Siti
archeologici
Sull'area
archeologica di Siracusa sono stati spesi
fiumi d'inchiostro. Gli autori più diversi
l'hanno descritta e raccontata minuziosamente, rivoltando ogni
episodio storico, ogni aneddoto, ogni dettaglio architettonico. Non esiste
pietra che non sia stata più volte fotografata, in ogni condizione di
luce, e anche con le immagini sono stati riempiti ponderosi volumi. Ma c'è
qualcosa che nessuno è in grado di trasmettere: sono le emozioni che si
provano quando, con la mente colma di quel che si è letto e visto prima
di andar via da casa, si arriva nella Neapolis, il cuore archeologico di
Siracusa. Qui si incontrano i resti più imponenti della città antica, la
colonia greca nata sull'isola di Ortigia nell'VIII secolo a.C.,
"sbarcata" in seguito sulla terraferma in nome di uno sviluppo
impetuoso.
È
quasi impossibile descrivere cosa si prova quando, seduti sui gradini di
pietra del teatro, lustri per l'usura millenaria, si assiste nell'ombra
trasparente di una sera siciliana alla rappresentazione delle tragiche
vicende di Medea, di Edipo o di Oreste. O quando dentro all'orecchio di
Dionisio, la più famosa grotta delle latomie - le cave di pietra che
hanno "nutrito" l'edilizia della città antica -, si pensa che
proprio qui nel 1608 si trovava Caravaggio, affascinato quanto noi dagli
strabilianti effetti acustici di questa cavità artificiale.
Le
guide turistiche, raggiunto il centro della grotta, improvvisano brani
d'opera o il ritornello di Volare per dimostrare ai visitatori come i
suoni si moltiplichino, fino a sedici volte, fra le pareti di pietra. Fu
per questo motivo che proprio Caravaggio battezzò il luogo con il curioso
appellativo con cui oggi lo conosciamo. Probabilmente la persona che
l'accompagnava gli aveva raccontato l'aneddoto secondo il quale il tiranno
Dionisio I, giunto al potere nel 405 a.C., era solito sistemarsi al di
sopra della grotta per ascoltare, grazie alla straordinaria acustica, ogni
bisbiglio degli schiavi costretti a cavare pietra per lui. Schiavi a
migliaia, che fecero un ottimo lavoro: è stato calcolato che se si
dovessero riunire in un unico cumulo le pietre estratte dalle latomie, si
creerebbe una montagna dal volume di cinque milioni di metri cubi.
D'altra
parte, per costruire quella che da Cicerone fu definita una delle più
belle città del mondo, di pietra ce ne voleva, e tanta. A Siracusa si
facevano le cose in grande. Le mura volute da Dionisio I, ad esempio,
erano una ciclopica "linea Maginot" di 22 chilometri; la
residenza del tiranno occupava l'intera isola di Ortigia, svuotata di
popolo e fortificata, e il magnifico tempio dorico di Atena (sorto nel V
secolo a.C., oggi inglobato nel duomo) era una delle meraviglie della
Magna Grecia, con porte d'oro e d'argento finemente cesellate.
La
Neapolis, il nuovo quartiere monumentale cresciuto tra VI e V secolo a.C.,
non era da meno. Basta guardare il teatro, il più grande della Sicilia e
fra i maggiori del mondo greco, fondato nel V secolo a.C. e ristrutturato
nel III. Ci potevano stare sedute 16 mila persone; sulla sua scena si
rappresentavano le opere più "alla moda" e, vista l'importanza
della città - che non temeva di rivaleggiare, anche culturalmente, con
Atene -, non mancavano le prime assolute, come quella dei Persiani di
Eschilo. Deteneva il primato di grandezza nel suo genere anche l'ara
voluta da Ierone II nel III secolo avanti Cristo, enorme altare di pietra
che spunta da un prato alla sinistra del teatro. Evidentemente a Siracusa
volevano essere certi di avere il favore degli dei, e per questo non
badavano a spese: l'altare fu realizzato con proporzioni gigantesche perché
lì sopra si potessero macellare contemporaneamente centinaia di buoi.
Provate solo a immaginare lo "spettacolo".
Anche
i Romani, quando nel 212 a.C. si impadronirono di Siracusa, non seppero
sottrarsi a questo desiderio di grandeur. L'anfiteatro che costruirono,
scavandolo in parte nella roccia, era gigantesco, appena più piccolo di
quello di Verona; allagandolo, era possibile farci perfino le battaglie
navali. A dire la verità, ci vuole un po' di fantasia per ricostruire le
imponenti dimensioni di tutti questi monumenti, visto che nel '500, quando
dovevano essere ancora ben conservati, gli spagnoli che all'epoca
governavano la Sicilia decisero di trasformarli, per così dire, in comode
cave. Fu così che marmi e pietre furono divelti senza pietà e destinati
al rafforzamento delle fortificazioni di Ortigia. Il teatro, per esempio,
fu privato del tutto delle strutture originarie della scena e le file di
gradini scesero da 67 a 46. Intanto, le volte delle latomie crollavano, a
causa dell'indebolimento delle pareti e della friabilità della pietra e,
colonizzate dalle piante mediterranee, si trasformavano in lussureggianti
giardini, ben diverse dal luogo di pena che erano state.
L'intera
Neapolis, insomma, cambiò radicalmente aspetto. Fu solo al principio del
'900 che qualcosa cominciò a muoversi, in maniera più sistematica, in
termini di protezione e recupero, grazie alle prime edizioni della
rassegna di teatro antico che quest'anno è al suo 44° ciclo. Così, in
un certo senso, possiamo dire che è stata la drammaturgia a salvare
l'archeologia, e che è grazie a Eschilo, Sofocle, Epicarmo se possiamo
passeggiare nella Neapolis e se il teatro di Siracusa è tornato a essere
un monumento splendido, una conchiglia di candido calcare aperta
sull'orizzonte marino orlato di cipressi.

