Messina

 

Chiesa della Santissima Annunziata dei Catalani

Eretta tra il 1150 e il 1200, durante il regno normanno di Guglielmo II il Buono, probabilmente sui resti dell’antico tempio pagano di Nettuno, la chiesa sorgeva nei pressi di uno dei luoghi più importanti della città: la darsena.

A guardia di questa zona più interna del porto, dove si custodivano le imbarcazioni, stava la fortezza di Castellammare, per questo l’edificio era stato definito Chiesa della SS. Annunziata di Castellammare.

Nel 1270 fu affidata all’ordine monastico dei Domenicani, proprio negli stessi anni in cui arrivò a Messina, al seguito di Pietro III d’Aragona, il primo nucleo significativo di Catalani.

Tra il 1741 e il 1743 l'incaricato regio monsignor Giovanni Angelo de Ciocchis compie, per conto del Sovrano di Sicilia Carlo III, una ricognizione generale di edifici e beni religiosi soggetti a patronato regio nell'intero territorio siciliano e contemplati nella raccolta di atti e documenti denominati "Acta e Monumenta". 

Sotto il dominio Aragonese servì da Cappella Reale ai Re di Sicilia. Un tempo possedeva pingui rendite, i Sovrani conferivano questa Cappella ai soggetti riguardevoli per dottrina e per servigi loro resi."

Sotto il regno Pietro III d'Aragona (durante il regno del nipote Pietro II di Sicilia, figlio di Federico III d'Aragona) molti dignitari chiesero e ottennero da Sua Maestà il sacro tempio, ove convenivano e si adunavano per i loro esercizi spirituali. Si formò quindi una specie di Confranternita d'iberici della Corona d'Aragona, i quali nominavano ogni anno nelle debite forme, il console ed altri ufficiali della chiesa. I diritti riscossi dai bastimenti battenti bandiera aragonese che approdavano nel porto peloritano, erano destinati per la maggior parte al mantenimento e al decoro della suddetta chiesa, come si evince dalle documentazioni redatte da consoli e ufficiali in vari tempi.

In una missiva inviata da Ludovico di Sicilia all'arcivescovo Raimando de Pezzolis il 4 luglio 1347, il sovrano rammenta che l'edificio gode del titolo di Cappella Reale e, in virtù delle bolle pontificie emanate, è esente dalla giurisdizione ordinaria dei beni.

La lunga teoria di rettori di nomina regia destina le rendite dei privilegi ad essa assegnati parte al mantenimento della stessa struttura, la gran parte sono conferiti alla gestione dell'Ospedale dei Trovatelli. Il 26 marzo 1507 il re Ferdinando II d'Aragona concede la chiesa con tutte le sue rendite assieme all'Ospedale dei Trovatelli al Senato di Messina. L'amministrazione dei beni è conferita alla Confraternita della Candelora altrimenti detta dei «Verdi».

Verso la fine del XV secolo, con la riunificazione di tutti regni sotto un'unica Corona di Spagna, vennero ammessi anche gli iberici non appartenenti alla ex Corona d'Aragona. Divenne così sede della Confraternita dei mercanti catalani, dalla quale prese il nome attuale, soluzione motivata dalla carenza di risorse economiche per assicurare al tempio il consueto lustro, decoro e splendore.

I mercanti, nobili e cavalieri ispanici si riunirono in confraternita e commissionarono diverse opere d'arte che arricchirono l'antico tempio medievale. L'aggregazione determinò la costruzione di un altare sotto l'invocazione e il titolo di Nostra Signora della Soledad, elemento che l'accomuna, nel determinato contesto storico, alla Cappella della Madonna della Soledad della chiesa di San Demetrio di Palermo. Allo stesso periodo risale la costruzione di una cripta destinata alla sepoltura dei confrati.

Dopo il terzo decennio del XVI secolo i Padri dell'Ordine dei Chierici regolari teatini sono temporaneamente ospitati nell'attesa della costruzione della loro Casa e Tempio.

