- Chiesa
della
Santissima
Annunziata
dei
Catalani
Eretta
tra
il
1150
e
il
1200,
durante
il
regno
normanno
di
Guglielmo
II
il
Buono,
probabilmente
sui
resti
dell’antico
tempio
pagano
di
Nettuno,
la
chiesa
sorgeva
nei
pressi
di
uno
dei
luoghi
più
importanti
della
città:
la
darsena.
A
guardia
di
questa
zona
più
interna
del
porto,
dove
si
custodivano
le
imbarcazioni,
stava
la
fortezza
di
Castellammare,
per
questo
l’edificio
era
stato
definito
Chiesa
della
SS.
Annunziata
di
Castellammare.
Nel
1270
fu
affidata
all’ordine
monastico
dei
Domenicani,
proprio
negli
stessi
anni
in
cui
arrivò
a
Messina,
al
seguito
di
Pietro
III
d’Aragona,
il
primo
nucleo
significativo
di
Catalani.
Tra
il 1741 e
il 1743 l'incaricato
regio
monsignor Giovanni
Angelo
de
Ciocchis compie,
per
conto
del Sovrano
di
Sicilia Carlo
III,
una
ricognizione
generale
di
edifici
e
beni
religiosi
soggetti
a patronato
regio nell'intero
territorio
siciliano
e
contemplati
nella
raccolta
di
atti
e
documenti
denominati
"Acta
e
Monumenta". 
Sotto
il
dominio Aragonese servì
da Cappella
Reale ai Re
di
Sicilia.
Un
tempo
possedeva
pingui
rendite,
i
Sovrani
conferivano
questa
Cappella
ai
soggetti
riguardevoli
per
dottrina
e
per
servigi
loro
resi."
Sotto
il
regno Pietro
III
d'Aragona
(durante
il
regno
del
nipote Pietro
II
di
Sicilia,
figlio
di
Federico
III
d'Aragona)
molti
dignitari
chiesero
e
ottennero
da
Sua
Maestà
il
sacro
tempio,
ove
convenivano
e
si
adunavano
per
i
loro
esercizi
spirituali.
Si
formò
quindi
una
specie
di
Confranternita
d'iberici
della
Corona
d'Aragona,
i
quali
nominavano
ogni
anno
nelle
debite
forme,
il
console
ed
altri
ufficiali
della
chiesa.
I
diritti
riscossi
dai
bastimenti
battenti
bandiera
aragonese
che
approdavano
nel
porto
peloritano,
erano
destinati
per
la
maggior
parte
al
mantenimento
e
al
decoro
della
suddetta
chiesa,
come
si
evince
dalle
documentazioni
redatte
da
consoli
e
ufficiali
in
vari
tempi.
In
una
missiva
inviata
da Ludovico
di
Sicilia
all'arcivescovo Raimando
de
Pezzolis il
4
luglio
1347,
il
sovrano
rammenta
che
l'edificio
gode
del
titolo
di
Cappella
Reale
e,
in
virtù
delle bolle
pontificie emanate,
è
esente
dalla
giurisdizione
ordinaria
dei
beni.
La
lunga
teoria
di
rettori
di
nomina
regia
destina
le
rendite
dei
privilegi
ad
essa
assegnati
parte
al
mantenimento
della
stessa
struttura,
la
gran
parte
sono
conferiti
alla
gestione
dell'Ospedale
dei
Trovatelli. Il
26
marzo 1507 il
re Ferdinando
II
d'Aragona
concede
la
chiesa
con
tutte
le
sue
rendite
assieme
all'Ospedale
dei
Trovatelli al Senato
di
Messina.
L'amministrazione
dei
beni
è
conferita
alla Confraternita
della
Candelora altrimenti
detta
dei
«Verdi».
Verso
la
fine
del
XV
secolo,
con
la
riunificazione
di
tutti
regni
sotto
un'unica Corona
di
Spagna,
vennero
ammessi
anche
gli
iberici
non
appartenenti
alla
ex Corona
d'Aragona.
Divenne
così
sede
della Confraternita dei
mercanti catalani,
dalla
quale
prese
il
nome
attuale,
soluzione
motivata
dalla
carenza
di
risorse
economiche
per
assicurare
al
tempio
il
consueto
lustro,
decoro
e
splendore.
I
mercanti,
nobili
e
cavalieri
ispanici
si
riunirono
in
confraternita
e
commissionarono
diverse
opere
d'arte
che
arricchirono
l'antico
tempio
medievale.
L'aggregazione
determinò
la
costruzione
di
un
altare
sotto
l'invocazione
e
il
titolo
di Nostra
Signora
della
Soledad,
elemento
che
l'accomuna,
nel
determinato
contesto
storico,
alla Cappella
della
Madonna
della
Soledad della chiesa
di
San
Demetrio di Palermo.
Allo
stesso
periodo
risale
la
costruzione
di
una cripta destinata
alla
sepoltura
dei
confrati.
Dopo
il
terzo
decennio
del XVI
secolo i
Padri
dell'Ordine
dei
Chierici
regolari
teatini sono
temporaneamente
ospitati
nell'attesa
della
costruzione
della
loro
Casa
e
Tempio.
Nella
cappella
in cornu
evangelii è
documentato
il
dipinto
raffigurante
l'Andata
al
Calvario di Polidoro
da
Caravaggio, allievo
e
stretto
collaboratore
di Raffaello
Sanzio, del 1534,
oggi
al Museo
di
Capodimonte di Napoli.
Il
capolavoro
pittorico
costituisce
una
versione
«processionale»
dell'opera
del
genio
di
Urbino,
celebrata
a Messina anche
con
un'opera
in
versi
dal
titolo
"Il
Spasimo
di
Maria
Vergine"
del
sacerdote
Nicola
Giacomo
di
Alibrando. Entrambe
le
opere
tendono
ad
esaltare
i
nascenti aspetti
devozionali
della Passione
di
Gesù nella
città
peloritana
estendendone,
attraverso
le
numerose
copie
pittoriche
"personalizzate"
della
prima,
la
conoscenza
e
la
divulgazione
oltre
i
confini
dei
capoluoghi Messina e Palermo.
Sull'altare
maggiore
è
altresì
documentato
il
dipinto
della Santissima
Vergine
Annunciata raffigurata
con
l'Angelo
Annunciante
e
Sant'Eulalia
dei
Catalani,
protettrice
di Barcellona e
della Catalogna. La
zona
absidale
costituiva
la
cappella
gentilizia
patrocinata
dalla
famiglia
dello
storiografo
messinese Giuseppe
Buonfiglio.
Nella
cappella
in cornu
epistolae il
dipinto Giudizio
Universale di
scuola michelangiolesca.
Dopo
i
danni
provocati
in
città
dal terremoto
della
Calabria
meridionale
del
1783 la
chiesa
diviene
sede
parrocchiale
in
sostituzione
della chiesa
di
San
Nicolò
all'Arcivescovado gravemente
compromessa.
Il
capolavoro
di Polidoro
Caldara
da
Caravaggio raffigurante
l'Andata
al
Calvario fu
donato
a Ferdinando
di
Borbone
dell'Arciconfraternita
dei
Catalani dopo
il
terremoto
e
inserito
nella
quadreria
regia
della Galleria
di
Capodimonte di Napoli.
Particolari
gli
antichi
stipiti
del
portale
centrale
decorati
da
antiche
iscrizioni
arabe
realizzate
a
tarsia
di
marmo
verde
inneggianti
al
Gran
Conte
Ruggero.
A
fine
Ottocento
furono
cedute
dal
principe
Papardo
del
Parco
Governatore
del
sodalizio
laicale
al
Museo
Civico
per
passare
dopo
il
terremoto
del
1908
nelle
collezioni
del
Museo
Regionale.
Fino
al
devastante terremoto
del
1908 sull'altare
maggiore
era
collocata
la
grande
tavola
commissionata
nel
1505
al
frate
carmelitano
Giovanni
d'Anglia
raffigurante
l'Annunciazione
della
Vergine
Maria raffigurata
con
ai
piedi Santa
Eulalia,
patrona
dei
Catalani,
con
una
veduta
della
città,
oggi
custodita
nelle
collezioni
del Museo
Regionale.
Stessa
destinazione
per
la
tavola
del
1514
di Girolamo
Alibrandi raffigurante
il Giudizio
Universale e
la
tela
dell'Immacolata del
1606
di
Tomas
Montella.
La
tela
dell'Immacolata è
stata
riconsegnata
alla
chiesa
dei
Catalani
una
decina
di
anni
or
sono.
In
quella
occasione
la
stessa
Arciconfraternita
ha
acquisito
un
antico Crocifisso del
XVI
secolo,
proveniente
dal monastero
dell'Elenuccia,
che
è
stato
collocato
nell'abside
centrale.
Ancora
oggi
è
sede
della Nobile
Arciconfraternita
della
Santissima
Annunziata
dei
Catalani che
vi
svolge
le
proprie
attività
di
culto
e
solennizza
la
festività
della
Annunciazione
del
Signore
alla
Vergine.
Una
delle
mete
più
importanti
del
turismo
crocieristico
in
Città,
è
utilizzata
spesso
per
la
celebrazione
di
matrimoni.