Il
disegno mostra un'ipotesi ricostruttiva della città dopo la conquista
romana, quando il vasto anfiteatro si è ormai aggiunto, ultimo grande
intervento, ai monumenti dell'età greca. L'abitato è protetto dalle mura
di Dionisio I e diviso in cinque zone: l'isola di Ortigia, nucleo
originario della città, le residenziali Acradina e Tyche, la monumentale
Neapolis e l'Epipoli, con funzioni militari. Le principali emergenze sono
oggi visibili all'interno dell'area archeologica della Neapolis, vasta 240
mila metri quadrati, realizzata negli anni 50 del '900 unificando lo
spazio attorno a monumenti fino a quel momento separati, in parte
all'interno di proprietà private. Eliminate opere di età moderna,
intorno ai resti sono realizzate zone verdi e impiantate macchie di
alberi.
La
passeggiata archeologica è divisa in due parti dal viale Paradiso: a
sinistra si trovano il grandioso anfiteatro romano (1), del II-III secolo
d.C., lungo 140 metri (il Colosseo ne misura 188), e l'imponente ara (2)
fatta costruire per le cerimonie sacrificali pubbliche da lerone II
(III-II secolo a.C.), lunga quasi 200 metri. A destra del viale e il
teatro (3), documentato già nei V secolo a.C., modificato nel III e
ancora in epoca romana. Al suo fianco è l'ampia voragine della latomia
del Paradiso (4), la profonda e vasta cava ingombra di blocchi crollati e
a tratti invasa da una fitta vegetazione. Di qui si raggiungono la cavità
dell'orecchio di Dionisio e la grotta dei Cordari, a lungo utilizzata come
luogo di produzione di cordame. Seguono la latomia dell'lntagliatella (5)
e quella più piccola di Santa Venera (6), sovrastata dalla necropoli
Grotticelli (7), con sepolcri databili fra il VII secolo a.C. e l'età
bizantina, tra cui la cosiddetta tomba di Archimede. Conclusa la visita al
parco, l'itinerario archeologico può proseguire toccando alcuni altri
luoghi interessati dalle attività di scavo. Dirigendosi verso il mare si
incontra il ginnasio Romano (8), costituito da un tempio e da un piccolo
teatro del I secolo d.C.. Raggiunta l'isola di Ortigia si possono vedere i
resti del tempio di Apollo (9), del VI secolo a.C., e quelli del tempio di
Atena (10), del V secolo a.C., inseriti nella struttura dei duomo. Dalla
parte opposta, a difesa dell'altopiano dell'Epipoli, sorgono i resti dei
castello Eurialo (11), eretto tra il 402 e il 397 contro gli attacchi
cartaginesi.
Chiesa
San Nicolò ai Cordari
Venne
costruita in epoca normanna subito dopo il periodo della dominazione
araba nella città aretusea. Precedentemente nel sito dove ora sorge la
piccola chiesa vi era un'altra costruzione religiosa di epoca paleocristiana con
struttura basilicale. Nel periodo bizantino la chiesa
divenne sotterranea.
Sotto
di essa si trova la cosiddetta Piscina Romana; ovvero dei grandi
serbatoi d'acqua ricavati tagliando la pietra delle latomie. Queste
condotte idriche naturali servivano ai siracusani nei tempi dell'Antica
Roma per riempire d'acqua l'anfiteatro romano di Siracusa e
dare inizio ai giochi nautici e lotte acquatiche.
Nella
chiesa di San Nicolò ai Cordari nel 1093 vennero celebrati i
funerali del conte di Siracusa, Giordano d'Altavilla,
figlio del gran conte Ruggero I di Sicilia.
I
normanni la vollero dedicare a san Nicolò di Mira, santo a cui il
popolo nordico si rivolse affinché fosse aiutato nello scacciare gli
arabi dalla città di Siracusa. Qualche secolo dopo la chiesa venne
sconsacrata e abbandonata poiché la popolazione siracusana durante
l'epoca medievale (periodo angioino, periodo spagnolo, periodo
austriaco, periodo borbonico) si ridusse notevolmente di numero, divenendo
così esigua da occupare la sola isola di Ortigia, circondata da
spesse fortificazioni che incoraggiarono il popolo a orientare la propria
esistenza solo all'interno dell'isola fortificata. Dunque tutto ciò che
vi era fuori, come la piccola chiesa di San Nicola, venne abbandonato.
Nel 1577 la
chiesa fu concessa ai cordari (fabbricatori di corde artigianali) che
lavoravano le loro corde nelle latomie della Neapolis, poste oltre la
chiesa. Ecco perché oggi è detta chiesa di San Nicolò ai Cordari o
chiesa di San Nicolò dei Cordari, poiché venne frequentata dalle
famiglie siracusane dei cordari. La chiesa divenne in seguito un deposito
per il grano. I suoi sotterranei negli anni della peste, verso il 1600,
furono adoperati come "fossa comune".
Nei
primi anni del novecento la città riprese a crescere e ripopolando le
antiche zone di Siracusa si riprese anche la frequentazione della chiesa
di Neapolis che con l'istituzione del Parco nel 1955 divenne la
sede dell'ufficio informazioni per i visitatori che si apprestavano a
visitare il vasto parco archeologico. La chiesa ne rappresentava e ne
rappresenta tutt'oggi l'ingresso. Al suo interno attualmente si trova un
piccolo museo fotografico dove sono esposte le fotografie d'epoca di tutti
i monumenti siracusani situati all'interno del Parco della Neapolis.
