Siracusa e Necropoli di Pantalica

 

 

Siti archeologici

Sull'area archeologica di Siracusa sono stati  spesi fiumi d'inchiostro. Gli autori più diversi  l'hanno descritta e raccontata minuziosamente, rivoltando ogni episodio storico, ogni aneddoto, ogni dettaglio architettonico. Non esiste pietra che non sia stata più volte fotografata, in ogni condizione di luce, e anche con le immagini sono stati riempiti ponderosi volumi. Ma c'è qualcosa che nessuno è in grado di trasmettere: sono le emozioni che si provano quando, con la mente colma di quel che si è letto e visto prima di andar via da casa, si arriva nella Neapolis, il cuore archeologico di Siracusa. Qui si incontrano i resti più imponenti della città antica, la colonia greca nata sull'isola di Ortigia nell'VIII secolo a.C., "sbarcata" in seguito sulla terraferma in nome di uno sviluppo impetuoso.

È quasi impossibile descrivere cosa si prova quando, seduti sui gradini di pietra del teatro, lustri per l'usura millenaria, si assiste nell'ombra trasparente di una sera siciliana alla rappresentazione delle tragiche vicende di Medea, di Edipo o di Oreste. O quando dentro all'orecchio di Dionisio, la più famosa grotta delle latomie - le cave di pietra che hanno "nutrito" l'edilizia della città antica -, si pensa che proprio qui nel 1608 si trovava Caravaggio, affascinato quanto noi dagli strabilianti effetti acustici di questa cavità artificiale. 

Le guide turistiche, raggiunto il centro della grotta, improvvisano brani d'opera o il ritornello di Volare per dimostrare ai visitatori come i suoni si moltiplichino, fino a sedici volte, fra le pareti di pietra. Fu per questo motivo che proprio Caravaggio battezzò il luogo con il curioso appellativo con cui oggi lo conosciamo. Probabilmente la persona che l'accompagnava gli aveva raccontato l'aneddoto secondo il quale il tiranno Dionisio I, giunto al potere nel 405 a.C., era solito sistemarsi al di sopra della grotta per ascoltare, grazie alla straordinaria acustica, ogni bisbiglio degli schiavi costretti a cavare pietra per lui. Schiavi a migliaia, che fecero un ottimo lavoro: è stato calcolato che se si dovessero riunire in un unico cumulo le pietre estratte dalle latomie, si creerebbe una montagna dal volume di cinque milioni di metri cubi.  

D'altra parte, per costruire quella che da Cicerone fu definita una delle più belle città del mondo, di pietra ce ne voleva, e tanta. A Siracusa si facevano le cose in grande. Le mura volute da Dionisio I, ad esempio, erano una ciclopica "linea Maginot" di 22 chilometri; la residenza del tiranno occupava l'intera isola di Ortigia, svuotata di popolo e fortificata, e il magnifico tempio dorico di Atena (sorto nel V secolo a.C., oggi inglobato nel duomo) era una delle meraviglie della Magna Grecia, con porte d'oro e d'argento finemente cesellate.

La Neapolis, il nuovo quartiere monumentale cresciuto tra VI e V secolo a.C., non era da meno. Basta guardare il teatro, il più grande della Sicilia e fra i maggiori del mondo greco, fondato nel V secolo a.C. e ristrutturato nel III. Ci potevano stare sedute 16 mila persone; sulla sua scena si rappresentavano le opere più "alla moda" e, vista l'importanza della città - che non temeva di rivaleggiare, anche culturalmente, con Atene -, non mancavano le prime assolute, come quella dei Persiani di Eschilo. Deteneva il primato di grandezza nel suo genere anche l'ara voluta da Ierone II nel III secolo avanti Cristo, enorme altare di pietra che spunta da un prato alla sinistra del teatro. Evidentemente a Siracusa volevano essere certi di avere il favore degli dei, e per questo non badavano a spese: l'altare fu realizzato con proporzioni gigantesche perché lì sopra si potessero macellare contemporaneamente centinaia di buoi. Provate solo a immaginare lo "spettacolo".

Anche i Romani, quando nel 212 a.C. si impadronirono di Siracusa, non seppero sottrarsi a questo desiderio di grandeur. L'anfiteatro che costruirono, scavandolo in parte nella roccia, era gigantesco, appena più piccolo di quello di Verona; allagandolo, era possibile farci perfino le battaglie navali. A dire la verità, ci vuole un po' di fantasia per ricostruire le imponenti dimensioni di tutti questi monumenti, visto che nel '500, quando dovevano essere ancora ben conservati, gli spagnoli che all'epoca governavano la Sicilia decisero di trasformarli, per così dire, in comode cave. Fu così che marmi e pietre furono divelti senza pietà e destinati al rafforzamento delle fortificazioni di Ortigia. Il teatro, per esempio, fu privato del tutto delle strutture originarie della scena e le file di gradini scesero da 67 a 46. Intanto, le volte delle latomie crollavano, a causa dell'indebolimento delle pareti e della friabilità della pietra e, colonizzate dalle piante mediterranee, si trasformavano in lussureggianti giardini, ben diverse dal luogo di pena che erano state.

L'intera Neapolis, insomma, cambiò radicalmente aspetto. Fu solo al principio del '900 che qualcosa cominciò a muoversi, in maniera più sistematica, in termini di protezione e recupero, grazie alle prime edizioni della rassegna di teatro antico che quest'anno è al suo 44° ciclo. Così, in un certo senso, possiamo dire che è stata la drammaturgia a salvare l'archeologia, e che è grazie a Eschilo, Sofocle, Epicarmo se possiamo passeggiare nella Neapolis e se il teatro di Siracusa è tornato a essere un monumento splendido, una conchiglia di candido calcare aperta sull'orizzonte marino orlato di cipressi.

