- Partenone
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La
storia del Partenone è lunga più di duemila anni e comprende
numerose trasformazioni: costruito nel V
secolo
a.C. come tempio di Atena, durante il periodo bizantino, nel V
secolo d.C., fu trasformato in una chiesa
cristiana,
infatti molte sculture e molti edifici dedicati a divinità pagane vennero
distrutti. Nel XV secolo divenne una moschea, nel 1687 fu usato come polveriera e venne in parte distrutto da un colpo di mortaio veneziano;
nei secoli successivi gran parte delle sue sculture furono asportate,
soprattutto da lord
Elgin nel 1801.
Il
primo tentativo di costruire un santuario per Atena Parthenos (cioè Vergine) sul sito
dell'attuale Partenone ebbe inizio poco dopo la battaglia
di Maratona (circa
490-488 a.C.), su solide fondazioni calcaree che estendevano e livellavano la parte
meridionale della cima dell'acropoli. Questo edificio sostituiva l'Hekatompedon e si trovava accanto al tempio
arcaico dedicato ad Atena Poliàs. Il vecchio Partenone, spesso indicato come pre-Partenone,
era ancora in costruzione quando i Persiani saccheggiarono la città nel 480
a.C., bruciando praticamente ogni edificio
sull'acropoli.
A
metà del V secolo a.C., quando l'acropoli ateniese divenne la sede del lega
delio-attica e Atene era il più grande centro culturale
del suo tempo, Pericle avviò avviò un progetto di costruzione ambizioso
destinato a durare per tutta la seconda metà del secolo. Nel corso di tale
periodo furono eretti tutti gli edifici più importanti visibili sull'acropoli
oggi: oltre al Partenone, i Propilei, l'Eretteo e il tempio
di Atena Nike.
Il
Partenone fu costruito sotto la supervisione generale dell'artista Fidia, che era incaricato anche della decorazione
scultorea. Della progettazione venne incaricato Ictino, uno dei più importanti architetti nell'Atene
dell'epoca, secondo Plutarco in collaborazione con Callicrate (forse il direttore del cantiere o l'appaltatore), che lavorò dal 447 al 438 a.C. In base
ai registri dei lavori, la decorazione scultorea delle metope doriche sul fregio sopra il colonnato
esterno fu realizzata tra il 446 e il 440 a.C. dalla bottega di Fidia. Le
decorazioni delle metope e del fregio ionico intorno alla parte superiore delle
pareti della cella, vivacemente colorate,
furono completate entro il 438 a.C.
L'edificio
venne sostanzialmente completato nel 432 a.C., allo scoppio della guerra
del Peloponneso,
anche se il lavoro sulle decorazioni proseguì almeno fino all'anno successivo.
Alcuni dei rendiconti finanziari per il Partenone sono sopravvissuti e mostrano
che la maggiore singola voce di spesa fu il trasporto della pietra
dal monte
Pentelico, circa 16 km da Atene, sull'acropoli. I
fondi furono in parte tratti dal tesoro della lega di Delo, che era stato
spostato dal santuario panellenico di Delo all'acropoli nel 454 a.C.
Per
la cella del Partenone fu scolpita da Fidia la grande statua
crisoelefantina di Atena Parthenos,
alta circa 12,75 m, dedicata nel 439 o 438 a.C., impiegando
circa 1140 kq di oro e riprendendo nelle decorazioni i motivi del fregio dell'edificio. L'interno del tempio e la statua - secondo William
Bell Dinsmoor -
rimasero danneggiati da un incendio poco prima del 165 a.C., ma furono
restaurati.
Nell'inverno
del 304
a.C. il re
di Macedonia Demetrio
I Poliorcete,
fermatosi ad Atene, si stabilì nella cella posteriore del Partenone, dicendo
che, poiché gli Ateniesi lo avevano dichiarato dio, era diventato il fratello
minore di Atena e quindi aveva diritto ad essere ospitato nel tempio di Atena;
in quel periodo il Partenone divenne teatro delle sue orge notturne.
Nel II
secolo d.C. Pausania
il Periegeta visita
Atene e descrive brevemente il Partenone:
"Quando
entri nel tempio che chiamano Partenone, tutte le sculture nel cosiddetto
"frontone" riguardano la nascita di Atena, il soggetto del frontone
posteriore dell'edificio è la contesa tra Poseidone e Atena per il territorio
di Atene. La statua è fatta di avorio e oro e sta in posizione eretta, vestita
di una tunica che le scende fino ai piedi. Sulla testa indossa un elmo
elaborato, con al centro una sfinge e grifoni su entrambi i lati, la sua corazza
ha invece come emblema centrale la faccia e i riccioli serpentiformi (lavorati
in avorio) di una delle sue celebri vittime. Era
la gorgone Medusa."
Nella
tarda antichità furono distrutti il colonnato interno e il tetto del Partenone,
forse in un incendio nella seconda metà del III
secolo. In seguito fu eretto un nuovo colonnato
interno e per coprire l'edificio venne eretto un tetto di legno (secondo altri
in pietra) coperto da tegole d'argilla, che era più inclinato del tetto
originale e lasciava esposte le ali dell'edificio .
Nel 1973 John
Travlos sostenne che i danni, dovuti ad unico
grande incendio, fossero avvenuti quando gli Eruli saccheggiarono Atene nel 267 e che le
riparazioni fossero state effettuate nel 361-363 quando era imperatore Giuliano
l'Apostata.
Nel
1979 Alison
Frantz replicò che non ci sono prove riguardo
all'esistenza di un unico grande incendio, né riguardo alla presa dell'acropoli
da parte degli Eruli nel 267; anche l'affermazione secondo la quale la
ricostruzione del Partenone sarebbe stata molto difficile subito dopo la
partenza degli Eruli è, secondo Frantz, opinabile, dato che poco dopo il regno
di Marco
Aurelio Probo (276-282)
furono costruite delle nuove mura attorno ad Atene e la vita degli abitanti
riprese normalmente, come dimostrato da prove sia archeologiche sia scritte. Anche se non si può escludere che gli
Eruli abbiano danneggiato il Partenone, risulta difficile pensare che la
ricostruzione sia avvenuta addirittura un secolo dopo; altri danni potrebbero
essere stati causati nel 396 da Alarico, visto che ci sono prove certe delle sue
devastazioni nella città bassa ma sull'acropoli non è stato possibile
rintracciare alcun indizio, dato che tutti i resti post-classici su di essa sono
stati ripuliti nel XIX secolo.