La
sua pianta è rettangolare e la sua struttura architettonica risulta
abbastanza integra. Di stile austero, misura metri 16 x 8, ha due portali
ad arco cuspidato, di cui uno è laterale. La chiesa è infine chiusa da
un piccolo abside di forma semicircolare con una cornice
terminale, la quale rappresenta l'unico elemento decorativo delle mura.
Nell'abside sono visibili delle strette e lunghe finestre, anch'esse di
modeste dimensioni, con forma arcuata.
Negli
anni novanta vennero fatti dei restauri nella chiesa e vennero scoperte al
di sotto della sua pavimentazione delle sepolture databili al I-III
secolo. La pavimentazione venne poi ricoperta con della barra di plexiglas trasparente,
per cui alcuni di questi scheletri sono visibili dall'interno della chiesa
guardando verso il basso.
La
Piscina romana
Si tratta di
grandi serbatoi d'acqua ricavati tagliando la pietra delle latomie.
Queste condotte idriche naturali servivano ai siracusani, ai tempi dell'Antica
Roma, per riempire d'acqua l'anfiteatro
romano di Siracusa e dare inizio ai giochi nautici e alle
lotte acquatiche.
Anfiteatro
romano
L'Anfiteatro
romano è una
delle realizzazioni edilizie più rappresentative della prima età imperiale romana.
Si trova nella
zona archeologica, che comprende il Teatro greco e l'ara di Ierone II; il suo orientamento
diverge da quello degli edifici della Neapolis e del teatro e segue
probabilmente quello dell'impianto urbanistico realizzato in età
tardoclassica e noto dalla strada scoperta nell'area del santuario
demetriaco di piazza della Vittoria in Acradina. All'anfiteatro giungeva
l'asse viario che dal quartiere di Acradina raggiungeva la Neapolis,
strada che entrava alla Neapolis attraverso un arco trionfale di
epoca augustea, secondo Gentili, che lo avvicina all'arco di Susa. Dell'arco siracusano restano solo le fondazioni e i
primi filari dei piloni. Tra l'arco e l'anfiteatro vi era una fontana
monumentale, alimentata da una grande cisterna, sinora non identificata,
mentre la grande cisterna tuttora conservata sotto la vicina chiesa di San
Nicola alimentava l'anfiteatro stesso.
È
in gran parte scavato nella roccia e per la costruzione della parte nord
orientale si è sfruttato il pendio della balza rocciosa la medesima nella
quale, a breve distanza, erano state ricavate la cavea del teatro greco e
le grandi latomie dette del Paradiso, di S. Venera e dell'Intagliatella.
Quasi nulla resta invece della parte superiore, costruita.
L'anfiteatro,
riportato alla luce nel 1839 da duca di
Serradifalco - ha
dimensioni monumentali: sembra si possa valutare lungo m 140 e largo m
119).
Il monumento ha
due ingressi ed è servito da un articolato sistema di scale che scendono
dalla quota superiore posta all'esterno. L'arena era dotata, al centro, di un ampio vano rettangolare, originariamente
coperto, collegato attraverso un passaggio sotterraneo con l'estremità
meridionale del monumento, sull'asse del corridoio di ingresso: si tratta
di opere sotterranee necessarie per i macchinari utilizzati durante gli
spettacoli. Intorno all'arena la cavea è distinta da un alto podio, dietro il quale corre un
corridoio coperto con varchi per l'accesso all'arena dei gladiatori e delle belve. Al di sopra sono ricavati i primi gradini,
riservati a personaggi di rango. Le iscrizioni incise sui blocchi del
parapetto.
A quote più
alte vi sono altri due ambulacri coperti a volta (che si svolgono sotto la cavea), mentre un terzo ambulacro si svolgeva a coronamento del
monumento, ed era provvisto di un portico forse colonnato.
Dagli ambulacri anulari una serie di passaggi radiali consentiva l'accesso
alle gradinate dei vari settori della cavea.
Dall'anfiteatro
inoltre provengono quattro frammenti in calcare pertinenti ad una grande
iscrizione monumentale che secondo Gentili doveva, verosimilmente,
coronare l'ingresso maggiore a sud.
Secondo Lugli risalirebbe all'età augustea o al periodo giulioclaudio
(metà del I sec. d.C.) secondo Golvin.
Arco
trionfale di Augusto

L'arco
(largo 10 metri, profondo 6 metri, alto complessivamente circa 13 metri)
era costruito con un nucleo interno in opera a sacco e rivestimento in
opera quadrata di blocchi di calcare bianco, lavorati esternamente a
bugnato rustico. Su di un basso zoccolo furono individuati, per entrambi i
piloni, tre filari dell'elevato, più quattro blocchi del quarto filare
nel pilone sud.
Il
monumento presentava un prospetto principale volto a est, al quale erano
forse applicate colonne o lesene angolari. La fronte ovest, più semplice,
forse non aveva un ordine applicato.
Lo
scavo non ha restituito documentazione riferibile ad un eventuale apparato
figurativo.
L'arco
subì parziali modifiche tra la fine del II e gli inizi del III secolo
d.C. e ancora alla fine del VII secolo d.C. con l'innalzamento del piano
del fornice e la costruzione di una scalinata sulla facciata orientale
Il
monumento sorgeva al termine di un'importante strada della città, con
andamento est-ovest; essa divideva probabilmente il quartiere dell'Akradina da
quello della Neapolis. Innalzato in un punto della strada
fiancheggiato a nord e a sud da aree adibite a quartieri di abitazione
privata, l'arco si
trovava a breve distanza, verso est, dall'ingresso meridionale all'anfiteatro.
Discusso è il rapporto, anche cronologico, con quest'ultimo: è tuttavia
possibile che l'arco costituisse una sorta di ingresso monumentale
all'area antistante l'accesso da sud all'anfiteatro.