Nella cappella in cornu evangelii è documentato il dipinto raffigurante l'Andata al Calvario di Polidoro da Caravaggio, allievo e stretto collaboratore di Raffaello Sanzio, del 1534, oggi al Museo di Capodimonte di Napoli. Il capolavoro pittorico costituisce una versione «processionale» dell'opera del genio di Urbino, celebrata a Messina anche con un'opera in versi dal titolo "Il Spasimo di Maria Vergine" del sacerdote Nicola Giacomo di Alibrando. Entrambe le opere tendono ad esaltare i nascenti aspetti devozionali della Passione di Gesù nella città peloritana estendendone, attraverso le numerose copie pittoriche "personalizzate" della prima, la conoscenza e la divulgazione oltre i confini dei capoluoghi Messina e Palermo.

Sull'altare maggiore è altresì documentato il dipinto della Santissima Vergine Annunciata raffigurata con l'Angelo Annunciante e Sant'Eulalia dei Catalani, protettrice di Barcellona e della Catalogna. La zona absidale costituiva la cappella gentilizia patrocinata dalla famiglia dello storiografo messinese Giuseppe Buonfiglio. Nella cappella in cornu epistolae il dipinto Giudizio Universale di scuola michelangiolesca.

Dopo i danni provocati in città dal terremoto della Calabria meridionale del 1783 la chiesa diviene sede parrocchiale in sostituzione della chiesa di San Nicolò all'Arcivescovado gravemente compromessa.

Il capolavoro di Polidoro Caldara da Caravaggio raffigurante l'Andata al Calvario fu donato a Ferdinando di Borbone dell'Arciconfraternita dei Catalani dopo il terremoto e inserito nella quadreria regia della Galleria di Capodimonte di Napoli.

Particolari gli antichi stipiti del portale centrale decorati da antiche iscrizioni arabe realizzate a tarsia di marmo verde inneggianti al Gran Conte Ruggero. A fine Ottocento furono cedute dal principe Papardo del Parco Governatore del sodalizio laicale al Museo Civico per passare dopo il terremoto del 1908 nelle collezioni del Museo Regionale.

Fino al devastante terremoto del 1908 sull'altare maggiore era collocata la grande tavola commissionata nel 1505 al frate carmelitano Giovanni d'Anglia raffigurante l'Annunciazione della Vergine Maria raffigurata con ai piedi Santa Eulalia, patrona dei Catalani, con una veduta della città, oggi custodita nelle collezioni del Museo Regionale. Stessa destinazione per la tavola del 1514 di Girolamo Alibrandi raffigurante il Giudizio Universale e la tela dell'Immacolata del 1606 di Tomas Montella.

La tela dell'Immacolata è stata riconsegnata alla chiesa dei Catalani una decina di anni or sono. In quella occasione la stessa Arciconfraternita ha acquisito un antico Crocifisso del XVI secolo, proveniente dal monastero dell'Elenuccia, che è stato collocato nell'abside centrale.

Ancora oggi è sede della Nobile Arciconfraternita della Santissima Annunziata dei Catalani che vi svolge le proprie attività di culto e solennizza la festività della Annunciazione del Signore alla Vergine.

Una delle mete più importanti del turismo crocieristico in Città, è utilizzata spesso per la celebrazione di matrimoni.

Attualmente la Chiesa dei Catalani è uno dei tesori meglio conservati del patrimonio storico-artistico messinese, nonché uno dei pochi monumenti sopravvissuti alle catastrofi naturali, infatti il complesso architettonico si presenta fortemente ribassato rispetto al piano stradale attuale, dal momento che Messina è stata totalmente ricostruita sulle proprie macerie.

La chiesa presenta un impianto basilicale a croce latina con tre navate che si concludono in tre absidi; le due laterali sono completamente inglobate nello spessore murario, esternamente, infatti, vediamo solo il settore absidale centrale: il transetto è sormontato da una sola cupola dal tamburo cilindrico ornato con arcate cieche su colonnine e strette finestre che creano una geometria decorativa equilibrata e dinamica; la fascia in pietra bicolore che orna il loggiato, sottolineandone l’andamento regolare, richiama alla memoria suggestioni decorative bizantine innestate in una soluzione architettonica normanna. 

