Castelvetrano
(Trapani)

 

L'origine di Castelvetrano risalirebbe alle antiche popolazioni sicane di Legum e successivamente alle colonie dei cosiddetti veterani selinuntini destinati alla custodia delle derrate da cui l'antico nome "castrum veteranorum". L'esistenza della città è documentata a partire dal dominio angioino. È nel 1299 che Castelvetrano viene concessa ai Tagliavia futuri principi della città, il cui cognome si muterà nel tempo in Aragona e Pignatelli tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo, Castelvetrano divenne "la capitale" dei possedimenti dei Tagliavia-Aragona, arricchendosi di numerose opere d'arte. 

Nel 1522 Carlo V, elevò la città a contea, nel 1564 Filippo II la eresse a principato. Nel 1600 si verificarono carestie e pestilenze, mentre la ripresa ebbe luogo nel secondo '700. Dopo i moti risorgimentali, che coinvolgono al seguito di Garibaldi squadre di volontari, e dopo l'unità d'Italia, il dominio di Castelvetrano passerà per almeno mezzo secolo nelle mani della potente famiglia Saporito. A loro si dovrà la costruzione del teatro Selinus, e l'avvio di numerose attività industriali. La prosperità della città come centro agricolo è dovuta principalmente alla coltivazione di vigneti e uliveti e all'esportazione di olive, olio e vino. L'economia cittadina, dal secondo dopoguerra incentrata sul settore primario con qualche tentativo di sviluppo del metalmeccanico e dell'industria del legno, punta oggi soprattutto sul turismo, come testimoniano i numerosi alberghi e ristoranti di cui il centro si è attrezzato.

E' probabile, comunque, che il nome CASTRUM VETERANUM , prima di indicare un centro abitato, abbia designato una località, un incrocio di vie di comunicazione. Pur ammettendo l'esistenza di un centro abitato in epoca remota, o la possibilità di una frazione agricola, va detto che Castelvetrano acquista una precisa identità dal XII secolo. In questo periodo la storia della città si incrocia con quella dei Tagliavia, i quali, grazie a un'abile politica espansionistica, avviano lo sviluppo di Castelvetrano che diverrà capitale di tutti i loro feudi. Alla fine del XIV secolo, la città doveva avere una cortina muraria e opere di fortificazione, probabilmente il castello, di cui oggi rimane soltanto una torre ottagonale. 

Tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI, Castelvetrano conobbe il suo massimo splendore per l’abile politica espansionistica dei suoi signori che, come già detto, fecero della città il centro dei loro possedimenti. Carlo V, nel 1522, elevò Castelvetrano a contea; Filippo II, nel 1564, la eresse a principato. La valorizzazione delle terre, l’introduzione di metodi di coltivazione più intensiva e razionale e l’adozione di colture più redditizie determinarono una rapida ascesa di Castelvetrano in vari settori: agricolo, industriale, economico, urbanistico.   

Sorsero in questi anni, o furono abbellite o ingrandite, la chiesa di San Domenico, quella del Carmine, della Madrice, dell’Annunziata e altre. Il merito di aver dato avvio a tante fabbriche va a Giovan Vincenzo Tagliavia, primo conte di Castelvetrano, cui va anche il riconoscimento di aver iniziato la colonizzazione dell’odierna Menfi (un tempo chiamata Burgio Milluso), estendendo su quella zona gli interessi di Castelvetrano; e di aver ottenuto da Carlo V il privilegio di poter esercitare in città “Li giochi de l’armi”.      

Castelvetrano raggiunse l’apice del suo splendore con Carlo D’Aragona, il “Magnus Siculus” ricordato da Manzoni quale governatore dello Stato di Milano nel 1582. Con lui l’amministrazione della città fu snellita e resa più razionale, portando a quaranta il numero dei consiglieri, assegnando seggi a nobili, artefici e borghesi, con l’uso di criteri non certo democratici. Carlo sollevò il problema dell’approvvigionamento idrico della città mediante l’acqua di Bigini, dando inizio ad un’opera colossale per l’epoca che, a causa di opposizioni e difficoltà di natura varia, fu completata nel 1615, come può leggersi sulle lapide della fontana delle Ninfe, fatta costruire per l’occasione da Giovanni III d’Aragona. La memoria degli Aragona – Tagliavia, è tenuta oggi viva dalla Festa del Principe. 

Tornando al 1500, ricordiamo che in quegli anni furono costruiti o ingranditi diversi conventi, erette nuove chiese, formate nuove confraternite. La città prosperò, si arricchì di nuovi monumenti e altre opere, diventando centro di un fiorente artigianato e sede di laboratori d’arte. Anche la situazione economica conobbe un miglioramento, e ciò grazie all’affitto di feudi da coltivare. Tuttavia, sul finire del secolo, ebbe inizio un periodo di cattivi raccolti e epidemie, aggravate anche dalle estorsioni del fisco. In seguito al moto palermitano di Giuseppe D’Alessi, anche il popolo castelvetranese insorse esasperato dalla carestia; ma la rivolta fu brutalmente domata. Nonostante queste difficoltà, continuarono nel 1600 le fondazioni di chiese e conventi. Nel 1720 la città si trovò a dover fronteggiare l’occupazione sia delle truppe austriache, sia di quelle spagnole che danneggiarono il territorio.             

