Architetture
militari
La
città antica sorgeva sul colle di San Matteo. Scicli ha sempre
mantenuto nei secoli il carattere di cittadella fortificata, sia per la
posizione strategica nel territorio a difesa della costa sia per la sua
singolare articolazione morfologica su alture particolarmente scoscese
che l'ha resa difficilmente espugnabile. Una struttura fortificata
doveva esistere già nel periodo bizantino come si evince da fonti
arabe:“ l'anno duecentocinquanta (864-65)… I Musulmani, assediata
Scicli, la presero”. L'assedio da parte degli arabi fa presupporre la
presenza di un sistema di difesa fortificato a salvaguardia
dell'abitato. Verso la metà del XIV secolo esistevano due
Castelli:
-
il Castellaccio (detto castrum magnum) di cui ci rimangono
pochi ma maestosi resti sulla cima rocciosa del colle di San Matteo. Si
tratta di un torrione, probabilmente il mastio di un complesso
fortificato più ampio e articolato andato perduto per via del
progressivo sfaldamento dei costoni rocciosi sui quali era costruito.
-
il Castello dei Tre Cantoni (detto nella storiografia locale Castelluccio o castrum
parvum o triquaetrum) è posto a difesa dell'unico fronte non
dirupato e quindi naturalmente protetto della città antica, quello
orientale, verso Ispica. Si erge su un profondo fossato che divide
il territorio urbano intra moenia dalla campagna; un bastione
quadrilatero fa da zoccolo all'intera struttura rinforzata agli angoli
da ulteriori torri; sulla sommità sono ancora visibili e visitabili le
fondazioni di una torre triangolare di età antica che dà il nome al
complesso. A occidente su una terrazza calcarea si apre la cosiddetta
piazza d'Armi che sovrasta i resti del vicino Castellaccio. I ruderi del
castello triquaetro stanno attraversando un preoccupante
processo di degrado.
Chiesa
San Bartolomeo

Inserita
in uno scenario naturale di rara bellezza, la chiesa di San Bartolomeo
è stata definita dall'architetto Portoghesi " una perla
dentro le valve di una conchiglia".
Le
prime notizie della chiesa risalgono al XV secolo e, in base a quanto
riferito dallo storico Carioti pare che non abbia subito gravi danni in
seguito al terremoto del 1693. Tuttavia alcune fonti riportano l'anno
1752 come l'anno di inizio delle fasi di ricostruzione.
La facciata a tre ordini documenta il momento di passaggio da
un'architettura tardo-barocca ad una neoclassica. Il prospetto, infatti,
avviato alle fine del settecento da Antonio Mazza fu rielaborato da
Salvatore Alì e concluso nel terzo ordine solo nel 1815 da P. Ventura.
Nel 1822 furono realizzati lo spiazzale e il cancello in ferro battuto
ad opera di S. Alì.
L'impostazione
piramidale vede l'uso di colonne e lesene di stile diverso, dorico nel
primo ordine, ionico nel secondo ed infine corinzio nell'ultimo,
ospitante la grande cella campanaria, concluso da una cupola
costolonata. Sul timpano arcuato del portale è stata collocata una
statua della Madonna con Gesù bambino, mentre ai lati trovano posto
quattro statue raffiguranti San Pietro, San Paolo del Marabitti, San
Bartolomeo e San Guglielmo.
L'interno,
a navata unica, mostra una pianta a croce latina. Ai lati del portale di
ingresso si trovano due monumenti sepolcrali marmorei, realizzati nel
1631 dallo scultore Francesco Lucchese, in cui sono conservate le
spoglie di due illustri cittadini sciclitani don Vincenzo Miccichè e il
padre di questi, don Giuseppe Miccichè. Confrate di San Bartolomeo,
membro di una ricca famiglia nobile locale, don Giuseppe Miccichè
svolse un ruolo importante durante la fase ricostruttiva della chiesa,
in particolar modo della ristrutturazione della cappella maggiore.
Dopo
la sua morte se ne rispettò la volontà testamentaria: si realizzarono
i due monumenti funerari e la tela della "Immacolata tra i santi
Guglielmo e Bartolomeo", opera del pittore Francesco Cassarino,
collocata nel braccio destro del transetto accanto alla cappella della
Addolorata. Il gruppo statuario non datato e anonimo presenta le
sculture del Cristo di Maria, Maria Maddalena e San Giovanni. Si tratta
di sculture in legno rivestite di stoffa con le mani e la testa in
cartapesta. Il Crocifisso, raggiunge effetti di crudo realismo
ricorrente nella cultura figurativa popolare.
Nello
stesso braccio del transetto è conservata la "Santa Cassa",
un reliquiario rivestito di argento del 1862, su cui è posto Gesù
Bambino nudo popolarmente chiamato "Cicidda d'oro",
portato in processione il giorno di Natale.
Di
grande interesse è la pala d'altare raffigurante il "Martirio di
San Bartolomeo" opera di Francesco Pascucci datata 1779. La tela,
realizzata a Roma e poi trasportata in Sicilia nel 1780, mostra il
martirio del Santo.
Nel
braccio sinistro del transetto è collocato il Presepe settecentesco,
che sostituì quello monumentale del '500, di cui non è rimasto alcun
esemplare. L'incarico di rinnovare il Presepe fu affidato allo scultore
napoletano Pietro Padula, che completò l'opera tra il 1773 e il 1776.
Delle originarie 65 statue ne rimangono solo 29, ma non sappiamo se la
scenografia con ruderi di architettura classicheggianti e gli affreschi
della volta raffiguranti Dio Padre, risalgono all'intervento del Padula.
Il paesaggio di grotte e rocce che circonda i personaggi rispecchia
l'ambiente naturale della cava di San Bartolomeo ed i pastori che
indossano abiti semplici ed usuali testimoniano gli usi e i costumi
dell'antica società rurale.
Nella
cappella a sinistra di quella del Presepe, si trova la statua rivestita
d'argento dell'Immacolata, realizzata nel 1850 dai fratelli Catera già
attivi localmente.
Gli
stucchi del vano absidale furono curati direttamente da Giovani
Gianforma, quelli della volta, delimitano tre dipinti di G. Battista
Ragazzi con Allegorie dell'Abbondanza, della Legge e della Fortezza.
Nella
sagrestia si trova un'interessante tela raffigurante "La
Deposizione", proveniente dalla chiesa conventuale dei padri
Cappuccini di Scicli e trasferita nel 1923. L'opera, attribuita a Mattia
Preti, presenta due temi: la deposizione del Cristo e lo svenimento di
Maria.
Chiesa
San Michele Arcangelo
E'
una delle chiese più antiche di Scicli, ricostruita dopo il terremoto
del 1693 in uno spazio condizionato da edifici già esistenti.
L'architetto modicano Alessi iniziò i lavori nella seconda metà del
1700 utilizzando tutto lo spazio disponibile per formare una quinta
scenografica che permettesse, nel lato destro, di scorgere la chiesa di
Santa Teresa; i lavori si conclusero a metà del 1800 sotto la guida
dell'architetto Fama di Palermo.
Il
prospetto della Chiesa presenta tre ordini che acquistano una
conformazione leggermente convessa soprattutto nella parte centrale del
portale, fiancheggiato da colonne corinzie culminanti con cornice
intramezzata da uno scudo araldico.