All’interno sono evidenti chiari elementi appartenenti a diverse culture artistiche; la navata principale presenta una copertura con volta a botte tipicamente bizantina, così come testimonianza dell’influenza orientale sono gli spessi strati di calce e i lunghi mattoni che si trovano nella zona originaria del complesso; le colonne incassate dell’abside maggiore e alcuni capitelli attestano l’influsso arabo; le strette ed alte finestre delle navate e della cupola sono tipicamente normanne.

A seguito di un terremoto che in epoca medievale causò il crollo della parte anteriore della chiesa, la lunghezza delle navate venne ridotta quasi della metà e venne riedificata la facciata composta da tre portali: il centrale, sormontato dallo stemma di Catalogna, è centinato, mentre i laterali sono architravati con capitelli di imitazione tardo-romana. Nel sottosuolo c’è la cripta che si snoda sotto il transetto ed è costituita da più locali di cui il principale ha forma rettangolare ed è coperto da una volta a sesto ribassato.

Basilica concattedrale del Santissimo Salvatore

Il complesso costituito dalla chiesa e dall'istituto annesso, denominato Istituto Salesiano Domenico Savio, fu progettato dall'ingegner Enzo D'Amore dell'ufficio tecnico arcivescovile. La costruzione venne iniziata nel 1928 e terminata nel 1932.

Giunto a Messina il gran Conte Ruggero nella località nota come San Giacinto presso il Forte del Santissimo Salvatore sulla lingua del Faro, rimase impressionato dall'impiccagione di dodici cristiani messinesi per opera dell'armate saracene. Da questo evento prese spunto la solenne promessa, scacciati gli arabi dalla Sicilia, di edificare un magnifico tempio da dedicare a Gesù Cristo Salvatore del Mondo e un monastero retto dall'Ordine basiliano, primate della provincia e superiore a tutti gli altri.

Assegnato all'abate Bartolomeo di Simeri proveniente dall'abbazia di Santa Maria del Patire di Rossano nel 1086, è arricchito di privilegi, terre, feudi e villaggi. Nel 1130 l'abate Luca fu nominato archimandrita da Ruggero II di Sicilia, ovvero primo abate dell'Ordine basiliano in Sicilia, personalità seppellita presso l'altare maggiore della chiesa di San Giovanni di Malta.

Nel 1383 il monastero ospita Papa Urbano VI. Posto in Commenda da Alfonso V d'Aragona, è nominato primo Archimandrita Commendatario l'abate Luca IV del Bufalo presentato dal sovrano a Papa Martino V. Per volontà regia fu istituita a Messina l'Accademia di Scienze in lingua greca, latina e italiana. Constatato il decadimento dell'Osservanza e il declino delle lingua e delle letteratura greca da parte dei monaci dell'Ordine, con la nomina dell'abate Filippo Russo è disposto che tutti monasteri basiliani attendessero allo studio della lingua greca, impartissero l'insegnamento della scolastica e dell'attica: ovvero lo studio della storia, lingua, letteratura e civiltà greca. Come ritorsione fu preteso che, qualora gli abati rifiutassero tale direttiva, i medesimi fossero privati dei monasteri per assegnarli ai monaci di rito latino.

Papa Martino V inviò come osservatore Lorenzo Corella e nel 1446 Papa Eugenio IV sottopose all'ordinaria giurisdizione dell'archimandrita tutti i monasteri basiliani di Sicilia e di Calabria, assoggettandoli a visitatori apostolici, con facoltà di istituire accademie e scuole di lingua greca, dotandoli di adeguati appannaggi.

Nel 1461 Papa Pio II, archimandrita il cardinale Basilio Bessarione, su istanza del Senato di Messina nominò Andronaco Galiscoti rettore dell'Accademia di Messina, a cui subentrav Costantino Lascaris come risulta da bolla datata dicembre 1466. Nel 1479 Leonzio II Crisafi, archimandrita sostenuto dal Senato di Messina, sollecitò a Papa Sisto V e al sovrano Ferdinando II di Aragona, i restauri delle strutture. Le disposizioni concordate nel 1498 prevedevano che l'archimandrita e gli abati commendatari appartenessero entrambi all'Ordine Basiliano. Questa regola fu sempre disattesa, il sovrano continuò a conferire l'incarico a personalità non appartenenti all'ordine, meritevoli per censo o merito.