Sia nel 1820, che nel 1848, la città insorse contro il dominio borbonico, organizzando la guardia civica e un governo provvisorio. Una squadra di “picciotti” castelvetranese, guidata dal concittadino fra Giovanni Pantaleo, incontrò Garibaldi a Salemi, e si distinse nella presa del ponte della Guadagna e di porta Sant’Antonio a Palermo. Dopo l’unità d’Italia, Castelvetrano subì l’influenza della famiglia Saporito, i cui esponenti favorirono il sorgere di nuove attività imprenditoriali, monopolizzando, però, la vita politica e sociale del paese. 

Nel 1893, aderendo al movimento dei Fasci Siciliani, la città fu teatro di quattro giorni di violenti tumulti. Essa ha contribuito all’ascesa del filosofo Giovanni Gentile, massima espressione del Neoidealismo italiano, e artefice di una fondamentale riforma della scuola. Costantemente presente negli avvenimenti più significativi della storia siciliana, Castelvetrano costituisce il punto di riferimento di tutta la Valle del Belice, puntando sullo sviluppo turistico e sulla valorizzazione delle risorse agricole, vinicole e oleari.

LA COMUNITA' EBREA A CASTELVETRANO - Le particolari vicende storiche verificatesi in Sicilia dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, fino alla conquista normanna, determinano nell’Isola la presenza di una popolazione multietnica; nel XII secolo sono, infatti, presenti in tutta la Sicilia comunità di origine latina, greca, musulmana e giudaica.

I grandi centri siciliani in età medievale sono abitati quasi sempre dalle quattro etnie principali,  mentre i casali sono popolati da una sola etnia. La Terra di Castelvetrano in età normanna è  caratterizzata prevalentemente dalla presenza di  popolazioni musulmane.

Dopo le due guerre musulmane condotte da Federico II di Svevia contro le popolazioni islamiche ribelli del Val di Mazara, verificatesi nella prima metà del sec. XIII, la presenza di questa etnia viene notevolmente ridimensionata fino a scomparire del tutto nel XIV secolo, lasciando spopolati in questa parte della Sicilia numerosi casali e terre. 

Con la progressiva diminuzione delle popolazioni arabo-berbere nell’abitato di Castelvetrano cominciano a prevalere le popolazioni di etnia latina e greca, come confermato da diversi  documenti e dalla presenza di edifici religiosi sia di rito greco (Trinità di Delia, San Nicola di Mira, San Nicola del Mulino) che di rito latino (Santa Maria del popolo, San Gandolfo, San Giorgio, Sant’Elia).

Recenti studi evidenziano anche a Castelvetrano la presenza di una piccola comunità ebraica. Lo studioso Rizzo Marino, parlando dell’ambiente ebraico mazarese, riferisce nei secoli XIV e XV di un processo contro un artigiano ebreo di nome  Beniamino De Manueli, residente a Castelvetrano. Atri due atti relativi alla salvaguardia regia decretata il 28 maggio 1492 del Vicerè Ferrando de Acugna, e  un altro sulla riscossione di tributi dovuti al Re, riferiscono di una Giudecca nella terra di Castello Vitrano.

Dalla rata annuale che la comunità ebraica di Castelvetrano doveva pagare al Re, di importo pari a 2 once e 21 tari, si può calcolare, tenendo conto che ogni famiglia ebraica era gravata mediamente da una tassa di circa  0,20 once annuali, si può ipotizzare che la comunità ebraica della Giudecca castelvetranese poteva essere costituita da un nucleo di circa 10 famiglie.

Sappiamo che in Sicilia ogni comunità ebraica aveva almeno una “Sinagoga”, attorno alla quale ruotava l’attività rituale e liturgica della comunità; l’edificio di culto, inoltre, funzionava anche come spazio di studio e di ritrovo. Capo spirtituale della comunità era il “Rabbino”, il quale svolgeva i riti e le cerimonie e la sua carica era a vita.

Tra le attività economiche e le professioni praticate dagli ebrei sono il commercio e l’artigianato. Le attività legate alla lavorazione della seta e alla concia delle pelli, in Sicilia, erano gestite quasi esclusivamente dalle comunità ebraiche.

Con l’editto di espulsione voluto dal re Ferdinando e dalla regina Isabella  il 31 marzo 1492 le comunità ebraiche vengono cacciate anche dalla Sicilia, i loro beni immobili vengono confiscati dal potere regio e venduti. Alcuni studi evidenziano che in quel periodo diverse sinagoghe vengono trasformate in chiese; sappiamo, ad esempio, che le sinagoghe di Salemi e Calascibetta divennero chiese e furono intitolate a Santa Maria della Catena.

Conosciamo poco della comunità appartenuta alla Judecca di Castelvetrano. Alcuni toponimi ancora oggi conservati nel territorio potrebbero fornire lo spunto per nuove ricerche. A partire dall’antica chiesa intitolata a Santa Maria della Catena e al tessuto edilizio circostante che mostra ancora oggi  tracce di un impianto urbanistico medievale. A poca distanza dal centro urbano sono presenti, inoltre, due toponimi: la “La Stidda”, in prossimità del vallone Racamino, piccolo affluente del fiume Modione, e il toponimo “via  Conceria”  presente in questa area.

