Acropoli di Atene
Grecia
  

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1986

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Partenone (9)  

La storia del Partenone è lunga più di duemila anni e comprende numerose trasformazioni: costruito nel V secolo a.C. come tempio di Atena, durante il periodo bizantino, nel V secolo d.C., fu trasformato in una chiesa cristiana, infatti molte sculture e molti edifici dedicati a divinità pagane vennero distrutti. Nel XV secolo divenne una moschea, nel 1687 fu usato come polveriera e venne in parte distrutto da un colpo di mortaio veneziano; nei secoli successivi gran parte delle sue sculture furono asportate, soprattutto da lord Elgin nel 1801.  

Il primo tentativo di costruire un santuario per Atena Parthenos (cioè Vergine) sul sito dell'attuale Partenone ebbe inizio poco dopo la battaglia di Maratona (circa 490-488 a.C.), su solide fondazioni calcaree che estendevano e livellavano la parte meridionale della cima dell'acropoli. Questo edificio sostituiva l'Hekatompedon e si trovava accanto al tempio arcaico dedicato ad Atena Poliàs. Il vecchio Partenone, spesso indicato come pre-Partenone, era ancora in costruzione quando i Persiani saccheggiarono la città nel 480 a.C., bruciando praticamente ogni edificio sull'acropoli.  

A metà del V secolo a.C., quando l'acropoli ateniese divenne la sede del lega delio-attica e Atene era il più grande centro culturale del suo tempo, Pericle avviò avviò un progetto di costruzione ambizioso destinato a durare per tutta la seconda metà del secolo. Nel corso di tale periodo furono eretti tutti gli edifici più importanti visibili sull'acropoli oggi: oltre al Partenone, i Propilei, l'Eretteo e il tempio di Atena Nike.

Il Partenone fu costruito sotto la supervisione generale dell'artista Fidia, che era incaricato anche della decorazione scultorea. Della progettazione venne incaricato Ictino, uno dei più importanti architetti nell'Atene dell'epoca, secondo Plutarco in collaborazione con Callicrate (forse il direttore del cantiere o l'appaltatore), che lavorò dal 447 al 438 a.C. In base ai registri dei lavori, la decorazione scultorea delle metope doriche sul fregio sopra il colonnato esterno fu realizzata tra il 446 e il 440 a.C. dalla bottega di Fidia. Le decorazioni delle metope e del fregio ionico intorno alla parte superiore delle pareti della cella, vivacemente colorate, furono completate entro il 438 a.C.

L'edificio venne sostanzialmente completato nel 432 a.C., allo scoppio della guerra del Peloponneso, anche se il lavoro sulle decorazioni proseguì almeno fino all'anno successivo. Alcuni dei rendiconti finanziari per il Partenone sono sopravvissuti e mostrano che la maggiore singola voce di spesa fu il trasporto della pietra dal monte Pentelico, circa 16 km da Atene, sull'acropoli. I fondi furono in parte tratti dal tesoro della lega di Delo, che era stato spostato dal santuario panellenico di Delo all'acropoli nel 454 a.C.

Per la cella del Partenone fu scolpita da Fidia la grande statua crisoelefantina di Atena Parthenos, alta circa 12,75 m, dedicata nel 439 o 438 a.C., impiegando circa 1140 kq di oro e riprendendo nelle decorazioni i motivi del fregio dell'edificio. L'interno del tempio e la statua - secondo William Bell Dinsmoor - rimasero danneggiati da un incendio poco prima del 165 a.C., ma furono restaurati.

Nell'inverno del 304 a.C. il re di Macedonia Demetrio I Poliorcete, fermatosi ad Atene, si stabilì nella cella posteriore del Partenone, dicendo che, poiché gli Ateniesi lo avevano dichiarato dio, era diventato il fratello minore di Atena e quindi aveva diritto ad essere ospitato nel tempio di Atena; in quel periodo il Partenone divenne teatro delle sue orge notturne.  

Nel II secolo d.C. Pausania il Periegeta visita Atene e descrive brevemente il Partenone: "Quando entri nel tempio che chiamano Partenone, tutte le sculture nel cosiddetto "frontone" riguardano la nascita di Atena, il soggetto del frontone posteriore dell'edificio è la contesa tra Poseidone e Atena per il territorio di Atene. La statua è fatta di avorio e oro e sta in posizione eretta, vestita di una tunica che le scende fino ai piedi. Sulla testa indossa un elmo elaborato, con al centro una sfinge e grifoni su entrambi i lati, la sua corazza ha invece come emblema centrale la faccia e i riccioli serpentiformi (lavorati in avorio) di una delle sue celebri vittime. Era la gorgone Medusa."

Nella tarda antichità furono distrutti il colonnato interno e il tetto del Partenone, forse in un incendio nella seconda metà del III secolo. In seguito fu eretto un nuovo colonnato interno e per coprire l'edificio venne eretto un tetto di legno (secondo altri in pietra) coperto da tegole d'argilla, che era più inclinato del tetto originale e lasciava esposte le ali dell'edificio. 

Nel 1973 John Travlos sostenne che i danni, dovuti ad unico grande incendio, fossero avvenuti quando gli Eruli saccheggiarono Atene nel 267 e che le riparazioni fossero state effettuate nel 361-363 quando era imperatore Giuliano l'Apostata.

Nel 1979 Alison Frantz replicò che non ci sono prove riguardo all'esistenza di un unico grande incendio, né riguardo alla presa dell'acropoli da parte degli Eruli nel 267; anche l'affermazione secondo la quale la ricostruzione del Partenone sarebbe stata molto difficile subito dopo la partenza degli Eruli è, secondo Frantz, opinabile, dato che poco dopo il regno di Marco Aurelio Probo (276-282) furono costruite delle nuove mura attorno ad Atene e la vita degli abitanti riprese normalmente, come dimostrato da prove sia archeologiche sia scritte. Anche se non si può escludere che gli Eruli abbiano danneggiato il Partenone, risulta difficile pensare che la ricostruzione sia avvenuta addirittura un secolo dopo; altri danni potrebbero essere stati causati nel 396 da Alarico, visto che ci sono prove certe delle sue devastazioni nella città bassa ma sull'acropoli non è stato possibile rintracciare alcun indizio, dato che tutti i resti post-classici su di essa sono stati ripuliti nel XIX secolo.

