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Mistra o Mistrà era
una città fortificata
nel Peloponneso meridionale
(chiamato nel medioevo Morea),
alle pendici del monte Taigeto, vicino all'antica Sparta.
Dista circa 8 km dalla moderna città di Sparta. Fu la capitale del Despotato
bizantino di Morea.
Nel 1249,
Mistrà divenne sede del principato latino di Acaia,
creato nel 1205 dopo
la conquista di Costantinopoli da
parte dei crociati nel corso della Quarta
crociata. Il principe Guglielmo
II di Villehardouin, pronipote dello storico della Quarta crociata,
Goffredo di
Villehardouin, vi costruì un palazzo.
Nel 1259 Mistrà
fu ceduta dai latini insieme
ad altre piazzeforti, come riscatto per Guglielmo II, che era stato catturato
nella battaglia di
Pelagonia. L'imperatore
bizantino Michele
VIII Paleologo, fece della città la sede del Despotato
di Morea. Rimase la capitale del despotato, sotto il controllo dei
parenti dell'imperatore, sebbene i veneziani controllassero
la costa e le isole. Mistrà e il resto della Morea conobbero una certa
prosperità, se comparata alla situazione del resto dell'Impero
bizantino nel 1261.
Sotto il despota Teodoro, Mistrà divenne la seconda città più importante
dell'impero dopo Costantinopoli e il palazzo di Guglielmo II divenne la seconda
residenza imperiale.
L'ultimo
imperatore bizantino, Costantino
XI Paleologo (che venne ucciso durante la presa
di Costantinopoli da parte dei Turchi
ottomani nel 1453),
era stato in precedenza despota di Mistrà. Demetrio
Paleologo, ultimo despota di Morea, si arrese e consegnò la città al sultano ottomano Maometto
II nel 1460.
I veneziani
conquistarono Mistrà nel 1687 e la tennero fino al 1715. Nuovamente riconquistata
dai turchi, rimase nelle loro mani fino
al 1832, quando fu abbandonata allorché Ottone
I di Grecia decise di ricostruire l'antica città di Sparta.
Mistrà si spopolò lentamente e tuttora è abitata da non più di 1.500 persone
(4.000 nell'intero territorio comunale).

Alla fine del
XIV secolo, la maggior parte dei greci viveva in territorio ottomano e molti
altri erano sotto l'autorità dei veneziani o di altri signori italiani.
L'imperatore bizantino governava una compagine territoriale assai ridotta.
Tuttavia, Costantinopoli continuò ad attrarre gli intellettuali dell'Impero,
siano essi teologi, storici o scienziati. Inoltre, accolse anche molti italiani,
attratti dallo studio del greco antico. A metà del XIV secolo, Salonicco era
anche rinomata per la sua erudizione, più a est, l'Impero
di Trebisonda aveva le sue rinomate scuole per lo studio della
matematica e dell'astronomia, anche se molti studiosi si trasferirono a
Costantinopoli. Alla fine del XIV secolo, Mistrà divenne una capitale
culturale.
Con il
raggiungimento del rango di capitale del Despotato,
Mistrà attirò l'attenzione degli intellettuali bizantini. A metà del IV
secolo, il teologo Demetrio
Cidone, segretario, primo ministro e amico di Giovanni
VI, vi si stabilì e portò nel mondo culturale bizantino i testi di Tommaso
d'Aquino. La presenza di despoti che erano essi stessi degli studiosi,
come Manuele e Matteo
Cantacuzeno, facilitò anche l'insediamento di intellettuali nella città.
Le frequenti visite del padre, l'imperatore Giovanni VI, considerato uno dei più
grandi studiosi del suo tempo, aumentarono il prestigio della città. Anche se
la maggior parte dei testi copiati nella Morea fino al XIV secolo erano testi
religiosi, teologici e liturgici, oltre a qualche trattato di medicina e di
diritto, l'arrivo di una nuova aristocrazia da Costantinopoli permise
l'introduzione di opere classiche come le Vite
Parallele di Plutarco,
che un nobile tessalonicese arrivato a Mistra contemporaneamente al despota
Matteo, Demetrio
Casandeno, aveva copiato per sé nel 1362, l'Anabasi di Arriano (1370),
Erodoto (1372), e autori contemporanei come Niceforo
Gregorio, che manteneva un rapporto epistolare con Manuele e Demetrio.