I tre toponimi Catena, Conceria e Stella (la Stella di Davide è ancora oggi una figura riconducibile al mondo ebraico) potrebbero condurre ai luoghi che furono della comunità giudaica di Castelvetrano; in particolare il primo termine potrebbe essere il luogo della “Judecca” e gli altri due il probabile luogo della conceria ebraica legata al corso d’acqua.

Chiesa Madre di Maria Santissima Assunta (Duomo)

Nel XIV secolo sull'area occupata dall'attuale tempio insistevano la chiesa di Santa Maria - primitiva chiesa madre - con l'attigua Cappella di Santa Chiara (divenuta Cappella della confraternita del Santissimo Sacramento), e la chiesa di San Giorgio, ubicata sull'area corrispondente la base dell'attuale campanile.

La costruzione del tempio attuale ebbe inizio tra il 1520 e il 1560 per volontà di Giovanni Vincenzo Tagliavia, I conte di Castelvetrano, strategoto di Messina, († 1538).

I principi di Castelvetrano, nel corso del Seicento e del Settecento, arricchirono l'edificio di numerose opere d'arte e di figure in stucco a tutto tondo. I cantieri del tempio videro all'opera gli esponenti dei Ferraro di Giuliana, Tommaso e Orazio, anche Gaspare Serpotta lasciò traccia del passaggio nella realizzazione dell'arco absidale, mentre l'arco trionfale è attribuito a Vincenzo Messina.

Nel 1849 gli architetti Cavallari e Viviani eliminarono la maggior parte delle superfetazioni e decorazioni barocche durante una campagna di restauri che riportò il complesso allo stile originario. Nel corso del restauro della chiesa sono stati eliminati gli altari che sorgevano lungo le navate laterali, è stato rialzato il transetto e il coro, chiusa la Cappella dei Santi Crispino e Crispiniano e ivi collocato il fonte battesimale, proveniente dal fondo della navatella meridionale vicino all'ingresso.

Risale al 2018 la rimozione del baldacchino e del pulpito ligneo.

Portale delimitato da paraste, a sua volta costituito da lesene su plinti, entrambi i manufatti decorati da arabeschi di gusto medievale. Architrave coincidente col cornicione a sua volta sormontato da un timpano triangolare spezzato. Cinque gradini raccordano la sede stradale l piano di calpestio del luogo di culto.

Il marcapiano separa i due ordini del prospetto, la parte superiore con falde a gradoni è caratterizzata, nella partizione centrale, da grande oculo con vetrata. Le sommità parietali laterali presentano una caratteristica merlatura a doppia coda di rondine.

La costruzione ha un impianto basilicale a tre navate ripartito da colonne con rilevanti capitelli corinzi, e arcate a tutto sesto realizzate in conci di pietra calcarea.

La copertura a capriate lignee è arricchita da una trave centrale riccamente decorata con stemmi, strumenti musicali ed armi. La volta a crociera è delimitata da due archi:

Arco trionfale attribuito da Vincenzo Messina agli inizi del XVIII secolo. L'apparato decorativo è costituito da un manto drappeggiato tra fregi e conchiglie, grandi volute a foglia d'acanto, l'Eterno Padre circondato da putti e angeli, simmetricamente disposti, alcuni giocondi suonano strumenti musicali, altri gioiosi reggono festoni fitomorfi. Ai lati, ai piedi dell'arco, le figure della Vergine Addolorata e di San Giovanni Evangelista contemplano il grande Crocifisso ligneo centrale, poggiato sulla trave dorata, manufatto chiamato un tempo lu Signuri di l'arcu.

Arco absidale realizzato da Gaspare Serpotta nel 1667. Un fitto festone di frutta e fiori sostenuto da puttini decora l'intera arcata, nell'intradosso rosette e fogliame in rilievo toccati d'oro. Collocate su mensole alla base dell'arco le statue raffiguranti Sant'Agnese a destra, e Sant'Agata a sinistra. Sul concio di chiave un'aquila con ali spiegate cavalcata da un putto nell'atto di suonare il corno, più in alto, due grandi angeli libranti in volo sorreggono uno scudo sormontato da una corona retta da due puttini.

Navata destra

Prima campata.

Seconda campata: edicola con statue raffiguranti i Santi Cosma e Damiano, opere di Gaspare Serpotta.

Terza campata: varco laterale destro.

Quarta campata: alla parete è addossato il busto dell'arciprete Paolo Pappalardo, monumento realizzato nel 1878 dallo scultore palermitano Benedetto Civiletti.

