Calatafimi
(Trapani)

 

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Situato fra le colline dell'agro segestano, il paese, più conosciuto con l'originario nome di Calatafimi, ha assunto la denominazione attuale soltanto nel 1997 grazie a una legge regionale presentata dall'allora sindaco e presidente dell'Assemblea Regionale Siciliana Nicola Cristaldi, in quanto nel suo territorio è ricompreso il sito archeologico di Segesta.  

Questo piccolo paese è al centro di un territorio che fu toccato dapprima dal mito, che narra come Eracle, attraversandolo, durante una delle sue fatiche, si sia ristorato presso le Terme Segestane. Il mito poi si fuse con la storia e in questo stesso territorio il troiano Enea, diretto verso il Lazio (dove i suoi discendenti avrebbero eretto Roma), avrebbe fondato la città di Acesta.

Calatafimi Segesta resta il centro abitato odierno più vicino, sia dal punto di vista geografico, che da quello etno-antropologico, all'antica civiltà degli Elimi, che popolarono Segesta. Calatafimi Segesta è infatti l'unico sopravvissuto dei tre insediamenti, che recentemente sono stati definiti le tre "Segeste medievali". Questi tre centri sorsero sul territorio di Segesta dopo il suo dissolvimento, ed in essi, nel Medioevo, si stabilì la popolazione che abitava il territorio segestano. Queste tre Segeste medievali furono:

- Calathamet, nei pressi delle attuali Terme Segestane;

- Calatabarbaro, sull'acropoli nord di Segesta, in cima al monte Barbaro;

- Calatafimi.

L'unica sopravvissuta delle tre fu proprio Calatafimi, mentre delle altre due non rimangono che i resti archeologici conservati, come quelli di Segesta, nel territorio di Calatafimi Segesta.

Nell'antichità Calatafimi sorgeva alle pendici di una collina dove sorgeva un castello, che cadde in abbandono; tra il VII e l'VIII sec. sui ruderi di tale castello venne edificato un nuovo castello, il Castello Eufemio, chiamato originariamente in latino "Castrum Phimes" (ossia "Castello di Phimes").

La città si sviluppò durante la dominazione araba in Sicilia (827 d.C. – 1061 d.C.), diventando uno dei principali centri musulmani della Sicilia occidentale. In questo periodo la collina nei pressi di Calatafimi fu chiamata in arabo Qal'at Fîmî, che vuol dire castello di Eufemio, da cui derivò il nome della città.

In seguito alla conquista del territorio da parte dei Normanni, avvenuta nel XII secolo, e per tutto il Medioevo fu un importante centro sia per la difesa del territorio che per la sua densità demografica. Il borgo fece parte del regio demanio fino a quando, nel 1336 Federico III di Aragona la concesse in feudo al figlio Guglielmo. Dopo la morte di Guglielmo, la città di Calatafimi passò in mano al fratello Giovanni e nel 1340 ad Eleonora, figlia di Giovanni, la quale si sposò con Guglielmo Peralta, detto "Guglielmone". Alla morte di Eleonora la città venne ceduta dunque dagli Aragona ai Peralta.

Portata in dote matrimoniale come baronia da Donna Violante de Prades a Bernardo Cabrera, Calatafimi appartenne alla Contea di Modica, insieme ad Alcamo, dal 1420 al 1802, quando fu incamerata nel demanio del Regno delle Due Sicilie ai Cabrera (dal 1407) ed in seguito agli Enriquez (dal 1565 fino al 1741) ed infine ai duchi d'Alba. Intanto, nel 1693, la città di Calatafimi venne scossa da un violento terremoto, che interessò anche altre città della Sicilia, soprattutto sulla costa orientale dell'isola.

Nel 1837 un'epidemia di colera colpì la popolazione calatafimese, mietendo molte vittime.

Nel 1838 l'architetto Emmanuele Palazzotto fu incaricato di progettare un Monte di Pietà. La città di Calatafimi venne annessa al Regno di Sardegna in seguito alla spedizione dei Mille, che proprio nel vicino colle di Pianto Romano affrontò, il 15 maggio 1860 le truppe borboniche in una celebre battaglia, la prima delle tante vittorie che porteranno all'unificazione d'Italia. Sul luogo dove avvenne lo scontro venne eretto un grande mausoleo, dove si conservano le spoglie dei caduti. Il mausoleo, conosciuto come sacrario di Pianto Romano, fu progettato dal celebre architetto Ernesto Basile.