Il
secondo ordine mostra un finestrone arricchito da ghirlande floreali e
chiuso da una gelosia in ferro battuto. Infine il terzo ordine appare
con un'impostazione neoclassica per la mancanza di colonne sostituite da
piatte lesene terminanti con capitelli corinzi che inquadrano la cella
campanaria. Il prospetto della chiesa si chiude in alto con un timpano
triangolare.
Di
notevole interesse è l'apertura laterale della chiesa su Via F.M. Penna
posta di fronte al portone principale di Palazzo Spadaro. Si tratta di
un ingresso arrotondato da una liscia strombatura appositamente
realizzata per non appesantire il prospetto laterale della chiesa e
preceduto da cinque gradini che seguono l'andamento digradante della
strada.
L'interno
ha un'aula ellittica preceduta da un endonartece biabsidato e conclusa
da un abside semicilindrico. La decorazione policroma caratterizzata da
innumerevoli stucchi, affreschi, pitture e sculture, la rendono una
basilica unica nel suo genere. In particolare si segnalano decorazioni
della metà dell'800 che riproduco strumenti musicali ai lati
dell'organo, collocato su un balcone interno in ferro battuto sorretto
da quattro colonne.
Ai
lati della navata su quattro altari minori si collocano delle tele
raffiguranti: S. Agostino (XIX sec), S. Michele Arcangelo (XIX sec),
l'Adorazione dei Magi (XIX sec) e un crocifisso ligneo (XV sec).
Nell'abside,
una tela di forma ovale rappresenta la Madonna delle Grazie (XVIII sec).
A
partire dal 1770 si iniziò a costruire il monastero omonimo che si
sviluppa a triangolo a ridosso della chiesa. Ospitava suore agostiniane.
Attualmente è un centro di recupero per anziani.

Chiesa
Santa Maria La Nova
Sorta
con il nome di Santa Maria La Nova della Pietà, la chiesa di Santa
Maria La Nova si trova collocata nel cuore della cava omonima.
Cronologicamente
ultima architettura ecclesiastica di notevole valore
storico-architettonico, la chiesa presenta una facciata a tre ordini
divisa in tre comparti da lesene.
Nel
primo ordine si apre l'imponente portale incorniciato da lesene
terminanti in capitelli ionici, il secondo ordine mostra un finestrone
inquadrato da lesene di eguale stile, il terzo ordine, infine, termina
nella torre campanaria ornata da ghirlande e da una balaustra in pietra
locale.
Le
complesse vicende progettuali e costruttive, sviluppatesi nell'arco di
tre secoli hanno visto nel 1798 il rifacimento della parte absidale e la
trasformazione delle strutture dell'aula centrale e della facciata.
Con
il progetto originario dell'ingegnere G. Venanzio Marvuglia i lavori di
ricostruzione furono diretti dal Cardona e completati nel 1801 con gli
stucchi di Emanuele e Domenico Ruiz. L'abside si sviluppa intorno alla
grande tela "Natività di Maria", opera caratterizzata
dall'impianto monumentale dei personaggi, la cui attribuzione è
controversa.
Considerata,
fino a pochi anni fa, opera di Sebastiano Conca, in base ai recenti
studi della Prof.ssa Siracusano, la tela dovrebbe essere attribuita a
Tommaso Pollace e cronologicamente collocata tra la fine del '700 e gli
inizi dell'800.

La
seconda fase edilizia riguardante le navate e la facciata risulta più
tormentata. I lavori iniziarono nel 1817 ma proseguirono nel corso degli
anni con svariati progetti e numerosi direttori di lavori fino al 1851,
anno del completamento della volta decorata con gli stucchi del
Gianforma uniformati a quelli del Ruiz dell'abside. L'apertura al culto
avvenne nel 1857.
Le
fortune della chiesa sono fondamentalmente legate alle rendite di Pietro
Di Lorenzo Busacca che, facendo testamento nel 1567, nominò erede
universale del suo immenso patrimonio la Confraternita della Chiesa
denominata allora Santa Maria della Pietà.
Le navate laterali sono costituite da sei cappelle (tre per ogni lato),
collegate tra loro e concluse da cupole emisferiche. Nel vestibolo della
chiesa è possibile ammirare il frontone ed altre parti di ciò che
resta del prospetto della prima chiesa di Santa Maria della Pietà
costruita tra il VI e il VII secolo.
Sul
lato della navata, nella prima cappella si incontra l'altare di San
Francesco di Paola, sotto un prospetto marmoreo di stile dorico
contenente la statua di San Francesco che dovrebbe provenire dalla
chiesa omonima demolita nel secolo '800.
Nella
seconda cappella, su un altare dal prospetto in stile corinzio, si trova
una statua della Vergine Maria Immacolata. La statua lignea, ricoperta
da lamine d'argento, secondo un anonimo fu scolpita a Napoli nel 1843
dal celebre statuista G. Petronzio e rivestita in argento nel 1844 da
Don Silvestro Catera e figli. Le notizie sulle lamine d'argento sono
confermate da un'incisione sul mantello di Maria.
Nell'ultima
cappella del lato destro si trova la nicchia in stile corinzio in cui è
racchiusa la statua lignea policroma del Cristo Risorto, detto
popolarmente "Uomo Vivo". Il Cristo, di notevole vivacità
espressiva, è posto su una base di nuvole ed indossa un perizoma dorato
ed un ampio mantello color amaranto. Dopo le prime ipotesi che facevano
risalire l'opera al XIX secolo, recenti ricerche di M. Boscarino
consentirebbero di assegnare l'opera allo scultore catanese F. Pastore
che l'avrebbe realizzata nel 1796.
Sul lato sinistro si aprono altre tre cappelle. Nella prima si trova un
altare in stile dorico in cui si conserva una statua secentesca di San
Giuseppe che tiene in braccio il bambino Gesù. Nella seconda cappella
in un altare in stile Corinzio è conservato il prezioso e venerato
simulacro della Vergine della Pietà. Composto da una scultura lignea
seduta, col capo reclinato, una veste a fiori ed un mantello damascato,
affiancata da due pie donne in piedi e da un Cristo deposto ed una croce
di legno ricoperta da lamine d'argento; il simulacro ha origini alquanto
oscure. Due sono le tesi per l'attribuzione: la prima vuole che l'opera
sia di età bizantina e che sia stata trovata tra le macerie della
chiesa di Santa Maria della Pietà in periodo normanno, la seconda è
sostenuta da S. Santiapichi che considera la statua dell'Addolorata come
facente parte di una sacra rappresentazione con 14 statue lignee
eseguite da A. Monachello di Noto nel 1564.

Nella
terza cappella, su un altare in stile dorico, si trova una statua
raffigurante la Madonna col Bambino detta delle "Nevi", che
reca nella base la data 1496. Quale titolo questa scultura abbia avuto
originariamente non ci è dato saperlo con certezza. La Madonna indossa
una veste riccamente ornata, i bassorilievi collocati nella base,
illustrano la vita di Sant'Anna: l'Incontro di Gioacchino con i pastori,
la Nascita di Maria, l'Annuncio a Gioacchino.
Nella
volta si trovano cinque tele datate 1858 opera del pittore chiaramontano
sac. G. Di Stefano, raffiguranti storie della vita di Cristo:
l'Adorazione dei pastori, la Presentazione di Gesù al tempio, Gesù tra
i dottori, Cristo e la Pie donne, Cristo deposto.
