Sicilia
La regione e le sue provincie

   

Il territorio della regione è costituito quasi interamente dall'isola omonima, la più grande isola dell'Italia e del Mediterraneo, nonché la 45ª isola più estesa nel mondo, bagnata a nord dal Mar Tirreno, a ovest dal Canale di Sicilia, a sud-ovest dal Mar di Sicilia, a sud-est dal canale di Malta, a est dal Mar Ionio e a nord-est dallo stretto di Messina che la separa dalla Calabria, con la parte rimanente che è costituita dagli arcipelaghi delle Eolie, delle Egadi e delle Pelagie e dalle isole di Ustica e Pantelleria. È la regione più estesa d'Italia, la quarta per popolazione (dopo LombardiaLazio e Campania), e il suo territorio è ripartito in 390 comuni a loro volta costituiti in tre città metropolitane (PalermoCatania e Messina) e sei liberi Consorzi comunali.

Le più antiche tracce umane nell'isola risalgono al 12.000 a.C. circa. In era preistorica fiorirono le culture dette di Stentinello, di Castelluccio, di Thapsos, e da qualche decennio è stata indiziata anche una "cultura" dei dolmen. Popoli provenienti dal Medioriente e da ogni parte d'Europa vi s'insediarono nei vari millenni: tra essi i Sicani, i Siculi e gli Elimi

L'VIII secolo a.C. vide la Sicilia colonizzata dai Fenici e soprattutto dai Greci e nei successivi 600 anni divenire campo di battaglia delle guerre greco-puniche e romano-puniche. L'isola fu poi assoggettata dai Romani e divenne parte dell'impero fino alla sua caduta nel V secolo d.C..

Fu quindi terra di conquista e, durante l'Alto Medioevo, conquistata da Vandali, dagli Ostrogoti, dai Bizantini, dagli Arabi e dai Normanni con questi ultimi che fondarono il Regno di Sicilia, che durò dal 1130 al 1816; fu conquistato dagli Angioini e con la rivolta del vespro passò agli Aragonesi. L'isola poi divenne un vicereame di Spagna, passò brevemente ai Savoia e all'Austria e, infine, nel XVIII secolo, ai Borbone, sotto i quali, unito il regno di Sicilia al regno di Napoli, sorse nel 1816 il Regno delle Due Sicilie. La Sicilia fu unita allo Stato italiano nel 1860 con un plebiscito, in seguito alla spedizione dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi durante il Risorgimento. A partire dal 1946 la Sicilia, è divenuta regione autonoma, e dal 1947 ha nuovamente un proprio parlamento, l'Assemblea regionale siciliana o ARS, istituita ancor prima della nascita della Repubblica italiana.

La Sicilia è l'isola più grande del mar Mediterraneo. Si affaccia a nord sul mar Tirreno, a nord-est è divisa dalla penisola dallo stretto di Messina ed è bagnata a est dal mar Ionio, a sud-ovest è divisa dall'Africa dal canale di Sicilia

L'isola ha una forma che ricorda approssimativamente quella di un triangolo i cui vertici sono:

- Capo Peloro (o Punta del Faro) a Messina, al vertice nord-orientale

- Capo Boeo (o Lilibeo) a Marsala, al vertice nord-occidentale

- Capo Passero a Portopalo, al vertice sud-orientale.

- Capo Peloro, inoltre, rappresenta l'estremità orientale della regione; le isole di Pantelleria, Strombolicchio e Lampedusa, invece, rappresentano rispettivamente le estremità settentrionale, occidentale e meridionale.  

La Sicilia appartiene in parte alla placca sicula-iblea, a sua volta appartenente in gran parte alla placca africana e alla placca euroasiatica per una piccola area nord-orientale. Lo scorrimento della placca africana che per subduzione si immerge sotto quella euroasiatica ha determinato la creazione dei rilievi montuosi della regione, nonché la presenza di frequenti attività sismiche sia di origine tettonica sia vulcanica.

Tra 5,96 e 5,3 milioni di anni, durante il Messiniano (ultima fase del periodo Miocene), il Mediterraneo rimase isolato dall'oceano Atlantico probabilmente a causa di un aumento dell'attività tettonica. Ciò portò alla crisi di salinità: il mar Mediterraneo incominciò a evaporare più velocemente e la concentrazione del sale aumentò. Carbonati e solfati vennero depositati in grandi quantità sui fondali e ne è rimasta traccia a lungo nelle miniere di salgemma e gesso che si possono trovare tuttora nelle province di Agrigento, Caltanissetta ed Enna.

Un fenomeno geologico peculiare è il vulcanesimo sedimentario, riscontrabile nei siti delle macalube di Aragona, in provincia di Agrigento, e delle maccalube di Terrapelata, a Caltanissetta. Questo raro fenomeno rende l'area interessata brulla, di colore biancastro e popolata da una serie di vulcanelli di fango, alti intorno al metro. Il fenomeno è legato alla presenza di terreni argillosi poco consistenti, intercalati da livelli di acqua salmastra, che sovrastano bolle di gas metano sottoposto a una certa pressione. Il gas, attraverso discontinuità del terreno, affiora in superficie, trascinando con sé sedimenti argillosi e acqua, che danno luogo a un cono di fango, la cui sommità è del tutto simile a un cratere vulcanico. Il fenomeno assume talora carattere esplosivo, con espulsione di materiale argilloso misto a gas e acqua scagliato a notevole altezza.  

La regione e le isole circostanti sono interessate da un'intensa attività vulcanica. I vulcani più importanti sono: Etna, Stromboli e Vulcano. Essi hanno la singolarità di appartenere a tre tipologie differenti: eruzioni di lave basaltiche intervallate a periodi di calma il primo; eruzioni continue, e fontane di lava, il secondo, le cui caratteristiche sono state prese come modello tipologico dagli scienziati del settore, che hanno coniato il termine Tipo stromboliano per designare le attività similari dei vulcani terrestri; infine di tipo esplosivo o pliniano il terzo, caratterizzato da lunghi periodi di apparente calma ed eruzioni violente.

