Acropoli di Atene
Grecia
  

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1986

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Versante Nord e Sud dell'Acropoli

Sulla pendice nord dell’Acropoli si stabilirono i primi abitanti di Atene e nelle grotte della zona si svilupparono i più antichi culti della città.

La sorgente, che nella preistoria costituì il centro del primo abitato, nel V sec. a.C. fu trasformata in fontana e rimase nota come Clepsidra (18). Ad Est della Clepsidra tre aperture a grotta ospitavano i culti di Apollo Ypoakraios (che è adorato alle estremità delle rocce, 19), di Zeus Olimpio (20) e del dio con i piedi di capra Pan (21). Più ad Est c’era il santuario di Afrodite ed Eros (22), che attraverso un passaggio segreto comunicava con la Casa delle Arrefore sull’Acropoli.

Vicino alla Clepsidra si incrociavano due strade: la via delle Panatenee (23) e il cosiddetto Peripatos (24). La prima partiva dalla porta del Dipylon nel Ceramico e attraverso l’Agorà arrivava fino ai Propilei. Come rivela il suo nome, era la strada che percorreva la processione delle Panatenee. Il Peripatos costeggiava l’Acropoli perimetralmente e finiva all’Odeion di Erode Attico (38).

Un’altra strada passava inoltre dal versante sud dell’Acropoli, la via dei Tripodi. Partiva dal Prytaneion nell’Agorà e terminava al Teatro di Dioniso (27). Il suo nome è dovuto al gran numero di monumenti coregici con tripodi che ornavano i suoi lati.

I tripodi, i premi cioè dei coregi vincitori nelle gare drammatiche, dovevano essere collocati sopra una base ed eretti in un qualche punto della città. I piedistalli dei tripodi potevano essere semplici o monumentali a seconda della generosità dei coregi. Particolarmente monumentale era il monumento coregico di Lisicrate sulla via dei Tripodi, che si conserva ancora oggi. Fu dedicato nel 334 a.C. e disponeva di una base composita: sopra un piedistallo quadrato, che finiva in tre gradini, poggiava un monumento cilindrico. Il tripode poggiava su questo grazie ad un capitello corinzio.

Il versante sud dell’Acropoli, già dal VI sec. a.C., costituiva il centro spirituale di Atene quando Pisistrato portò da Eleutherai di Beozia il culto di Dioniso. Fu allora fondato il temenos di Dioniso Eleuthereus che comprendeva un tempietto con lo xóanon del dio (25). Nel IV sec. a.C. furono costruiti una stoà a Nord (26) ed un nuovo tempio (27) che ospitava la statua crisoelefantina di Dioniso, opera dello scultore Alkamenes.

A Nord del temenos Pisistrato aveva adattato uno spazio circolare per l’esecuzione di una danza cultuale in onore di Dioniso. In quel luogo nel V sec. a.C. fu costruito il Teatro di Dioniso (28), che in origine era in struttura lignea. Nel IV sec. a.C. vennero aggiunti sedili litici e una scena fissa, che ha subito notevoli trasformazioni nel corso dei secoli. Il teatro fu distrutto due volte, da Siila nell’86 a.C. e dagli Eruli nel 267 d.C., e ricostruito.

Nel V sec. d.C. vi fu costruita una chiesa cristiana. Il teatro di Dioniso è il primo teatro del mondo ed il luogo in cui furono rappresentate per la prima volta le opere dei grandi drammaturghi antichi. 

Ad Est del Teatro di Dioniso nel 447-442 a.C. fu costruito il celebre Odeion di Pericle (29), destinato a concorsi musicali. Lo spazio interno era strutturato attorno ad una parte centrale con l’aiuto di colonne disposte a raggi. Sulle colonne poggiava un tetto a forma di piramide che, secondo la tradizione, era un’imitazione della tenda del re persiano Serse. L’Odeion fu incendiato al tempo dell’invasione di Siila nell’86 a.C. e fu ricostruito nel 61 a.C. dal re di Cappadocia Ariobarzane II. Fu distrutto completamente dagli Eruli nel 267 d.C.

Dietro il Teatro di Dioniso, nel 319 a.C., fu collocato il monumento coregico di Trasillo (30): come base del tripode fu usata una cavità della rocca, che venne tagliata e chiusa con due porte marmoree. Due colonne corinzie più in alto rispetto al monumento di Trasillo (31), costituivano ugualmente basi di tripodi coregici.

A Nord-Ovest del santuario di Dioniso si sono conservate pochissime vestigia del monumento coregico di Nicia (32), a forma di tempio, dedicato nel 319 a.C. I suoi elementi architettonici, dopo l’incursione degli Eruli del 267 d.C., furono murati nella porta Beulé.

Ad Ovest del Teatro di Dioniso c’era il santuario di Asclepio. Asclepio, divinità-medico, prestava le cure agli ammalati col metodo dell’incubatio. Il suo culto fu portato ad Atene nel 420 a.C. da un privato cittadino di nome Telemaco. Furono allora costruiti un tempio con le statue di Asclepio e di sua figlia Igea (33), un altare (34), una stoà-enkoimeterion (35) e un ambiente che comprendeva un pozzo circolare ove gettare i resti sacri del sacrificio (36). Successivamente al complesso vennero aggiunti altri due portici. Vicino all’Asklepieion c’era acqua sorgiva, elemento indispensabile per i riti che vi si svolgevano.

