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La
città maya di Palenque è ubicata nel nord del Chiapas, nel punto in cui la
selva montana lascia il posto a una vasta pianura che si estende fino alla
costa del Golfo del Messico.
Questo
grande centro urbano si sviluppò contemporaneamente agli altrettanto
importanti insediamenti maya di Tikal, Uaxactùn, Copàn, Quiringuà,
Yaxchilàn e Bonampak, tutti siti che si collocano cronologicamente nel
periodo noto come Maya classico, compreso fra gli anni 250 e 950 d.C. Fu un
momento di notevole splendore, durante il quale fiorirono le arti e le
grandi città raggiunsero il loro zenith. Non fu tuttavia facile
sopravvivere in un ambiente tanto particolare come quello della selva,
considerato che l’agricoltura, fondamento dell’economia maya, era
praticata con metodi che contribuivano assai poco all’arricchimento
costante della erra.
È
ormai assodato che fra alcune di queste città scoppiassero di frequente
violenti conflitti al fine di conquistare aree coltivabili sempre maggiori.
Tanto sulle stele, quanto nelle iscrizioni glifiche e nelle raffigurazioni
pervenuteci, appaiono personaggi legati con corde che, sconfitti, sono alla
mercè del vincitore. In questo scenario, Palenque giocò un ruolo
importante in relazione ad altre città maya.
Il
sito fu studiato e fatto oggetto di meticolose indagini archeologiche già
nel corso del XIX secolo; nessuno però si sarebbe immaginato che nel maggio
1952, dopo parecchie campagne di scavo nel Tempio delle Iscrizioni, si
sarebbe verificato il ritrovamento di una tomba reale con tutto il suo
corredo, così come era stato depositato verso il 750 d.C. Il resoconto
dell’eccezionale scoperta è emozionante ancora oggi: “Nel santuario fu
rimossa la lastra litica perforata, la cui funzione di chiusura della scala
interna ci era stata rivelata da investigazioni precedenti, e vennero
estratte le grosse pietre che ostruivano la tromba delle scale, cosicché fu
possibile comprovare che il primo tratto constava di 45 gradini”.
L’archeologo
Alberto Ruz descrisse con queste parole l’inizio dell’esplorazione della
scalinata che dalla parte superiore del tempio scende alla camera
sepolcrale. La seconda rampa, della quale si intuiva l’esistenza grazie
alla presenza di una svolta in discesa, si sarebbe rivelata essere composta
da 27 gradini. Durante lo scavo della scalinata vennero portati alla luce
varie offerte e resti umani per un totale di cinque persone sepolte
collettivamente, una delle quali di sesso femminile. Le ossa si trovavano in
cattivo stato, visto che erano state ricoperte di calce; si conservavano
ancora resti di pittura rossa. Gli scheletri vennero rinvenuti accanto a una
pietra triangolare di 162 centimetri di base e 236 di altezza: proprio
questa lastra risultò essere la porta d’ingresso alla camera sepolcrale.
Il
13 giugno 1952 Ruz scrisse: “I macigni e il miscuglio di detriti che
sigillavano la porta furono rimossi e attraverso la fessura aperta fui in
grado, con l’aiuto di una torcia elettrica, di vedere quanto appariva al
di là del lastrone triangolare. Una camera spaziosa, decorata con rilievi a
stucco sui muri, era quasi totalmente occupata da un enorme sarcofago
scolpito”. Due giorni più tardi fu possibile penetrare all’interno
della stanza.
Alla
camera sepolcrale si accede scendendo quattro scalini: la maggior parte
dello spazio disponibile è occupata dal sarcofago di calcare, chiuso da un
coperchio del medesimo materiale e istoriato con diverse figure a
bassorilievo.
L’ambiente
misura 7 metri di lunghezza da nord a sud e 3,75 di larghezza da est a
ovest; la copertura è costituita dalla tipica falsa volta maya. Il
sarcofago misura 3 metri di lunghezza, 2,10 di larghezza e 1,10 di profondità.
Il
blocco fu scavato all’interno in modo che la cavità riproducesse le forme
di un utero, con le pareti colorate di rosso. Un coperchio di pietra della
stessa forma, perfettamente combaciante, chiudeva il vano. L’enorme lastra
che sigillava il sarcofago è lunga 380 centimetri, larga 220 e spessa 25;
al centro del complesso bassorilievo che ne orna la superficie appare un
giovane personaggio in posizione semi giacente, con il capo rivolto
all’indietro. Indossa un gonnellino riccamente ornato, una cintura con al
centro la raffigurazione di una testa scorticata, un collare e bracciali. Al
di sopra del giovane si eleva una pianta a forma di croce, istoriata con
simboli relativi alla fertilità (acqua, pioggia, ecc.) e sulla quale si
attorce un serpente bicefalo. Sulla cima della pianta è posato un uccello
dalle lunghe piume, identificato con un quetzal, accanto al quale vi
sono due scudi con rappresentazioni solari.