Quinta campata: Cappella dello Spirito Santo. Sulla parete di fondo è collocato il dipinto raffigurante la Discesa del Paraclito sulla Vergine e i discepoli congregati nel Cenacolo. Nell'ambiente è stato trasferito il fonte battesimale con cupolino ligneo, opera di Pietro di Giato del 1610. Alle pareti sono documentate una Santa Chiara e una Sant'Agata, due pale d'altare, opere di Orazio Ferraro. La parete nord-orientale del locale presenta tre fornici, verosimilmente il portico d'ingresso della primitiva Cappella di Santa Chiara in seguito inglobata nelle fabbriche della matrice. Nell'antica Cappella di Santa Chiara - oggi adibito a salone parrocchiale - si ammira un grande Crocifisso ligneo di squisita fattura, databile alla seconda metà del XVIII secolo, proveniente dalla chiesa del Crocifissello. Cripta dello Spirito Santo. Sotto l'arcata è stato recentemente installato il nuovo ambone di fattura moderna.

Cappella di San Crispino e Crispiniano detta dei Calzolai: ambiente con accesso attraverso il varco della parete sud - orientale della Cappella dello Spirito Santo. Il locale custodisce il dipinto raffigurante i Santi Crispino e Crispiniano, pala d'altare opera di Orazio Ferraro del 1619. La primitiva cappella, l'altare e l'apparato in stucco in essa contenuti, si affacciavano sulla navata minore destra. Nel 1892 i manufatti furono distrutti e la parete tamponata. Cripta di San Crispino e San Crispiniano.

Navata sinistra

Prima campata.

Seconda campata: edicola con statue raffiguranti San Simone e San Giuda, opere di Gaspare Serpotta.

Terza campata: varco laterale sinistro.

Quarta campata: addossato alla parete il busto dell'arciprete Melchiorre Geraci, opera di Mario Occhipinti nel 1988.

Quinta campata: Cappella della Maddalena. L'architettura, le pitture, le sculture e la decorazione plastica dell'ambiente sono opera di Tommaso Ferraro portate a compimento tra il 1573 e il 1579. Il fronte è decorato con due pilastri che sorreggono una cornice con medaglioni, all'interno sette riquadri e ovali decorati con affreschi riproducenti episodi di vita della Maddalena. L'arco poggia su nicchie contenenti i simulacri di San Pietro e San Paolo. L'ambiente è chiuso da una cupola ottagona ripartita in spicchi con ovali affrescati, sulle pareti laterali due archi destinati ad ospitare sepolture arricchiti da modanature, fregi e scomparti. L'altare della titolare rappresentata con statua in terracotta si erge fra i due laterali dedicati rispettivamente a San Lazzaro e Santa Marta qui raffigurati con statue in stucco. L'insieme di manufatti reca l'iscrizione autografa:

 "HIC QVICQVID PICTVRA, SCVLTVRA ET SIMVL ARCHITECTVRA EXTAT THOMAS FERRARVS, ADHVC ADOLESCENS, PARITER IN ARTE PINGENDI, SCVLPENDI AC EXSTRVENDI NEOTERICVS, ANTONINI FERRARI, IVLIANENSIS, PICTORIS SCVLPTOURISQVE INSIGNIS, FILIVS, A VERTICE AD CALCEM STUDIO INGENIO MANVQVE SVA GRAPHICE PINXIT, SCVLPSIT ATQVE EXTRVXIT". 

Cripta del ramo cadetto dei Tagliavia.

Cappella dei Gentiluomini: sede della Compagnia dei Gentiluomini.  Attuale sede del Museo del Duomo.

Transetto

Absidiola destra: Cappella del Santissimo Crocifisso. Nell'ambiente si custodisce il Santissimo Sacramento. Sulla sopraelevazione dell'altare marmoreo è custodito un Crocifisso ligneo, alle pareti laterali sono presenti affreschi raffiguranti scene della passione: a destra Cristo sotto la croce incontra le pie donne, a sinistra Gesù deriso e coronato di spine. Nel riquadro sulla calotta è raffigurata una Ultima Cena. Cripta della Compagnia del Santissimo Sacramento.

Cappella del Sacro Cuore di Gesù. Altare con nicchia contenente la statua raffigurante il Sacro Cuore di Gesù.

Sulla parete verso l'absidiola è custodito il dipinto su tavola raffigurante la Vergine allatta il Bambino o Madonna della Misericordia o Madonna del latte, tavola quattrocentesca attribuita a discepolo di scuola di Riccardo Quartararo.

Absidiola sinistra: Cappella della Madonna delle Grazie o Santa Maria del Popolo o Santa Maria della Neve. Per via del patrocinio della famiglia Giglio fu denominata Cappella Giglio. Nella nicchia la statua raffigurante la Madonna delle Grazie del 1570. Gli affreschi e l'apparato pittorico sono opera di Orazio Ferraro, presenta al primo ordine del catino le figure di San Francesco d'AssisiSan Tommaso d'AquinoSan Vincenzo Ferreri e San Francesco da Paola, nel secondo ordine scandito da cariatidi monocrome - due figure muliebri e due guerrieri - si identificano quattro Padri della Chiesa d'Occidente (Sant'Agostino d'IpponaSan GirolamoSan Gregorio Magno e Sant'Ambrogio), al centro il Cristo risorto, nell'atto di fuoriuscire dal sepolcro tra lo stupore delle guardi pretoriane. La calotta absidale è occupato dalla raffigurazione dell'Eterno Padre. Gli affreschi risalgono al 1591, come si evince dalla data dipinta al rovescio sul libro tenuto in mano da uno dei dottore.