L'imperatore Carlo V, sotto il mandato dell'archimandrita Annibale Spadafora nel 1546, promosse le fortificazioni della lingua del faro con l'estensione dei baluardi dal Forte fino all'antichissima Torre di Sant'Anna, inglobando così le strutture del monastero, nel 1549 un fulmine distrusse anche la chiesa archimandritale. Per dare una sede più consona allo spirito dell'Ordine, lontano dal porto in espansione e da più articolate strutture militari, fu predisposta la costruzione di un nuovo monastero sulla «Spiaggia del Peloro» o «Piana dei Greci» nei pressi del torrente Annunziata. Nell'attesa del trasferimento del monastero presso l'attuale museo, i religiosi furono ospitati temporaneamente presso il monastero di Santa Maria della Misericordia nel «quartiere di Terranuova».

Il 6 agosto 1563 con un grande corteo processionale fu effettuato il trasferimento nella sede ancora incompleta, nel 1735 fu ospite Carlo di Borbone, l'intero complesso fu terminato solo nel 1743. Il 23 marzo 1635 il Papa Urbano VIII con un breve apostolico l'Archimandritato fu elevato a "Prelatura Nullius", cioè a diocesi con un suo territorio ben definito, separato e distinto dalle altre.

Dal 1866, in seguito all'emanazione delle leggi eversive, la soppressione dei beni ecclesiastici e il loro incameramento, gli edifici furono destinati a caserma della Guardia di Finanza. Il terremoto di Messina del 1908 distrusse completamente la chiesa e il monastero del Santissimo Salvatore. Sull'area corrispondente fu edificato il Museo regionale di Messina.

Fino al 1883 Messina aveva due istituzioni religiose separate, l'Arcidiocesi vescovile e l'Archimandritato basiliano, rette rispettivamente da un arcivescovo e da un archimandrita. In seguito all'unificazione delle diocesi del 1883 e al terremoto, monsignor Angelo Paino, arcivescovo e archimandrita, nell'intento di restituire una nuova sede all'Archimandritato del Santissimo Salvatore, costruì nel 1929 l'attuale tempio con l'adiacente complesso dell'Oratorio salesiano.

L'inaugurazione della chiesa ha avuto luogo il 6 maggio 1933. Durante il conflitto della seconda guerra mondiale (1943 - 1946) supplì nelle funzioni di cattedrale, dal momento che la basilica cattedrale protometropolitana della Santa Vergine Maria Assunta fu gravemente danneggiata dai bombardamenti. La consacrazione e dedicazione avvenne il 30 maggio 1964, presieduta dall'arcivescovo Francesco Fasola. Mantiene il titolo ed è concattedrale di Messina.  

La Chiesa è a tre navate in stile neoclassico, con stucchi e decorazioni barocche.

Di notevole valore artistico sono:

un Crocifisso ligneo del 1600 di   autore ignoto; 

una tavola di tempera di San Basilio del XVI secolo di ignoto cretese data in deposito al Museo Regionale;

San Domenico Savio di  C. Mongani; 

S. Teresa del Bambin Gesù di R. Stramondo;

Sacro Cuore di Giuseppe Barone; 

San Giuseppe di Michele Amoroso; 

La chiamata del giovane ricco di Impallomeni; 

La Cena di Emmaus di Impallomeni; 

S. Maria Domenica Mazzarello di Paolo Crida;

Sant'Antonio di R. Stramondo; 

il Cristo Salvatore dell'Umanità di Guido Gregorietti nel grande catino dell'abside centrale;

Basilica Sant'Antonio di Padova

Dopo il terremoto del 1908, fu costruito l'attuale santuario, al posto della precedente chiesa, per volontà del messinese sant'Annibale Maria Di Francia, fondatore delle congregazioni religiose dei Rogazionisti e delle Figlie del Divino Zelo. 