Al
di sotto del personaggio compaiono tre figure di elementi associati alla
fertilità: un fiore, una conchiglia, un chicco di mais. Più in basso
ancora si trova il volto scheletrico del Signore della Terra. Una fascia di
glifi incornicia la scena: vi compaiono parte del firmamento con simboli
solari, lunari e di Venere, oltre a teste umane e geroglifici. Si può
affermare che questa è una delle realizzazioni più spettacolari
dell’arte maya, nella quale i simboli di vita e di morte appaiono in tutta
la loro complessità. Chi era dunque il personaggio al quale era stata
destinata una sepoltura così ricca?
I
primi studi di antropologia fisica rivelarono che si trattava di un
individuo di sesso maschile, in posizione distesa con la testa rivolta verso
il nord. Sebbene il materiale osseo fosse stato recuperato in cattive
condizioni, fu possibile precisare che al momento della morte l’uomo
dovesse avere circa cinquant’anni e che fosse alto 173 centimetri.
Successivamente, fu appurato che si trattava di Pacal, sovrano di Palenque.
Il
volto era stato coperto con una maschera formata da quasi duecento frammenti
di giada, con gli occhi di conchiglia, l’iride di ossidiana e la pupilla
ottenuta con un tocco di pigmento nero. La maschera era stata posta
direttamente sul viso del defunto, la cui pelle era stata preventivamente
coperta con un sottile strato di stucco – un miscuglio di calce e sabbia
finissima – al quale avevano aderito i frammenti. Le orecchie del defunto
erano ornate da grandi orejera dello stesso materiale; furono
rinvenute anche della narigueras.
Sulla
fronte fu trovato un diadema di 41 pezzi di giada, per la maggior parte
circolari, perforati al fine di essere uniti fra loro. Si presume che la
parte centrale del diadema fosse costituita da una placchetta di giada verde
intenso con la raffigurazione di Zotz, il dio-pipistrello: infatti, il
pipistrello-vampiro era sempre associato alla morte o all’inframondo.
Oltre
agli ornamenti che coprivano la testa e il volto del personaggio, diversi
altri monili adornavano varie parti del corpo. Furono infatti rinvenuti un
collare di perline di giada formato da 118 pezzi e un grosso pettorale,
costituito da 9 fili concentrici formati ciascuno da 21 perle di giada di
forma tubolare. Alle braccia e alle gambe Pacal indossava gioielli di giada:
due bracciali formati da 200 perle ciascuno che cingevano gli avambracci e
cinque anelli – uno per dito – sia nella mano sinistria, sia nella
destra.
Nella
sepoltura si trovavano anche delle conchiglie, alcune delle quali giacevano
posate sopra il coperchio. Alcune perle furono individuate accanto agli
elementi di giada del diadema e degli ornamenti per lobi. Altri oggetti di
osso, selce, ossidiana, pirite e stucco accompagnavano il defunto. Fra di
essi risaltano due teste antropomorfe in stucco, forse appartenenti a
sculture dalle quali erano state strappate per essere incluse nel corredo
funerario. Entrambe erano poste sul pavimento della camera funeraria, ai
lati del sarcofago di pietra.
Il
livello qualitativo di questi manufatti merita una breve disgressione. La più
grande delle due teste misura 43 centimetri di altezza, presenta tratti
fini, bocca piccola e labbra sottili. Il naso aquilino mostra il
prolungamento artificiale del profilo fino a metà fronte, di moda tra i
nobili maya. Secondo Ruz, il volto ha un’espressione serena e distinta. I
capelli, scalati all’altezza delle tempie, sono raccolti in una coda
ripiegata in avanti; i lobi delle orecchie mostrano i buchi per gli
ornamenti. L’altra testa misura 29 centimetri di altezza: il volto, più
ampio del primo, presenta una bocca meno delicata. Il naso invece è simile,
con l’attaccatura che ha origine anch’essa dalla fronte. Le orecchie
sono anche in questo caso perforate. In effetti, entrambi i pezzi sono
magnifici e non vi è dubbio che lo scultore fosse un vero maestro.
Un
aspetto interessante del Tempio delle Iscrizioni, all’interno del quale si
trova la tomba di Pacal, consiste nell’essere formato da nove corpi
sovrapposti, via via più piccoli dal basso verso l’alto, che conferiscono
all’edificio la caratteristica forma piramidale. La struttura superiore è
il tempio vero e proprio, la cui facciata mostra figure umane in stucco
riccamente lavorate. Proprio sul pavimento di questo elemento sommitale Ruz
individuò il coperchio di pietra che, una volta rimosso, rivelò la scala
conducente alla tomba.