Attualmente
la
Chiesa
dei
Catalani
è
uno
dei
tesori
meglio
conservati
del
patrimonio
storico-artistico
messinese,
nonché
uno
dei
pochi
monumenti
sopravvissuti
alle
catastrofi
naturali,
infatti
il
complesso
architettonico
si
presenta
fortemente
ribassato
rispetto
al
piano
stradale
attuale,
dal
momento
che
Messina
è
stata
totalmente
ricostruita
sulle
proprie
macerie.
La
chiesa
presenta
un
impianto
basilicale
a
croce
latina
con
tre
navate
che
si
concludono
in
tre
absidi;
le
due
laterali
sono
completamente
inglobate
nello
spessore
murario,
esternamente,
infatti,
vediamo
solo
il
settore
absidale
centrale:
il
transetto
è
sormontato
da
una
sola
cupola
dal
tamburo
cilindrico
ornato
con
arcate
cieche
su
colonnine
e
strette
finestre
che
creano
una
geometria
decorativa
equilibrata
e
dinamica;
la
fascia
in
pietra
bicolore
che
orna
il
loggiato,
sottolineandone
l’andamento
regolare,
richiama
alla
memoria
suggestioni
decorative
bizantine
innestate
in
una
soluzione
architettonica
normanna.
All’interno
sono
evidenti
chiari
elementi
appartenenti
a
diverse
culture
artistiche;
la
navata
principale
presenta
una
copertura
con
volta
a
botte
tipicamente
bizantina,
così
come
testimonianza
dell’influenza
orientale
sono
gli
spessi
strati
di
calce
e
i
lunghi
mattoni
che
si
trovano
nella
zona
originaria
del
complesso;
le
colonne
incassate
dell’abside
maggiore
e
alcuni
capitelli
attestano
l’influsso
arabo;
le
strette
ed
alte
finestre
delle
navate
e
della
cupola
sono
tipicamente
normanne.
A
seguito
di
un
terremoto
che
in
epoca
medievale
causò
il
crollo
della
parte
anteriore
della
chiesa,
la
lunghezza
delle
navate
venne
ridotta
quasi
della
metà
e
venne
riedificata
la
facciata
composta
da
tre
portali:
il
centrale,
sormontato
dallo
stemma
di
Catalogna,
è
centinato,
mentre
i
laterali
sono
architravati
con
capitelli
di
imitazione
tardo-romana.
Nel
sottosuolo
c’è
la
cripta
che
si
snoda
sotto
il
transetto
ed
è
costituita
da
più
locali
di
cui
il
principale
ha
forma
rettangolare
ed
è
coperto
da
una
volta
a
sesto
ribassato.
Basilica
concattedrale
del
Santissimo
Salvatore

Il
complesso
costituito
dalla
chiesa
e
dall'istituto
annesso,
denominato
Istituto
Salesiano
Domenico
Savio,
fu
progettato
dall'ingegner
Enzo
D'Amore
dell'ufficio
tecnico
arcivescovile.
La
costruzione
venne
iniziata
nel 1928 e
terminata
nel 1932.
Giunto
a
Messina
il gran
Conte
Ruggero nella
località
nota
come
San
Giacinto
presso
il Forte
del
Santissimo
Salvatore sulla
lingua
del
Faro,
rimase
impressionato
dall'impiccagione
di
dodici
cristiani
messinesi
per
opera
dell'armate
saracene.
Da
questo
evento
prese
spunto
la
solenne
promessa,
scacciati
gli
arabi
dalla
Sicilia,
di
edificare
un
magnifico
tempio
da
dedicare
a
Gesù
Cristo
Salvatore
del
Mondo
e
un monastero retto
dall'Ordine
basiliano,
primate
della
provincia
e
superiore
a
tutti
gli
altri.
Assegnato
all'abate Bartolomeo
di
Simeri proveniente
dall'abbazia
di
Santa
Maria
del
Patire di Rossano nel 1086,
è
arricchito
di
privilegi,
terre,
feudi
e
villaggi. Nel 1130 l'abate
Luca
fu
nominato
archimandrita
da Ruggero
II
di
Sicilia,
ovvero
primo
abate
dell'Ordine
basiliano
in
Sicilia, personalità
seppellita
presso
l'altare
maggiore
della chiesa
di
San
Giovanni
di
Malta.
Nel 1383 il
monastero
ospita Papa
Urbano
VI.
Posto
in Commenda da Alfonso
V
d'Aragona,
è
nominato
primo
Archimandrita
Commendatario
l'abate Luca
IV
del
Bufalo presentato
dal
sovrano
a Papa
Martino
V. Per
volontà
regia
fu
istituita
a
Messina
l'Accademia
di
Scienze in
lingua
greca,
latina
e
italiana.
Constatato
il
decadimento
dell'Osservanza
e
il
declino
delle
lingua
e
delle
letteratura
greca
da
parte
dei
monaci
dell'Ordine,
con
la
nomina
dell'abate Filippo
Russo è
disposto
che
tutti
monasteri
basiliani
attendessero
allo
studio
della
lingua
greca,
impartissero
l'insegnamento
della
scolastica
e
dell'attica:
ovvero
lo
studio
della
storia,
lingua,
letteratura
e
civiltà
greca. Come
ritorsione
fu
preteso
che,
qualora
gli
abati
rifiutassero
tale
direttiva,
i
medesimi
fossero
privati
dei
monasteri
per
assegnarli
ai
monaci
di rito
latino.
Papa
Martino
V inviò
come
osservatore Lorenzo
Corella
e
nel
1446 Papa
Eugenio
IV sottopose
all'ordinaria
giurisdizione
dell'archimandrita
tutti
i
monasteri
basiliani
di
Sicilia
e
di
Calabria,
assoggettandoli
a
visitatori
apostolici,
con
facoltà
di
istituire
accademie
e
scuole
di
lingua
greca,
dotandoli
di
adeguati
appannaggi.
Nel 1461 Papa
Pio
II,
archimandrita
il
cardinale Basilio
Bessarione,
su
istanza
del Senato
di
Messina
nominò
Andronaco
Galiscoti rettore
dell'Accademia
di
Messina,
a
cui
subentrav Costantino
Lascaris come
risulta
da
bolla
datata
dicembre 1466.
Nel 1479 Leonzio
II
Crisafi,
archimandrita
sostenuto
dal Senato
di
Messina,
sollecitò
a Papa
Sisto
V e
al
sovrano Ferdinando
II
di
Aragona,
i
restauri
delle
strutture.
Le
disposizioni
concordate
nel
1498
prevedevano
che
l'archimandrita
e
gli
abati
commendatari
appartenessero
entrambi
all'Ordine
Basiliano. Questa
regola
fu
sempre
disattesa,
il
sovrano
continuò
a
conferire
l'incarico
a
personalità
non
appartenenti
all'ordine,
meritevoli
per
censo
o
merito.
L'imperatore Carlo
V,
sotto
il
mandato
dell'archimandrita
Annibale
Spadafora nel 1546,
promosse
le
fortificazioni
della
lingua
del
faro
con
l'estensione
dei
baluardi
dal Forte fino
all'antichissima Torre
di
Sant'Anna,
inglobando
così
le
strutture
del
monastero,
nel 1549 un
fulmine
distrusse
anche
la
chiesa
archimandritale.
Per
dare
una
sede
più
consona
allo
spirito
dell'Ordine,
lontano
dal
porto
in
espansione
e
da
più
articolate
strutture
militari,
fu
predisposta
la
costruzione
di
un
nuovo monastero sulla
«Spiaggia
del
Peloro»
o
«Piana
dei
Greci»
nei
pressi
del
torrente
Annunziata.
Nell'attesa
del
trasferimento
del
monastero
presso
l'attuale museo,
i
religiosi
furono
ospitati
temporaneamente
presso
il monastero
di
Santa
Maria
della
Misericordia nel
«quartiere
di
Terranuova».
Il
6
agosto 1563 con
un
grande
corteo
processionale
fu
effettuato
il
trasferimento
nella
sede
ancora
incompleta,
nel 1735 fu
ospite Carlo
di
Borbone,
l'intero
complesso
fu
terminato
solo
nel 1743.
Il
23
marzo
1635
il Papa
Urbano
VIII con
un breve
apostolico l'Archimandritato
fu
elevato
a
"Prelatura
Nullius",
cioè
a
diocesi
con
un
suo
territorio
ben
definito,
separato
e
distinto
dalle
altre.
Dal 1866,
in
seguito
all'emanazione
delle leggi
eversive,
la
soppressione
dei
beni
ecclesiastici
e
il
loro
incameramento,
gli
edifici
furono
destinati
a
caserma
della Guardia
di
Finanza.
Il terremoto
di
Messina
del
1908 distrusse
completamente
la
chiesa
e
il
monastero
del
Santissimo
Salvatore.
Sull'area
corrispondente
fu
edificato
il Museo
regionale
di
Messina.
Fino
al
1883
Messina
aveva
due
istituzioni
religiose
separate,
l'Arcidiocesi
vescovile
e
l'Archimandritato
basiliano,
rette
rispettivamente
da
un arcivescovo e
da
un archimandrita.