L'edificio sorge nel quartiere Avignone che, nella prima metà del XX secolo, fu uno dei più malfamati di Messina; qui il futuro santo esplicò la propria instancabile opera in favore degli abitanti. Fu progettato dell'ingegner Letterio Savoja in stile eclettico. Iniziato nel 1921 e inaugurato il 4 aprile 1926, venne consacrato nel 1937. Fu elevato alla dignità di basilica minore dal 23 giugno 2006.

I prospetti esterni sono in pietra di Melilli (in provincia di Siracusa); le statue di bronzo, poste nelle nicchie accanto l'ingresso, raffigurano i santi Luca e Matteo, e sono opera del Sindoni; i bassorilievi che adornano i timpani,tra cui quello del Cuore di Gesù, sono opera di Giuseppe D'Arrigo. 

All'interno la chiesa è riccamente ed interamente decorata da stucchi e dipinti; la copertura delle navate è affrescata a riquadri, dalla mano di Rosario Spagnoli. Sulla volta della navata sinistra, dedicata alla Madonna, si può notare il trionfo dell'Immacolata, Giuditta ed Oloferne, la Vergine vittoriosa sul serpente, la regina Ester e l'Arca di Noè. 

Dello stesso autore sono i dipinti della copertura della navata centrale, raffiguranti Gesù che affida agli Apostoli il comando della preghiera vocazionale, e le tempere raffiguranti il profeta Elia, su un carro di fuoco, il trionfo dei cori angelici, il Cuore di Gesù, S. Margherita, Gesù Buon Pastore e S. Cecilia all'organo. Sull'alta cantoria in controfacciata si trova l'organo a canne, costruito nel 1962 dai Fratelli Ruffatti e dotato di 20 registri su due manuali e pedale. Nella cripta è custodito il corpo del fondatore.

Annesso alla basilica è un museo: un'ala è dedicata a sant'Annibale, un'altra a sant'Antonio di Padova e contiene paramenti liturgici e oggetti dedicati ai due santi. Inoltre si può ammirare un reliquiario in argento cesellato a mano della Santa Croce. Nella medesima sala si trovano due casule donate da Giovanni Paolo II ai Rogazionisti da lui indossate nelle cerimonie di beatificazione e canonizzazione di padre Annibale.

Sacrario di Cristo Re

Alla riconquista normanna l'edificio era poco più di una costruzione fortificata. Al tempo del Gran Conte Ruggero è documentato come opera maestosa e regale, che si prodigò a restaurarlo ed ingrandirlo ulteriormente erigendo le torri riquadrate e quella ottagonale provvista di scala a chiocciola, campana e pennone ove issare lo stendardo degli Altavilla.

Fra gli ospiti della struttura Riccardo I Cuor di Leone, fratello di Giovanna Plantageneto e cognato del re di Sicilia Guglielmo II d'Altavilla. Quest'ultimi contrassero matrimonio il 10 febbraio 1177, Giovanna fu incoronata regina di Sicilia, nella Cattedrale di Palermo il 13 febbraio 1177.

La Rocca fu pertanto dimora durante i frequenti passaggi di Riccardo, specie durante la terza crociata, evento che determinò il soggiorno in città prima di continuare il suo viaggio verso la Terra Santa nell'arco temporale compreso fra settembre 1190 e aprile 1191.

Verosimilmente in attesa di proseguire verso il Santo Sepolcro, il re avrebbe edificato o comunque rinforzato la fortezza per tenere a freno i "Greci" messinesi che non vedevano di buon occhio la sua presenza in città per le ben note attività repressive, specie nei confronti degli ebrei e ancor più verso i seguaci dell'islam. Al re è attribuito un aberrante massacro di cittadini messinesi nell'assoluta indifferenza di Filippo Augusto di Francia, anch'egli presente in città, e di Tancredi d'Altavilla, re di Sicilia, che si accontentò di diplomatiche scuse.