Di
un certo interesse è l'urna reliquiario in argento che presenta
altorilievi e bassorilievi di diversi temi. Su uno dei due lati lunghi
si trovano due putti che sorreggono un medaglione circolare con
l'Addolorata sdraiata ai piedi del Santo Sepolcro sull'altro lato lungo
si trova il medaglione con la natività di Maria, sui lati corti sono
raffigurati San Guglielmo e San Giuseppe. Sui lati lunghi del coperchio
è raffigurata Santa Rosalia ed in un altro il Martirio di S.Adriano,
tema presente in una tela della navata destra.
La
chiesa Parrocchiale di Santa Maria La Nova nel Marzo 1994 è stata
eretta Santuario Mariano Cittadino "Maria Santissima della Pietà".
Chiesa
San Giovanni
Adiacente
al Palazzo Comunale si trova la Chiesa di San Giovanni Evangelista.
Essa fu fondata prima del 1300 e già in quegli anni fu istituita alla
"Confraternita dei Nobili Bianchi", la quale si prodigò a
Scicli compiendo opere di carità e di misericordia in favore della
popolazione sino al 1860.
Successivamente la chiesa fu ceduta ai monaci
di San Benedetto i quali costruirono un monastero che diede impulso alle
attività religiose ed economiche della città.
La
struttura crollò in seguito al terremoto del 1693, venne ricostruita a
più riprese nella seconda metà del '700.
La
facciata ha un'impaginazione concavo convessa e presenta tre ordini,
doppie semicolonne ne accentuano lo sviluppo verticale evidenziando lo
stacco tra il partito centrale, convesso, e i due laterali, concavi.
Nel
primo ordine, scandito da colonne ioniche, si apre il portale
d'ingresso, preceduto dalla bella scalinata che asseconda il movimento
della facciata; due nicchie occupano i partiti laterali. Il secondo
ordine, caratterizzato da colonne in stile corinzio, è abbellito dalla
preziosa gelosia in ferro battuto. Nel terzo ordine viene ripreso
l'ordine composito del secondo, chiuso da due piedistalli alle estremità.
La facciata si chiude con un timpano spezzato nel quale è incisa la
data di fine lavori (1803).
L'interno,
a pianta ovale, ha una fisionomia neoclassica. Ai lati, tra le
semicolonne, addossati alle pareti curve, sono collocati quattro altari.
La volta, a guscio di noce, presenta una decorazione ricca di stucchi e
dorature ben lontani dal clima culturale tardo barocco.
Nella parte alta
del vestibolo, tre medaglioni raffigurano vedute paesaggistiche di
Scicli. Inoltre, presso la sacrestia, è conservata un'opera del XVII
secolo, il cosiddetto "Cristo di Burgos", di probabile
provenienza spagnola che raffigura un Cristo crocifisso con la sottana
sacerdotale, iconografia molto rara in Italia.
Chiesa
del Carmine e Convento
La
fondazione del convento sarebbe avvenuta nel 1368; inizialmente fu
annesso alla chiesa di San Giacomo Interciso, titolo successivamente
sostituito da Santa Maria Annunziata. A testimonianza di tale
sovrapposizione resta il fatto che un altare rimane dedicato alla
Madonna Annunziata.
La
chiesa, la sua facciata e l'ala orientale del convento, risalenti al
secondo Settecento, sono stati progettati dall'architetto Fra Alberto
Maria di San Giovanni Battista, carmelitano dalla stretta osservanza e
residente nello stesso convento.
La
facciata a tre ordini, realizzata in un sobrio e raffinato stile rococò,
è divisa in tre comparti da fasce di lesene. L'elegante portale,
decorato da motivi fogliacei, del primo ordine è sovrastato da un
finestrone posto nel secondo. Il terzo ordine, che si sviluppa solo
nella parte centrale, è concluso da una delle sette statue che adornano
la facciata.
La
pianta della chiesa mostra un'unica navata preceduta da un nartece
biabsidato con ampio coro sovrastante e terminante nell'abside
semicircolare al centro della quale è posto un altare in marmo. I due
lati delle navate sono scanditi da paraste di ordine composito che
determinano sei nicchie, ospitanti altari marmorei. In cinque dei sei
altari, opera di Tommaso Privitera di Catania, si trovano delle grandi
tele, attribuite al pittore netino Costantino Carasi (XVIII secolo),
rappresentanti l'Adorazione dei pastori, l'Annunciazione, la
Trasfigurazione e due Santi Carmelitani. Altre pitture, tutte del
secondo Settecento, si trovano lungo le pareti della navata, mentre
sull'ultimo altare del lato sinistro si trova un Crocifisso di legno di
cedro del '400.
Sull'altare
maggiore, in una nicchia, è collocata la statua della Madonna del
Carmine, che regge sul braccio sinistro Gesù bambino, realizzata nel
1760 da Francesco Castro: la statua ha la testa e le mani in legno, la
ricca veste è tutta in argento sbalzato con decorazioni floreali.
Gli
stucchi bianchi sono opera del Gianforma mentre quelli dell'abside
furono realizzati da Salvatore Alì, incaricato, alla fine del XIX
secolo, di rifare l'abside, la sagrestia e forse anche il campanile che
riprende il disegno di quello della chiesa di San Matteo.
La
facciata del convento è articolata su un doppio ordine: nel primo si
aprono i vani bottega ed il portico, che introduce al cortile; nel
secondo appaiono una serie di finestre ed un balcone centrale arricchito
da una ringhiera in ferro battuto. Sotto alcune finestre è scolpita la
Croce dei Cavalieri di Malta (i Carmelitani appartenevano infatti alla
provincia religiosa di Gerusalemme). Il cortile è stato vittima di
rimaneggiamenti, solo il lato meridionale e quello settentrionale hanno
conservato l'aspetto originario. Sui due lati si trovano due logge
sovrastate da una nicchia che ospita la statua della Madonna.

Chiesa
Madre di S. Ignazio
È
una tra le più antiche chiese ancora aperte al culto in città; è la
sede della matrice dal 1874, da quando, cioè, venne chiusa la chiesa di
San Matteo; nel 1986, per decreto vescovile, è stata intitolata a San
Guglielmo Eremita. Era annessa al convento dei Gesuiti, che nel 1961 fu
demolito per far posto all'attuale edificio scolastico.
Fu
distrutta assieme al collegio, ancora in costruzione, dal terremoto del
1693, e successivamente fu ricostruita; sembra che i lavori si siano
conclusi intorno al 1751, visto che tale data compare sulla facciata
della chiesa. I disegni del progetto originario relativo alla
costruzione prima del terremoto, sono attualmente conservati presso la
Biblioteca Nazionale di Parigi.
La
facciata, conclusa da un timpano mistilineo, presenta due ordini, con
una superficie movimentata da lesene a da controlesene, comprendenti
quattro statue collocate su piedistalli e decorazioni con testine di
putti e motivi fogliacei.
Il
secondo ordine è affiancato ai lati da due campanili cuspidati e
concluso da un timpano con cornice concavo-convesso; al centro è
collocato uno degli orologi civici della città.
La
chiesa, al suo interno, è a pianta basilicale a tre navate: la navata
centrale è separata da quelle laterali da grossi pilastri a cui si
appoggiavano delle semicolonne.
Le
navate laterali sono suddivise in tre cappelle, di cui due di esse sono
dedicate ai santi patroni della città. Una è in onore alla Madonna
delle Milizie, il cui simulacro di cartapesta raffigura la Madonna
guerriera con il mantello azzurro e la spada sulla mano destra, seduta
sopra un cavallo bianco impennato sulle zampe posteriori, sotto il quale
si trovano due saraceni schiacciati.
