Sito archeologico di Olimpia
Grecia
  
PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1989
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Museo Archeologico

II gran numero di materiali provenienti dagli scavi dell'Altis e i danni subiti dal primo Museo di Olimpia (Vecchio Museo) a causa dei terremoti, portarono inellutabilmente alla costruzione di un nuovo Museo Archeologico per ospitare i tesori del Santuario. Il nuovo Museo, completato nel 1975, fu inaugurato nel 1982. Nell'ambito dei lavori per i Giochi Olimpici del 2004 ad Atene, il Museo è stato ampliato e rinnovato ed anche l'apparato espositivo è stato riallestito secondo le esigenze della Museologia contemporanea. Il complesso edilizio del Museo è costituito dallo spazio espositivo - vestibolo e dodici sale - e dagli ambienti funzionali-ausiliari nell'ala orientale. 

L'esposizione ospita opere di arte impareggiabile provenienti dall'Altis, attraverso cui si dispiega non solo la storia ultramillenaria del più importante Santuario dell'antichità ma anche il radioso cammino dell'arte greca. Veri gioielli del Museo sono le sculture del tempio di Zeus, la Nike di Peonio, l'Ermes di Prassitele - la famosissima statua di Olimpia -, la coppa di Fidia, l'elmo di Milziade e gli oggetti di bronzo che costituiscono la più ricca collezione del mondo. Le antichità esposte sono presentate in ordine cronologico e tematico, dalla Preistoria fino ai primi secoli cristiani.

Peristilio-vestibolo - Nel peristilio esterno del Museo sono esposti elementi architettoci di edifici del Santuario e statue. Tra queste ultime colpisce il tronco della statua colossale dell'imperatore romano Augusto, che si trovava nel Metroon.

Nel vestibolo, il plastico del Sito Archeologico offre al visitatore un'idea esaustiva di come fosse il Santuario nell'antichità.

Sala I - Vi sono esposti ritrovamenti relativi all'età preistorica e protostorica di Olimpia. Le più antiche prove di frequentazione nell'area sono costituite da frammenti provenienti dal terrapieno settentrionale dello Stadio, che datano alla fine del Neolitico (4300-3100 a.C). 

L'Antico Elladico (3100-2000 a.C.) è rappresentato da ricca ceramica e strumenti litici, rinvenuti soprattutto nell'area del tumulo preistorico del Pelopion e nelle case absidate, le più antiche costruzioni dell'Altis (2500-2000 a.C). Nelle vetrine a sinistra sono esposti oggetti di età neolitica, vasi fatti a mano, oggetti a forma di ancora, strumenti, caratteristici vasi dell'Antico Elladico, come "insalatiere", prochoi, bicchieri a forma di anfora, phialae monoansate, kantharoi di colore grigio, incensiere, ecc. 

Le prochoi e le phialae monoansate, in particolare, sono decorate con motivi impressi ed incisi sotto l'orlo, sull'ansa e sulla base. Questa categoria di vasi (2050 - 2000 a.C.) attesta rapporti con la civiltà Cetina delle coste della Dalmazia.

Nell'area degli edifici absidati sono state rinvenute anche sepolture in pithoi, che hanno restituito ricca ceramica, soprattutto askoi e kantharoi.

Il Medio Elladico (2000-1600 a.C.) è ugualmente rappresentato da ceramica e strumenti. Si vedono vasi caratteristici, come askoi e kantharoi di argilla grigia e superficie porosa, decorati con motivi geometrici incisi, e frammenti di ceramica "adriatica". Interessanti sono gli strumenti litici: pietre levigate e punte di selce e di ossidiana. Oltre che nell'Altis, strutture preistoriche sono state individuate anche sulla «collina di Enomao», a 1 Km ad Est dello Stadio, dove inizialmente era stato ritenuto che si trovasse l'antica Pisa, ed anche un grande tumulo (2050 a.C.) si conserva nelle fondazioni del Museo.

II periodo miceneo o Tardo Elladico (1600-1100 a.C), suddiviso in tre fasi, è rappresentato da reperti provenienti dalla necropoli micenea con tombe a camera, esplorata sulle colline di Zouni e Kalosaka, nell'area vicina al Museo. Durante l'era micenea le tombe a camera costituivano il tipo più frequente di monumento funebre in specie nell'Elide. Tra i vasi tipici del periodo miceneo qui esposti, con semplice decorazione lineare, che contenevano olii profumati (anfore a staffa) e unguenti (alabastro a forma di pane e cilindrici), c'erano vasi per bere (kylikes), per liquidi (anfore), ed altri. Altri corredi funebri caratteristici sono le collane di pasta vitrea e di faìence, gli sphondilia (pesi da telaio litici o fittili, o accessori per l'abbigliamento), gli oggetti personali per la cura del proprio aspetto (rasoi), le pietre-sigillo (eccezionali capolavori in miniatura con vari) e le armi (punte di lancia). I pochi ritrovamenti della fase submicenea (frammenti ed una kylix) testimoniano la continuità di frequentazione della zona anche durante questo periodo (XI sec. a.C).

Il tutto è completato da un plastico del tumulo preistorico del Pelopion. Nella sala sono esposte tre grandi lamine bronzee tardo- ittite di arte assira (VIII sec. a.C), oggetti importati dall'Oriente, che furono usate come rivestimento di manufatti lignei o di statue lignee. Hanno una decorazione martellata a fasce, con le raffigurazioni di processioni di sacerdoti che conducono animali per il sacrificio, di cavalieri, di uomini con vesti a scaglie, ecc.  

Sala 2  - Il visitatore percepisce l'unicità del Museo di Olimpia per la più ricca collezione al mondo di oggetti di bronzo esposti in questa sala, dove sono raccolti i ritrovamenti del periodo geometrico e dell'età arcaica (X-VI sec. a.C). Il periodo  geometrico (1050-700 a.C.) è rappresentato da un grandissimo numero di reperti: statuine fittili e bronzee, microscopici lebeti tripodati e lamine che occupano la parte sinistra della sala. I grandi lebeti tripodati, le opere più significative del periodo e gli ex voto più caratteristici del santuario, si trovano nella parte destra della sala.

Nello spesso strato di cenere proveniente dal grande altare di Zeus nell'Altis furono rinvenute centinaia di statuine. Il notevole numero di tali statuine, esposte nella grande vetrina a sinistra dell'entrata, viene mentalmente messa in relazione dal visitatore con l'ipotetica ricostruzione del grande altare sul fondo di essa. Insieme alle statuine è esposto anche il più antico lebete monumentale tripodato (IX sec. a.C).

Le statuine di figure umane del periodo geometrico costituiscono i primi esempi della microplastica e provengono da botteghe locali del Peloponneso (Argo, Corinto, Laconia ed Elide). La figura umana, fittile o bronzea, è resa con elementi intensamente astratti, schematizzata e con una resa rudimentale delle caratteristiche anatomiche, mentre viene dato risalto alla resa del sesso. Attraverso queste primordiali miniature nasce la figura umana, che dopo tante ricerche ed esperimenti, venne perfezionata dall'antico artista nelle figure frontonali del tempio di Zeus.