Tuttavia, ciò
che ha reso Mistrà di fama internazionale tra gli studiosi è stata la visita
del filosofo Gemisto
Pletone all'inizio del XV secolo. Pletone, le cui idee non piacevano
alla Chiesa, fu invitato a lasciare Costantinopoli. Si stabilì a Mistra intorno
al 1407, su suggerimento del suo amico l'imperatore Manuele. Fu in questo
periodo che iniziò il governo di Teodoro
II, il più erudito dei figli di Manuele. Pletone, un seguace di Platone,
disapprovava la costituzione democratica dell'antica Atene.
Seguace di Licurgo,
preferiva la disciplina spartana e ora poteva vivere e insegnare nelle immediate
vicinanze della città di Licurgo, ovvero l'antica Sparta. Tranne nel 1438-1439,
Pletone trascorse il resto della sua vita a Mistrà, dove fu membro del Senato e
magistrato. Vi morì il 26 giugno 1452, all'età di 98 anni. Pletone credeva che
il despota dovesse avere pieni poteri, ma dovesse essere circondato da un
consiglio di uomini di tutti i ranghi della società, scelti per la loro
moderazione e devozione. Pleto sosteneva una divisione della società in due
classi: i soldati e i contribuenti (mercanti, agricoltori e contadini), per
sostenere i costi dell'esercito. Pletone si espresse anche sulla schiavitù e
credeva che il despota e i suoi ministri dovessero avere solo un numero limitato
servi chiamati come gli antichi Iloti.
La presenza di Gemisto Pletone a Mistrà attirò altri intellettuali.
Già nel 1409,
un giovane ecclesiastico di nome Isidoro fu
scelto per recitare l'elogio in onore di Teodoro I. Questi fu allievo di Pletone
fino al 1413, divenne in seguito metropolita di Monemvassia,
poi metropolita di Kiev e
capo della Chiesa
russa, quindi patriarca latino di Costantinopoli. Giorgio
Scolario visitò più volte Mistrà negli anni 1430. Anche Giovanni
Bessarione, una grande figura intellettuale del XV secolo, trascorse
diversi anni a Mistra. Questi fu forse l'allievo più famoso di Pletone, che
arrivò a Mistrà nel 1431 e vi trascorse sei anni. Dopo il soggiorno italiano
di Pletone (1438-1439), anche alcuni degli intellettuali italiani, suoi
contemporanei, fecero visita a Mistrà. Questo fu il caso di Ciriaco
di Ancona, che vi soggiornò due volte.
Altri autori
bizantini dell'epoca, come Giorgio
Sfranze e Laonico
Calcondila erano consapevoli dell'importanza strategica del
Peloponneso per l'Impero.
Pertanto, nei loro resoconti storici, descrivono con attenzioni gli eventi che
hanno avuto luogo lì e infine anche lo storico Georgio Sfranze andò a Mistrà
nel 1446 e vi fu persino nominato governatore

L'insediamento
di Mistra presenta moltissime vestigia del suo passato, fra monumenti religiosi
e profani.
Alcune chiese
come San Giorgio e Santa Sofia (Agia Sofia) sono ben conservate;
uno dei monasteri, il monastero
di Pantanassa, è anche ancora abitato. Le chiese di Mistra sono
costruite nel cosiddetto tipo Mistra, che è parzialmente interpretato come
una combinazione di forme di costruzione latina
occidentale e bizantina:
il secondo piano dell'edificio è pianta con cupola a croce
inscritta, sviluppandosi su un primo piano a croce latina, tipico delle
basiliche occidentali. La chiesa
principale è la cosiddetta Metropolis, ossia la
cattedrale metropolitana dedicata a San
Demetrio. Famosa è anche la chiesa appartenente al monastero
di Periblepto, che è in parte costruita in una grotta di roccia (la
Grotta di Demetra, che era probabilmente un santuario pagano nei tempi antichi)
e, come molte altre chiese della città, è riccamente decorata con affreschi
bizantini.
Ai monumenti di
interesse religioso si aggiungono anche quelli secolari come il palazzo del
Despota, la fortezza voluta da Villehardouin con
la sua cinta muraria e alcune abitazioni private che offrono uno spaccato della
vita quotidiana della città di Mistrà.
Castello
di Villehardouin

Il castello di
Villehardouin è fortezza inaccessibile che domina la parte alta della collina e
custodisce la cittadella storica.