Non
si conosce la provenienza del simulacro, ma si hanno notizie della tela
raffigurante la Madonna durante la battaglia tra i normanni e i saraceni
avvenuta, secondo la leggenda, nel 1091 sulla costa sciclitana.
Realizzata da Francesco Pascucci nel 1780, proveniente dall'Eremo delle
Milizie, si trova oggi collocata tra la seconda e la terza cappella.
Provenienti
da altre chiese sono i dipinti della Madonna del Carmine coi santi
carmelitani di Pietro Azzarelli (1731) e la tela coi santi in sacra
conversazione.
La
terza cappella è dedicata a San Guglielmo: qui è conservata una grande
arca laminata realizzata tra il '600 e il '700, al cui interno sono
custodite due reliquiari (probabilmente realizzati da argentieri
palermitani) con il busto contenente le ossa del santo. Particolarmente
interessante è il pannello dell'urna in cui è rappresentata la città
di Scicli. Ai piedi della cappella si trova una lapide in marmo recante
la data del 1565 proveniente dalla chiesa di san Matteo.
La
navata di sinistra si conclude con la cappella del Santissimo
Sacramento. Nella navata destra si trova un dipinto di Antonio Manoli
(1721), raffigurante una veduta di Scicli seicentesca con San Guglielmo.
Di
particolare importanza è l'altare maggiore in marmo intarsiato
proveniente dalla chiesa di Santa Maria la Piazza che sostituì il
precedente altare ligneo.
Di
pregevole valore inoltre sono il pulpito cinquecentesco in legno di noce
scolpito, collocato nella navata centrale e l'antico organo dai fregi
barocchi.
Chiesa
Santa Maria della Consolazione
È
la prima chiesa che si incontra percorrendo la profonda cava di S.M la
Nova; giace su un ampio basamento pavimentato con antiche basole,
elevato rispetto al piano stradale. Si tratta di una chiesa nella quale
è possibile riconoscere più fasi edilizie: nel XV secolo è attestata
la presenza di un tempio dedicato a S. Tommaso Apostolo, nella seconda
metà del '600 fu riedificata per essere, infine, ricostruita dopo il
terremoto del 1693.
E'
caratterizza da una facciata piana a due ordini: nel primo lesene
tuscaniche la dividono in tre parti. Al centro spicca un sobrio portone
sormontato da un cartiglio; lateralmente si ripete, in modo simmetrico,
lo schema porta-nicchia-finestra.
Il
secondo ordine comprende quattro lesene composite che inquadrano la
finestra balconata dalla quale penetra la luce che illumina l'intera
navata centrale. Chiude superiormente la facciata un timpano
triangolare. Sul prospetto si legge ancora il titolo di Patrona
Civitatis concesso dal re Filippo IV di Spagna nel 1645.
L'interno
della basilica è a tre navate separate da pesanti e bassi pilastri. Ai
lati si sviluppano tre cappelle con volta a botte e l'abside
semicircolare coperto da cupola ribassata. Singolare è il pavimento
interno della chiesa, a motivi geometrici e floreali, interamente
realizzato con pietra calcarea bianca e pietra pece nera, tipiche degli
Iblei. Il fondo dell' altare maggiore è occupato da una tela, di cui
non si conosce l'artista, raffigurante Cristo con le anime del
Purgatorio, della seconda metà del XVII secolo; le cappelle laterali
ospitano due eccezionali statue lignee che richiamano la Flagellazione
di Cristo e Cristo con le mani legate.
Caso unico a Scicli è il campanile isolato che termina con una cuspide
arricchita da cangianti maioliche.
Esternamente
sul lato destro della chiesa si conserva un eccezionale portale
d'accesso da attribuire ad un tempio cristiano che qui esisteva prima
del sisma del 1693; è in stile gotico con bassorilievi che richiamano
scene della vita e del martirio di S. Tommaso Apostolo.
Chiesa
Santa Teresa
La
chiesa era annessa, sotto il titolo di S. Chiara, all'ex monastero di S.
Teresa, fondato nel 1660 dai Carmelitani Scalzi, in cui, nel 1673, venne
istituita la clausura. Raso al suolo dal terremoto del 1693, il
monastero venne ricostruito tra il 1715 e il 1719 dal capomastro
Giuseppe Puccia.
Molto
interessante è la chiesa nella facciata rettangolare, racchiusa da due
paraste di ordine tuscanico e conclusa da un loggiato a tre arcate, al
quale si affianca la piccola cella campanaria. Il portale d'ingresso è
sovrastato da una finestra quadrangolare quadribolata finemente
lavorata, con una balaustra sottostante e borchie floreali ai quattro
angoli, presentando i caratteri tipici del rosone.
Lo
spazio interno tardo barocco è a navata unica,preceduta da un profondo
nartece e conclusa da un'abside rettangolare. Quattro cappelle si
dispongono sulle pareti laterali, inframezzate da colonne poggianti su
alti piedistalli.
Sull'altare
centrale è collocata un'opera, che ha per soggetto S. Teresa, dipinta
dal canonico Don Filippo Fangelli nel 1698; sull'altare del lato destro
si colloca una tela con la Madonna in trono tra i Santi, datata 1761;
mentre sull'altare del lato sinistro è situato un crocifisso decorato
da cornici lignee a motivi floreali. Nel 1854 il pittore chiaramontano
Don Gaetano Di Stefano eseguì le pitture a fresco della volta della
navata e le tre tele relative alla vita di S. Teresa. La tela della
volta dell'abside, raffigurante la Natività, dovrebbe essere opera del
pittore romano Lorenzo Rota.
Il
pavimento, eseguito nel 1757 in pietra ragusana bianca e nera, è uno
dei più interessanti per le forme geometriche.
La
chiesa rimase aperta al culto fino al 1950, solamente attorno al 1960 il
Vescovo di Noto la cedette al Comune, il quale, dopo aver apportato
degli interventi di restauro, ha reso questo spazio disponibile ad
accogliere iniziative culturali e sociali. Attualmente il Monastero è
stato trasformato in abitazioni private.
Chiesa
delle Milizie ed Eremo
L'eremo
e la chiesa delle Milizie sono uno dei luoghi più legati ad una
tradizione religiosa di un evento sacro, vivo per molti secoli nella
cultura di Scicli.
Il
complesso è posto nella contrada Giammarito, a due chilometri da
Donnalucata, su un lieve pendio collinare in un luogo panoramico.
La
tradizione e vari testi dei secoli XVII e XVIII ricordano in quel luogo
un'ipotetica battaglia avvenuta nel 1091 tra Normanni e Saraceni, vinta
dai primi per il provvidenziale intervento della Vergine apparsa,
secondo alcuni, in cielo su una nube, secondo altri su un cavallo
bianco.
Sul
momento di formazione del culto relativo alla Madonna delle Milizie, non
esistono, attualmente, documenti attendibili. In quel luogo il Carioti
ricorda prima del 1091 un edificio sacro pagano dedicato a Bacco
Milicio, da cui deriverebbe il termine "Milizie".
Allo
stato attuale non abbiamo elementi per confermare la tesi del Carioti,
di certo sappiamo che il luogo è stato abitato da eremiti nel XVII
secolo. Vi fu sepolto Mariano Perello, uno degli intellettuali più
qualificati nella Scicli del Seicento; vi abitò il frate francescano
Giorgio Lutri, additato come un santo e solo nei secoli successivi si è
avuta una particolare devozione per la Madonna delle Milizie.