Nel 1968 fu colpita dal terremoto che si abbatté nella Valle del Belice e che causò molte vittime. Questo avvenimento ha portato come conseguenza la nascita di un nuovo popoloso agglomerato di case nella contrada "Sasi" e la divisione fisica fra il vecchio paese (con il Borgo) e quello nuovo.

Con Legge regionale n. 18 del 1º settembre 1998 assunse la denominazione di Calatafimi Segesta, con decorrenza dalla delibera di Consiglio Comunale n. 48 del 20 marzo 1999. Il 2 aprile 2009 gli fu riconosciuto il titolo di "città".

L'area archeologica di Segesta, divenuta nel 2013 parco archeologico, comprende diversi siti. L'area, dagli anni novanta, è stata enormemente rivalutata grazie a numerose scoperte che hanno riguardato le rovine dell'antica città elima.

Il tempio dorico.

Il teatro.

Il santuario di contrada Mango.

La casa del navarca (epoca romana).

L'area medievale (mura di cinta, castello annesso al teatro, due chiese di epoca normanna, il quartiere medievale e la moschea).

Tra luoghi di interesse storico, si annoverano:

Il mausoleo di Pianto Romano: si trova a pochi chilometri da Calatafimi in direzione sud-ovest su un colle: in documenti dei primi anni del XVII secolo la contrada veniva chiamata Chianti di Rumanu (vigneto di giovani piante della famiglia Romano), ma oggi è nota come Pianto Romano. 

Su questo colle, a ricordo della famosa battaglia di Calatafimi tra i Garibaldini e l'esercito Borbonico, si erge il Monumento che custodisce i resti dei volontari garibaldini e dei soldati borbonici caduti nella battaglia del 15 maggio 1860. L'attuale Mausoleo, costruito su progetto dell'architetto Enrico Basile, è stato inaugurato il 15 maggio 1892.

Il Teatro Comunale Felice Cavallotti: provvisto di due file di palchi, del loggione e della platea, ha subìto diversi restauri. Si trova di fronte all'ex convento di San Francesco e fu fondato nel 1881 su iniziativa dell'illustre cav. Nicolò Rindello, patriota e pittore. Intitolato a Felice Cavallotti (1842-1898), letterato, giornalista e deputato, è stato aperto fino al 1962, ristrutturato dopo il sisma del 1968, e riaperto nel 2016.

La Casa-museo Garibaldi: si trova nella via Marconi, a pochi passi dal Palazzo Municipale. era la casa del Parroco Antonino Pampalone (1810-1866), fervente liberale e deputato per Calatafimi al Parlamento Siciliano del 1848. in questa casa furono ospitati Garibaldi e quattro suoi ufficiali il 16 maggio 1860. Dal suo balcone quel giorno il Generale parlò, fra gli applausi alla gente di Calatafimi, dell'unità d'Italia. Nel luglio 1862, Garibaldi fu di nuovo ospite in questa casa e visitò a Pianto Romano i luoghi della battaglia e la fossa comune, segnata da una semplice croce, che raccoglieva i resti dei caduti di entrambe le parti. Da questo stesso balcone parlò poi ai Calatafimesi, pronunciando, pare, per la prima volta il famoso motto "O Roma o morte".

Vicoli e cortili - Caratterizzano l’antico nucleo abitativo della città di Calatafimi Segesta, articolandosi in percorsi labirintici e tortuosi, di chiara matrice islamica. Oltre a vie di percorrenza, i vicoli sono stati, sino alla fine degli anni cinquanta, veri luoghi comunitari nei quali le famiglie si incontravano e discutevano di tutto ciò che oggi può essere argomentato in uno spazio pubblico.

Nei primi anni del 2000 sono state individuate nel vecchio centro storico, aree oramai fatiscenti per le scosse del terremoto del 1968, questi posti costituiti da piccoli cortili, lunghe scalinate o semplici archi in pietra e mura di un vissuto storico sono stati posti ad un vero e proprio arredo urbano diventando i caratteristici vicoli di Calatafimi Segesta, dando loro una storia e un significato legato alle tradizioni. 