La storia della
fortezza di Mistrà sul
monte Taigeto, a pochi chilometri di distanza a ovest dell’odierna Sparta in
Laconia, è legata alla 4a crociata (1204). Nel 1249 Guglielmo II di
Villehardouin fece costruire una fortezza sulla ripida collina di Mistrà, al
fine di consolidare il suo dominio nella Morea, che però non era destinato a
durare a lungo. Dieci anni dopo, Guglielmo II fu catturato dalle truppe
bizantine e costretto a consegnare loro la fortezza di Mistrà.
Le aree ancora
bizantine intorno al castello furono finalmente unite nel 1348-1349 per formare
il Despotato di Morea (detto anche di Mistrà) e furono governate da principi
imperiali di Bisanzio. Costantino Paleologo fu incoronato l'ultimo imperatore
bizantino a Mistrà. Il "Palazzo del Despota" di Mistrà era il più
grande edificio rappresentativo bizantino al di fuori di Costantinopoli.
Nel
1460 Mistrà fu conquistata dagli Ottomani. Durante questo periodo storico, si
trasformò in uno dei più importanti centri commerciali della seta nel
Mediterraneo. Con la fondazione della moderna città di Sparta da parte del re
Ottone nel 1834, gli abitanti di Mistrà iniziarono a trasferirsi nella nuova
città.
L’accesso è
dominato dalla poderosa torre di guardia quadrata, oltre la quale si sviluppano
i bastioni difensivi.
Nella
zona bassa del castello sono conservati i resti di alcune residenze
risalenti al periodo ottomano.
Agia
Sofia

Fatta edificare
nel 1350 da Manuele Cantacuzeno, primo despota di Morea (1349-1380) è del tipo
a due colonne (gli altri due angoli della cupola poggiano su setti murari
longitudinali provenienti dall'abside) e a pianta allungata con nartece e
paraekklesion.
La facciata è
decorata con pietre policrome che creano motivi geometrici. Inoltre, sono
presenti gli stemmi con l’aquila bicipite bizantina.
Sul lato
settentrionale la chiesa è fiancheggiata da un porticato a tre arcate che
termina ad est con un'ampia cappella – la cui muratura appare simile a quella
delle absidi, sì da farla ritenere coeva alla fondazione della chiesa – che
sporge dalla facciata absidale mentre lungo il lato meridionale è affiancata
dal paraekklesion che appare invece incluso nella pianta originale.
Il
porticato settentrionale termina inoltre ad ovest con la torre campanaria, ad
ovest della quale sono addossate tre camere quadrate a calotta probabilmente
destinate ad altrettante sepolture reali.
La facciata
occidentale era preceduta a sua volta da un porticato oggi completamente in
rovina.
Sepolture:
Maddalena Tocco (Teodora), prima moglie di Costantino XI, quando Costantino
ascese al trono imperiale le sue spoglie furono però trasferite nella chiesa
costantinopolitana di S.
Salvatore in chora, (probabilmente nella tomba del XV secolo non
ancora identificata nel nartece esterno), qui dovrebbe essere rimasto quindi
solo un cenotafio; Cleofe Malatesta, moglie di Teodoro II despota di Morea. Si
avanza l'ipotesi che, nella più occidentale delle tre camere a calotta sia
stata inizialmente sepolta Cleofe
Malatesta.
Tuttavia il
vero gioiello è custodito al suo interno. Infatti, sotto la grande
cupola decorata dedicata a Dio
Padre, è conservato un pavimento
di mosaico che rappresenta L’ombelico
del mondo.
Nell’abside
è raffigurato il Cristo benedicente. Questo fa pensare che in origine la chiesa
fosse dedicata al Redentore (Cristo Zoodotis, dispensatore di vita, come è
nominata nella Cronaca di Sfranze la chiesa dove furono sepolte le due
spose reali) anziché alla Divina Saggezza.
Nella volta del
bema è raffigurata l'Ascensione, con il Cristo racchiuso in una gloria
circolare sostenuta da quattro angeli.

Cappelle
orientali: A (paraekklesion). Nella cupola la Vergine blacherniotissa circondata,
sul registro inferiore, dalla Divina Liturgia. Sulla parete ovest, la Natività
di Maria.