Alla
distruzione del colonnato potrebbero aver contribuito anche il terremoto
di Creta del 365, la serie di scosse verificatesi tra il mese di
settembre e quello di novembre del 394 e un terremoto del 396 riportato da varie fonti letterarie. Non si può
stabilire quali di queste cause abbiano influito e quanto abbiano influito sul
Partenone. Se Giuliano avesse messo mano al Partenone,
risulterebbe molto strano il silenzio in proposito di tutte le fonti letterarie,
sia pagane sia cristiane; inoltre la supposizione che il Partenone fosse chiuso
e in rovina sembrerebbe infondata, visto che sia da una lettera dello stesso
Giuliano sia dallo scritto anonimo chiamato Expositio totius mundi sembrerebbe che negli anni
350 il Partenone non fosse chiuso. Secondo
Frantz non è vero che un tempio pagano avrebbe potuto essere restaurato solo
sotto un imperatore pagano quale Giuliano: le autorità locali avevano sempre
una certa autonomia, in particolare ad Atene, dove l'Accademia
neoplatonica aveva
un peso molto forte e le leggi erano spesso ignorate.
In
base alle prove archeologiche, Frantz stabilisce che la distruzione del
colonnato e del tetto sia avvenuta prima del 450, che poco dopo siano stati rimossi i detriti e che in
seguito siano stati ricostruiti prima il colonnato e poi il tetto. Secondo Frantz la ricostruzione avvenne
sotto il Prefetto
del pretorio dell'Illirico Erculio (407-412), un pagano che portò avanti
grandi lavori edilizi in Grecia e specialmente ad Atene, dove restaurò la biblioteca
di Adriano;
i lavori probabilmente durarono più di cinque anni, ma Erculio potrebbe aver
lasciato le direttive e i fondi per continuarli dopo la fine della sua
prefettura. Anche se mancano prove certe a sostegno di questa ipotesi di Frantz,
un'iscrizione potrebbe suggerire un collegamento tra Erculio, promachos delle
leggi, e Atena, Promachos della città di Atene.
Il
Partenone sopravvisse come tempio dedicato ad Atena per nove secoli, fino a
quando nel 435 Teodosio
II decretò la distruzione di tutti i templi pagani dell'impero
bizantino e
la purificazione delle aree sulle quali sorgevano; Atene però era una città quanto mai
refrattaria alla penetrazione del cristianesimo, soprattutto a causa
dell'influenza dell'accademia
neoplatonica, quindi molti templi pagani non furono
distrutti ma trasformati in chiese; il Partenone fu chiuso probabilmente poco
prima del 485.
Nello stesso
secolo la statua di Atena
Parthenos che troneggiava all'interno rimase
distrutta da un altro incendio; nel 426 l'altra enorme statua di Fidia, l'Atena
Promachos che
svettava tra il Partenone e i Propilei, era stata trasportata per ordine
dell'imperatore fino a Costantinopoli, dove rimase per secoli fino a quando fu
distrutta, forse durante l'assedio
di Costantinopoli del 1204 condotto durante la quarta
crociata.

Il
Partenone fu convertito in una chiesa
cristiana negli anni
590 e fu chiamata chiesa di Maria Parthenos (la
Vergine Maria) o Maria Theotókos (Maria
madre di Dio).
Un oracolo del 500 circa riportato nella Teosofia
di Tubinga afferma
che Apollo stesso aveva predetto che il Partenone sarebbe diventato una chiesa
dedicata alla Madonna. L'orientamento dell'edificio fu cambiato
per rivolgerlo verso est: fu chiusa l'entrata sul lato est, dove furono posti
l'altare e l'iconostasi, adiacenti a un'abside posta dove in precedenza si trovava il pronao; quest'abside venne ricoperta da un mosaico
della Vergine con il fondo formato da tessere dorate, secondo l'uso bizantino. Un
largo portale centrale con ai lati due porte secondarie fu aperto nel muro che
divideva la cella, che divenne la navata della chiesa, dalla camera posteriore, il nartece della chiesa; vennero aperte delle
finestre; furono murati gli spazi tra le colonne dell'opistodomo, lasciando un portale centrale e due laterali, e
quelli tra le colonne del peristilio, lasciando solo alcuni ingressi. Sui muri
furono pitturate delle icone e molte iscrizioni cristiane furono incise
sulle colonne. Durante i restauri il gruppo
scultoreo centrale del frontone est, raffigurante la nascita di Atena, fu
rimosso e distrutto, in quanto non conciliabile con la religione cristiana.
Il
Partenone divenne la quarta destinazione più importante di pellegrinaggio
cristiano nell'impero bizantino: lo precedevano Costantinopoli, Efeso e Tessalonica. Nel 1018 l'imperatore Basilio
II venne
in pellegrinaggio ad Atene subito dopo la sua vittoria decisiva sui Bulgari col solo scopo di
pregare nel Partenone. Nei resoconti greci medievali il Partenone
è chiamato "chiesa della Theotokos Atheniotissa" (Nostra Signora di
Atene) e viene spesso notato quanto era famoso; a riprova della sua
importanza si può notare la presenza sulle sue colonne di ben 220 iscrizioni
lasciate da pellegrini e fedeli databili tra il 600 e il 1200, e certamente
molte vennero cancellate dall'erosione e dai danni del 1687. Un altro
fattore molto importante da considerare è il fatto che i testi bizantini
dell'epoca si soffermano sul Partenone non per le sue reliquie e per la
Theotokos, bensì per l'edificio in sé, la principale attrazione di Atene;
questo accade solo per un'altra chiesa, la basilica
di Santa Sofia di Costantinopoli. Si può affermare che, confrontando le
fonti antiche con quelle bizantine, la fama del Partenone fu maggiore nel
Medioevo: nell'antichità, infatti, non risulta che ci siano state persone
venute ad Atene unicamente per pregare al suo interno e l'attenzione dei
visitatori si focalizzava soprattutto sulla statua di Atena.

Il
secolo in cui il Partenone ebbe maggiore rilevanza come chiesa fu probabilmente
il XII
secolo, durante il quale venne istituita una festività
in onore della Theotokos, forse annuale; ci fu anche un miracolo: una luce
divina all'interno del Partenone, citata da molti autori dell'epoca. Alla
fine del secolo divenne vescovo di Atene Michele
Coniata, che si lamentò spesso del degrado della città
ma elogiò sempre la divina bellezza del Partenone, sua unica consolazione;
Coniata si riferisce al Partenone, non alla Theotokos.
All'epoca
dell'impero
latino il Partenone divenne per circa 250 anni una chiesa cattolica, la chiesa di Maria madre di Dio nel Partenone;
nel 1206 fu nominato un nuovo arcivescovo. Durante questo periodo fu costruita una
torre nell'angolo sud-ovest della cella, usata come torre
di avvistamento e campanile e contenente una scala
a chiocciola,
e sotto il pavimento furono costruite delle tombe a volta. Alla fine del XIII
secolo papa
Niccolò IV concesse
un'indulgenza a chi andava in pellegrinaggio al Partenone.