In
seguito
all'unificazione
delle
diocesi
del 1883 e
al
terremoto,
monsignor
Angelo
Paino,
arcivescovo
e
archimandrita,
nell'intento
di
restituire
una
nuova
sede
all'Archimandritato
del
Santissimo
Salvatore,
costruì
nel 1929 l'attuale
tempio
con
l'adiacente
complesso
dell'Oratorio
salesiano.
L'inaugurazione
della
chiesa
ha
avuto
luogo
il
6
maggio
1933.
Durante
il
conflitto
della seconda
guerra
mondiale (1943 - 1946)
supplì
nelle
funzioni
di
cattedrale,
dal
momento
che
la basilica
cattedrale
protometropolitana
della
Santa
Vergine
Maria
Assunta fu
gravemente
danneggiata
dai
bombardamenti.
La
consacrazione
e
dedicazione
avvenne
il
30
maggio
1964,
presieduta
dall'arcivescovo Francesco
Fasola.
Mantiene
il
titolo
ed
è
concattedrale
di Messina.
La
Chiesa
è
a
tre
navate
in
stile
neoclassico,
con
stucchi
e
decorazioni
barocche.
Di
notevole
valore
artistico
sono:
un
Crocifisso
ligneo
del
1600
di
autore
ignoto;
una
tavola
di
tempera
di
San
Basilio
del
XVI
secolo
di ignoto
cretese
data
in
deposito
al Museo
Regionale;
San
Domenico
Savio
di
C.
Mongani;
S.
Teresa
del
Bambin
Gesù
di R.
Stramondo;
Sacro
Cuore
di
Giuseppe
Barone;
San
Giuseppe
di
Michele
Amoroso;
La
chiamata
del
giovane
ricco
di
Impallomeni;
La
Cena
di
Emmaus
di
Impallomeni;
S.
Maria
Domenica
Mazzarello
di
Paolo
Crida;
Sant'Antonio
di
R.
Stramondo;
il
Cristo
Salvatore
dell'Umanità
di
Guido
Gregorietti
nel
grande
catino
dell'abside
centrale;
Basilica
Sant'Antonio
di
Padova
Dopo
il terremoto
del
1908,
fu
costruito
l'attuale
santuario,
al
posto
della
precedente
chiesa,
per
volontà
del
messinese sant'Annibale
Maria
Di
Francia,
fondatore
delle
congregazioni
religiose
dei Rogazionisti e
delle Figlie
del
Divino
Zelo.
L'edificio
sorge
nel
quartiere
Avignone
che,
nella
prima
metà
del XX
secolo,
fu
uno
dei
più
malfamati
di Messina;
qui
il
futuro
santo
esplicò
la
propria
instancabile
opera
in
favore
degli
abitanti.
Fu
progettato
dell'ingegner Letterio
Savoja in
stile
eclettico.
Iniziato
nel
1921
e
inaugurato
il
4
aprile 1926,
venne
consacrato
nel
1937.
Fu
elevato
alla
dignità
di basilica
minore dal
23
giugno
2006.
I
prospetti
esterni
sono
in
pietra
di Melilli (in provincia
di
Siracusa);
le
statue
di
bronzo,
poste
nelle
nicchie
accanto
l'ingresso,
raffigurano
i
santi
Luca
e
Matteo,
e
sono
opera
del
Sindoni;
i
bassorilievi
che
adornano
i
timpani,tra
cui
quello
del
Cuore
di
Gesù,
sono
opera
di
Giuseppe
D'Arrigo.
All'interno
la
chiesa
è
riccamente
ed
interamente
decorata
da
stucchi
e
dipinti;
la
copertura
delle
navate
è
affrescata
a
riquadri,
dalla
mano
di
Rosario
Spagnoli.
Sulla
volta
della
navata
sinistra,
dedicata
alla Madonna,
si
può
notare
il
trionfo
dell'Immacolata,
Giuditta
ed
Oloferne,
la
Vergine
vittoriosa
sul
serpente,
la
regina
Ester
e
l'Arca
di
Noè.
Dello
stesso
autore
sono
i
dipinti
della
copertura
della
navata
centrale,
raffiguranti
Gesù
che
affida
agli
Apostoli
il
comando
della
preghiera
vocazionale,
e
le
tempere
raffiguranti
il
profeta
Elia,
su
un
carro
di
fuoco,
il
trionfo
dei
cori
angelici,
il
Cuore
di
Gesù,
S.
Margherita,
Gesù
Buon
Pastore
e
S.
Cecilia
all'organo.
Sull'alta
cantoria
in
controfacciata
si
trova
l'organo
a
canne,
costruito
nel 1962 dai Fratelli
Ruffatti e
dotato
di
20 registri su
due
manuali
e
pedale. Nella
cripta
è
custodito
il
corpo
del
fondatore.
Annesso
alla
basilica
è
un
museo:
un'ala
è
dedicata
a sant'Annibale,
un'altra
a sant'Antonio
di
Padova e
contiene
paramenti
liturgici
e
oggetti
dedicati
ai
due
santi.
Inoltre
si
può
ammirare
un
reliquiario
in
argento
cesellato
a
mano
della Santa
Croce.
Nella
medesima
sala
si
trovano
due
casule
donate
da Giovanni
Paolo
II ai Rogazionisti da
lui
indossate
nelle
cerimonie
di
beatificazione
e
canonizzazione
di
padre
Annibale.
Sacrario
di
Cristo
Re
Alla riconquista
normanna l'edificio
era
poco
più
di
una
costruzione
fortificata.
Al
tempo
del Gran
Conte
Ruggero è
documentato
come
opera
maestosa
e
regale,
che
si
prodigò
a
restaurarlo
ed
ingrandirlo
ulteriormente
erigendo
le
torri
riquadrate
e
quella
ottagonale
provvista
di
scala
a
chiocciola,
campana
e
pennone
ove
issare
lo
stendardo
degli Altavilla.
Fra
gli
ospiti
della
struttura Riccardo
I
Cuor
di
Leone,
fratello
di Giovanna
Plantageneto e
cognato
del
re
di
Sicilia
Guglielmo
II
d'Altavilla.
Quest'ultimi
contrassero
matrimonio
il
10
febbraio 1177,
Giovanna
fu
incoronata
regina
di Sicilia,
nella Cattedrale
di
Palermo il
13
febbraio 1177.
La
Rocca
fu
pertanto
dimora
durante
i
frequenti
passaggi
di
Riccardo,
specie
durante
la terza
crociata,
evento
che
determinò
il
soggiorno
in
città
prima
di
continuare
il
suo
viaggio
verso
la Terra
Santa nell'arco
temporale
compreso
fra
settembre 1190 e
aprile 1191.
Verosimilmente
in
attesa
di
proseguire
verso
il Santo
Sepolcro,
il
re
avrebbe
edificato
o
comunque
rinforzato
la
fortezza
per
tenere
a
freno
i
"Greci"
messinesi
che
non
vedevano
di
buon
occhio
la
sua
presenza
in
città
per
le
ben
note
attività
repressive,
specie
nei
confronti
degli
ebrei
e
ancor
più
verso
i
seguaci
dell'islam.
Al
re
è
attribuito
un
aberrante
massacro
di
cittadini
messinesi
nell'assoluta
indifferenza
di Filippo
Augusto di
Francia,
anch'egli
presente
in
città,
e
di Tancredi
d'Altavilla,
re
di
Sicilia,
che
si
accontentò
di
diplomatiche
scuse.
Nel
particolare
contesto
storico
la
sorella Giovanna,
rimasta
vedova
da
circa
un
anno
del
re
di
Sicilia Guglielmo
II
il
Buono,
era
rinchiusa
nel castello
della
Zisa,
senza
che
le
fosse
restituita
la
dote. Riccardo
chiese
al
nuovo
re,
Tancredi,
la
liberazione
della
sorella
e
la
restituzione
di
tutta
la
dote.
Tancredi
liberò
Giovanna
e
restituì
solo
una
parte
della
dote,
per
cui
Riccardo,
adirato,
occupò Messina e
fece
costruire
una
torre
di
legno
che
fu
detta Mata
Grifone
(Ammazza
greci). Tancredi
si
presentò
con
le
sue
truppe,
ma
preferì
l'accordo:
consegnò
a
Giovanna
altre
20.000
once
d'oro
e,
in
cambio
dell'alleanza
di
Riccardo, lo
indennizzò
con
altrettante
20.000
once
d'oro.
In epoca
sveva la
struttura
è
dio
santo
documentata
come
una
poderosa
fortezza.
Allo
scoppio
della guerra
del
Vespro
gli Angioini di
stanza
a
Messina
si
rifugiarono
all'interno
delle
sue
mura,
ottenendo
in
seguito
il
permesso
di
lasciare
illesi
la
città.
Nel
1284
fu
tenuto
prigioniero
nella
torre Carlo
I
d'Angiò detto
"lo
Zoppo"
prima
di
essere
trasferito
in
Spagna.
Lo
stesso
anno
ospitò
la
regina Costanza
di
Hohenstaufen.