Sarcofagi
di pietra romani e case ellenistiche
Si tratta di
sarcofagi di epoca romani provenienti da diverse necropoli siracusane e
posti nei pressi dell'Anfiteatro. Sempre in quella zona si trovano dei
resti architettonici di case dell'epoca ellenistica.
Ara
di Ierone II
Parlando
della prosperità della Sicilia nel periodo di Timoleonte e in quello
immediatamente successivo, Diodoro ricorda gli edifici più importanti
allora costruiti a Siracusa: tra questi cita due monumenti dovuti a Ierone
II: l'Olympieion presso l'agorà e l'altare presso il teatro, che era
lungo uno stadio e alto e largo in proporzione. Siamo così in grado di
identificare senza possibilità di dubbio l'Ara di Ierone II nel
lunghissimo basamento, del quale rimane quasi solo la parte intagliata
nella roccia, ancora visibile circa 100 m a sud-est del teatro. Si tratta
di un nucleo ricavato dalla roccia (la parte costruita fu demolita dagli
Spagnoli nel XVI secolo) lungo 198,40 m, misura che corrisponde
approssimativamente alla lunghezza di uno stadio olimpico (192 m),
confermando così l'affermazione di Diodoro.
La
larghezza massima era quella della testata nord (22,60 m), che costituiva
uno dei due ingressi (insieme all'opposta testata sud) alla piattaforma
superiore. L'ingresso della rampa nord era fiancheggiato da due telamoni:
restano i piedi di quello di destra. È possibile che all'altare
appartenga anche la statua di satiro, anch'essa con funzione di telamone,
trovata nei paraggi e conservata al museo di Siracusa (non è escluso però
che essa appartenga al teatro, come l'altra rappresentante una menade.
L'ampia
piazza a ovest dell'altare era circondata su tre lati da un portico
allungato, costituito da 14 colonne sui lati brevi e da 64 sul lato lungo;
questo era interrotto al centro da un propileo. In mezzo alla piazza era
una grande vasca, con al centro un basamento, probabilmente destinato a
sostenere una statua. Un canale di drenaggio costruito in blocchi si
distacca dalla vasca, attraversando il portico. Numerose cavità sulla
superficie del piazzale erano probabilmente destinate a ospitare alberi:
l'area era dunque occupata da un giardino.
Il
portico, che sostituisce una più antica strada incassata nella roccia
(nella quale erano ricavate numerose nicchie votive), fu aggiunto
all'altare in un secondo tempo (forse in età augustea). Ignoriamo a quale
divinità fosse dedicato l'altare, che è il più grande conosciuto del
mondo greco. Si è pensato a Zeus Eleutherios (« liberatore »), al
quale, dopo l'espulsione nel 466 dell'ultimo dei Dinomenidi, Trasibulo, fu
dedicata una statua colossale, in onore del quale veniva celebrata la
festa delle Eleutheria, con il sacrifìcio di 450 tori (Diodoro, XI 72,
2): le dimensioni del sacrificio spiegherebbero quelle dell'Ara.
Teatro
greco

Il teatro greco
di Siracusa è un teatro costruito
nella sua prima fase nel V
secolo a.C., situato all'interno del Parco
archeologico della Neapolis, sulle pendici sul lato sud del colle Temenite e rifatto nel III
secolo a.C. e ancora ritrasformato in epoca
romana.
Il teatro
arcaico- L'esistenza di un teatro a Siracusa viene menzionata già alla
fine del V secolo a.C. dal mimografo Sofrone, che cita il
nome dell'architetto, Damocopos, detto Myrilla per aver fatto spargere
unguenti (“myroi”) all'inaugurazione. Non è dimostrato, però, che il
passo ricordi questo monumento, potendosi pensare ad altro teatro posto in
un altro luogo. È stato ipotizzato che in quest'epoca il teatro non
avesse ancora la forma a semicerchio, che diventerà canonica alla fine
del IV secolo a.C. e nel corso del III a.C., ma potesse essere costituito
da gradinate rettilinee, disposte a trapezio. Diodoro
Siculo riferisce l'arrivo a Siracusa di Dionisio nel 406
a.C. nel momento in cui il popolo usciva da un teatro. Plutarco racconta invece dell'irruzione di un toro infuriato nel teatro durante
un'assemblea cittadina (355
a.C.), e dell'arrivo in carro di Timoleonte nel 336
a.C., mentre il popolo vi era riunito, testimoniando l'importanza dell'edificio
nella vita pubblica.
Il teatro
ellenistico - Sembra che il teatro sia stato sottoposto a un intervento di
ristrutturazione nel III secolo a.C. dopo il 238 e certamente prima della morte di Gerone
II il 215
a.C., nella forma che oggi vediamo. La sua costruzione era
stata progettata tenendo conto sia della forma naturale del colle
Temenite, che della possibilità di sfruttare al massimo l'acustica. Tipica caratteristica dei teatri greci è anche la valorizzazione della
visione panoramica, cui il teatro di Siracusa non doveva essere esente,
offrendo la visione dell'arco del porto e dell'isola
di Ortigia, nonostante la scena probabilmente coprisse parte della visuale.
La cavea aveva un diametro di 138,60 metri, uno dei più grandi del mondo greco, ed
era in origine costituita da 67 ordini di gradini, per la maggior parte
scavati nella roccia viva e divisi in 9 settori ("cunei") da
scalinate. A metà altezza correva una precinzione ("diazoma")
che la divideva in due settori. Sulla recinzione sono incisi in
corrispondenza dei cunei nomi di divinità (Zeus Olimpio, Eracle) e di membri della famiglia reale (lo stesso Gerone II, sua moglie
Filistide, la nuora Nereide, figlia di Pirro e il figlio Gelone
II), che hanno spinto alcuni autori a considerare le iscrizioni medesime utili
per una datazione del monumento e se non della costruzione della sua
rilavorazione. Le file superiori di gradini, oggi scomparse, erano
costruite e poggiavano sopra un terrapieno sostenuto da muri di
contenimento. Sull'asse centrale della gradinata è scavata nella roccia
una zona che può aver consentito la realizzazione di una tribuna, forse
destinata a personaggi di particolare rilievo.