Nel 1395 fu redatta la seconda descrizione del Partenone,
la prima dopo quella di Pausania: Niccolò da Martoni di Carinola, passato da Atene di ritorno da un
pellegrinaggio in Terra
Santa tra il 24 e il 25 febbraio di quell'anno,
fu affascinato dalla grandezza del Partenone, dalle sculture in marmo, dal
numero di colonne (ne contò 60, in realtà erano 58), che paragonò a quelle
del duomo
di Capua, dai portali (che secondo il suo resoconto erano
addirittura quelli che i Greci avevano portato via dalla città di Troia) e soprattutto dal ciborio, un canopo appoggiato a quattro colonne di diaspro.
Nel 1436 fu redatta la terza descrizione del Partenone, la
prima disegnata: Ciriaco
d'Ancona, passato da Atene il 7 aprile di quell'anno,
scrisse: "Ciò
che soprattutto meritò la maggiore attenzione era il sovrastare della rocca
cittadina, con il suo imponente e meraviglioso tempio marmoreo della divina
Pallade, opera anch'essa divina di Fidia. Esso consta di ben cinquantotto
colonne del perimetro di sette piedi, ed è da ogni parte ornato con sculture di
nobilissima fattura, sull'una e sull'altra fronte, nonché sulla fascia più
alta delle pareti. All'esterno, sugli architravi, si può ammirare una battaglia
di centauri, prodotto meraviglioso dell'arte dello scultore".
Ciriaco
d'Ancona tornò ad Atene nel 1444 e realizzò numerosi disegni del Partenone, ma
quasi tutti andarono perduti nell'incendio della biblioteca di Pesaro del 1514; di molti restano delle copie, la
maggior parte delle quali realizzate nel 1465 da Giuliano
da Sangallo.
Nel 1456 i turchi
ottomani invasero
Atene e assediarono fino al giugno 1458 un contingente fiorentino che difendeva l'acropoli. I turchi forse restituirono per breve
tempo il Partenone ai cristiani ortodossi come chiesa; in seguito, in una data
imprecisata successiva al 1466, il Partenone divenne una moschea, che è
attestata per la prima volta da uno scrittore anonimo nell'ultima metà del XV
secolo.
Le
precise circostanze in cui i Turchi trasformarono il Partenone in moschea non
sono chiare; un resoconto afferma che Maometto
II ordinò la conversione come punizione per
un complotto ateniese contro gli ottomani. L'abside divenne il mihrāb, la torre fu alzata e divenne il minareto, fu inserito un minbar, l'altare cristiano e l'iconostasi vennero
rimosse e le pareti furono imbiancate per coprire le immagini cristiane.
Nonostante
le trasformazioni che subì il Partenone quando fu trasformato prima in chiesa e
poi in moschea, la sua struttura era rimasta sostanzialmente intatta. Nel 1667 il viaggiatore turco Evliya
Çelebi, che aveva visitato più volte Atene tra il 1630
e il 1650, si meravigliò per le sculture del Partenone e descrisse l'edificio
in senso figurato come "una fortezza inespugnabile non creata da mano umana"; compose una supplica in poesia
affinché il Partenone, come "opera del cielo stesso più che delle mani
dell'uomo, rimanesse in piedi per tutto il tempo".
A
partire dagli anni
1670 anche gli stranieri ebbero di nuovo accesso
al Partenone. La prima testimonianza è una Relazione sulle antichità di Atene del
18 marzo 1670, redatta probabilmente da un mercante, che scrisse:
"all'interno del forte [l'acropoli] s'innalza il nobile tempio della dea
Pallade, in un certo qual modo tutto intero, con molte colonne e statue del
famoso architetto Fidia".
Nel 1674 l'ambasciatore francese a Costantinopoli Charles
Marie François Olier, dando in cambio al sultano 6 braccia di scarlatto
veneziano, riuscì a visitare l'acropoli portando con sé
il pittore Jacques
Carrey, che in appena due settimane riuscì a
rappresentare nei suoi schizzi il piedestallo, il fregio e le metope del lato
sud (comprese le 14 metope che scomparvero dopo il 1687).
Nel 1676, pagando due misure di caffè al governatore e una al
comandante della guarnigione, riuscirono a raggiungere l'acropoli Jacob
Spon, medico francese di Lione e pioniere dell'archeologia, e il
naturalista britannico sir George
Wheler, che in seguito pubblicarono una delle ultime immagini
del Partenone prima della sua distruzione; affascinati dall'edificio, lo
descrissero come "l'opera più considerevole della cittadella" (Wheler
addirittura come "il più bel pezzo d'antichità del mondo") e ne
ammirarono in particolare "i rilievi interi e meravigliosamente
decorati" dei frontoni.
La loro descrizione
comprende non solo le parti antiche, ma anche le caratteristiche della moschea
dell'epoca: l'ex fonte
battesimale era usato per contenere l'acqua riservata
alle abluzioni di coloro che entravano nella moschea; era stata ricavata una
nicchia nella parete destra in direzione della Mecca, era stato costruito un pulpito per leggere il Corano ed erano stati inseriti quattro armadi a
muro chiusi da porte di marmo, i quali contenevano probabilmente libri e arredi
sacri. Tutte le decorazioni cristiane erano state intonacate, ma il grande
mosaico della Vergine rimaneva visibile, a differenza degli altri.
All'inizio
del 1687, al seguito dell'ambasciatore di Francia a
Costantinopoli, l'ingegnere Plantier fece un altro schizzo del Partenone per un
francese, Laurent Graviers d'Ortières. Si tratta dell'ultima rappresentazione del
Partenone prima della sua distruzione: tutti gli schizzi del XVII secolo, in
particolare quelli di Carrey, forniscono prove importanti e talvolta uniche
delle condizioni del Partenone e delle sue sculture prima dei gravi danni subiti
dal 1687 in poi.
Nel
1687 il Partenone subì grandi danni dalla più grande catastrofe della sua
lunga storia. La Repubblica
di Venezia inviò
una spedizione guidata dal futuro doge Francesco
Morosini per attaccare
Atene e
catturare l'acropoli. I turchi fortificarono l'acropoli e usarono il Partenone
come polveriera, pur conoscendo i rischi di questo uso (nel 1656 un'esplosione aveva gravemente danneggiato i Propilei, usati appunto come polveriera), e come rifugio
per la comunità turca della città. Un resoconto, scritto dal maggiore
Sobievolski delle truppe ausiliare dei Luneburghesi, afferma che la sera del 25 settembre un
disertore turco aveva rivelato a Morosini l'uso che i turchi facevano del
Partenone, aspettandosi che i veneziani non bombardassero un edificio avente una
tale importanza storica. Sembra che Morosini abbia risposto dirigendo la sua
artiglieria verso il Partenone.
