivi
tra cui i parecchi secoli di pace interna assicurati dal far parte di
una grande Potenza che bloccò l'espansionismo turco e assicurò secoli
di pace interna. La forza del sistema economico siciliano, pur diretto
con criteri sbagliati, tipici delle credenze economiche dell'epoca e
coinvolto nell'epocale crisi mediterranea di fine Seicento, si manifestò
nelle capacità di reazione e di ricostruzione seguita alle grandi
catastrofi naturali del 1669 a Catania e in tutta
l'area etnea (l'eruzione che giunse sino all'interno delle
mura cittadine interrando il castello Ursino) e del 1693, il terribile
terremoto che atterrò Catania, Noto e distrusse in tutto
o in parte una cinquantina di centri della Val di Noto provocando
sul momento 60.000 vittime.
La
grande crisi secentesca determinò in tutta Europa tensioni sociali e
malcontento che sfociarono in episodi numerosi di sommosse, tumulti,
moti, jacqueries, rivoluzioni, che non lasciarono immune neanche la
Sicilia, dove si registrarono una serie di rivolte in tutti i centri
dell'isola, e soprattutto a Palermo nel 1647 e, molto più
grave, a Messina (1674-1678). I messinesi trovarono l'appoggio delle
armate di Luigi XIV che vennero a combattere nella terra
siciliana, ma la loro sconfitta segnò la tragica fine della loro città
come grande centro mercantile e manifatturiero, e il crollo economico
dell'intera area della seta (il Valdemone) che su questa attività si
reggeva. L'ultimo re della dinastia degli Asburgo spagnoli,
Carlo II, morì senza figli, e per i legami che Case regnanti avevano
tra di loro molti sovrani e principi europei potevano avanzare pretese
al trono rimasto vuoto. Ciò diede l'avvio alla guerra di successione
spagnola (1701-1713) in seguito alla quale i territori italiani non
ebbero più una relazione diretta con la Spagna, la cui corona era
passata ai Borbone. Con la pace di Utrecht (1713) il Regno
di Sicilia fu dato a Vittorio Amedeo II di Savoia il cui
regno durò un quinquennio.
Epoca
borbonica - La
Spagna sotto la direzione dell'Alberoni tentò di riconquistare i domini
italiani e nel 1718 un esercito sbarcò in Sicilia occupandola. La
formazione immediata della Quadruplice alleanza costrinse la Spagna a
recedere dal suo proposito; e allora la Sicilia fu ceduta all'Austria,
che non aveva cessato di reclamarla, passava sotto quella potenza per la
ricordata pace di Utrecht.
Il
figlio di secondo letto di Filippo V, della nuova dinastia
borbonica di Spagna, Don Carlos, durante la guerra di Successione
polacca compì (1734) una spedizione vittoriosa nel regno che
riacquistò in lui un re indipendente, pur essendo strettamente legato
politicamente alla Spagna. Sotto di lui (Carlo III, 1734-1759) e sotto
il figlio Ferdinando IV, finché fu al governo il Tanucci, si ebbe
un indirizzo riformatore. Dopo il ritiro del Tanucci e soprattutto dopo
l'inizio della Rivoluzione francese prevalse un indirizzo
reazionario: questo non fece che favorire nella gente colta lo sviluppo
delle nuove idee (il cosiddetto giacobinismo).
A Palermo si ebbe nel 1795 la congiura del repubblicano Francesco
Paolo Di Blasi. Nel 1799 e poi nel 1806-1814 Ferdinando III, per le
pressioni dell'Inghilterra, concesse alla Sicilia nel 1812 una nuova
costituzione con le due camere dei Pari e dei Comuni, di tipo inglese.
Ferdinando
III era stato costretto a concedere la costituzione anche dal fatto che
la nobiltà, di dubbia devozione, aveva abbandonato la monarchia. Così,
il sovrano era rimasto quasi isolato e non aveva potuto resistere alle
pressioni del rappresentante inglese a Palermo, Lord Bentinck. Questo
spiega la soppressione del parlamento attuata dal re il 15 maggio 1815,
non appena fu sicuro del suo ritorno sul trono di Napoli, e il
decreto dell'8 dicembre 1816 con cui ordinava che tutti i suoi domini al
di là e al di qua del Faro, cioè i due regni, sino allora distinti, di
Napoli e di Sicilia, dovessero formare l'unico Regno delle due Sicilie.