Ad Ovest dell’Asklepieion c’erano la fonte di Leucippe, un tempietto di Themis e l’Ippolyteion, un heroon dedicato al figlio di Teseo, Ippolito.  

Più a Sud fu costruita la stoà di Eumene (37), a due piani, per agevolare gli spettatori del Teatro di Dioniso in caso di mal tempo. Era dono del re di Pergamo Eumene II (II sec.a.C.) e disponeva di un colonnato dorico sulla facciata e di uno ionico all’interno. Attraverso una scala sul lato est comunicava con il Peripatos che passava a Nord ad un livello più alto.

La stoà di Eumene collegava il Teatro di Dioniso con l’Odeion di Erode Attico (38). Il celebre Odeion era un dono di Erode, originario di Maratona in Attica, fatto in memoria della moglie Regilla. Erode, erede di un grande patrimonio, mise a disposizione notevoli somme di denaro per la costruzione di edifici pubblici in tutta la Grecia. Nell’Odeion, realizzato tra il 160 ed il 174 d.C., venivano eseguiti concorsi musicali e drammatici. Era ad anfiteatro, secondo i modelli romani, ed aveva una capienza di 5.000 posti. I suoi muri erano rivestiti di marmo e i pavimenti lastricati con marmo e con mosaici. In marmo furono realizzati anche i sedili degli spettatori; la facciata a tre piani della scena era riccamente decorata con colonne e nicchie. Il retto doveva essere in legno di cedro, Oggi l'Erodion è stato restaurato e nei mesi estivi viene utilizzato per manifestazioni artistiche.

Teatro antico (Teatro di Dioniso)

Il teatro di Dioniso fu il teatro più importante del mondo greco nel V e IV secolo a.C. e venne utilizzato dai più significativi autori greci (Eschilo, Sofocle ed Euripide per la tragedia, Aristofane e Menandro per la commedia) per mettere in scena le loro opere. Venne costruito agli inizi del V secolo a.C. a ridosso del santuario di Dioniso. Accanto all'ingresso sorgeva l'Odeo di Pericle.

Secondo i pochi documenti storici noti, pare che quando ad Atene cominciarono le rappresentazioni teatrali (attorno al 534 a.C., secondo il Marmor Parium), esse avvenissero nell'agorà. Tra la fine del VI e l'inizio del V secolo a.C., però, si verificò un incidente: il crollo delle impalcature (ikria) dove sedevano gli spettatori. Si decise allora di spostare le rappresentazioni in un luogo ad esse dedicato, che venne identificato sulle pendici meridionali dell'acropoli, presso il santuario di Dioniso. Sfruttando il naturale pendio dell'Acropoli stessa, in un imprecisato anno all'inizio del V secolo a.C. fu costruito il teatro.

Una delle più importanti conquiste di Atene fu la concezione del senso teatrale, un’espressione artistica che sopravvisse nei secoli e venne diffusa in ogni angolo della terra. Nell’Atene antica si formarono per la prima volta le condizioni da cui nacque il teatro, sia come istituzione sia come edificio.

Le sue radici si trovano nelle antiche manifestazioni cultuali in onore del dio Dioniso, figlio di Zeus e della mortale Semele. Dio del vino e protettore della fecondità e della vegetazione, Dioniso fu adorato inizialmente in zone rurali a partire dalla Tracia o dalla Frigia. Suoi seguaci erano le Menadi (Ninfe che allevarono il dio) ed i Satiri con piedi di capro, che arrivando all’ebbrezza danzavano in estasi e offrivano agli uomini un senso di libertà illimitata.

Il culto di Dioniso fu portato ad Atene da Eleutherai di Beozia al tempo di Pisistrato (VI sec.a.C.). Gli Ateniesi adottarono fin dall’inizio le cerimonie orgiastiche che accompagnavano il dio. Prima nell’Agorà e poi nel santuario di Dioniso venne strutturato uno spazio per l’esecuzione di una danza cultuale, il ditirambo (danza ciclica), durante cui i fedeli mascherati da Satiri (capri) cantavano e danzavano in onore del loro giovane dio. Dal gruppo presto si distinse “capo del coro” che dava inizio al canto che veniva continuato dai rimanenti. Questa evoluzione costituì il primo nucleo della tragedia greca artica (tragon odé, canto dei capri). Attraverso una serie di cambiamenti i canti corali si arricchirono di movimenti imitativi, la metrica e il dialogo. Per la prima volta, alla metà del VI sec. a.C., Tespi del demos attico di Icaria presentò un attore, cioè un personaggio che non apparteneva alla danza corale ma che conversava con essa. Lo stesso poeta istituì anche la maschera teatrale.

Nel V sec. a.C. il teatro ormai nella sua forma definitiva raggiunse il suo culmine e coltivò tre forme di dramma: la tragedia, la commedia e la satira (in questa coesiste l’elemento serio con quello allegro). Gradualmente il contenuto delle opere cessò di avere un carattere religioso ma le rappresentazioni venivano eseguite sempre durante le feste di Dioniso, le Lenee e soprattutto le Grandi Dionisie. Le Lenee venivano celebrate in inverno e duravano due giorni: vi concorrevano due poeti tragici con due tragedie ciascuno e cinque commediografi con cinque commedie in totale. Le Grandi Dionisie, che acquisirono fama panellenica, venivano celebrate in primavera e duravano una settimana. All’inizio venivano presentate cinque commedie, mentre negli ultimi tre giorni concorrevano tre poeti tragici, ciascunocon una tetralogia (tre tragedie ed una satira).