In alcune delle statuine più antiche di figure umane gli archeologi riconoscono il grande dio del Santuario, Zeus, e la consorte Hera. Tra le altre, che rappresentano guerrieri ed aurighi, alcune portano un elmo e raffigurano forse Zeus-guerriero. La statuina fittile femminile con diadema è probabilmente una delle più antiche rappresentazioni di Hera; quella bronzea maschile con le braccia alzate raffigura un dio nel momento della sua «epiphania» (apparizione) o un supplice mortale. Una dea sopra un cavallo è resa da un'altra statuina bronzea; di particolare interesse è quella che rappresenta 7 donne nude in una danza rituale in cerchio, una forma di ballo che sopravvive fino ad oggi in terra greca.

Nel 3° quarto dell'VIII-inizi del VII sec. a.C. la figura umana acquista volume e contorno. Caratteristiche dell'epoca sono le statuine bronzee di guerrieri con elmo ed un braccio alzato, che ornavano forse anse di lebeti.

Le statuine fittili e bronzee di animali sono caratterizzate da un intenso astrattismo e schematizzazione. Più frequentemente sono rappresentati il cavallo e il toro. Il cavallo fuso di dimensioni monumentali segna il passaggio dal periodo geometrico all'età arcaica.

Le poche lamine bronzee geometriche decorate con semplici disegni geometrici e rosette in tecnica punteggiata o martellata, erano usate come diademi o come rivestimento (vetrina sinistra).

I lebeti e tripodi di bronzo, le più preziose offerte del Santuario, che già dall'età di Omero costituivano premi di gare, sono evidenziati nell'esposizione come esempi rappresentativi del periodo geometrico e come opere eccezionali della lavorazione del rame per la varietà delle loro dimensioni. Si vedono lebeti e tripodi enormi, ma anche microscopici, rinvenuti a centinaia nell'Altis. Si conservano in gran numero i piedi decorati con ricchi motivi geometrici: spirali, cerchi, linee spezzate, ecc. (vetrina destra).

Nella stessa vetrina sono esposte anse di lebeti; le più antiche sono perforate e coronate da cavallini; quelle più tarde sono sorrette da figure umane. Supporti di questo tipo di anse sono le due grandi figure di Telchini, mitici metallurgici. Questo tipo di lebete si trova dal 3° quarto dell'VIII fino al VII sec. a.C. e coesiste con altri tipi. Alla fine dell'VIII-inizi del VII sec. a.C. gli artigiani sono influenzati dall'Oriente. L'ellenismo grazie ai movimenti colonizzatori si espande sulle coste del Mediterraneo e del Ponto Eusino. I coloni, ritornando in patria, portavano con sé opere d'arte. L'artista locale ne prende conoscenza, ne viene influenzato, le imita e le assimila, ma al tempo stesso imprime la sua impronta, creando singolari opere d'arte, che abbinano gli influssi orientali e la personalità dell'artista greco.  

L'arte del VII sec. a.C, nota anche come «orientalizzante», sviluppandosi si libera di queste influenze e l'artista greco creerà grandi opere nella plastica dell'età arcaica e classica. Le opere più rappresentative dello stile orientalizzante sono i grifoni, le sirene, le lamine, ed altre. Alla fine dell'VIII e fino al VII sec. a.C, secondo i modelli orientali, prevale un nuovo tipo di lebete. Attorno all'orlo dell'oggetto vengono applicate teste leonine, grifoni e sirene. La base è conica con decorazione martellata. Le protomi di grifoni vengono realizzate con la tecnica martellata o a fusione con occhi applicati di osso; datano al VII sec. a.C. Le figure mitologiche, eccezionali esempi di toreutica, sono caratterizzate da un'espressione demodemoniaca ed apotropaica.

Le sirene, mitologiche figure demoniache alate, che come i grifoni erano attacchi di lebeti, datano tra l'VIII ed il VII sec. a.C.

Opera caratteristica di questo periodo è il grande lebete con irrorazione di sirene, grifoni e leoni sull'orlo. La base conica appartiene ad un altro lebete ma è stata volutamente collocata lì, in modo che il visitatore abbia un'immagine completa dell'oggetto.

Età arcaica (VII-VI sec. a.C.) - Il periodo del grande splendore del Santuraio, che viene invaso da offerte, è rappresentato da numerosissimi oggetti di bronzo, soprattutto statuine e accessori di utensili, ma anche parti dell'armatura da difesa, come scudi, elmi (parte sinistra della sala), lamine, piccoli scudi, corazze, manici di scudi, schinieri, ed altro (parte destra della sala).

La figura demoniaca femminile alata, con gli occhi di osso applicati (590-580 a.C.) al centro della sala, è ritenuta tra le rare grandi opere in tecnica martellata. Manca una delle ali e non è noto se fosse una protome o parte di una statua. La testa di leone in bronzo, importata dall'Oriente (VIII sec. a.C), esposta dietro la figura precedente, apparteneva forse alla decorazione di un edificio o era applicata ad uno scudo.

Le lamine bronzee martellate di età arcaica che rivestivano utensili, porte o paraste di legno, nella maggior parte sono prodotti di botteghe ioniche. Unica per soggetto e dimensioni, opera di bottega corinzia (630-620 a.C), è la figura di un grifone femmina che allatta il piccolo, martellata su una lamina di bronzo ritagliata. L'occhio di osso era applicato. Il piccolo grifone si distingue appena sotto il ventre della madre. I fori sul bordo indicano che era fissata a qualcosa; il suo uso rimane ignoto. Le rimanenti lamine sono decorate con scene mitologiche: l'uccisione del re dei Lapiti, Ceneo, da parte dei Centauri; la partenza del guerriero; l'uccisione di Clitennestra da parte di Oreste; il ratto della regina delle Amazzoni, Antiope, da parte di Teseo, ed altre ancora.  

Esempi interessanti di metallurgia sono anche gli accessori di utensili. Durante questo periodo questi manufatti hanno anse elaborate, supporti e applicazioni con decorazione di figure umane, animali ed altri soggetti. Tra essi risaltano le opere di una bottega lacone: la statuina bronzea di un guerriero, il vecchio con il bastone (550 a.C) e la fanciulla di bronzo, probabilmente ansa di una piccola lekane (inizi del V sec. a.C). Le due Sfingi affrontate da entrambi le parti di un motivo decorativo vegetale (570-560 a.C), i Sileni sdraiati che tengono un keras (530-520 a.C), e la maschera femminile in bronzo martellata con i delicati lineamenti (650-625 a.C), che era un rivestimento sul volto di una statua lignea, testimoniano la peculiare abilità artistica e la sensibilità del loro creatore.

