Sito archeologico di Olimpia
Grecia
  
PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1989
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Museo della storia dei giochi olimpici antichi

Il bellissimo edificio neoclassico, un vero gioiello architettonico, che domina su una collinetta a Nord-Ovest del Santuario di Zeus, è il Vecchio Museo o Syngreion, opera degli architetti tedeschi W. Dòrpfeld e F. Adler, che legarono i loro nomi con i primi scavi sistematici ad Olimpia. La costruzione dell'edifìcio iniziata grazie ad una donazione del benefattore nazionale Andreas Syngròs dopo l'inizio degli scavi nell'Altis, fu completata nel 1888. È il più vecchio Museo provinciale costruito in Grecia e nel bacino del Mediterraneo. Fino agli anni 70 il Syngreion ospitava gli splendidi ritrovamenti del Santuario, anche se l'edifìcio era stato danneggiato dal terremoto che aveva colpito la zona nel 1954. Dopo la fondazione del Nuovo Museo Archeologico il Vecchio Museo rimase chiuso fino al suo restauro. Dal 2004 funziona come Museo della Storia dei Giochi Olimpici Antichi.

Attraverso i 463 reperti che datano dall'età preistorica al V sec. d.C, provenienti sia dal Santuario di Zeus di Olimpia, sia da altri Musei greci, viene presentata la brillante storia dei Giochi Olimpici, l'istituzione più longeva dell'umanità. I reperti esposti sono presentati secondo unità tematiche; si ha anche un breve riferimento agli altri Giochi Panellenici.

Il Museo è costituito da un vestibolo, da una grande sala centrale e da 10 sale più piccole attorno ad essa. Le unità tematiche dell'esposizione sono: la preistoria dell'esercizio fisico - l'origine dei Giochi ad Olimpia (sala l); Zeus ed il suo culto - l'organizzazione dei Giochi (sala 2); la preparazione degli atleti (sale 3,4); donne ed esercizio fisico (sala 5); programma dei Giochi - gare (sala centrale 6); i vincitori dei Giochi (sala 7); premi - ex voto (sala 8); gli spettatori dei Giochi - età ellenistica e romana (sala 9); Giochi Pitici (sala 10); Giochi Nemei-lstmici e le Panatenee (sala 11).

Nel vestibolo sono esposti 4 plastici, che mostrano lo sviluppo storico del Santuario, e i busti dei due grandi studiosi di Olimpia, E. Curtius e W. Dòrpfeld.

La storia dei Giochi - I Giochi Olimpici erano i più importanti giochi panellenici nella Grecia antica. Pindaro li inneggia nella sua prima Olimpica: «Come l'acqua è il più prezioso degli elementi, e come l'oro spicca come il più prezioso tra tutti i beni, e come, infine, il sole splende più di ogni altra stella, così anche Olimpia brilla oscurando ogni altro gioco».

Ad Olimpia venivano celebrati giochi, probabilmente di carattere locale, già dal periodo miceneo. Da Pausania apprendiamo che nel 776 a.C. i giochi vennero riorganizzati da Ifito a seguito di un vaticinio e acquisirono carattere panellenico. Ben presto si svilupparono nei più importanti giochi, esprimendo gli ideali dell'atletismo e della civiltà greca. L'esercizio fisico, elemento indispensabile nell'istruzione greca, e lo spirito agonistico dei Greci, che dominano in ogni settore dell'attività umana, forgiano l'ideale olimpico, la nobile emulazione, l'ideale del cittadino. 

Per interi secoli gli atleti provenienti dagli estremi confini del mondo greco si riunivano ad Olimpia per gareggiare con le regole della nobile emulazione, della competizione e non della concorrenza, e per onorare il sommo degli dèi, Zeus. In età arcaica e classica i Giochi raggiungono l'apogeo della loro gloria; in età ellenistica perdono il loro carattere puramente religioso e si trasformano in manifestazioni atletiche professionistiche. Indicativo del cambiamento dell'ideologia originale dell'istituzione sono le pene imposte per la prima volta nel IV sec. a.C. (338 a.C).

In età romana inizia la decadenza dei Giochi, nonostante continuino per secoli con una nuova forma; vengono aboliti nel 393 d.C. dall'imperatore di Bisanzio Teodosio I: fino a quell'anno erano state celebrate 293 Olimpiadi. La rinascita dell'istituzione si ha dopo 15 secoli, grazie agli sforzi di Pierre de Coubertin e di altre personalità, tra le quali si distinse come caloroso sostenitore Dimitrios Vikelas; e la prima Olimpiade moderna venne realizzata ad Atene nel 1896.  

Sala 1

A. La preistoria dell'esercizio fisico. Le prime forme di atletismo in Grecia risalgono agli inizi del secondo millennio a.C, quando a Creta compaiono vari sport legati a riti religiosi. Il più amato era il kybistema (capriola acrobatica), la lotta, il pugilato e le taurokathapsies (giochi acrobatici coi tori).

I Micenei ereditano queste gare dai Minoici e ne introducono delle nuove, con la corsa dei carri e la corsa a piedi. Sono i creatori dello spirito agonistico atletico e l'atletismo costituisce un elemento basilare della società micenea. Istituiscono i giochi funebri in onore di morti illustri, come Achille che aveva organizzato i giochi funebri per Patroclo in onore dell'amico morto (Iliade, XXIII, 271-853). Le gare descritte da Omero nei giochi funebri per Patroclo sono: la corsa dei carri, il pugilato, la lotta, la corsa a piedi, la lotta in armi, il lancio del disco, il tiro con l'arco con bersaglio e il lancio del giavellotto. Nell'Odissea sono riportate le gare organizzate dal re dei Feaci Alcinoo con la partecipazione di atleti specialisti in onore di Ulisse, suo ospite.

La preistoria dei giochi viene presentata attraverso ritrovamenti della civiltà minoica e micenea. A sinistra, nella vetrina a muro sono esposti eccezionali esempi di glittica con le più antiche rappresentazioni di sport. Risaltano due anelli-sigillo d'oro, dove si vede la straordinaria abilità dell'artista miceneo: uno, proveniente da Anthia di Kalamata, reca nel castone una rappresentazione di taurokathapsies; l'altro, proveniente dall'Acaia, due corridori.

Tra la ceramica micenea, risalta un grande cratere miceneo (da Vounteni dell'Acaia, XII sec. a.C), dove la rappresentazione di una figura umana su un carro rimanda a giochi in onore di qualche defunto. Ad attività sportive rimandano anche il rhytón per libagioni a forma di toro con l'acrobata proveniente da Creta (inizi del II millennio a.C.) ed anche un modellino di carro dalla necropoli di Prosymna in Argolide (XIV-XIII sec. a.C).  

B. L'origine dei giochi. Secondo la tradizione, gli dèi per primi gareggiarono ad Olimpia. Zeus vinse Crono nella lotta, Apollo vinse Ermes nella corsa a piedi e Ares nel pugilato; diversi sono anche gli eroi riportati dalle fonti antiche come fondatori dei Giochi.