Un ruolo importante nell’organizzazione delle rappresentazioni avevano i coregi, ricchi cittadini ateniesi che si assumevano le spese per l’istruzione ed i costumi dei danzatori. L’istituzione della coregia era obbligatoria e costituiva una specie di tassazione indiretta, dato che i coregi pagavano somme enormi. Gli altri partecipanti ai concorsi drammatici erano i poeti, gli interpreti (sempre uomini, anche nei ruoli femminili), i danzatori, i musici, i maestri del coro ed i giudici.

I poeti scrivevano il testo e la musica delle opere, si assumevano la messa in scena e per un certo periodo interpretavano i ruoli di protagonista. Tra i poeti del V sec. a.C. i tragici Eschilo, Sofocle, Euripide ed il comico Aristofane crearono opere uniche, che continuano a commuovere per la contemporaneità e l’universalità dei loro messaggi. Il Teatro di Dioniso, dove venivano presentate le rappresentazioni teatrali, era un luogo di insegnamento e di istruzione. In questo clima si inserisce anche l’istituzione dei biglietti gratuiti da parte di Pericle (theorikà).

Al tempo dei più grandi autori teatrali dell'antica Grecia, il teatro era formato da una orchestra del diametro di 25 metri, in cui recitavano gli attori e il coro. Probabilmente non esisteva un palcoscenico riservato agli attori, sicché questi ultimi e il coro erano sullo stesso livello e interagivano tra loro. Alle spalle degli attori stava la skené, ossia alcuni pannelli di legno dove era rappresentato un paesaggio o un palazzo (l'ambientazione dell'opera). All'orchestra si accedeva tramite due corridoi laterali (detti parodoi o eisodoi) e tramite una porta centrale, situata nel centro della skené.

Nella direzione opposta, dall'orchestra si dipartivano le gradinate per il pubblico, in forma semicircolare, formate da sedili in legno che seguivano la naturale pendenza del terreno, sicché gli spettatori (eccetto quelli seduti in prima fila) avevano una visuale dall'alto. Pare che il teatro di Dioniso potesse arrivare a contenere anche 15.000 spettatori.

Da qualche parte ai margini dell'orchestra (secondo alcuni in cima alla skené) era situato il theologeion, una pedana rialzata, solitamente usata per l'apparizione degli dei. Erano inoltre presenti la mechanè, una sorta di  che permetteva di sollevare da terra l'attore, simulando il volo, e l'ekkyklema, una piattaforma con delle ruote che poteva essere manovrata e ruotata per scoprire l'interno dell'edificio scenico.

In questo secolo, e in quello successivo, il teatro di Dioniso fu senz'altro il più importante dell'intero mondo greco, poiché tutti i più grandi autori del tempo vi mettevano in scena i loro drammi.  

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In un periodo collocabile tra la fine del V secolo a.C. ed il 330 a.C., il teatro assunse gradualmente la seguente fisionomia: venne introdotto il palcoscenico, rialzato rispetto all'orchestra e ad essa collegato tramite alcuni gradini. Sul palcoscenico agivano gli attori, mentre l'orchestra, più in basso, era riservata al coro. Vennero inoltre costruite gradinate di pietra in sostituzione delle precedenti di legno, suddivise in settori corrispondenti al censo e alla nobiltà degli spettatori. Il posto centrale della prima gradinata, un sedile di marmo riccamente decorato, era riservato al sacerdote di Dioniso.  

Il teatro di Dioniso venne utilizzato almeno fino al periodo dell'impero romano (ed è a questo periodo che risale la maggior parte delle rovine oggi visibili), ma in seguito cadde in disuso, al punto da essere sepolto dal terreno e dalla vegetazione. Dal periodo bizantino, l'intero complesso era completamente distrutto. Venne riportato alla luce grazie agli scavi dell'archeologo Wilhelm Dörpfeld, condotti tra il 1882 ed il 1895.  

Odeion di Erode Attico

Tra il teatro di Dioniso e l’Odeion si estende la Stoà di Eumene II, re di Pergamo, costruita nel II sec. a.C. da questo grande ammiratore di Atene, per servire da riparo agli spettatori del teatro in caso di maltempo e come luogo di passeggio. Era lunga 164 m e assomigliava alla Stoà di Attalo nell’Agorà.  

L'odeion di Erode Attico è un piccolo teatro in pietra situato sul pendio meridionale dell'Acropoli di Atene, originariamente coperto e pensato per esecuzioni musicali. Costruito a partire dal 161 e completato prima del 174, fu fatto erigere dal ricchissimo politico e sofista greco Erode Attico in memoria della moglie Appia Annia Regilla.