Ognuno di essi ha una storia e un significato, alcuni vicoli si rifanno alle eroiche imprese di Garibaldi o alle tradizioni popolari, come il "Vicolo dei Proverbi" il primo ad essere realizzato nel Maggio 2002. Altri invece sono stati dedicati ai Ceti, alla loro storia, ai loro simboli e dunque alla Festa del SS. Crocifisso, una festa a cui tutti i calatafimesi sono fortemente legati e dove tutti i ceti partecipano con il loro folklore, in altri vicoli ad esempio possiamo ammirare le colorate farfalle in ceramica, i simboli del Sole, della Luna, dell'Aratro, della Trinacria, ma soprattutto tanti ricordi e immagini legati alle origini e all'orgoglio di questo piccolo borgo. Percorrerli significa vivere un’emozionante esperienza a contatto con la storia e le tradizioni della città.

Belvedere Francesco Vivona - Dal piano antistante il santuario del SS. Crocifisso, percorrendo il viale Oberdan ci si ritrova in un ampio piazzale panoramico, il Belvedere Francesco Vivona. Personaggio illustre della città, Francesco Vivona poeta, amico di Giovanni Pascoli a cui si deve la traduzione in endecasillabe scelti dall’Eneide di Virgilio.

Da questa posizione il 15 Maggio del 1860 il generale borbonico Francesco Landi, segui’ la battaglia di Pianto Romano. Per prevenire una insurrezione popolare, o assalti esterni, Calatafimi quel giorno venne presidiata da piu’di mille soldati napoletani, e due cannoni furono puntati contro l’abitato.

A occidente, in cima a una collina si staglia il Mausoleo di Pianto Romano, che custodisce i resti dei caduti della battaglia del 15 Maggio 1860, costruito su progetto dell’architetto palermitano Ernesto Basile.  

La ruota dei Proietti: scendendo per la piccola via Ospedale dal piazzale del SS. Crocifisso, dopo pochi passi, vicino ad una porta secondaria dell'ex Ospedale Civico, s'incontra "la ruota dei Proietti". In questo luogo venivano abbandonati alla pubblica assistenza i neonati non desiderati.

Il palazzo Zuaro - Questo palazzo sorge nell’area in cui un tempo si trovavano la chiesa di Maria SS. Della Catena (1501), e l’Ospedale Vecchio (1508) con annesso il Monte di Pietà. Questa, poi detta anche di San Sebastiano, era il luogo nel quale anticamente si teneva il Consiglio, dove cioè i rappresentanti dei cittadini si riunivano per trattare gli affari di carattere generale del Comune. 

Le fondamenta dell’attuale palazzo Zuaro ed i muri portanti erano destinati in origine alla costruzione della nuova chiesa Madre, che nel secolo XVII si voleva in un luogo più centrale e più facile ai fedeli, ma poi, quando si resero conto della inadeguatezza dell’area edificabile, si preferì vendere le fondazioni ed i muri portanti, già edificati, alla famiglia Zuaro, che vi costruì il suo palazzo.

Mura Medievali - Dal piazzale del SS Crocifisso, scendendo per le tortuose strade che attraversano la “Terra Vecchia”, il più antico quartiere di Calatafimi, ci si ritrova davanti alle Mura Medievali, la gente del quartiere le chiama “Mura dei Saraceni” anche se sembrano costruzioni dell’avanzato XII secolo, e di musulmano non hanno proprio niente. Esse nel passato cingevano Calatafimi, sono state costruite con muratura ad “opera incerta”, e della loro architettura non resta che una finestra murata con arco ad ogiva. 

La mattina del 15 Maggio 1860 sfilarono le truppe borboniche che si posizionarono successivamente in cima al colle di Pianto Romano, e rientrarono a Calatafimi disfatte. Per questa stessa strada all’alba del 16 Maggio Garibaldi entrò con pochi uomini a Calatafimi, recandosi all’altro Colle Tre Croci per osservare il nemico. Ma l’esercito borbonico, la notte precedente, aveva abbandonato Calatafimi in direzione Alcamo.