Alla distruzione del colonnato potrebbero aver contribuito anche il terremoto di Creta del 365, la serie di scosse verificatesi tra il mese di settembre e quello di novembre del 394 e un terremoto del 396 riportato da varie fonti letterarie. Non si può stabilire quali di queste cause abbiano influito e quanto abbiano influito sul Partenone. Se Giuliano avesse messo mano al Partenone, risulterebbe molto strano il silenzio in proposito di tutte le fonti letterarie, sia pagane sia cristiane; inoltre la supposizione che il Partenone fosse chiuso e in rovina sembrerebbe infondata, visto che sia da una lettera dello stesso Giuliano sia dallo scritto anonimo chiamato Expositio totius mundi sembrerebbe che negli anni 350 il Partenone non fosse chiuso. Secondo Frantz non è vero che un tempio pagano avrebbe potuto essere restaurato solo sotto un imperatore pagano quale Giuliano: le autorità locali avevano sempre una certa autonomia, in particolare ad Atene, dove l'Accademia neoplatonica aveva un peso molto forte e le leggi erano spesso ignorate.

In base alle prove archeologiche, Frantz stabilisce che la distruzione del colonnato e del tetto sia avvenuta prima del 450, che poco dopo siano stati rimossi i detriti e che in seguito siano stati ricostruiti prima il colonnato e poi il tetto. Secondo Frantz la ricostruzione avvenne sotto il Prefetto del pretorio dell'Illirico Erculio (407-412), un pagano che portò avanti grandi lavori edilizi in Grecia e specialmente ad Atene, dove restaurò la biblioteca di Adriano; i lavori probabilmente durarono più di cinque anni, ma Erculio potrebbe aver lasciato le direttive e i fondi per continuarli dopo la fine della sua prefettura. Anche se mancano prove certe a sostegno di questa ipotesi di Frantz, un'iscrizione potrebbe suggerire un collegamento tra Erculio, promachos delle leggi, e Atena, Promachos della città di Atene.

Il Partenone sopravvisse come tempio dedicato ad Atena per nove secoli, fino a quando nel 435 Teodosio II decretò la distruzione di tutti i templi pagani dell'impero bizantino e la purificazione delle aree sulle quali sorgevano; Atene però era una città quanto mai refrattaria alla penetrazione del cristianesimo, soprattutto a causa dell'influenza dell'accademia neoplatonica, quindi molti templi pagani non furono distrutti ma trasformati in chiese; il Partenone fu chiuso probabilmente poco prima del 485.

Nello stesso secolo la statua di Atena Parthenos che troneggiava all'interno rimase distrutta da un altro incendio; nel 426 l'altra enorme statua di Fidia, l'Atena Promachos che svettava tra il Partenone e i Propilei, era stata trasportata per ordine dell'imperatore fino a Costantinopoli, dove rimase per secoli fino a quando fu distrutta, forse durante l'assedio di Costantinopoli del 1204 condotto durante la quarta crociata.

Il Partenone fu convertito in una chiesa cristiana negli anni 590 e fu chiamata chiesa di Maria Parthenos (la Vergine Maria) o Maria Theotókos (Maria madre di Dio). Un oracolo del 500 circa riportato nella Teosofia di Tubinga afferma che Apollo stesso aveva predetto che il Partenone sarebbe diventato una chiesa dedicata alla Madonna. L'orientamento dell'edificio fu cambiato per rivolgerlo verso est: fu chiusa l'entrata sul lato est, dove furono posti l'altare e l'iconostasi, adiacenti a un'abside posta dove in precedenza si trovava il pronao; quest'abside venne ricoperta da un mosaico della Vergine con il fondo formato da tessere dorate, secondo l'uso bizantino. Un largo portale centrale con ai lati due porte secondarie fu aperto nel muro che divideva la cella, che divenne la navata della chiesa, dalla camera posteriore, il nartece della chiesa; vennero aperte delle finestre; furono murati gli spazi tra le colonne dell'opistodomo, lasciando un portale centrale e due laterali, e quelli tra le colonne del peristilio, lasciando solo alcuni ingressi. Sui muri furono pitturate delle icone e molte iscrizioni cristiane furono incise sulle colonne. Durante i restauri il gruppo scultoreo centrale del frontone est, raffigurante la nascita di Atena, fu rimosso e distrutto, in quanto non conciliabile con la religione cristiana.

Il Partenone divenne la quarta destinazione più importante di pellegrinaggio cristiano nell'impero bizantino: lo precedevano Costantinopoli, Efeso e Tessalonica. Nel 1018 l'imperatore Basilio II venne in pellegrinaggio ad Atene subito dopo la sua vittoria decisiva sui Bulgari col solo scopo di pregare nel Partenone. Nei resoconti greci medievali il Partenone è chiamato "chiesa della Theotokos Atheniotissa" (Nostra Signora di Atene) e viene spesso notato quanto era famoso; a riprova della sua importanza si può notare la presenza sulle sue colonne di ben 220 iscrizioni lasciate da pellegrini e fedeli databili tra il 600 e il 1200, e certamente molte vennero cancellate dall'erosione e dai danni del 1687. Un altro fattore molto importante da considerare è il fatto che i testi bizantini dell'epoca si soffermano sul Partenone non per le sue reliquie e per la Theotokos, bensì per l'edificio in sé, la principale attrazione di Atene; questo accade solo per un'altra chiesa, la basilica di Santa Sofia di Costantinopoli. Si può affermare che, confrontando le fonti antiche con quelle bizantine, la fama del Partenone fu maggiore nel Medioevo: nell'antichità, infatti, non risulta che ci siano state persone venute ad Atene unicamente per pregare al suo interno e l'attenzione dei visitatori si focalizzava soprattutto sulla statua di Atena.

Il secolo in cui il Partenone ebbe maggiore rilevanza come chiesa fu probabilmente il XII secolo, durante il quale venne istituita una festività in onore della Theotokos, forse annuale; ci fu anche un miracolo: una luce divina all'interno del Partenone, citata da molti autori dell'epoca. Alla fine del secolo divenne vescovo di Atene Michele Coniata, che si lamentò spesso del degrado della città ma elogiò sempre la divina bellezza del Partenone, sua unica consolazione; Coniata si riferisce al Partenone, non alla Theotokos.

All'epoca dell'impero latino il Partenone divenne per circa 250 anni una chiesa cattolica, la chiesa di Maria madre di Dio nel Partenone; nel 1206 fu nominato un nuovo arcivescovo. Durante questo periodo fu costruita una torre nell'angolo sud-ovest della cella, usata come torre di avvistamento e campanile e contenente una scala a chiocciola, e sotto il pavimento furono costruite delle tombe a volta. Alla fine del XIII secolo papa Niccolò IV concesse un'indulgenza a chi andava in pellegrinaggio al Partenone.