Erode Attico era un nobile ateniese del demo di Maratona, vissuto nel II sec. d.C. Fu un importante retore e maestro di molti sofisti e di molte personalità della sua epoca, tra cui l’imperatore Marco Aurelio. Tra i numerosi monumenti e opere di utilità pubblica che costruì in tutta la Grecia c’è anche l’Odeion, un teatro coperto destinato a manifestazioni musicali.

Originariamente si trattava di un anfiteatro in pendenza, la cui scena misurava 35 m di larghezza, con un muro frontale in pietra e il pavimento in legno. Era protetto da una copertura in legno. Veniva utilizzato come luogo di ritrovo per concerti musicali. I gradini, disposti su 32 file, potevano contenere 5000 persone.

È una delle varie opere commemorative che Erode Attico fece costruire per ricordare la moglie Regilla, uccisa da un liberto forse per suo stesso ordine. Si trattava di un teatro coperto per ospitare esecuzioni musicali. I lavori durarono una decina di anni, perché questo odéon era già terminato nel 174, quando Pausania lo vide e lo descrisse nella sua Guida. In molti mattoni dell'imponente costruzione si trovano incise le lettere ΘHΡ, a significare forse «Teatro di Erode e Regilla», ma potrebbero essere  semplicemente i marchi di fabbrica degli artigiani.

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Il teatro fu distrutto nel 267, in seguito all'invasione degli Eruli. Il 7 dicembre del 1887, un gruppo di studenti dell’Università di Atene in onore della Regina Olga di Grecia e al suo cospetto, si esibiscono in Antigone di Sofocle. Il coro è composto da quindici elementi che declama i versi dell’antico testo Sofocle “selon la musique de Mendelssohn”.

La scena è lunga 35,40 m; l’orchestra (diam. 18,80 m) è rivestita con lastre bianche e nere di marmo di Caristo e la cavea (con 32 file di sedili) ha una capienza di circa 5.000 spettatori. Il tetto era in legno di cedro. La facciata era a tre piani con aperture ad arco. La cavea è stata ricostruita con marmo pentelico e ogni estate si riempie di spettatori che assistono a rappresentazioni del dramma antico, concerti, balletti e opere liriche, nell’ambito del Festival di Atene.  

Negli anni cinquanta vennero restaurati l'uditorio e l'"orchestra" (l'attuale palcoscenico), utilizzando marmo bianco e cipollino. Da allora il teatro è sempre stato uno dei maggiori auditorium del Festival Ateniese, che si svolge ogni anno da giugno a settembre. L'Odéon ha ospitato Maria Callas, Jonas Kaufmann, Maurice Béjart, Mikīs Theodōrakīs, Dionysis Savvopoulos, Maria Dragoni e molti altri importanti artisti. Nel settembre 1993, il teatro è stato scena del concerto Yanni Live at the Acropolis, ad opera del pianista e compositore greco Yannis Hrysomallis. Altra memorabile performance fu data, nel 1984, dalla cantante Greca Nana Mouskouri, di ritorno sulle scene del proprio Paese dopo vent'anni di assenza.

Agorà antica (Agorà romana - Biblioteca di Adriano)

L'agorà (raduno, raccolgo) era nella Grecia antica un luogo assolutamente indispensabile per il funzionamento e l’organizzazione delle città. Costituiva il centro politico ed amministrativo e concentrava le attività sociali, commerciali e religiose. L’ideale dell’epoca classica, secondo cui il cittadino doveva partecipare efficacemente alla vita pubblica, trovava la sua espressione migliore nel nucleo della città, l’agorà.

L’Agorà antica di Atene si estendeva a Nord-Ovest dell’Acropoli ed era delimitata a Sud dalla collina dell’Areopago e ad Ovest da quella di Kolonòs Agoràios. Il sito archeologico si trova oggi nella zona di Monastiraki.

La frequentazione nel luogo dell’Agorà ateniese risale agli inizi del Neolitico. Nell’Età del Bronzo e fino al periodo geometrico la zona servì soprattutto da necropoli e, intorno al 700 a.C., fu di nuovo concessa per uso abitativo.

Le funzioni pubbliche venivano esercitate inizialmente nella parte occidentale dell’Acropoli e solo nel VI sec. a.C. si svilupparono gradualmente nello spazio dell’Agorà classica.

Agli inizi del VI sec. a.C. nell’Agorà si riuniva l’Ekklesia del Demos e venivano celebrati i ditirambi in onore di Dioniso; successivamente queste attività vennero trasferite rispettivamente sulla Pnice e nel Teatro di Dioniso.

Il tiranno Pisistrato costruì nell’Agorà il suo palazzo e realizzò uno Stadio per l’esecuzione dei giochi Panatenaici. Dall’Agorà passava tra l’altro la via Panatenaica, parti della quale si conservano ancora oggi. A Pisistrato è dovuta anche la costruzione di una fontana, la cosiddetta Enneakrounos (dai nove zampilli), situata nella parte sud-orientale (fontana sudorientale). Pisistrato il Giovane, nipote del tiranno, eresse, nel 522/1 a.C., un altare per il culto dei Dodici Dèi, che era circondato da balaustre con rappresentazioni a rilievo. In periodi successivi questo altare servì da rifugio per i perseguitati e da punto di riferimento per la misurazione delle distanze della città. Con l’Agorà è in relazione anche una vicenda che scosse la società ateniese. Vicino al Leokoreion (santuario delle Leocori, figlie dell’eroe attico Leos, sacrificate per la salvezza di Atene) fu assassinato nel 514 a.C. Ipparco, figlio di Pisistrato, durante le Panatenee. Gli assassini, Armodio e Aristogitone, furono glorificati dagli Ateniesi quali liberatori. Intorno al 500 a.C. lo scultore Antenore eseguì le loro statue che furono erette nell’Agorà e che vennero sottratte dai Persiani nel 480 a.C. Nel 477 a.C. altri due scultori, Kritios e Nesiotes, eressero due nuove statue; molto tempo dopo, Alessandro Magno riportò dalla Persia le vecchie opere di Antenore.