Il disegno mostra un'ipotesi ricostruttiva della città dopo la conquista romana, quando il vasto anfiteatro si è ormai aggiunto, ultimo grande intervento, ai monumenti dell'età greca. L'abitato è protetto dalle mura di Dionisio I e diviso in cinque zone: l'isola di Ortigia, nucleo originario della città, le residenziali Acradina e Tyche, la monumentale Neapolis e l'Epipoli, con funzioni militari. Le principali emergenze sono oggi visibili all'interno dell'area archeologica della Neapolis, vasta 240 mila metri quadrati, realizzata negli anni 50 del '900 unificando lo spazio attorno a monumenti fino a quel momento separati, in parte all'interno di proprietà private. Eliminate opere di età moderna, intorno ai resti sono realizzate zone verdi e impiantate macchie di alberi. 

La passeggiata archeologica è divisa in due parti dal viale Paradiso: a sinistra si trovano il grandioso anfiteatro romano (1), del II-III secolo d.C., lungo 140 metri (il Colosseo ne misura 188), e l'imponente ara (2) fatta costruire per le cerimonie sacrificali pubbliche da lerone II (III-II secolo a.C.), lunga quasi 200 metri. A destra del viale e il teatro (3), documentato già nei V secolo a.C., modificato nel III e ancora in epoca romana. Al suo fianco è l'ampia voragine della latomia del Paradiso (4), la profonda e vasta cava ingombra di blocchi crollati e a tratti invasa da una fitta vegetazione. Di qui si raggiungono la cavità dell'orecchio di Dionisio e la grotta dei Cordari, a lungo utilizzata come luogo di produzione di cordame. Seguono la latomia dell'lntagliatella (5) e quella più piccola di Santa Venera (6), sovrastata dalla necropoli Grotticelli (7), con sepolcri databili fra il VII secolo a.C. e l'età bizantina, tra cui la cosiddetta tomba di Archimede. Conclusa la visita al parco, l'itinerario archeologico può proseguire toccando alcuni altri luoghi interessati dalle attività di scavo. Dirigendosi verso il mare si incontra il ginnasio Romano (8), costituito da un tempio e da un piccolo teatro del I secolo d.C.. Raggiunta l'isola di Ortigia si possono vedere i resti del tempio di Apollo (9), del VI secolo a.C., e quelli del tempio di Atena (10), del V secolo a.C., inseriti nella struttura dei duomo. Dalla parte opposta, a difesa dell'altopiano dell'Epipoli, sorgono i resti dei castello Eurialo (11), eretto tra il 402 e il 397 contro gli attacchi cartaginesi.  

Chiesa San Nicolò ai Cordari

Venne costruita in epoca normanna subito dopo il periodo della dominazione araba nella città aretusea. Precedentemente nel sito dove ora sorge la piccola chiesa vi era un'altra costruzione religiosa di epoca paleocristiana con struttura basilicale. Nel periodo bizantino la chiesa divenne sotterranea.

Sotto di essa si trova la cosiddetta Piscina Romana; ovvero dei grandi serbatoi d'acqua ricavati tagliando la pietra delle latomie. Queste condotte idriche naturali servivano ai siracusani nei tempi dell'Antica Roma per riempire d'acqua l'anfiteatro romano di Siracusa e dare inizio ai giochi nautici e lotte acquatiche.

Nella chiesa di San Nicolò ai Cordari nel 1093 vennero celebrati i funerali del conte di Siracusa, Giordano d'Altavilla, figlio del gran conte Ruggero I di Sicilia.

I normanni la vollero dedicare a san Nicolò di Mira, santo a cui il popolo nordico si rivolse affinché fosse aiutato nello scacciare gli arabi dalla città di Siracusa. Qualche secolo dopo la chiesa venne sconsacrata e abbandonata poiché la popolazione siracusana durante l'epoca medievale (periodo angioino, periodo spagnolo, periodo austriaco, periodo borbonico) si ridusse notevolmente di numero, divenendo così esigua da occupare la sola isola di Ortigia, circondata da spesse fortificazioni che incoraggiarono il popolo a orientare la propria esistenza solo all'interno dell'isola fortificata. Dunque tutto ciò che vi era fuori, come la piccola chiesa di San Nicola, venne abbandonato.

Nel 1577 la chiesa fu concessa ai cordari (fabbricatori di corde artigianali) che lavoravano le loro corde nelle latomie della Neapolis, poste oltre la chiesa. Ecco perché oggi è detta chiesa di San Nicolò ai Cordari o chiesa di San Nicolò dei Cordari, poiché venne frequentata dalle famiglie siracusane dei cordari. La chiesa divenne in seguito un deposito per il grano. I suoi sotterranei negli anni della peste, verso il 1600, furono adoperati come "fossa comune".

Nei primi anni del novecento la città riprese a crescere e ripopolando le antiche zone di Siracusa si riprese anche la frequentazione della chiesa di Neapolis che con l'istituzione del Parco nel 1955 divenne la sede dell'ufficio informazioni per i visitatori che si apprestavano a visitare il vasto parco archeologico. La chiesa ne rappresentava e ne rappresenta tutt'oggi l'ingresso. Al suo interno attualmente si trova un piccolo museo fotografico dove sono esposte le fotografie d'epoca di tutti i monumenti siracusani situati all'interno del Parco della Neapolis.