Il
26 settembre, verso le 19, un colpo di mortaio veneziano sparato dalla collina
di Filopappo fece
saltare in parte
l'edificio. L'esplosione fece saltare in aria la
porzione centrale dell'edificio e causò lo sgretolamento in macerie dei muri
della cella. L'architetto e archeologo greco Kornilia
Chatziaslani scrive che "tre dei quattro muri del santuario quasi
crollarono e tre quinti delle sculture dei fregi caddero. Probabilmente nessuna
parte del tetto rimase al suo posto. Caddero sei colonne sul lato sud, otto sul
lato nord, così come tutto ciò che rimaneva del portico orientale, eccetto una
colonna. Le colonne portarono giù con loro le enormi architravi di marmo, i
triglifi e le metope". Circa trecento persone morirono
nell'esplosione, che gettò frammenti di marmo sui difensori turchi posti lì
attorno e causò grandi incendi che bruciarono per due giorni e
incenerirono molte case.
Nei
secoli successivi hanno continuato ad esistere due diverse opinioni tra gli
storici: alcuni sostengono che il colpo non fosse intenzionale, altri invece
pensano il contrario.

Il
28 settembre ci fu un nuovo bombardamento ai danni dell'acropoli, che distrusse
la casa dell'agha e uccise alcune donne, mentre la cavalleria del seraskier, accampata a Tebe, si ritirò alla vista
della cavalleria di Otto
Wilhelm von Königsmarck, comandante dell'esercito terrestre alleato di
Venezia; quella sera i turchi si arresero e consegnarono cinque personaggi
eminenti ai veneziani. Il 29 fu firmato un accordo che permetteva ai turchi di
lasciare l'acropoli disarmati entro il 4 ottobre portando con sé i propri beni,
a patto che si imbarcassero a loro spese per andare a Smirne. Molti turchi fuggirono la notte dal 29 al 30
settembre, mentre la sera del 5 ottobre lasciarono la città tremila turchi,
molti dei quali furono rapinati dalle truppe cristiane, mentre ne restarono ad
Atene trecento. Atene divenne una città veneziana e le truppe cristiane
s'insediarono nell'acropoli; Morosini viene ricoperto di gloria.
Durante
l'occupazione di Atene Morosini tentò di saccheggiare le sculture dalle rovine
del Partenone, provocando così ulteriori danni: le sculture dei cavalli di
Poseidone e Atena caddero a terra e si ruppero mentre i suoi soldati tentavano
di staccarle dal basamento dell'edificio. L'anno seguente i veneziani abbandonarono
Atene per evitare di affrontare il grande esercito che i turchi avevano messo
insieme a Calcide; i veneziani presero in considerazione la
possibilità di far saltare i resti del Partenone insieme al resto dell'acropoli
per impedire che i turchi la usassero nuovamente come roccaforte, ma il progetto
non fu portato a termine per mancanza di tempo, di esplosivi e di soldati
per scavare le gallerie di mina. Il 4 aprile 1688 si concluse l'evacuazione di Atene da parte dei
veneziani e degli abitanti della città, trasferiti a Salamina, nel Peloponneso
e nelle isole Ionie; l'8 aprile lasciò Atene anche Morosini, a bordo della
bastarda generalizia.
Dopo
avere ripreso l'acropoli, i turchi utilizzarono alcune delle macerie prodotte
dall'esplosione per erigere una moschea più piccola dentro il guscio del
Partenone in rovina.
Durante
i 150 anni successivi vennero saccheggiati tutti gli oggetti di valore e alcuni
pezzi della struttura ancora integra, usati come materiale da costruzione; i
blocchi scolpiti erano i più apprezzati, dato che assorbivano meglio il calore
quando venivano cotti.
Il
XVIII secolo fu un periodo di stagnazione per gli ottomani; molti europei
poterono quindi recarsi ad Atene e le pittoresche rovine del Partenone furono
oggetto di molti disegni e dipinti, stimolando il filellenismo e aiutando a far nascere un sentimento di
simpatia per l'indipendenza
greca in
Francia e in Inghilterra.
Tra
i primi viaggiatori e archeologi dell'epoca ci furono James
Stuart e Nicholas
Revett, che furono incaricati dalla Society
of Dilettanti di esaminare le rovine dell'Atene classica;
i due produssero i primi disegni del Partenone che ne rispettavano le misure e
li pubblicarono nel 1787 all'interno del secondo volume delle Antiquities
of Athens Measured and Delineated.
Nel 1801 l'ambasciatore britannico a Costantinopoli Thomas
Bruce, VII conte di Elgin, pur essendo venuto solamente con l'intenzione
di studiare le sculture, sotto la supervisione del pittore Giovanni
Battista Lusieri rimosse dal Partenone circa 17 statue provenienti
dai due frontoni, 15 (in origine erano 92) metope raffiguranti battaglie tra
Lapiti e Centauri e 75 metri (in origine erano 160) del fregio interno del
tempio ottenne un discutibile editto dal sultano Selim
III; si tratta di più della metà di ciò che resta
della decorazione dell'acropoli.
Dal
momento che l'Acropoli era ancora una fortezza ottomana, Elgin richiese il
permesso di entrare nel sito, che comprendeva il Partenone e gli edifici
circostanti; tale autorizzazione venne concessa a lui e agli artisti al suo
seguito dal Sultano. Lo scavo e la rimozione furono completati nel 1812, con un costo, sostenuto interamente da Elgin, di
70000 sterline. L'autenticità dell'autorizzazione è stata
messa in discussione e i pareri degli studiosi sono contrastanti.
A
seguito di un dibattito pubblico in Parlamento e al conseguente scagionamento di Elgin i
marmi vennero acquistati dal governo britannico nel 1816 e trasportati al British
Museum, dove ora si trovano disposti nella
galleria Duveen, costruita appositamente per essi.
Subito
dopo aver preso il controllo di Atene (1832), il regno
di Grecia intraprese
il restauro dell'acropoli, che iniziò nel
dicembre 1834. Durante il loro primo sopralluogo i due studiosi
tedeschi incaricati dei lavori, Ludwig
Ross ed Eduard
Schaubert, scoprirono, sotto il pavimento della cella, un
deposito di polvere inesploso risalente all'epoca turca. La parte visibile del minareto fu demolita;
la sua base e la scala a chiocciola, fino al livello dell'architrave, rimasero
invece intatte.
Tutti
gli edifici medievali e ottomani dell'acropoli furono subito distrutti.
Tuttavia, l'immagine di una piccola moschea dentro la cella del Partenone è
stata preservata nella fotografia del 1839 di Joly de Lotbinière, pubblicata
nelle Excursions Daguerriennes di Noël Paymal Lerebours nel
1842: si tratta di un documento di grandissima importanza, la prima fotografia
dell'acropoli. L'area
divenne un territorio di interesse storico controllato dal governo greco.
