La città sacra zapoteca: Monte Albàn

 

 

La città preispanica di Monte Albàn sorge in cima a un cerro da cui si domina l’attuale Città di Oaxaca. Molti siti archeologici sono stati localizzati nelle valli centrali dello stato dell’Oaxaca, regione montuosa ubicata fra il centro del Messico e l’area maya; cioè, ne attesta l’importanza e spiega come poté essere influenzata dalle regioni limitrofe, influenzandole a propria volta. Nell’Oaxaca si svilupparono varie culture, fra le quali la zapoteca e la mixteca, che a tutt’oggi risultano essere quelle maggiormente conosciute dal punto di vista archeologico. Entrambe hanno radici profonde e sono molto antiche, ma è comunque possibile affermare, in base allo studio di diversi siti come Monte Albàn e altri, che furono gli Zapotechi a occupare per primi le valli principali, dove solo attorno al 1000 d.C. è comprovata la presenza di gruppi mixtechi, giunti dalle regioni limitrofe e insediatisi nei centri zapotechi.

Il caso di Monte Albàn, la cui fondazione è contemporanea a quella di Teotihuacàn e di Palenque, è paradigmatico. In effetti, Monte Albàn iniziò a essere costruita verso il 500 a.C.: a questo periodo risale uno dei suoi monumenti più antichi, conosciuto con il nome di “Edificio dei Danzanti”, che si erge sul lato sud-ovest rispetto alla Grande Piazza centrale.

Verso il 500-600 d.C. la città toccò l’apice dello splendore: la sua popolazione raggiunse approssimativamente le 30.000 unità, una cifra che dà la misura del suo sviluppo. Dopo l’800 d.C. la città iniziò una lenta decadenza e in seguito alla Conquista Monte Albàn conobbe un lungo periodo di oblio, rotto solo nel XX secolo.

Negli anni Trenta don Alfonso Caso diresse varie campagne di scavo in loco. Oltre all’investigazione della Grane Piazza centrale della città e di molti dei suoi edifici, venne effettuato il ritrovamento di un buon numero di tombe, alcune delle quali decorate con ricche pitture parietali. In tale occasione fu rilevato un fatto significativo: alcune delle sepolture zapoteche erano state riutilizzate durante l’occupazione mixteca.  

È importante chiarire che furono proprio i Mixtechi a elaborare molti codici calendariali, religiosi e storici, tuttora conservati in diversi musei europei. Solo uno di questi documenti è rimasto in Messico: il Codex Colombino.

Furono inoltre artigiani mixtechi che lavorarono in modo eccezionale il metallo – l’oro e l’argento -, così come la ceramica più bella della Mesoamerica, caratterizzata da una policromia ineguagliabile. Ebbene, proprio reperti fittili di altissima qualità furono rinvenuti nelle tombe zapoteche riutilizzate dai Mixtechi. Uno degli esempi più significativi, sul quale vale la pena di soffermarsi, è la Tomba 7 di Monte Albàn, che per la qualità e la ricchezza degli arredi funebri è degna di rivaleggiare con i ritrovamenti più importanti compiuti nelle tombe di grandi signori nell’intera regione mesoamericana.

La localizzazione della Tomba 7 è così documentata: “Addì 9 gennaio 1932 trovammo a Monte Albàn, Oaxaca, la tomba che prese il numero 7, essendo la settima delle catalogate e, all’interno di essa, una gran quantità di gioielli forgiati con materiali preziosi”.

Con queste parole Alfonso Caso fa riferimento al ritrovamento della tomba, avvenuto durante la prima campagna di scavi nel sito. La sepoltura, che si trova fuori dal perimetro della Grande Piazza, verso il lato nord-est, fu scoperta un sabato pomeriggio.

L’emozione causata dalla ricognizione preliminare fu tale che si decise di proseguire il lavoro tutta la notte. È necessario precisare che le tombe zapoteche sono costituite da vere e proprie stanze con pareti di pietra intonacate a stucco, sulle quali venivano dipinte scene di varia natura e nelle quali talvolta si aprono nicchie destinate a ospitare parte dei corredi funerari. I soffitti, realizzati mediante grandi lastre di pietra, potevano essere piani o a doppio spiovente.