B. Nella cupola
il Cristo tra le schiere degli angeli. In due nicchie lungo le pareti sud e nord
due grandi Arcangeli in piedi, a sottolineare la natura funeraria della cappella
che contiene anche una tomba. Nell'abside la Vergine platytera (“più
ampia dei cieli”, col bambino racchiuso in un disco) tra due angeli. La Dormizione
della Vergine sulla parete sud e la Discesa agli inferi in quella
nord. L'Annunciazione ad est e la Crocifissione ad ovest.
Nel catino
absidale, la Vergine platytera affiancata da due angeli. L'arcangelo
Gabriele, a sinistra del catino, e la Vergine inginocchiata, a destra,
rappresentano l'Annunciazione.
L’elegante
edificio oblungo a nord ovest del campanile, con numerose absidi e aperture, era
il refettorio del monastero, decorato con numerose figure di santi.
Palazzo
del Despota
Sede
dell'amministrazione di Mistrà era il complesso palaziale che si affacciava
sulla piazza di Ano Chora. Qui risiedeva anche il governatore e
successivamente vi risiedettero i Despoti. L'edificio a forma di L risulta da
quattro diverse fasi costruttive che vanno dal XIII al XV secolo.
Alla
prima fase corrisponde l'edificio più orientale (A), una struttura a due piani
a pianta rettangolare e completata da una torre, che risale probabilmente alla
dominazione latina (1205-1259) giacchè presenta alcuni tratti decisamente
occidentali come le finestre ad arco acuto.
Durante il
regno di Andronico II, alla fine del XIII secolo o agli inizi del XIV, il
Palazzo si espanse verso ovest con un fabbricato a due piani di caratteristiche
più marcatamente bizantine che presenta finestre sovrastate da un archeggiatura
semicircolare (D); qui si trovavano le cucine ed altre aree occupate dai
servizi.
Manuele
Cantecuzeno - figlio dell'imperatore Giovanni VI - despota di Morea dal 1349 al
1380, aggiunse un terzo edificio (E) sempre lungo l'asse est-ovest con
caratteristiche simili a edifici veneziani coevi. La stanza centrale del piano
superiore venne successivamente trasformata in cappella e vi si conservano
lacerti di affresco.
L'ultimo
edificio in ordine di tempo (F) – noto anche come Palazzo dei Paleologhi -
è costituito da un'ala che si sviluppa su tre piani: il piano terra destinato a
magazzino, quello rialzato – che appare diviso in otto ambienti da setti
murari perpendicolari – a casermaggio e l'ultimo che era occupato
esclusivamente dalla sala del trono che affacciava con otto grandi finestre su
una ampia balconata che prospetta sulla piazza antistante.
La sala del
trono era riscaldata da otto grandi camini le cui canne fumarie sporgono sulla
facciata esterna a guisa di contrafforti. Questo edificio è per solito
attribuito all'imperatore Manuele II (1391-1425) che soggiornò a Mistrà per
due lunghi periodi nel 1408 e nel 1415. Quest'ala del palazzo, inoltre, fu
fortemente danneggiato da un incendio quando la città era già in mano ai
turchi durante la spedizione
di Sigismondo Malatesta (1464-1466).
La Gilliland
Wright (2010) restringe invece l'arco di datazione di quest'ala al 1429-1433 e
attribuisce gli elementi squisitamente occidentali che presenta (come le
finestre circolari che illuminano la sala del trono o il complesso
balconata-portico) all'influenza della despoina Cleofe Malatesta (1419-1433) -
moglie del despota Teodoro II – e di personalità legate al suo entourage,
senza escludere l'intervento diretto di maestranze venute dall'Italia. E'
comunque da notare una certa somiglianza del prospetto del Palazzo dei
Paleologhi con quello del Palazzo ducale di Venezia.
L’edificio si
sviluppa su due piani, sono presenti sei grandi stanze per la corte e una terrazza
panoramica. Da qui i sovrani godevano di un’ampia visuale sulla valle dell’Eurota.
Ma il vero
punto forte è senza dubbio la sala
del trono. Infatti, qui possiamo ammirare la grande vetrata, i decori in
stile gotico e la grande aquila bicipite che simboleggia il potere reale.
Cattedrale
di Agios Dimitrios
La chiesa
di San Demetrio è una chiesa ortodossa.
Il complesso contiene al suo interno il palazzo Metropolita, che ospita il Museo
archeologico di Mistra, ed è incluso insieme all'intero sito archeologico tra i patrimoni
dell'umanità.