Con l’instaurazione della democrazia da parte di Clistene nel 508 a.C., l’Agorà acquisì definitivamente un carattere politico. Alla fine del VI sec. a.C. a Sud-Ovest dell’Agorà venne strutturato un peribolo (cortile aperto) come sede del tribunale dell’Eliea. In seguito, nel IV sec.a.C., accanto all’Eliea fu costruito un orologio idraulico, la Clepsidra, che era in rapporto con il funzionamento dei tribunali. Al tempo di Clistene il palazzo di Pisistrato venne usato per il ristoro dei Pritani, consiglieri con potere esecutivo e legislativo (Prytanikón). 

Da quest’epoca in poi una serie di edifici pubblici venne a concentrasi sull’asse occidentale dell’Agorà. A Nord del Prytanikón fu costruito il cosiddetto Vecchio Bouleuterion, sede della Boulé dei 500, corpo con competenze amministrative. Alla fine del V sec. a.C. fu sostituito da un nuovo edificio (Nuovo Bouleuterion) e il suo uso venne limitato alla custodia degli archivi di Stato e al culto della Madre degli Dèi, Rea. All'interno di esso era stata posta la statua di quella divinità, opera dello scultore Agorakritos. Alla fine del VI sec.a.C. all’estremità nord-occidentale dell’Agorà fu costruita la Stoà Basileios, sede dell’arconte-re. L’arconte-re organizzava le grandi feste della città e giudicava alcuni tipi di omicidi. Davanti alla costruzione fu mantenuta una pietra rettangolare su cui l’arconte-re prestava il suo giuramento. All’interno della Stoà Basileios furono custodite per molti secoli le leggi di Solone e di Draconte.

Nel 480 a.C. l’invasione persiana provocò molti danni nella zona. Nei decenni successivi furono eretti, su iniziativa di Cimone, nuovi edifici. Intorno al 460 a.C. fu costruita la Stoà Poikile (Pecile), l’edificio più settentrionale dell’Agorà (oggi fuori del sito archeologico recintato). Il suo nome è dovuto al fatto che era ornata con composizioni di grandi pittori, come Polignoto e Paneno. 

Questa stoà, luogo di refrigerio, serviva contemporaneamente anche per sedute di alcuni tribunali. Dal III sec. a.C. fu sede dei filosofi stoici, che proprio da questa presero il loro nome (stoici).

Nel 470-460 a.C., sulle rovine dell’antico Prytakinón, fu costruita la Tholos: una costruzione circolare con tetto conico, sorretto all’interno da sei colonne. Fu usata come sede e luogo di ristoro dei Pritani e per la custodia dei pesi e delle misure, del sigillo e dell’estia della città. Fu più volle ristrutturata e in epoca romana acquisì un propylon monumentale. 

Cimone è dovuta anche la costruzione di un tempio monumentale sulla collina di Agoraios Kolonós (450 a.C. - 421/415 a.C.), dedicato ad Efesto e ad Athena Ergane, protettori della ceramica e dell’arte dei metalli. L'Hēphaistêion o tempio di Efesto è uno dei templi dorici meglio conservati al mondo, pur essendo meno noto del vicino Partenone. Il tempio è conosciuto anche come Thēsêion perché ritenuto erroneamente in epoca bizantina, e anche da alcuni studiosi dell'Ottocento, il luogo di sepoltura di Teseo.

Il tempio è posto sull'altura che domina il lato occidentale dell'agorà, nota come Kolonos Agoraios e, contrariamente a quanto accade spesso per gli edifici di culto antichi, non sembra aver sostituito un qualche tempio precedente.

Si tratta di un tempio lungo 39,44 metri e largo 16,90 con trentaquattro colonne (sei frontali e tredici di lato): è un edificio periptero, esastilo, con tredici colonne sui lati lunghi (secondo la proporzione canonica del tempio dorico che pone sui lati lunghi le colonne in numero doppio più uno rispetto alla fronte). La cella è distila in antis, con il pronao più profondo rispetto all'opistodomo. All'interno la cella vera e propria dovrebbe avere avuto un doppio colonnato interno che correva sui due lati lunghi e sul fondo, facendo da quinta scenica per il gruppo delle due statue di culto di Atena ed Efesto eseguite da Alkamenes tra il 421 e il 415, come testimoniato dai rendiconti epigrafici delle spese per la realizzazione del gruppo in bronzo, su una base di calcare di Eleusi e rilievi in marmo.