La sua pianta è rettangolare e la sua struttura architettonica risulta abbastanza integra. Di stile austero, misura metri 16 x 8, ha due portali ad arco cuspidato, di cui uno è laterale. La chiesa è infine chiusa da un piccolo abside di forma semicircolare con una cornice terminale, la quale rappresenta l'unico elemento decorativo delle mura. Nell'abside sono visibili delle strette e lunghe finestre, anch'esse di modeste dimensioni, con forma arcuata.

Negli anni novanta vennero fatti dei restauri nella chiesa e vennero scoperte al di sotto della sua pavimentazione delle sepolture databili al I-III secolo. La pavimentazione venne poi ricoperta con della barra di plexiglas trasparente, per cui alcuni di questi scheletri sono visibili dall'interno della chiesa guardando verso il basso.  

La Piscina romana

Si tratta di grandi serbatoi d'acqua ricavati tagliando la pietra delle latomie. Queste condotte idriche naturali servivano ai siracusani, ai tempi dell'Antica Roma, per riempire d'acqua l'anfiteatro romano di Siracusa e dare inizio ai giochi nautici e alle lotte acquatiche.

Anfiteatro romano

L'Anfiteatro romano è una delle realizzazioni edilizie più rappresentative della prima età imperiale romana.

Si trova nella zona archeologica, che comprende il Teatro greco e l'ara di Ierone II; il suo orientamento diverge da quello degli edifici della Neapolis e del teatro e segue probabilmente quello dell'impianto urbanistico realizzato in età tardoclassica e noto dalla strada scoperta nell'area del santuario demetriaco di piazza della Vittoria in Acradina. All'anfiteatro giungeva l'asse viario che dal quartiere di Acradina raggiungeva la Neapolis, strada che entrava alla Neapolis attraverso un arco trionfale di epoca augustea, secondo Gentili, che lo avvicina all'arco di Susa. Dell'arco siracusano restano solo le fondazioni e i primi filari dei piloni. Tra l'arco e l'anfiteatro vi era una fontana monumentale, alimentata da una grande cisterna, sinora non identificata, mentre la grande cisterna tuttora conservata sotto la vicina chiesa di San Nicola alimentava l'anfiteatro stesso.

È in gran parte scavato nella roccia e per la costruzione della parte nord orientale si è sfruttato il pendio della balza rocciosa la medesima nella quale, a breve distanza, erano state ricavate la cavea del teatro greco e le grandi latomie dette del Paradiso, di S. Venera e dell'Intagliatella. Quasi nulla resta invece della parte superiore, costruita.

L'anfiteatro, riportato alla luce nel 1839 da duca di Serradifalco - ha dimensioni monumentali: sembra si possa valutare lungo m 140 e largo m 119).

Il monumento ha due ingressi ed è servito da un articolato sistema di scale che scendono dalla quota superiore posta all'esterno. L'arena era dotata, al centro, di un ampio vano rettangolare, originariamente coperto, collegato attraverso un passaggio sotterraneo con l'estremità meridionale del monumento, sull'asse del corridoio di ingresso: si tratta di opere sotterranee necessarie per i macchinari utilizzati durante gli spettacoli. Intorno all'arena la cavea è distinta da un alto podio, dietro il quale corre un corridoio coperto con varchi per l'accesso all'arena dei gladiatori e delle belve. Al di sopra sono ricavati i primi gradini, riservati a personaggi di rango. Le iscrizioni incise sui blocchi del parapetto.

A quote più alte vi sono altri due ambulacri coperti a volta (che si svolgono sotto la cavea), mentre un terzo ambulacro si svolgeva a coronamento del monumento, ed era provvisto di un portico forse colonnato.
Dagli ambulacri anulari una serie di passaggi radiali consentiva l'accesso alle gradinate dei vari settori della cavea
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Dall'anfiteatro inoltre provengono quattro frammenti in calcare pertinenti ad una grande iscrizione monumentale che secondo Gentili doveva, verosimilmente, coronare l'ingresso maggiore a sud. Secondo Lugli risalirebbe all'età augustea o al periodo giulioclaudio (metà del I sec. d.C.) secondo Golvin.

Arco trionfale di Augusto

L'arco (largo 10 metri, profondo 6 metri, alto complessivamente circa 13 metri) era costruito con un nucleo interno in opera a sacco e rivestimento in opera quadrata di blocchi di calcare bianco, lavorati esternamente a bugnato rustico. Su di un basso zoccolo furono individuati, per entrambi i piloni, tre filari dell'elevato, più quattro blocchi del quarto filare nel pilone sud.

Il monumento presentava un prospetto principale volto a est, al quale erano forse applicate colonne o lesene angolari. La fronte ovest, più semplice, forse non aveva un ordine applicato.

Lo scavo non ha restituito documentazione riferibile ad un eventuale apparato figurativo. 

L'arco subì parziali modifiche tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.C. e ancora alla fine del VII secolo d.C. con l'innalzamento del piano del fornice e la costruzione di una scalinata sulla facciata orientale

Il monumento sorgeva al termine di un'importante strada della città, con andamento est-ovest; essa divideva probabilmente il quartiere dell'Akradina da quello della Neapolis. Innalzato in un punto della strada fiancheggiato a nord e a sud da aree adibite a quartieri di abitazione privata, l'arco si trovava a breve distanza, verso est, dall'ingresso meridionale all'anfiteatro. Discusso è il rapporto, anche cronologico, con quest'ultimo: è tuttavia possibile che l'arco costituisse una sorta di ingresso monumentale all'area antistante l'accesso da sud all'anfiteatro.