Nel 1395 fu redatta la seconda descrizione del Partenone, la prima dopo quella di Pausania: Niccolò da Martoni di Carinola, passato da Atene di ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa tra il 24 e il 25 febbraio di quell'anno, fu affascinato dalla grandezza del Partenone, dalle sculture in marmo, dal numero di colonne (ne contò 60, in realtà erano 58), che paragonò a quelle del duomo di Capua, dai portali (che secondo il suo resoconto erano addirittura quelli che i Greci avevano portato via dalla città di Troia) e soprattutto dal ciborio, un canopo appoggiato a quattro colonne di diaspro.

Nel 1436 fu redatta la terza descrizione del Partenone, la prima disegnata: Ciriaco d'Ancona, passato da Atene il 7 aprile di quell'anno, scrisse: "Ciò che soprattutto meritò la maggiore attenzione era il sovrastare della rocca cittadina, con il suo imponente e meraviglioso tempio marmoreo della divina Pallade, opera anch'essa divina di Fidia. Esso consta di ben cinquantotto colonne del perimetro di sette piedi, ed è da ogni parte ornato con sculture di nobilissima fattura, sull'una e sull'altra fronte, nonché sulla fascia più alta delle pareti. All'esterno, sugli architravi, si può ammirare una battaglia di centauri, prodotto meraviglioso dell'arte dello scultore".

Ciriaco d'Ancona tornò ad Atene nel 1444 e realizzò numerosi disegni del Partenone, ma quasi tutti andarono perduti nell'incendio della biblioteca di Pesaro del 1514; di molti restano delle copie, la maggior parte delle quali realizzate nel 1465 da Giuliano da Sangallo.

Nel 1456 i turchi ottomani invasero Atene e assediarono fino al giugno 1458 un contingente fiorentino che difendeva l'acropoli. I turchi forse restituirono per breve tempo il Partenone ai cristiani ortodossi come chiesa; in seguito, in una data imprecisata successiva al 1466, il Partenone divenne una moschea, che è attestata per la prima volta da uno scrittore anonimo nell'ultima metà del XV secolo.

Le precise circostanze in cui i Turchi trasformarono il Partenone in moschea non sono chiare; un resoconto afferma che Maometto II ordinò la conversione come punizione per un complotto ateniese contro gli ottomani. L'abside divenne il mihrāb, la torre fu alzata e divenne il minareto, fu inserito un minbar, l'altare cristiano e l'iconostasi vennero rimosse e le pareti furono imbiancate per coprire le immagini cristiane.

Nonostante le trasformazioni che subì il Partenone quando fu trasformato prima in chiesa e poi in moschea, la sua struttura era rimasta sostanzialmente intatta. Nel 1667 il viaggiatore turco Evliya Çelebi, che aveva visitato più volte Atene tra il 1630 e il 1650, si meravigliò per le sculture del Partenone e descrisse l'edificio in senso figurato come "una fortezza inespugnabile non creata da mano umana"; compose una supplica in poesia affinché il Partenone, come "opera del cielo stesso più che delle mani dell'uomo, rimanesse in piedi per tutto il tempo".

A partire dagli anni 1670 anche gli stranieri ebbero di nuovo accesso al Partenone. La prima testimonianza è una Relazione sulle antichità di Atene del 18 marzo 1670, redatta probabilmente da un mercante, che scrisse: "all'interno del forte [l'acropoli] s'innalza il nobile tempio della dea Pallade, in un certo qual modo tutto intero, con molte colonne e statue del famoso architetto Fidia". 

Nel 1674 l'ambasciatore francese a Costantinopoli Charles Marie François Olier, dando in cambio al sultano 6 braccia di scarlatto veneziano, riuscì a visitare l'acropoli portando con sé il pittore Jacques Carrey, che in appena due settimane riuscì a rappresentare nei suoi schizzi il piedestallo, il fregio e le metope del lato sud (comprese le 14 metope che scomparvero dopo il 1687).

Nel 1676, pagando due misure di caffè al governatore e una al comandante della guarnigione, riuscirono a raggiungere l'acropoli Jacob Spon, medico francese di Lione e pioniere dell'archeologia, e il naturalista britannico sir George Wheler, che in seguito pubblicarono una delle ultime immagini del Partenone prima della sua distruzione; affascinati dall'edificio, lo descrissero come "l'opera più considerevole della cittadella" (Wheler addirittura come "il più bel pezzo d'antichità del mondo") e ne ammirarono in particolare "i rilievi interi e meravigliosamente decorati" dei frontoni. 

La loro descrizione comprende non solo le parti antiche, ma anche le caratteristiche della moschea dell'epoca: l'ex fonte battesimale era usato per contenere l'acqua riservata alle abluzioni di coloro che entravano nella moschea; era stata ricavata una nicchia nella parete destra in direzione della Mecca, era stato costruito un pulpito per leggere il Corano ed erano stati inseriti quattro armadi a muro chiusi da porte di marmo, i quali contenevano probabilmente libri e arredi sacri. Tutte le decorazioni cristiane erano state intonacate, ma il grande mosaico della Vergine rimaneva visibile, a differenza degli altri.

All'inizio del 1687, al seguito dell'ambasciatore di Francia a Costantinopoli, l'ingegnere Plantier fece un altro schizzo del Partenone per un francese, Laurent Graviers d'Ortières. Si tratta dell'ultima rappresentazione del Partenone prima della sua distruzione: tutti gli schizzi del XVII secolo, in particolare quelli di Carrey, forniscono prove importanti e talvolta uniche delle condizioni del Partenone e delle sue sculture prima dei gravi danni subiti dal 1687 in poi.

Nel 1687 il Partenone subì grandi danni dalla più grande catastrofe della sua lunga storia. La Repubblica di Venezia inviò una spedizione guidata dal futuro doge Francesco Morosini per attaccare Atene e catturare l'acropoli. I turchi fortificarono l'acropoli e usarono il Partenone come polveriera, pur conoscendo i rischi di questo uso (nel 1656 un'esplosione aveva gravemente danneggiato i Propilei, usati appunto come polveriera), e come rifugio per la comunità turca della città. Un resoconto, scritto dal maggiore Sobievolski delle truppe ausiliare dei Luneburghesi, afferma che la sera del 25 settembre un disertore turco aveva rivelato a Morosini l'uso che i turchi facevano del Partenone, aspettandosi che i veneziani non bombardassero un edificio avente una tale importanza storica. Sembra che Morosini abbia risposto dirigendo la sua artiglieria verso il Partenone.