La
disputa si concentra sui marmi del Partenone rimossi da lord Elgin, che sono
conservati al British
Museum di Londra. Alcune sculture del Partenone
sono al Louvre di Parigi, altre a Copenaghen e in altri luoghi, ma più della metà si
trovano custodite al Museo
dell'acropoli di Atene. Qualche scultura è ancora visibile
sull'edificio stesso.
È
dal 1983 che il governo
greco tenta di riavere in Grecia le sculture custodite
in Inghilterra. Tra i fautori principali del movimento
internazionale che perora la causa della restituzione dei marmi alla Grecia vi
è la figura dell'artista Melina
Merkouri, divenuta ministro
della cultura e dello sport del PASOK nel 1981. Il British
Museum ha sempre opposto un fermo rifiuto alle
pretese greche sulla restituzione delle opere e i governi
britannici che
si sono succeduti nel tempo non hanno voluto costringere il museo a tale gesto.
Ciononostante,
alcuni colloqui diplomatici tra gli alti rappresentanti dei ministeri della
cultura greco e britannico e i loro consiglieri legali ebbero luogo a Londra il
4 maggio 2007. Questi furono gli unici negoziati seri per molti anni e si
sperava che le due parti potessero giungere a un accordo.

ARCHITETTURA - Il Partenone
è un tempio greco periptero octastilo di ordine dorico, dedicato
alla dea Atena.
È
il più famoso monumento dell'antica Grecia ed è considerato la migliore
realizzazione dell'architettura greca ; le sue sculture sono considerate
capolavori dell'arte greca. Il Partenone è un simbolo duraturo dell'antica
Grecia e della democrazia ateniese ed è universalmente considerato
uno dei più importanti monumenti storici del mondo.
Il
nome Partenone si riferisce all'epiteto parthenos della
dea Atena, che indica il suo stato di nubile e vergine, nonché al mito
della sua creazione, per partenogenesi, dal capo di Zeus. All'interno del
Partenone si ergeva la monumentale statua crisoelefantina raffigurante Atena
Parthénos e ospitata nella cella orientale.
L'ambizioso
progetto del Partenone fu affidato agli architetti Ictino e Callicrate e allo
scultore Fidia. I primi dirigevano sul posto i lavori di costruzione, iniziati
nel 447 a.C; il secondo, amico personale di Pericle, ebbe l'incarico della
supervisione dell'opera e della decorazione scultorea dei frontoni, delle metope
e del fregio continuo. I lavori durarono solo dieci anni, un intervallo di tempo
veramente incredibile, e il nuovo tempio di Atene fu inaugurato nel 438 a.C, in
coincidenza con la festa delle Panatenee, anche se le opere scultoree
continuarono fino al 432 a.C. Il tempio fu eretto nel punto più alto
dell'Acropoli, affinché fosse visibile da tutta la città e anche dal mare,
nello stesso posto del "Partenone II", quello distrutto dai Persiani,
e il cui basamento servì da fondamenta.
Se
da lontano catturava irrimediabilmente lo sguardo, da vicino il Partenone
offriva una serie di effetti prospettici che gli conferivano un'ineguagliabile
elasticità e leggerezza. Il visitatore, una volta attraversati i colossali
propilei, si trovava di fronte a una rappresentazione di maestosità e serenità,
di eleganza, libertà e bellezza eccezionali. A incorniciare il perimetro del
santuario erano otto colonne sulla facciata orientale e occidentale e
diciassette sugli altri lati. Dietro il primo colonnato si trovava la cella, il
recinto sacro del tempio, o dimora della dea.
Nella
sala maggiore, situata a Oriente, si elevava la statua crisoelefantina (in oro e
avorio) di Atena Parthenos, la Vergine. La scena risultava di certo
impressionante: la luce entrava a fatica nella stanza, ma quella semioscurità
altro non faceva che aumentare lo splendore della statua, che riluceva nella
penombra. La dea appariva armata e nella mano destra teneva un'immagine della
vittoria. Si dice che tra i personaggi rappresentati nella lotta con le amazzoni
incisa sullo scudo figurino Fidia e Pericle, e ciò diede il pretesto ai nemici
per denunciare lo scultore per empietà e condannarlo all'esilio (437 a.C). La
statua andò perduta nel V secolo d.C, quando fu trasportata a Costantinopoli;
di essa si conservano solamente piccole riproduzioni e la descrizione
dettagliata che ne offre Pausania. La cella non era particolarmente grande e non
consentiva la presenza di un gran numero di persone, poiché il culto era
celebrato non all'interno del tempio ma sugli altari esterni. L'altra stanza del
tempio era ancora più piccola.
Orientata
a Occidente, rappresentava l'autentica dimora della dea, ciò che più
propriamente riceveva il nome di Parthènon. Lì erano custoditi gli oggetti
preziosi di Atena, insieme con i documenti e i tesori della città. Fonti
antiche raccontano che questo luogo sacro e inviolabile finì con il divenire il
postribolo del folle sovrano Demetrio Poliorcete alla fine del IV secolo a.C. Il
progetto architettonico del Partenone è pervaso dell'ideale di democrazia
illuminata dell'Atene di Pericle. Ciascun elemento dell'edificio è collegato
all'insieme in una forma tanto compatta ed essenziale quanto flessibile e
fragile, senza eccessiva tensione, come parte di una città ideale. L'umanità
si riconosce così proiettandosi nell'eternità: ogni struttura architettonica
s'integra nell'edificio come l'individuo s'integra nella città, e questa a sua
volta nella physis, la natura.
La
dimora di Atena incarnò lo spirito che rese Atene una città unica nel mondo:
le sue leggi giuste ed egualitarie garantivano l'armonia degli ordini sociali,
la vittoria della ragione civilizzatrice sulla barbarie e l'attività
imprenditrice senza frontiere. Ancora oggi, accanto all'ingresso dei Propilei,
sono scritte le parole che la dea pronuncia nelle "Eumenidi" di
Eschilo: "Vi dono questa legge per l'eternità". Se l'architettura
incarna gli ideali ateniesi nello spazio, la decorazione scultorea ne è la pura
rappresentazione figurativa. Fidia e i suoi collaboratori si occuparono di
realizzare i frontoni, le novantadue metope e il fregio continuo che ricopre le
pareti esterne della cella. I rilievi e le statue erano di marmo, cosa insolita
in epoca antica, a causa dei costi del materiale e del lavoro richiesto per
scolpirlo. L'insieme era policromo, come era usanza all'epoca.
I
frontoni raffigurano due scene della vita della dea. Nel frontone orientale è
rappresentata la nascita prodigiosa di Atena dalla testa di Giove. La dea vi
compare in piedi di fronte a suo padre, esultante, armata di scudo e lancia e
con indosso l'egida, la corazza con al centro la terribile testa della Gorgone.