Sorprende nella terra della tregua sacra l'elevato numero di elmi, schinieri, scudi, corazze, punte di frecce e di lance, puntali inferiori di lance, ecc. Che cosa avrebbero potuto dedicare a Zeus Areios, che era adorato come divinità della guerra, i prodi guerrieri per ringraziarlo della vittoria ottenuta, se non quanto di più prezioso avevano, cioè le loro armi? Spesso le armi offerte al Santuario non erano quelle usate nelle battaglie, ma altre simili, più preziose, più piccole o più grandi, realizzate esclusivamente per essere offerte al dio-guerriero.

La corazza votiva incisa, che data al 650-625 a.C, è un eccezionale esempio d'arte di una bottega ionica. Ha una decorazione incisa raffigurante Zeus e Apollo con la sua cetra: dietro Zeus ci sono due divinità e dietro Apollo due figure femminili, forse le Muse o le Vergini Iperboree. La decorazione è completata da animali e soggetti vegetali.

Sugli schinieri bronzei i particolari anatomici sono resi con motivi ornamentali a spirale. Alcuni recano un'iscrizione votiva, come lo schiniere iscritto meglio conservato dell'esposizione, che era un'offerta degli abitanti di Cleone a Zeus.

Gli scudi erano decorati esternamente con episemata (emblemi), che avevano un carattere apotropaico. Tra i più sorprendenti è quello la cui lamina martellata ritagliata raffigura una Gorgone alata con zampe di leone e coda di pesce. I particolari sono resi con incisioni. Il gorgoneion (testa di Gorgone) alato martellato, dalla cui testa spuntano e si sviluppano in cerchio tre pandi ali, è uno dei più caratteristici enormi emblemi di scudi del Suntuario di Olimpia (la metà del VI sec. a.C).  

Staccati dallo stesso scudo, gli ochanoi (grandi manici interni), decorati nella maggior parte dei casi con soggetti mitologici, erano spesso un ex voto particolare nel Santuario.

Gli elmi, rinvenuti a centinaia nell'Altis, sono di 3 tipi. I più numerosi sono «corinzi», presentano una ricca tipologia e danno un'immagine completa della loro evoluzione dal VII fino al VI sec. a.C; seguono gli «illirici» ed i «calcidici». Tra essi risalta l'elmo illirico, decorato con lamine ritagliate d'argento sulla fronte (cinghiale tra due leoni) e sui paraguance (cavaliere, 530 a.C).

Parti più piccole, come coprigomiti, bracciali, panciere, cosciali, stringhe, solette, completano l'armatura difensiva.

Nella sala domina l'acroterio centrale fittile dell'Heraion (fine del Vll-inizi del VI sec. a.C), unico per grandezza e integrato in gran parte. Le pochissime parti conservatesi hanno ancora il colore della decorazione originale. La forma a disco, la superfìcie a rilievo, la combinazione dei soggetti e dei colori creano la sensazione di un continuo movimento. Riguardo al simbolismo degli acroteri di questo tipo sono state formulate varie teorie. Probabilmente simboleggiano il sole o sono qualche simbolo stellare.

La scultura monumentale di età arcaica ad Olimpia è rappresentata dalla colossale testa di dea, proveniente dall'area dell'Heraion. Molto probabilmente si tratta di Hera (è stato proposto anche che fosse una Sfinge) ed apparteneva forse al gruppo cultuale di Zeus ed Hera che si trovava nel tempio. La dea con il caratteristico sorriso dell'arte arcaica, il polos sulla testa ed i grandi occhi a mandorla, è opera di una bottega peloponnesiaca, del 600 a.C. circa.

Sala 3 - In questa sala sono esposti reperti di età arcaica e degli inizi di quella classica, opere fìttili, oggetti di bronzo e parti di elementi architettonici da edifici di quel periodo.

Il leone di calcare al centro della sala, tra le primissime opere della scultura monumentale (680-670 a.C), proviene da una bottega corinzia e serviva come bocca di fontana.

I vasi fìttili nella maggior parte sono di produzione locale o di bottega lacone. Forme locali caratteristiche sono le lekythoi elee e le kylikes laconi decorate con scene mitologiche (vetrine ad entrambi i lati dell'entrata). Nella vetrina destra, la testa femminile fittile, che apparteneva ad una Sfinge e decorava un acroterio del Tesoro di Gela, è un'opera proveniente dalla Magna Grecia (530-S20 a.C.).

Un cenno particolare meritano gli utensili bronzei e gli accessori di utensili, come le phialae ombelicate, i kadoi (vetrina a sinistra dell'entrata), le lekanes, i piedi di tripodi, le zampe di leoni, le basi, le elaborate anse, ed altri oggetti (grande vetrina sinistra). Si tratta di eccezionali esempi di toreutica, tra i quali risaltano: il grande piede fuso di tripode decorato con metope; la base di un incensiere con rappresentazione di un saltatore; le anse ad antemio e quelle decorate con protomi umane o animali; la statuina bronzea di una dea con fiore, che era la base di un utensile; la Sfìnge di bronzo, ecc.

Nella stessa vetrina sono esposti gioielli (fìbbie, spilloni, braccialetti, anelli di bronzo), utensili a forma di tegame, una testa di ariete dall'orlo di un lebete, ecc.

Gli elementi architettonici fittili appartenevano agli edifici a forma di tempio dei Tesori. Si vedono parti di cornici fìttili, che conservano ancora la ricca decorazione dipinta. I colori usati sono il marrone, il nero, il rosso, l'ocra e il biancastro. La grande parte angolare dal rivestimento fittile dipinto di un frontone apparteneva al Tesoro di Gela (parete destra).

La parete settentrionale della sala è occupata da una parte della trabeazione con il frontone del Tesoro di Megara, che data al 520 a.C. Sul frontone (lungh. 5,70 m e alt. 0,75 m) è rappresentata una Gigantomachia, soggetto particolarmente amato nella scultura architettonica. Delle 11 figure soltanto quella centrale, che rappresenta un gigante, si conserva in condizioni relativamente buone; le rimanenti sono abbastanza rovinate. Alla battaglia partecipano Zeus, Athena, Eracle e Poseidone con Ares. Serpenti marini e mostri negli angoli del frontone inquadrano gli dèi ed i giganti.  

Sala 4 - Sono qui ospitate eccezionali opere della grande plastica fittile, rinvenute nel Santuario. Tra tutte primeggia il gruppo fittile di Zeus-Ganimede. Secondo il mito, il padre degli dèi innamoratosi del giovane principe di Troia, Ganimede, si trasformò in aquila e scese dall'Olimpo per rapirlo. Il gruppo scultoreo rappresenta il momento in cui Zeus, che ha ripreso le sue sembianze umane, tiene in braccio il giovane Ganimede e si dirige verso l'Olimpo. Il dio tiene il bastone del viaggiatore e il giovane un gallo, simbolo erotico offertogli dal dio. Sull'Olimpo Ganimede divenne coppiere degli dèi e Zeus gli donò l'eterna giovinezza. Questa meravigliosa opera di una bottega corinzia del 480-470 a.C, che conserva perfettamente i suoi colori, era probabilmente un acroterio di Tesoro. È la prima opera nell'arte greca ad avere espressione negli occhi e conserva il lieve sorriso, residuo dell'età arcaica. Lo sguardo trionfante di Zeus e l'espressione piena di soddisfazione del suo volto sono in contrasto con il volto serio e pensieroso di Ganimede.