Infine si ricorda l'attività eruttiva che nell'Ottocento, nella zona del canale di Sicilia oggi denominata banco di Graham, ha portato alla nascita dell'effimera isola Ferdinandea.

La Sicilia è una regione totalmente insulare: è costituita, oltre che dall'isola principale, da un insieme di arcipelaghi e di isole minori che formano circa l'1,11% di tutta la superficie regionale (circa 285,4 km² su 25.711 km² totali). Compresa l'isola di Sicilia, vi sono 19 isole abitate (33.172 abitanti nelle sole isole minori).

I principali gruppi di isole del grande arcipelago della Sicilia sono le Eolie, le Egadi e le Pelagie; le isole dello Stagnone e le isole Ciclopi, invece, costituiscono due piccoli arcipelaghi rispettivamente a ovest e a est dell'isola siciliana, di fronte le coste di Marsala, nel trapanese, e di Aci Trezza, nel catanese.

Ustica e Pantelleria, nel mar Tirreno e nel canale di Sicilia, formano due distinti comuni delle province di Palermo e Trapani. I centri storici di Siracusa e Augusta, nel siracusano, sono situati su due isole collegate alla terraferma.

Sono collegate all'arcipelago siciliano, da un punto di vista prettamente geografico, anche le isole Calipsee, formanti la Repubblica di Malta; al contrario, due delle Pelagie (Lampedusa e Lampione) rappresentano un territorio periferico della Repubblica Italiana, trovandosi, geograficamente, nel continente africano.  

La Sicilia è una regione prevalentemente collinare (per il 61,4% del territorio), mentre per il 24,5% è montuosa e per il restante 14,1% è pianeggiante (la pianura più grande è quella di Catania). Il rilievo è vario e, mentre nella Sicilia orientale si può riconoscere nell'Appennino siculo l'ideale continuazione dell'Appennino calabro, la Sicilia centrale e occidentale ospita massicci isolati. Si trova nelle Madonie la seconda vetta più alta dell'isola: il pizzo Carbonara (1979 metri).

Al centro della Sicilia vi sono i Monti Erei su cui si trova, a 948 metri di altezza, la città di Enna; mentre nella fascia sud-orientale tra la provincia ragusana e quella siracusana troviamo i monti Iblei la cui cima più alta, il monte Lauro, arriva a un'altezza di 986 m. A ovest sorgono altri monti dall'altezza variabile, come i Sicani, la cui cima più alta è il monte Cammarata (1578 metri), e i monti che circondano la Conca d'Oro, la pianura dove, affacciata sul mare, si estende Palermo, città capoluogo di questa regione.  

A est si erge, visibile dallo Stretto di Messina, nonché dalla cima calabrese dell'Aspromonte, la cima innevata dell'Etna, alto 3.323 metri. Con le sue frequenti eruzioni, l'Etna ha ricoperto il territorio circostante della sua lava nera. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, però, la vicina piana di Catania non è di origine vulcanica, bensì di origine alluvionale, essendo stata creata dai detriti trasportati nei secoli dai fiumi Dittaino, Gornalunga, Simeto e San Leonardo.

Di forma triangolare, la Sicilia ebbe nell'antichità il nome di Trinacria. Le coste settentrionali, alte e rocciose, si aprono sul Mar Tirreno con frequenti e ampie insenature, come i golfi di Castellammare del Golfo, di Palermo, di Termini Imerese, di Patti, di Milazzo e molti altri paesi ospitano ampie spiagge coperte di finissima sabbia come Capo d'OrlandoCefalù o Sant'Agata Militello.  

A est la costa ionica è più varia; strette spiagge di ghiaia fin quasi a Taormina e fra la foce del fiume Alcantara e Riposto; frastagliata verso sud, con insenature e baie come quella di Giardini Naxos; laviche come ad Acireale, e di aspre scogliere basaltiche fino a Catania. L'ampio golfo di Catania presenta una spiaggia di sabbia dorata, ma al suo termine la costa riprende a essere rocciosa con una serie di fiordi tra cui quello di Brucoli. Quindi l'ampia baia di Augusta, che ospita il più grande porto commerciale della Sicilia, e il golfo di Siracusa nel quale la costa riprende a essere sabbiosa fino quasi a Capo Passero. Il litorale meridionale - di fronte all'Africa - è generalmente sabbioso e uniforme nella parte centrale formata dal golfo più vasto della regione, il golfo di Gela, mentre si presenta più vario nel ragusano e nel tratto agrigentino e trapanese.

fiumi siciliani sono tutti di portata ed estensione limitata. Quelli appenninici a nord vengono chiamati fiumare, e sono a carattere torrentizio in quanto d'estate sono quasi perennemente in secca. Gli unici corsi d'acqua che raggiungono delle dimensioni apprezzabili sono l'Imera Meridionale, il più lungo dell'isola, e il Simeto, quello con il bacino idrografico più ampio. Sfociano nel Mar Ionio il Simeto, l'Alcantara, l'Agrò, il Ciane e l'Anapo, nel Mar Tirreno l'Imera Settentrionale e il Torto, mentre nel canale di Sicilia il Platani, l'Imera Meridionale (o Salso) e il Belice.

Per quanto riguarda i laghi naturali, fatto salvo il Lago di Pergusa e quello semi-artificiale del Lago Biviere di Lentini, la Sicilia ne è praticamente priva. Il lago di Pergusa, di origine tettonica, è celebre per gli antichissimi miti e leggende che lo riguardano e per la fauna e per la flora che lo circonda; tutt'intorno a esso corre un autodromo, in passato sede di un Gran Premio di Formula 3000. Il lago è stato a rischio di prosciugamento, non avendo immissari, a causa del costante prelievo di acqua per uso civile.

La costruzione di dighe ha creato grandi invasi artificiali, come il lago dell'Ancipa e il lago Pozzillo (il maggiore dell'isola). Vanno ricordati anche il lago Arancio, il lago Disueri, il lago di Piana degli Albanesi, il lago di Ogliastro e il lago Trinità.  