L'orchestra era in origine delimitata da un ampio euripo (canale scoperto), oltre il
quale una fascia precedente l'inizio dei gradini era destinata ad ospitare
il pubblico.
L'edificio
scenico è interamente scomparso e ne sono visibili solo i tagli
realizzati nella roccia, riferibili a diverse fasi e di difficile lettura.
All'epoca di Gerone II appartiene probabilmente un passaggio scavato sotto
l'orchestra, accessibile con una scaletta dal palcoscenico e terminante in
una stanzetta: questo allestimento è stato ipoteticamente identificato
con le "scale carontee", che permettevano improvvise scomparse o
apparizioni degli attori. Ancora a questa fase dovrebbe appartenere una
prima fossa per il sipario (che nel teatro antico non veniva calato dall'alto, bensì issato verso
l'alto). Le tracce di un elemento a cui dovevano sovrapporsi colonne e
pilastri sono state interpretate come residui di una piccola scena mobile
per le farse
fliaciche. Alla decorazione della scena apparteneva probabilmente
la statua di una cariatide, attualmente conservata nel Museo che riunisce i materiali scavati o
recuperati nel Teatro Museo
archeologico regionale Paolo Orsi.
Al di sopra del
teatro, si trova una terrazza, scavata nella roccia, accessibile da una
gradinata centrale e da una strada incassata, nota come "via dei
Sepolcri". in origine la terrazza ospitava un grande portico ed al
centro della parete di fondo fu inquadrata una preesistente grotta-ninfeo scavata nella roccia, fiancheggiata da nicchie destinate probabilmente ad
ospitare statue e in origine probabilmente inserita tra membranature
architettoniche di ordine dorico intagliate nella parete (di esse restano
solo parti di un fregio). All'interno il vano (9,35 x 6,35 m, alt. 4,75 m)
era dotato di una vasca rivestita in cocciopesto, nella quale sgorgava l'acqua dell'antico acquedotto greco detto "del ninfeo". Da qui l'acqua si immetteva nel sistema
idraulico del teatro.
Eschilo rappresentò a Siracusa nel 470
a.C. "Le Etnee" (tragedia scritta per celebrare la rifondazione di
Catania con il nome di Aitna o di un centro con nome Aitna dove avevano trovato rifugio gli esuli
catanesi in seguito alla distruzione della calcidese Katane ad opera di Gerone
I). Anche i
Persiani, già rappresentata ad Atene nel 472
a.C. dovrebbe essere stata rappresentata a Siracusa. Quest'ultima opera è
giunta fino a noi, mentre la prima è andata perduta. Alla fine del secolo
V a.C. o agli inizi del IV a.C. vi furono rappresentate
probabilmente le opere di Dionisio
I e dei tragediografi ospitati alla sua corte, tra cui Antifonte. Secondo la tradizione greca l'attività teatrale, essendo considerata una
forma di attività istituzionale, era concessa a tutti i cittadini, anche
ai più poveri, tramite il Teorico
(fondo), un fondo creato per le attività di questo tipo.
Le attività
teatrali persero di importanza durante la dominazione romana, dove presero
il sopravvento anche gli spettacoli dei gladiatori.
Il teatro in
epoca romana - Importanti modifiche furono attuate nel teatro, forse al
momento della deduzione della colonia, nella prima età
augustea. La cavea venne modificata in forma semicircolare, tipica dei teatri
romani, anziché a ferro di cavallo, come d'uso per i teatri greci e
furono realizzati i corridoi che permettevano l'accesso all'edificio
scenico (parodoi). La stessa scena venne ricostruita in forme monumentali con nicchia
rettangolare al centro e due nicchie a pianta semicircolare sui lati,
nelle quali si aprivano le porte sceniche. Fu inoltre scavata una nuova
fossa per il sipario, con la sua camera di manovra. Nell'orchestra venne
interrato l'antico euripo, sostituito da un nuovo canale, molto più
stretto e a ridosso dei gradini della cavea, ampliando il diametro da 16 m
a 21,40 m. La decorazione della scena subì forse dei rifacimenti in epoca
flavia e/o antoniniana.
In epoca
tardo-imperiale si ebbero altre consistenti modifiche, destinate ad
adattare l'orchestra a giochi acquatici e fu probabilmente arretrata la
scena. Non esistono invece tracce di adattamenti che consentissero di
ospitare combattimenti di gladiatori o spettacoli con belve in genere
rappresentati dall'eliminazione dei primi gradini della cavea allo scopo
di consentire la realizzazione di un podio a protezione degli spettatori.
Del resto questi spettacoli continuavano probabilmente a tenersi nell'anfiteatro, presente a Siracusa sin dall'epoca augustea.
Rimasto in
abbandono per lunghi secoli, subì a partire dal 1526 una progressiva
spoliazione a opera degli Spagnoli di Carlo
V, che
sfruttarono i blocchi di pietra già tagliati per costruire le nuove
fortificazioni attorno Ortigia: scomparvero in tal modo l'edificio scenico e la parte superiore delle
gradinate. Dopo la seconda metà del Cinquecento, il marchese di Sortino, Pietro Gaetani, riattivò a proprie spese l'antico
acquedotto che portava l'acqua sulla sommità del teatro, favorendo
l'insediamento di diversi mulini
installati sulla cavea: di questi
resta ancora visibile la cosiddetta “casetta dei mugnai” che si erge
sulla sommità della cavea.