Cappella dell'Immacolata Concezione. Altare con nicchia contenente la statua raffigurante l'Immacolata Concezione. Durante la peste del 1625 presso l'altare furono poste le immagini di Santa Rosalia e di San Rocco. Cripta dell'Immacolata.

Sulla parete verso l'absidiola il dipinto raffigurante San Gregorio Taumaturgo, tela di Pietro Novelli proveniente dalla chiesa di San Giuseppe.

Presbiterio - Sullo sfondo campeggia la pala dell'Assunzione della Vergine, realizzata da Orazio Ferraro nel 1619. Ai lati del quadro, sui finestroni, i due grandi stemmi dei principi Tagliavia. I riquadri delle volte del cappellone furono adornati con pitture di Francesco Casanova e di Giuseppe d'Accardo.

Gli scranni del coro ligneo disegnato nel 1864 dall'architetto Giuseppe Damiani Almeyda ed eseguito dallo scultore palermitano Vincenzo Coco arricchiscono le arcate minori del coro, le canne dell'organo si stagliano sul lato sinistro.

L'apparato decorativo in stucco dell'abside quadrangolare fu opera di Antonino Ferraro junior. Sulle mensole collocate internamente dei capitelli della coppia di gruppi di quattro colonne della crociera sono collocate le statue raffiguranti San Pietro e San Paolo della bottega dei Ferraro.

Altre opere - Cappella di San Giorgio ricavata nel vano inferiore del campanile.

Altri dipinti: Madonna del Carmelo, Santa Teresa d'Avila con la Vergine Maria e San Giuseppe, San Filippo Neri in ginocchio davanti alla Madonna, San Luigi Gonzaga, Santa Caterina d'Alessandria, Vergine con Bambino ritratta con San Francesco Saverio e Sant'Ignazio di Loyola.

Sacrestia

* XVII secolo, Santa Teresa raffigurata con la Vergine Maria, il divin figliolo e San Giuseppe, tela di Pietro Novelli proveniente dalla chiesa di San Giuseppe.

* 1685, Madonna con Bambino che sovrasta i Santi Crispino e Crispiniano, dipinto, opera di Gabriele Cabrera Cardona.

Campanile - La costruzione risale al 1552, si articola su cinque ordini, separati da una cornice aggettante. l'ultimo ordine ospita la cella campanaria con l'apparato campanario, tra gli strumenti spicca la campana del popolo, così denominata in quanto veniva suonata per la convocazione del consiglio comunale.

Il vano inferiore della torre ospita la Cappella di San Giorgio.

Cripte - Se ne contano 14:

* Cappella del Santissimo Crocifisso: negli ambienti ipogei la cripta dei confrati della Compagnia del Santissimo Sacramento.

* Cappella di San Crispino e San Crispiniano: negli ambienti ipogei la cripta di San Crispino e San Crispiniano.

* Cappella della Maddalena: negli ambienti ipogei la cripta del ramo cadetto dei Tagliavia.

* Cappella dello Spirito Santo: negli ambienti ipogei la cripta dello Spirito Santo.

* Cappella dell'Immacolata: negli ambienti ipogei la cripta dell'Immacolata.

* Cappella di Santa Chiara: negli ambienti ipogei la cripta di Santa Chiara.

* Cripta del Clero: ambienti ipogei ubicati sotto il transetto.

Chiesa di San Domenico

La chiesa di San Domenico e l'adiacente convento dei predicatori costituiscono un unico aggregato monumentale, luogo di culto ubicato in piazza Regina Margherita.

L'aggregato monumentale è edificato nel 1470, la data è desunta da una primitiva iscrizione non più esistente documentata sulla porta d'ingresso. Il 20 aprile del 1487 Papa Innocenzo VIII concesse a Nino III Tagliavia il permesso di edificare un convento domenicano adiacente alla Cappella di Santa Maria di Gesù, primitivo insediamento francescano ancor prima dell'avvento dei domenicani.

Il 22 luglio 1489 il convento ottenne il titolo e il diritto di convento formale della congregazione osservante facente capo al convento di Santa Cita di Palermo, nel 1550 rientrò a far parte della giurisdizione della provincia domenicana.

La chiesa tardo-gotica sorge come mausoleo della famiglia Aragona - Tagliavia. La cappella, del quale il casato deteneva il patrocinio, era utilizzata per le cerimonie private. Nei decenni a venire, all'esterno dell'edificio, si stratificano altre cappelle, volute da Giovanni Vincenzo Tagliavia, da altri componenti della famiglia nonché da privati, accorpandosi attorno al nucleo iniziale, fiancheggiando la navata centrale.

La navata unica priva di transetto, con copertura lignea, presbiterio con volta a crociera dal quale, attraverso l'arco gotico, permette l'accesso alla cappella quadrata con calotta insistente su nicchie angolari coniche. La graduale annessione di cappelle laterali ha modificato l'assetto planimetrico, i vani laterali tra loro comunicanti, conferiscono alla costruzione un impianto di tipo basilicale illuminato da alte finestre.