Il clima della Sicilia è generalmente mediterraneo secco, con estati calde e molto lunghe, inverni miti e piovosi, stagioni intermedie molto mutevoli. Sulle coste, soprattutto quella sud-occidentale e sud-orientale, il clima risente maggiormente delle correnti africane per cui le estati sono torride. Durante la stagione invernale, nelle zone interne, le temperature sono leggermente più rigide, avendosi così un clima mediterraneo ma con caratteristiche simili a quelle del clima continentale.

La neve cade in inverno al di sopra dei 900-1000 metri ma talvolta può nevicare anche a quote collinari, le nevicate sulle zone costiere e pianeggianti sono rarissime, quando avvenute sono sempre state molto esigue e riscontrabili solo durante forti ondate di freddo. I monti interni, in particolare i Nebrodi, le Madonie e l'Etna, hanno un clima di tipo appenninico. L'Etna si presenta solitamente innevato da ottobre a maggio. Soprattutto d'estate non è raro che soffi lo scirocco, il vento proveniente dal Sahara. La piovosità è in genere scarsa e si rivela insufficiente ad assicurare l'approvvigionamento idrico in alcune province dove possono avvenire vere e proprie crisi idriche.

Storia 

La presenza umana nell'area palermitana è attestata sin dall'epoca preistorica dai graffiti e dalle pitture rupestri delle grotte dell'Addaura: figure danzanti in un rito magico propiziatorio, forse "sciamani" di un popolo non identificato che abitò l'isola. La grotta del del Genovese, nell'isola di Levanzo fu abitata dall'uomo tra i 10.000 e i 6.000 anni prima di Cristo. Altre grotte dell'isola, dei Porci, di Cala Tramontana, di Punta Capperi hanno fornito materiale risalente al paleolitico superiore. L'analisi stratigrafica al carbonio-14 ha indicato l'anno 9230 a.C.: la presenza nella sequenza stratigrafica di un frammento calcareo di notevoli dimensioni, con un bovide inciso, di stile del tutto affine alle raffigurazioni parietali sulle pareti, ha permesso di ottenere questa datazione assoluta. La grotta dell'Uzzo all'interno della Riserva naturale orientata dello Zingaro presenta analoghe tracce di insediamento.

Scavi a Lipari hanno prodotto testimonianze stratificate delle civiltà che dal Neolitico (VI millennio a.C.) in poi hanno colonizzato l'isola. Lipari era un centro di produzione di ossidiana e di ceramiche. Significative le rovine di un villaggio neolitico sul promontorio di Capo Graziano a Filicudi. Non è tuttavia ancora chiara l'identità o la provenienza dei primi abitanti dell'isola.

Il capoluogo siciliano fu fondato come città-porto dai coloni Fenici di Tiro (l'odierno Libano) intorno al 734 a.C. Come luogo d'insediamento scelsero un promontorio di roccia prospiciente il mare contornato da due fiumi che corrisponde alla zona occupata attualmente dalla cattedrale di Palermo e dalla villa Bonanno.

Nel secolo VI la costa occidentale dell'isola apparteneva ai Cartaginesi, fondatori di Zyz, Mozia e di Solunto. Rimaneva importante anche la presenza degli Elimi, che furono i fondatori delle città di Eryx e Segesta.

La Sicilia entra in modo più significativo nella Storia con la colonizzazione greca, che ha inizio con la fondazione di Naxos per opera dei Calcidesi e di Siracusa per opera dei Corinti, verso la metà dell'VIII secolo a.C. (circa contemporaneamente alla fondazione di Palermo); sempre i Calcidesi, ma in data imprecisata, fondarono Zancle. Naxos, a sua volta fondò Katane e Leontinoi e i greci megaresi fondarono Megara Hyblaea. Nella prima metà del VII secolo a.C. sorsero Ghelas per opera dei rodio-cretesi e poi Akrai ed Eloro per opera dei siracusani.

Selinunte per opera dei megaresi di Sicilia e Himera, opera dei calcidesi-zanclei, sorsero a metà del VII secolo. Esse costituiscono le colonie più occidentali fondate da greci, rispettivamente lungo la costa sud e lungo la costa nord; peraltro nei secoli seguenti l'influenza greca penetrò gradualmente anche a Segesta e in altre località della Sicilia occidentale.  

Dal VI secolo a.C. in poi, i greci fondarono nuove colonie all'interno del perimetro già colonizzato. Al principio del VI secolo Akragas fu fondata dai gelesi mentre i siracusani fondarono Kamarina. Verso la metà del VI secolo greci di origine calcidese giunsero a Morgantina, molto addentrata nell'interno dell'isola.

Epoca greca - La civiltà dei discendenti dei Greci stabilitisi in Sicilia (Sicelioti) è analoga a quella della Grecia propriamente detta. La loro entità politica è la "polis", la città-stato; anche quando si formano stati più vasti, questi sono pur sempre aggregati a essa. Non pare che nelle città siceliote (come neppure in quelle Italiote) vi sia stata mai la monarchia, sebbene prerogative monarchiche ebbero alcuni tiranni sicelioti. L'aristocrazia fondiaria mantenne generalmente il potere fino alla metà del secolo VI; gareggiò poi con essa la plutocrazia industriale e commerciale. Successivamente al periodo di egemonia aristocratica si ha la lotta tra l'aristocrazia e il popolo, mirante quest'ultimo a ottenere l'uguaglianza dinanzi alla legge (donde le legislazioni attribuite a personaggi leggendari, tra i quali Caronda) e la partecipazione ai diritti politici. L'opposizione all'aristocrazia favorì, come in Grecia, il sorgere dei tiranni, che intorno al 500 a.C. salirono al potere in quasi tutte le città siceliote.