Sul
finire del Settecento riprese l'interesse per il teatro che venne menzionato e riprodotto dagli eruditi dell'epoca (Arezzo, Fazello, Mirabella, Bonanni) e da famosi viaggiatori (d'Orville, von
Riedesel, Saint-Non, Houel, Denon ecc.). Nel secolo successivo si ebbero vere e proprie campagne di scavo,
grazie all'interesse del Landolina e del Cavallari che si occuparono di
liberare il monumento dalla terra che vi si era accumulata.
Successivamente le indagini archeologiche proseguirono ad opera di P.
Orsi e di altri archeologi, fino a quelle del 1988 ad opera di Voza.
A partire dal 1914 l'Istituto
nazionale del dramma antico (INDA) inaugurò nell'antico teatro le annuali rappresentazioni
di opere greche (la prima fu la tragedia Agamennone di Eschilo, curata da Ettore
Romagnoli). Dopo l'interruzione degli spettacoli causata dalla prima
guerra mondiale, le rappresentazioni classiche ritornarono sulla scena nel 1921 con le Coefore
di Eschilo. Per l'occasione giunge a Siracusa anche Filippo
Tommaso Marinetti che il 18 e il 19 aprile terrà delle conferenze per ribadire la posizione
progressista del Futurismo di fronte ad una rappresentazione del passato. Per l'occasione viene anche
scritto il Manifesto futurista per le rappresentazioni classiche di
Siracusa con cui si ribadisce la linea critica dei futuristi. Proprio per
l'importanza delle rappresentazioni nel 1930 il re Vittorio
Emanuele III in visita a Siracusa assisterà ad una delle rappresentazioni al teatro
greco.
Dal
2010 il Teatro è uno dei monumenti del Servizio Parco Archeologico di
Siracusa e delle aree archeologiche dei Comuni limitrofi, organo
periferico della Regione Siciliana, Assessorato Regionale dei Beni
Culturali e dell'Identità Siciliana.
Il
disegno propone una ricostruzione del teatro greco di Siracusa. Così
doveva apparire alla fine del III secolo a.C., dopo i profondi interventi
di ristrutturazione operati durante il regno di Ierone II su una
preesistente struttura di cui si hanno poche notizie. Già nel V secolo
a.C. la città era tra i più importanti centri teatrali del mondo greco,
patria adottiva di Epicarmo, considerato il padre della commedia greca.
Con i suoi 139 metri di diametro - per un'altezza tra orchestra e sommità
della cavea di 19 metri - e i 67 ordini di gradini, era uno dei maggiori
teatri dell'epoca. Oltre che per le rappresentazioni veniva utilizzato
anche come sede delle assemblee del popolo.
PARODOI
- Il pubblico accedeva al teatro attraverso due corridoi d'ingresso
ricavati tra la cavea e l'edificio scenico.
PINAKES
- Tra i pilastri alla base del palcoscenico erano sistemati grandi
dipinti, spesso raffiguranti soggetti mitologici.
SKENE
- Alle spalle del palco, la scena aveva carattere architettonico. Simulava
la facciata di un palazzo con tre grandi porte. Un ampio corridoio di
passaggio divideva in due parti la grande cavea, in grado di ospitare
oltre 16 mila spettatori.
PROSKENION
- Il palcoscenico era sopraelevato rispetto alla cavea, retto nella parte
frontale da dieci pilastri.
ANALEMMATA
- Solo per le ali estreme furono necessari muri di sostegno. Il resto
della cavea era scavato nel calcare della collina.
DIAZOMATA
- Un ampio corridoio di passaggio divideva in due parti la grande cavea.
in grado di ospitare oltre 16.00 spettatori.
ACUSTICA
- Recenti ricerche hanno confermato che l'ottima acustica dei teatri greci
si deve alla riflessione sui gradini delle onde sonore.
KERKIDES
- La cavea era divisa in 9 grandi "spicchi" separati da scale
(Klimakes) convergenti verso l'orchestra.
ORCHESTRA
- Desinata all'esibizione del coro, in epoca greca era circolare. I Romani
la adattarono per tenervi i giochi circensi.
Grotta
del Ninfeo
La grotta del
Ninfeo è una cavità artificiale scavata nella roccia del colle Temenite (dal greco Temenos ovvero "recinto sacro")
sito presso il Parco archeologico della Neapolis di Siracusa.
La grotta si
trova vicino alla parte più elevata del piccolo rilievo montuoso, su una
terrazza rettangolare che costeggia il teatro
greco e si apre al centro della parete rocciosa dove un tempo si trovava un porticato chiuso a forma di lettera "L".
Al suo ingresso erano poste delle statue dedicate alle Muse, tre delle quali (datate II
secolo a.C.) sono pervenute ai nostri giorni ed esposte al Museo
archeologico regionale Paolo Orsi. La fontana si ispira al culto greco delle ninfe, divinità della natura. Da esse deriva il nome di Ninfeo, ovvero di fontana monumentale adornata di elementi decorativi.
Il Ninfeo
siracusano si pensa fosse l'antica sede del Mouseion (il santuario delle
muse), sede della Corporazione degli artisti, dove gli attori siracusani
si riunivano prima di scendere nel teatro per recitare le loro commedie o tragedie al tempo di Epicarmo e di Eschilo.
La grotta
presenta un soffitto a volta e al suo
interno vi è una vasca di forma rettangolare nella quale si raccoglie
l'acqua che scorre a cascata da una cavità posta nel fondo della parere
rocciosa. Accanto alla parete d'ingresso si notano delle edicole votive
che servivano per la pratica del culto degli eroi (Pìnakes).