Grossi
lavori
di
ampliamento
del
castello,
divenuto
intanto
residenza
regale,
furono
eseguiti
nella
prima
metà
del XV
secolo mentre
regnava Ferdinando
d'Aragona,
detto
il
Cattolico,
ultimo
rappresentante
dei
Trastàmara. Altre
torri
furono
erette
in
questo
frangente
come
attesta
l'iscrizione
di
una
delle
torri
superstiti.
Il
tempio
fu
edificato
sui
resti
del castello
di Matagrifone del
quale
è
pervenuta,
inglobata
alla
base,
una
delle
torri.
Progettato
da Giovanni
Battista
Milani nel 1937,
troneggia
sulla
città
con
la
sua
grande
cupola
e
le
sue
forme
richiamano
l'architettura
del
messinese Filippo
Juvara,
in
particolare
la basilica
di
Superga sul
colle
omonimo
a Torino.

L'edificio
in
stile
barocco
si
presenta
a
forma
ottagonale
irregolare
con
una
grande
cupola
segnata
da
otto
costoloni
alla
base
dei
quali
vi
sono
otto
statue
di
bronzo,
opere
di Teofilo
Raggio,
raffiguranti
le
tre virtù
teologali: Fede, Speranza e Carità;
le
quattro
virtù
cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza,
per
ultima
la
virtù
allegoria
della Religione che
le
comprende
tutte.
Sulla
cupola
vi
è
collocata
una lanterna alta
sei
metri
ed
una
palla
del
diametro
di
un
metro
sulla
quale
sopra
si
erge
la
croce.
Nella
scalinata
d'ingresso
è
collocata
la
statua
di Cristo
Re,
opera
eseguita
da Tore
Edmondo
Calabrò.
Sul
portale
le
allegorie
dell'Europa e
di Messina.
Il
sacrario
custodisce
i
resti
di
1288
caduti
del secondo
conflitto
mondiale,
161
gli
ignoti,
gran
parte
dei
quali
rimasti
uccisi
durante
la difesa
della
Sicilia,
e
di
110
caduti
del primo
conflitto
mondiale.
Il
tempio
superiore
presenta
un
altare
barocco,
una
cappella
dedicata
alla
Vergine
e
un
balcone
ottagonale
con
vista
sul
tempio
inferiore.
Il
tempio
inferiore
è
caratterizzato
da
colonne
doriche
con capitelli
corinzi disposte
ad
ottagono,
all'interno
del
quale,
in
posizione
centrale
e
visibile
dal
livello
superiore,
è
collocato
un
sarcofago
marmoreo
sul
quale
è
distesa
una
figura
di
soldato
opera
di Antonio
Bonfiglio.
È
inoltre
presente
una
lapide
in
ricordo
dei
marinai
caduti
nella
battaglia
navale
di Punta
Stilo del
9
luglio
1940,
nelle
pareti
migliaia
di
loculi
ospitano
i
resti
dei
caduti
delle
due
guerre
mondiali.
Sulla
torre
ottagonale
è
collocata
una
campana
di
2,80
metri
del
peso
di
130
quintali
ricavata
dalla
fusione
del
bronzo
dei
cannoni
nemici
sottratti
durante
la
guerra
del
1915
-
18.
Terza campana d'Italia per
grandezza,
strumento
fatto
rintoccare
ogni
sera
al
tramonto
in
ricordo
dei
Caduti
di
tutte
le
guerre..
Dal
belvedere
antistante
intitolato
a Giovanni
Angelo
Montorsoli si
gode
il
panorama
dello
Stretto
e
della
città.
Santuario
della
Madonna
di
Montalto

C'è
una
scena
che
gli
automi
del
grande
orologio
astronomico
del Duomo
di
Messina ripetono
tutti
i
giorni,
a
mezzogiorno,
subito
dopo
il
canto
del
gallo,
mentre
dagli
altoparlanti
si
diffonde
il
suono
dell'Ave
Maria
di
Gounod.
Nel
vuoto
della
finestra
che
si
apre
al
terzo
ripiano
appare
una
colomba,
che
compie
un
largo
giro
sul
monte:
subito
dopo
dal
suolo
lentamente
si
solleva
una
chiesa
che
gli
spettatori
non
tardano
a
riconoscere
per
quella
stessa
che
si
offre
al
loro
sguardo
se
appena
si
volgono
verso
sinistra
con
un
giro
di
90
gradi:
il
Santuario
di
Montalto.
Gli
ideatori
del
grandioso
meccanismo
hanno
voluto
così
realizzare
una
rievocazione
storica
di
ciò
che,
secondo
quanto
racconta
il
Samperi
nella
sua Iconologia, avvenne
sul
colle
della Caperrina il 12
Giugno
1286.
Un
fraticello
di
nome
Nicola,
che
viveva
in
un
piccolo
romitorio
alle
falde
del
colle,
sollecitato
da
una
visione
della Vergine
Santa,
aveva
convocato
sull'altura
i
capi
della
città
e
il
popolo,
e
lì,
a
mezzogiorno,
una
bianca
colomba
scese
dall'alto
e,
volteggiando
a
fil
di
terra,
segnò
il
perimetro
della
chiesa
che,
secondo
le
rivelazioni
a
Fra
Nicola,
la
Madonna
voleva
eretta
sul
colle.
Nel
Giugno
del
1295
la
chiesa
era
terminata
e
aperta
al
culto,
una
chiesetta
di
appena
m.
8
x
14,
con
l'abside
volta
a
oriente
secondo
l'antica
usanza,
destinata
a
diventare
il
più
celebre
Santuario
di
Messina,
vero
Palladio
della
città.
Essa
nasceva
in
un
contesto
storico
molto
movimentato,
legato
alle
vicende
del
«Vespro
Siciliano».
Il
28
Aprile
1282,
circa
un
mese
dopo
l'insurrezione
di
Palermo,
anche
Messina
si
ribellò
ai
Francesi,
dando
inizio
a
un
periodo
di
epiche
lotte
che
si
trascinarono
per
un
ventennio,
fino
al
31
Agosto
1302,
data
in
cui
fu
segnata
la
pace
di
Caltabellotta.
Durante
le
alterne
vicende
di
questo
ventennio
i
Messinesi,
oltre
che
nella
forza
delle
loro
armi,
avevano
posto
la
fiducia
nella
protezione
della
Vergine
Maria,
a
cui
rivolgevano
continue
preghiere.
E
la
Madonna
rispose
all'attesa
dei
suoi
devoti,
proteggendo
la
città
anche
con
segni
visibili.
Tra
questi
gli
storici
ne
ricordano
particolarmente
due:
Il
primo
fu
l'apparizione
di
una
Bianca
Signora
sugli
spalti
della
città,
che
rincuorava
i
combattimenti
messinesi
e
incuteva
spavento
nei
loro
nemici.
Il
secondo
segno
è
legato
agli
ultimi
mesi
di
guerra.
La
città
era
ancora
cinta
di
assedio
e
prossima
a
cadere
per
fame;
alcune
galee,
provenienti
dal
Sud,
insperatamente
forzarono
il
blocco
ed
entrarono
nel
porto
per
approvvigionare
la
città,
senza
che
i
Francesi
potessero
impedirlo.
Il
fatto
straordinario
fu
attribuito
in
modo
particolare
alla
intercessione
del
Santo
monaco
carmelitano
Alberto,
che
allora
viveva
a
Messina,
e
tuttora
è
ricordato
dal Vascelluzzo che
ogni
anno
viene
portato
in
processione
nel
giorno
del
Corpus
Domini.
La
chiesa
fu
intitolata S. Maria
dell'Alto, e
divenne
poi
S. Maria
di Montalto.
Alcuni
anni
dopo,
secondo
la
tradizione,
l'8
settembre
1300,
la
chiesa
fu
dotata
di
un
quadro
della
Madonna
che
sarebbe
stato
portato
a
Messina
da
una
nave
dall'oriente,
non
senza
un
palese
intervento
miracoloso.
Questo
quadro
fu
gravemente
danneggiato
dal
terremoto
del
1908;
restaurato
negli
anni
'80
e
posto
sull'altare
maggiore
del
Santuario.
Nella
battaglia
di
Lepanto,
avvenuta
il
7
ottobre
1571,
in
quello
stesso
giorno
e
in
quella
stessa
ora,
il
popolo
messinese
pregava
nel
Santuario
di
Montalto
per
la
vittoria
della
flotta
cristiana.
A
perpetuo
ricordo
il
senato
fece
scolpire,
probabilmente
da
uno
dei
Calamech,
una
statua
marmorea
della
Madonna
della
Vittoria,
che
fu
posta
su
di
una
torre
accanto
alla
chiesa,
e
ora
si
trova
sulla
facciata
del
nuovo
Santuario
fra
le
due
torri
campanarie.
Con
lo
stendardo
che
regge,
la
statua
ci
ricorda
vagamente
la
Dama
Bianca
che
durante
la
guerra
del
Vespro
si
aggirava
sulle
mura
della
città
a
protezione
dei
messinesi.
E'
forse
da
allora
che
ogni
anno,
il
12
giugno,
in
occasione
della
festa
della
Colomba,
a
mezzogiorno
viene
issato
il
labaro
della
Città
di
Messina
nelle
mani
della
Madonna,
mentre
si
liberano
uno
stormo
di
colombi.