La Sicilia fu, al pari della Magna Grecia, un centro di cultura greca: si ricordano Archimede, Caronda, Empedocle, Epicarmo, Gorgia, Sofrone e Stesicoro. Splendida fu la fioritura artistica, specialmente nell'architettura religiosa. Tra la fine del secolo VII e il principio del VI sorsero i primi templi, per esempio, a Siracusa e Agrigento; nel corso del VI secolo si ebbero le grandi costruzioni dei templi dorici. Con le costruzioni architettoniche si sviluppò la decorazione scultorea: famose sono le metope di Selinunte. Di grande valore artistico sono anche le monete delle città siceliote.

Al primo posto per importanza politica in Sicilia fu Siracusa, che divenne antesignana nella lotta con Cartaginesi ed Etruschi. La sua ascesa risale al principio del V secolo sotto il tiranno Gelone, vincitore a Imera (circa 480) dei Cartaginesi, mentre il fratello e successore Gerone sconfisse gli Etruschi a Cuma per mare (474). Dopo la sua morte si ebbe a Siracusa una rivoluzione in senso democratico, che provocò il ristabilimento dell'indipendenza delle città siciliane assoggettate dai tiranni siracusani. Siracusa tuttavia proseguì la sua attività marittima estendendola fin nell'Italia centrale. Si ebbe in Sicilia un tentativo dei Siculi di liberarsi dal dominio greco e di costituire un regno proprio sotto Ducezio, che sollevò un vasto movimento di rivolta nazionalistica, una vera e propria lega sicula, tentativo che finì per fallire (460-440).

Nella seconda metà del V secolo Atene venne a contrastare la potenza della dorica Siracusa, ma la grande spedizione ateniese del 415-413 a.C. finì in un disastro. Di quest'indebolimento dei Greci approfittò Cartagine per una ripresa in Sicilia, occupando nel 409 a.C. Selinunte e nel 405 a.C. Agrigento. Siracusa venne alla riscossa sotto il tiranno Dionigi il Vecchio, che però non spinse a fondo la guerra contro i Cartaginesi perché impegnato nella sottomissione delle città siceliote e nei tentativi espansionistici in Italia, ove si spinse fin nell'Adriatico superiore. Dopo la sua morte si ebbe a Siracusa un lungo periodo di sconvolgimenti, terminato nel 343 con il ristabilimento della libertà per opera di Timoleonte, il quale vinse i Cartaginesi, promosse la liberazione delle città siceliote e la loro alleanza.

Siracusa riprese la politica egemonica intorno al 316 a.C. per opera del tiranno Agatocle, che sottomise le altre città greche, assunse il titolo di re (305) e combatté contro Cartagine. Morto lui (289) Siracusa tornò in libertà. Premuta nuovamente dai Cartaginesi, essa, assieme ad Agrigento, invitò Pirro re dell'Epiro che era venuto in Italia su chiamata di Taranto, a combattere i Romani. Pirro passò in Sicilia e ottenne successi; ma la discordia insorse tra lui e i suoi alleati ed egli fece allora ritorno sul continente. I Cartaginesi ristabilirono la loro potenza su parte dell'isola, mentre Siracusa era impegnata a difendersi dai Mamertini, mercenari campani impadronitisi di Messina. Durante la guerra contro di essi si ebbe la costituzione a Siracusa della nuova tirannia di Gerone II (270) e l'intervento dei Romani, chiamati dai Mamertini. Di qui l'inizio della prima guerra punica.

Epoca romana - A seguito della prima guerra punica (264-241 a.C.) l'isola fu assoggettata a Roma, che dopo la vittoria di Torquato Attico e Catulo sulle truppe cartaginesi di Annone nella battaglia delle Isole Egadi, ne fece la sua prima provincia Romana: una parte del territorio venne considerato ager publicus mentre il resto fu sottoposto a tributo. Vi si mantennero tuttavia, o vi si formarono, città federate (fra cui Siracusa, che mantenne per alcuni decenni una limitata autonomia) e municipi romani. Per quanto concerne l'ambito economico-produttivo il territorio siciliano fu coltivato estensivamente a frumento per approvvigionare Roma, al punto tale da definire le Sicilia stessa il granaio di Roma.

Durante la seconda guerra punica (218-202 a.C.) vi furono ribellioni siceliote contro i Romani, principalmente ad Agrigento e Siracusa. Celebre fu il lungo assedio che quest'ultima subì da parte dell'esercito romano, che culminò nel 212 a.C. con l'espugnazione e il saccheggio della città. Le misure repressive che vennero adottate da parte dei vincitori recarono un grave colpo alla Sicilia. Siracusa divenne una città tributaria, mentre l'intera popolazione di Agrigento fu ridotta in schiavitù, venduta e sostituita da siciliani provenienti da zone rimaste fedeli a Roma. Le confische di beni e territori portarono allo sviluppo del latifondo e a una stagnazione della popolazione isolana, costituita in gran parte da schiavi che diedero vita alle guerre servili. Fra queste ultime rivestì una certa importanza quella scoppiata nel 138 a.C., in cui emerse anche un risveglio di sentimenti d'indipendenza da parte di alcuni centri abitati dell'isola.

La rivolta fu capeggiata dallo schiavo Euno, una volta proclamato re arrivò a contare un esercito di 200.000 Siciliani, la rivolta venne successivamente soffocata dal console Publio Rupilio. La feracità dell'isola fece di essa, fin da tarda età repubblicana, una delle regioni cereagricole più importanti del mondo romano. Dopo la morte di Giulio Cesare, la Sicilia fu governata, per alcuni anni, insieme alla Sardegna, da Sesto Pompeo. In età augustea si moltiplicarono gli stanziamenti dei veterani e dei coloni romani che favorirono il processo di latinizzazione di gran parte dell'isola. Essa, tuttavia, nell'ordinamento delle regioni augustee, era considerata come non facente parte dell'Italia. La concessione generale della cittadinanza romana fatta a suo tempo da Marco Antonio non fu tuttavia mantenuta da Augusto, il quale però assegnò alle principali città lo status di municipio romano o di colonia latina.