La grande quantità di tombe scavate a Monte Albàn ha consentito di ricostruirne l’evoluzione tipologica. La tomba 7 è formata da una stanza principale alla quale si accede attraverso un’anticamera: la prima, lunga metri 3,60 centimetri, larga 1,25 e alta 2, presenta una copertura a due spioventi, mentre l’anticamera, che misura metri 1,85 di lunghezza per 1,40 di larghezza, ha un tetto piano. Sebbene assai deteriorati, si conservano ancora alcuni resti di pitture murali. L’ingresso della tomba, orientata est-ovest al di sotto di un complesso architettonico che la sovrastava, è situato sul lato orientale. Sebbene non si trattasse di una delle sepolture più sontuose, molti secoli dopo la sua costruzione venne riutilizzata durante l’occupazione mixteca della città.

Nell’anticamera furono rinvenute tre urne fittili appartenenti alla prima inumazione, due delle quali presentano l’effigie del dio Cocijo, divinità dell’acqua presso gli Zapotechi. In seguito allo studio di questi reperti, si poté precisare che corrispondono alla fase III-b di Monte Albàn (500-600 d.C.), momento di grande splendore durante il quale fu originariamente approntato il sepolcro. Il reimpiego mixteco ebbe luogo, secondo Caso, verso il XV secolo o l’inizio del XVI.

Al momento della scoperta, l’entrata alla camera principale risultava ostruita e pertanto fu indispensabile rimuovere la massa terrosa. Si scoprì che la lastra di pietra impiegata per sbarrare il sepolcro quando era stato inumato il defunto zapoteco, era stata successivamente asportata dai Mixtechi: questi la utilizzarono per tappare il foro aperto nel tetto, in modo da consentire loro di uscire dopo aver deposto nella tomba i corpi di nove persone.

Una volta penetrati all’interno, gli archeologi iniziarono a recuperare i reperti, segnalando i punti in cui venivano via via ritrovati, così come fecero per le ossa, che si trovavano sparpagliate ovunque. Fu comunque possibile definire la disposizione dei corpi secondo questo schema: uno in fondo alla tomba, tre accanto al muro della seconda camera, un altro presso la parete settentrionale e quattro tra l’ingresso e l’’anticamera. Ciò fece maturare l’idea negli scopritori che la tomba fosse stata adibita a ossario, teoria che altri non condividono in quanto molte di queste ossa dovettero appartenere al primo defunto sepolto e ai suoi accompagnatori.

Quello che pare invece essere il principale occupante mixteco, ovvero il secondo defunto di alto rango inumato, è l’individuo rinvenuto al fondo della tomba: secondo lo studio osteologico era un uomo di circa 60 anni, il cui cranio presentava la deformazione rituale e un’escoriazione parietale sinistra di origine tubercolotica. Il suo aspetto deforme è assai significativo in quanto va ricordato che nel mondo preispanico determinati tipi di malattie venivano associati a divinità. Inoltre, secondo alcuni miti delle regioni centrali del Messico, un dio malato si trasforma in sole.

Oltre agli scheletri, nella tomba furono rinvenuti ulteriori resti ossei umani, facenti parte del corredo funebre: si tratta di un cranio incrostato da tessere musive di turchese, di tre femori coperti da figure incise e di cinque mandibole dipinte di rosso. Fra gli oggetti d’oro rinvenuti si annoverano veri e propri capolavori. In particolare, i dieci pettorali sono, secondo Caso, “…. più preziosi dal punto di vista scientifico per quello che ci illustrano”.

Uno di essi raffigura un personaggio che porta un elmo a foggia di testa di felino o serpente e indossa una maschera boccale a forma di mandibola scarnificata; sul busto compaiono alcuni glifi calendariali. Altri cinque rappresentano la dea Xochipilli e altri tre il Dio Tlàloc e animali come il giaguaro e forse lo hacuache (l’opossum). Il decimo, di rara bellezza, è un pettorale composto da varie parti unite fra di loro: la placca superiore rappresenta il campo del gioco della palla, mentre quella sottostante è un disco solare con un cranio al centro. Il terzo elemento raffigura un coltello di selce con le fauci spalancate verso il basso (simbolo della Luna) e la quarta rappresenta il Signore della Terra, Tlaltecuhtli, che aveva il compito di divorare i cadaveri. Appesi a quest’ultima placchetta vi sono quattro pendenti, che a loro volta reggono altrettanti sonagli. Questo monile nel suo insieme è veramente impressionante sia per la realizzazione, sia per il simbolismo presente nelle figure menzionate, collegate alle credenze mixteche relative ai livelli celesti e all’inframondo.  