Sarcofagi di pietra romani e case ellenistiche

Si tratta di sarcofagi di epoca romani provenienti da diverse necropoli siracusane e posti nei pressi dell'Anfiteatro. Sempre in quella zona si trovano dei resti architettonici di case dell'epoca ellenistica.

Ara di Ierone II

Parlando della prosperità della Sicilia nel periodo di Timoleonte e in quello immediatamente successivo, Diodoro ricorda gli edifici più importanti allora costruiti a Siracusa: tra questi cita due monumenti dovuti a Ierone II: l'Olympieion presso l'agorà e l'altare presso il teatro, che era lungo uno stadio e alto e largo in proporzione. Siamo così in grado di identificare senza possibilità di dubbio l'Ara di Ierone II nel lunghissimo basamento, del quale rimane quasi solo la parte intagliata nella roccia, ancora visibile circa 100 m a sud-est del teatro. Si tratta di un nucleo ricavato dalla roccia (la parte costruita fu demolita dagli Spagnoli nel XVI secolo) lungo 198,40 m, misura che corrisponde approssimativamente alla lunghezza di uno stadio olimpico (192 m), confermando così l'affermazione di Diodoro. 

La larghezza massima era quella della testata nord (22,60 m), che costituiva uno dei due ingressi (insieme all'opposta testata sud) alla piattaforma superiore. L'ingresso della rampa nord era fiancheggiato da due telamoni: restano i piedi di quello di destra. È possibile che all'altare appartenga anche la statua di satiro, anch'essa con funzione di telamone, trovata nei paraggi e conservata al museo di Siracusa (non è escluso però che essa appartenga al teatro, come l'altra rappresentante una menade.

L'ampia piazza a ovest dell'altare era circondata su tre lati da un portico allungato, costituito da 14 colonne sui lati brevi e da 64 sul lato lungo; questo era interrotto al centro da un propileo. In mezzo alla piazza era una grande vasca, con al centro un basamento, probabilmente destinato a sostenere una statua. Un canale di drenaggio costruito in blocchi si distacca dalla vasca, attraversando il portico. Numerose cavità sulla superficie del piazzale erano probabilmente destinate a ospitare alberi: l'area era dunque occupata da un giardino. 

Il portico, che sostituisce una più antica strada incassata nella roccia (nella quale erano ricavate numerose nicchie votive), fu aggiunto all'altare in un secondo tempo (forse in età augustea). Ignoriamo a quale divinità fosse dedicato l'altare, che è il più grande conosciuto del mondo greco. Si è pensato a Zeus Eleutherios (« liberatore »), al quale, dopo l'espulsione nel 466 dell'ultimo dei Dinomenidi, Trasibulo, fu dedicata una statua colossale, in onore del quale veniva celebrata la festa delle Eleutheria, con il sacrifìcio di 450 tori (Diodoro, XI 72, 2): le dimensioni del sacrificio spiegherebbero quelle dell'Ara.

Teatro greco

Il teatro greco di Siracusa è un teatro costruito nella sua prima fase nel V secolo a.C., situato all'interno del Parco archeologico della Neapolis, sulle pendici sul lato sud del colle Temenite e rifatto nel III secolo a.C. e ancora ritrasformato in epoca romana.

Il teatro arcaico- L'esistenza di un teatro a Siracusa viene menzionata già alla fine del V secolo a.C. dal mimografo Sofrone, che cita il nome dell'architetto, Damocopos, detto Myrilla per aver fatto spargere unguenti (“myroi”) all'inaugurazione. Non è dimostrato, però, che il passo ricordi questo monumento, potendosi pensare ad altro teatro posto in un altro luogo. È stato ipotizzato che in quest'epoca il teatro non avesse ancora la forma a semicerchio, che diventerà canonica alla fine del IV secolo a.C. e nel corso del III a.C., ma potesse essere costituito da gradinate rettilinee, disposte a trapezio. Diodoro Siculo riferisce l'arrivo a Siracusa di Dionisio nel 406 a.C. nel momento in cui il popolo usciva da un teatro. Plutarco racconta invece dell'irruzione di un toro infuriato nel teatro durante un'assemblea cittadina (355 a.C.), e dell'arrivo in carro di Timoleonte nel 336 a.C., mentre il popolo vi era riunito, testimoniando l'importanza dell'edificio nella vita pubblica.

Il teatro ellenistico - Sembra che il teatro sia stato sottoposto a un intervento di ristrutturazione nel III secolo a.C. dopo il 238 e certamente prima della morte di Gerone II il 215 a.C., nella forma che oggi vediamo. La sua costruzione era stata progettata tenendo conto sia della forma naturale del colle Temenite, che della possibilità di sfruttare al massimo l'acustica. Tipica caratteristica dei teatri greci è anche la valorizzazione della visione panoramica, cui il teatro di Siracusa non doveva essere esente, offrendo la visione dell'arco del porto e dell'isola di Ortigia, nonostante la scena probabilmente coprisse parte della visuale.

La cavea aveva un diametro di 138,60 metri, uno dei più grandi del mondo greco, ed era in origine costituita da 67 ordini di gradini, per la maggior parte scavati nella roccia viva e divisi in 9 settori ("cunei") da scalinate. A metà altezza correva una precinzione ("diazoma") che la divideva in due settori. Sulla recinzione sono incisi in corrispondenza dei cunei nomi di divinità (Zeus Olimpio, Eracle) e di membri della famiglia reale (lo stesso Gerone II, sua moglie Filistide, la nuora Nereide, figlia di Pirro e il figlio Gelone II), che hanno spinto alcuni autori a considerare le iscrizioni medesime utili per una datazione del monumento e se non della costruzione della sua rilavorazione. Le file superiori di gradini, oggi scomparse, erano costruite e poggiavano sopra un terrapieno sostenuto da muri di contenimento. Sull'asse centrale della gradinata è scavata nella roccia una zona che può aver consentito la realizzazione di una tribuna, forse destinata a personaggi di particolare rilievo.