Dopo essere stato costruito verso la metà del V secolo a.C. come tempio di Efesto, esso viene nel VII secolo d.C. convertito in chiesa cristiana dedicata alla memoria di San Giorgio. Questo processo di rifunzionalizzazione porta le prime e più grandi modifiche: l'orientamento del tempio viene invertito, il pronao viene rivoluzionato mediante l'abbattimento della parete divisoria tra pronao e cella e l'occlusione dell'apertura tra le ante con un'abside, la rimozione delle due colonne in antis e loro sostituzione con un muro trasversale nel quale è ricavato un grande arco a tutto sesto la cui luce corrispondeva quasi completamente con la larghezza del pronao. Inoltre il muro divisorio tra la cella e l'opistodomo viene forato da un grande portale, che diventa l'ingresso principale della nuova chiesa. È pure a questo periodo che dobbiamo probabilmente ascrivere la intenzionale distruzione delle teste di tutte le figure umane, ma solo di quelle presenti sulle metope e sui fregi scolpiti.

Nel corso del Medioevo si susseguono nuovi rimaneggiamenti. Nel XII secolo viene tamponato il portale principale, e viene invece aperta una più modesta apertura sul lato meridionale della cella. Viene inoltre eretta una grande volta a botte in concreto, con mattoni e alcune delle formelle di marmo dei lacunari reimpiegate, che copre lo spazio della cella e del pronao del tempio classico. Nel frattempo nella chiesa vengono anche alloggiate delle sepolture, come era allora in uso: ventisei nel peristilio, cinque nel nartece (quello che era l'opistodomo) e ventidue nella navata della chiesa.

Con l'occupazione turca la chiesa continua a mantenere la sua funzione di edificio di culto cristiano, forse anche grazie alla sua posizione al di fuori della città. L'unico rischio in tal senso lo corse nel 1660, quando solo un ordine diretto da Costantinopoli poté fermare una distruzione a quanto pare già intrapresa dai turchi per farne una moschea.

Ma nonostante ciò il deperimento e la trasformazione continuano: infatti nel corso dei secoli il pavimento di marmo subisce continue spoliazioni, vuoi a causa della escavazione delle tombe, vuoi per semplice depredamento. Almeno parte del pavimento nella parte est del peristilio doveva ancora essere presente nel 1751, quando Stuart e Revett annotano la presenza di una linea che corre in senso N-S, incisa sulle lastre della pavimentazione. Nel 1770 è testimoniata una incursione di Albanesi, seguita da una guerra nel 1785 e una carestia nel 1800, tutti fatti ricordati dalle iscrizioni graffite sulle colonne della peristasi.

Nel frattempo diviene una chiesa protestante e nel suo interno sono poste le tombe di alcuni viaggiatori europei (soprattutto anglosassoni) e di caduti per l'indipendenza greca, tra cui due giovani italiani di Novara, Giuseppe Tosi di 16 anni e Carlo Serassi di 18 anni (23 aprile 1819).

Durante il periodo della guerra di indipendenza greca l'edificio cambia ancora destinazione per essere sfruttato come stalla della cavalleria ottomana. In seguito all'indipendenza, dopo un breve ritorno alla funzione sacra per celebrarvi un solenne Te Deum di ringraziamento per l'arrivo e poi l'incoronazione di Ottone di Baviera, il Theseion diventa sede espositiva delle raccolte di antichità in attesa che venga costruito il Museo Nazionale.

Attualmente, il tempio è classificato come sito archeologico dal ministero della cultura ellenico.

Le metope, dieci sulla fronte, e ventiquattro sulla parte orientale di ognuno dei lati lunghi, rappresentano rispettivamente le fatiche di Eracle e le imprese di Teseo. I due eroi sono spesso associati sia nella scultura che nella pittura vascolare di età classica per il fatto che, secondo Plutarco, Teseo voleva essere considerato un secondo Eracle. Lo stile delle sculture, per quello che si può ormai vedere, è molto corposo, con le figure quasi a tutto tondo che si staccano considerevolmente dalla lastra di fondo; i corpi sono resi in modo massiccio e scattante; i pochissimi panneggi non coprono le aree vuote del campo figurativo lasciando vistosi spazi inutilizzati.

I fregi dell'Hephaisteion sono posti sull'architrave del pronao e dell'opistodomo della cella. Il fregio orientale, più lungo di quello occidentale, conta ventitré figure impegnate in una scena di battaglia alla presenza di sei divinità sedute su due gruppi di grosse rocce. L'interpretazione più accreditata al momento, ma non senza contestazioni, dipende dalla lettura della scena centrale del fregio che inquadra una figura maschile nuda, con un mantello che pende da una spalla, che blocca con una sola mano un gruppo di quattro altre robuste figure che gli lanciano contro grossi massi di pietra. Pertanto è stato ipotizzato (H. A. Thompson) che si tratti di Teseo che combatte contro i Pallantidi. Il fregio occidentale invece tratta di una centauromachia di Teseo.

Il rilievo è più basso rispetto alle metope, ma prevale comunque il tuttotondo. Lo stile delle figure è vigoroso e punta alla resa plastica delle masse muscolari contratte dei combattenti, risentendo in questo ancora degli insegnamenti della grande scuola severa di scultura.