Attualmente
il complesso architettonico registra varie fasi costruttive che vanno
dal tardo medioevo al Novecento. Risulta determinante la fase
settecentesca in cui si ricostruirono la chiesa ed alcune parti del
convento.
La
chiesa è costituita da un vano rettangolare con abside quadrata coperta
da una cupola emisferica e con un androne rettangolare. Delle precedenti
strutture rimasero il campanile, situato nell'angolo sinistro del
nartece, di datazione incerta e la cappella absidale. Nella
ricostruzione al posto degli undici altari della chiesa del Seicento, se
ne realizzarono otto.
Nella
cappella posta frontalmente al portale d'ingresso fu situata la scultura
in pietra della Madonna dei Miracoli.
Gli
stucchi interni furono eseguiti dal mastro Simeone Messina di Scordia
tra il 1721 e il 1722, soffermando particolare attenzione all'altare
absidale incorniciato da due angeli. Sicuramente sull'altare fu
collocata, nel 1780, l'interessante tela del pittore romano Francesco
Pascucci, trasportata intorno al 1920 nella chisa Madre. L'altare
maggiore fu rivestito nel 1798 con marmi policromi realizzati dallo
scultore don Giovanni Marino di Catania.
Le
parti dell'eremo che si snodano partendo dal lato corto della chiesa
sono riferibili al Settecento, secolo in cui, su suggerimento del
sergente maggiore Domenico Serraton, iniziarono i lavori per la
realizzazione di alcune camere per gli eremiti e i forestieri.
Durante il Settecento e l'Ottocento fu frequentato come luogo di
pellegrinaggio ed annualmente una processione portava i fedeli della
città all'eremo; tale processione cessò intorno al 1860.
Con
la legge di soppressione dei beni ecclesiastici gli eremiti vennero
cacciati e l'eremo cadde in un abbandono completo. Nel 1892 fu
acquistato dai Frati Minori e si cominciarono i restauri riportando
alcune tele, tra le quali quella del Pascucci.
Nel
corso degli anni il complesso ha subito una serie di trasformazioni e
nel 1915 fu comprato dall'amministrazione dell'opera pia Pietro Di
Lorenzo Busacca per farne un tubercolasario, subito dopo fu rivenduto a
lotti a parecchi privati.
Per
quanto riguarda invece la chiesa, di proprietà della curia, rimase
abbandonata. Solo di recente il parroco di Donnalucata si è preoccupato
della sua salvaguardia.
Chiesa
di Santa Maria della Croce e Convento
Sulla
cima dell'omonimo colle si sviluppa il complesso della Croce che
comprende una chiesa, un oratorio e un monastero.
Il monastero fu fondato dai Frati minori osservanti gli insegnamenti di
S.Francesco, agli inizi del XVI sec, grazie al contributo dell'Università
di Scicli e dei Conti di Modica, Anna Cabrera e Federico Enriquez.
Risparmiato
dal terremoto avvenuto nel 1693, il monastero si articola su due cortili
di forma trapezoidale, collocati a ridosso dello strapiombo della cava,
di cui restano solamente alcuni ruderi.
L'annessa
chiesa venne ultimata nel 1528, come si legge dalla data incisa nel
cartiglio a losanga sul lato sinistro del prospetto.
La facciata si articola fra modanature tardo-gotiche, ed è conclusa da
un tetto a doppia falda. Sul portale d'ingresso si aprono un arco a
tutto sesto e un arco a sesto acuto; tra i due è collocato lo stemma
quadrato appartenente ai Conti di Modica. Un altorilievo che raffigura
un roditore nell'atto di mordere grappoli d'uva e un Agnello pasquale
acefalo decorano parte dell'arco a tutto sesto.
Il
sistema degli archi termina in una cornice lineare delimitata ai lati da
due colonnine tortili; sotto la colonna destra un leone accovacciato
viene morso da un ramarro. Sopra la cornice lineare si trova una
finestrella quadrata, ai lati della quale si collocano due stemmi
romboidali: quello di sinistra è lo stemma municipale, l'altro è di
dubbia attribuzione.
La
chiesa si sviluppa seguendo una pianta rettangolare, conclusa da
un'abside semicircolare e coperta da una volta a botte.
L'oratorio, dedicato alla Madonna di Sion e annesso alla chiesa nella
parte retrostante, risale probabilmente alla seconda metà del
quattrocento. Si presenta con un prospetto molto semplice scandito da un
portale in stile gotico, racchiuso da due semicolonne concluse da un
arco trilobato su cui è scolpita una croce in altorilievo.
Di recente il complesso è stato restaurato.
Chiesa
rupestre del Rosario
La
chiesa dedicata alla Madonna di Monserrato, oggi detta del Rosario, fu
ingrandita ad opera di numerosi devoti sciclitani. Rocco Pirri in
"Sicilia sacra" descrive la prima costruzione d'Essa nell'anno
1516, come si legge in Atto del notaro Antonino Militello del 1539 da
cui risultano i principali benefattori: Antonino Schifitto, Paolo
Ficicchia, Cola Tommaso Maltisi, Antonino di Falco, Antonino Ioccia e
Giuseppe Cappitta.
Il
luogo per la costruzione fu scelto nella sommità del Monte Campagna,
con magnifica visione panoramica del territorio e del mare sciclitano.
Una
statua della Vergine Maria venerata in questa chiesa compì numerosi
prodigi e guarigioni di malati. Essa fu posta nella Cappella dell'Altare
Maggiore nel 1648 ad opera di P. Domenico Rosa di Scicli.
I
miracoli sono registrati in un libro conservato nel Convento. Nel volume
"Madonne Sciclitane"si narra anche di un'ampolla d'olio
rinvenuta nel 1600 nella chiesa, e nella quale il liquido non finiva
mai. L'olio, spalmato addosso, guariva gli ammalati travagliati da
infermità.
L'immagine
di questa Statua prodigiosa apparve rassicurante al Gran Maestro
dell'Ordine dei Cavalieri di Malta, prima di sconfiggere i Turchi,
intorno all'anno 1565, e , grato di ciò, donò alla Chiesa ingente
bottino conquistato ai Musulmani (armi, trofei, bandiere etc.) e
quaranta mortai in bronzo dei quali fusi, si fabbricò la campana che
ancora oggi è attaccata all'artistico campanile della chiesa.
Il
Pirri riferisce che nell' "Historia Domenicana" si legge del
Convento, il quale iniziò l'attività per mezzo di P. Merlino nell'anno
1556 e che il Vescovo di Siracusa Giovanni Orosco concesse ai PP.
Domenicani di prendere possesso del Convento e della Chiesa il 29 aprile
1567.
Il
Convento era stato soppresso con Bolla del 1652 di Papa Innocenzo perchè
non aveva i mezzi necessari per il mantenimento dei Monaci. Riprese
l'attività mediante donazioni di terre fatte da famiglie sciclitane per
cui dentro Esso fiorirono Scuole di Teologia e Filosofia dalle quali
uscirono Sacerdoti di grande intelletto che si distinsero per carità,
santità e perchè furono valenti predicatori del Vangelo e cultori di
Lettere. Tra questi i più celebri furono: P. Bacillieri, P. Fr. Marni (
Missionario e predicatore in Spagna e nelle Indie, morto in odore di
santità), P. Decio Mirabella di Scicli, P. Decio Abarca, P. Guglielmo
Dinaro, P. Domenico Rosa, P. Baldassarre Rosa, P. Antonio Rosa, P.