Alla tradizione micenea appartiene il mito di Pelope, che dopo la sua vittoria su Enomao, organizzò corse dei carri, giochi funebri in onore del morto re di Pisa, ma anche come cerimonie di ringraziamento agli dèi per la sua vittoria.

Secondo altri miti, fondatore dei Giochi fu il semidio Eracle, che organizzò per primo gare di corsa a piedi e dei carri. Fu lui a portare l'olivo selvatico dal paese degli Iperborei, lo piantò nel Santuario e definì i confini dell'Altis.

Pausania riporta come fondatore dei Giochi Eracle Ideo con i suoi quattro fratelli, i Dattili o Cureti, arrivati a Olimpia da Creta. Questo Eracle per primo organizzò gare di corsa a piedi per i suoi fratelli, stabilì la lunghezza dello Stadio e incoronò il vincitore con olivo selvatico.

Tra i nomi dei fondatori sono riportati Neleo, Pelia ed anche Piso, eroe eponimo della Pisatide.

Strabone ritiene che i Giochi fossero stati organizzati da Ossilo, re degli Eraclidi dopo la loro discesa (XI sec. a.C). Successivamente (776 a.C), furono riorganizzati da Ifìto, che contrasse un patto con il re di Sparta Licurgo ed il re di Pisa Cleostene: la sacra ekecheiria (tregua).

Le fonti scritte riportano come anno di inizio dei Giochi il 776 a.C. Da allora inizia il catalogo degli Olimpionici, completato molto tempo dopo. In realtà il 776 a.C. è l'anno della la Olimpiade riorganizzata.

A questa unità appartengono reperti che sono in relazione con il loro mitico fondatore, il semidio Eracle: vasi a figure nere (kkythoi, skyphoi, anfore, ed altri) del V sec. a.C. raffigurano le gesta dell'eroe; un piccolo frammento della parte superiore del corpo di una statuina di Eracle (510-500 a.C.) proveniente dall'Acropoli; un piede in bronzo di tripode, proveniente dall'Altis, dove è rappresentata una delle più antiche scene mitologiche, quella della disputa tra Eracle ed Apollo per il tripode delfico; un'hydria di bronzo con rappresentazione a rilievo di Eracle e Nike sotto l'ansa; busto in marmo di una statua dell'eroe.

Sala 2

A.  Zeus e il suo culto. Durante il periodo geometrico fu istituito il culto di Zeus ad Olimpia, come rivelano i numerosissimi ex voto, soprattutto i lebeti tripodati e le statuine di uomini e animali, qui esposti indicativamente. Le statuine fittili e bronzee di piccoli cavalli, le statuine di aurighi e le ruote fittili di carri, rimandano alle prime gare ippiche ed alle corse dei carri, che si svolgevano ad Olimpia durante questo periodo.Tra i reperti esposti di questa unità risaltano i piedi di bronzo fusi di tripodi, le anse di lebeti, i cavallini di bronzo, le statuine bronzee di aurighi (VIII sec. a.C), i carri fittili con aurighi, la statuina bronzea di Zeus, una kylix lacone su cui è raffigurato Zeus con Hera, e una testa bronzea di Zeus, copia di un'opera esposta nel Museo Archeologico Nazionale (vetrina a sinistra).

Sono inoltre esposti piccole ruote di bronzo e cavallini, piccolissimi lebeti tripodati provenienti da Olimpia e vasi geometrici con rappresentazioni di corsa dei carri, come l'anfora attica (720-700 a.C) e la pyxis attica con cavallini sul coperchio (750-735 a.C), provenienti dall'Agorà di Atene (vetrina destra).

B.  L'organizzazione dei Giochi. I Pisati furono gli organizzatori dei Giochi dal 668 fino al 572 a.C. Dal 570 a.C. in poi l'organizzazione passò definitivamente nelle mani degli Elei, che avevano occupato il regno di Pisa. I Giochi Olimpici venivano celebrati ogni quattro anni, erano cioè quinquennali. L'intervallo di tempo tra i Giochi era chiamato Olympiàs, un termine che era usato per indicare anche gli stessi Giochi. Venivano celebrati durante il primo plenilunio dopo il solstizio d'estate, nell'ottavo mese del calendario eleo (oggi luglio-agosto). Fino al 684 a.C. (24a Olimpiade) le gare erano sei ed i Giochi si svolgevano in un giorno. Quanto più aumentavano le gare (in età classica avevano raggiunto il numero di 18), aumentavano anche i giorni della loro durata, arrivando a cinque. Le Olimpiadi costituivano il sistema cronologico di base dei Greci antichi.

Diritto di partecipazione ai Giochi avevano tutti i cittadini greci liberi, che non avevano commesso un omicidio e un sacrilegio. La partecipazione era vietata ai barbari ed agli schiavi. I Romani cercarono di dimostrare la loro origine greca per potervi partecipare. Le donne potevano prendere parte alle gare ippiche solo come proprietarie dei cavalli e dei carri.

Tutti erano liberi di assistere ai Giochi, anche i barbari e gli schiavi, ad eccezione delle donne sposate. La severissima disposizione che vietava alle donne di assistere alle gare rimane misteriosa. Soltanto la sacerdotessa di Demetra Chamyne era presente, seduta sull'altare della dea, che si trova sul terrapieno settentrionale dello Stadio. Le donne che avessero violato il divieto, venivano gettate dal monte Tipeo che si trova a Sud del Santuario.

Responsabili dell'osservanza delle regole (chiamati themites Diòs, cioè incaricati da Zeus) erano gli Ellanodici. Fino al 584 a.C. l'istituzione era ereditaria e a vita; successivamente gli Ellanodici venivano eletti a sorte dai cittadini elei. La loro elezione era valida per una Olimpiade e per dieci mesi risiedevano a Elis, nell'Hellanodikaìon, dove venivano loro insegnate le regole dei Giochi. Erano responsabili dell'organizzazione e dello svolgimento delle gare, nonché del conferimento dei premi. Potevano imporre pene pecuniarie e corporali, o eliminare gli atleti. Con le pene pecuniarie venivano fabbricate statue in bronzo di Zeus, gli Zanes, che venivano erette davanti all'ingresso dello Stadio. Il numero degli Ellanodici aumentò gradualmente. In origine erano due, poi nove, successivamente dodici, otto e, dal 348 a.C. fino alla fine dei Giochi, dieci. Durante i Giochi erano vestiti con un mantello rosso e stavano seduti sull'Esedra che si trova nel lato meridionale dello Stadio.  

L'annuncio dei Giochi veniva fatto dagli spondophoroi (araldi), che coronati con un ramo d'olivo portavano di città in città il messaggio della tregua sacra. L'istituzione dell'ekecheiria fu sancita nel 776 a.C. da Ifito. Nel corso dell'ekecheiria, che in origine durava un mese, poi tre, ma sono riportati anche dieci mesi, veniva interrotta ogni ostilità, era vietato l'ingresso nell'Elide a chiunque fosse armato, solo o in gruppo, ed era vietata l'esecuzione di qualsiasi pena capitale. La violazione della tregua sacra significava anche l'esclusione dai Giochi. Degno di nota è che nei 1169 anni di durata dei Giochi le violazioni dell'ekecheiria sono state pochissime e insignificanti. È evidente che l'istituzione della tregua sacra, rispettata in modo assoluto da tutti i Greci, costituisce il più longevo e il più valido trattato di pace mai fatto dall'umanità.