Ad est della Grotta del Ninfeo è visibile l'ultimo mulino
ad acqua di epoca
spagnola giunto fino ai nostri giorni. Esso riceveva l'acqua dalla grotta e la
riversava verso il teatro dopo averla utilizzata per la macinazione del
grano. Dal Ninfeo si giunge alla via
dei Sepolcri e da lì alla cima del colle dove sorgono altri monumenti greco-romani.
L'acqua che
giunge all'interno della grotta proviene da due diversi acquedotti; uno è detto "acquedotto del Ninfeo", di epoca
greca, e prende il nome dalla grotta del terrazzo Temenite mentre l'altro
è l'acquedotto
Galermi, anch'esso di epoca greca.
Mulini
di Galerme
I
Mulini di Galerme furono un complesso di mulini ad acqua posti sopra
la cavea del Teatro Greco di Siracusa e risalenti ad epoca
tardo-medievale. Prendono il nome dall'acquedotto Galermi. Di questo
complesso oggi è rimasta visibile solamente la cosiddetta casetta dei
mugnai, una sorta di torre collegata al periodo storico dei Mulini di
Galerme i quali vennero edificati al tempo del feudalesimo siciliano
intorno alla zona del colle Temenite.
Interessante
da un punto di vista architettonico doveva essere l'alto Ponte canale dei
mulini, anch'esso demolito nel periodo ottocentesco.
Sotto
l'intatta casetta dei mugnai è stata ritrovata una grotticella funeraria
a forno, databile al periodo siculo, ritrovamento importante poiché dà
l'ulteriore conferma che il rilievo del Temenite fu frequentato già in
epoca pre-greca.
Via
dei Sepolcri
È una
suggestiva strada lunga 150 metri che conduce alla cima del Colle
Temenite. Attraversandola si notano le alte pareti rocciose che la
circondano da entrambi i lati e le edicole votive che vi furono scavate
lungo tutto il tragitto.
Siracusa
avendo un'importante tradizione greca conosceva e praticava il culto
degli Eroi che erano, in epoca antica, considerati dei
"Semidei". Poi, in epoca greca successiva, quando si parlava di
"Eroe" si intendeva un "defunto" che si era
particolarmente distinto in vita e per questo da morto meritava di essere
"eroicizzato", ovvero di essere onorato e venerato come si
veneravano gli eroi mortali.
La
Via è in salita e curva prima verso ovest e poi verso nord.
Essa conduce nel punto più alto del Colle siracusano. Salita la Via dei
Sepolcri si giunge sulla cima del rilievo montuoso detto Colle
Temenite. Qui sono stati individuati i resti del Santuario di Apollo
Temenite (terrmine greco "Temenos" che significa "Recinto
sacro") che dà il suo nome all'intero Colle.
Latomia
del Paradiso
La
latomia del Paradiso è la più grande della Neapolis e quella posta più
ad occidente, vicino l'Ara di Ierone II.
Il
suo percorso è solo parzialmente visitabile, poiché alcuni punti sono
chiusi e non percorribili. In alcuni suoi tratti raggiunge la
considerevole profondità di 45 metri. Da essa si estraevano i blocchi di
pietra più grandi.
Al
suo interno si aprono delle grandi cavità chiamate Orecchio di Dionisio, Grotta
dei Cordari e Grotta del Salnitro.
Orecchio
di Dionisio
L'Orecchio di
Dionisio (o Orecchio di Dionigi) è una grotta artificiale che si trova
nell'antica cava di pietra detta latomia del Paradiso, sotto il Teatro
Greco di Siracusa. Scavata nel calcare, è alta circa 23 m, larga dai 5 agli 11 m e si
sviluppa in profondità per 65 m, con un andamento ad S che lo rende anche
un luogo di amplificazione acustica dei suoni.
La
ragione di questo andamento deriva dalla presenza di un antico acquedotto
nella parte superiore della grotta. Da quella traccia i costruttori
scavarono verso il basso creando poi la forma attuale. Proprio questa
conformazione particolarmente sinuosa delle pareti lascia aperto
l'interrogativo sul suo reale utilizzo. Se cioè fosse soltanto una cava o
se servisse per amplificare i suoni.
Secondo la
leggenda, la sua particolare forma ad orecchio d'asino fece coniare al
pittore Caravaggio, recatosi nella città aretusea nel 1608 in compagnia dello storico siracusano Vincenzo
Mirabella, l'espressione Orecchio di Dionisio. Secondo la tradizione infatti il
tiranno Dionisio fece scavare la grotta dove rinchiudeva i prigionieri e, appostandosi
all'interno di una cavità superiore, ascoltava i loro discorsi. Grazie
alla sua forma, l'Orecchio di Dionisio possiede caratteristiche acustiche
tali da amplificare i suoni fino a 16 volte.
Secondo le
ricostruzioni di Eliano, Dionisio avrebbe rinchiuso il poeta Filosseno, con la
colpa di non apprezzare le opere letterarie del tiranno, in questo luogo o
nella vicina "Grotta dei cordari". Eliano afferma infatti che il
poeta era stato rinchiuso: "nella grotta più bella delle Latomie,
dove aveva composto il suo capolavoro, il Ciclope: grotta che in seguito
aveva preso il suo nome".

Sempre all'interno del parco archeologico sorgono una serie di
interessanti complessi tombali: la Via dei Sepolcri (dove si tributava ai defunti il culto degli
Eroi), i sarcofagi romani siti nei pressi dell'anfiteatro e la necropoli Grotticelli, il cui tratto più importante è
dato dalla tomba di Archimede, detta presunta poiché il periodo e il
luogo dello scavo in realtà non coincidono con ciò che si racconta
sull'uccisione e sulla sepoltura del famoso matematico: egli infatti,
secondo Cicerone, fu sepolto a sud di Siracusa: forse nei pressi del fiume
Ciane, ma la perdita della tomba originaria (contrassegnata dalla figura
di una sfera e di un cilindro) e la tradizione formatasi nei secoli hanno consacrato questo sito come
simbolica tomba del più noto tra gli antichi siracusani.