Sin
al
1860
l'alzabandiera
era
salutato
dal
rombo
dei
cannoni.
Un'altra
tradizione
è
legata
al
triste
ricordo
della
pestilenza
che
imperversò
nella
città
il
1743.
Allora
il
Senato
Messinese
invocò
la
Vergine
perché
liberasse
la
città
dall'epidemia
e
fece
voto
di
offrire
ogni
anno
un
cero.
La
festa
della
Colomba
vede
così
anche
oggi
rinnovarsi
questa
offerta
da
parte
dell'Amministrazione
Comunale
di
Messina.
Fin
dalla
fondazione
il
Santuario
fu
affidato
alle
cure
di
Suore
Cistercensi
che
avevano
il
loro
monastero
presso
la
Fiumara
S.
Michele,
approssimativamente
là
dove
ora
sorge
la
Chiesa
del
villaggio
Ritiro,
e
già
convento
dei
Padri
Carmelitani.
Di
questo
monastero
era
badessa
Suor
Giovanna,
al
cui
nome
sono
molto
legate
le
prime
vicende
del
Santuario.
Le
Cistercensi
sentirono
presto
il
bisogno
di
costruirsi
il
monastero
accanto
allo
stesso
Santuario,
e,
vincendo
difficoltà
di
vario
genere,
tra
cui
l'originario
impegno
di
non
trasferirsi
accanto
ad
esso,
acquistarono
nuovo
terreno
e
costruirono
un
convento
che
conobbe
periodi
di
grande
floridezza.
Le
leggi
eversive
fecero
sloggiare
le
suore
nel
1866
e
il
terremoto
del
1908
lo
ridusse
a
un
cumulo
di
macerie,
insieme
con
il
Santuario.
Il
santuario
è
un
luogo
particolarmente
sacro
in
forza
di
speciale
manifestazione
di
una
potenza
superiore
che
vi
è
riconosciuta
e
venerata.
E'
un
luogo
di
culto
straordinario
per
designazione
soprannaturale
o
perché
vi
si
venerano
immagini
miracolose.
Per
questo
si
distinguono
dai
luoghi
profani
circostanti
più
che
non
i
luoghi
di
culto
comuni.
Lo
"spazio"
del
Santuario
è
ritenuto
sacro
ed
è
centro
di
speciale
attrazione.
Vi
si
va
per
unirsi
più
sensibilmente
a
Dio
o
alla
Vergine,
impetrarne
grazie
e
favori,
riconciliarsi.
I
santuari
parlano
allo
spirito
e
al
cuore
dei
credenti
in
particolare
quelli
mariani
dove
si
fa
esperienza
di
Madre.
La
devozione
mariana
nasce
dalla
passione
del
sentire
anziché
dalla
sicurezza
del
ragionare.
Termini
del
fulcro
della
devozione
mariana
e
quindi
dell'esperienza
del
santuario
mariano
sono:
incontrare
Colei
che
prontamente
esaudisce
chi
l'invoca
e
Colei
che
mostrando
Gesù
indica
la
via,
la
verità
e
la
vita.
Il
Santuario
Cittadino
della
Madonna
di
Montalto
fu
fondato
nel
1294,durante
la
lunga
Guerra
del
Vespro,
per
esplicita
volontà
della
Madonna
e
col
concorso
di
tutta
la
Città.
Un
ruolo
non
indifferente
ebbero
la
Giunta
Comunale
del
tempo,
che
comprò
e
donò
il
terreno
per
la
costruzione
del
Santuario,e
la
Casa
reale
Aragonese
che
presenziò
alla
posa
della
prima
pietra
con
la
Regina
Costanza
e
dotò
il
Santuario
di
40
onze
annue
con
il
re
Federico
II.
Fu
curato
per
circa
6
secoli,
fino
alla
soppressione
del
7/7/1866,
dalle
Suore
Cistercensi.
Fu
completamente
distrutto
dal
catastrofico
terremoto
del
28/12/1908.
Gli
Arcivescovi:
Mons.L.D'Arrigo
(+1922)
e
Mons.A.
Paino
(+1967),
insieme
con
Mons.
F.
Bruno
(+1934),
furono
i
principali
artefici
della
ricostruzione
del
Santuario,nonché
del
rilancio
della
devozione
alla
Madonna
culminata
nella
"Peregrinatio
Mariae"
diocesana
del
1948—1949,
chiusa
il
1°
gennaio
1950
con
la
solenne
incoronazione
della
Vergine
e
consacrazione
della
diocesi
al
Suo
Cuore
Immacolato.

L'attuale
tempio
è
stato
costruito
in
due
fasi,
delle
quali
la
prima
condizionò
la
seconda.
La
prima
fase
fu
quella
che
susseguì
immediatamente
al
terremoto,
quando
si
ricostruì,
con
criteri
antisismici,
un
edificio
che
per
ampiezza
uguagliava
quello
distrutto
e,
come
quello,
aveva
l'abside
rivolta
verso
oriente
e
l'ingresso
dall'occidente.
Nella
seconda
fase
fu
utilizzata
di
questa
costruzione
soltanto
la
navata:
l'abside
fu
demolita
e
al
suo
posto
furono
costruite
le
due
torri
campanarie
e
la
cantoria,
che,
con
il
portone
di
ingresso,
guardano
verso
la
città;
anche
la
facciata
fu
demolita
e
alla
navata
così
aperta
fu
aggiunto
il
transetto,
con
la
nuova
abside
e,
dietro
di
essa,
la
casa
canonica.
La
progettazione
di
questo
ampliamento
è
stata
fatta
dall'architetto
Francesco
Valenti
e
dall'Ufficio
Tecnico
Arcivescovile.
L'area
occupata
dalle
costruzioni
è
di
mq.
700
circa:
la
chiesa
è
larga
m.
8
-
nella
navata
-
quanto
la
prima
sorta
alla
fine
del
'200
-
e
m.
20
nel
transetto.
La
lunghezza,
dall'abside
alla
facciata,
è
di
m.
40;
l'altezza
di
m.
25
nei
campanili
sino
alla
croce,
e
di
m.
13
nella
navata.
Le
strutture
sono
costituite
da
intelaiature
di
pilastri
e
travi
di
cemento
armato
con
tamponamenti
di
laterizi.
Il
partito
architettonico
è
un
misto
di
romanico
e
di
gotico.
La
piazzetta
antistante
la
Chiesa
copre
un
salone
e
altri
ambienti
adibiti
a
locali
parrocchiali.
Nonostante
la
sua
antichità
e
l'interesse
del
quale
è
stata
circondata
nella
storia,
neanche
questa
chiesa
possiede
opere
di
particolare
interesse
storico
o
artistico.
C'erano
si,
prima
del
terremoto
alcuni
quadri
di
una
certa
importanza
e
Mons.
Bruno,
nella
sua
opera
citata,
ricorda
sei
grandi
tele,
fatte
eseguire
nel
1636
dall'Abbadessa
Suor
Beatrice
Minutoli,
che
descrivevano
la
storia
del
Santuario:
così
pure
ricorda
altri
quadri,
e
soprattutto
una
tavola
del
pittore
messinese
Cardillo,
detto
l'Antico,
raffigurante
la
Visitazione,
unica
opera
sopravvissuta
di
questo
artista
sino
al
tempo
del
terremoto.
Ma
tutte
queste
opere,
salvate
dalle
macerie,
furono
portate
al
Museo
Nazionale
per
essere
restaurate
e
provvisoriamente
custodite
e
sono
ancora
in
quei
depositi.
Lo
stesso
quadro
della
Madonna
di
Montalto,
benché
sia
quello
originale
venerato
nella
chiesa
sin
dalle
origini
e
ritrovato
da
Mons.
Bruno
il
16
Marzo
1909,
dal
profilo
artistico
ha
di
interessante
solo
la
Manta
d'argento.
Fu
precisamente
questa
manta
che
protesse
l'immagine
dal'intemperie
dopo
il
28
Dicembre;
ma
i
visi
della
Madonna
e
del
Bambino,
che
non
avevano
quella
protezione
scomparvero.
Il
quadro
della
Bianca
Signora
che
sopra
gli
spalti
protegge
Messina,
è
opera
giovanile
del
pittore
Adolfo
Romano.
Interessante
è
il
Crocifisso
ligneo
quattrocentesco
che
si
venera
nel
transetto,
molto
curato
nel
corpo
e
meno
nel
viso.
L'archivio
contiene
numerosi
documenti
che
si
riferiscono
alla
storia
del
Santuario,
e
tra
essi
anche
una
lettera
di
S.
Ignazio
di
Loyola
all'abbadessa
del
tempo,
con
firma
autografa.
S.
E.
Mons.
Paino
aveva
ricevuto
dal
governo
una
quantità
di
cannoni,
tolti
al
nemico
nella
guerra
1915-1918,
per
fare
le
campane
delle
chiese
di
Messina
ed
egli
aveva
pensato
di
offrire
le
prime
campane
alla
Regina
delle
Vittorie,
la
Vergine
SS.
di
Montalto.