I Giochi erano ginnici e ippici. Le gare ginniche si svolgevano nello Stadio e quelle ippiche nell'Ippodromo.

Le fonti scritte e le numerosissime iscrizioni rinvenute nel Santuario di Olimpia, alcune delle quali sono esposte in questa sala, ci danno numerose informazioni sull'organizzazione dei Giochi.

Su una tegola del tempio di Zeus fu incisa un'iscrizione (28-24 a.C.) in cui è riportato il personale del Santuario durante le 189a Olimpiade; in una grande iscrizione litica frammentaria sono trascritte regole dei Giochi (l-ll sec. d.C). Su una base litica di statua un'iscrizione riporta che la statua era stata dedicata da Theoxena per il figlio Alkia, che era spondophoros (parete destra).

Nella vetrina a sinistra sono esposte iscrizioni bronzee provenienti dall'Altis, dove sono riportati i nomi di Ellanodici, un catalogo di atleti e le regole dei Giochi.  

Sala 3 - La preparazione degli atleti. Gli atleti scelti dalle città, che si erano preparati con le istruzioni del paidotribes (l'allenatore specializzato) e del gymnastés (maestro di ginnastica), un mese prima dei Giochi arrivavano a Elis, la città organizzatrice, e si allenavano tutti insieme nei due Ginnasi e nella Palestra della città. Lì gli Ellaiodici escludevano gli atleti che non erano ben preparati, così che nello Stadio di Olimpia gareggiasse il fiore della Grecia atletica. Probabilmente si svolgevano anche delle gare preliminari. Ad Olimpia  l'allenamento veniva effettuato nel Ginnasio e nella Palestra.

Gli aleiptes prima dell'allenamento ungevano il corpo degli atleti con olio per ammorbidire i muscoli. Di seguito gettavano su di loro sabbia sottile per evitare che scivolassero durante l'allenamento. Questa preparazione avveniva in ambienti particolari della Palestra: l'helaiothesion e il konisterion. Dopo l'allenamento gli atleti asportavano dal corpo l'olio, la polvere e il sudore con gli strigili e successivamente, per la pulizia finale, usavano i bagni.

Gli oggetti esposti nella terza sala riguardano la preparazione degli atleti. La base di marmo, proveniente dalle pendici nord-occidentali dell'Acropoli, è ornata con una rappresentazione a rilievo di atleti.

Sala 4 - L'unità della preparazione degli atleti continua nella quarta sala. Sulla parete di destra sono esposte stele funerarie con rappresentazioni a rilievo di atleti: atleta con strigile (330-320 a.C); atleta con strigile e aryballos (inizi del IV sec. a.C); pedagogo-atleta (IV sec. a.C).

Nella vetrina a sinistra sono esposti vasi a figure rosse e a figure nere del VI-IV sec. a.C, come i grandi crateri campaniformi, skyphoi, kylikes, ecc, che raffigurano atleti e scene della loro preparazione nelle Palestre, ed anche i minuscoli aryballoi (VII-VI sec. a.C).

Interessanti sono gli strigili di bronzo provenienti dal Santuario di Olimpia, alcuni con iscrizioni votive ed altri con decorazione incisa.  

Sala 5 - Donne ed esercizio fisico. Le donne non potevano prendere parte ai Giochi Olimpici, se non come proprietarie di cavalli o di carri, nelle gare ippiche. Questo era il caso di Cinisca, che vinse quale proprietaria di carri, come riporta l'iscrizione incisa sulla base esposta (390-380 a.C, angolo sinistro della sala).

È risaputo quasi da tutti che l'unica donna ad aver violato il divieto sia stata Callipatira, figlia del pugile rodio Diagora, la quale proveniva da una famiglia di olimpionici: padre, fratello, figli e nipoti, tutti vincitori di Olimpiadi. Quando il figlio minore, Pisirodo, partecipò ai Giochi, volle assistere alla gara. Si travestì da allenatore ed entrò nello Stadio. Il figlio vinse e lei dalla gioia si slanciò per abbracciarlo. Le cadde allora il chitone che indossava e rivelò così di essere donna. I giudici elei, però, non punirono la donna in quanto apparteneva ad una famiglia di olimpionici ed aveva generato olimpionici. Fu, però, stabilito che da allora nello Stadio entrassero nudi, così come gli atleti, anche gli allenatori.

Nell'antichità l'atletismo femminile conobbe un particolare sviluppo in Grecia. Ad Olimpia si svolgevano le Heraia, gare di corsa a piedi in onore di Hera. Si ritiene che questi giochi fossero stati istituiti da Ippodamia, che per prima corse insieme ad altre 16 donne. Le vergini che partecipavano alle gare venivano divise a seconda dell'età in tre categorie. Correvano i 5/6 dello Stadio (160 m) indossando un corto chitone, con la spalla destra nuda ed i capelli sciolti. Il premio era una corona d'olivo ed un pezzo della mucca che veniva sacrificata ad Hera. Caratteristica è la statuina bronzea della donna-corridore proveniente da Dodona (copia, metà del VI sec. a.C, vetrina sinistra). Come riporta Pausania, le vincitrici dedicavano le loro «immagini» nel tempio di Hera e le collocavano nelle basse cavità rettangolari, ancora oggi visibili sulle colonne dello pteron.

Nella sala risaltano due statue di donne elee, provenienti dall'Heraion (seconda metà del I sec. d.C), una piccola statua di Atenaide, figlia di Erode Attico (seconda metà del II sec. d.C.) ed una serie di kkythoi con scene di corsa dei carri.

Sala centrale 6 - Programma dei Giochi - gare. Il programma dei Giochi non restò inalterato nel corso della storia ultramillenaria dell'istituzione. In età classica era così strutturato: due giorni prima dell'inizio dei Giochi, atleti, giudici e dignitari partivano in processione da Elis ed arrivavano ad Olimpia percorrendo la Via Sacra.

La mattina del primo giorno, gli atleti, i loro parenti e i giudici prestavano il giuramento ufficiale davanti ala statua di Zeus Horkios nel Bouleuterion. Avveniva quindi la registrazione degli atleti, la loro distribuzione nelle gare ed il loro sorteggio a coppie o nell'ordine in cui avrebbero gareggiato. Vicino all'entrata dello Stadio si svolgevano le gare dei trombettieri e degli araldi. Nel pomeriggio venivano offerti sacrifici e pronunciati vaticini. Filosofi, storici e poeti recitavano le loro opere alle persone radunate.

Nel secondo giorno i Giochi iniziavano con la gara di corsa dello stadio per ragazzi, a cui seguivano la lotta, il pugilato e il pancrazio per ragazzi.