Gli dei assistono alla nascita della nuova divinità ed Efesto vi appare nel
ruolo della levatrice, avendo aperto la testa di Zeus con un'ascia.
All'estremità
sinistra il dio Sole, Helios, compare con il suo carro; in quella destra Selene,
la Luna, esce di scena. Una delle teste dei cavalli fu elogiata da Goethe quale
esempio dell'arte in grado di superare la natura. In questa rappresentazione, il
mito acquista una prospettiva umana: la nascita di Atena, figlia di Zeus e di
Metis, l'Intelligenza, è la nascita della stessa Atene pronta per la sua
missione civilizzatrice.
Il
frontone occidentale presenta una composizione più movimentata. Atena e
Poseidone, impugnando rispettivamente la lancia e il tridente, combattono per il
possesso dell'Attica. Lui governa sul mare, lei sulla terra, mentre gli altri
dei si schierano dall'una o dall'altra parte. Il mito narra che Poseidone
avrebbe scagliato il suo tridente sulla terra facendone scaturire un torrente,
mentre il colpo della lancia della dea avrebbe fatto nascere un ulivo, albero di
civiltà nobile e austero, dai frutti preziosi e simbolo della regione.
Ancora
oggi infatti, sull'Acropoli accanto all'Eretteo, troneggia un ulivo che ricorda
quello che, secondo i racconti, riprese a germogliare dopo la sconfitta dei
Persiani. Atene aveva esteso il suo primato per mare e per terra: la sua
grandezza era tale che gli dei se la contendevano. Oggi si conservano soltanto
alcune figure tra le cinquanta che si salvarono dall'esplosione del 1687, ma il
busto colossale di Poseidone, ora nel Museo dell'Acropoli, è uno degli esempi
più impressionanti della capacità plastica di Fidia.
Le
novantadue metope (gli elementi decorativi del fregio esterno), intagliate in
altorilievo, raffiguravano cicli mitologici d'argomento bellico. Sulle facciate
minori ne erano presenti 14 e in quelle maggiori 32.
Lungo
la facciata orientale venne rappresentata una Gigantomachia, la lotta tra gli
dei olimpici e i Giganti, antiche divinità legate alla terra. Su quella
occidentale era mostrata una Amazzonomachia, ovvero la guerra tra uomini e
amazzoni. Sul lato Nord venne scelto il tema della guerra di Troia, e su quello
Sud la Centauromachia, ovvero la lotta dei lapiti, il leggendario popolo della
Tessaglia, contro i centauri.
La
varietà stilistica di tali opere ha fatto ritenere che nel laboratorio di Fidia
lavorassero alcuni dei più importanti scultori successivi, come Alcamene,
Agoracrito o Colotes.
Queste
scene drammatiche, nelle quali gli umani combattono a rischio della vita contro
giganti, amazzoni, barbari e centauri, mostrano il compito civilizzatore degli
uomini, la capacità di oppor-si a forze oscure, irrazionali e selvagge
attraverso la tattica, la civiltà, l'intelligenza. Atene sottolinea in questo
modo il suo protagonismo nella vittoria sui Persiani, non solo sul campo di
battaglia ma in quello delle idee, e mostra che tale qualità le deriva
direttamente dalla sua protettrice.
Se
i frontoni e le metope indicano l'origine, la destinazione e il compito di Atene
partendo dall'elemento soprannaturale, nel fregio si raffigura la manifestazione
della città, con la processione rituale celebrata ogni anno in occasione della
festa delle Panatenee. L'opera presuppose l'influenza innovatrice dello stile
ionico.
Questo
genere di fregi continui compaiono, per esempio, a Persepoli (Iran), dove sono
rappresentati gli Immortali, i diecimila guerrieri del Grande Re persiano, e nei
templi greci della Ionia (Asia Minore), ma non sono una caratteristica dei
templi della Grecia continentale. Inoltre, mai fino a quel momento erano stati
raffigurati dei mortali in un tempio: qui compaiono cavalieri, artigiani, uomini
e donne, giovani e vecchi che portano alla dea i loro doni più preziosi. Ciò
che viene esaltato è l'uomo comune e la sua dignità, insieme con il rapporto
di protezione che egli ha con gli dei, rappresentati nella parte finale del
fregio. Essi trasmettono alla cittadinanza la loro distinzione, la loro autorità
morale, la loro benevolenza e quella graziosa semplicità che evoca le parole di
Pericle: "Ognuno dei nostri uomini è in grado di svolgere qualsiasi
compito con un'abilità e una grazia eccezionali".
UNA
GIGANTESCA ILLUSIONE OTTICA - Il
Partenone fu costruito assemblando 70 mila pezzi, per un peso complessivo di 20
mila tonnellate. Costò 800 talenti d'argento. Una somma non indifferente:
all'epoca un solo talento bastava a pagare lo stipendio mensile a 170 rematori
delle navi greche da guerra. Per trasportare le 100 mila tonnellate di marmo
grezzo dal monte Pentelico (a 20 chilometri da Atene) in città furono estratti
blocchi cilindrici di svariate tonnellate, poi trasportati ad Atene su carri e
infine issati lungo le ripide pendici dell'Acropoli. Ognuna delle 46 colonne
doriche del tempio, alte 10,4 metri, fu realizzata assemblando undici sezioni
cilindriche da 10 tonnellate ciascuna. Ogni sezione veniva assicurata a quella
inferiore con la tecnica dell'empolia. Nelle due basi di ogni cilindro venivano
inseriti blocchi di legno con un foro che coincideva esattamente col centro
della colonna. Un piolo, sempre di legno, univa poi il blocco di un cilindro con
quello superiore. Il tutto aveva tolleranze così basse che ogni giunto è
rimasto in pratica sigillato per due millenni e mezzo, tanto che quando i
restauratori negli anni scorsi hanno staccato due cilindri adiacenti, mettendo
in luce i blocchi, hanno potuto sentire il profumo originario del legno, rimasto
intrappolato nelle colonne per tutto questo tempo.
Per
unire invece i blocchi di marmo delle altre parti dell'edificio in un'epoca in
cui non esisteva il cemento, i Greci usavano giunti di ferro sui quali veniva
colato piombo fuso che proteggeva il ferro dalla corrosione e nello stesso tempo
fungeva da cuscinetto per assorbire eventuali terremoti. Inoltre, tutte le
colonne mostrano un rigonfiamento, detto "èntasi", che ha una duplice
funzione: la prima è quella di dare l'illusione dello sforzo delle colonne per
sostenere l'edificio, come se fossero muscoli in tensione e il tempio qualcosa
di vivente; la seconda di compensare la nota illusione ottica che crea una
specie di restringimento al centro delle colonne quando si osserva un colonnato
cilindrico. Il Partenone non ha una sola linea retta né un solo angolo a 90
gradi: è una specie di gigantesca illusione ottica affinché l'apparato visivo
umano lo percepisca assolutamente perfetto.