Giacinto Frasca, P. Domenico Furnari.
Il
terremoto del 1693 devastò soltanto il cappellone della Chiesa che fu
restaurata dal predetto P. Rosa.
Chiesa
di S. Matteo
In
cima al Colle S. Matteo, circondato da rovine e ruderi di Scicli antica,
sorge il maestoso primo duomo cittadino, dedicato all'Apostolo S.
Matteo, patrono dell'antica città e protettore dei naviganti.
Purtroppo,
le antiche architetture che avrebbero potuto testimoniare il periodo
esatto della sua fondazione furono occultate, coperte e rifatte diverse
volte a causa dei terremoti, ma antichi documenti tramandati da
scrittori del tempo testimoniano l'esistenza della chiesa già a partire
dall'anno 313 d.c. con la diffusione del libero culto del Cristianesimo.
La chiesa, infatti, poggia le sue fondamenta su numerosi sotterranei e
catacombe, utilizzate fino al 1884 per accogliere le spoglie dei
cittadini Sciclitano di fede Cristiana.
Il
terremoto del 1693 fece crollare l'intero edificio che venne ricostruito
per volontà e partecipazione del popolo sullo stesso luogo
contravvenendo alla volontà del vescovo. Tale decisione era carica di
forte significato religioso in quanto in questa chiesa si veneravano le
reliquie del Beato Guglielmo, eremita morto a Scicli nel 1404 e ivi
sepolto.
Si
narra che il corpo del Santo, racchiuso in un'urna di marmo, fu immerso
in una tinozza piena d'acqua e che gocce di quell'acqua benedetta furono
bevuta da migliaia di malati di peste che guarirono, e dagli ancora non
contagiati che ebbero l'immunità.
Oggi, ciò che rimane delle spoglie del Santo, viene custodito
all'interno di una cassa d'argento conservata nella chiesa di S.
Ignazio.
Il
prospetto, probabilmente mai completato, si sviluppa su due ordini:
quello inferiore presenta tre portali d'ingresso con una superficie
scandita da coppie di lesene e colonne; l'ordine superiore si sviluppa
solo nella parte centrale concluso lateralmente da due volute con
pennacchi e motivi naturalistici, che fungono da elementi di raccordo
tra i due piani. Il finestrone centrale è incorniciato da colonne e
lesene. Sulla cornice marcapiano, al di sopra del portale centrale, un
cartiglio reca la data 1762 che potrebbe riferirsi al completamento
dell'edificio.
La
fiancata rivolta verso la città, che si sviluppa in larghezza come
una seconda facciata, coincide con la fiancata della navata minore
destra; essa si conclude con una loggia campanaria tripartita, che
sostituì il campanile precedente, alto e slanciato, collocato a ridosso
dell'abside e crollato durante il terremoto.
Lo
stretto e lungo piazzale che si affaccia sulla vallata, è
costruito in parte sul tetto del grande edificio che anticamente
costituiva l'abitazione dell'Arciprete parroco, e che durante la
pestilenza del 1837 fu utilizzato come cimitero. A nord del piazzale si
trova l'orologio civico di San Matteo che, prima del terremoto, era
collocato sul campanile della chiesa e che probabilmente questo sia solo
un rifacimento di quello originario.
L'interno è
a pianta basilicale a tre navate concluse da tre absidi quadrangolari;
la navata centrale è separata da quelle laterali da pilastri
cruciformi, su cui si addossano lesene con capitelli di ordine composito
in calcare di ottima fattura artigianale. Sopra l'architrave si aprono
cinque grandi finestre per lato che, insieme a quella anteriore, davano
luce alla navata centrale.
Poco
resta della bellezza decorativa interna: una raggiera con putti al
centro dell'abside sopra l'altare centrale e accenni di una ricca
decorazione nei due altari delle cappelle absidali laterali. Inoltre,
grazie ai lavori di restauro, è stato portato alla luce un antico
pavimento in pietra bianca e nera di Ragusa a forme poligonali e
ovoidali.
Chiesa
rupestre di Santo Spirito
La
chiesa rupestre dello Spirito Santo, ubicata nella parte alta del Colle
di San Matteo, vicina all'agorà dell'antica città di Scicli sul
versante della Cava di Santa Maria la Nova, presso il Castello dei Tre
Cantoni, in un'area in cui vi sono numerosi ipogei dalla fronte
generalmente crollata, in alcuni dei quali è possibile riconoscere
ancora l'originaria destinazione funeraria in epoca tardoantica.
La
prima menzione di questa chiesa si deve al Carioti il quale ricorda che
"...per essere antichissima lo fu in una grotta presso a cui si
comunicò l'erezione di un tempietto doppo il 1710, di già ne resta
terminata", e quindi il Pacetto segnala che: "Sottostante
all'attuale rovinata Chiesa dello Spirito Santo vi è una specie di
Catacomba incavata nel vivo sasso, ove tuttora si osservano avanzi di
antichissime pitture rappresentanti colossali figure, che non possono più
distinguersi perché sbiadite dall'umido, ed in parte screpolate da mano
villana...". In effetti la cripta è ubicata al di sotto della
chiesa settecentesca, con la quale comunicava per mezzo di un passaggio
gradinato scavato nella roccia fra l'abside e la parete di fondo della
chiesa in muratura, dove si apre a destra dell'altare. Questo passaggio
è stato successivamente obliterato da un tampogno in muratura.
La
planimetria della chiesa, come spiegano Rizzone e Terranova, si presenta
molto semplice, nonostante il rovinoso crollo del costone roccioso in
cui è scavata e che ha interessato la parte settentrionale della cripta
comporti necessariamente una lettura parziale dell'articolazione
originaria. Una parete in muratura, prolungata durante l'ultima fase di
frequentazione della grotta, chiude la parte franata. Nell'unica parte
non crollata si conserva lo stipite occidentale di un ingresso dal lato
Nord, presso il quale è scavata una piccola nicchia.
Presso
l'abside si conservano ancora tracce di decorazione pittorica, anche se
le tracce più cospicue rimangono nella parete in corrispondenza del
subsellium. Qui si distinguono quattro strati di affreschi: lo strato più
recente di cui restano frammenti presenta la Madonna con il capo
inclinato verso sinistra -verosimilmente volta verso il Figlio di cui,
però, non restano tracce- e coperto da un velo grigio; a destra, di
minori dimensioni, è un'altra figura nella quale è probabilmente da
riconoscersi il Beato Guglielmo canonizzato nel 1538.

Se
nulla si può dire sulla cronologia degli affreschi più antichi, la
semplicità dell'architettura, la mancanza di partizioni interne, di
presbiterio e dell'orientamento canonico, l'ingresso da uno dei lati
lunghi, la piccola abside alla quale doveva essere addossato l'altare
murale, sono caratteristiche che si riscontrano nelle chiese rupestri
dei secoli XIII e XIV. Confronti si possono istituire con le chiese
rupestri di contrada Cansisini a Cava Lazzaro in territorio di Rosolini,
cosiddette di Sant'Alessandra a Ufra presso Modica, di San Nicola a Cava
Ispica ed anche nella chiesa di Santa Maria la Cava a Spaccaforno.