Nel terzo giorno si svolgevano le corse dei carri e le gare ippiche nell'Ippodromo. Nel pomeriggio, nello Stadio, si svolgeva il pentatlo (salto, lancio del disco, corsa, lancio del giavellotto, lotta). La sera sacrificavano un ariete nero in onore di Pelope, fondatore della gara della corsa dei carri e seguivano banchetti festivi.

Il quarto giorno, che coincideva con il grande plenilunio d'estate, iniziava con un'imponente processione. Ellanodici e Theories (le delegazioni ufficiali delle città) partivano dal Ginnasio o dal Pritaneo ed arrivavano al grande altare di Zeus, dove veniva offerto un sacrificio di 100 animali (ecatombe). Seguivano le gare di corsa degli uomini, lotta, pugilato e pancrazio. Il giorno finiva con la gara di corsa in armi.

II quinto ed ultimo giorno dei Giochi era dedicato alla premiazione degli atleti. I vincitori si recavano nel tempio di Zeus dove venivano incoronati con il kotinos (corona di olivo selvatico) dal più anziano degli Ellanodici. Seguiva un banchetto ufficiale nel Pritaneo e festeggiamenti che duravano fino a sera.

Le gare olimpiche - Nell'imponente sala centrale del Museo con il singolare soffitto di legno, nella quale nel XIX secolo furono inizialmente custodite le sculture frontonali del tempio di Zeus, oggi il visitatore può ammirare reperti che rappresentano l'unità delle gare. Ogni gara si sviluppa in un apposito spazio e la loro presentazione segue l'ordine con cui si svolgevano. Al centro dei due lati brevi della sala dominano una statua di marmo di Zeus, signore del Santuario, in onore del quale venivano celebrati i giochi, e una di Apollo. 

I Giochi dei ragazzi - Gli atleti, durante il loro soggiorno a Elis, venivano divisi in categorie dagli Ellanodici. Quelli che avevano 14-18 anni appartenevano alla categoria dei ragazzi. I giochi dei ragazzi furono introdotti nella 37a Olimpiade (632 a.C.), allorquando fu aggiunto anche il terzo giorno ai giochi. Nella 38a Olimpiade (628 a.C.) si svolse per l'unica volta il pentatlo dei ragazzi.

Tra i reperti esposti di questa unità risaltano due statuine in bronzo di corridori ed una di lanciatore del disco, che rappresenta l'atleta nel momento in cui è teso all'indietro per lanciare il disco che teneva nella mano destra sollevata. Su una kylix attica a figure rosse sono raffigurati due ragazzi in una gara di pugilato, dove l'uno fa il gesto dell''«apagoreueirr», riconoscendo la sua sconfitta.

Dall'Altis provengono basi votive di ragazzi-vincitori, come le basi iscritte di Senocle e di Gorgia (seconda metà del IV sec. a.C), vincitori nella lotta dei ragazzi. La testa di bronzo di un ragazzo data all'età tardoellenistica; accanto ad essa è collocata una copia contemporanea. Tra esse la lamina di bronzo iscritta riporta un certo Filippo vincitore nella lotta dei ragazzi (III sec. a.C).

Il lato destro lungo della sala è occupato da sculture. Tra esse risaltano due piccole statue che rappresentano la dea Tyche, un tronco in marmo di una statua di ragazzo nudo, tronchi di statue di efebi, basi di ex voto a forma di capitelli dorico e ionico e la base di un ex voto di Claudia per il figlio olimpionico Pisano.

Le gare ippiche - Nella 33a Olimpiade (648 a.C.) si svolgono per la prima volta gare ippiche con le corse dei cavalli adulti, gara con fantino che faceva sei volte il giro dell'Ippodromo. Nel 496 a.C. (71a Olimpiade), viene introdotta la kalpe (corsa di giumente) e nel 256 a.C. (I3la Olimpiade) la corsa di puledri. Il fantino cavalcava nudo, senza gualdrappa, sella e staffe. Sembra che la sella fosse usata solo dai guerrieri.

Tra i reperti esposti relativi alle gare ippiche degni di nota sono:

una base iscritta, a forma di capitello dorico, di Carope, vincitore in gare ippiche (I sec. a.C); un cratere attico a figure nere con scene di corse di cavalli; vasi a figure nere con scene di cavalieri (VI sec.a.C). Redini di bronzo, statuine bronzee e fittili di cavalli e di cavalieri costituiscono caratteristici reperti che rimandano a gare ippiche.  

Le corse dei carri - Secondo la tradizione la prima gara di corsa dei carri avvenne tra Pelope ed Enomao.

Le corse dei carri e le gare ippiche erano le più sorprendenti e si svolgevano nell'Ippodromo. Le gare di corsa dei carri ad Olimpia erano: la quadriga (carro con 4 cavalli che compiva dodici giri nell'Ippodromo), introdotta nella 25a Olimpiade (680 a.C), che si svolse fino al 241 d.C; l'apene (carro tirato da due mule), introdotta nella 70a Olimpiade (500 a.C.) ed abolita nel 444 a.C. (84a Olimpiade); la synorìs (biga, carro tirato da due cavalli), introdotta nella 93a Olimpiade (408 a.C); la gara della quadriga con puledri, introdotta nella 99a Olimpiade (348 a.C), su 8 giri dell'Ippodromo; la gara della synorìs con puledri, su 3 giri dell'Ippodromo, introdotta nella 128a Olimpiade (268 a.C).

Vincitore dei giochi era il proprietario dei cavalli, che veniva incoronato con il kotinos, mentre per l'auriga il premio era una benda di lana che gli era legata sulla testa dall'hippotrophos (l'allevatore del cavallo). Per questo motivo sono riportati come vincitori nelle corse dei cavalli nomi di donne (Cinisca), di ragazzi o anche di città. Aurighi rinomati erano Finti di Siracusa, Carroto (auriga del re di Cirene, Arcesilao), Cromio (auriga di lerone di Siracusa), ed altri.

I ritrovamenti provenienti dal Santuario di Olimpia, che costituivano ex voto a Zeus, rivelano la lunga tradizione nel luogo delle corse dei carri. Sorprendente è la grande ruota di ferro di un carro. Si vedono inoltre statuine bronzee di aurighi, una lamina di bronzo del VI sec. a.C. sulla quale si conserva una scena di corsa dei carri, vasi, come un'anfora pseudo-panatenaica, kylikes, oinochoe, lekythoi (VI sec. a.C), con rappresentazioni simili. Su un frammento di rilievo votivo in marmo con rappresentazione di una quadriga si nota la resa naturalistica e piena di dinamismo dei cavalli.

Il pentatlo - Era costituito da cinque gare: salto, corsa a piedi, lancio del giavellotto, lancio del disco e lotta. Di queste gare, le prime tre erano ritenute leggere e le ultime due pesanti. La tradizione riporta che Giasone per primo istituì il pentatlo (unione di cinque gare) in onore dell'amico Peleo, che aveva vinto nella lotta in giochi celebrati dagli Argonauti a Lemno, ma era arrivato secondo in tutte le rimanenti gare. Il pentatlo fu introdotto nella 18a Olimpiade (708 a.C).