Nel particolare contesto storico la sorella Giovanna, rimasta vedova da circa un anno del re di Sicilia Guglielmo II il Buono, era rinchiusa nel castello della Zisa, senza che le fosse restituita la dote. Riccardo chiese al nuovo re, Tancredi, la liberazione della sorella e la restituzione di tutta la dote. Tancredi liberò Giovanna e restituì solo una parte della dote, per cui Riccardo, adirato, occupò Messina e fece costruire una torre di legno che fu detta Mata Grifone (Ammazza greci). Tancredi si presentò con le sue truppe, ma preferì l'accordo: consegnò a Giovanna altre 20.000 once d'oro e, in cambio dell'alleanza di Riccardo, lo indennizzò con altrettante 20.000 once d'oro.

In epoca sveva la struttura è dio santo documentata come una poderosa fortezza. Allo scoppio della guerra del Vespro gli Angioini di stanza a Messina si rifugiarono all'interno delle sue mura, ottenendo in seguito il permesso di lasciare illesi la città. Nel 1284 fu tenuto prigioniero nella torre Carlo I d'Angiò detto "lo Zoppo" prima di essere trasferito in Spagna. Lo stesso anno ospitò la regina Costanza di Hohenstaufen.

Grossi lavori di ampliamento del castello, divenuto intanto residenza regale, furono eseguiti nella prima metà del XV secolo mentre regnava Ferdinando d'Aragona, detto il Cattolico, ultimo rappresentante dei Trastàmara. Altre torri furono erette in questo frangente come attesta l'iscrizione di una delle torri superstiti.

Il tempio fu edificato sui resti del castello di Matagrifone del quale è pervenuta, inglobata alla base, una delle torri. Progettato da Giovanni Battista Milani nel 1937, troneggia sulla città con la sua grande cupola e le sue forme richiamano l'architettura del messinese Filippo Juvara, in particolare la basilica di Superga sul colle omonimo a Torino.

L'edificio in stile barocco si presenta a forma ottagonale irregolare con una grande cupola segnata da otto costoloni alla base dei quali vi sono otto statue di bronzo, opere di Teofilo Raggio, raffiguranti le tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità; le quattro virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza, per ultima la virtù allegoria della Religione che le comprende tutte. Sulla cupola vi è collocata una lanterna alta sei metri ed una palla del diametro di un metro sulla quale sopra si erge la croce.

Nella scalinata d'ingresso è collocata la statua di Cristo Re, opera eseguita da Tore Edmondo Calabrò. Sul portale le allegorie dell'Europa e di Messina.

Il sacrario custodisce i resti di 1288 caduti del secondo conflitto mondiale, 161 gli ignoti, gran parte dei quali rimasti uccisi durante la difesa della Sicilia, e di 110 caduti del primo conflitto mondiale.

Il tempio superiore presenta un altare barocco, una cappella dedicata alla Vergine e un balcone ottagonale con vista sul tempio inferiore.

Il tempio inferiore è caratterizzato da colonne doriche con capitelli corinzi disposte ad ottagono, all'interno del quale, in posizione centrale e visibile dal livello superiore, è collocato un sarcofago marmoreo sul quale è distesa una figura di soldato opera di Antonio Bonfiglio. È inoltre presente una lapide in ricordo dei marinai caduti nella battaglia navale di Punta Stilo del 9 luglio 1940, nelle pareti migliaia di loculi ospitano i resti dei caduti delle due guerre mondiali.

Sulla torre ottagonale è collocata una campana di 2,80 metri del peso di 130 quintali ricavata dalla fusione del bronzo dei cannoni nemici sottratti durante la guerra del 1915 - 18. Terza campana d'Italia per grandezza, strumento fatto rintoccare ogni sera al tramonto in ricordo dei Caduti di tutte le guerre.. Dal belvedere antistante intitolato a Giovanni Angelo Montorsoli si gode il panorama dello Stretto e della città.