Il 26 settembre, verso le 19, un colpo di mortaio veneziano sparato dalla collina di Filopappo fece saltare in parte l'edificio. L'esplosione fece saltare in aria la porzione centrale dell'edificio e causò lo sgretolamento in macerie dei muri della cella. L'architetto e archeologo greco Kornilia Chatziaslani scrive che "tre dei quattro muri del santuario quasi crollarono e tre quinti delle sculture dei fregi caddero. Probabilmente nessuna parte del tetto rimase al suo posto. Caddero sei colonne sul lato sud, otto sul lato nord, così come tutto ciò che rimaneva del portico orientale, eccetto una colonna. Le colonne portarono giù con loro le enormi architravi di marmo, i triglifi e le metope". Circa trecento persone morirono nell'esplosione, che gettò frammenti di marmo sui difensori turchi posti lì attorno e causò grandi incendi che bruciarono per due giorni e incenerirono molte case.

Nei secoli successivi hanno continuato ad esistere due diverse opinioni tra gli storici: alcuni sostengono che il colpo non fosse intenzionale, altri invece pensano il contrario.

Il 28 settembre ci fu un nuovo bombardamento ai danni dell'acropoli, che distrusse la casa dell'agha e uccise alcune donne, mentre la cavalleria del seraskier, accampata a Tebe, si ritirò alla vista della cavalleria di Otto Wilhelm von Königsmarck, comandante dell'esercito terrestre alleato di Venezia; quella sera i turchi si arresero e consegnarono cinque personaggi eminenti ai veneziani. Il 29 fu firmato un accordo che permetteva ai turchi di lasciare l'acropoli disarmati entro il 4 ottobre portando con sé i propri beni, a patto che si imbarcassero a loro spese per andare a Smirne. Molti turchi fuggirono la notte dal 29 al 30 settembre, mentre la sera del 5 ottobre lasciarono la città tremila turchi, molti dei quali furono rapinati dalle truppe cristiane, mentre ne restarono ad Atene trecento. Atene divenne una città veneziana e le truppe cristiane s'insediarono nell'acropoli; Morosini viene ricoperto di gloria.

Durante l'occupazione di Atene Morosini tentò di saccheggiare le sculture dalle rovine del Partenone, provocando così ulteriori danni: le sculture dei cavalli di Poseidone e Atena caddero a terra e si ruppero mentre i suoi soldati tentavano di staccarle dal basamento dell'edificio. L'anno seguente i veneziani abbandonarono Atene per evitare di affrontare il grande esercito che i turchi avevano messo insieme a Calcide; i veneziani presero in considerazione la possibilità di far saltare i resti del Partenone insieme al resto dell'acropoli per impedire che i turchi la usassero nuovamente come roccaforte, ma il progetto non fu portato a termine per mancanza di tempo, di esplosivi e di soldati per scavare le gallerie di mina. Il 4 aprile 1688 si concluse l'evacuazione di Atene da parte dei veneziani e degli abitanti della città, trasferiti a Salamina, nel Peloponneso e nelle isole Ionie; l'8 aprile lasciò Atene anche Morosini, a bordo della bastarda generalizia.

Dopo avere ripreso l'acropoli, i turchi utilizzarono alcune delle macerie prodotte dall'esplosione per erigere una moschea più piccola dentro il guscio del Partenone in rovina. 

Durante i 150 anni successivi vennero saccheggiati tutti gli oggetti di valore e alcuni pezzi della struttura ancora integra, usati come materiale da costruzione; i blocchi scolpiti erano i più apprezzati, dato che assorbivano meglio il calore quando venivano cotti.  

Il XVIII secolo fu un periodo di stagnazione per gli ottomani; molti europei poterono quindi recarsi ad Atene e le pittoresche rovine del Partenone furono oggetto di molti disegni e dipinti, stimolando il filellenismo e aiutando a far nascere un sentimento di simpatia per l'indipendenza greca in Francia e in Inghilterra. 

Tra i primi viaggiatori e archeologi dell'epoca ci furono James Stuart e Nicholas Revett, che furono incaricati dalla Society of Dilettanti di esaminare le rovine dell'Atene classica; i due produssero i primi disegni del Partenone che ne rispettavano le misure e li pubblicarono nel 1787 all'interno del secondo volume delle Antiquities of Athens Measured and Delineated.  

Nel 1801 l'ambasciatore britannico a Costantinopoli Thomas Bruce, VII conte di Elgin, pur essendo venuto solamente con l'intenzione di studiare le sculture, sotto la supervisione del pittore Giovanni Battista Lusieri rimosse dal Partenone circa 17 statue provenienti dai due frontoni, 15 (in origine erano 92) metope raffiguranti battaglie tra Lapiti e Centauri e 75 metri (in origine erano 160) del fregio interno del tempio ottenne un discutibile editto dal sultano Selim III; si tratta di più della metà di ciò che resta della decorazione dell'acropoli. 

Dal momento che l'Acropoli era ancora una fortezza ottomana, Elgin richiese il permesso di entrare nel sito, che comprendeva il Partenone e gli edifici circostanti; tale autorizzazione venne concessa a lui e agli artisti al suo seguito dal Sultano. Lo scavo e la rimozione furono completati nel 1812, con un costo, sostenuto interamente da Elgin, di 70000 sterline. L'autenticità dell'autorizzazione è stata messa in discussione e i pareri degli studiosi sono contrastanti.

A seguito di un dibattito pubblico in Parlamento e al conseguente scagionamento di Elgin i marmi vennero acquistati dal governo britannico nel 1816 e trasportati al British Museum, dove ora si trovano disposti nella galleria Duveen, costruita appositamente per essi.

Subito dopo aver preso il controllo di Atene (1832), il regno di Grecia intraprese il restauro dell'acropoli, che iniziò nel dicembre 1834. Durante il loro primo sopralluogo i due studiosi tedeschi incaricati dei lavori, Ludwig Ross ed Eduard Schaubert, scoprirono, sotto il pavimento della cella, un deposito di polvere inesploso risalente all'epoca turca. La parte visibile del minareto fu demolita; la sua base e la scala a chiocciola, fino al livello dell'architrave, rimasero invece intatte.  