Il salto, il lancio del giavellotto e il lancio del disco erano gare soltanto del pentatlo, mentre la corsa a piedi e la lotta si svolgevano anche come gare singole con un loro proprio premio. Il vincitore del pentatlo è ritenuto da Aristotele come «il migliore dei Greci». Resta ignoto il modo della designazione del vincitore del pentatlo. 

Il salto - Si svolgeva nello Stadio nello skamma (una fossa rettangolare), lungo 50 piedi (16 m), pieno di sabbia. In un lato c'era il batér (sorta di pedana) su cui poggiavano i piedi gli atleti prima di saltare. Dopo il salto veniva collocato il semeion (piccolo segno) e veniva misurata la prestazione con il kanon (un'asta di legno). Per gli atleti che superavano lo skamma fu coniata la frase "saltate al di sopra delle fosse", ancora oggi usata in senso metaforico.

Durante l'esecuzione del salto gli atleti, onde assicurarsi una migliore prestazione, usavano gli halteres (manubri), pesi di pietra o di piombo. Gli halteres erano di vari tipi e, a seconda della loro forma, si distinguono in ellissoidali, a doppia punta rotonda e i bilanciati, soprattutto però in lunghi e sferici. Quelli conservatisi pesano 1.610, 1.480 o 2.018 o anche 4.629 grammi. I più pesanti erano ex voto. A seconda della loro costituzione fisica i saltatori usavano gli halteres, senza però che il loro uso fosse obbligatorio. Gli atleti se ne servivano anche per esercitare le braccia, le mani e le dita.

Il salto era semplice, ma dal momento che sono riportate prestazioni di atleti fino a 16,66 m, poteva essere doppio o anche triplo. Lo svolgimento dell'esercizio avveniva con l'accompagnamento del flauto, giacché la musica aiutava il saltatore ad acquistare ritmo nei suoi movimenti. Un saltatore leggendario fu Faillo di Crotone, che ottenne una prestazione di 55 piedi (16,28 m); Chioni il Lacedemone (664 a.C.) riuscì a saltare 52 piedi (16,66 m).

Sui vasi qui esposti sono raffigurati saltatori durante l'esecuzione della gara.

Tra gli halteres degno di nota è quello litico di Acmatide con l'iscrizione votiva (fine del VI sec. a.C). L'unità è completata da una base iscritta di pietra scura, che si riferisce alla vittoria di Pitocle, vincitore nel pentatlo.

Il lancio del disco - In Omero il disco era chiamato solos (un peso che, legato con una correggia, veniva lanciato, come l'odierno martello). Ad Olimpia fu introdotto nel 632 a.C. come gara del pentatlo. I dischi in origine erano di pietra, successivamente di bronzo, di piombo o di ferro. Quelli conservatisi hanno un diametro da 0,17 a 0,35 m ed un peso da 1.300 a 6.600 grammi. I più grandi erano ex voto. Sui dischi, oltre ad iscrizioni, venivano incise anche raffigurazione, di solito di atleti, o erano scritti odi e trattati, come quello della tregua sacra.

La tecnica della gara non differiva molto da quella odierna. Nel punto del lancio del disco venivano collocati dei paletti o dei chiodi e successivamente la lunghezza del lancio veniva misurata con un'asta o una corda. Gli atleti usavano tutti lo stesso disco nelle gare. Pausania riporta che ad Olimpia nel Tesoro di Sicione erano custoditi 3 dischi ufficiali per la gara del pentatlo.

Grandi discoboli furono Faillo di Crotone (con una prestazione di 96 piedi, cioè 28,10 m) e Flegia di Pisa, che lanciava il disco nel punto più largo del letto dell'Alfeo, da una riva all'altra.

I  dischi in bronzo qui esposti provengono da Olimpia. Il grande disco in bronzo, con iscrizioni su entrarne le facce, è un ex voto di Poplio Asclepiade, vincitore del pentatlo, che data al 241 d.C. Scene di lanciateri del disco si conservano anche su vasi.  

Il lancio del giavellotto - La gara deriva dalla caccia e dalla guerra. Il lancio del giavellotto era di due tipi: l'ekebolos akontismòs, lancio del giavellotto per la distanza, e lo stochastikòs akontismòs, lancio su un bersaglio prestabilito. Ad Olimpia una delle gare del pentatlo era l'ekebolos.

Il giavellotto (apotomeus) era un'asta di legno lunga 1,50-2 m, appuntita ad una estremità. Nello stochastikòs akontismòs era usato un giavellotto con punta metallica. Nel centro di gravita del giavellotto, una correggia di cuoio, l'ankyle, formava un "cappio", nel quale l'atleta passava l'indice e il medio. La tecnica del lancio del giavellotto non differisce da quella attuale.

Nell'unità tematica del lancio del giavellotto sono esposte quattro punte bronzee di lance di età arcaica, e una lekythos attica a figure rosse con raffigurazione di un lanciatore del giavellotto mentre si allena (V sec. a.C).

La corsa - Era la più antica e più importante gara dei Giochi Olimpici. Il vincitore dello stadion dava il suo nome all'Olimpiade.

Ideatori della gara sono ritenuti Eracle Ideo ed i Cureti, il famoso eroe Eracle, ecc. Gli atleti correvano a piedi nudi e in origine indossavano un perizoma. Secondo la tradizione, nella 15a Olimpiade (720 a.C.) Orsippo di Megara, mentre correva, lasciò cadere il perizoma e continuò la corsa nudo. Orsippo vinse e da allora fu stabilito che gli atleti gareggiassero nudi. Famosi corridori furono Leonida di Rodi, che vinse in quattro Olimpiadi successive (154a-157a, 164-152 a.C), Ermogene di Xanto, ed altri.

Nei Giochi Olimpici c'erano i seguenti tipi di corsa:

Lo stadion: corsa di velocità di uno stadio (600 piedi = 192,27 m), che corrisponde all'odierna corsa dei 200 m. Il vincitore era chiamato stadionikes. Il primo vincitore dello stadion ad Olimpia fu l'eleo Corebo. Fino alla 13a Olimpiade (728 a.C.) lo stadion era l'unica gara dei giochi.

Il diaulos: corsa di velocità con doppio percorso dello stadio (1.200 piedi), che corrisponde all'odierna corsa dei 400 m. Il diaulos fu introdotto nella 14a Olimpiade (724 a.C).

Il dolichos: corsa di resistenza da 7 a 24 stadi. Nella maggior parte dei casi la distanza era fissata in 20 stadi, cioè 3.550-3.800 m. La gara fu introdotta nella 15a Olimpiade (720 a.C.) ed il primo vincitore fu il lacone Acanto.  

L'oplites: gara di velocità da 2 a 4 stadi (di solito 2), nella quale l'atleta correva indossando la sua armatura difensiva (elmo, schinieri, scudo). Fu introdotta nel 520 a.C. (65a Olimpiade). La corsa in armi in origine verosimilmente era un gioco funebre in onore di un eroe morto.

L'ippios: corsa di semiresistenza di 4 stadi, che non era una gara olimpica, ma era compresa nei Giochi Istmici, Nemei e nelle Panatenee.