La Sicilia godette di un relativo benessere fino all'epoca Antonina, ma nel III secolo partecipò al generale processo di decadenza economica e politica dell'Impero. Con il nuovo ordinamento amministrativo ideato da Diocleziano (Diocesi d'Italia) e mantenuto in massima parte dagli imperatori successivi, la Sicilia, con la Sardegna e la Corsica, venne unita amministrativamente all'Italia. All'effimera ripresa culturale ed economica dell'Impero durante il IV secolo l'isola non restò probabilmente estranea: di quest'epoca è la celebre villa romana del Casale di Piazza Armerina, che con i suoi 3.500 m² di mosaici. costituisce uno dei più superbi esempi di arte romana tardoantica. Attorno alla metà del V secolo i Vandali di Genserico, stabilitisi in Africa, s'impadronirono dell'isola.

Epoca gotica e bizantina - Alla caduta dell'Impero romano d'Occidente, Odoacre ne ottenne la restituzione da Genserico dietro pagamento di tributo. Nel 493 Teodorico, re degli Ostrogoti, ne conservò il possesso senza più pagare il tributo. I Goti non fecero stanziamenti in Sicilia, rimanendo effettivamente nel dominio dei latifondisti romani (fra cui principale il vescovo di Roma) e questo facilitò la sua immediata adesione al generale imperiale Belisario quando vi sbarcò nel 535 d.C. incominciando la riconquista della penisola. L'isola rimase per tre secoli sotto la dominazione bizantina senza far parte né della circoscrizione italiana, né di quella africana, in dipendenza diretta da Costantinopoli, come una specie di dominio imperiale. È nota la grandissima influenza che continuò ad avervi la chiesa romana, che possedeva numerosi possedimenti amministrati da rettori inviati direttamente dal Papa.

Durante la dominazione Bizantina la Sicilia dovette subire una pesante tassazione che impoverì la popolazione.

Nel VII secolo, incominciarono le incursioni musulmane dall'Africa, che reputavano la Sicilia come punto strategico da dove si poteva controllare tutto il mar Mediterraneo. Verso la fine del VII secolo, la Sicilia sotto il regno di Giustiniano II, divenne uno dei themata (Sikelia) dell'Impero Bizantino.

 La successiva disgregazione dell'Impero bizantino e la sua debolezza, alimentarono un forte malcontento in Sicilia, così tra il 663 e il 668 l'imperatore d'Oriente Costante II trasferì la capitale dell'impero da Costantinopoli a Siracusa, ma, anziché portare benefici alla Sicilia e all'Impero, causò una lunga guerra tra le due città e l'indipendenza del thema di Sikelia. Il turmarca della flotta siculo-bizantina Eufemio di Messina, che aveva dichiarato l'indipendenza da Costantinopoli nell'823, venne cacciato dai nobili locali e sconfitto duramente dai Bizantini sotto la guida di Fotino, e costretto fuggì in Ifriqiya (all'incirca l'attuale Tunisia).

Li Eufemio trovò rifugio presso l'emiro aghlabide di Qayrawān, Ziyadat Allah I, cui chiese aiuti per realizzare uno sbarco in Sicilia e cacciare gli odiati bizantini, i musulmani, che forse avevano già progettato un'invasione delle Sicilia, prepararono una flotta di 70 navi, chiamando al jihād marittimo il maggior numero di volontari. 

Eufemio assassinato a Castrogiovanni durante l'assedio dell'828-829, verrà considerato come l'uomo che causò l'invasione islamica della Sicilia e l'inizio dei due secoli della loro dominazione sull'isola.

Epoca islamica - L'occupazione stabile dell'isola da parte dei musulmani ebbe inizio però solo con lo sbarco nell'827 a Capo Granitola, presso Marsala. La conquista proseguì lentamente: nell'831 fu presa Palermo, nell'843 Messina, nell'859 Castrogiovanni. Rimase ancora ai Bizantini (ma forse è meglio dire in stato di semi-anarchia, dato che le flotte bizantine lasciarono la Sicilia abbandonata a se stessa) una striscia a oriente con Siracusa, che cadde solo nell'878, e Taormina, che resse ancora fino al 902.

L'occupazione islamica della Sicilia e dei suoi arcipelaghi terminò con Rometta nel 965. Vari fattori assicurarono per secoli il dominio dei musulmani in Sicilia: l'efficienza del loro sistema amministrativo, fiscale ed economico (con la dissoluzione del latifondo e la facilità dei rapporti commerciali con il più avanzato e contiguo mondo nordafricano in particolare e islamico in genere), la forza delle strutture militari (che godevano tra l'altro della prossimità degli stanziamenti musulmani nell'Italia meridionale), la divisione politica delle potenze italiche e l'impotenza dei vari sovrani cristiani.

Epoca normanna - Furono invece i Normanni stabilitisi nel Mezzogiorno che, prima ancora di compiere la conquista del continente, concentrarono i propri sforzi per cacciare dall'isola i musulmani, forti del placet papale. Ruggero I d'Altavilla incominciò l'impresa nel 1060 e la compì nel 1091 tenendo la Sicilia con il titolo comitale come feudo di Roberto il Guiscardo. A lui succedette Ruggero II, che alla Sicilia riunì il Mezzogiorno continentale ed ebbe nel 1130 dall'antipapa Anacleto II, e poi nel 1139 da Innocenzo II, la corona di Sicilia come feudo della Santa Sede. Scelse come sede reale, la cittadina di Cefalù, dove fece erigere nel 1131 la Basilica Cattedrale come suo mausoleo. Gli successe il figlio Guglielmo il Malo (1154-1166), cosiddetto per la durezza con cui egli, o piuttosto il suo potente ministro, l'ammiraglio Maione di Bari, represse le rivolte dei grandi, specialmente di Puglia. Questi si erano rivolti a Federico Barbarossa e all'imperatore bizantino Manuele I Comneno. Le milizie bizantine sbarcarono in Puglia, occupando Brindisi e Trani. 