Le necropoli sono l'elemento strutturale più presente nei siti
archeologici aretusei: l'area geografica è famosa per la peculiarità sicula di scavare i propri sepolcri dandogli le fattezze di un alveare: Pantalica è l'esempio maggiore di ciò, ma anche a Siracusa si
rinviene nelle pareti calcaree questa millenaria usanza. Essa ha dodici gruppi di necropoli che vanno
dall'VIII sec. a.C. all'epoca bizantina; per citare alcune delle più
grandi e antiche (oltre alla su menzionata Groticelli): a sud-ovest della
città si trova la necropoli del Fusco, al centro quella dell'Ospedale
civile e di Santa Panagia, mentre a nord vi è il largo perimetro della
necropoli della Targia.
Altri siti significativi sono dati dal Foro siracusano (antica agorà della pentapoli in seguito divenuto forum) e dai monumenti che compongono il Ginnasio
romano.
Tra i resti delle più antiche civiltà si segnalano: a nord i siti
archeologici di Stentinello
e della penisola
di Tapsos, mentre a sud Ognina, la quale oltre a mostrare i segni di arcaici
contatti con gli abitanti di Malta, conserva i resti architettonici delle
successive epoche storiche.
Grotta
dei Cordari
La
Grotta dei Cordari è un'altra cavità artificiale. Prende il suo nome
dall'attività dei fabbricatori di corde artigianali, all'opera già
dall'epoca medievale e fino alla seconda metà del '900. Proprio in questa
grotta si narra che venissero rinchiusi i prigionieri del tiranno Dionisio
I.
Il
poeta Filosseno di Citera, che contraddisse il tiranno pungendolo sulla
sua scarsa vena poetica, venne rinchiuso diverse volte nella latomia del
Paradiso, dove compose la sua più nota opera intitolata Ciclope.
Esiste però un dubbio se si trattasse dell'Orecchio di Dionisio o della
Grotta dei Cordari, poiché secondo le testimonianze di Claudio Eliano,
Filosseno venne rinchiuso «nella grotta più bella delle Latomie» ed
entrambe queste grotte, sia per il taglio che per i colori prodotti, sono
di notevole bellezza.
Necropoli
Grotticelle
Lasciando
la latomia di Santa Venera si giunge alla parte finale del parco che
comprende la Necropoli Grotticelle, anch'essa visibile dall'esterno
del parco poiché si trova nei pressi di una densa zona urbana.
Alcuni
scavi effettuati nei pressi di questa necropoli hanno riportato alla luce
un tratto di strada e delle strutture murarie d'epoca pre-greca o greca,
inoltre sono stati trovati i resti di quello che potrebbe essere stato un
edificio sacro edificato su una precedente costruzione di epoca più
arcaica.
All'interno
della necropoli esistono numerose tombe sia d'epoca sicula che greca e
romana. Le tombe a fossa del periodo siculo e greco non sono molto
visibili mentre spiccano le tombe a camera d'epoca imperiale romana.
Presunta
Tomba di Archimede
Tra
queste tombe a camera vi è la presunta "Tomba di
Archimede". Si tratta della più vistosa e presenta in rilievo delle
semicolonne doriche e sopra, sempre scolpito sulla roccia, un frontone a timpano.
Con il tempo questa tomba è stata appellata come la Tomba di
Archimede, dato che l'odierna popolazione siracusana ha ritenuto la tomba
più maestosa potesse solo essere quella del più illustre siracusano di
tutti i tempi. Ma si sono sbagliati, perché questa tomba è stata datata
al periodo romano imperiale, dunque molti secoli dopo il tempo di
Archimede, ed inoltre al suo interno sono state rinvenute delle urne
cinerarie, ed è risaputo che i sicelioti siracusani non avevano l'usanza
delle ceneri ma bensì quella della sepoltura. I romani invece usavano le
ceneri e il colombario romano della Neapolis lo dimostra. Data
la sua grandezza e la sua posizione, si è pensato che essa fosse dedicata
a illustri personalità siracusane-romane di quel periodo.
Il luogo
dove si trova la vera Tomba di Archimede è tutt'oggi sconosciuto. Le
ipotesi variano dalla Via dei Sepolcri, ad Acradina, presso il fiume Ciane,
ma quale sia il vero luogo non è stato attualmente scoperto. Cicerone fu
l'unico ad avere lasciato testimonianza scritta sul luogo esatto del
sepolcro di Archimede, poiché fu egli a ritrovarlo durante la sua
permanenza in Sicilia.
Trovò la
tomba dell'illustre matematico abbandonata e dimenticata dai siracusani
che cento cinquant'anni dopo l'Assedio romano, che portò all'uccisione di
Archimede e alla presa della polis, sembravano aver perso la memoria di ciò
che era accaduto nella loro patria e insistevano nel dire a Cicerone che
Archimede non poteva trovarsi a Siracusa, altrimenti loro lo avrebbero
certamente saputo. Ma Cicerone li smentì cercando con determinazione la
tomba di Archimede, fino a quando la trovò.
Una
sfera ed un cilindro, i simboli posti dal generale romano Marco
Claudio Marcello per onorare la tomba del famoso matematico
inventore. Cicerone parla del Ciane e di molti sepolcri, dunque il luogo
della vera tomba di Archimede sembrerebbe trovarsi o alla Neapolis oppure
all'Acradina, entrambe vicine al lato sud delle porte aretusee alle quali
fa riferimento l'oratore romano.

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Agosto
2019
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