Nell'unità della corsa sono esposti vasi a figure nere (lekythoi, crateri e anfore) del VI sec. a.C. che raffigurano corridori. Altre opere che completano l'unità sono: una statua di atleta proveniente dall'antica Messene (copia), un ritratto di atleta da Corinto, parte di un'aphesis litica dello Stadio arcaico di Olimpia, e due piedistalli, che costituivano posti d'onore: uno era del prosseno lacedemone Gorgo e l'altro di Eufanio.

La lotta - Quali ideatori di questo sport sono ritenuti Ermes, Teseo nella sua lotta con Cercione, Eracle quando vince i giganti Anteo, Acheloo,Tritone e vari mostri, come pure Palestra, figlia di Ermes.

Nei Giochi Olimpici la lotta fu introdotta nella 18a Olimpiade (708 a.C). Dal 632 a.C. (37a Olimpiade) iniziò anche la lotta per ragazzi.

C'erano due tipi di lotta: la lotta in piedi e la lotta a terra. Nella prima era sufficiente che il lottatore gettasse a terra l'avversario tre volte. Nella seconda, dopo la caduta, la gara continuava fino a quando uno dei due avversari era costretto a riconoscere la sua sconfitta facendo il gesto dell' "apagoreueim". Le coppie degli avversari (da 5 a 8) venivano stabilite con sorteggio.

Gli atleti della lotta gareggiavano nudi, con il corpo cosparso di olio, in una fossa. Varie raffigurazioni su vasi e statuine in bronzo di lottatori ci danno particolari sullo svolgimento di questo sport. Famosi lottatori furono Milone di Crotone che vinse 6 volte nei Giochi Olimpici, 7 nei Pitici, 9 nei Nemei e 10 negli Istmici; lo spartano Ippostene con 6 vittorie nei Giochi Olimpici, ed altri atleti.

Su una delle fasce decorative di un manico in bronzo di scudo (VI sec. a.C.) qui esposto, c'è una rappresentazione di lottatori. È interessante anche il gruppo in bronzo di lottatori, di età romana, proveniente dall'Egitto. Si conserva anche la base con un solo piede di una statua in bronzo del lottatore e pancraziaste Capro (fine de, III sec. a.C). In questa unità è esposta anche la pietra di 143,5 chili che Bibone sollevò con una mano, come informa, l'iscrizione scolpita su di essa.  

Il pugilato - Secondo la mitologia inventore del pugilato fu Apollo, ma sono riportati anche Eracle,Teseo ed altri eroi. Protettore di questo sport, comunque, è ritenuto Apollo.

La gara fu introdotta nella 23a Olimpiade (688 a.C); quella per i ragazzi nella 41a (616 a.C). Gli avversari lottavano fino a quando uno dei due cadeva privo di sensi o riconosceva la sua sconfitta. Le coppie dei pugili venivano stabilite a sorteggio.

Gli atleti durante lo svolgimento della gara portavano sulle mani gli himantes, noti già dall'età micenea. Omero riporta che erano strisce di sottile pelle di bue, che i pugili avvolgevano sulle mani. Successivamente, sulla prima falange aggiunsero strisce di pelle dura con della lana nella parte interna (sphairaì). Dal IV sec. a.C. fìno alla fine del II sec. d.C. i pugili invece di legare gli bimantes, portavano una specie di guanto. In età romana prevalse il coestus, guantone da pugilato rinforzato con ferro e piombo.

Tra i più rinomati pugili dell'antichità era Diagora di Rodi, padre di Callipatira, soprannominato «euthymaches», perché non si voltava nell'affrontare gli avversari.

Nei vasi qui esposti sono raffigurate scene di pugili. Caratteristica è la kylix del pittore di Heidelberg proveniente dall'Antica Corinto (560 a.C.) e l'anfora attica a figure nere proveniente da Tanagra (500 a.C). L'unità è completata da manici di scudi con raffigurazioni di pugili, da basi iscritte di pugili olimpionici, come quella di Eutimo di Locri (472 a.C.) e Cinisco (metà del V sec. a.C), provenienti dall'Altis, e da una testa di statua di un atleta proveniente da Rodi (inizi del III sec. a.C).

Il pancrazio - Tra gli sport più spettacolari dei giochi, il pancrazio è una combinazione di pugilato e lotta. Secondo la tradizione, Teseo fu il primo ad abbinare il pugilato e la lotta per uccidere il Minotauro. Ad Olimpia fu introdotto nella 33a Olimpiade (648 a.C).

Il pancrazio era distinto in ano o orthonstanden pankration (gli atleti gareggiavano in piedi) e in kato pankration (gli avversari cadevano e continuavano a terra). Nell'allenamento gli atleti si esercitavano di solito nell'orthostonden; nei giochi gareggiavano nel kato pankration. I pancraziasti dovevano abbinare contemporaneamente le qualità dei lottatori e dei pugili. Lo sport aveva regole severe.

Rinomati pancraziati furono Ligdami di Siracusa (primo olimpionco nel pancrazio nel 648 a.C), Sostrato di Sicione, Dorieo ed Eucle (rispettivamente figlio e nipote di Diagora di Rodi), Pulidamante di Scotusa, ed altri atleti.

Delle numerosissime statue di pancraziasti nell'Altis si sono conservate solo poche basi. Abbiamo le basi delle statue del pancraziaste Callia (472 a.C.) e del grande pancraziaste Pulidamante (2a metà del IV sec. a.C), quest'ultima opera del famoso scultore di Sicione, Lisippo, sulla quale sono rappresentate in rilievo alcune delle imprese del grande atleta.

Da Figalia proviene un kouros che rappresenta il pancraziaste Arrachione, che nel momento in cui moriva fu proclamato vincitore poiché l'avversario aveva nel frattempo riconosciuto la propria sconfitta.

Al 340 a.C. circa data la testa di vincitore, probabilmente nel pancrazio. La bocca semiaperta, la testa girata ed anche gli occhi, posti profondamente nelle orbite, sono chiare influenze delle scuole di Scopa e Lisippo.

I Giochi si concludevano con la corsa in armi. Pausania riporta che nel tempio di Zeus ad Olimpia erano custoditi 25 scudi di bronzo che venivano distribuiti ai corridori per l'esecuzione della gara.

In questa unità sono esposti schinieri, elmi e scudi di età arcaica. Tra gli scudi notevole è quello votivo con la decorazione romboidale, proveniente dall'Altis (VI sec. a.C); su un frammento di una lekythos a figure rosse si conserva la figura di un atleta della corsa in armi. Nella sala è esposta anche una base di statua a forma di astragalo, proveniente da Olimpia. La statua rappresentava «Kairos», opera di Policleto il Vecchio (V sec. a.C).

La statua maschile nuda, che si conserva per metà e che rappresenta Ermes o un uomo eroizzato, data all'età dei Giulio-Claudi.  