Lo
stilobate, per esempio, non ha i quattro lati esterni rettilinei, ma incurvati
verso l’alto. Infatti, quando osserviamo due rette parallele intersecate da
rette convergenti, le parallele sembrano curvarsi verso l’esterno. In assenza
di correzioni, così, il basamento di qualsiasi lato del Partenone avrebbe dato
l’impressione di sprofondare al centro. Con la curvatura verso l’alto,
invece, l’effetto è quello di un basamento perfettamente rettilineo.
Nel
corso dei secoli, il Partenone ha subito ogni genere di trasformazione e di
riutilizzo e ai nostri giorni è ridotto quasi completamente a delle rovine. Nel
V secolo d.C. fu trasformato in chiesa bizantina, perdendo l tetto originale e
modificando la struttura interna. I duchi franchi che governarono Atene dal 1208
aggiunsero un campanile accanto all'entrata occidentale, nel tentativo di
ricreare una cattedrale cattolia. Sotto la dominazione turca che ebbe inizio nel
1458, gli capitò di divenire una moschea, con l'antico campanile trasformato in
minareto. Nonostante questi cambiamenti, nel secolo XVII l'edificio si trovava
ancora in buone condizioni.
Fu
un episodio disgraziato durante la guerra tra Turchi e Veneziani a provocare un
danno irreparabile. Era l'anno 1687, i Turchi tenevano immagazzinata polvere da
sparo nella loro "moschea", che fu raggiunta e colpita proprio da un
attacco dell'artiglieria veneziana. Ciò provocò il crollo di quattordici
colonne nel peristilio, la distruzione totale dell'interno e innumerevoli danni
sulle sculture dei frontoni.
Agli
inizi del XIX secolo avvenne un altro tipo di distruzione. Lord Elgin, con
l'autorizzazione del sultano turco, fece trasferire in Inghilterra gran parte
delle sculture che erano rimaste integre, provocando di conseguenza il crollo
del cornicione dei frontoni. Finalmente, dopo il terremoto del 1894, ebbe inizio
il restauro del poco che restava in piedi.
GLI
EDIFICI DELL'ACROPOLI - Il
ripido altopiano che emerge nel
centro di Atene ospitò
anticamente palazzi reali e vari
templi. Pericle, con il suo
progetto architettonico
ambizioso, gli diede un aspetto
monumentale che ben si adattava
all'egemonia della città sul
resto della Grecia. L'unione tra
la montagna sacra e la polis
trovava massima espressione
nelle grandi feste civiche,
specialmente nella processione
annuale delle Panatenee, che
percorreva tutta la città lungo
la via Panatenaica fino a
entrare nell'Acropoli.

1.
La
via Panatenaica - Ai piedi
dell'Acropoli, era il percorso
della processione annuale delle
Panatenee. Il gruppo partiva dal
quartiere del Ceramico,
incrociava l'agorà e fermava la
barca di Atena accanto alla
fonte Clepsidra.
2.
La
rampa d'ingresso -
Per
colmare i 25 metri di dislivello
fino alla cima della
rupe, venne costruita una rampa
larga 20 metri e lunga 80. Era
composta da gradini, ma nella
parte centrale si provvide a
rendere liscio il selciato per
il passaggio degli anima
3.
Il tempio di Atena Nike -
La
sua posizione ardita faceva
decisamente effetto, benché
fosse lungo solo 5 metri e largo
altrettanto. Dedicato alla dea
della vittoria, il suo fregio
riportava scene delle guerre
contro i Persiani.
4. Pinacoteca
o sala del riposo - L'unica
costruzione laterale che fu
edificata del progetto originale
dei Propilei servì
probabilmente come luogo di
riposo o di banchetti
cerimoniali, ma si ritiene che
più tardi venisse adibita a
pinacoteca.
5. Il
portico dei Propilei - L'ingresso
nei luoghi sacri dell'Acropoli
avveniva attraverso i Propilei,
progettati da Mnesicle e
costruiti tra il 437 e il 432
a.C. I lavori restarono
incompiuti a causa dello scoppio
della guerra del Peloponneso.
6.
L'Atena Promachos -
Subito dopo aver attraversato i
Propilei, la prima cosa che si
scorgeva era una statua
colossale di Atena Combattente,
alta 10 metri (compreso il
piedistallo), a di Fidia. Essa
venne distrutta in epoca
successiva.
7.
Il tempio dell'Eretteo - L'Eretteo
fu iniziato nel 420 a.C.,
approfittando di un periodo di
pace nella guerra contro gli
Spartani. Fu dedicato a Eretteo,
primo re di Atene secondo una
locale leggenda, figlio della
terra e allevato da Atena.
8.
Tempio di Atena Parthenos - Il
Partenone era concepito per
impressionare i visitatori non
tanto per le dimensioni, quanto
per la qualità dei materiali,
per il gioco raffinato di
effetti ottici e la grande
armonia formale.
UN
TRIPUDIO DI COLORI E DI MARMI
CANDIDI - Il
Partenone non si differenzia
dagli altri templi greci per le
sue dimensioni, che in effetti
non sono particolarmente
spettacolari. Lo stilobate
(basamento su cui si appoggia il
colonnato) di 30,88 metri per
69,50 era modesto in confronto
ad alcuni templi di epoca
arcaica, soprattutto ionici, che
raggiunsero una superficie anche
doppia rispetto a esso. È
invece la qualità
dell'esecuzione a renderlo
straordinario. Realizzato in
marmo del monte Pentelico,
coniugava una bianchezza
scintillante alla ricca
policromia dei bassorilievi.
1.
La sala delle vergini - La
seconda stanza del tempio era
orientata verso Ovest, e
costituiva la vera e propria
dimora della dea, o Partenone
propriamente detto. Li si
custodivano gli oggetti preziosi
della dea insieme ai documenti e
al tesoro della città di Atene.
2.
La grande statua di Atena - All'interno
della cella si trovava la
colossale statua di Atena
Parthenos, alta 12 metri,
disegnata di Fidia. L'immagine
era realizzata su una struttura
di legno, con le parti visibili
in avorio, mentre la veste e
l'armatura della dea erano
d'oro.
3.
La cella o naos - Cambiando
la tradizione, la cella venne
ampliata in larghezza da 12 a 19
metri. All'interno un maestoso
colonnato dorico circondava la
statua di Atena. La sala era
interamente ricoperta da un
soffitto di legno. Questa
ricostruzione degli ingressi è
ipotetica.