Un altro monile aureo eccezionale è la piccola testa del dio Xipe, signore degli artigiani orafi, ritratto con gli occhi semichiusi e un’orejera come ornamento. Altri pezzi di notevole interesse sono in foggia di volto umano o divino, con diversi pendenti a ciondolo. Molti sono gli dèi realizzati in oro, come per esempio Quetzalcòatl, oltre a quelli cui si è già accennato, ma anche numerosi animali mitologici come fagiani e aquile. In questi ultimi, dal becco del rapace pendono sonagli e altri ciondoli. Non mancano rappresentazioni degli astri: due pezzi particolarmente interessanti rappresentano il disco solare e quello lunare, simboleggianti la notte e il giorno. Il sole è in oro, mentre la luna è in argento. In linea di massima, i gioielli venivano fabbricati mediante la tecnica della cera persa, ma in questo caso la lavorazione è a sbalzo: l’assenza di saldature fra i diversi metalli è davvero degna di nota.

Gli undici anelli rinvenuti nella tomba meritano un cenno speciale: la maggior parte di essi presenta una profusione di decorazioni di vario soggetto.

Particolarmente interessanti sono quelli cosiddetti “false unghie”, che venivano indossati sulle dita coprendone appunto l’unghia, della quale la parte superiore del monile imita la forma. Altri reperti, quali un manico di ventaglio, un’orejera, braccialetti, sonagli e un diadema con piume, concorrono a formare un insieme impressionante.

Oltre a quelli già menzionati, vennero rinvenuti 24 oggetti in argento, fra i quali figurano anelli, sonagli, un vasetto e false unghie in lega d’argento e rame. L’unica arma rinvenuta nella tomba è un’ascia in rame. Questo suggerì a Caso che l’individuo di maggior rango inumato nella Tomba 7 fosse un sacerdote e non un militare, vista l’assenza fra le offerte di attributi di carattere bellico.

Uno dei materiali utilizzati per il confezionamento del corredo funebre del defunto è la giada, materia prima apprezzatissima nel mondo preispanico, con la quale venivano fabbricati anelli, orejeras a altri oggetti. Anche il cristallo di rocca veniva impiegato, nonostante la difficoltà di lavorazione dovuta alla sua considerevole durezza.  Fra gli oggetti di cristallo di rocca rinvenuti si annoverano una coppa, un’orejera e diverse perline, che per la straordinaria trasparenza sono di qualità eccellente.

Un discorso analogo può essere fatto per l’alabastro, che con le sue tinte lattee risalta fra gli altri materiali usati. Di particolare pregio, oltre a vari recipienti, vi è una coppa la cui base presenta una serie di protomi zoomorfe scolpite.

Per quanto riguarda l’ossidiana, ampiamente utilizzata nell’antico Messico, abbiamo orejera, navajas e una piccola nariguera. Soltanto sei spolette per tessitura vennero rinvenute.  

Altri pezzi come collari e orejeras vennero fabbricati con materiali come ambra nera e ambra bionda. Anche le perle venivano utilizzate per fabbricare collari, così come le conchiglie erano profusamente impiegate per realizzare braccialetti, bracciali, orejeras e collari, questi ultimi costituiti da molti frammenti di specie diverse.

È importante accennare al fatto che occasionalmente si hanno pezzi, come collari e altri monili, nei quali materiali eterogenei appaiono combinati assieme. Le abili mani degli artisti mixtechi trasformarono anche ossa animali in prodotti che si possono classificare in due categorie: quelli che servivano da gioielli o da ornamenti e quelli scolpiti con scene di carattere mitico o storico. Fra i primi si hanno collari e orejeras, mentre i secondi sono ossa larghe recanti scene e personaggi di varia natura.

A tale proposito non va dimenticato che gli animali possedevano sempre un simbolismo precipuo. L’aquila era paragonata al sole e ne diveniva così l’emblema; il giaguaro era posto in relazione con la notte; il serpente era intriso di una simbologia molto più ampia, ora come elemento di fertilità, ora associato alla terra, mentre le lumache e le conchiglie erano legate all’acqua e alla fertilità. Alcuni dei erano posti in relazione o rappresentati con determinati animali.

In generale, tutti gli oggetti rinvenuti stavano sia nella camera, sia nell’anticamera e al momento della scoperta apparivano in superficie, mescolati alla terra fra le ossa umane. Alcuni di essi erano chiaramente associati a uno scheletro, come nel caso dei sei braccialetti d’oro e quattro d’argento inseriti nelle ossa dell’avambraccio di uno dei personaggi sepolti. Una delle conclusioni a cui giunse il dottor Caso è che tutti i materiali descritti, salvo le tre urne fittili zapoteche di cui si è fatto cenno all’inizio, sono riferibili alla cultura mixteca.