Sala 7 - I Vincitori dei Giochi. Il premio dei Giochi, che erano «stephanites», era una corona fatta con un ramo di olivo selvatico, il kotinos, un sommo onore che gli dèi donavano agli uomini. Secondo la tradizione, il kotìnos, quale «atathlos» dei Giochi, fu istituito da Ifito a seguito di un vaticinio dell'oracolo di Delfi. I rami per le corone dei vincitori provenivano dalla «kallistephanos elaia» che spuntava vicino all'angolo sud-orientale del tempio di Zeus. Un «pais amphithalés» (un ragazzo che aveva entrambi i genitori), con forbici d'oro tagliava i rami. Le corone venivano quindi poste sulla tavola crisoelefantina di Colote, che veniva trasportata nel tempio di Zeus. Da lì venivano prese dagli Ellanodici per incoronare i vincitori, che arrivavano al tempio ornati con i simboli della vittoria (una benda di lana color porpora legata sulla testa e nella mano un ramo di palma), mentre gli spettatori li cospargevano di fiori e foglie. Incalcolabile è l'importanza etica della vittoria ad Olimpia. L'olimpionico era l'eletto degli dèi. La sua fama eterna era la ricompensa suprema. Queste vittorie venivano inneggiate da grandi poeti: Simonide, Bacchilide e, il più famoso di tutti, Pindaro. 

Nell'unità dedicata alla vittoria degli atleti sono esposti: un rilievo votivo in marmo (410 a.C.) con rappresentazione della Vittoria che incorona un atleta; due statue fittili della Vittoria, conservatesi frammentarie, provenienti dall'Altis; parte di un pavimento musivo che raffigura la Vittoria che incorona l'Agòn personificato (parte sinistra della sala).

Sorprendente è la raffigurazione di una quadriga guidata dalla Vittoria su un cratere a calice a figure rosse (370-360 a.C). Sono esposti anche diversi vasi con raffigurazioni della Vittoria, una statuina fittile di atleta incoronato ed anche un frammento bronzeo di rilievo con figura della Vittoria proveniente dall'Altis. La tavola di Colote, di legno, oro e avorio, sulla quale venivano poste le corone prima dell'incoronazione, era custodita nell'Heraion. La tavola non si è conservata, ma oltre alla preziosa descrizione di Pausania, è raffigurata sul verso di una moneta del 133 d.C. di Olimpia, il cui retto reca una protome di Addano. In iscrizioni su lamine di bronzo sono riportati i nomi di vincitori dei Giochi, come su un frammento di lamina proveniente dall'Altis, dove è annotata la vittoria di Ergotele (vetrina a destra).

Al centro della sala è esposto un modello di gesso in scala della Nike di Peonio, realizzato nel 1919 dallo scultore Michalis Tobros in bronzo, su incarico di Eleftherios Venizelos, per essere offerto al gran maresciallo francese Louis-Francais d'Esperé.  

Sala 8 - Premi ex voto. Gli onori di cui godeva l'olimpionico, quando ritornava nella sua città, erano notevoli. Veniva demolita parte delle mura per far passare il vincitore con la sua quadriga, dal momento che una città che aveva dato i natali ad un olimpionico, non aveva più bisogno di mura. Quindi il vincitore offriva un sacrificio al dio protettore della città, al quale dedicava la sua corona; seguiva quindi un solenne banchetto a cui partecipavano tutti i cittadini.

Altri privilegi che acquisivano i vincitori erano l'alimentazione a vita a spese pubbliche, l'esenzione dalle tasse, la loro partecipazione nella boulé; ad Atene, Solone aveva istituito anche un premio in denaro. A Sparta il vincitore acquisiva il diritto di combattere accanto al re. Nelle manifestazioni pubbliche l'olimpionico aveva sempre un posto d'onore e il suo nome veniva riportato su stele.

In alcune città gli olimpionici venivano adorati dopo la morte come eroi (eroizzazione). Gli onori più importanti, però, erano l'epinicio, l'inno che veniva composto per esaltare la loro vittoria, ed il diritto di collocare la loro statua nel sacro Altis. Pausania riporta la presenza di 230 statue nel Santuario di Olimpia. Questi onori supremi assicuravano la gloria dell'olimpionico e la sua immortalità nei secoli. Nel IV sec. a.C. Ippia completò il catalogo degli olimpionici servendosi degli archivi del Santuario. In seguito il catalogo fu completato da altri. Oggi conosciamo i nomi di 922 vincitori dei Giochi Olimpici.

In questa sala sono esposti piedi bronzei di tripodi, anse decorative di lebeti, di età geometrica, una ricostruzione di un lebete di bronzo. Sul pavimento della sala c'è una copia di un mosaico proveniente da Patrasso, dove sono raffigurate gare atletiche, musicali, poetiche e drammatiche (fine del II-inizi del III sec. d.C). Ritrovamenti degli scavi di Olimpia, provenienti da kotinoi votivi di atleti sono le foglie, i rami e i frutti di oliva in bronzo, di varie dimensioni, che dimostrano la somma importanza del kotinos, simbolo indissolubilmente legato all'ideale olimpico, quale supremo premio dell'agone degli atleti.

Sala 9

A. Gli spettatori dei Giochi. Dagli estremi confini del mondo greco antico arrivavano ad Olimpia migliaia di pellegrini per assistere ai Giochi. Le città inviavano le loro delegazioni ufficiali, le Theories, con a capo Varchitheoròs. Tutti alloggiavano in tende disposte lungo i due fiumi, l'Alfeo e il Cladeo, o sotto gli alberi.

Illustri retori (Gorgia, Lisia, Demostene, Isocrate), filosofi (Anassagora, Socrate, Platone, Aristotele), storici (Erodoto), politici, scultori e bronzisti (Policleto, Lisippo) ed altri si recavano ad Olimpia per seguire i Giochi, ma anche per presentare le proprie opere. Talete di Mileto, uno dei 7 saggi dell'antica Grecia, emanò l'ultimo respiro nello Stadio, mentre assisteva ai Giochi. Temistocle fu acclamato quando entrò nello Stadio, dopo la vittoria dei Greci sui Persiani a Salamina (480 a.C), dagli spettatori che cessarono di applaudire gli atleti. Isocrate sviluppò ad Olimpia la sua «idea panellenica».  

B. Età ellenistica e romana. Durante l'età ellenistica i Giochi acquistano un carattere maggiormente mondano e fa la sua apparizione l'atletismo professionistico. In età romana inizia la decadenza dei Giochi. Nel II sec. d.C, quando viene concesso il diritto della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'impero, i Giochi acquistano un carattere ultranazionale, che si è conservato anche dopo la loro rinascita. Sovrani e imperatori mirano alla vittoria olimpica, al fine di mettersi in evidenza e di consolidare il loro prestigio; in ricordo della loro vittoria coniano anche monete. Oltre a Filippo II di Macedonia, vengono incoronati vincitori gli imperatori Tiberio nella gara con le quadrighe (4 a.C), Germanico (17 d.C.) e Nerone nella 211a Olimpiade come vincitore in 6 gare, dopo aver costretto i suoi avversari a ritirarsi. Nonostante i continui colpi ricevuti, i Giochi si svolgono fino al 393 d.C, quando vengono aboliti da un editto di Teodosio I. L'ultimo olimpionico conosciuto è l'ateniese Zopyros (385 d.C).