La costruzione
della chiesa iniziò probabilmente nel XIII
secolo ad opera dell'igumeno Eugenio
nel 1270, per esser poi ampliata sotto il metropolita di Lacedomonia Niceforo
Moschopoulos intorno al 1291-1292, stando alle iscrizioni rinvenute. Infatti
sull'architrave dell'entrata principale si trova un'iscrizione che ricorda
Niceforo, il fondatore della chiesa, un'altra nella prima colonna a destra
entrando nell'edificio, risale al 1311-1312, afferma che Niceforo è il
fondatore della chiesa, che restaurò i mulini di Magoula, piantò ulivi e comprò
le case vicino alla chiesa. Questi interventi del XIII secolo coincisero con lo
spostamento della sede della diocesi da Sparta a Mistra,
divenuta il centro del Peloponneso
bizantino.
Successivamente
nel XV secolo la
costruzione originaria fu ampliata, con l'aggiunta di un bassorilievo di pietra
in memoria dell'incoronazione dell'ultimo imperatore bizantino Costantino
XI Paleologo.
La chiesa è un
peculiare esempio di commistione tra una basilica a
tre navate e la tradizionale chiesa
bizantina a croce
greca inscritta in un quadrato. Gran parte del complesso circostante
risale invece al rifacimento del XV secolo e al periodo ottomano.
Nel XV sec., il
metropolita Matteo fece ricostruire le parti superiori, sovrapponendo una
struttura cruciforme a cupole, nel maldestro tentativo di renderla simile alla Afendicò:
nella navata centrale si scorge perfettamente la linea di transizione tra la
fase di costruzione del XIII sec. e quella del XV sec., segnata da un fregio
scolpito sotto il quale sussistono tracce di pitture parietali. La decorazione
parietale fu infatti gravemente danneggiata dalla ristrutturazione voluta da
Matteo, sì che tutte le figure dipinte sul lato meridionale della nave appaiono
oggi"decapitate".
Le arcate della
navata centrale poggiano su capitelli bizantini* di reimpiego e le colonne
recano incisioni che riassumono i privilegi concessi dagli imperatori alla
chiesa. Di reimpiego sono anche le lastre marmoree che formano il parapetto del
matroneo. Parte della primitiva pavimentazione a tarsie marmoree policrome
si è conservata.
Davanti
all'iconostasi, una lastra collocata in epoca moderna, che reca un rilievo
con l'aquila bicipite incoronata, indicherebbe il luogo in cui Costantino
Dragaze fu consacrato imperatore di Bisanzio il 6 gennaio 1449 alla presenza del
fratello Tommaso e di due alti funzionari costantinopolitani, Alessio
Filantropeno Lascaris e Manuele Paleologo Iagari.
Nella
navata destra si nota un'insolita cattedra episcopale del XVII sec.
La facciata
absidale risale quasi interamente alla chiesa originaria e si contraddistingue
per l'ordinata muratura “a castone” (opera cloisonné),
la decorazione seghettata in mattoni che enfatizza le finestre absidali. Al di
sopra delle absidi laterali, la monotonia della muratura è rotta da due lastre
rettangolari con un cerchio di mosaico rosso.
Gli affreschi non
presentano unità né di programma né di stile. Parte risalgono alla fine del
XIII sec, parte alla prima metà del XIV.
Catino
absidale: E' una delle pitture più antiche. La Vergine è ritratta in piedi con
in braccio il bambino (Kyriotissa). La figura di un prelato prosternato in
preghiera, il donatore, fu successivamente cancellata.
Prothesis: la
prothesis e gran parte della navata settentrionale sono occupate da ritratti di S.Demetrio
di Tessalonica e da scene della sua vita e del suo martirio.
Il diakonikon è
invece dedicato ai SS.Cosma
e Damiano che sono raffigurati a figura intera nella nicchia con
lo sguardo rivolto al Cristo misericordioso raffigurato nella conca
absidale. Sulle pareti quattro scene dei miracoli compiuti dai due santi.
Nella volta del
diakonikon si trova l'affresco forse più caratteristico dell'intera chiesa
in cui è rappresentata l'Etimasia: un trono vuoto sormontato dalla croce
patriarcale che simboleggia l'attesa del ritorno di Cristo per il Giudizio
Universale; magnifici gli angeli per l'armonia del movimento e l'espressione
estatica del volto.