Nella vetrina a sinistra dell'entrata sono esposti frammenti di un gruppo fittile di Satiro e Menade (500 a.C), che era forse un acroterio di Tesoro, come pure il bel delfino fittile che balza dalle onde (400 a.C, vetrina destra). Accanto ad esso il leone fittile seduto (metà del V sec. a.C.) conserva ancora i suoi colori.

Tra gli esempi più caratteristici dello stile severo è la testa di una statua fittile di Athena, appartenente ad un gruppo, opera di una bottega peloponnesiaca (490 a.C). L'austera bellezza della dea è messa in risalto dai grandi occhi a mandorla, dal sorriso arcaico e dai riccioli, che inquadrano la fronte. Sulla testa porta un elmo attico con cimiero.

L'enorme orecchio ed il corno appartenevano ad un grande toro di bronzo dedicato al Santuario dagli Eretriesi dopo la loro vittoria sugli Ateniesi, intorno al 500 a.C

Il guerriero fìttile, opera di bottega peloponnesiaca (480 a.C), apparteneva ad un gruppo che raffigurava una battaglia.

Nella sala sono esposti anche molti reperti di bronzo eponimi. L'elmo corinizio e quello etrusco, erano ex voto del tiranno di Siracusa, lerone, e dei suoi concittadini dopo la vittoria sugli Etruschi (Tirreni) a Kyme (Cuma) in Italia, nel 474 a.C. Un elmo corinzio simile a questo con la stessa iscrizione si trova nel British Museum.  

Di notevole importanza storica è l'elmo di tipo corinzio dello stratega ateniese Milziade. Il fatto che si tratti forse dell'elmo che il celebre stratega aveva usato nella battaglia di Maratona nel 490 a.C, nella quale i Greci ottennero una gloriosa vittoria sui Persiani, costituisce un commovente momento di riflessione. Insieme ad esso è esposto anche un elmo assiro, l'unico bottino di guerra rimasto dalla vittoriosa battaglia di Maratona: l'iscrizione punteggiata ricorda che fu dedicato dagli Ateniesi al Santuario come bottino delle guerre persiane.  

L'ariete di bronzo è l'unica macchina da assedio che si sia conservata dall'antichità e data alla prima metà del V sec. a.C. Sui due lati reca una testa di ariete in rilievo; i denti curvati indicano che era stata usata prima di essere offerta a Zeus. L'ariete era applicato ad una lunga trave di legno. Il piccolo cavallo in bronzo ben conservato con la sua resa naturalistica, apparteneva ad una quadriga ed è opera di uno scultore argivo del 470 a.C.

Nella vetrina a destra dell'entrata, nella quale sono esposti pesi iscritti e accessori di utensili di bronzo, risaltano l'ansa con decorazione di due leoni che dilaniano un cervo (480 a.C.) e la meravigliosa, elaborata ansa con motivo decorativo vegetale ed un figura femminile alata (430 a.C). 

Nella vetrina a sinistra dominano le statue di Zeus con il fulmine in mano (inizi del V sec. a.C), quella di Ermes (o forse cacciatore o pastore, 480 a.C), quella del dio capripede Pan (430 a.C) e le statuine in bronzo di aquila, simbolo di Zeus. Piedi, riccioli ed altre parti di statue bronzee testimoniano il grande numero di ex voto di questo tipo esistenti nell'Altis, che non si sono conservati.

Sala 5 - Agli inizi del V sec. a.C. la Democrazia ateniese fu consolidata da Clistene e la Grecia, dopo la drammatica esperienza delle guerre persiane, si rafforzò con le vittorie sui Persiani, che determinarono il cammino del popolo greco, ma anche della civiltà occidentale. Questi sconvolgenti avvenimenti influenzano direttamente la vita sociale, politica, religiosa ed intellettuale dei Greci, che affrontano ormai la vita in maniera differente. Inizia allora anche per l'arte il più splendente periodo creativo. L'immobilità delle figure scompare e viene sostituita dal movimento pieno di armonia e di vivacità. Lo spensierato sorriso arcaico scompare ed i volti acquistano un'espressione seria, austera, che indica introversione e riflessione. L'inizio dell'età classica (480-450 a.C), quando compaiono questi cambiamenti, è noto nell'arte come «Stile Severo» ed è il precursore dei capolavori dell'età classica.

Nella sala centrale del Museo di Olimpia sono ospitati i più brillanti esempi dello Stile Severo dell'arte greca: la decorazione scultorea del tempio di Zeus, costituita da due composizioni frontonali di 42 figure, da dodici metope con le fatiche di Eracle e dalle teste leonine-gocciolatoi del tetto, tutte scolpite in marmo pario.

Frontone orientale. Un mito locale, la corsa coi carri tra il re di Pisa, Enomao, e il principe della Lidia, Pelope, fu scelto dagli Elei per decorare il frontone orientale. Si tratta dell'unica raffigurazione di questo mito nella grande plastica. La composizione è costituita da 21 figure, che coprivano la superficie del frontone triangolare (lungh. 26,39 m e alt. max 3,47 m). 

La rappresentazione «narra» il momento prima dell'inizio della terribile gara. Al centro il padrone del Santuario e giudice invisibile, Zeus, teneva nella mano destra un fulmine. E' fiancheggiato dai personaggi principali del mito, la coppia Enomao-Sterope e Pelope-Ippodamia. Alla destra di Zeus Enomao con elmo, teneva una lancia nella mano sinistra. Accanto, la moglie Sterope ha un braccio piegato sul petto e l'altro forse verso il mento, in un gesto che rivela la sua ansia per il risultato della corsa con i carri.

Davanti a lei, inginocchiato, Mirtilo, figlio di Ermes ed auriga di Enomao, o, secondo altri, un palafreniere. Segue la quadriga del re di Pisa, di cui si conservano i quattro cavalli. Dietro di questa l'auriga ha preso posto pronto per la partenza. Secondo l'opinione di alcuni studiosi questa figura appartiene a Mirtilo. Segue un indovino (forse Clizio o Amitaone) e nell'angolo del frotone è rappresentato, sdraiato con noncuranza, Alfeo, il fiume sacro di Olimpia. 

A sinistra di Zeus, il giovane principe Pelope con elmo, teneva una lancia nella mano destra, uno scudo nella sinistra ed è reso nudo, con un corpo vigoroso. Accanto a lui, Ippodamia solleva con la mano sinistra il peplo dorico, con il caratteristico gesto dello «scoprimento», noto da scene di nozze. Davanti a lei è inginocchiata la sua ancella. 

