Dimore eterne e luoghi sacri

 

Americhe: i tesori misteriosi del Nuovo Mondo  

Condizione irrefutabile e ineludibile, la morte è uno stato al quale tutti gli esseri viventi giungono. Ciò nonostante, l’uomo tenta in ogni modo di ovviare all’insicurezza che ne deriva prefigurandosi luoghi nei quali giungerà dopo il decesso e creando cieli e inferni, inframondi e destinazioni ultime. A seconda del tipo di società e delle cedenze a essa relative, le condizioni post mortem ipotizzate devono ricalcare un tipo di destinazione o un altro. Nella società cristiana, per esempio, vediamo che la condizione dell’individuo, una volta abbandonata la vita terrena, è condizionata da una scala di valori morali: se il defunto in vita si è comportato bene e non ha peccato, andrà a godere della luce divina in Paradiso; in caso contrario sarà costretto a patire fra le fiamme eterne dell’Inferno.

Nel Messico preispanico, il fattore determinante la destinazione dopo la morte consisteva nel modo stesso di morire. Così, i guerrieri caduti in battaglia o sacrificati erano destinati a essere accompagnati dalla luce del sole dall’alba a mezzogiorno, mentre le donne morte di parto, considerando che l’atto di partorire veniva ritenuto una battaglia, dovevano godere dello stesso privilegio, ma da mezzogiorno al crepuscolo. Se la morte si verificava in relazione all’elemento acquatico (affogamento, idropisia, ecc.) allora i defunti convergevano presso i Tlalocan, luogo di estate eterna presieduto dal dio Tlàloc. 

Ogni tipo di decesso che non rientrasse in questa casistica obbligava il defunto a intraprendere un lunghissimo viaggio irto di pericoli fino al Mictlan, al cospetto della coppia Mictlantecuhtli e Mitlancìhuatl, rappresentazione della dualità della morte che presiede l’inframondo. Dunque, possiamo tranquillamente affermare che tutti i popoli della terra hanno pratiche di sepoltura che variano in base alle forme di pensiero loro proprie. 

Per quanto riguarda il Continente americano, si possono annoverare un’infinità di popoli, pur caratterizzati da vari livelli di sviluppo, nell’ambito dei quali venivano consuetamente svolte pratiche funerarie che l’archeologia ha permesso di scoprire e studiare.

A questo punto è però necessario sottolineare la differenza fra la pratica di sepoltura comune e quotidiana e quella che rivestiva un carattere rituale specifico. Nel primo caso, quando la morte era accidentale, la sepoltura non aderiva a un modello rituale, mentre nel secondo la morte, imposta per scopi precisi, e la sepoltura assurgevano a una particolare funzione rituale, sia che i personaggi venissero sacrificati per svolgere il ruolo di accompagnatori di un defunto di alto rango, sia che morissero in un rituale propiziatorio e per costituire parte di un’offerta agli dèi, a un tempio, ecc.

Fra le pratiche funerarie note in ambito americano, si sono scelti tre esempi che illustrano il rituale di inumazione riservato a personaggi di ceto elevato, oltre a un caso che concerne sepolture comuni e a fine propiziatorio. Le quattro culture esaminate presentano una struttura societaria nettamente stratificata e classista, al cui vertice si pone un’élite che governa una popolazione dedita alle varie attività produttive, quali la lavorazione di ceramiche e pietre, l’edificazione e l’agricoltura.

Contemporanee dal punto vista cronologico, le quattro civiltà prese in considerazione si collocano entro i confini attuali di Messico e Perù, nella misura di tre a una rispettivamente. Questa concentrazione non deve sorprendere poiché furono proprio l’area mesoamericana e quella andina a fungere da culla delle civiltà più evolute che fiorirono prima dell’arrivo dei conquistatori europei, contrariamente a quanto accadde in altre regioni del continente dove tali fenomeni non si verificarono.

Per quanto concerne la Mesoamerica, sono state selezionate tre città che giocarono un ruolo di primaria importanza nella loro epoca: Teotihuacàn, Palenque e Monte Albàn. La prima, localizzata nel cuore del Paese, 35 chilometri a nord di Città del Messico, raggiunse un livello tale di potenza e sviluppo che la sua influenza può essere riscontrata in molte parti del territorio mesoamericano. La città cominciò a essere costruita poco prima dell’inizio della nostra era e, secondo i dati fornitici dall’archeologia, i suoi edifici più antichi sono la Piramide del Sole e la Piramide della Luna.