Dal 1574 al 1580 l'interno è decorato da Antonino Ferraro da Giuliana, in collaborazione coi figli Tommaso, Orazio e l'intera bottega. L'artista "firma" i vari capolavori inserendo il proprio autoritratto tra gli affreschi del coro, il profilo raffigurato in elegante costume "alla spagnola", già anziano con barba lunga, è accompagnato da una iscrizione sul cartiglio: "TANTI OPERIS HVIVS CÆLATOR EGREGIVS ANTONINVS FERRARVS SICANVS AC IVLIANENSIS HIC EST. 1577." Sull'arco d'ingresso "PRIMVS ARAGONVM PRINCEPS HOC RITE SACELLVM CAROLVS ÆTERNO CONDIDIT IPSE DEO". Altre due iscrizioni laterali recitano: "ABSOLVTVM HOC FVIT OPVS 26 APRILIS V INDS ANNO D.NI 1577", "MAII ABSPOLVTVM HOC QVINTE SEXTOQVE KALENDAS IPSE FVISSE SCIAS INDITIONIS OPVS ANNO D.NI 1577". Sono altresì documentate attività di maestranze genovesi.

Nel 1652 Giovanni Lopez vescovo di Monopoli documenta nella sua opera l'istituzione di Castelvetrano come il ventitreesimo convento domenicano dell'isola, fondato dai marchesi Tagliavia, imparentati con l'illustrissima casa d'Aragona. La sua fondazione è fissata nell'anno 1470.

Nel 1866, con l'emanazione delle leggi eversive e la confisca dei beni, i domenicani sono costretti ad abbandonare il convento. Con l'allontanamento dei monaci le strutture passano nelle mani del Comune di Castelvetrano.

Gli edifici dell'aggregato sono danneggiati dal terremoto del Belice del 1968 e sottoposti negli anni successivi a lunghi cantieri per il ripristino delle opere lesionate.

Nel 2009 i lavori di restauro sono curati dalla Soprintendenza dei Beni culturali ed ambientali di Trapani, con la collaborazione scientifica dell'Opificio delle pietre dure di Firenze e dell'Istituto superiore per la conservazione ed il restauro.

23 dicembre 2017. Rito di dedicazione del nuovo altare versus populum presieduto dal vescovo Domenico Mogavero.

Il prospetto è realizzato con conci di arenaria a vista, il portale presenta un timpano triangolare retto da architrave poggiante su lesene con capitelli corinzi, al centro una finestra con balaustra attorno alla quale sono ancora visibili i segni di due precedenti archi non più presenti. Il campanile poggia sul lato destro della navata.

L'ingresso rivolto ad occidente, si apre sulla navata principale dotata di cappellone e di due navate secondarie laterali sulle quali insistono dieci cappelle, due delle quali absidiole minori, con accesso dalle cappelle prossime al presbiterio.

Interno - La navata centrale confluisce nel presbiterio arricchito con la dinamica composizione dell'Albero di Jesse e Arco gotico, dietro si apre la Cappella del Coro.

Navata destra

Prima campata: Cappella del Crocifisso. Altare dominato da Crocifisso ligneo attorniato da iconografie non più visibili. È documentato un olio su tela di Antonino Ferraro da Giuliana raffigurante l'Orazione nell'Orto degli Ulivi.

Seconda campata: Cappella di San Vincenzo Ferreri. Sull'altare è documentato il dipinto su tavola raffigurante San Vincenzo Ferreri, opera del pittore spagnolo Antonello Benavides del 1525.

Terza campata: Cappella dei tre Magi. Abbelliva l'altare il dipinto raffigurante i tre Magi, opera di Orazio Ferraro. Nella nicchia laterale è collocata la statua di San Tommaso d'Aquino. Ai lati le due figure di don Carlo II d'Aragona Tagliavia e Giovanna Pignatelli sua seconda moglie. Affacciato sulla navata un balcone - cantoria accoglie le canne dell'organo, sul pilastro intermedio delle ultime due arcate è collocato il pulpito.

Quarta campata: Cappella di Santa Caterina d'Alessandria. Sull'altare è documentata la tela raffigurante Santa Caterina d'Alessandria. Sull'altare è presente la statua raffigurante San Vito Martire.

Quinta campata: Cappella di San Domenico con accesso dalla quarta campata. Sull'altare è documentato un quadro ad olio raffigurante San Domenico, opera trafugata recentemente. Rilevante monumento funebre della famiglia Aragona-Pignatelli sormontato da aquila del Sacro Romano Impero del XVII secolo, opera di Antonino Ferraro e bottega.

Navata sinistra

Prima campata: Cappella della Madonna di Loreto. Sull'altare è documentata la Madonna di Loreto, statua marmorea, opera dello scultore Francesco Laurana del 1489, sullo scanello lo stemma della famiglia committente Tagliavia. Il quadro raffigurante San Raimondo di Peñafort, opera di Vito Carrera.

Seconda campata: Cappella di San Raimondo. Primitiva Cappella della Madonna del Rosario, titolo derivante dall'immagine trafugata della Madonna del Rosario, dipinto su tela attribuito a Orazio Ferraro da Giuliana. La profonda cappella è un manufatto esterno addossato alla campata della navata.