Seguono i quattro cavalli del carro di Pelope e, dietro di questi, la meravigliosa figura di un vecchio, che guarda verso il centro i protagonisti del mito. Si tratta di Iamo o di Amitaone o di Clizio, vecchio indovino del Santuario. La sua espressione piena di riflessione deriva dalla sua capacità divinatoria che gli consente di sapere che questa volta vincerà il giovane e non il suo re. Con la mano sinistra appoggia su un bastone e con la destra si sorregge la testa. L'artista in una maniera unica rende il corpo invecchiato e il volto inquieto con la fronte rugata. 

Segue la figura di un giovane che, inginocchiato, guarda verso gli spettatori giocando con il dito del piede. Nell'angolo del frontone la figura sdraiata appartiene al Cladeo, l'altro fiume di Olimpia. L'intera composizione era accentuata con ricchi colori, non conservatisi, ed era completata con l'armatura bronzea degli eroi e i carri di bronzo tirati dai cavalli.

Si tratta forse della composizione frontonale più completa dal punto di vista iconografico, dell'arte greca antica, in cui sono presenti tutti i personaggi del mito. L'artista ha effettivamente creato un'opera grandiosa, giacché è riuscito con le 21 figure a rendere nella maniera migliore la preparazione della "tenzone" tra Pelope ed Enomao, e si è curato allo stesso tempo di inquadrare lo spettatore nel tempo e nel luogo del mito. Raffigurando i due fiumi sacri negli angoli del frontone, indica che l'inizio della gara avviene ad Olimpia, che si trova tra i due fiumi. Raffigurando l'auriga dietro il carro di Enomao, mostra che presto sarà dato l'avvio della terribile le gara. L'espressione austera dei volti e le figure immobili dei protagonisti emanano l'agonia, l'agitazione e l'ansia per la fine drammatica.

La disposizione delle figure nel frontone è stata oggetto di studi e disaccordi pluriennali tra gli studiosi. Nell'esposizione attuale le opere sono state disposte secondo la posizione di ritrovamento davanti al tempio e le loro dimensioni. Una divergenza di opinioni resta in merito alla posizione, a destra o a sinistra di Zeus, delle due coppie Enomao-Sterope e Pelope-lppodamia, ed all'identificazione delle due divinità fluviali.

La composizione è un capolavoro anche dal punto di vista stilistico. L'autore, assimilando le ricerche dei secoli precedenti, inserisce in una maniera unica le figure nella forma triangolare del frontone, dove dominano gli assi verticali e orizzontali, che creano le figure stanti, inginocchiate e sdraiate.

Nell'angolo sinistro è esposto un frammento dell'iscrizione votiva dei Lacedemoni, che si riferisce allo scudo d'oro offerto al tempio dopo la vittoria ottenuta a Tanagra (457 a.C.) sugli Ateniesi, gli Argivi e gli Ioni.  

Frontone occidentale. Dall'apparente tranquillità del frontone orientale, con una sorprendente abilità e maestria l'artista ci porta al frontone occidentale, dove è rappresentata un'altra battaglia al suo punto culminante. Si tratta delln Centauromachia, la lotta tra Centauri e Lapiti. Secondo il mito, Piritoo, re dal Lapiti, che abitavano nella zona del Pelio, celebrava le sua nozze con Deidamia. Al banchetto nuziale erano invitati anche i Centauri, suoi fratellastri, che abitavano anch'essi sui monti del Pelio. Nel corso della festa i Centauri ubriachi, violando la sacra istituzione dell'ospitalità, cercano di rapire le donne dei Lapiti che vengono difese dai propri uomini, cosa che produce il terribile conflitto che si svolge davanti ai nostri occhi. Gruppi di Lapiti, uomini e donne, e di Centauri creano un'irripetibile scena bellica, piena di tensione, passione e forza. Al centro il dio Apollo (alt. 3,10 m), presente in qualità di dio dell'armonia e dell'ordine, con un dinamico gesto della mano cerca di imporre l'ordine. Nella mano sinistra teneva un arco. È fiancheggiato da Piritoo e Teseo, il famoso eroe ateniese, amico di Piritoo, invitato alle nozze. Piritoo assale il re dei Centauri, Eurizione, che ha afferrato la sposa Deidamia. 

La battaglia diminuisce gradualmente   verso le due estremità del frontone, dove in ognuna due donne lapide sdraiate seguono la lotta con la bocca semiaperta per la paura. L'agonia e la tensione sono impresse sui loro volti. Delle quattro figure distese, tre sono realizzate in marmo pario e furono sostituite nel IV sec. a.C. (la prima a sinistra) e nel I sec. a.C. (le altre due), quando quelle originali furono distrutte da un terremoto. Tra i gruppi risalta quello di Eurizione e Deidamia, in quanto il re dei Centauri afferra la donna, mentre essa, torcendo il corpo, cerca di liberarsi dall'abbraccio erotico. 

I volti selvaggi dei Centauri con i lineamenti bestiali, che ricordano maschere teatrali, sono in contrasto con i bei volti delle donne e degli uomini e culminano in quelli di Eurizione e di Deidamia. Ovunque domina la tensione. Nei personaggi, nei movimenti, nell'espressione dei volti e nei corpi equini dei Centauri, si direbbe che si distingua il sangue scorrere impetuosamente nelle vene rigonfie per la tensione. Il risultato di questo scontro sarà la vittoria dei Lapiti. «Qui, su questo frontone, distingui tutta la scala della gerarchla: il dio, l'uomo libero, la donna, lo schiavo, la bestia... Il dio è al centro, stante, padrone della sua forza. Guarda con ripugnanza e non si turba - sottomette la collera e la passione, senza però restare indifferente - perché tende il braccio e da la vittoria a quel Io che gli piace. I Lapiti, gli uomini, conservano anch'essi per quanto possono immobile il sigillo dell'uomo sul loro volto - non urlano, non sono presi dal panico - sono però uomini, non sono dèi, e una leggera pulsazione sulle labbra ed una ruga sul volto rivelano che provano dolore. Le donne provano molto più dolore - ma il loro dolore in modo innominato si unisce ad un oscuro piacere... I Centauri, le bestie, dissoluti, ubriachi, si avventano sulle donne e sui ragazzi, urlano, mordono, la mente manca di mettere ordine alla forza e nobiltà alla passione... È meraviglioso questo momento in cui i graduali valori della vita conservano integro il loro volto. In questo attimo fermato nel marmo coesistono tutti gli elementi: la serenità divina, la disciplina dell'uomo libero, l'impeto della bestia, la rappresentazione realistica dello schiavo».

Dal punto di vista stilistico sul frontone dominano le linee oblique e curve, create dai gruppi e che inquadrano gli assi verticali centrali di Apollo, Piritoo e Teseo.

Ogni mito dei frontoni ha un significato più profondo. Per Enomao dopo l'hybris (oltraggio) compiuto uccidendo i pretendenti, arriva la purificazione. Nella Centauromachia prevale lo spirito umano sugli elementi selvaggi della natura, la vittoria dei Greci sui barbari.  