Successo a Guglielmo I il secondogenito Guglielmo il Buono (1166-1189), il regno si andò pacificando. Nella contesa tra il papato e i comuni da una parte e il Barbarossa dall'altra, Guglielmo II stette con i primi per difendersi dalle mire imperiali. Dopo Legnano egli concluse a Venezia, al pari dei comuni lombardi, una tregua con il Barbarossa (1177) e la pace a Costanza (1183).

Il che favorì un'intesa fra impero tedesco e regno normanno: Guglielmo II fidanzò l'unico discendente legittimo della dinastia, Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II, con il figlio del Barbarossa, Enrico (1184). Il matrimonio fu celebrato a Milano nel gennaio 1186.

Morto Guglielmo II, contro Enrico VI si levò un forte partito che gli oppose un rampollo illegittimo della casa normanna, Tancredi, conte di Lecce, che fu riconosciuto da papa Clemente III. Una prima spedizione di Enrico VI (1191) non riuscì nella conquista del regno; una seconda, avvenuta dopo la morte di Tancredi (febbraio 1194), portò al successo, e alla fine del 1194 Enrico fu incoronato Re di Sicilia a Palermo. Tentativi di rivolta furono da lui ferocemente repressi. Egli intendeva fare del regno una base per una grande spedizione contro l'Impero bizantino, ma la morte sopraggiunse improvvisamente a Messina nel settembre 1197.

La storia della Sicilia sotto suo figlio, Federico II, detto stupor mundi, il quale procedette a un riordinamento generale del regno, è narrata nella voce relativa; e il seguito di essa in quella su Manfredi. Caduto questi a Benevento (1266), Carlo I d'Angiò, al quale il pontefice aveva trasmesso il regno, ne rimase padrone; e vana riuscì la spedizione di Corradino di Svevia (1268), che venne decapitato a Napoli.

Epoca angioina - La Sicilia fu particolarmente malcontenta del governo angioino, innanzitutto per il suo fiscalismo. Alcune parziali sollevazioni in favore di Corradino vennero ferocemente domate con lo sterminio d'intere cittadinanze, e molti nobili furono spogliati per dare i loro beni ai francesi. Inoltre la Sicilia si sentiva posposta a Napoli, ove Carlo aveva la sua sede. 

Il popolo era malcontento anche per il modo licenzioso con cui i francesi trattavano le donne siciliane: malcontento che scoppiò nell'insurrezione dei Vespri Siciliani, incominciata il 30 marzo 1282, cui seguirono l'intervento di Pietro III d'Aragona acclamato re di Sicilia e la guerra cosiddetta del Vespro fra Angioini e Aragonesi.

Epoca aragonese - Con la pace di Caltabellotta (1302) la Sicilia rimase a Federico III di Aragona con il titolo di re di Trinacria. Alla sua morte l'isola sarebbe dovuta tornare agli Angioini; invece Federico fece riconoscere per successore il figlio Pietro. Di qui una lunga guerra fra i due regni che fu inconcludente e assai dannosa, con incursioni reciproche e sbarchi sulle coste e con la legislazione e l'appoggio dato a re Roberto; a Pietro successe Luigi (1342-1355). Sotto di lui e il suo successore Federico III, Giovanna I di Napoli e il marito Luigi di Taranto intervennero, chiamati da molti signori, ricevettero a Messina (1356) l'omaggio dei sudditi siciliani e per qualche tempo furono nella maggior parte dell'isola. Ben presto però Federico riprese il sopravvento; e nel 1372 fu conclusa la pace, per la quale la Sicilia rimaneva alla casa cadetta aragonese come del papa.

L'isola rimarrà indipendente e con una propria dinastia regale fino al 1410 circa. Morto Federico III nel 1377, la successione della figlia Maria non venne riconosciuta da Pietro IV d'Aragona del ramo principale, che cedette i suoi diritti sulla Sicilia al secondogenito Martino il Vecchio, il quale li trasmise al figlio Martino il Giovane. L'isola si divise in fazione aragonese e siciliana, quest'ultima dominata dai potentissimi baroni Chiaramonte. La regina Maria fu fatta prigioniera dalla fazione aragonese, condotta in Catalogna e maritata a Martino il Giovane, e questi venne coronato a Palermo (1392). Pure la guerra civile continuò sin verso la fine del secolo. Morti Maria (1402) e Martino il Giovane (1409), Martino il Vecchio re d'Aragona si dichiarò erede del Regno di Trinacria; ma, morto anche lui quasi subito dopo (1410) ed estintasi la casa d'Aragona, seguì un periodo d'interregno e confusione, finché i siciliani, al pari degli Aragonesi, riconobbero il figliolo della sorella di Martino il Vecchio, Ferdinando I d'Aragona, venendo così a riunire i due regni di Aragona e di Sicilia con l'isola che perdette l'indipendenza.

In Sicilia i primi re aragonesi emanarono molte costituzioni per difendere i diritti popolari dagli abusi feudali e fiscali, e costituirono definitivamente l'istituto del parlamento, un'assemblea d'origine normanna composta di nobili, clero e deputati delle città regie (cioè non feudali), cui fu riservato il diritto di deliberare pace e guerra, di votare le imposte, di censurare i pubblici ufficiali. I re per tener a freno la nobiltà favorirono anche le libertà municipali; ma, nonostante tutto questo, i feudatari acquistarono un potere preponderante a danno dell'autorità regia e dei comuni. Tutto ciò portò l'isola a una profonda decadenza. Da questi eventi e dalle loro ripercussioni in Sicilia si favorì la ripopolazione e la costruzione di nuovi centri abitati, anche da colonie non siciliane.

Alfonso d'Aragona re di Sicilia, figlio di Ferdinando I d'Aragona, acquistò anche Napoli nel 1442. Ma alla sua morte (1458) la riunione ebbe termine, perché la Sicilia passò con l'Aragona al fratello Giovanni II d'Aragona, mentre Napoli fu lasciata da Alfonso, come acquisto personale, al figlio naturale legittimato, Ferdinando I.