Sulla volta, l'affresco centrale raffigura San Domenico e il Beato Alano ritratti mentre annaffiano l'albero del Rosario. Nei medaglioni gli affreschi con le effigi di Papa Pio VPapa Sisto IVPapa Gregorio XIIIPapa Leone X. Sulla parete sinistra gli affreschi raffiguranti un Frate domenicano e anime purganti, la Battaglia di Lepanto nella particolare illustrazione della disposizione delle due flotte navali che si fronteggiano prima dei combattimenti, la Chiesa orante e anime purganti. Sulla parete destra gli affreschi raffiguranti la Predica del RosarioMadonna del Rosario e corteo processionale,San Domenico converte cugino Pedro.

Nell'edicola il quadro raffigurante San Raimondo di Peñafort di Vito Carrera, opera sormontata da una targa celebrativa della Vergine, sotto il timpano è collocato l'affresco dell'Incoronazione della Vergine.

Terza campata: Cappella di San Giacinto. Sull'altare è documentato il quadro della Madonna del Balzo trasferito nella chiesa di San Giovanni Battista. Detentori del patrocinio la famiglia Del Balzo.

Quarta campata: Cappella del Santissimo Nome di Gesù. Nell'edicola è collocato il dipinto raffigurante la Circoncisione di Gesù Bambino, opera del pittore fiammingo Simone de Wobreck del 1580. Nell'area è collocato il sepolcro di donna Zenobia Gonzaga, moglie di Giovanni III d'Aragona. La testamentaria dispose di essere inumata alla morte del marito nella chiesa di San Francesco d'Assisi dell'Ordine dei frati minori cappuccini, volontà mai esaudita.

Quinta campata: Cappella della Madonna di Fatima, con accesso dalla quarta campata. Sull'altare la statua in legno della Madonna di Fátima.

Navata - La navata principale è caratterizzata da volte a crociera, l'illuminazione interna è garantita da finestre decorate con ornamenti in stucco. I restauri restituiscono vari ordini di cornicioni con decorazioni, riquadri e timpani con stemmi.

L'altare maggiore posto sotto l'arco gotico, austero e solenne, è un'aggiunta postuma. Il presbiterio, di forma quadrata e rialzato di due gradini, si erge sotto l'arco gotico con tabernacolo, l'ambiente si conclude con una volta suddivisa in spazi ricchi di affreschi e stucchi.

Gli ambienti e gli elementi adiacenti il presbiterio sono sfarzosamente arricchiti con i temi scultorei e pittorici delle Promesse, delle Profezie, delle Prefigurazioni di Cristo, dei Misteri gaudiosi, dei Misteri gloriosi, dei Misteri dolorosi. Sono presenti frammenti di pavimento maiolicato cinquecentesco e quello marmoreo del piano dell'altare.

Arco gotico - Colonna sinistra: ovale raffigurante la Sibilla Eritrea, l'episodio di Aronne e l'acqua che scaturisce dalla Roccia, ovale di Abacuc, sottocapitello con Vitello d'oro, la Sibilla Delfica, la Vergine annunciata.

Pilastro sinistro: la Consegna delle chiavi a San PietroSanta Lucia nell'intradosso sormontata da San SebastianoSan Pietro Apostolo, la Visione d'Isaia, statua di IsaiaZaccaria.

Gestazione e Albero di Jesse:

Pilastro destro: la Conversione di San PaoloSant'Agata nell'intradosso sormontata da San RoccoSan Paolo Apostolo, il Sogno di Giacobbe, statua di GiacobbeMichea.

Colonna destra: ovale raffigurante la Sibilla Libica, la Raccolta della manna, ovale di Sofonia, sottocapitello il Serpente di bronzo, la Sibilla Persica, l'Angelo annunciante.

Albero di Jesse - Il grandioso manufatto in stucco raffigura l'Albero di Jesse ovvero l'albero genealogico che partendo da Jesse, padre di re Davide, schematizza la discendenza che porta alla Beata Vergine Maria, rappresentata al sommo dell'albero, coronata da angeli, con il bambino sul ginocchio sinistro.

Nell'ordine: Jesse, Re Davide, Salomone, Roboamo, Abìa, Asàf, Giosafat, Joram, Ozia, Ioatam, Acaz, Exechia, Manasse, Amon, Giosia, Ieconia, Sealtièl, Zorobabele, Abiùd, Eliaci, Azor, Sadoc, Achim, Eliùd, Eleàzar, Mattan, Giacobbe, Giuseppe sposo di Maria genitori di Gesù.

Nel mistero dell'Incarnazione Jesse è rappresentato sdraiato con il braccio sinistro che sorregge il tronco di un albero sui cui rami sono rappresentati i dodici re della tribù di Giuda.

Sui rami inferiori sono presenti Davide e Asa a sinistra, Salomone e Roboamo sulla destra. Davide è riconoscibile per l'arpa; le altre figure vengono rappresentate con in mano uno scettro e un cartiglio recante il proprio nome.

Sui rami medi sono collocati Iosafat e Ioram a sinistra, Ozia e Ioatam a destra.

Sui rami superiori Achaz a sinistra, Manasse a destra.