Monastero
della Pantanassa
Il monastero è
situato 5 km a nord di Filippiada lungo la strada Arta-Giannina.
Secondo la Vita
di S. Teodora del monaco Melias, la chiesa monastica della Teotokos
Pantanassa (regina del mondo) fu
fatta edificare dal despota Michele II verso la metà del XIII secolo, come la Kato
Panagia, per manifestare il proprio pentimento per la sua condotta nei confronti
della moglie Teodora.
Sembra però
avere una storia più antica come testimoniato dall'ambone paleocristiano
ritrovato in situ.
Il katholikon
presentava originariamente una pianta a croce greca inscritta con una cupola
centrale sorretta da 4 colonne e altre quattro cupole sui quattro ambienti
d'angolo che riecheggiava il modello costantinopolitano della chiesa
dei SS. Apostoli.
L'abside era
fiancheggiata dai pastoforia ed il naos sopravanzato da un nartece rettangolare.
Alla fine del
XIII secolo il despota Niceforo
I (il suo nome è stato ritrovato inciso su una placca in mattone
nel corso degli scavi) fece aggiungere un deambulatorio sostenuto sui lati ovest
e sud da un doppio colonnato e a nord da pilastri.
Sul lato
orientale il deambulatorio terminava con due cappelle sormontate da cupola,
quella meridionale delle quali è ancora in piedi. Dedicata a S. Basilio fu
infatti restaurata nel XIX secolo.
Il
nome “Io(annes) Despot(es) Spatas” è inciso su una delle due colonne
superstiti del colonnato del lato meridionale del deambulatorio. È l'unica
evidenza ritrovata del regime albanese di Gijn
Boua Spata che fu despota d'Epiro dal 1374 al 1399.
All'angolo
sud-ovest dell'edificio sono visibili i resti della torre campanaria.
Sono
sopravvissute solo modeste tracce della decorazione a fresco. Nell'abside
centrale si distinguono i Gerarchi mentre concelebrano la messa, nelle parte
bassa delle pareti nord e sud pannelli rettangolari con motivi geometrici.
La chiesa crollò
nel corso del XV secolo per problemi di statica già evidenziatisi all'atto
della sua costruzione ed esacerbati dai terremoti.
Monastero
di Perivleptos
Questo
monastero è arroccato su un ripido pendio roccioso nella parte occidentale
della città.
Fu
probabilmente costruito nella metà del XIV secolo dal primo despota della
Morea, Manuele Cantacuzeno, e prende il nome da uno dei più celebri
monasteri della Costantinopoli bizantina.
Al di sopra
dell'arco d'ingresso è posto inoltre un blasone che raffigura due leoni
araldici a fianco del monogramma rotondo della Peribleptos, a cui è stata
aggiunta la scritta "5 marzo 1714. Costruito a spese di Panajotis
Thebaios", vale a dire nel breve periodo che i veneziani ebbero il
controllo di Mistrà.
Il monastero è
costruito sul lato di una parete rocciosa con una grotta che sostiene la
struttura. Questo stile architettonico è noto come stile Mistra ed è
prevalente in diverse chiese e monasteri della zona, questo stile è
caratterizzato da una somiglianza con un castello. È costruito con pietre
squadrate con tegole intarsiate. La complessità e le variazioni uniche della
forma della struttura dell'esterno creano una superficie interna al monastero
che si presta alla qualità eterea degli affreschi che coprono le pareti. Questi
sono stati descritti come "delicati e sommessi".
La pianta è
quella di una chiesa a due colonne con il braccio occidentale della croce
straordinariamente allungato. Le absidi, costruite in una accurata muratura 'a
castone' sono poligonali all'esterno.
Originariamente
sul lato meridionale della chiesa si trovava un portico che fu successivamente
trasformato - probabilmente da Leone Mauropapas - in nartece laterale. La porta
di questo nartece si apre su una scalinata che scende nel piazzale.
I vasti
affreschi che coprono l'interno del monastero di Peribleptos sono stati creati
dal 1350 al 1375. Queste opere sono state collegate alle scuole d'arte cretese e
macedone. A causa dell'abside e di altre superfici che creano superfici
spaziali complesse, gli artisti che dipinsero queste opere ebbero il vantaggio
di mostrare immagini del Nuovo Testamento con un flusso perpetuo con
un affresco che conduce ad un altro. Non è chiaro chi fossero gli artisti.