L'orchestra era in origine delimitata da un ampio euripo (canale scoperto), oltre il quale una fascia precedente l'inizio dei gradini era destinata ad ospitare il pubblico.

L'edificio scenico è interamente scomparso e ne sono visibili solo i tagli realizzati nella roccia, riferibili a diverse fasi e di difficile lettura. All'epoca di Gerone II appartiene probabilmente un passaggio scavato sotto l'orchestra, accessibile con una scaletta dal palcoscenico e terminante in una stanzetta: questo allestimento è stato ipoteticamente identificato con le "scale carontee", che permettevano improvvise scomparse o apparizioni degli attori. Ancora a questa fase dovrebbe appartenere una prima fossa per il sipario (che nel teatro antico non veniva calato dall'alto, bensì issato verso l'alto). Le tracce di un elemento a cui dovevano sovrapporsi colonne e pilastri sono state interpretate come residui di una piccola scena mobile per le farse fliaciche. Alla decorazione della scena apparteneva probabilmente la statua di una cariatide, attualmente conservata nel Museo che riunisce i materiali scavati o recuperati nel Teatro Museo archeologico regionale Paolo Orsi.

Al di sopra del teatro, si trova una terrazza, scavata nella roccia, accessibile da una gradinata centrale e da una strada incassata, nota come "via dei Sepolcri". in origine la terrazza ospitava un grande portico ed al centro della parete di fondo fu inquadrata una preesistente grotta-ninfeo scavata nella roccia, fiancheggiata da nicchie destinate probabilmente ad ospitare statue e in origine probabilmente inserita tra membranature architettoniche di ordine dorico intagliate nella parete (di esse restano solo parti di un fregio). All'interno il vano (9,35 x 6,35 m, alt. 4,75 m) era dotato di una vasca rivestita in cocciopesto, nella quale sgorgava l'acqua dell'antico acquedotto greco detto "del ninfeo". Da qui l'acqua si immetteva nel sistema idraulico del teatro. 

Eschilo rappresentò a Siracusa nel 470 a.C. "Le Etnee" (tragedia scritta per celebrare la rifondazione di Catania con il nome di Aitna o di un centro con nome Aitna dove avevano trovato rifugio gli esuli catanesi in seguito alla distruzione della calcidese Katane ad opera di Gerone I). Anche i Persiani, già rappresentata ad Atene nel 472 a.C. dovrebbe essere stata rappresentata a Siracusa. Quest'ultima opera è giunta fino a noi, mentre la prima è andata perduta. Alla fine del secolo V a.C. o agli inizi del IV a.C. vi furono rappresentate probabilmente le opere di Dionisio I e dei tragediografi ospitati alla sua corte, tra cui Antifonte. Secondo la tradizione greca l'attività teatrale, essendo considerata una forma di attività istituzionale, era concessa a tutti i cittadini, anche ai più poveri, tramite il Teorico (fondo), un fondo creato per le attività di questo tipo.

Le attività teatrali persero di importanza durante la dominazione romana, dove presero il sopravvento anche gli spettacoli dei gladiatori.

Il teatro in epoca romana - Importanti modifiche furono attuate nel teatro, forse al momento della deduzione della colonia, nella prima età augustea. La cavea venne modificata in forma semicircolare, tipica dei teatri romani, anziché a ferro di cavallo, come d'uso per i teatri greci e furono realizzati i corridoi che permettevano l'accesso all'edificio scenico (parodoi). La stessa scena venne ricostruita in forme monumentali con nicchia rettangolare al centro e due nicchie a pianta semicircolare sui lati, nelle quali si aprivano le porte sceniche. Fu inoltre scavata una nuova fossa per il sipario, con la sua camera di manovra. Nell'orchestra venne interrato l'antico euripo, sostituito da un nuovo canale, molto più stretto e a ridosso dei gradini della cavea, ampliando il diametro da 16 m a 21,40 m. La decorazione della scena subì forse dei rifacimenti in epoca flavia e/o antoniniana.

In epoca tardo-imperiale si ebbero altre consistenti modifiche, destinate ad adattare l'orchestra a giochi acquatici e fu probabilmente arretrata la scena. Non esistono invece tracce di adattamenti che consentissero di ospitare combattimenti di gladiatori o spettacoli con belve in genere rappresentati dall'eliminazione dei primi gradini della cavea allo scopo di consentire la realizzazione di un podio a protezione degli spettatori. Del resto questi spettacoli continuavano probabilmente a tenersi nell'anfiteatro, presente a Siracusa sin dall'epoca augustea. 

Rimasto in abbandono per lunghi secoli, subì a partire dal 1526 una progressiva spoliazione a opera degli Spagnoli di Carlo V, che sfruttarono i blocchi di pietra già tagliati per costruire le nuove fortificazioni attorno Ortigia: scomparvero in tal modo l'edificio scenico e la parte superiore delle gradinate. Dopo la seconda metà del Cinquecento, il marchese di Sortino, Pietro Gaetani, riattivò a proprie spese l'antico acquedotto che portava l'acqua sulla sommità del teatro, favorendo l'insediamento di diversi mulini installati sulla cavea: di questi resta ancora visibile la cosiddetta “casetta dei mugnai” che si erge sulla sommità della cavea. 