È
importante sapere che l’insieme dei nove corpi architettonici sovrapposti
può simboleggiare, nella mitologia mesoamericana, i nove passi che portano
al mondo dei morti. Una scoperta interessante fu quella di un angusto
condotto che dalla camera funebre sale lungo un lato della scala verso la
sommità dell’edificio, là dove si trova il tempio. È quello che Ruz
chiamò “psicodotto” e considerò come una sorta di conduttura la cui
funzione era la connessione magica tra la camera mortuaria e il tempio; ciò
ha accresciuto le conoscenze riguardo alle abitudini funerarie dei Maya.
Il
ritrovamento della tomba di Pacal, inoltre, dimostrò inconfutabilmente che
alcuni edifici maya erano stati costruiti principalmente per scopi funerari,
cosa della quale fino a quel momento si era dubitato, in quanto solitamente
in Mesoamerica le piramidi fungevano da alto basamento per i templi
sommitali. A questo riguardo, Ruz però disse: “Riteniamo che solo nel
caso del Tempio delle Iscrizioni si tratti di una vera piramide-tomba, nella
quale la finalità funeraria dovette essere fondamentale, visto che
l’intera concezione architettonica della struttura appare incentrata su
tale funzione, nonché sull’integrazione di questa con la piramide, sul
suo nesso materiale e simbolico con il tempio, con particolare attenzione
alla solidità, alla stabilità e alla durata nel tempo dell’edificio”.
In
questo senso si può definire addirittura rivoluzionaria la recente scoperta
di una nuova tomba. Tra il 1992 e il 1994, più di quarant’anni dopo il
giorno in cui Alberto Ruz aveva riportato alla luce la tomba di Pacal,
furono condotti scavi in diversi siti messicani che, considerata la loro
importanza, meritavano di essere studiati più approfonditamente. Palenque
fu inclusa nella lista e fu così che nuovi lavori di prospezione ebbero
inizio in vari complessi architettonici, fra i quali l’Edificio XIII, un
monumento di dimensioni ridotte ubicato esattamente accanto al Tempio delle
Iscrizioni, sul lato ovest.
Nel
1994, al suo interno fu localizzata una tomba nella quale era stato sepolto
un altro personaggio – questa volta di sesso femminile – della dinastia
locale; il fatto che si trattasse di una donna ha indotto a pensare che
serbasse una relazione di stretta parentela con re Pacal. Nella camera
funeraria, di 3,80 metri per 2,50, si trovava un sarcofago litico,
rettangolare, dipinto in rosso cinabro e chiuso da una lastra di calcare
lunga 2,40 metri e larga 1,18; a differenza di quella che copriva il
sarcofago di Pacal, questa è priva di decorazioni. Alla camera si accede
tramite una porta e cinque scalini, ai lati dei quali erano stati posti due
individui, sicuramente sacrificati, come accompagnatori del personaggio
principale.
Lungo
il lato orientale del sarcofago giaceva un adulto di sesso femminile, prono,
mentre sul lato occidentale un bimbo di sesso maschile stava in posizione
distesa. Sulla lastra di chiusura era posato un incensiere. All’interno di
una nicchia, nella parete orientale, erano stati depositati tre fischietti
fittili. Sui gradoni furono rinvenuti un piatto di ceramica di grandi
dimensioni e due vasi tinti d’arancione, oltre a uno scheletro le cui ossa
non erano più connesse anatomicamente.
Quando
gli archeologi ebbero recuperato tutti questi reperti, si procedette allo
spostamento della lastra litica per scoprire chi fosse il personaggio ivi
sepolto. Ecco la descrizione dell’archeologo: “Forse, uno dei momenti più
sensazionali di questo ritrovamento fu vissuto quando venne asportato il
coperchio del sarcofago. Dopo più di 14 ore di lavoro (a causa della
mancanza di spazio) per spostarlo verso il lato sud, ci imbattemmo nei resti
ossei di un individuo di sesso femminile, alto e dalla struttura robusta,
che giaceva sul fondo del sarcofago con la testa orientata verso ovest. Una
collezione di giada, perle, coltellini di ossidiana, aghi d’osso e
conchiglie copriva e circondava lo scheletro, a sua volta decorato da circa
200 pezzi di giada, uniti per formare una maschera, collari, orejeras,
acconciature, bracciali e tobilleras.
Gli
studi sono tuttora in corso, ma è evidente l’importanza di quanto
rinvenuto, nell’approfondimento della conoscenza delle abitudini funerarie
maya.

Collegamenti:
Fonte:
Dimore eterne -
Alberto Siliotti
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