Dei frontoni non si sa molto, dal momento che andarono completamente perduti in età post-antica. Forse erano fatti di marmo pario, a differenza delle parti strutturali del tempio che erano realizzate in marmo pentelico. Le scene raffigurate, composte di figure a grandezza naturale, dovevano riguardare Atena (frontone est) e una scena di gigantomachia (frontone ovest).

Il gruppo bronzeo di Atena ed Efesto fu creato dallo scultore Alkamenes, vicino agli ambienti dei conservatori ateniesi guidati da Nicia, tra il 421 e il 416 a.C. come sappiamo dalla datazione dei rendiconti delle spese. Probabilmente venne vista ancora da Pausania nel II secolo d.C. periodo dopo il quale ne perdiamo le tracce. Le due statue erano poste su una base bassa e larga sulla quale era scolpita la narrazione del mito attico della nascita di Erittonio, altro tema - quello dell'autoctonìa - caro ai conservatori ateniesi.

Nel V sec.a.C. nell’Agorà vennero edificati il cosiddetto Strategeion (a Sud-Ovest), sede dei capi militari (strateghi), una stoà (ad Ovest) dedicata a Zeus Eleutherios e la cosiddetta Stoà meridionale I con sale per simposi.

Un’intensa attività edilizia si ebbe nel IV sec. a.C. In questo periodo davanti al Bouleuterion fu costniito il Recinto degli Eroi Eponimi. Sul recinto erano erette le statue degli eroi che avevano dato i loro nomi alle dieci tribù dell’Attica. Alle basi delle statue venivano messi documenti pubblici per l’aggiornamento dei cittadini. Nello stesso periodo nella parte occidentale dell’Agorà furono eretti il tempio ionico di Apollo Patroos e uno più piccolo dedicato a Zeus Fratrios e ad Athena Fratria, protettori delle stirpi o fratrie di Atene. A Sud-Ovest fu costruita un’altra fontana (fontana sud­occidentale).

Fuori dell’Agorà, a Sud-Ovest, c’era un quartiere, densamente abitato specie in epoca classica, che comprendeva anche alcuni edifici pubblici. Uno di questi è stato identificato col Desmoterion, la prigione in cui il filosofo Socrate bevve la cicuta. Nel periodo ellenistico l’Agorà fu ornata con imponenti edifici, doni dei sovrani d’Oriente. Accanto alla Tholos, nel II sec. a.C., fu costruito il cosiddetto Metroon, dove furono trasportati gli archivi di Stato e il culto della Madre degli Dèi, Rea. Nello stesso secolo a Sud dell’Agorà venne strutturata una piazza che era delimitata dalla Stoà di Mezzo, dalla Stoà meridionale II (al posto della Stoà meridionale I) e dal cosiddetto edifìcio est. Più ad Est fu costruita dal re di Pergamo Attalo II (159-138 a.C.) un’altra stoà, che oggi, completamente restaurata, funge da museo archeologico. La Stoà di Attalo aveva un carattere commerciale e sul lato posteriore possedeva una serie di botteghe. Era a due piani e poggiava su colonne ioniche ad eccezione di quelle esterne del pianterreno, che erano doriche.

Dopo l’incursione di Silla dell’86 a.C., i Romani costruirono nuovi edifici e ripararono quanti avevano subito danni. Nel 15 a.C. Agrippa, genero di Augusto, costruì un Odeion nello spazio centrale libero dell’Agorà, che nel II sec.d.C. fu decorato sulla facciata con statue di Tritoni e di Giganti. L’edificio assunse un nuovo aspetto nel V sec.d.C. e prese la denominazione di Ginnasio dei Giganti, molto probabilmente sede di Scuole filosofiche. Al tempo di Augusto (I sec. a.C. - I sec. d.C.) fu trasportato dalla Pnice nell’Agorà l’altare di Zeus Agoraios (IV sec. a.C.) e da Acharnai (Attica) il tempio dorico di Ares (V sec. a.C.). Il trasporto di costruzioni nell’Agorà fu un fatto dopo l’incursione di Silla, dato che molti monumenti erano stati rovinati o distrutti. Con elementi di edifici distrutti dell’Attica furono costruiti tra l’altro due templi non identificati, il cosiddetto tempio sud-occidentale e il tempio nord-orientale.

Nel I sec. a.C. ad Est dell’Agorà antica gli Ateniesi crearono una nuova agorà, la cosiddetta Agorà Romana o Agorà di Cesare ed Augusto; oggi costituisce un sito archeologico a parte: come in epoca romana le due Agorà erano collegate da una strada che partiva dalla Stoà di Aitalo. L’Agorà Romana occupava uno spazio rettangolare circondato da portici ionici con un propylon ad Est ed un secondo, più monumentale, ad Ovest. Il suo carattere era commerciale.

Ad Est dell’Agorà Romana nel I sec. d.C. l’astronomo Andronikos Kyrrhestes (dalla città di Cyrrus in Siria) costruì un orologio idraulico. È noto come Torre dei Venti dal momento che era decorato con le rappresentazioni a rilievo degli otto venti. Questo edificio ottagonale era anche orologio solare, indicatore dei venti e planetario. A breve distanza dall’orologio idraulico si conservano resti di Vespasiani (latrine pubbliche romane) e un edificio che è stato interpretato come Agoranomeion (cancelleria dell’ispettore del mercato). Entrambi datano al I sec. d.C.