Tutti gli edifici medievali e ottomani dell'acropoli furono subito distrutti. Tuttavia, l'immagine di una piccola moschea dentro la cella del Partenone è stata preservata nella fotografia del 1839 di Joly de Lotbinière, pubblicata nelle Excursions Daguerriennes di Noël Paymal Lerebours nel 1842: si tratta di un documento di grandissima importanza, la prima fotografia dell'acropoli. L'area divenne un territorio di interesse storico controllato dal governo greco.

La disputa si concentra sui marmi del Partenone rimossi da lord Elgin, che sono conservati al British Museum di Londra. Alcune sculture del Partenone sono al Louvre di Parigi, altre a Copenaghen e in altri luoghi, ma più della metà si trovano custodite al Museo dell'acropoli di Atene. Qualche scultura è ancora visibile sull'edificio stesso.

È dal 1983 che il governo greco tenta di riavere in Grecia le sculture custodite in Inghilterra. Tra i fautori principali del movimento internazionale che perora la causa della restituzione dei marmi alla Grecia vi è la figura dell'artista Melina Merkouri, divenuta ministro della cultura e dello sport del PASOK nel 1981. Il British Museum ha sempre opposto un fermo rifiuto alle pretese greche sulla restituzione delle opere e i governi britannici che si sono succeduti nel tempo non hanno voluto costringere il museo a tale gesto.

Ciononostante, alcuni colloqui diplomatici tra gli alti rappresentanti dei ministeri della cultura greco e britannico e i loro consiglieri legali ebbero luogo a Londra il 4 maggio 2007. Questi furono gli unici negoziati seri per molti anni e si sperava che le due parti potessero giungere a un accordo.

ARCHITETTURA - Il Partenone  è un tempio greco periptero octastilo di ordine dorico, dedicato alla dea Atena.

È il più famoso monumento dell'antica Grecia ed è considerato la migliore realizzazione dell'architettura greca ; le sue sculture sono considerate capolavori dell'arte greca. Il Partenone è un simbolo duraturo dell'antica Grecia e della democrazia ateniese ed è universalmente considerato uno dei più importanti monumenti storici del mondo.

Il nome Partenone si riferisce all'epiteto parthenos della dea Atena, che indica il suo stato di nubile e vergine, nonché al mito della sua creazione, per partenogenesi, dal capo di Zeus. All'interno del Partenone si ergeva la monumentale statua crisoelefantina raffigurante Atena Parthénos e ospitata nella cella orientale.

L'ambizioso progetto del Partenone fu affidato agli architetti Ictino e Callicrate e allo scultore Fidia. I primi dirigevano sul posto i lavori di costruzione, iniziati nel 447 a.C; il secondo, amico personale di Pericle, ebbe l'incarico della supervisione dell'opera e della decorazione scultorea dei frontoni, delle metope e del fregio continuo. I lavori durarono solo dieci anni, un intervallo di tempo veramente incredibile, e il nuovo tempio di Atene fu inaugurato nel 438 a.C, in coincidenza con la festa delle Panatenee, anche se le opere scultoree continuarono fino al 432 a.C. Il tempio fu eretto nel punto più alto dell'Acropoli, affinché fosse visibile da tutta la città e anche dal mare, nello stesso posto del "Partenone II", quello distrutto dai Persiani, e il cui basamento servì da fondamenta.  

Se da lontano catturava irrimediabilmente lo sguardo, da vicino il Partenone offriva una serie di effetti prospettici che gli conferivano un'ineguagliabile elasticità e leggerezza. Il visitatore, una volta attraversati i colossali propilei, si trovava di fronte a una rappresentazione di maestosità e serenità, di eleganza, libertà e bellezza eccezionali. A incorniciare il perimetro del santuario erano otto colonne sulla facciata orientale e occidentale e diciassette sugli altri lati. Dietro il primo colonnato si trovava la cella, il recinto sacro del tempio, o dimora della dea.

Nella sala maggiore, situata a Oriente, si elevava la statua crisoelefantina (in oro e avorio) di Atena Parthenos, la Vergine. La scena risultava di certo impressionante: la luce entrava a fatica nella stanza, ma quella semioscurità altro non faceva che aumentare lo splendore della statua, che riluceva nella penombra. La dea appariva armata e nella mano destra teneva un'immagine della vittoria. Si dice che tra i personaggi rappresentati nella lotta con le amazzoni incisa sullo scudo figurino Fidia e Pericle, e ciò diede il pretesto ai nemici per denunciare lo scultore per empietà e condannarlo all'esilio (437 a.C). La statua andò perduta nel V secolo d.C, quando fu trasportata a Costantinopoli; di essa si conservano solamente piccole riproduzioni e la descrizione dettagliata che ne offre Pausania. La cella non era particolarmente grande e non consentiva la presenza di un gran numero di persone, poiché il culto era celebrato non all'interno del tempio ma sugli altari esterni. L'altra stanza del tempio era ancora più piccola. 

Orientata a Occidente, rappresentava l'autentica dimora della dea, ciò che più propriamente riceveva il nome di Parthènon. Lì erano custoditi gli oggetti preziosi di Atena, insieme con i documenti e i tesori della città. Fonti antiche raccontano che questo luogo sacro e inviolabile finì con il divenire il postribolo del folle sovrano Demetrio Poliorcete alla fine del IV secolo a.C. Il progetto architettonico del Partenone è pervaso dell'ideale di democrazia illuminata dell'Atene di Pericle. Ciascun elemento dell'edificio è collegato all'insieme in una forma tanto compatta ed essenziale quanto flessibile e fragile, senza eccessiva tensione, come parte di una città ideale. L'umanità si riconosce così proiettandosi nell'eternità: ogni struttura architettonica s'integra nell'edificio come l'individuo s'integra nella città, e questa a sua volta nella physis, la natura.  

La dimora di Atena incarnò lo spirito che rese Atene una città unica nel mondo: le sue leggi giuste ed egualitarie garantivano l'armonia degli ordini sociali, la vittoria della ragione civilizzatrice sulla barbarie e l'attività imprenditrice senza frontiere. Ancora oggi, accanto all'ingresso dei Propilei, sono scritte le parole che la dea pronuncia nelle "Eumenidi" di Eschilo: "Vi dono questa legge per l'eternità". Se l'architettura incarna gli ideali ateniesi nello spazio, la decorazione scultorea ne è la pura rappresentazione figurativa. Fidia e i suoi collaboratori si occuparono di realizzare i frontoni, le novantadue metope e il fregio continuo che ricopre le pareti esterne della cella. I rilievi e le statue erano di marmo, cosa insolita in epoca antica, a causa dei costi del materiale e del lavoro richiesto per scolpirlo. L'insieme era policromo, come era usanza all'epoca.