Metope. Euristeo, re di Tirinto, Micene ed Argo, incaricò il semidio Eracle di compiere 12 fatiche, secondo il vaticinio dell'oracolo di Delfi, affinchè si purificasse per l'uccisione della moglie e dei figli, che l'eroe aveva perpetrato, reso folle da Hera. Le metope che rappresentano queste imprese si trovavano sopra l'entrata del pronao e dell'opistodomo del tempio, affinchè l'amato figlio di Zeus avesse una posizione di rilievo nella decorazione scultorea del monumento. Alcune parti delle metope sono copie (il leone nella prima, Athena nella terza, il toro nella quarta, il corpo di Gerione nella nona, ed altre più piccole), in quanto gli originali si trovano nel Museo del Louvre, dove furono trasportate nel 1829 dalla missione francese del generale Maison.

Al di sopra dell'entrata dell'opistodomo si trovano le seguenti metope:

- Il leone di Nemea. Eracle è rappresentato nella sua prima impresa giovane e imberbe. Spossato, si appoggia sul corpo del leone ucciso, che sbranava animali e uomini a Nemea. Lo assiste la dea Athena, di cui si conserva solo la testa. Dietro Eracle, Ermes, di cui si è conservata solo una parte del piede. È la prima volta che Eracle è rappresentato come eroe stanco dopo la sua impresa e non nel momento della terribile lotta. Il soggetto dell'eroe stanco dominerà nella plastica del IV sec. a.C.

- L'Idra di Lerna. Il mostro serpentiforme con 9 teste, che viveva nella palude di Lerna, distruggeva i raccolti e il bestiame e il territorio. Eracle lo uccise con l'aiuto dell'amico lolao. Si conservano i tentacoli del terribile mostro, che l'eroe decapita; nella parte sinistra della metopa si conservano tracce di colore.

- Gli uccelli di Stinfalo. I selvaggi uccelli carnivori con ali e becchi di ferro, che vivevano nella palude Stinfalide e seminavano il terrore, furono uccisi da Eracle con le frecce. L'eroe li consegna alla dea Athena che, scalza, come una semplice fanciulla, sta seduta sopra una roccia.

- Il toro di Cnosso. In una sorprendente composizione, resa con una disposizione a croce delle figure, Eracle cattura il toro cnossio, che gli dèi avevano fatto impazzire e causava ovunque distruzioni. La metopa è caratterizzata da dinamismo e tensione, che rimandano alle forti scene di conflitto del frontone occidentale.

- La cerva di Cerinea. Conservatasi frammentariamente, la metopa presenta Eracle che ha catturato la cerva di Cerinea, l'animale sacro di Artemide con le corna d'oro, che doveva consegnare ad Euristeo.

- La regina delle Amazzoni. Questa metopa, molto danneggiata, rappresenta Eracle nel momento in cui uccide Ippolita, la regina delle Amazzoni, per prendere il prezioso cinto, donatole da suo padre Ares.

Nel lato opposto della sala le rimanenti sei metope che si trovavano al di sopra dell'entrata del pronao, completano il ciclo eroico di Eracle.

- Il cinghiale Erimanzio. L'eroe porta sulle spalle il cinghiale che seminava il terrore sul monte Erimanto, per presentarlo ad Euristeo, che, preso dalla paura, si è nascosto in una giara.

- Le cavalle di Diomede. Eracle cattura e doma le cavalle antropofaghe di Diomede, re di Tracia. La metopa ricorda le scene del frontone occidentale.

- I buoi di Gerione. Gerione, il gigante tricorpore, che abitava nell'isola di Erizia, custodiva le famose mandrie di buoi. Eracle uccise Gerione per portare via i buoi. Sulla metopa è rappresentata la scena dell'uccisione del gigante.

- I pomi delle Esperidi. Si tratta della metopa meglio conservata e di quella che ha dato le dimensioni complessive per le altre. Secondo il mito Eracle doveva portare ad Euristeo i pomi d'oro, dono di nozze di Gea ad Hera, che erano custodite dalle ninfe Esperidi. Atlante, padre delle Esperidi, aveva portato i pomi ad Eracle, dopo che l'eroe aveva preso momentaneamente il suo posto sotto il globo celeste. Nella metopa è rappresentato Atlante che è ritornato ed offre i pomi ad Eracle. Athena, come dea della pace, con un leggero movimento della mano aiuta il suo eroe.

- Eracle e Cerbero. Eracle trascina dall'Ade il terribile custode, il feroce cane a tre teste. Dietro di lui si distingue Ermes.

- Le stalle di Augia. In condizioni particolarmente buone si conserva anche la metopa con l'unica fatica compiuta dall'eroe nell'Elide. Athena, in questo caso come dea della guerra, indica con la sua lancia il punto in cui Eracle deve scavare, così che, deviando il corso del fiume Peneo, le acque passino dalle stalle e le puliscano. Abbiamo qui la prima rappresentazione nell'arte di questa impresa.

Dal punto di vista stilistico, le metope seguono i modelli arcaici tradizionali, dato che le fatiche di Eracle erano un ciclo figurativo con una profonda tradizione. Sono pervase, però, nello stesso tempo, dallo stesso spirito antesignano impresso sui frontoni. Le metope dell'Idra di Lerna, del cinghiale Erimanzio, della cerva di Cerinea, dell'Amazzone e di Gerione restano legate ai modelli arcaici. Nelle rimanenti è palese lo spirito innovatore e antesignano del geniale artista, e a seconda della prevalenza degli assi verticali, orizzontali o obliqui, rimandano a volte al frontone orientale (leone di Nemea, uccelli di Stinfalo, cavalle di Diomede e pomi delle Esperidi) e a volte a quello occidentale (toro di Cnosso, Cerbero e stalle di Augia).

Le teste leonine-gocciolatoi erano particolarmente sorprendenti nella posizione in cui si trovavano perimetralmente al tetto di marmo e dal punto di vista tecnico competono con le rimanenti sculture del tempio. Data la loro sostituzione quando venivano distrutte, in vari periodi, presentano un'interessante evoluzione tipologica dall'età classica a quella ellenistica, tanto che si possono distinguere almeno nove gruppi diversi. Delle teste leonine-gocciolatoi ne sono esposte quattro.

Quanto all'artista dei capolavori scultorei del tempio, esso resta ignoto. Pausania riporta che il creatore del frontone orientale era Peonio di Mende e di quello occidentale l'ateniese Alcamene. Gli specialisti sono concordi nel ritenere errata l'informazione del periegeta, che evidentemente l'aveva ricevuta dagli «esegeti» del Santuario. Le caratteristiche dell'arte dei due artisti non corrispondono alle figure in stile severo di Olimpia. Ancora oggi, malgrado le infinite discussioni, gli studiosi non sono giunti ad una conclusione su chi fosse l'artista. Poiché nelle sculture si distinguono mani diverse, sembra che l'artista abbia avuto anche dei collaboratori. È chiaro che si tratta di una grande personalità della scultura greca antica che, grazie al suo spirito innovatore, rese la tensione emotiva degli eroi del frontone orientale tramite l'immobilità delle figure e la vittoria della «ragione» sulla natura «irrazionale» del frontone occidentale, tramite un drammatico scontro di uomini e di selvaggi elementi naturali.