A partire da quel momento la città andò via via ampliando le sue dimensioni fino a raggiungere i 22 chilometri quadrati, contestualmente la sua popolazione ebbe un incremento che la portò a un numero di abitanti stimato attorno ai 125.000. La città risulta divisa in quattro vasti settori, o quadranti, per mezzo di due grandi assi perpendicolari: uno che scorre da nord a sud, conosciuto come il “Viale dei Morti”, e l’altro che si dipana da est a ovest, incrociando il primo in un punto chiamato Ciudadela, “Cittadella”. Questa divenne il centro della città a partire dal 250 d.C.

L’importanza di Teotichuacàn non si manifestò soltanto nel momento del suo apogeo, ma anche una volta che la città fu distrutta, la sua influenza perdurò nei popoli posteriori. Si può ben affermare che in queste popolazioni l’influsso teotihuacano in molti degli usi, nei rituali, nel tipo di economia e perfino nella pianificazione urbanistica, fu predominante.

Palenque, invece, sorse e si sviluppò nella selva del Chiapas, all’interno di un ambiente naturale assai diverso rispetto a quello della zona di Teotihuacàn. Questa cultura maya raggiunse il suo apogeo negli anni fra il 300 e il 600 d.C. La magnificenza dei suoi complessi architettonici e delle decorazioni a stucco lavorate con estrema abilità ha portato a considerarla un caso unico talmente significativo da far coniare l’espressione “stile palencano”. Fu proprio in questa città che, durante una campagna di scavi condotti nel 1951, venne scoperta una tomba impressionante all’interno dell’edificio conosciuto come Tempio delle Iscrizioni. La notizia destò scalpore in tutto il mondo e grazie a questo ritrovamento fu possibile acquisire un’ampia, sebbene non integrale, conoscenza delle pratiche funebri mediante le quali si svolgevano i riti di inumazione destinati agli alti dignitari maya.  

La tomba riportata alla luce era quella di un monarca, Pacal, un uomo di 65 anni circa il cui volto era stato coperto da una maschera di giada. Molti anni più tardi, nel 1994, si verificò un altro rinvenimento sensazionale: nell’Edificio XIII, accanto alla tomba di Pacal, si localizzò un’altra tomba, questa volta di una donna di alto rango che, secondo gli studi tuttora in corso, potrebbe essere una congiunta del monarca.

Monte Albàn sorge nelle valli centrali dell’Oaxaca, in una regione ubicata fra l’altopiano su cui si trova Teotihuacàn e la zona maya. La città, iniziata alcuni secoli prima della nostra era, fu eretta in cima a un cerro che venne successivamente adattato alle necessità.

La piazza principale, orlata da vari edifici, è di ampie dimensioni. I lavori di scavo condotti da Alfonso Caso e dalla sua équipe negli anni Trenta e Quaranta permisero la conoscenza in campo architettonico e scultoreo della lavorazione della ceramica, della cronologia e della nascita della scrittura geroglifica e, naturalmente, delle pratiche di inumazione, grazie all’investigazione di un buon numero di tombe.

È importante sottolineare che Monte Albàn fu occupato da due gruppi diversi: Zapotechi e Mixtechi. I primi costruirono la città, mentre i secondi, giunti alcuni secoli più tardi, attorno all’anno Mille, occuparono il sito e con esso anche alcune tombe zapoteche. Un esempio importante di questo tipo di occupazione è costituito dalla famosa Tomba 7, che fa fornito all’archeologia un enorme numero di preziose informazioni non solo riguardanti le pratiche funebri, ma anche relative alle offerte che accompagnavano il personaggio sepolto. 

Il Perù, invece, vanta uno dei ritrovamenti più sorprendenti dell’archeologia preispanica degli ultimi anni: le tombe reali di Sipàn, località situata sulla costa settentrionale presso il fiume Lambayeque. In quest’area fiorì la cultura moche, che ha tramandato un’eredità tale da non finire mai di stupire gli studiosi delle civiltà andine. Questa cultura agricola e guerriera si sviluppò tra il 100 e l’800 d.C. ed era già nota all’archeologia grazie alla sua significativa produzione fittile di alta qualità. A questa già preziosa eredità va ora aggiunta la ricca mole di informazioni raccolte grazie allo scavo di una serie di tombe poste all’interno di uno degli edifici oggetto di una continua serie di saccheggi.

Il diffuso fenomeno vede il proliferare di ladri di tombe alla ricerca d’oro da vendere a individui senza scrupoli, che per mania di collezionismo causano ingenti danni ai contesti archeologici come quello di Sipàn. Fortunatamente in questo caso, l’intervento dell’archeologia fu provvidenziale e determinò il salvataggio di parte di questo patrimonio che permette lo studio delle modalità con cui venivano inumati gli alti dignitari moche, oltre a quello di numerosi rituali rappresentati nei monili d’oro, argento, rame e altri materiali rinvenuti durante gli scavi.

    

Fonte:
Dimore eterne - Alberto Siliotti