I frontoni raffigurano due scene della vita della dea. Nel frontone orientale è rappresentata la nascita prodigiosa di Atena dalla testa di Giove. La dea vi compare in piedi di fronte a suo padre, esultante, armata di scudo e lancia e con indosso l'egida, la corazza con al centro la terribile testa della Gorgone. Gli dei assistono alla nascita della nuova divinità ed Efesto vi appare nel ruolo della levatrice, avendo aperto la testa di Zeus con un'ascia.

All'estremità sinistra il dio Sole, Helios, compare con il suo carro; in quella destra Selene, la Luna, esce di scena. Una delle teste dei cavalli fu elogiata da Goethe quale esempio dell'arte in grado di superare la natura. In questa rappresentazione, il mito acquista una prospettiva umana: la nascita di Atena, figlia di Zeus e di Metis, l'Intelligenza, è la nascita della stessa Atene pronta per la sua missione civilizzatrice.

Il frontone occidentale presenta una composizione più movimentata. Atena e Poseidone, impugnando rispettivamente la lancia e il tridente, combattono per il possesso dell'Attica. Lui governa sul mare, lei sulla terra, mentre gli altri dei si schierano dall'una o dall'altra parte. Il mito narra che Poseidone avrebbe scagliato il suo tridente sulla terra facendone scaturire un torrente, mentre il colpo della lancia della dea avrebbe fatto nascere un ulivo, albero di civiltà nobile e austero, dai frutti preziosi e simbolo della regione. 

Ancora oggi infatti, sull'Acropoli accanto all'Eretteo, troneggia un ulivo che ricorda quello che, secondo i racconti, riprese a germogliare dopo la sconfitta dei Persiani. Atene aveva esteso il suo primato per mare e per terra: la sua grandezza era tale che gli dei se la contendevano. Oggi si conservano soltanto alcune figure tra le cinquanta che si salvarono dall'esplosione del 1687, ma il busto colossale di Poseidone, ora nel Museo dell'Acropoli, è uno degli esempi più impressionanti della capacità plastica di Fidia.  

Le novantadue metope (gli elementi decorativi del fregio esterno), intagliate in altorilievo, raffiguravano cicli mitologici d'argomento bellico. Sulle facciate minori ne erano presenti 14 e in quelle maggiori 32.

Lungo la facciata orientale venne rappresentata una Gigantomachia, la lotta tra gli dei olimpici e i Giganti, antiche divinità legate alla terra. Su quella occidentale era mostrata una Amazzonomachia, ovvero la guerra tra uomini e amazzoni. Sul lato Nord venne scelto il tema della guerra di Troia, e su quello Sud la Centauromachia, ovvero la lotta dei lapiti, il leggendario popolo della Tessaglia, contro i centauri.

La varietà stilistica di tali opere ha fatto ritenere che nel laboratorio di Fidia lavorassero alcuni dei più importanti scultori successivi, come Alcamene, Agoracrito o Colotes.

Queste scene drammatiche, nelle quali gli umani combattono a rischio della vita contro giganti, amazzoni, barbari e centauri, mostrano il compito civilizzatore degli uomini, la capacità di oppor-si a forze oscure, irrazionali e selvagge attraverso la tattica, la civiltà, l'intelligenza. Atene sottolinea in questo modo il suo protagonismo nella vittoria sui Persiani, non solo sul campo di battaglia ma in quello delle idee, e mostra che tale qualità le deriva direttamente dalla sua protettrice.

Se i frontoni e le metope indicano l'origine, la destinazione e il compito di Atene partendo dall'elemento soprannaturale, nel fregio si raffigura la manifestazione della città, con la processione rituale celebrata ogni anno in occasione della festa delle Panatenee. L'opera presuppose l'influenza innovatrice dello stile ionico. 

Questo genere di fregi continui compaiono, per esempio, a Persepoli (Iran), dove sono rappresentati gli Immortali, i diecimila guerrieri del Grande Re persiano, e nei templi greci della Ionia (Asia Minore), ma non sono una caratteristica dei templi della Grecia continentale. Inoltre, mai fino a quel momento erano stati raffigurati dei mortali in un tempio: qui compaiono cavalieri, artigiani, uomini e donne, giovani e vecchi che portano alla dea i loro doni più preziosi. Ciò che viene esaltato è l'uomo comune e la sua dignità, insieme con il rapporto di protezione che egli ha con gli dei, rappresentati nella parte finale del fregio. Essi trasmettono alla cittadinanza la loro distinzione, la loro autorità morale, la loro benevolenza e quella graziosa semplicità che evoca le parole di Pericle: "Ognuno dei nostri uomini è in grado di svolgere qualsiasi compito con un'abilità e una grazia eccezionali".

UNA GIGANTESCA ILLUSIONE OTTICA - Il Partenone fu costruito assemblando 70 mila pezzi, per un peso complessivo di 20 mila tonnellate. Costò 800 talenti d'argento. Una somma non indifferente: all'epoca un solo talento bastava a pagare lo stipendio mensile a 170 rematori delle navi greche da guerra. Per trasportare le 100 mila tonnellate di marmo grezzo dal monte Pentelico (a 20 chilometri da Atene) in città furono estratti blocchi cilindrici di svariate tonnellate, poi trasportati ad Atene su carri e infine issati lungo le ripide pendici dell'Acropoli. Ognuna delle 46 colonne doriche del tempio, alte 10,4 metri, fu realizzata assemblando undici sezioni cilindriche da 10 tonnellate ciascuna. Ogni sezione veniva assicurata a quella inferiore con la tecnica dell'empolia. Nelle due basi di ogni cilindro venivano inseriti blocchi di legno con un foro che coincideva esattamente col centro della colonna. Un piolo, sempre di legno, univa poi il blocco di un cilindro con quello superiore. Il tutto aveva tolleranze così basse che ogni giunto è rimasto in pratica sigillato per due millenni e mezzo, tanto che quando i restauratori negli anni scorsi hanno staccato due cilindri adiacenti, mettendo in luce i blocchi, hanno potuto sentire il profumo originario del legno, rimasto intrappolato nelle colonne per tutto questo tempo. 