Fece perciò ricorso ai codici elaborati da questo popolo, analizzando le somiglianze tra le immagini riportatevi e i reperti rinvenuti a Monte Albàn: le analogie erano cospicue.

Un aspetto importante che non vogliamo tralasciare è il lavoro di metallurgia. In termini generali potremmo dire che durante il cosiddetto “Periodo classico mesoamericano” non era noto l’uso dei metalli preziosi, oro o argento che fosse. La lavorazione di questi metalli si sviluppò successivamente e gli specialisti ritengono che le relative tecniche possano essere state trasmesse dalle popolazioni del Sudamerica, dove la metallurgia risale a epoche più antiche, come nel caso della Colombia, del Perù e di Panama.

Non vi è alcun dubbio che i ritrovamenti delle tombe di Monte Albàn abbiano fatto nuova luce nel campo della conoscenza delle pratiche funerarie sia degli Zapotechi, sia dei Mixtechi. Inoltre, hanno permesso di raccogliere una ricca quantità di informazioni sugli oggetti che solitamente accompagnavano i defunti, consentendo agli specialisti di accrescere enormemente le nozioni riguardo alla metallurgia e all’impiego di diversi tipi di pietre, della conchiglia, del corallo e dell’osso.  

Le successive prospezioni non hanno fatto che ampliare tali conoscenze. È il caso delle tombe di Zaachila, non molto distanti da Monte Albàn, il cui scavo, condotto negli anni Sessanta, portò alla luce numerosi manufatti d’oro e, soprattutto, di ceramica.

Un ritrovamento ancora più recente è costituito dalla tomba di Huijazoo, un sito zapoteco ubicato in posizione strategica all’ingresso delle valli centrali dell’Oaxaca. Nel 1985 vi fu rinvenuta una tomba formata da due anticamere e una camera principale, che risultò essere quella con la decorazione parietale meglio conservata. In questi dipinti sono chiaramente visibili personaggi in processione riccamente abbigliati; talvolta sono a gruppi di nove, fatto assai significativo poiché questo numero è associato ai nove livelli o inframondi che il defunto doveva attraversare per giungere al più profondo di essi, là dove si pensava che risiedessero gli dèi della morte. I trapassati dovevano affrontare una serie di trappole e pericoli per giungere a tale destinazione. Anche gli scalini che scendono verso l’entrata della tomba, occlusa da una pesante porta in pietra, sono nove. Come si può immaginare, resta ancora molto da investigare sui popoli mixteco e zapoteco.

Le relazioni fra l’archeologia e i diversi documenti del XVI secolo scritti da frati e cronisti sono di inestimabile valore, poiché questi, unitamente ai dati emersi durante gli scavi, forniscono vitali informazioni di carattere storico. Ai suddetti testi vanno aggiunti i codici mixtechi, fonte inesauribile che ci permette di sondare non solo la storia di questi popoli, ma anche le loro credenze mitiche e religiose, le loro usanze e molti dati ancora che ci avvicinano all’essenza di ciò che essi furono.

Con l’arrivo degli Spagnoli nella regione dell’Oaxaca, le antiche pratiche funebri andarono perdendosi a poco a poco. L’importanza di quest’area per gli Europei è deducibile dal fatto che i monarchi iberici conferirono al capitano Hernàn Cortès, il conquistatore del Messico, il titolo di Marchese della Valle di Oaxaca.

La regione, ricca d’oro e pietre semipreziose, fu sempre un luogo d’attrazione per gli ambiziosi conquistadores. Senza dubbio, l’archeologia continuerà a scoprire nuove tombe, che costituiscono un aspetto necessario per la conoscenza e la migliore comprensione delle società che ci precedettero. La completa conoscenza delle società del passato consente di comprendere meglio il presente e di capire che, da quando l’uomo è uomo, ha sempre tentato di sopravvivere alla morte.

I vari miti messi in relazione con la sopravvivenza e l’idea che l’uomo si fa dei suoi dèi, della vita e della morte non rivelano null’altro se non la necessità di trascendere ed evitare un destino che l’essere umano si rifiuta di accettare.

  
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Fonte:
Dimore eterne - Alberto Siliotti