Il castello Eufemio, tipico esempio di architettura normanno-sveva, costruito a scopo difensivo. Si trova su una collina che sovrasta tutto il paese. Di esso si hanno documenti scritti solo a partire della metà del XII secolo, allorché il viaggiatore e geografo Edrisi lo descrive come "un castello antico, primitivo con un borgo popolato". 

Nella metà del XII secolo è uno dei castelli imperiali utilizzati dalle truppe di Federico II nella lotta contro i ribelli musulmani; fu poi il castello dei feudatari di Calatafimi e dei governatori che in alcuni periodi lo amministrarono per conto della Corona. Nel 1282, durante la rivolta dei Vespri, dimorava in esso il feudatario, il provenzale Gugliemo Porcelet, che, essendo amato dai suoi sudditi, fu risparmiato dai rivoltosi e rimandato incolume con i suoi familiari in Provenza. Fu poi presidio militare e prigione fino al 1868, anno in cui fu abbandonato.

Calatafimi Segesta ha circa 30 chiese che, al loro interno, conservano numerose statue marmoree della scuola di Antonello Gagini e svariate tele. Di ottima fattura sono gli affreschi neoclassici della chiesa della Madonna del Giubino.

Chiesa madre di San Silvestro Papa - La sua origine risale al XII secolo. È intitolata a San Silvestro Papa, il più antico patrono di Calatafimi Segesta, che secondo la tradizione popolare protesse la cittadina dalle incursioni dei musulmani ribelli al potere imperiale.

Con l'ampliarsi nel tempo del primitivo nucleo urbano e l'aumentare della sua popolazione, l'edificio originario, essendo troppo piccolo per contenere i fedeli, fu sottoposto tra il XV e il XVIII secolo a ripetuti ampliamenti e modifiche. Per la sua larghezza è stata il luogo delle grandi assemblee popolari, come quella del 1655 che portò all'elezione di Maria Santissima di Giubino come Patrona di Calatafimi contro l'invasione di cavallette che stava distruggendo i raccolti.

La facciata è spoglia di decorazioni. Nell'interno a tre ampie navate, separate da colonne, prevale lo stile rinascimentale, anche se non mancano elementi di sobrio barocco. Nell'abside si trova un polittico marmoreo, opera degli scultori carraresi Bartolomeo Berrettaro e Giuliano Mancino nel 1516. La chiesa custodisce inoltre un sarcofago in marmo con le spoglie di Giuliano Truglio, risalente al XVIII secolo.

Chiesa di San Michele Arcangelo - Il culto di san Michele fu un tempo assai vivo a Calatafimi e la sua festa, che cadeva l'8 maggio, era accompagnata da "iorni quindici di franchezza di ogni gabella", cioè per quindici giorni non si pagava la gabella sulle merci. Questa chiesa, che fu in origine della confraternita di San Michele Arcangelo, ospitò per qualche tempo le spoglie del beato Arcangelo Placenza da Calatafimi, che vennero successivamente trasferite nella Chiesa di Santa Maria di Gesù ad Alcamo.

Nel 1596 la confraternita concesse la chiesa ai Frati di Terz'Ordine di San Francesco che la ampliarono e accanto vi edificarono il loro convento. Avendo subito notevoli danni durante il terremoto del Belice del 1968, l'attuale tetto in legno a capriate è opera di una ricostruzione successiva. L'interno della chiesa è diviso in tre navate, in stile neoclassico e barocco, ciascuna provvista di un portale. La chiesa contiene un'acquasantiera del XVI secolo, una statua di san Michele Arcangelo del 1490 e diversi stucchi e dipinti.

Chiesa del Santissimo Crocifisso - Il santuario del Santissimo Crocifisso, in stile barocco con influenze neoclassiche, si erge là dove un giorno sorgeva la piccola ed antichissima chiesa di Santa Caterina d'Alessandria.

Nella sacrestia di quella piccola chiesa, nei giorni 23, 24 e 25 giugno del 1657, un antico Crocifisso ligneo produsse una serie di miracolose guarigioni, la cui presunta autenticità è attestata dai documenti dell'epoca e dall'edificazione dell'attuale santuario (dal 1741 al 1759), che sostituì l'antica chiesetta. 