Sul finire del Settecento riprese l'interesse per il teatro che venne menzionato e riprodotto dagli eruditi dell'epoca (Arezzo, Fazello, Mirabella, Bonanni) e da famosi viaggiatori (d'Orville, von Riedesel, Saint-Non, Houel, Denon ecc.). Nel secolo successivo si ebbero vere e proprie campagne di scavo, grazie all'interesse del Landolina e del Cavallari che si occuparono di liberare il monumento dalla terra che vi si era accumulata. Successivamente le indagini archeologiche proseguirono ad opera di P. Orsi e di altri archeologi, fino a quelle del 1988 ad opera di Voza.

A partire dal 1914 l'Istituto nazionale del dramma antico (INDA) inaugurò nell'antico teatro le annuali rappresentazioni di opere greche (la prima fu la tragedia Agamennone di Eschilo, curata da Ettore Romagnoli). Dopo l'interruzione degli spettacoli causata dalla prima guerra mondiale, le rappresentazioni classiche ritornarono sulla scena nel 1921 con le Coefore di Eschilo. Per l'occasione giunge a Siracusa anche Filippo Tommaso Marinetti che il 18 e il 19 aprile terrà delle conferenze per ribadire la posizione progressista del Futurismo di fronte ad una rappresentazione del passato. Per l'occasione viene anche scritto il Manifesto futurista per le rappresentazioni classiche di Siracusa con cui si ribadisce la linea critica dei futuristi. Proprio per l'importanza delle rappresentazioni nel 1930 il re Vittorio Emanuele III in visita a Siracusa assisterà ad una delle rappresentazioni al teatro greco.

Dal 2010 il Teatro è uno dei monumenti del Servizio Parco Archeologico di Siracusa e delle aree archeologiche dei Comuni limitrofi, organo periferico della Regione Siciliana, Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana. 

Il disegno propone una ricostruzione del teatro greco di Siracusa. Così doveva apparire alla fine del III secolo a.C., dopo i profondi interventi di ristrutturazione operati durante il regno di Ierone II su una preesistente struttura di cui si hanno poche notizie. Già nel V secolo a.C. la città era tra i più importanti centri teatrali del mondo greco, patria adottiva di Epicarmo, considerato il padre della commedia greca. Con i suoi 139 metri di diametro - per un'altezza tra orchestra e sommità della cavea di 19 metri - e i 67 ordini di gradini, era uno dei maggiori teatri dell'epoca. Oltre che per le rappresentazioni veniva utilizzato anche come sede delle assemblee del popolo.

PARODOI - Il pubblico accedeva al teatro attraverso due corridoi d'ingresso ricavati tra la cavea e l'edificio scenico.

PINAKES - Tra i pilastri alla base del palcoscenico erano sistemati grandi dipinti, spesso raffiguranti soggetti mitologici.

SKENE - Alle spalle del palco, la scena aveva carattere architettonico. Simulava la facciata di un palazzo con tre grandi porte. Un ampio corridoio di passaggio divideva in due parti la grande cavea, in grado di ospitare oltre 16 mila spettatori.  

PROSKENION - Il palcoscenico era sopraelevato rispetto alla cavea, retto nella parte frontale da dieci pilastri.

ANALEMMATA - Solo per le ali estreme furono necessari muri di sostegno. Il resto della cavea era scavato nel calcare della collina.

DIAZOMATA - Un ampio corridoio di passaggio divideva in due parti la grande cavea. in grado di ospitare oltre 16.00 spettatori.

ACUSTICA - Recenti ricerche hanno confermato che l'ottima acustica dei teatri greci si deve alla riflessione sui gradini delle onde sonore.

KERKIDES - La cavea era divisa in 9 grandi "spicchi" separati da scale (Klimakes) convergenti verso l'orchestra.

ORCHESTRA - Desinata all'esibizione del coro, in epoca greca era circolare. I Romani la adattarono per tenervi i giochi circensi.

Grotta del Ninfeo

La grotta del Ninfeo è una cavità artificiale scavata nella roccia del colle Temenite (dal greco Temenos ovvero "recinto sacro") sito presso il Parco archeologico della Neapolis di Siracusa.

La grotta si trova vicino alla parte più elevata del piccolo rilievo montuoso, su una terrazza rettangolare che costeggia il teatro greco e si apre al centro della parete rocciosa dove un tempo si trovava un porticato chiuso a forma di lettera "L". 

Al suo ingresso erano poste delle statue dedicate alle Muse, tre delle quali (datate II secolo a.C.) sono pervenute ai nostri giorni ed esposte al Museo archeologico regionale Paolo Orsi. La fontana si ispira al culto greco delle ninfe, divinità della natura. Da esse deriva il nome di Ninfeo, ovvero di fontana monumentale adornata di elementi decorativi.

Il Ninfeo siracusano si pensa fosse l'antica sede del Mouseion (il santuario delle muse), sede della Corporazione degli artisti, dove gli attori siracusani si riunivano prima di scendere nel teatro per recitare le loro commedie o tragedie al tempo di Epicarmo e di Eschilo.

La grotta presenta un soffitto a volta e al suo interno vi è una vasca di forma rettangolare nella quale si raccoglie l'acqua che scorre a cascata da una cavità posta nel fondo della parere rocciosa. Accanto alla parete d'ingresso si notano delle edicole votive che servivano per la pratica del culto degli eroi (Pìnakes).