Pertanto,
risale verosimilmente ad una data non lontana da quella dello scavo la
prima menzione della chiesa, contenuta in una carta notarile del 25
ottobre XIV Ind. 1375: essa costituisce un punto di riferimento per il
posizionamento di una grotta con la quale la chiesa confina e della
quale il rogatore dell'atto vanta diritti censuali.
Si
devono molto verosimilmente al gravissimo terremoto del 1693 il crollo
del costone roccioso dove era scavata la chiesa rupestre, e quindi la
decisione di ricostruirla in muratura in un luogo più sicuro. La nuova
chiesa venne completata nel corso della prima metà del XVIII secolo: la
data del 1747 incisa su un concio del prospetto indica il completamento
dei lavori della facciata; una conferma giunge anche dal Carioti che nel
suo scritto anteriore al 1760 la dice già ultimata. In seguito
all'abbandono del sito ed al completo trasferimento del paese a valle
dopo il terremoto, la chiesa ebbe vita breve, così come è avvenuto per
quella di San Matteo: il Pacetto, come si è detto, ricorda che vi
furono celebrate messe fino al 1820 circa e aggiunge che poi "per
oscitanza dei Patroni si rovinò la volta di detta Chiesa; anche ne
perdura l'intiero fabbricato ridotto a Casaleno, e l'adiacente piano fu
dai patroni venduto al villico Pietro Blundetto, il quale avendolo
sgombrato dagli avanzi e dalle basi delle antiche fabbriche ne utilizzò
il terreno, ove piantò Alberelli e Viti, e che poi vendette al canonico
D. Ignazio Lutri".
La
chiesa oggi si presenta gravemente danneggiata, d'essa rimangono quasi
interi i muri laterali ed il bellissimo prospetto con Portale dalle
sottili colonne, rostrate verso l'alto, scanalate e spigoli
smussati,cimate da capitelli Ionici. Sempre nel prospetto, seminascosto
da una rigogliosa vegetazione, si osserva la ricchezza dell'architettura
mista, con elementi particolari costanti, tipica dello stile Romanico
della decadenza (anni 192-475), periodo che viene distinto anche come
epoca d'arte Paleocristiana.
Chiesa
di San Giuseppe

Fondata
verso il 1500 da Giannantonio Miccichè, nel quartiere Pendino o Casale,
che poi da essa prese il nome di S. Giuseppe, fu elevata, nel 1598, a
Grangia della chiesa Madre dal Vescovo di Siracusa D. Giovanni Orosco.
Già
precedentemente un gruppo di Francescani Cordiglieri si era insediato
sulla collina della Croce costruendo un Convento e l'attuale Chiesa, con
l'ampliamento di un antico oratorio; successivamente, altri Frati
Cappuccini, anch'essi Francescani, avevano costruito un convento e una
chiesa, sulla fiancata del Colle di S. Marco, su un terreno già
appartenuto ai Confrati della Chiesa di Santa Agrippina, che spiega la
presenza della statua quattrocentesca della Santa insieme a quella di
Sant'Onofrio, di cui, invece non esiste traccia. Se in tale contesto
topografico si inserisce la Chiesa rupestre del Calvario, risulta
evidente il desiderio di un'ideale ricostruzione, sulla stessa collina,
di un percorso di luoghi santi.
Il
terremoto del 1693 distrusse in buona parte la Chiesa che però, nel
periodo immediatamente successivo, venne ricostruita nelle odierne linee
sobrie ed essenziali che le conferiscono quella contenuta maestosità;
unici ornamenti alla lieve concavità della facciata, racchiusa nei suoi
contrafforti laterali, sono la vetrata e un cartiglio con incise le
lettere:
D
(eo), O (ptimo), M (aximo)
et
S (anctae), M (ariae)
ed un concio rettangolare con la data della ricostruzione della Chiesa,
1772.
L'interno,
ad una sola navata presenta, all'entrata, sul lato sinistro, la nicchia
con il fonte battesimale e, addossata alla parete, un'acquasantiera
sostenuta da un puttino alato, avvolto in un lungo panneggio
antecedente, forse, alla ricostruzione del XVIII secolo. Subito dopo
troviamo l'altare dedicato alla Crocefissione : il corpo di Cristo,
raffigurato con le caratteristiche dei Crocefissi anteriori al '600,
(stillante sangue dalle ferite delle mani e dei piedi, dalla fronte, dal
costato e dalle ginocchia), è fiancheggiato da due statuette
raffiguranti Maria e San Giovanni. Una nicchia separa questo altare da
quello dedicato a Santa Agrippina, la statua, in marmo, poggia su una
base ottagonale nella quale è incisa la data del 1497 e sui lati sono
raffigurati gli episodi riguardanti il martirio e i miracoli operati
dalla Santa che tiene in mano il Vangelo, simbolo della fede in nome
della quale subì il martirio e sconfisse il male, simboleggiato dal
mostro mezzo animale e mezzo uomo, tenuto in catene sotto i piedi della
Santa; nell'altro braccio è adagiata la palma,simbolo del martirio; la
nicchia mostra, in alto, la conchiglia, simbolo della preziosità del
contenuto, ed è attorniata da stucchi imitanti ricchi panneggi, che
richiamano quelli dell'altare dell'oratorio di S. Maria della Croce.

Il
Presbiterio, di forma rettangolare, con volta a crociera, ospita un
grandissimo quadro raffigurante in alto, al centro, il Pantocrate, ai
cui lati sono la Madonna e San Giuseppe; al di sotto le figure di
numerosi Santi con, al centro, San Corrado. L'altare centrale, di marmo
policromo, è sovrastato da una nicchia che ospitava la statua di S.
Giuseppe, ora situata su un piedistallo al di sopra dell'altare stesso.
La
statua, iniziata nel 1773 dal Padula, (lo stesso che realizzò il
presepe di S. Bartolomeo), rimase incompleta per la morte dell'artista;
un artigiano locale, il Cultraro (o Cultrera) intervenne per realizzare
il braccio destro e il Bambino Gesù seduto su di esso, mentre il
braccio sinistro sorregge il bastone fiorito, simbolo della speranza; ai
piedi, il giglio (simbolo della purezza della fede) presenta sei punte
che richiamano la stella di Davide, alla cui stirpe appartiene S.
Giuseppe. A sinistra, sotto il coro, una preziosa cornice di stile
barocco racchiude una tela raffigurante la cacciata dei mercanti dal
tempio.
Sulla
volta dell'abside un affresco raffigura la morte di S. Giuseppe,
protettore dei morenti, al suo capezzale, su una seggiola con braccioli,
Gesù , suo figlio putativo; ai piedi del letto, su un panchetto,
coperta con un lungo mantello, la Madonna, sua sposa, a lato del letto
un angelo, mentre in alto teste di putti si affacciano tra nuvole. Sulla
parete di destra, dalla balaustra del presbiterio, una nicchia contiene
la statua del Sacro Cuore; un'altra, un quadro raffigurante la Madonna
della Grazia, attorniata da putti alati e da angeli e fiancheggiata, in
basso dalle figure delle due martiri siciliane: S. Agata e S. Lucia,
mentre in basso, sovrapposte in parte sul nome del committente, sono
inserite figure di anime del Purgatorio che richiamano, per le
caratteristiche iconografiche, le anime purganti raffigurate nel quadro
della Mater Gratiarum posto nella nicchia di sinistra della chiesa di S.
Maria del Gesù dei Minori Osservanti.