Quasi
contemporaneamente procedeva all'abolizione delle libertà e delle
franchigie della Sicilia, delle sue leggi, dei suoi ordinamenti, della
sua zecca e delle sue magistrature. Ma una simile condotta destò subito
nell'isola una viva opposizione, che condusse alla rivolta scoppiata nel
luglio del 1820, subito dopo quella di Napoli: qui la Carboneria e
i militari napoleonici avevano chiesto e ottenuto la costituzione,
mentre a Palermo si voleva il riconoscimento dell'indipendenza
siciliana. Tuttavia questa richiesta non trovò ascolto neppure presso
il nuovo parlamento napoletano, e anche i deputati videro
nell'indipendenza dell'isola il perpetuarsi dei privilegi feudali più
che la garanzia di una vita libera. Sicché si disposero a sottomettere
con la forza Palermo e sconfessarono la convenzione firmata da Florestano
Pepe il 5 ottobre, invitando Pietro Colletta che ben
presto ebbe ragione della resistenza dei siciliani.
Il
particolarismo palermitano non aveva affatto giovato alla rivoluzione
napoletana, che si era anzi dovuta logorare nel grave e difficile
problema interno. D'altronde, anche quella rivoluzione era piuttosto un
ricordo del periodo napoleonico che un'anticipazione dei moti
risorgimentali e, pertanto, neppure essa poté resistere a lungo
all'esercito austriaco. Negli anni seguenti, che furono gli anni
centrali della Restaurazione, Ferdinando I, Francesco I e,
soprattutto, Ferdinando II, salito al trono nel 1830, cercarono di
temperare il loro governo con un paternalismo, in diverse occasioni,
moderato e che voleva apparire desideroso di nuovi metodi. Ma questo non
impedì che si susseguissero diverse congiure, fra le quali la più nota
è quella del 1º settembre 1831, in cui gli insorti, guidati da Domenico
di Marco e appartenenti in maggioranza al ceto degli artigiani
(che, allora, erano legati alla nobiltà), percorsero Palermo chiedendo
la costituzione. Nel 1837 un'altra rivoluzione scoppiava a Catania e a Siracusa,
favorita dalle condizioni in cui versavano le popolazioni colpite dalla
carestia e dal colera. Meno avvertita fu in quest'ultimo moto l'esigenza
dell'autonomia, che invece continuava a essere sentita a Palermo, come
dimostrò la rivoluzione del 12 gennaio 1848, una rivoluzione che
precedette tutte le altre che scoppiarono in quell'anno, ma che pure non
esercitò grande influenza proprio perché ancora animata dallo spirito
d'indipendenza isolana.
In
un primo momento la Sicilia sperò di riuscire a ottenere da Ferdinando
II una costituzione separata, ma il parlamento, radunatosi il 25 marzo,
presieduto da Vincenzo Fardella, dovette prendere atto del preciso
rifiuto del re e allora dichiarò, nell'aprile, decaduta la monarchia
borbonica e, dopo aver conferito a Ruggero Settimo, capo del
governo provvisorio, la reggenza, facendo uso dei diritti di “Stato
sovrano e indipendente”, scelse il nuovo re nella persona di Alberto
Amedeo di Savoia, duca di Genova e figlio di Carlo
Alberto. La Sicilia troppo apertamente trasferiva sul piano italiano le
sue aspirazioni di indipendenza, mostrando d'intendere la sorte della
penisola come una confederazione di liberi stati. Approfittando
dell'isolamento in cui si trovava la Sicilia, fu più facile al Borbone,
vittorioso a Napoli sul parlamento nella giornata del 15
maggio, condurre la lotta contro la Sicilia; nel settembre, Messina,
lungamente bombardata dovette cedere ed entro il 1848 le truppe
napoletane completavano l'occupazione della costa orientale, investendo
poi, nel nuovo anno, Palermo. Nel 1849, la resistenza che questa città
condusse per diverso tempo apparve troppo ai patrioti che ancora
combattevano a Roma e a Venezia sotto una diversa
luce perché tutti si sentivano legati allo stesso destino e la causa di
uno era la causa di comune. Ma ormai non c'era più nulla da fare di
fronte alla reazione che stava per trionfare in Italia e in Europa: il
15 maggio 1849 Ferdinando II ritornava in possesso di Palermo
e, conseguentemente, di tutta l'isola. Era stata un'amara esperienza,
che però diede i suoi frutti nel decennio successivo, quando l'opinione
pubblica siciliana si orientò, come avveniva nelle altre parti della
penisola, verso il Regno di Sardegna e Cavour.
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