4. Il fregio seminascosto - Il
fregio interno fu disegnato
secondo l'ordine ionico. I suoi
160 metri di lunghezza sono
decorati da bassorilievi
raffiguranti la gesta elle
Panatenee. Esso risultava poco
visibile al visitatore, però è
fortunatamente una delle parti
del tempio meglio conservate.

5.
Il pronao o vestibolo - Era
la sala che precedeva l'ingresso
nel tempio. Delimitata da sei
colonne, si ritiene che fosse
separata dal peristilio per
mezzo di vani chiusi con
inferriate. Il soffitto era di
marmo a cassettoni dipinti, così
come quello dell'opistodomo
(parte posteriore del tempio,
opposta al pronao).
6. Distribuzione
delle colonne - Il numero di
colonne del Partenone è
superiore a quello del classico
tempio dorico. Sui lati minori
si trovano otto colonne
(ottastilo), anziché le
consuete sei. Sui lati lunghi si
trovano quindi 17 colonne per
rispettare la stessa proporzione
(il doppio dei lati corti più
una)
7.
Scene
eroiche nelle metope -
Il fregio esterno, che alterna
triglifi e metope, segue
l'ordine dorico. Le metope
rappresentano scene belliche
riprese dalla mitologia: la
lotta con le amazzoni, la guerra
di Troia, il combattimento con i
centauri e quello degli dei con
i giganti.
8. La
copertura del tempio - Il
tempio aveva un tetto a due
strati, ricoperto di tegole di
marmo. Le quattro estremità
dei cornicioni terminavano con
doccioni dalla testa di leone e
sopra ciascun frontone
svettavano giganteschi acroteri
(elementi ornamentali)
9. Ricerca
di effetti ottici - Per
accentuare l'impatto visivo del
Partenone, Ictino e Callicrate
usarono diversi trucchi, come
per esempio quello di ribassare
gli angoli delle scale alle
estremità
0 di ridurre lo spessore delle
colonne attraverso un'insinuante
curvatura che si mantiene anche
nelle metope e nei cornicioni.
10.
Il
frontone orientale -
I due frontoni del tempio
contenevano sculture di
particolare ricchezza. Quello
orientale raffigurava la nascita
di Atena e a una delle sue
estremità aveva le dee Hestia,
Afrodite e Dione. Il colore
originario si è ricostruito da
alcune tracce rimaste.
IL
FREGIO: LA GRANDE FESTA DI ATENA
- Il
fregio interno che girava
intorno al Partenone rappresenta
con straordinaria rassomiglianza
un momento della vita ateniese
nel V
secolo a.C: la festa
delle Panatenee, celebrata ogni
anno il 28°
giorno del mese di Ecatombeone
(tra luglio e agosto). La festa
consisteva in una processione
nella quale veniva portato come
dono rituale alla dea un manto,
il peplo, insieme con varie
altre offerte e cento buoi da
sacrificare.
La
processione cominciava dal
quartiere del Ceramico, quasi
alle porte della città, saliva
verso l'Acropoli e terminava nel
tempio. Era inoltre accompagnata
da sfilate di cavalieri e cortei
di carri. Il fregio raffigura
tutte le fasi della processione
in due sequenze parallele che,
partendo dal lato occidentale,
con il corteo di cavalieri e i
carri, avanzano sul lato Nord e
Sud per riunirsi nella facciata
orientale, dove i pellegrini
consegnano le loro offerte
sacrificali agli dei. La
riproduzione qui accanto deve
essere seguita perciò da
sinistra verso destra. Il fregio
si è potuto ricostruire grazie
ai disegni di Jacques Carrey,
artista francese del XVII
secolo.
1. La
sfilata dei cavalieri -
Il
fregio settentrionale comincia mostrando
60 cavalieri (sul lato
meridionale ce ne sono
altrettanti). Alcuni indossano
clamide (un corto mantello) e
tunica, altri sono quasi nudi;
alcuni portano l'elmo e altri un
copricapo di origine
tracia. Alcune fonti
testimoniano la presenza dei
cavalieri durante una fase della
processione.
2.
Il corteo dei carri -
Il
fregio raffigura anche un
corteo di carri tipico del mondo
greco. L'auriga guidava il carro
fino a che, giunti a un certo
punto, il suo accompagnatore
(l'apòbates),
dotato di armatura, saltava
Trinciava a correre fino alla
meta. Non sappiamo se il corteo
avvenisse in contemporanea con
la processione, se la precedesse
o se avesse luogo in un altro
giorno.
3. Accompagnamento
musicale -
La
musica era un elemento fondamentale
nelle cerimonie religiose
dell'antica Grecia. Il fregio
settentrionale raffigura quattro
suonatori di flauto e
altrettanti di cetra, mentre sul
lato meridionale troviamo dei
suonatori di lira. La cetra, una
lira di dimensioni più
grandi, era lo strumento
cerimoniale per eccellenza.
4.
Offerte e sacrifici -
Davanti ai portatori di brocche
d'acqua, destinate ai riti di
purificazione, si vedono coloro
che portano vassoi (skaphe)
ricolmi di miele e dolci. Quasi
certamente servivano per
attirare verso l'altare del
sacrificio gli animali,
anch'essi rappresentati nel
fregio: tre montoni, una mucca e
tre buoi.
5.
Le giovani di Atene - La
processione prosegue sul fregio
orientale, dove compaiono per la
prima volta figure femminili.
Una fanciulla tiene in mano un
sostegno per bruciare l'incenso
(thymiterion), mentre un maestro
di cerimonie riceve una cesta
con le offerte. Compaiono poi
quattro figure adulte che
conversano, forse personaggi
autorevoli della città.
6.
Gli dei accolgono la processione
- Nella
parte centrale centrale
del fregio si trovano gli dei.
Si distinguono dalla posizione
seduta, che permette di
rappresentarli in dimensioni più
grandi rispetto agli umani. Non
a caso il dio più vicino a
questi ultimi è Eros. Dietro di
lui compaiono, a coppie,
Afrodite e Aneroide, Apollo e
Poseidone, Efesto e Atena.
7.
La scena del peplo -
Proprio
sopra l'ingresso del tempio si
trovava la scena che ha
suscitato più discussioni tra
gli specialisti. In generale si
ritiene che rappresenti il peplo
o la tunica che veniva offerta
ad Atena alla fine della
processione. Dietro compaiono
due fanciulle al servizio di
Atena Poliade.
8.
Il padre dei cieli -
Il secondo gruppo di dei era
rivolto verso la processione
proveniente dal fregio
meridionale. Zeus compare
adagiato su un seggio
particolare. Di fronte a lui
Era, dea del matrimonio, solleva
il suo velo, e Iris sistema la
sua acconciatura. Seguono Ares,
Demetra (in atteggiamento triste
per il rapimento della figlia
Persefone), Ermes e Dioniso.
Fonte:
Storica - Jorge Cano Cuenca
Agosto
2013
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