Lesene
con capitelli ionici sostengono la trabeazione di questa nicchia, mentre
gli altri altari sono fiancheggiati da lesene con capitelli corinzi. Al
di sopra della trabeazione, su ogni lato, tra le finestre vetrate,
spicca la croce di Malta. Il tetto, a botte, è scandito da vele a
crociera che si dipartono dalle finestre; l'arco trionfale che insiste
sulla balaustra e che divide la navata dal presbiterio, è scandito da
corpi ovali dorati.
Chiesa
del Calvario
A
mezza costa del colle della Croce, per mezzo di scalini scavati nella
roccia e inerpicandosi fra la vegetazione che copre il fianco della
omonima collina, si arriva alla chiesa rupestre detta del
"Calvario" al cui sito ben si accompagna il nome. L'immagine
che qui si adora è Gesù Cristo morto con accanto la Vergine Addolorata
e le Marie. Di tale chiesa il notaro Antonino Militello ne fa memoria
negli atti del 1521 e nel 1574 viene chiamata basilica da due atti del
notaro Guglielmo Marsala, come si legge in "Notizie Storiche della
Città di Scicli " di Antonino Carioti.
Sui
battenti del portone d'ingresso, attraverso cui si accede all'ampio
locale scavato nella roccia, si trovano i simboli della passione di
Cristo (chiodi, martello, tenaglia da una parte e scala e lancia
dall'altra). Al di sopra s'innalza l'alto campanile, mentre all'interno,
il pavimento, ancora allo stato originario, è suddiviso in grandi
rettangoli da lastre lisce che si susseguono e si intersecano vicino
alle pareti e al centro. In fondo uno scalino divide la navata dal
presbiterio; tre scalini (numero che simboleggia la Trinità) portano
all'altare di pietra.
Il
paliotto riproduce in altorilievo "La Pietà". Il corpo di
Cristo, coperto dal perizoma, è tenuto sulle ginocchia della Madonna
Velata; Maria di Magdala, inginocchiata e a capo scoperto, bacia le mani
di Cristo. Ai lati, in alto, gruppi di angeli piangenti; a sinistra sono
scolpiti il sole e un angelo che tiene in mano la scala, il martello e
la tenaglia; in basso la croce con la corona di spine e i tre chiodi. A
destra, un altro angelo tiene in mano altri simboli della Passione: la
colonna, a cui Cristo fu legato per essere fustigato; la canna messa in
mano a Cristo al posto dello scettro, la canna con la spugna imbevuta di
aceto e la lancia con cui fu ferito al costato. In basso, il simbolo del
sepolcro; in corrispondenza del sole, la luna, simbolo della notte e
della fine. Sulla cornice del paliotto spicca la conchiglia che
simboleggia la sacralità della raffigurazione.
Sul
piano della mensa si vede ancora la pietra benedetta quadrata, che
racchiude a sua volta le reliquie di un Santo o di un Martire. Esse
venivano poste nell'altare per rendere sacro il piano su cui veniva
celebrata la messa; al centro, sul piano superiore a quello della mensa,
c'è un tronetto con baldacchino, sotto il cui panneggio si trova la
colomba, simbolo dello Spirito Santo. Dietro il tronetto, un'ampia
apertura rettangolare, un tempo chiusa da una vetrata inquadrata da una
cornice di legno scandita dai colori rosso, azzurro e giallo, fa vedere
il corpo di Cristo con le ferite della Crocifissione adagiato su un
piano di pietra, in bassorilievo, l'immagine tattile di una coperta
impreziosita da una frangia dorata su cui il corpo di Cristo sembra
dormire. Egli è raffigurato con il capo reclinato dalla parte di chi
guarda; il braccio destro disteso lungo i fianchi, il sinistro
rilassato, poggia con la mano sullo stomaco; i piedi, divaricati, hanno
le dita lunghe e affusolate. Sul torace, in un gioco plastico, si
rilevano le clavicole e le costole.
L'altare,
fiancheggiato da due bellissime volute di foglie di acanto, secondo
l'uso bizantino, è orientato ad est, perchè da lì sorge il sole, a
simboleggiare la figura di Cristo che con la sua venuta caccerà il male
e farà trionfare il bene. Ai lati del presbiterio, scavate nelle
pareti, due grandi nicchie, contengono rispettivamente, quella di
sinistra, un busto raffigurante la Madonna e quella di destra, il busto
raffigurante San Giovanni. La figura della Madonna, avvolta dal mantello
blu e dal capo velato, fa intravedere, come quella del paliotto, l'ampio
collare bianco a pieghe, di foggia cinquecentesca. Sull'altro lato il
busto di San Giovanni ricalca l'iconografia del più giovane degli
apostoli: guance imberbi di adolescente, capigliatura lunga, veste
verde, simbolo della giovinezza e della speranza e mantello rosso,
simbolo del martirio. In entrambe le nicchie le tracce di rosso e di
altri colori lasciano chiaramente intravedere le pieghe delle valve
della conchiglia, simbolo del prezioso contenuto.

Sulle
pareti laterali, scavate nella roccia, si trovano diverse incavature che
servivano per riporre i lumini; due incavature, l'una sull'altra,
simmetriche sulle due pareti e allineate al ripiano dello scalino del
presbiterio, fanno pensare ad un'altra cancellata che lo divideva dalla
navata a botte. In alto a sinistra, scavata nella roccia, una grande
lettera riproduce la "tau", lettera greca presente nelle
chiese francescane, testimonianza che prova la veridicità di quanto si
legge nel Carioti, che cioè la chiesa era di proprietà degli
osservanti minori del Convento della Croce che si trova più in alto
nella stessa collina. Dalle tracce di colore che ancora si vedono, si può
dedurre che tutte le pareti erano sicuramente affrescate, soprattutto
quella di destra, e quella dell'altare, qui sono ancora visibili gli
affreschi raffiguranti le tre croci sul Golgota e sulla croce centrale
si vedono, appoggiate, le scale che richiamano il momento della
deposizione.
Nella
chiesa rupestre sono presenti: il colore rosso, simbolo dell'umanità e
del martirio; il colore giallo, simbolo della santità di Dio, luce ed
eternità, identificato con il sole e il blu, colore quest'ultimo che
richiama il cielo e scandisce anche l'alzata dei tre scalini che portano
all'altare. Dietro l'altare un piccolo locale, dentro il quale è stato
costruito, sopra un alto basamento, il sepolcro su cui è adagiata la
statua del Cristo Deposto, presenta un pavimento coperto di piccoli
mattoni rossi e custodisce, murata nella parete di fondo, una tomba.
Infine, da segnalare, la presenza nel locale della sacrestia, a cui si
accede da un'apertura nella parete di destra e vicino al portone
d'ingresso, un originale lavamani . Esso consiste in una grande ciotola
tenuta da una grande mano, su cui è incisa, in bassorilievo sulla
roccia, una croce.
Si
sa che, dopo il terremoto in Scicli, del 1693 in Essa furono trasferiti
gli Oli Sacri della Cattedrale di San Matteo perchè fossero protetti da
eventuali altri terremoti.
Dal
Carioti si hanno testimonianze che " La notte del Giovedì Santo si
faceva a questa grotta, un pellegrinaggio di penitenza; i devoti
traevano fin lassù, per la ripida erta, recando sulle spalle, per
penitenza, una pietra più o meno pesante, che poi gettavano a far
mucchio, davanti alla grotta".
Agosto
2019
Pag.
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