Ad est della Grotta del Ninfeo è visibile l'ultimo mulino ad acqua di epoca spagnola giunto fino ai nostri giorni. Esso riceveva l'acqua dalla grotta e la riversava verso il teatro dopo averla utilizzata per la macinazione del grano. Dal Ninfeo si giunge alla via dei Sepolcri e da lì alla cima del colle dove sorgono altri monumenti greco-romani.

L'acqua che giunge all'interno della grotta proviene da due diversi acquedotti; uno è detto "acquedotto del Ninfeo", di epoca greca, e prende il nome dalla grotta del terrazzo Temenite mentre l'altro è l'acquedotto Galermi, anch'esso di epoca greca.  

Mulini di Galerme

I Mulini di Galerme furono un complesso di mulini ad acqua posti sopra la cavea del Teatro Greco di Siracusa e risalenti ad epoca tardo-medievale. Prendono il nome dall'acquedotto Galermi. Di questo complesso oggi è rimasta visibile solamente la cosiddetta casetta dei mugnai, una sorta di torre collegata al periodo storico dei Mulini di Galerme i quali vennero edificati al tempo del feudalesimo siciliano intorno alla zona del colle Temenite. 

Interessante da un punto di vista architettonico doveva essere l'alto Ponte canale dei mulini, anch'esso demolito nel periodo ottocentesco. 

Sotto l'intatta casetta dei mugnai è stata ritrovata una grotticella funeraria a forno, databile al periodo siculo, ritrovamento importante poiché dà l'ulteriore conferma che il rilievo del Temenite fu frequentato già in epoca pre-greca.  

Via dei Sepolcri  

È una suggestiva strada lunga 150 metri che conduce alla cima del Colle Temenite. Attraversandola si notano le alte pareti rocciose che la circondano da entrambi i lati e le edicole votive che vi furono scavate lungo tutto il tragitto. 

Siracusa avendo un'importante tradizione greca conosceva e praticava il culto degli Eroi che erano, in epoca antica, considerati dei "Semidei". Poi, in epoca greca successiva, quando si parlava di "Eroe" si intendeva un "defunto" che si era particolarmente distinto in vita e per questo da morto meritava di essere "eroicizzato", ovvero di essere onorato e venerato come si veneravano gli eroi mortali. 

La Via è in salita e curva prima verso ovest e poi verso nord. Essa conduce nel punto più alto del Colle siracusano. Salita la Via dei Sepolcri si giunge sulla cima del rilievo montuoso detto Colle Temenite. Qui sono stati individuati i resti del Santuario di Apollo Temenite (terrmine greco "Temenos" che significa "Recinto sacro") che dà il suo nome all'intero Colle.

Latomia del Paradiso  

La latomia del Paradiso è la più grande della Neapolis e quella posta più ad occidente, vicino l'Ara di Ierone II.

Il suo percorso è solo parzialmente visitabile, poiché alcuni punti sono chiusi e non percorribili. In alcuni suoi tratti raggiunge la considerevole profondità di 45 metri. Da essa si estraevano i blocchi di pietra più grandi. 

Al suo interno si aprono delle grandi cavità chiamate Orecchio di Dionisio, Grotta dei Cordari e Grotta del Salnitro.

Orecchio di Dionisio

L'Orecchio di Dionisio (o Orecchio di Dionigi) è una grotta artificiale che si trova nell'antica cava di pietra detta latomia del Paradiso, sotto il Teatro Greco di Siracusa. Scavata nel calcare, è alta circa 23 m, larga dai 5 agli 11 m e si sviluppa in profondità per 65 m, con un andamento ad S che lo rende anche un luogo di amplificazione acustica dei suoni.

La ragione di questo andamento deriva dalla presenza di un antico acquedotto nella parte superiore della grotta. Da quella traccia i costruttori scavarono verso il basso creando poi la forma attuale. Proprio questa conformazione particolarmente sinuosa delle pareti lascia aperto l'interrogativo sul suo reale utilizzo. Se cioè fosse soltanto una cava o se servisse per amplificare i suoni.

Secondo la leggenda, la sua particolare forma ad orecchio d'asino fece coniare al pittore Caravaggio, recatosi nella città aretusea nel 1608 in compagnia dello storico siracusano Vincenzo Mirabella, l'espressione Orecchio di Dionisio. Secondo la tradizione infatti il tiranno Dionisio fece scavare la grotta dove rinchiudeva i prigionieri e, appostandosi all'interno di una cavità superiore, ascoltava i loro discorsi. Grazie alla sua forma, l'Orecchio di Dionisio possiede caratteristiche acustiche tali da amplificare i suoni fino a 16 volte.

Secondo le ricostruzioni di Eliano, Dionisio avrebbe rinchiuso il poeta Filosseno, con la colpa di non apprezzare le opere letterarie del tiranno, in questo luogo o nella vicina "Grotta dei cordari". Eliano afferma infatti che il poeta era stato rinchiuso: "nella grotta più bella delle Latomie, dove aveva composto il suo capolavoro, il Ciclope: grotta che in seguito aveva preso il suo nome".

Sempre all'interno del parco archeologico sorgono una serie di interessanti complessi tombali: la Via dei Sepolcri (dove si tributava ai defunti il culto degli Eroi), i sarcofagi romani siti nei pressi dell'anfiteatro e la necropoli Grotticelli, il cui tratto più importante è dato dalla tomba di Archimede, detta presunta poiché il periodo e il luogo dello scavo in realtà non coincidono con ciò che si racconta sull'uccisione e sulla sepoltura del famoso matematico: egli infatti, secondo Cicerone, fu sepolto a sud di Siracusa: forse nei pressi del fiume Ciane, ma la perdita della tomba originaria (contrassegnata dalla figura di una sfera e di un cilindro) e la tradizione formatasi nei secoli hanno consacrato questo sito come simbolica tomba del più noto tra gli antichi siracusani.