Le
campane
furono
fuse
dalla
ditta
Colbacchini
di
Padova
e
formano
un
accordo
perfetto
di
toni,
atto
a
produrre
qualunque
melodia.
Ogni
campana
ha
il
suo
nome,
la
figura
del
Santo
a
cui
è
dedicala,
un
motto
e
l'anno
di
fusione.
La
campana
più
grande
pesa
19
quintali
ha
un
diametro
di
m.
1,50
ed
è
alta
pure
m.
1,50.
La
sua
nota
è
Do.
La
più
piccola
pesa
Kg.
23
ed
è
larga
cm.
36.
Chiesa
di
Sant'Elia
Datato
5
luglio
1462
l'atto
notarile
stipulato
da Antonello
da
Messina per
la
realizzazione
di
un
gonfalone
per
la Confraternita
di
Sant'Elia
dei
Disciplinanti che
documenta
l'esistenza
del
luogo
di
culto
e
le
attività
ascrivibili
al
sodalizio
in epoca
aragonese e
in
pieno
clima rinascimentale.
Sodalizio
fondato
sulla
regola
di
vita
di
San
Francesco
di
Assisi,
avente
il
compito
di
espandere
gli
insegnamenti
francescani
basati
sull'amore,
conoscenza
del
prossimo
e
sul
rifuggire
le
occasioni
di
peccato.
I
danni
provocati
dal terremoto
del
Val
di
Noto
del
1693
motivano
verosimilmente
gli
interventi
e
le
ricostruzioni
effettuate
nel 1694.
Sebbene
sia
una
delle
poche
chiese
pervenuteci
parzialmente
integre,
dopo
una
lunga
serie
di
eventi
sismici e
guerre,
è
stata
oggetto
di
scriteriati
interventi
e
scellerate
ricostruzioni.
Il
ciclo
di
affreschi
culminanti
con
il
dipinto
sulla
volta
della
navata
di Sant'Elia
sul
carro
di
fuoco
ed
Eliseo,
quest'ultimo
raffigurato
nell'atto
di
trattenerlo,
realizzati
nel
1706
da
Antonio
Filocamo,
subisce
danni
durante
il terremoto
della
Calabria
meridionale
del
1783.
Tuttavia,
la
volta
e
il
dipinto
saranno
ripristinati
con
campagne
di
ricostruzioni
e
restauri.
Nuovi
interventi
di
restauro
nel
1848
furono
effettuati
dopo
la rivolta
antiborbonica,
l'opera
paziente
di
Giacomo
Grasso
integra
e
completa
le
opere
sfregiate
dei
Filocamo.
Con
le
espropriazioni
del
1866
la
chiesa
fu
adibita
a
magazzino.
Col terremoto
di
Messina
del
1908 la
chiesa
subì
limitati
danni
consistenti
nel
crollo
del
soffitto
prossimo
alla
parte
superiore
della
facciata.
Atrio
e
ingabbiature
nascoste,
interventi
resi
necessari
dalle
disposizioni
post
terremoto,
che
hanno
alterato
l'architettura
preesistente.
Il
14
settembre
del
1911
la
chiesa
ritornò
alla
sua
antica
destinazione
per
opera
dell'arcivescovo Letterio
D'Arrigo
Ramondini,
che
permise
lo
stanziamento
nelle
strutture
della Compagnia
di
San
Francesco
dei
Mercanti e
nel
1924
della Compagnia
di
San
Giuseppe
al
palazzo o
dei
falegnami.
Dal
1926
torna
ad
essere
utilizzata
come
magazzino,
col
fine
di
custodire
le
Varette
processionate
durante
i riti cittadini
del Venerdì
santo.
Durante
la seconda
guerra
mondiale tutto
l'aggregato
di
Sant'Elia
fu
risparmiato.
L'abbattimento
paventato
dalla
milizia
fascista
non
fu
portato
a
compimento
in
quanto,
in
un
ennesimo
bombardamento,
fu
centrata
in
pieno
proprio
la
caserma
della
milizia
stessa.
La
chiesa
subì
danni
al
tetto
ove
le
schegge
impazzite,
rovinarono
gli
affreschi
della
lunetta
e
del
cappellone
di
copertura
della
navata
danneggiando
gravemente
l'affresco
raffigurante Mosé
che
fa
scaturire
l'acqua
dalla
roccia.
La
nuova
facciata
con
campanile
laterale
posto
sulla
sinistra,
riprende
quella
antica.
Due paraste angolari
delimitano
l'unico
ordine
comprendente
il portale con architrave sormontato
da timpano ad
arco
spezzato
e oculo ovoidale
intermedio,
ornata
da
festoni
e
nel
passato,
da
una
coppia
di
puttini
ormai
scomparsi.
Una
finestra
sormonta
l'unico
ingresso,
un timpano con
oculo
inscritto
sovrastato
da
croce
apicale
chiude
la
prospettiva.
Nel vestibolo,
addossato
alla controfacciata mascherata
da
stucchi,
è
possibile
ammirare
una
bella
acquasantiera
barocca
composita
con
fusto
in
marmo
bianco
e
rosa
sormontata
da
conchiglia
baccellata.
L'edificio
con
impianto
a
navata
unica
rettangolare,
abside
semicircolare,
riconducibile
al
rifacimento
del
1694
non
presenta,
allo
stato
attuale,
tracce
o
manufatti
riferibili
alla
storia
più
antica.
 Fra
cornici
e
notevoli
apparati
in
stucco,
gli
affreschi
raffiguranti
la
Nascita
di
Gesù,
l'Adorazione
dei
Magi,
il Battesimo
nel
Giordano, Mosé
che
fa
scaturire
l'acqua
dalla
roccia e
la
Disputa
di
Gesù
coi
dottori
nel
Tempio,
la
rielaborazione
di
quest'ultimo
attribuibile
a
Giacomo
Grasso,
occupano
i
quattro
riquadri
posti
all'inizio
ed
alla
fine
della
navata.
Pitture
recentemente
restaurate,
che
insieme
a
due
degli
scudi
sugli
altari,
costituiscono
i
resti
della
decorazione
a
fresco
raffiguranti Episodi
della
Vita
di
Gesù dei Filocamo rimaneggiati
da Giacomo
Grasso.
La
navata
conserva,
fino
all'altezza
della
cornice,
una
ricca
decorazione
in
stucco
che
alterna
archi
destinati
ad
accogliere
due
altari
per
lato,
il
tutto
ornato
da
coppie
di
puttini
che
reggono
scudi
e
sormontano
riquadri
per
affreschi
nonché
festoni
vegetali
che
decorano
le
paraste
corinzie.
Nella tribuna del
cappellone
sono
documentati
dipinti
di Antonio
Filocamo raffiguranti
la Cena
del
Signore in
epoca
scorsa
collocato
sull'altare
maggiore, San
Francesco
di
Paola, Sant'Elia, Sant'Agostino, Miracolo
di
Mosè
alla
pietra
di
Oreb e
le Sante
Donne
a
piè
della
Croce, opere
trasferite
al Museo
regionale
di
Messina.
L'abside circolare
presenta colonne
doriche con capitelli
corinzi che
sostengono
un
elegante cornicione con
decorazioni
in
stucco.
Angioletti
in
volo
decorano
l'emiciclo
con
festoni
fitoformi.
Al
centro
un
sontuoso
altare
maggiore
in
marmi
policromi,
sormontato
da
monumentale ciborio – tabernacolo su
cui
risalta
una
scultura
marmorea
raffigurante
la Madonna
della
Lettera.
Chiesa
San
Giovanni
di
Malta
Il
tempio,
dal
punto
di
vista
storico,
artistico
e
religioso
risulta
uno
dei
più
importanti
complessi
monumentali
della
città,
nonostante
i
danni
della
natura
e
malgrado
le
gravi
mutilazioni
architettoniche.
Le
origini
della
chiesa
risalgono
al 535 d.C.,
quando san
Benedetto
da
Norcia inviò
a Messina il
giovane
monaco Placido per
fondare
il
primo
monastero
dell'Ordine
benedettino di Sicilia,
con
annessa
la
chiesa
di
San
Giovanni
Battista.
L'aggregato
fu
eretto
sulle
rovine
di
una
vasta
necropoli
romana
nei
pressi
della
foce
del
torrente
Boccetta
appena
fuori
dal
nucleo
della
città,
grazie
alla
dote
corrisposta
dalla
madre
Faustina
appartenente
alla gens
Anicia. Il
28
luglio
540,
la
cerimonia
di
dedicazione
presieduta
dal
vescovo Eucarpo
II.
Della
prima
fondazione
recentemente
nel
limitrofo
palazzo
della
prefettura
è
stato
rinvenuto
un
capitello
che
attesterebbe
la
fondazione
placidiana
del
complesso
monumentale.
- 541,
Prima
incursione.
Sei
anni
dopo
la
costruzione
sbarcò
ad Acqualadroni una
flotta
di
pirati
vandali
di
religione
ariana
guidati
da
Mamuca.
I
pirati
devastarono
e
saccheggiarono
tutto
quello
che
incontrarono
sul
loro
cammino,
sino
a
giungere
alla
chiesa.