Per unire invece i blocchi di marmo delle altre parti dell'edificio in un'epoca in cui non esisteva il cemento, i Greci usavano giunti di ferro sui quali veniva colato piombo fuso che proteggeva il ferro dalla corrosione e nello stesso tempo fungeva da cuscinetto per assorbire eventuali terremoti. Inoltre, tutte le colonne mostrano un rigonfiamento, detto "èntasi", che ha una duplice funzione: la prima è quella di dare l'illusione dello sforzo delle colonne per sostenere l'edificio, come se fossero muscoli in tensione e il tempio qualcosa di vivente; la seconda di compensare la nota illusione ottica che crea una specie di restringimento al centro delle colonne quando si osserva un colonnato cilindrico. Il Partenone non ha una sola linea retta né un solo angolo a 90 gradi: è una specie di gigantesca illusione ottica affinché l'apparato visivo umano lo percepisca assolutamente perfetto.

Lo stilobate, per esempio, non ha i quattro lati esterni rettilinei, ma incurvati verso l’alto. Infatti, quando osserviamo due rette parallele intersecate da rette convergenti, le parallele sembrano curvarsi verso l’esterno. In assenza di correzioni, così, il basamento di qualsiasi lato del Partenone avrebbe dato l’impressione di sprofondare al centro. Con la curvatura verso l’alto, invece, l’effetto è quello di un basamento perfettamente rettilineo.

Nel corso dei secoli, il Partenone ha subito ogni genere di trasformazione e di riutilizzo e ai nostri giorni è ridotto quasi completamente a delle rovine. Nel V secolo d.C. fu trasformato in chiesa bizantina, perdendo l tetto originale e modificando la struttura interna. I duchi franchi che governarono Atene dal 1208 aggiunsero un campanile accanto all'entrata occidentale, nel tentativo di ricreare una cattedrale cattolia. Sotto la dominazione turca che ebbe inizio nel 1458, gli capitò di divenire una moschea, con l'antico campanile trasformato in minareto. Nonostante questi cambiamenti, nel secolo XVII l'edificio si trovava ancora in buone condizioni. 

Fu un episodio disgraziato durante la guerra tra Turchi e Veneziani a provocare un danno irreparabile. Era l'anno 1687, i Turchi tenevano immagazzinata polvere da sparo nella loro "moschea", che fu raggiunta e colpita proprio da un attacco dell'artiglieria veneziana. Ciò provocò il crollo di quattordici colonne nel peristilio, la distruzione totale dell'interno e innumerevoli danni sulle sculture dei frontoni.

Agli inizi del XIX secolo avvenne un altro tipo di distruzione. Lord Elgin, con l'autorizzazione del sultano turco, fece trasferire in Inghilterra gran parte delle sculture che erano rimaste integre, provocando di conseguenza il crollo del cornicione dei frontoni. Finalmente, dopo il terremoto del 1894, ebbe inizio il restauro del poco che restava in piedi.  

GLI EDIFICI DELL'ACROPOLI - Il ripido altopiano che emerge nel centro di Atene ospitò anticamente palazzi reali e vari templi. Pericle, con il suo progetto architettonico ambizioso, gli diede un aspetto monumentale che ben si adattava all'egemonia della città sul resto della Grecia. L'unione tra la montagna sacra e la polis trovava massima espressione nelle grandi feste civiche, specialmente nella processione annuale delle Panatenee, che percorreva tutta la città lungo la via Panatenaica fino a entrare nell'Acropoli.  

1. La via Panatenaica - Ai piedi dell'Acropoli, era il percorso della processione annuale delle Panatenee. Il gruppo partiva dal quartiere del Ceramico, incrociava l'agorà e fermava la barca di Atena accanto alla fonte Clepsidra.

2. La rampa d'ingresso - Per colmare i 25 metri di dislivello fino alla cima della rupe, venne costruita una rampa larga 20 metri e lunga 80. Era composta da gradini, ma nella parte centrale si provvide a rendere liscio il selciato per il passaggio degli anima

3. Il tempio di Atena Nike - La sua posizione ardita faceva decisamente effetto, benché fosse lungo solo 5 metri e largo altrettanto. Dedicato alla dea della vittoria, il suo fregio riportava scene delle guerre contro i Persiani.

4. Pinacoteca o sala del riposo - L'unica costruzione laterale che fu edificata del progetto originale dei Propilei servì probabilmente come luogo di riposo o di banchetti cerimoniali, ma si ritiene che più tardi venisse adibita a pinacoteca.

5. Il portico dei Propilei - L'ingresso nei luoghi sacri dell'Acropoli avveniva attraverso i Propilei, progettati da Mnesicle e costruiti tra il 437 e il 432 a.C. I lavori restarono incompiuti a causa dello scoppio della guerra del Peloponneso.

6. L'Atena Promachos - Subito dopo aver attraversato i Propilei, la prima cosa che si scorgeva era una statua colossale di Atena Combattente, alta 10 metri (compreso il piedistallo), a di Fidia. Essa venne distrutta in epoca successiva.

7. Il tempio dell'Eretteo - L'Eretteo fu iniziato nel 420 a.C., approfittando di un periodo di pace nella guerra contro gli Spartani. Fu dedicato a Eretteo, primo re di Atene secondo una locale leggenda, figlio della terra e allevato da Atena.

8. Tempio di Atena Parthenos - Il Partenone era concepito per impressionare i visitatori non tanto per le dimensioni, quanto per la qualità dei materiali, per il gioco raffinato di effetti ottici e la grande armonia formale.

UN TRIPUDIO DI COLORI E DI MARMI CANDIDI - Il Partenone non si differenzia dagli altri templi greci per le sue dimensioni, che in effetti non sono particolarmente spettacolari. Lo stilobate (basamento su cui si appoggia il colonnato) di 30,88 metri per 69,50 era modesto in confronto ad alcuni templi di epoca arcaica, soprattutto ionici, che raggiunsero una superficie anche doppia rispetto a esso. È invece la qualità dell'esecuzione a renderlo straordinario. Realizzato in marmo del monte Pentelico, coniugava una bianchezza scintillante alla ricca policromia dei bassorilievi.

1. La sala delle vergini - La seconda stanza del tempio era orientata verso Ovest, e costituiva la vera e propria dimora della dea, o Partenone propriamente detto. Li si custodivano gli oggetti preziosi della dea insieme ai documenti e al tesoro della città di Atene.

2. La grande statua di Atena - All'interno della cella si trovava la colossale statua di Atena Parthenos, alta 12 metri, disegnata di Fidia. L'immagine era realizzata su una struttura di legno, con le parti visibili in avorio, mentre la veste e l'armatura della dea erano d'oro.

3. La cella o naos - Cambiando la tradizione, la cella venne ampliata in larghezza da 12 a 19 metri. All'interno un maestoso colonnato dorico circondava la statua di Atena. La sala era interamente ricoperta da un soffitto di legno. Questa ricostruzione degli ingressi è ipotetica.