Sulla sommità chiude la figura di Maria e Gesù.

Sotto la figura di Jesse è presente l'iscrizione: "VIRGA IESSE FLORVIT – VIRGO DEVM ET HOMINEN GENVIT – PACEM DEVS REDDIDIT". Un'altra iscrizione recita: "ET EGREDIETVR VIRGA DE RADICE IESSE ET FLOS E RADICE EIVS ASCENDETE ET REQVIESCET SVPER EVM SPIRITVS DOMINI ET PERCVTIET TERRAM VIRGA ORIS", entrambi tratte dall'Antico Testamento, Isaia, Capitolo XI.

Cappella del Coro - Dal presbiterio si accede alla Cappella del Coro, la cappella principale. La sontuosità e la magnificenza sono dovute al pittore Antonino Ferraro da Giuliana. Lavori eseguiti dal 1574 al 1577.

Anch'essa è coperta da cupola ed è ricca di affreschi e stucchi di carattere religioso risalenti al sedicesimo secolo. Qui la volta riporta quattro grandi ovali rappresentanti la Resurrezione, l'Assunzione, la Pentecoste e la Morte della Vergine, alternati alle immagini di GionaDavideSalomone e Daniele, al centro, con gesto benedicente l'immagine di Dio Padre Pantocratore.

Al decoro delle pareti del coro ritroviamo otto busti di Apostoli, quattro nicchie con Evangelisti e Padri della Chiesa, sei statue di rappresentanti dell'ordine dei predicatori, in senso orario: San Luca Evangelista e Sant'Agostino d'IpponaSanta Caterina da Siena e San Pietro MartireSan Giovanni Evangelista e San GregorioSan Domenico Guzmán e San Tommaso d'AquinoSan Matteo Evangelista e San GirolamoSant'Antonino Pierozzi e San Vincenzo FerreriSan Marco Evangelista e Sant'Ambrogio. Nei tondi San Giovanni BattistaSant'Andrea ApostoloSan Tommaso ApostoloSan Pietro ApostoloSan Paolo Apostolo e San Filippo ApostoloSan Giacomo ApostoloSan Bartolomeo Apostolo. Gli stemmi dell'Ordine domenicano a nord, della famiglia Tagliavia, di don Carlo d'Aragona Tagliavia. Una piccola loggia permetteva al nobile di partecipare alle celebrazioni.

Il sepolcro marmoreo dei principi Carlo d'Aragona Tagliavia e della moglie contessa Beatrice d'Aragona Tagliavia è collocato entro la tribuna maggiore sotto il titolo di «Santa Maria dello Spasimo». Il primitivo impianto privo dell'altare sotto l'arco gotico permetteva l'immediata visione dell'arca policroma posta fra i due reliquiari e sormontata dal dipinto raffigurante la Caduta sulla via del Calvario, riproduzione dello Spasimo di Sicilia di Raffaello Sanzio, dal quale deriva il titolo della tribuna. L'opera di Giovanni Paolo Fondulli reca il cartiglio che recita: "RAPHAEL URBINAS INVENTOR, IOANNES PAULUS FUNDULLI PICTOR CREMONENSIS MDLXXIIII". Anche questa opera è stata fortemente voluta da Carlo Aragona Tagliavia nel 1574, realizzazione disposta per volontà testamentaria.

Completa l'ambiente il sarcofago di Ferdinando d'Aragona Tagliavia † 1549, detto del Guerriero giacente.

Cripte - Cripta del «Rosario», locali ipogei per le sepolture in loculi, nicchie e ossari; Cripta dei "Magi"; Cripta di "San Domenico".

Convento di San Domenico - La presenza dei frati domenicani a Castelvetrano risale al 1470 per volere di Antonio Tagliavia presso la chiesa francescana di Santa Maria di Gesù.

Il 2 novembre 1553 il maestro genovese Nicolosio Pisano si obbligò a don Carlo Aragona Tagliavia, signore di Castelvetrano, e al priore del convento di Santa Maria di Gesù per costruire il refettorio, il capitolo, il chiostro, il dormitorio e quant'altro necessario.

Il convento accolse negli anni 18 religiosi e lettori tra i quali illustrissimi dotti come fra' Gian Battista Maiore al quale il Papa Paolo III affidò la gestione di numerose chiese, fra' Antonio Maria Cingales che fondò la Congregazione segreta. L'istituzione ospitò tre capitoli generali dell'ordine, ovvero assemblee di religiosi incaricati d'assicurare il corretto svolgimento del culto, verificare la vita religiosa e la corretta osservanza della regola dell'istituto. I capitoli documentati sono quelli del 1592, del 1714 e del 1805.

Il convento, adiacente alla chiesa, consta di un chiostro ricco di piante e colonne, a fianco al chiostro si collocano una serie di locali ognuno con una diversa funzione: il parlatorio con accesso verso settentrione alla sagrestia, verso levante al refettorio e la cucina, verso meridione era ubicata la sede della congregazione segreta di nobili e sacerdoti. Due ballatoi accanto alle celle dei frati, conducevano al primo piano destinato ad uffici, al secondo piano adibito a dormitorio.

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