Il progetto fu commissionato all'architetto trapanese Giovanni Biagio Amico e la sua edificazione fu sostenuta interamente dal popolo calatafimese. In seguito alle manifestazioni miracolose del 1657, ebbe inizio la solenne singolare festa del Santissimo Crocifisso, nella quale confluirono assieme fede religiosa e antichissime tradizioni, e che si ripete da più di tre secoli. 

La chiesa presenta una pianta longitudinale a navata unica; lungo le pareti si trovano tre altari per lato. L'altare principale è chiuso da un'edicola classica dal timpano curvilineo, che si inserisce armonicamente nel complesso, reso omogeneo dagli stucchi e dalle dorature sulle pareti.

All'interno sono conservati:

- il busto in marmo di Nicolò Mazzara, opera del 1882 del palermitano Domenico Costantino;

- il quadro raffigurante Sant'Eligio e Sant'Atanasio, con la Madonna ed il Bambino Gesù in una corona di angeli, opera di Gaetano Mercurio del 1768;

- un dipinto di Santa Caterina d'Alessandria, opera di Gaetano Mercurio;

- il dipinto del simulacro della Madonna di Trapani, con San Nicola e Sant'Alberto, circondati dagli angeli, opera del trapanese Domenico La Bruna del 1760;

- un dipinto dei Santi Crispino e Crispiniano, opera di Gaetano Mercurio del 1767;

- gli affreschi sulle volte, sulla navata e sulla tribuna, dipinti da Diego Norrito nel 1772;

- un dipinto del Cuore di Gesù, opera del Gianbecchina del 1961;

- due dipinti che rappresentano scene del Vecchio Testamento, opere di Gaetano Mercurio.

Santuario di città di Maria Santissima di Giubino - La Chiesa del Giubino, dedicata alla patrona della città, fu costruita tra il 1721 e il 1734. E ad unica navata, con un'elegante volta a botte decorata con affreschi e motivi ornamentali. All'interno ci sono alcune opere di rilievo: la tela dell'Assunta, una Madonna degli Angeli con i Santi del 1617, la pala di Tutti i Santi, un organo in legno del ‘700 e un altorilievo in marmo del ‘400 che rappresenta la Madonna del Giubino con Bambino. 

Nel 1655 un'invasione di cavallette stava distruggendo tutto il raccolto nelle campagne di Calatafimi: il popolo, riunitosi in chiesa, decise che, dopo aver messo in un'urna i nomi di tutti i santi che avevano un altare nelle chiese del paese, sarebbe stato scelto come patrono quello estratto. Invocato lo Spirito Santo, venne sorteggiato il biglietto con il nome di Maria Santissima di Giubino. 

La parte centrale del trittico con l'immagine della Vergine fu dunque tolta in tutta fretta dalla parete nella chiesa campestre di Giubino e portata in processione: Calatafimi fu libera dalle cavallette, Maria Santissima di Giubino fu eletta patrona della città (25 aprile 1655) e il bassorilievo della Vergine di Giubino fu poi posizionato sull'altare maggiore della nuova chiesa, progettata da Giovanni Biagio Amico (lo stesso progettista della chiesa del Santissimo Crocifisso) nel 1721. 

Nel 1931 il trittico venne ricomposto nel santuario di città e restaurato. La chiesa fu sottoposta ad un restauro nel 1978.

Chiesa di San Giuliano Martire - Si affaccia sulla piazza Francesco Cangemi ed è una chiesa antichissima, eretta a parrocchia nel 1619. All'esterno presenta una facciata con vetrata a motivi sacri e il portone incorniciato da paraste a capitelli corinzi, sormontati da un frontone triangolare. All'interno ci sono diverse statue lignee e dipinti.

Ex Convento di San Francesco d'Assisi - Fondato nel 1543 da Giovan Giacomo Gullo, barone di Arcauso, apparteneva ai Frati minori conventuali. Dopo l'abolizione del convento, l'edificio fu adibito a scuola pubblica. Oggi è la sede del pittoresco ed interessante Museo Etno-Antropologico ed espone strumenti e antichi attrezzi di lavoro, oggetti di uso domestico e mobilio. Trasmette così, in maniera diretta e efficace, il patrimonio, le consuetudini e le memorie delle generazioni passate.