Età moderna - Con Ferdinando il Cattolico figlio di Giovanni, re di Aragona e di Sicilia, che condivise con Isabella il governo dei regni di Castiglia e di Aragona, si ebbe la conquista del Napoletano (1501-03) da lui operata contro la Francia. Ferdinando regolamentò l'istituto del viceré rendendo la carica triennale, attuò una grande riforma fiscale che gli assicurò il consenso parlamentare alla richiesta dei donativi in cambio di una convocazione certa e regolare del Parlamento, ordinariamente ogni tre anni, e attuò nel suo lungo regno una serie di riforme che disegnarono il sistema di governo del regno per i seguenti due secoli.

Prevalentemente a Palermo (a volte a Messina) risiedé un viceré, alter ego del sovrano lontano, che doveva attenersi nella sua azione ai poteri previsti dagli ordinamenti del Regno di Sicilia. Nel sistema imperiale degli Asburgo di Spagna infatti, ogni Regno o territorio che ne faceva parte (Castiglia, Aragona, Catalogna, Sicilia, Sardegna, Napoli, Milano, Paesi Bassi etc.) manteneva i suoi ordinamenti politici, le sue istituzioni, le sue leggi. le sue unità di misura, la sua moneta, la sua lingua, e dal punto di vista giuridico nessuno poteva 'dominare' sugli altri. Il re legittimo, che casualmente era re e principe di altri territori, poteva esercitare il potere nei modi e nelle forme stabilite dalle costituzioni del Regno e dai capitoli sottoscritti e giurati tra re e communitas Siciliae (regime pattizio). Pertanto le antiche consuetudini, immunità e i privilegi dei vari ceti (feudalità, nobiltà cittadina, clero) rappresentati nel Parlamento del Regno rimasero in vigore e la loro conservazione e salvaguardia costituì l'ideologia ufficiale dei ceti dirigenti siciliani. Sotto il governo degli Asburgo di Spagna (Carlo V imperatore, Filippo II, Filippo III, Filippo IV, Carlo II) la Sicilia ebbe un periodo di grande sviluppo economico, sociale, religioso, artistico, demografico che grosso modo durò per tutto il Cinquecento sino ai primi decenni del Seicento, e fu poi coinvolta nella crisi e nel declino dell'Impero spagnolo (bellicismo, fiscalismo, tradizionalismo economico e sociale) anche a causa della grande crisi generale del Seicento e della marginalizzazione del sistema economico mediterraneo a favore della nuova economia atlantica.

Nel periodo spagnolo moderno la popolazione siciliana raddoppiò, nacquero decine di nuovi paesi nell'area interna cerealicola (colonizzazione interna), Palermo passò da 30.000 abitanti a 140.000, Messina da 25.000 a 90.000, entrando nel ristretto novero delle prime dieci città europee per popolazione, ricchezza, e bellezza urbanistica, si svilupparono l'industria dello zucchero e della seta nel Val Demone, decadute nel Seicento per la concorrenza del lavoro schiavile nelle Americhe e della rivolta messinese ma sostituite dall'ampliamento dell'area vitivinicola e agrumicola.

Il bilancio della presenza spagnola nella Sicilia moderna deve tener conto dei fattori negativi, dati soprattutto dal conservatorismo sociale, dalle scelte economiche sbagliate, dall'eccessivo fiscalismo, che tuttavia furono problemi generali di tutta la società spagnola e non certo conseguenza di una inesistente dominazione sui siciliani (che a questi errori contribuirono notevolmente), ma anche dei fattori positivi tra cui i parecchi secoli di pace interna assicurati dal far parte di una grande Potenza che bloccò l'espansionismo turco e assicurò secoli di pace interna. La forza del sistema economico siciliano, pur diretto con criteri sbagliati, tipici delle credenze economiche dell'epoca e coinvolto nell'epocale crisi mediterranea di fine Seicento, si manifestò nelle capacità di reazione e di ricostruzione seguita alle grandi catastrofi naturali del 1669 a Catania e in tutta l'area etnea (l'eruzione che giunse sino all'interno delle mura cittadine interrando il castello Ursino) e del 1693, il terribile terremoto che atterrò Catania, Noto e distrusse in tutto o in parte una cinquantina di centri della Val di Noto provocando sul momento 60.000 vittime.

La grande crisi secentesca determinò in tutta Europa tensioni sociali e malcontento che sfociarono in episodi numerosi di sommosse, tumulti, moti, jacqueries, rivoluzioni, che non lasciarono immune neanche la Sicilia, dove si registrarono una serie di rivolte in tutti i centri dell'isola, e soprattutto a Palermo nel 1647 e, molto più grave, a Messina (1674-1678). I messinesi trovarono l'appoggio delle armate di Luigi XIV che vennero a combattere nella terra siciliana, ma la loro sconfitta segnò la tragica fine della loro città come grande centro mercantile e manifatturiero, e il crollo economico dell'intera area della seta (il Valdemone) che su questa attività si reggeva. L'ultimo re della dinastia degli Asburgo spagnoli, Carlo II, morì senza figli, e per i legami che Case regnanti avevano tra di loro molti sovrani e principi europei potevano avanzare pretese al trono rimasto vuoto. Ciò diede l'avvio alla guerra di successione spagnola (1701-1713) in seguito alla quale i territori italiani non ebbero più una relazione diretta con la Spagna, la cui corona era passata ai Borbone. Con la pace di Utrecht (1713) il Regno di Sicilia fu dato a Vittorio Amedeo II di Savoia il cui regno durò un quinquennio.

Epoca borbonica - La Spagna sotto la direzione dell'Alberoni tentò di riconquistare i domini italiani e nel 1718 un esercito sbarcò in Sicilia occupandola. La formazione immediata della Quadruplice alleanza costrinse la Spagna a recedere dal suo proposito; e allora la Sicilia fu ceduta all'Austria, che non aveva cessato di reclamarla, passava sotto quella potenza per la ricordata pace di Utrecht. 