Placido
venne
legato
ad
un
albero
di ulivo e
durante
la
tortura
gli
venne
chiesto
di
rinnegare
la sua
fede,
cosa
che
lui
non
fece.
Per
punirlo
Mamuca
ordinò
ai
suoi
prima
di
tagliargli
la
lingua
e
poi
di
trucidarlo
insieme
ai
fratelli Eutichio, Vittorio,
alla
sorella Flavia e
a
circa
trenta
monaci
il
5
ottobre. Frate
Gordiano,
fuggito
per
tempo
e
scampato
all'eccidio,
ricompose
i
corpi
provvedendo
alle
sepolture.
Le
testimonianze
rese
durante
il
soggiorno
a Costantinopoli hanno
permesso
di
ricostruire
l'operato
dei
martiri
e
la
futura
localizzazione
del
sepolcreto.
- 651,
Seconda
incursione.
I
Saraceni
furono
per
la
prima
volta
ricacciati
dalla
Sicilia,
per
opera
dei
messinesi.
- 669,
Terza
incursione.
Non
riuscendo
a
conquistare
la
città,
ne
saccheggiarono
i
dintorni,
facendo
una
seconda
strage
dei
monaci
di
San
Giovanni.
L'abate
Martino
fu
martirizzato
durante
una
scorribanda,
il
suo
corpo
pietrificato
si
conserva
per
intero
nel
Sacello
dei
Martiri
nell'attuale
chiesa.
- 800,
Quarta
incursione.
Ennesimo
eccidio
compiuto
nei
confronti
dei
monaci
benedettini.
Nell'anno 976,
dopo
300
anni
di
eroica
e
gloriosa
resistenza,
Messina
cadde,
restando
schiava
per
oltre
80
anni,
della tirannia
saracena.
Il
culto
fu
reso
impossibile
dagli
oppressori
e
non
si
poté
avere
neppure
una
benché
minima
e
nascosta
pratica
di
cristianesimo.
La
fondazione
del
primo
Gran
Priorato
sulla
penisola
italiana
a Messina è
attribuita
alle
rotte
mercantili
dei
navigatori
amalfitani
che
intorno 1070,
dopo
la
fondazione
dell'Ospedale
di
Gerusalemme,
costituirono
in
terra
siciliana
una grancia per
immagazzinare
mercanzie
e
un
piccolo
ospedale
per
i
pellegrini
in
transito.
Ricostruzione
chiesa.
Nel 1086,
dopo
la
lunga
occupazione
araba,
sui
ruderi
di
quello
che
era
stato
il monastero
di
San
Placido fu
ricostruito
il
tempio,
edificio
affidato
dal Gran
Conte
Ruggero ai Cavalieri
dell'Ordine
dell'Ospedale
di
San
Giovanni
di
Gerusalemme
che
ne
fecero
la
loro
sede.
Da
quel
momento
fino
al
1806,
il
complesso
di
San
Giovanni
divenne
la
prestigiosa
sede
siciliana
del
sodalizio
universale
noto
come Cavalieri
di
Rodi,
detti
poi Cavalieri
di
Malta e
per
qualche
anno
anche
del
loro
Gran
Magistero.
Nel
volgere
di
pochi
anni
sono Messina, Taranto, Otranto, Bari, Pisa e Asti,
i
luoghi
individuati
in
una
Bolla
pontificia
del 1113 con
cui Papa
Pasquale
II approva
e
conferma
i
possedimenti
tenuti
dai
Cavalieri
Gerosolimitani.
Nel
1118 Papa
Gelasio
II riformò
la
sede
di
Gerusalemme,
ed
in
quell'occasione
aggregò
ad
essa
la
sede
messinese.
Questo
primo
nucleo
di
terreni
ed
edifici
dell'Ordine
è
riconfermato
da Ruggero
II
di
Sicilia nel
1136,
che
elargì
terreni
e
cospicue
rendite
oltre
a
esenzioni
e
franchigie.
Messina
fu
la
prima
fondazione
fuori
da
Gerusalemme
e
il
Priorato
di
Messina
fu
il
primo
Priorato
Gerosolimitano
ed
uno
dei
più
importanti
della
penisola
italiana.
La
chiesa,
intitolata
a
san
Giovanni
Battista,
prese
il
nome
di
san
Giovanni
di
Malta
in
quanto
annessa
al
bellissimo
palazzo
del
Gran
Priorato
dei
Cavalieri
di
Malta
che
avevano
qui
la
loro
sede
dal
1136
e
che
posero
successivamente
la
residenza
del Gran
Maestro
quando
furono
scacciati
da Rodi nel XVI
secolo e
successivamente
da
Malta
con
l'invasione
francese
di Napoleone
Bonaparte
durante durante
la campagna
d'Egitto.
Nel
1300
fu
istituito
il
Priorato
di
Capua.
I
possedimenti
calabresi
dell'Ordine
dipendevano
da
Messina.
Questo
legame
tra
Messina
e
l'Ordine
di
Malta
è
stato
praticamente
ininterrotto
dalla
fondazione
fino
ai
nostri
giorni.
Nei
primi
decenni
del XIV
secolo per
consentire
l'ingrandimento
e
la
nuova
costruzione
del
tempio
l'adiacente
Chiesa
di
San
Sebastiano
fu
demolita.
A
titolo
di
risarcimento
la
corporazione
dei
fornai,
panificatori
e
panettieri
ottenne
il
patrocinio
della
nuova Cappella
di
San
Sebastiano
Martire.
Nel
1523
con
la
perdita
dell'isola
di
Rodi,
il
Gran
Maestro
e
ciò
che
rimaneva
dell'Ordine
ripararono
a
Messina
senza
risorse.
Sostenuti
dalla
città
tutta
che,
quando
di
lì
a
poco
scoppiò
la
peste,
forse
portata
dalle
stesse
navi
dell'Ordine
e
dai
profughi,
soccorse
gli
ammalati
e
raccolse
denaro
sufficiente
per
consentire
al
Gran
Maestro
ed
alla
flotta
di
ripartire.
Legati
alla
presenza
dell'Ordine
anche
i
lavori
di
riassetto
urbano
di
Messina
nel
XVI
secolo
voluti
dall'Imperatore Carlo
V,
che
vedeva
in
questa
città
il
punto
debole
dell'intero
sistema
difensivo
della
Sicilia
e
dell'isola
di
Malta.
Tutto
il
feudo
di
Malta
sarà
donato
dall'imperatore
nel
1530
all'Ordine
Gerosolimitano.
Il
legame
tra
Messina,
Malta
e
l'Ordine
Gerosolimitano è
sancito
dalla
donazione
di
una
reliquia
di
San
Placido
alla chiesa
di
San
Rocco di Malta nel
1589
a
testimonianza
di
un
rapporto
diretto
e
rilevante.
Sul
finire
del XVI
secolo la
chiesa
e
l'annesso
Ospedale
subirono
dei
radicali
rifacimenti
che
comportarono
nel 1588 il
ritrovamento
delle
reliquie
di
San
Placido
e
dei
Compagni
Martiri. Durante
i
lavori
per
la
riedificazione
della
facciata
d'ingresso
assieme
al
palazzo
del
Gran
Priorato,
architetti Francesco
Zaccarella e Curzio
Zaccarella padre
e
figlio, la
facciata
ideata
da Vincenzo
Tedeschi, e
progetto
della tribuna di Camillo
Camilliani e Giacomo
Del
Duca, quest'ultimo
allievo
di Michelangelo
Buonarroti e
architetto
del
Senato
di
Messina,
fu
portato
alla
luce
un
sepolcro
di
marmo.
All'interno
furono
rinvenuti
quattro
corpi. Ulteriori
scavi
portarono
alla
luce
altri
corpi
che
tenevano
accanto
al
capo
e
al
petto
ampolle
di
vetro
e
creta
piene
di
sangue. Dalle
testimonianze
di
Gordiano
fu
ovvio
pensare
ai
corpi
di
San
Placido,
dei
familiari
e
dei
monaci
martirizzati. I
resti
di
Placido
furono
riconosciuti
perché
sul
petto
di
uno
dei
corpi
fu
trovato
un
vasetto
contenente
la
lingua.
Da
allora
il
Tempio
di
San
Giovanni
divenne
luogo
di
particolare
culto
ai
Santi
Martiri
Messinesi
tanto
da
modificarne
le
strutture
con
la
realizzazione
di
ampia
chiesa
inferiore
affidata
all'Arciconfraternita
di
San
Placido,
di
una
basilica
superiore
sede
del
Gran
Priorato
dei
Cavalieri
di
Malta
e
di
un
sacello
sommitale
per
la
custodia
delle
reliquie
realizzato
dal
Senato
di
Messina.
Nel 1591 ripresero
i
lavori
di
costruzione
con
la
partecipazione
del
Senato
cittadino.
La
chiesa
divenne
grande
e
maestosa
con
tre
navate
e
il
suo
ingresso
che
si
trovava
sull'attuale
via
Garibaldi.
Le
opere
di
fortificazione
di
Messina
consentiranno
peraltro
di
raccogliere
qui
la
flotta
per
la battaglia
di
Lepanto. Carlos
de
Grunenbergh progetta
e
costruisce
la Real
Cittadella nel
1679,
e
il Forte
Sant'Angelo di
Malta
negli
anni
che
vanno
dal
1681
al
1690.