Sala 6 - II capolavoro scultoreo dell'arte greca antica, la Nike (Vittoria) alata, opera di Peonio, era collocato sopra un alto piedistallo triangolare (alt. 8,81 m), che si conserva ancora in situ vicino all'angolo sud orientale del tempio di Zeus. La Nike è alta 2,11 m; l'altezza totale del piedistallo con la statua era di 10,92 m. Lo scultore rende la giovane dea alata in tutta la sua maestosità, nell'attimo in cui scendendo dal cielo arriva sulla terra poggiando su un'aquila, simbolo di Zeus. Le ali a himation un tempo rosso, oggi distrutti, sventolano all'indietro ed in alto dando così la sensazione dell'equilibrio e del volo. Il chitone della dea aderisce al corpo lasciando intravedere tutti i particolari del corpo femminile. La Nike si regge sul piede destro, leggermente proteso e poggia sopra un'aquila. Il volto della dea non si è conservato, a causa della caduta della statua. Mancano anche parte delle ali, del corpo, della veste e le ali metalliche dell'aquila.

Su uno dei blocchi del piedistallo era stata incisa un'iscrizione da parte degli offerenti: «i Messenii e i Naupattii offrirono a Zeus Olimpio come decima del bottino di guerra». Più in basso in lettere più piccole leggiamo: «la fece Peonio di Mende come pure gli acroteri del tempio dopo una gara».

Conosciamo in questo modo il motivo dell'offerta di questa rara opera. I Messenii ed i Naupattii la dedicarono a Zeus quando vinsero il più forte esercito dell'antichità, quello dei Lacedemoni. L'evento storico a cui si riferisce l'iscrizione, è la battaglia del 421 a.C, l'ultimo anno della guerra di Archidamo. Nell'iscrizione della Nike abbiamo anche la firma dell'artista, che sa già di creare un'opera d'arte e la firma. Ugualmente importante è anche l'informazione che Peonio, realizzò anche gli acroteri del tempio di Zeus a seguito di una gara.

La Nike di Peonio è forse la statua più "viva" dell'arte greca antica. Il grande scultore di Mende nella Calcidica riuscì a domare l'enorme cubo di marmo (3x3 m circa) e a creare una figura alata, unica per bellezza, movimento e vivacità, dandole un'audace inclinazione in avanti, così che guardandola si direbbe che abbia appena concluso la sua discesa dal cielo. Una piccola copia in gesso dell'ex voto è esposta nel Museo della Storia dei Giochi Olimpici Antichi.

La Nike di Olimpia, tra le principali opere rappresentantive dello «stile ricco», è il primo e più sorprendente esempio di una serie di Vittorie, realizzate successivamente, come la Nike di Timoteo nel tempio di Asclepio ad Epidauro e, due secoli dopo, la Nike di Samotracia.  

Sala 7 - Il grande scultore Fidia, dopo aver creato le opere sull'Acropoli di Atene, lavorò ad Olimpia negli anni 440-430 a.C, dove creò una delle sette meraviglie del mondo antico: la statua crisoelefantina di Zeus. Ad Ovest dell'Altis fu costruita la Bottega, affinchè lo scultore vi lavorasse con i suoi collaboratori. La colossale statua fu collocata sul fondo della navata centrale del tempio di Zeus, e lì si trovava fino alla fine del IV sec. d.C, allorquando fu trasportata a Costantinopoli. Secondo le fonti scritte venne distrutta nel 475 d.C. da un incendio.

La sala è dedicata esclusivamente al grande scultore ateniese. Al centro domina un plastico della Bottega e una grande ricostruzione grafica della statua del dio. Abbiamo informazioni su di essa dalle poche raffigurazioni su monete, ma soprattutto dalla preziosa descrizione di Pausania. La statua rappresentava Zeus seduto in trono, che teneva nella mano sinistra uno scettro e nella destra una Nike dorata. L'altezza totale raggiungeva i 12,40 m circa. Aveva un nucleo di legno sul quale erano state applicate lamine d'oro e avorio. Il trono era fabbricato in oro, ebano, avorio, pietre preziose e motivi ornamentali applicati in vetro; recava anche figure dipinte, realizzate dal grande pittore Paneno. La sua superficie era ornata da scene mitologiche in rilievo, come l'uccisione dei figlio di Niobe da parte di Apollo ed Artemide, Vittorie, Sfingi, Cariti, Ore, ed altre. Le parti nude del corpo del dio, il volto, le mani, il tronco ed i piedi erano in avorio; i capelli, la barba, lo scettro, la Nike e l'himation erano d'oro. Fiori di vetro ornavano l'himation.

Nella vetrina a sinistra dell'entrata, tra la ceramica proveniente dall'area della Bottega, un posto di rilievo occupa un importante reperto, l'oggetto personale dello scultore, noto come «coppa di Fidia». Si tratta di una piccola oinochoe, sulla cui base è incisa l'iscrizione: sono di Fidia.

Nelle rimanenti vetrine sono esposte matrici di varie dimensioni, di cui alcune erano state utilizzate per la fabbricazione dell'himation e altre più piccole per i motivi ornamentali vitrei della veste (antemi, steli, ecc). Sono esposti anche arnesi, come il martellino da orafo, spatole ossee, parti di avorio, utensili ossei, ed altri, usati dallo scultore e dai suoi aiutanti per la realizzazione della statua. Frammenti della sima e acroteri della Bottega completano l'insieme espositivo di questa sala.

Sala 8 - L'Ermes di Prassitele. La sala è dedicata ad una delle più famose sculture della Grecia antica: l'Ermes di Prassitele. La statua, alta 2,13 m, in marmo pario, fu rinvenuta nel 1887 nella cella dell'Heraion, confermando la testimonianza di Pausania (V 17,3) che ci informa che all'interno di quel tempio si trovava l'Ermes che teneva in braccio un piccolo Dioniso, opera «d'arte di Prassitele». Il dio è reso nudo che tiene con il braccio sinistro, appoggiato al tronco di un albero, il piccolo Dioniso, dio delle feste, del vino, del teatro e del divertimento. Sul tronco ha appoggiato il suo himation. Non si conservano né il braccio destro alzato né la mano, nella quale aveva un oggetto, che mostra al bambino che volge lo sguardo verso di quello. Si trattava forse di un grappolo d'uva, simbolo del piccolo dio, come risulta da altri gruppi di Ermes-Dioniso.

Mancano, e sono integrati, la gamba sinistra della statua dal ginocchio in giù, la gamba destra e la parte inferiore del tronco dell'albero. Nella mano sinistra Ermes teneva probabilmente il caduceo. Sui capelli e sul sandalo si conservano tracce di colore e di doratura. Dalle fonti apprendiamo che Prassitele, per la colorazione delle sue opere, collaborava con Nicia, il grande pittore suo contemporaneo.