4. Il fregio seminascosto - Il fregio interno fu disegnato secondo l'ordine ionico. I suoi 160 metri di lunghezza sono decorati da bassorilievi raffiguranti la gesta elle Panatenee. Esso risultava poco visibile al visitatore, però è fortunatamente una delle parti del tempio meglio conservate.

5. Il pronao o vestibolo - Era la sala che precedeva l'ingresso nel tempio. Delimitata da sei colonne, si ritiene che fosse separata dal peristilio per mezzo di vani chiusi con inferriate. Il soffitto era di marmo a cassettoni dipinti, così come quello dell'opistodomo (parte posteriore del tempio, opposta al pronao).

6. Distribuzione delle colonne - Il numero di colonne del Partenone è superiore a quello del classico tempio dorico. Sui lati minori si trovano otto colonne (ottastilo), anziché le consuete sei. Sui lati lunghi si trovano quindi 17 colonne per rispettare la stessa proporzione (il doppio dei lati corti più una)

7. Scene eroiche nelle metope - Il fregio esterno, che alterna triglifi e metope, segue l'ordine dorico. Le metope rappresentano scene belliche riprese dalla mitologia: la lotta con le amazzoni, la guerra di Troia, il combattimento con i centauri e quello degli dei con i giganti.

8. La copertura del tempio - Il tempio aveva un tetto a due strati, ricoperto di tegole di marmo. Le quattro estremità dei cornicioni terminavano con doccioni dalla testa di leone e sopra ciascun frontone svettavano giganteschi acroteri (elementi ornamentali)

9. Ricerca di effetti ottici - Per accentuare l'impatto visivo del Partenone, Ictino e Callicrate usarono diversi trucchi, come per esempio quello di ribassare gli angoli delle scale alle estremità 0 di ridurre lo spessore delle colonne attraverso un'insinuante curvatura che si mantiene anche nelle metope e nei cornicioni.

10. Il frontone orientale - I due frontoni del tempio contenevano sculture di particolare ricchezza. Quello orientale raffigurava la nascita di Atena e a una delle sue estremità aveva le dee Hestia, Afrodite e Dione. Il colore originario si è ricostruito da alcune tracce rimaste.

IL FREGIO: LA GRANDE FESTA DI ATENA - Il fregio interno che girava intorno al Partenone rappresenta con straordinaria rassomiglianza un momento della vita ateniese nel V secolo a.C: la festa delle Panatenee, celebrata ogni anno il 28° giorno del mese di Ecatombeone (tra luglio e agosto). La festa consisteva in una processione nella quale veniva portato come dono rituale alla dea un manto, il peplo, insieme con varie altre offerte e cento buoi da sacrificare. 

La processione cominciava dal quartiere del Ceramico, quasi alle porte della città, saliva verso l'Acropoli e terminava nel tempio. Era inoltre accompagnata da sfilate di cavalieri e cortei di carri. Il fregio raffigura tutte le fasi della processione in due sequenze parallele che, partendo dal lato occidentale, con il corteo di cavalieri e i carri, avanzano sul lato Nord e Sud per riunirsi nella facciata orientale, dove i pellegrini consegnano le loro offerte sacrificali agli dei. La riproduzione qui accanto deve essere seguita perciò da sinistra verso destra. Il fregio si è potuto ricostruire grazie ai disegni di Jacques Carrey, artista francese del XVII secolo.  

1. La sfilata dei cavalieri - Il fregio settentrionale comincia mostrando 60 cavalieri (sul lato meridionale ce ne sono altrettanti). Alcuni indossano clamide (un corto mantello) e tunica, altri sono quasi nudi; alcuni portano l'elmo e altri un copricapo di origine tracia. Alcune fonti testimoniano la presenza dei cavalieri durante una fase della processione.

2. Il corteo dei carri - Il fregio raffigura anche un corteo di carri tipico del mondo greco. L'auriga guidava il carro fino a che, giunti a un certo punto, il suo accompagnatore (l'apòbates), dotato di armatura, saltava Trinciava a correre fino alla meta. Non sappiamo se il corteo avvenisse in contemporanea con la processione, se la precedesse o se avesse luogo in un altro giorno.

3. Accompagnamento musicale - La musica era un elemento fondamentale nelle cerimonie religiose dell'antica Grecia. Il fregio settentrionale raffigura quattro suonatori di flauto e altrettanti di cetra, mentre sul lato meridionale troviamo dei suonatori di lira. La cetra, una lira di dimensioni più grandi, era lo strumento cerimoniale per eccellenza.

4. Offerte e sacrifici - Davanti ai portatori di brocche d'acqua, destinate ai riti di purificazione, si vedono coloro che portano vassoi (skaphe) ricolmi di miele e dolci. Quasi certamente servivano per attirare verso l'altare del sacrificio gli animali, anch'essi rappresentati nel fregio: tre montoni, una mucca e tre buoi.

5. Le giovani di Atene - La processione prosegue sul fregio orientale, dove compaiono per la prima volta figure femminili. Una fanciulla tiene in mano un sostegno per bruciare l'incenso (thymiterion), mentre un maestro di cerimonie riceve una cesta con le offerte. Compaiono poi quattro figure adulte che conversano, forse personaggi autorevoli della città.

6. Gli dei accolgono la processione - Nella parte centrale centrale del fregio si trovano gli dei. Si distinguono dalla posizione seduta, che permette di rappresentarli in dimensioni più grandi rispetto agli umani. Non a caso il dio più vicino a questi ultimi è Eros. Dietro di lui compaiono, a coppie, Afrodite e Aneroide, Apollo e Poseidone, Efesto e Atena.

7. La scena del peplo - Proprio sopra l'ingresso del tempio si trovava la scena che ha suscitato più discussioni tra gli specialisti. In generale si ritiene che rappresenti il peplo o la tunica che veniva offerta ad Atena alla fine della processione. Dietro compaiono due fanciulle al servizio di Atena Poliade.

8. Il padre dei cieli - Il secondo gruppo di dei era rivolto verso la processione proveniente dal fregio meridionale. Zeus compare adagiato su un seggio particolare. Di fronte a lui Era, dea del matrimonio, solleva il suo velo, e Iris sistema la sua acconciatura. Seguono Ares, Demetra (in atteggiamento triste per il rapimento della figlia Persefone), Ermes e Dioniso.

Fonte: Storica - Jorge Cano Cuenca

Agosto 2013

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