In
seguito
al terremoto
della
Calabria
meridionale
del
1783 che
risparmiò
buona
parte
del
grandioso
tempio,
la
chiesa
si
estese
ancora
con
numerose
cappelle
e
ben
19
altari,
tutti
riconoscibili
per
la
presenza
dello
stemma
di
Michele
Maria
Paternò
Bonajuto,
gran
priore dell'Ordine
dei Cavalieri
di
Malta.
Dopo
la
caduta
di
Malta
nel
1798,
Messina
ha
brevemente
ospitato
il
governo
dell'Ordine
in
uno
dei
momenti
più
difficili
della
sua
storia.
In
questo
delicato
frangente
divenne
Gran
Maestro Paolo
I
di
Russia.
Nel
1803,
alla
morte
dello
zar
fu
eletto
Gran
Maestro
proprio
a
Messina,
Frà
Giovanni
Battista
Tommasi
da
Cortona,
che
qui
risiedette
brevemente,
per
poi
trasferire
la
sede
a
Catania
nel
1804,
per
le
cattive
condizioni
del
palazzo
priorale
di
Messina,
danneggiato
dal
terremoto
del
1783.
Nel 1806 re Ferdinando
I
delle
Due
Sicilie destinò
il Palazzo
del
Gran
Priorato
Gerosolimitano dell'Ordine
di
Malta,
a
sede
del
Palazzo
Reale
(la
primitiva
reggia
è
gravemente
danneggiata
dal
sisma),
pertanto
la
chiesa
svolse
la
funzione
di
Cappella
Palatina,
titolo
che
ancora
oggi
conserva.
Ferdinando
II
delle
Due
Sicilie nel 1739 crea
il
Gran
Priorato
di
Napoli
e
Sicilia
riunendo
in
esso
i
precedenti
Gran
Priorati
di
Sicilia,
Capua,
Barletta
ed
il
baliaggio
di
Napoli.
Ciò
nonostante
l'Ordine
continuava
a
godere
di
grande
prestigio
a
Messina.
In
questa
chiesa Sant'Annibale ricevette
in
preghiera
l'intuizione
del
comando
evangelico
del
Rogate.
Il terremoto
di
Messina
del
1908 danneggiò
la
chiesa,
sulla
carta
era
prevista
la
sua
totale
demolizione
per
dar
posto
al
nuovo
edificio
della
Prefettura,
ma
un
luogo
così
importante
non
poteva
essere
cancellato
del
tutto.
Per
intervento
dell'arcivescovo
Letterio
D'Arrigo
Ramondini,
fu
risparmiata
l'area
dell'altare
maggiore
con
il
soprastante
Sacello
dei
Martiri.
Durante
il
biennio 1913 - 1915,
l'architetto Cesare
Bazzani disegnò
e
fece
realizzare
all'impresa
Giacomo
Martello
anche
il
nuovo
e
attuale
prospetto
prospiciente
alla
prefettura.
Col
fine
di
ripristinare
celermente
le
strutture
superstiti,
gran
parte
dei
manufatti
recuperati
dalla
devastazione
sismica
furono
utilizzati
per
arredare
altri
luoghi
di
culto,
fra
essi:
-
XVIII
secolo, Pulpito, in
marmo
bianco
intarsiato
di
marmi
gialli
e
rossi,
decorazioni
fogliacee
sui
parapetti.
Calice
ornato
alla
base
da
cherubini
e
grandi
foglie
di
marmo
bianco,
stemma
di
Michele
Maria
Paternò
Bonajuto,
dei
baroni
di
Raddusa
e
Destri,
Gran
Priore
di
Sicilia
del Sovrano
militare
ordine
di
Malta,
manufatto
collocato
nella chiesa
di
Santa
Caterina
di
Valverde.
-
XVIII
secolo, Altare
di
Santa
Teresa
del
Bambin
Gesù,
manufatto
in
marmi
policromi,
opera
di
maestranze
messinesi
fregiato
dello
stemma
di
Giovanni
Di
Giovanni,
Gran
Priore
di
Sicilia,
risale
certamente
ai
restauri
successivi
al terremoto
del
Val
di
Noto
del
1693.
Interamente
rivestito
di
tarsie
su
fondo
blu
con
disegni
stilizzati
di
vasi,
fiori
e
uccelli.
Di
grandioso
effetto
le
due
colonne
tortili
intarsiate
che
reggono
la
cornice.
Il
manufatto
fu
rimodulato
e
riassemblato
nella chiesa
di
Santa
Caterina
di
Valverde.
Dal
marzo
2015
questo
luogo
di
culto
fu
sede
di
uno
speciale Anno
Giubilare concesso
da Papa
Francesco per
celebrare
il
1500º
anniversario
della
nascita
di
San
Placido.
Il
"Giubileo
Placidiano",
che
ha
anticipato
il Giubileo
straordinario
della
misericordia,
si
è
concluso
il
4
agosto
2016.
L'interno
dell'attuale
chiesa
utilizza
la
porzione
superstite
dell'altare
maggiore
e
dell'antico
presbiterio.
Nella
piccola
abside
sono
presenti
eleganti
decorazioni
a
stucco
con
le
statue
di San
Benedetto, Santa
Flavia, San
Eutichio e San
Vittorino,
affreschi
della
piccola
sommitale
cupoletta,
tutto
riferibile
ai
primi
anni
del
Seicento.
Del
primitivo
apparato
decorativo
sono
documentati
gli
affreschi
di Giuseppe
Paladino raffiguranti: Sant'Egidio
da
Sansepolcro, San
Spiridione
di
Trimitonte, Santa
Maria
Maddalena,
San
Filippo
Neri, Sant'Ignazio
di
Loyola, San
Pasquale
Baylon, San
Francesco
di
Paola, Vergine
Maria, San
Pietro
Apostolo, San
Paolo
Apostolo.
Sulla
sopraelevazione
è
posta
la
pregevole
tela
raffigurante
la
Madonna
della
Lettera con
San
Placido
e
San
Rocco,
dipinto
d'autore
ignoto
del 1745,
opera
realizzata
a
rendimento
di
grazie
per
la
fine
della
terribile
epidemia
di
peste
di
metà
Settecento.
-
Cappella
del
Santissimo
Sacramento.
Altare
del
Santissimo
Sacramento,
antico
manufatto
marmoreo
della
fine
del
Settecento.
Custodisce
la
tela
raffigurante San
Placido,
opera
di
Salvatore
De
Pasquale,
pittore
messinese
della
prima
metà
del
Novecento.
Laterale
tomba
di Francesco
Maurolico, il
più
grande
figlio
di
Messina insieme
ad Antonello,
opera
e
busto
attribuiti
a Rinaldo
Bonanno. Nella
parete
opposta
un
altro
sepolcro
di
un
congiunto
del
Maurolico.
Sono
documentati
i
monumenti
funebri
di Carlos
de
Grunenbergh
architetto
e
ingegnere
militare
fiammingo,
la
sepoltura
dell'Archimandrita
messinese Luca
I,
sarcofago
esposto
al
Museo
regionale,
il
monumento
funebre
commissionato
per
Michele
Maria
Paternò
Bonajuto,
dei
baroni
di
Raddusa
e
Destri,
Gran
Priore
dell'Ordine
di
Malta,
opera
del 1786 documentata
nella
navata
sinistra.
Un
monumentale
scalone
d'onore
conduce
al
sommitale
Santuario
della
Tribuna
o
«Sacello
delle
Reliquie
dei
Martiri»,
realizzato
tra
il
1616
e
il
1624,
che
conserva
l'antico
pavimento
a
tarsie,
le
casse
reliquarie
con
i
resti
dei
Martiri
ed
un
ricco
soffitto
con
affreschi
e
antichi
dipinti
su
tela.
Nel
cortile
interno,
oltre
a
vari
frammenti
marmorei,
si
trova
il
pregevole
monumento
funebre
del 1715 di
Andrea
Di
Giovanni,
cavaliere
distintosi
durante
le
battaglie
contro
gli
infedeli.
Il
manufatto
marmoreo,
opera
di Ignazio
Buceti,
recante
due
statue
raffiguranti
prigionieri
in
catene,
rispettivamente
in
marmo
bianco
e
marmo
nero,
opera
già
documentata
nella
navata
destra.
Il
Museo
del
Tesoro
di
San
Placido
custodisce
argenti,
tessuti,
dipinti
e
sculture
attinenti
la
chiesa
di
San
Giovanni
di
Malta
e
il
culto
di
San
Placido.
Oltre
alle
reliquie
di
San
Placido
e
compagni,
vi
sono
custodite
opere
che
testimoniano
la
presenza
di
alcuni
dei
maggiori
maestri
orafi
argentieri
del
1600:
Juvara, Artale
Patti,
Donia
e
Bruno.
Notevole
la
produzione
e
la
lavorazione
della
seta
manifestata
nell'esposizione
di pianete e paliotti ricamati
con
fili
d'oro
e
d'argento
databili
tra
il XVIII e
il XIX
secolo.
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