Secondo il mito, Dioniso era figlio di Zeus e di Semele. Hera, però, accecata dalla sua gelosia, riuscì con l'inganno ad uccidere Semele, prima del completamento della gravidanza. Allora Zeus prese il feto, lo mise nella sua coscia, dalla quale poco tempo dopo nacque Dioniso. Affinchè il dio «nutrito dal femore di Zeus e nato due volte» crescesse con sicurezza lontano dall'ira di Hera, Zeus lo affidò al messaggero degli dèi «dal piede veloce», Ermes, perché lo trasportasse dalla sorella di Semele, a Nissa in Beozia. Durante il lungo viaggio, Ermes si fermò per riprendere fiato. Questo attimo di riposo fu scelto da Prassitele per immortalarlo nella sua meravigliosa creazione.

In origine la statua era stata posta in un punto dell'Altis, in età romana però fu trasportata nel tempio di Hera, dove fu collocata in una delle nicchie di destra della cella. Furono allora eseguiti vari interventi nella parte posteriore, che hanno portato alcuni studiosi a sostenere che fosse una creazione di età romana. Oggi è certo che si tratta di un'opera del grande Prassitele.

L'Ermes costituisce la perfetta espressione dell'arte del IV sec. a.C, epoca che è dominata da un'intensa disposizione naturalistica e realistica, quando gli dèi vengono rappresentati non più in azione o partecipanti alle vicende umane, ma tranquilli e pieni di serenità olimpica.  

Sala 9 - Età tardoclassica-ellenistica (IV-I sec. a.C). L'età tardoclassica-ellenistica è rappresentata nel Museo da pochi ritrovamenti, dal momento che le centinaia di statue che si trovavano nell'Altis non si sono conservate.

Nella parte sinistra della sala sono esposte ceramiche, statuine ed anche due sculture: statua di figura femminile seduta (metà del I sec. a.C.) ed una piccola statua di un uomo semidisteso, forse Dioniso (fine del IV-inizi del III sec. a.C).

Nella vetrina a destra sono esposti frammenti di una statua di marmo ed elementi architettonici. Di particolare bellezza è la piccola testa di Afrodite nel tipo della Cnidia, che alcuni studiosi ritengono opera di Prassitele, mentre per altri è una creazione tardoellenistica. Il muro della sala è ornato da una sima del Leonidaion e da due semicolonne corinzie dal Philippeion.

Sala 10 - L'età romana ad Olimpia è rappresentata da un gran numero di sculture. La sala è ornata da statue del Ninfeo, un offerta di Erode Attico e di sua moglie Regilla, che datano alla seconda metà del II sec. d.C. Sul muro a destra, disposte a semicerchio, sono esposte le sculture del piano superiore, che rappresentano membri della famiglia di Erode Attico.

Al centro della sala domina un toro di marmo, simbolo dell'elemento liquido, che era collocato al centro della cisterna superiore del Ninfeo. Come ci informa l'iscrizione incisa su un lato, tutta l'opera era un ex voto a Zeus da parte di Regilla, moglie di Erode, che era anche sacerdotessa di Demetra Chamyne.

A sinistra della sala sono esposte sculture del piano inferiore del Ninfeo.  

Una statua acefala di Marco Aurelio (161-180 d.C), proveniente dal tempietto monoptero del Ninfeo. La corazza è decorata da grifoni con un lucerniere tra di essi; le calzature sono in pelle di pantera. 

Segue la statua femminile di Faustina Maggiore, moglie di Antonino Pio, e una di Faustina Minore, moglie di Marco Aurelio; quindi una piccola statua di kore, che rappresenta forse Lucilia o Annia Faustina, fìglie di Marco Aurelio. Di seguito è esposto un ritratto da una statua di Lucio Vero (161-169 d.C), in giovane età, che porta una corona d'alloro con medaglione al centro.

Il capitello corinzio proviene dal tempietto monoptero del Ninfeo. Segue una statua di Marco Aurelio (161-180 d.C). La corazza è decorata con una testa di Gorgone; vicino al piede destro c'è un tronco di palma con foglie e frutti. La statua di Adriano (117 - 138 d.C.) rappresenta l'imperatore coronato di alloro con divisa di generale. La corazza è decorata con due Vittorie che incoronano un palladion (effige di Pallade Athena), che poggia sopra una lupa che allatta Romolo e Remo. La statua acefala di un Romano togato, proveniente dal tempietto monoptero del Ninfeo, probabilmente appartiene allo stesso Erode Attico (101-177 d.C). Vicino al piede destro c'è uno scrinium con chiave.

Sala 11 - Sono qui esposte alcune delle statue rinvenute nel Metroon (parte sinistra della sala) e nell'Heraion (parte destra della sala). Dal Metroon proviene la statua di Agrippina Minore (15-59 d.C), moglie di Claudio e madre di Nerone. L'imperatrice è raffigurata come una sacerdotessa, poiché l'himation le copre la testa. Segue la statua dell'imperatore Tito (79-81 d.C.) in divisa da generale e con corona di quercia sulla testa. La corazza è decorata con Nereidi in rilievo, sopra ippocampi e delfini, e una testa di Gorgone al centro. Vicino al piede destro, appoggiata ad un tronco di albero, c'è la spada.

Dall'Heraion provengono la statua di una nobile donna elea, una seconda appartenente a Pompea Sabina (prima metà del I sec. d.C.) ed una terza che raffigura Domizia, moglie dell'imperatore Domiziano (81-96 d.C).  

Sala 12 - Gli oggetti esposti nell'ultima sala sono in rapporto con la fine della storia del Santuario di Olimpia. Si tratta di vasi d'uso comune, arnesi di ferro (zappe, picconi, spiedi, catene di bilance, martelli, ecc), parti di sima fittile con gocciolatoi a testa leonina, ed altri, provenienti dall'Altis. Tra i ritrovamenti risaltano anelli-sigillo di bronzo, lucerne con rappresentazioni a rilievo e utensili domestici fittili.

Nel cimitero romano di Frankonissi, che si trova 2 Km ad Est dell'Altis e che era in uso dal I al IV sec. d.C, erano stati sepolti dignitari del Santuario ed anche atleti. Da questo sito provengono vasi, rocchetti, bambole, statuine di animali, terrecotte, gioielli di bronzo ed altri oggetti di bronzo. Particolarmente sorprendenti sono i vasi vitrei in un eccezionale stato di conservazione, realizzati in vetro trasparente. La tipologia di questi vasi (piccole coppe, unguentari, fiasche, fiale, ecc.) è ricca e la loro datazione copre un lungo periodo di tempo, dal I fino al IV sec. d.C. La piccola oinochoe a forma di trifoglio di vetro blu data al V sec. a.C.

I vasi fittili d'uso domestico provenienti dall'Altis ed esposti nelle vetrine successive, rivelano la continuità della vita del Santuario nei primi secoli cristiani. I vasi a forma di pithos, di argilla grigia, rinvenuti durante la costruzione del Museo, costituiscono l'epilogo dell'esposizione: sono i prodotti di un piccolo insediamento di genti slave nella valle del Cladeo nel VII-VIII sec. d.C.  

Agosto 2013

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