Il figlio di secondo letto di Filippo V, della nuova dinastia borbonica di Spagna, Don Carlos, durante la guerra di Successione polacca compì (1734) una spedizione vittoriosa nel regno che riacquistò in lui un re indipendente, pur essendo strettamente legato politicamente alla Spagna. Sotto di lui (Carlo III, 1734-1759) e sotto il figlio Ferdinando IV, finché fu al governo il Tanucci, si ebbe un indirizzo riformatore. Dopo il ritiro del Tanucci e soprattutto dopo l'inizio della Rivoluzione francese prevalse un indirizzo reazionario: questo non fece che favorire nella gente colta lo sviluppo delle nuove idee (il cosiddetto giacobinismo). 

A Palermo si ebbe nel 1795 la congiura del repubblicano Francesco Paolo Di Blasi. Nel 1799 e poi nel 1806-1814 Ferdinando III, per le pressioni dell'Inghilterra, concesse alla Sicilia nel 1812 una nuova costituzione con le due camere dei Pari e dei Comuni, di tipo inglese.

Ferdinando III era stato costretto a concedere la costituzione anche dal fatto che la nobiltà, di dubbia devozione, aveva abbandonato la monarchia. Così, il sovrano era rimasto quasi isolato e non aveva potuto resistere alle pressioni del rappresentante inglese a Palermo, Lord Bentinck. Questo spiega la soppressione del parlamento attuata dal re il 15 maggio 1815, non appena fu sicuro del suo ritorno sul trono di Napoli, e il decreto dell'8 dicembre 1816 con cui ordinava che tutti i suoi domini al di là e al di qua del Faro, cioè i due regni, sino allora distinti, di Napoli e di Sicilia, dovessero formare l'unico Regno delle due Sicilie. 

Quasi contemporaneamente procedeva all'abolizione delle libertà e delle franchigie della Sicilia, delle sue leggi, dei suoi ordinamenti, della sua zecca e delle sue magistrature. Ma una simile condotta destò subito nell'isola una viva opposizione, che condusse alla rivolta scoppiata nel luglio del 1820, subito dopo quella di Napoli: qui la Carboneria e i militari napoleonici avevano chiesto e ottenuto la costituzione, mentre a Palermo si voleva il riconoscimento dell'indipendenza siciliana. Tuttavia questa richiesta non trovò ascolto neppure presso il nuovo parlamento napoletano, e anche i deputati videro nell'indipendenza dell'isola il perpetuarsi dei privilegi feudali più che la garanzia di una vita libera. Sicché si disposero a sottomettere con la forza Palermo e sconfessarono la convenzione firmata da Florestano Pepe il 5 ottobre, invitando Pietro Colletta che ben presto ebbe ragione della resistenza dei siciliani.

Il particolarismo palermitano non aveva affatto giovato alla rivoluzione napoletana, che si era anzi dovuta logorare nel grave e difficile problema interno. D'altronde, anche quella rivoluzione era piuttosto un ricordo del periodo napoleonico che un'anticipazione dei moti risorgimentali e, pertanto, neppure essa poté resistere a lungo all'esercito austriaco. Negli anni seguenti, che furono gli anni centrali della Restaurazione, Ferdinando I, Francesco I e, soprattutto, Ferdinando II, salito al trono nel 1830, cercarono di temperare il loro governo con un paternalismo, in diverse occasioni, moderato e che voleva apparire desideroso di nuovi metodi. Ma questo non impedì che si susseguissero diverse congiure, fra le quali la più nota è quella del 1º settembre 1831, in cui gli insorti, guidati da Domenico di Marco e appartenenti in maggioranza al ceto degli artigiani (che, allora, erano legati alla nobiltà), percorsero Palermo chiedendo la costituzione. Nel 1837 un'altra rivoluzione scoppiava a Catania e a Siracusa, favorita dalle condizioni in cui versavano le popolazioni colpite dalla carestia e dal colera. Meno avvertita fu in quest'ultimo moto l'esigenza dell'autonomia, che invece continuava a essere sentita a Palermo, come dimostrò la rivoluzione del 12 gennaio 1848, una rivoluzione che precedette tutte le altre che scoppiarono in quell'anno, ma che pure non esercitò grande influenza proprio perché ancora animata dallo spirito d'indipendenza isolana.

In un primo momento la Sicilia sperò di riuscire a ottenere da Ferdinando II una costituzione separata, ma il parlamento, radunatosi il 25 marzo, presieduto da Vincenzo Fardella, dovette prendere atto del preciso rifiuto del re e allora dichiarò, nell'aprile, decaduta la monarchia borbonica e, dopo aver conferito a Ruggero Settimo, capo del governo provvisorio, la reggenza, facendo uso dei diritti di “Stato sovrano e indipendente”, scelse il nuovo re nella persona di Alberto Amedeo di Savoia, duca di Genova e figlio di Carlo Alberto. La Sicilia troppo apertamente trasferiva sul piano italiano le sue aspirazioni di indipendenza, mostrando d'intendere la sorte della penisola come una confederazione di liberi stati. Approfittando dell'isolamento in cui si trovava la Sicilia, fu più facile al Borbone, vittorioso a Napoli sul parlamento nella giornata del 15 maggio, condurre la lotta contro la Sicilia; nel settembre, Messina, lungamente bombardata dovette cedere ed entro il 1848 le truppe napoletane completavano l'occupazione della costa orientale, investendo poi, nel nuovo anno, Palermo. Nel 1849, la resistenza che questa città condusse per diverso tempo apparve troppo ai patrioti che ancora combattevano a Roma e a Venezia sotto una diversa luce perché tutti si sentivano legati allo stesso destino e la causa di uno era la causa di comune. Ma ormai non c'era più nulla da fare di fronte alla reazione che stava per trionfare in Italia e in Europa: il 15 maggio 1849 Ferdinando II ritornava in possesso di Palermo e, conseguentemente, di tutta l'isola. Era stata un'amara esperienza, che però diede i suoi frutti nel decennio successivo, quando l'opinione pubblica siciliana si orientò, come avveniva nelle altre parti della penisola, verso il Regno di Sardegna e Cavour.

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