A Nord dell’Agorà Romana si trovava la Biblioteca di Adriano,  inaugurata nel 132. È citata da Pausania, che ne ricorda colonne in marmo frigio (pavonazzetto), tetto dorato e decorazioni di alabastro.

L'edificio venne distrutto in occasione del sacco di Atene ad opera degli Eruli, nel 267. Nel V secolo al centro del cortile fu costruito un edificio cristiano a pianta quadriloba, sul quale furono successivamente edificate due chiese (VII e XI-XII secolo). Durante il periodo ottomano divenne la sede del governatore cittadino e vi si insediarono edifici moderni. Fu possibile identificare i resti dell'edificio antico in seguito all'incendio del bazar nel 1885.

La biblioteca di Adriano era costituita da un vasto recinto rettangolare (122 m x 82 m), con accesso sul lato corto occidentale. Su questo lato la facciata era decorata da 14 colonne aggettanti con trabeazione sporgente, in origine probabilmente sormontate da statue; al centro era l'accesso monumentale a quattro colonne.

All'interno era costituita da un vasto quadriportico con un totale di cento colonne, con un bacino d'acqua allungato al centro, che doveva essere circondato da un giardino con statue.

Sul fondo dei portici dei due lati lunghi si aprivano tre esedre per lato, a pianta rettangolare quella al centro e a pianta semicircolare le due laterali: l'apertura di ciascuna esedra aveva due colonne.

Sul fondo del portico, nel lato opposto all'ingresso si aprivano le sale della biblioteca: quella centrale più ampia, aperta sul portico con quattro colonne, presentava le pareti decorate da colonne e due ordini di nicchie per ospitare i volumina (rotoli di papiro). A questa erano affiancate due sale più piccole, aperte sul portico con due colonne, alle spalle delle quali erano ricavate le scale. Alle estremità erano ambienti con gradinate, utilizzati come auditoria.

Oggi si conserva visibile in particolare un tratto della facciata occidentale, con le sette colonne che decoravano la metà destra della parete, rialzate su piedistalli e con trabeazione sporgente. I fusti delle colonne sono in marmo cipollino e gli altri elementi dell'ordine e i blocchi della parete in marmo pentelico. Resta visibile anche una parte dell'ingresso centrale, ad avancorpo sporgente originariamente a quattro colonne, sopraelevate su sette gradini, con fusti scanalati in marmo pavonazzetto.

Un’altra biblioteca era stata costruita nell’Agorà antica intorno al 100 d.C., la Biblioteca di Pantainos. Era un edificio quadrato con peristilio al centro e due portici ionici sulle facciate. Si trovava alla confluenza della via delle Panatenee e della strada che portava all’Agorà Romana. 

A Sud-Est dell’Agorà, Adriano costruì un sontuoso Ninfeo, una fontana dove venivano adorate le Ninfe, decorato con colonne, nicchie e statue. Alla metà del II sec. d.C. data anche la Basilica, un edificio, con funzioni giudiziarie, nella parte settentrionale dell’Agorà.

Notevoli le distruzioni subite dai monumenti dell’Agorà nel 267 d.C. per mano degli Eruli e nel 396 d.C. per mano dei Goti di Alarico. Nel periodo bizantino fu costruita nella parte sud­orientale la chiesa degli Haghi Apostoli (1000 d.C.). Dall’XI secolo fino al 1931, allorquando iniziarono i lavori di scavo, la zona fu usata come spazio abitativo.

Nella restaurata Stoà di Attalo sono custoditi reperti provenienti dall’Agorà Antica.

Nel portico del pianterreno sono esposte sculture classiche, ellenistiche e romane. Di particolare importanza sono: la statua cultuale di Apollo Patroos, opera di Eufranor (IV sec. a.C.), una base di statua, che reca la firma dello scultore Prassitele (IV sec. a.C.); le statue-personificazioni dell’Iliade e dell’Odissea del II sec. d.C.; una statua di Tritone proveniente dall’Odeion di Agrippa (150 d.C.); una statua di Athena di 430 a.C., una statua di Afrodite del II sec.d.C. e una protome di Erodoto, copia del II sec. d.C. 

Museo dell'Agorà antica

Nella sala del pianterreno sono esposti ritrovamenti che datano dal Neolitico fino all’epoca della Dominazione turca. Tra i reperti di età preistorica risaltano una statuetta femminile in marmo del periodo neolitico e una pyxis (cofanetto per la custodia di gioielli) in avorio con rappresentazione in rilievo di grifoni che sbranano cervi. Si possono inoltre vedere: ricostruzioni di tombe e corredi funebri del periodo geometrico; la matrice per una statua bronzea di Apollo (VI sec. a.C.); teste di sculture arcaiche; epigrafi; oggetti relativi all’organizzazione militare e alla vita pubblica (pesi e misure, orologio idraulico, urna per sorteggi, ostraka (cocci) con i nomi di quanti dovevano essere esiliati - ostracismo); un vaso per profumi del periodo arcaico a forma di atleta-vincitore; vasi a figure nere e a figure rosse; un cratere del pittore Exekias; ceramica ellenistica e gioielli; una statuetta romana in avorio di Apollo Lykeios; vasi bizantini ed altri reperti ancora.

Agosto 2013

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