Nella cupola è raffigurato il
Cristo Pantokrator, la fascia inferiore è divisa, da colonne dipinte, in otto
spicchi in sei dei quali sono rappresentate altrettante coppie di apostoli
sormonate dallo Spirito Santo; negli altri due spicchi sono
rappresentati rispettivamente la Vergine fiancheggiata da due angeli e due
angeli che preparano il trono celeste (etimasìa), sempre sormontati
dallo Spirito Santo.
Nel catino
dell’abside è raffigurata la vergine in trono tra i due arcangeli; nella
volta del bema è invece raffigurata l'Ascensione.
Nel complesso i
tre cicli del programma iconografico (le Grandi feste, la Passione e la
Vita di Maria) appaiono mescolati tra loro e non esposti in maniera ordinata. In
particolare il ciclo della Vergine appare insolitamente esteso (25 scene)
soppiantando completamente le scene del ministero di Cristo.
La disposizione
è comunque concepita in maniera tale che le ampie lunette dei bracci della
croce siano occupate dalle scene considerate più importanti secondo la
tradizione.
Nel
registro superiore dell'abside, il Padre troneggia al centro di una
ambientazione paradisiaca, in quello inferiore, il Cristo Vescovo riceve la
processione degli angeli che recano le offerte entro recipienti coperti da veli
ricamati (Divina Liturgia). Al di sotto di questa scena, appare il Cristo di
Pietà con la croce dietro di sé.
Chiesa
Evangelistria
Questa chiesa
di Mystras è avvolta da un mistero. Infatti, gli studiosi non sono riusciti a
risalire con certezza al periodo di costruzione. Nell'insieme la fondazione
dell'edificio è molto più probabilmente riconducibile agli inizi del XV
secolo che non alla fine del XIV, proprio perchè la sua costruzione meno curata
ed il tratto “provinciale” delle sue pitture sembrano indicare un periodo in
cui si imitano modelli precedenti senza raggiungerne la bellezza.
Le sue
dimensioni ridotte fanno pensare ad una chiesa cimiteriale ma è la sola chiesa
di Mistrà a non essere ricordata in alcun modo nelle fonti scritte. Dedicata
alla Vergine "annunciata" (evangelistria)
come la Peribleptos e Santa
Sofia è del tipo a due colonne con nartece, abside e
pastoforia.
L'esterno
appare poco decorato, le alte absidi non hanno neppure la consueta cornice di
mattoni disposti a dente di sega. La muratura a castone è limitata alla
facciata absidale, ai bracci nord e sud della croce ed al tamburo ottagonale
della cupola, che appare forato da quattro finestre centinate che si alternano
ad altrettante nicchie. Le finestre sono sormontate da archi doppi sostenuti da
colonnette, la maggior parte delle quali oggi mancano.
 Il
timpano del lato nord presenta una finestra bifora circondata da una ricca
cornice in mattoni. Nella parte inferiore del lato settentrionale si aprivano
due porte, una delle quali oggi tamponata, l'architrave – troppo corta
rispetto alla mostra della porta – presenta un'intaglio molto simile a quello
dell'iconostasi e probabilmente proviene dalla protesis o dal diakonikon.
Sul lato
meridionale la chiesa era fiancheggiata da un piccolo portico a due arcate.
Il timpano di
un'arcata doppia con una ricca decorazione in mattoni è conservato sul muro
occidentale del cortile della chiesa ma ad un livello nettamente inferiore: è
probabilmente quanto rimane di un secondo portico che correva lungo il lato
occidentale.
Come
nell'Aphendikò il nartece è sormontato da un matroneo.
Gli scarsi
resti di affreschi non permettono di ricostruire dettagliatamente il programma
iconografico.
Al vertice della cupola è raffigurato il Cristo Pantokrator, più in basso si
dispongono alcuni angeli sotto un portico ad archi ogivali trilobati di stile
tardo gotico. Nei pennacchi, i quattro evangelisti.
Sulla parete
absidale al centro l'Agnus Dei, al di sopra del quale è raffigurata la Comunione
degli Apostoli. Nel catino la Vergine in trono tra due angeli e,
nella vota del bema, l'Ascensione.