Le necropoli sono l'elemento strutturale più presente nei siti archeologici aretusei: l'area geografica è famosa per la peculiarità sicula di scavare i propri sepolcri dandogli le fattezze di un alveare: Pantalica è l'esempio maggiore di ciò, ma anche a Siracusa si rinviene nelle pareti calcaree questa millenaria usanza. Essa ha dodici gruppi di necropoli che vanno dall'VIII sec. a.C. all'epoca bizantina; per citare alcune delle più grandi e antiche (oltre alla su menzionata Groticelli): a sud-ovest della città si trova la necropoli del Fusco, al centro quella dell'Ospedale civile e di Santa Panagia, mentre a nord vi è il largo perimetro della necropoli della Targia.

Altri siti significativi sono dati dal Foro siracusano (antica agorà della pentapoli in seguito divenuto forum) e dai monumenti che compongono il Ginnasio romano.

Tra i resti delle più antiche civiltà si segnalano: a nord i siti archeologici di Stentinello e della penisola di Tapsos, mentre a sud Ognina, la quale oltre a mostrare i segni di arcaici contatti con gli abitanti di Malta, conserva i resti architettonici delle successive epoche storiche. 

Grotta dei Cordari

La Grotta dei Cordari è un'altra cavità artificiale. Prende il suo nome dall'attività dei fabbricatori di corde artigianali, all'opera già dall'epoca medievale e fino alla seconda metà del '900. Proprio in questa grotta si narra che venissero rinchiusi i prigionieri del tiranno Dionisio I. 

Il poeta Filosseno di Citera, che contraddisse il tiranno pungendolo sulla sua scarsa vena poetica, venne rinchiuso diverse volte nella latomia del Paradiso, dove compose la sua più nota opera intitolata Ciclope. Esiste però un dubbio se si trattasse dell'Orecchio di Dionisio o della Grotta dei Cordari, poiché secondo le testimonianze di Claudio Eliano, Filosseno venne rinchiuso «nella grotta più bella delle Latomie» ed entrambe queste grotte, sia per il taglio che per i colori prodotti, sono di notevole bellezza.  

Necropoli Grotticelle

Lasciando la latomia di Santa Venera si giunge alla parte finale del parco che comprende la Necropoli Grotticelle, anch'essa visibile dall'esterno del parco poiché si trova nei pressi di una densa zona urbana.

Alcuni scavi effettuati nei pressi di questa necropoli hanno riportato alla luce un tratto di strada e delle strutture murarie d'epoca pre-greca o greca, inoltre sono stati trovati i resti di quello che potrebbe essere stato un edificio sacro edificato su una precedente costruzione di epoca più arcaica.

All'interno della necropoli esistono numerose tombe sia d'epoca sicula che greca e romana. Le tombe a fossa del periodo siculo e greco non sono molto visibili mentre spiccano le tombe a camera d'epoca imperiale romana.

Presunta Tomba di Archimede

Tra queste tombe a camera vi è la presunta "Tomba di Archimede". Si tratta della più vistosa e presenta in rilievo delle semicolonne doriche e sopra, sempre scolpito sulla roccia, un frontone a timpano. Con il tempo questa tomba è stata appellata come la Tomba di Archimede, dato che l'odierna popolazione siracusana ha ritenuto la tomba più maestosa potesse solo essere quella del più illustre siracusano di tutti i tempi. Ma si sono sbagliati, perché questa tomba è stata datata al periodo romano imperiale, dunque molti secoli dopo il tempo di Archimede, ed inoltre al suo interno sono state rinvenute delle urne cinerarie, ed è risaputo che i sicelioti siracusani non avevano l'usanza delle ceneri ma bensì quella della sepoltura. I romani invece usavano le ceneri e il colombario romano della Neapolis lo dimostra. Data la sua grandezza e la sua posizione, si è pensato che essa fosse dedicata a illustri personalità siracusane-romane di quel periodo.

Il luogo dove si trova la vera Tomba di Archimede è tutt'oggi sconosciuto. Le ipotesi variano dalla Via dei Sepolcri, ad Acradina, presso il fiume Ciane, ma quale sia il vero luogo non è stato attualmente scoperto. Cicerone fu l'unico ad avere lasciato testimonianza scritta sul luogo esatto del sepolcro di Archimede, poiché fu egli a ritrovarlo durante la sua permanenza in Sicilia.

Trovò la tomba dell'illustre matematico abbandonata e dimenticata dai siracusani che cento cinquant'anni dopo l'Assedio romano, che portò all'uccisione di Archimede e alla presa della polis, sembravano aver perso la memoria di ciò che era accaduto nella loro patria e insistevano nel dire a Cicerone che Archimede non poteva trovarsi a Siracusa, altrimenti loro lo avrebbero certamente saputo. Ma Cicerone li smentì cercando con determinazione la tomba di Archimede, fino a quando la trovò. 

Una sfera ed un cilindro, i simboli posti dal generale romano Marco Claudio Marcello per onorare la tomba del famoso matematico inventore. Cicerone parla del Ciane e di molti sepolcri, dunque il luogo della vera tomba di Archimede sembrerebbe trovarsi o alla Neapolis oppure all'Acradina, entrambe vicine al lato sud delle porte aretusee alle quali fa riferimento l'oratore romano.

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Agosto 2019