In questa sala sono esposti una testa di marmo di Alessandro, proveniente da Alphiousa (zona di Olimpia); una statua dell'imperatore romano Claudio (41-54 d.C); una statua di un frequentatore di palestra di età romana, ritenuta da molti una statua di Antinoo; un ritratto di Nerone.

In una piccola vetrina sono esposte monete, tra le quali si notano uno statere d'oro di Filippo II, re di Macedonia, e un tetradrammo d'argento di Siracusa.

Giochi panellenici - In zone in cui durante il periodo miceneo si svolgevano giochi locali in onore di qualche eroe morto, si svilupparono i grandi Santuari panellenici, dove venivano celebrati i Giochi Panellenici in onore di una divinità. I giochi funebri dell'età preistorica acquistano un carattere puramente religioso e l'atletismo diventa una parte inscindibile dell'istruzione dei Greci. Nei Santuari Panellenici (Olimpia, Delfi, Nemea, Istmia), già dalI'VIII sec. a.C, personaggi storici riorganizzano i Giochi. L'unità dei Greci come ethnos acquisisce un'enorme importanza nei Giochi Panellenici, dove, uniti, acquistano una comune coscienza nazionale. Le due ultime sale del Museo sono dedicate ai rimanenti Giochi Panellenici, con reperti provenienti da vari musei greci.  

Sala 10 - I Giochi Pitici. A Delfi, centro di culto di Apollo, venivano organizzati i Giochi Pitici. Secondo la tradizione, il loro fondatore fu lo stesso Apollo, che istituì i giochi quando uccise il terribile drago Pitone. I più antichi Giochi Pitici venivano celebrati ogni otto anni ed erano solo musicali. La prima riorganizzazione, dopo la prima guerra sacra nel 582 a.C, è attribuita al tiranno di Sicione, Clistene. Furono allora aggiunte gare ginniche ed anche ippiche sul modello dei Giochi Olimpici. 

Dopo la loro riorganizzazione, i Giochi Pitici divennero quinquennali, si svolgevano cioè ogni quattro anni, nel mese di Bucazio (agosto - settembre). Il premio era una corona di alloro, l'albero sacro di Apollo.

Con l'annuncio dei Giochi Pitici iniziava anche la sacra Pythiàs, che durava un anno. Durante questo periodo era vietato a tutti i Greci di catturare o di derubare i theoroi o i fedeli.

I giochi furono aboliti nel 393 d.C. con l'editto di Teodosio il Grande.

I reperti esposti nella sala dei Giochi Pitici sono: un'olpe a figure nere con raffigurazione di Apollo (510-500 a.C), proveniente da Camiro (Rodi); una statuina di kouros proveniente da Delfi (530-520 a.C); l'orlo iscritto di un lebete di bronzo, che costituiva un premio di giochi e che fu offerto nel Santuario delfico (530-520 a.C); due basi litiche iscritte di statue.

Sala 11

A. I  Giochi  Istmici. Nel Santuario di Poseidone all'Istmo venivano celebrati ogni due anni, alla fine di aprile, i terzi per importanza Giochi Panellenici in onore di Poseidone: i Giochi Istmici. La riorganizzazione di questi giochi sul modello di quelli Olimpici avvenne nel 582 a.C. Oltre alle gare ginniche ed ippiche, si svolgevano anche la «amilla neon», vale a dire una specie di canottaggio, gare musicali ed anche concorsi di pittura. Il premio per i vincitori era una corona di pino e, successivamente, di sedano. I giochi venivano organizzati dai Corinzi fino al I sec. a.C. Dopo la distruzione di Corinto ad opera dei Romani nel 146 a.C, il Santuario di Poseidone venne abbandonato ed i giochi furono trasferiti a Sicione.

Dal Santuario di Poseidone ad Istmia provengono uno strigile di ferro del IV sec. a.C, un haltér (manubrio) di pietra e uno di piombo (età ellenistica e VI sec. a.C. rispettivamente) e una copia di una statuina di bronzo di Poseidone proveniente da Pella, di età ellenistica (parte sinistra della sala).  

B.  I Giochi Nemei. Nel Santuario di Zeus a Nemea, in onore del dio si svolgevano i Giochi Nemei. La tradizione riporta come fondatore dei giochi Eracle, che dopo la sua prima impresa a Nemea, organizzò giochi. Secondo però le fonti scritte, i Giochi Nemei furono istituiti nel 573 a.C. in onore di Zeus.

I giochi si svolgevano ogni due anni e fino alla fine del V sec. a.C. venivano celebrati a Nemea. Dopo la distruzione del tempio di Zeus, però, si svolsero ad Argo, fino al 330 a.C. Dal 145 a.C. il romano Mummio riportò i giochi a Nemea. Le gare erano: lo stadion (corsa breve), il dolichos (corsa lunga), il diaulos (corsa doppia), la lotta, il pancrazio, il pentatlo, la corsa in armi, gara ippica e corsa dei carri. In età ellenistica furono aggiunti anche concorsi musicali. Il premio era una corona di sedano selvatico.

A Nemea è stato scoperto uno degli Stadi antichi meglio conservati, del IV sec. a.C, con uno dei lati brevi curvo (sphendone); si conserva anche il sistema dell'aphesis (linea di partenza).

Tra i reperti esposti di questa unità risalta il rilievo con gesta di Eracle: il leone di Nemea, l'Idra di Lerna e Cerbero, del II sec. d.C, proveniente dall'antico demo di Acarne in Attica (parte destra della sala).

C. Le Panatenee. Oltre ai grandi Giochi Panellenici, in diverse città erano stati istituiti giochi locali nell'ambito di manifestazioni religiose. Nei giochi locali il premio era un oggetto di valore, come corone d'oro, tripodi di bronzo o anche prodotti naturali locali (ad es. olio), come pure compensi in natura.

I più importanti giochi locali erano le Panatenee ad Atene, distinte in Piccole e Grandi, che venivano celebrate in onore di Athena. Le gare erano le note gare olimpiche, ma anche altre, come la lampadedromia (corsa con le fiaccole), il canottaggio e concorsi musicali. Nell'unità del Museo per le Panatenee domina la figura della dea Athena, sia come promachos (combattente) su un rilievo proveniente dall'Acropoli (500 a.C), sia seduta su in frammento di rilievo con decreto, proveniente sempre dall'Acropoli (fine del V-inizi del IV sec. a.C), come pure su imponenti anfore panatenee, premi dei vincitori nelle Panatenee. Rappresentativamente nella sala sono esposte tre anfore panatenee (provengono da Eretria, Olynthos e Rheneia). Ad Atene venivano celebrati anche giochi in onore di Dioniso, le Oscoforie, le Tesee in onore di Teseo e le Eraclee in onore di Eracle. In età ellenistica in molte città greche furono organizzati giochi locali sul modello di quelli Olimpici.  

  Agosto 2013

Fonti:
Olimpia e, il sito archeologico e i musei - Olympia Vikatou

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