Monastero
Brontochion
Questo famoso monastero è
formato da due chiese, quella di Odiyitria-Aphentiko e
quella dedicata a San
Teodoro. La prima sorge sul lato nord, ed è molto complessa dal punto di
vista architettonico. Infatti, nasce dalla fusione di una basilica a tre navate
con una chiesa cristiana con pianta a croce. Nonostante gli affreschi interni
non siano in buone condizioni questa chiesa permette di visitare il sepolcro
del despota Teodoro II.
Gli affreschi
di questa sala sono meglio conservati e rappresentano i ritratti del sovrano. La
chiesa di San Teodoro invece è stata costruita per svolgere la funzione di cappella
funeraria per gli abati.
Eretta
tra il 1290 e il 1295 come katholikon del monastero di Brontochion
dall'igumeno Pachomios (secondo l'iscrizione ritrovata nell'epistilio e oggi al
museo di Mistrà la chiesa fu costruita da Daniele e Pachomios,
probabilmente i lavori furono avviati durante l'igumenia di Daniele e terminati
da Pachomios).
Probabilmente,
a seguito della costruzione della chiesa dell'Hodegitria, che
la sostituì nel ruolo di chiesa principale del monastero, assunse le funzioni
di chiesa cimiteriale dei monaci.
Presenta una
pianta a croce inscritta con cupola impostata su trombe angolari ed
appartiene al tipo a “pianta ottagonale” che comincia ad apparire nella
Grecia meridionale intorno all'XI sec., caratterizzato da un vano quadrato
centrale, con cupola di ampio diametro, senza sostegni liberi.
La cupola e il
tamburo sono raccordati da 4 trombe angolari e da un conseguente sistema di 8
pennacchi e 8 pilastri che rappresentano il vero sostegno della cupola.
La
denominazione "a pianta ottagonale" si riferisce alla
conformazione dello spazio centrale della chiesa coperto da una cupola sostenuta
da 8 archi. Sono quindi gli 8 pilastri posti ai vertici di un ottagono a
configurare l'ottagono come base della cupola mentre lo spazio centrale
sottostante ad essa rimane quadrato.
La pianta è
caratterizzata anche dalla presenza di ambienti collaterali che attorniano su
tre lati il vano centrale formando quattro cappelle in corrispondenza dei
quattro angoli dell'edificio.
La facciata
occidentale appare parzialmente nascosta da un nartece aggiunto in epoca
successiva alla fondazione della chiesa. Il nartece presenta una porta ad arco
ribassato fiancheggiata da due monofore, al disopra delle aperture e per tutta
la larghezza del muro corre una decorazione in mattoni disposti a dente di sega.
La facciata occidentale appare impreziosita dalla conformazione a timpano del
braccio della croce con una finestra bifora incorniciata da mattoni e filari
alterni di pietre e mattoni.
Da notare la
facciata orientale, concepita piuttosto come un disegno, il cui elemento
portante è rappresentato dalle cornici di mattoni di cotto disposti a dente di
sega, tralasciando la funzionalità degli elementi architettonici.Le cornici
delimitano infatti tre fascie di muratura “cloisonnè” che si alternano a
due che originariamente dovevano avere un rivestimento – oggi completamente
scomparso – di placche smaltate, questa alternanza sottolinea le linee
orizzontali dell'edificio per armonizzare la sua massa cubica con la verticalità
della cupola svettante sull'alto tamburo.
Fino all'altezza di un metro circa c'era un fregio dipinto che imitava un
rivestimento di marmo. Al di sopra era rappresentata una fila di santi guerrieri
rappresentati a figura intera. Sulla fascia superiore a quella dei santi
guerrieri erano rappresentate piccole scene della vita di Cristo e della
Madonna.
Nella fascia più alta che comprendeva le volte dei bracci della croce
erano raffigurate le Dodici Feste (Dodekaorton) e scene dei Vangeli.
La
cappella nordorientale contiene una sepoltura sul lato nord. Sul muro opposto è
raffigurato un "Manuele Paleologo" inginocchiato davanti alla Vergine
che regge il Bambino in atto di ricevere la benedizione. In basso, a piccole
lettere scritte affrettatamente, c'è la data di morte: 1423. E' abitualmente
identificato in Manuele II Paleologo che però morì nel 1425 e non fu sepolto a
Mistrà. Inoltre la figura non indossa abiti regali nè l'iscrizione allude alla
sua dignità imperiale.

Fonti:
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