Santuario della Madonna di Montalto

C'è una scena che gli automi del grande orologio astronomico del Duomo di Messina ripetono tutti i giorni, a mezzogiorno, subito dopo il canto del gallo, mentre dagli altoparlanti si diffonde il suono dell'Ave Maria di Gounod. Nel vuoto della finestra che si apre al terzo ripiano appare una colomba, che compie un largo giro sul monte: subito dopo dal suolo lentamente si solleva una chiesa che gli spettatori non tardano a riconoscere per quella stessa che si offre al loro sguardo se appena si volgono verso sinistra con un giro di 90 gradi: il Santuario di Montalto.

Gli ideatori del grandioso meccanismo hanno voluto così realizzare una rievocazione storica di ciò che, secondo quanto racconta il Samperi nella sua Iconologia, avvenne sul colle della Caperrina il 12 Giugno 1286.

Un fraticello di nome Nicola, che viveva in un piccolo romitorio alle falde del colle, sollecitato da una visione della Vergine Santa, aveva convocato sull'altura i capi della città e il popolo, e lì, a mezzogiorno, una bianca colomba scese dall'alto e, volteggiando a fil di terra, segnò il perimetro della chiesa che, secondo le rivelazioni a Fra Nicola, la Madonna voleva eretta sul colle.

Nel Giugno del 1295 la chiesa era terminata e aperta al culto, una chiesetta di appena m. 8 x 14, con l'abside volta a oriente secondo l'antica usanza, destinata a diventare il più celebre Santuario di Messina, vero Palladio della città. Essa nasceva in un contesto storico molto movimentato, legato alle vicende del «Vespro Siciliano».

Il 28 Aprile 1282, circa un mese dopo l'insurrezione di Palermo, anche Messina si ribellò ai Francesi, dando inizio a un periodo di epiche lotte che si trascinarono per un ventennio, fino al 31 Agosto 1302, data in cui fu segnata la pace di Caltabellotta.

Durante le alterne vicende di questo ventennio i Messinesi, oltre che nella forza delle loro armi, avevano posto la fiducia nella protezione della Vergine Maria, a cui rivolgevano continue preghiere. E la Madonna rispose all'attesa dei suoi devoti, proteggendo la città anche con segni visibili. Tra questi gli storici ne ricordano particolarmente due:

Il primo fu l'apparizione di una Bianca Signora sugli spalti della città, che rincuorava i combattimenti messinesi e incuteva spavento nei loro nemici.

Il secondo segno è legato agli ultimi mesi di guerra. La città era ancora cinta di assedio e prossima a cadere per fame; alcune galee, provenienti dal Sud, insperatamente forzarono il blocco ed entrarono nel porto per approvvigionare la città, senza che i Francesi potessero impedirlo. Il fatto straordinario fu attribuito in modo particolare alla intercessione del Santo monaco carmelitano Alberto, che allora viveva a Messina, e tuttora è ricordato dal Vascelluzzo che ogni anno viene portato in processione nel giorno del Corpus Domini.

La chiesa fu intitolata S. Maria dell'Alto, e divenne poi S. Maria di Montalto.

Alcuni anni dopo, secondo la tradizione, l'8 settembre 1300, la chiesa fu dotata di un quadro della Madonna che sarebbe stato portato a Messina da una nave dall'oriente, non senza un palese intervento miracoloso. Questo quadro fu gravemente danneggiato dal terremoto del 1908; restaurato negli anni '80 e posto sull'altare maggiore del Santuario.

Nella battaglia di Lepanto, avvenuta il 7 ottobre 1571, in quello stesso giorno e in quella stessa ora, il popolo messinese pregava nel Santuario di Montalto per la vittoria della flotta cristiana. A perpetuo ricordo il senato fece scolpire, probabilmente da uno dei Calamech, una statua marmorea della Madonna della Vittoria, che fu posta su di una torre accanto alla chiesa, e ora si trova sulla facciata del nuovo Santuario fra le due torri campanarie. Con lo stendardo che regge, la statua ci ricorda vagamente la Dama Bianca che durante la guerra del Vespro si aggirava sulle mura della città a protezione dei messinesi. E' forse da allora che ogni anno, il 12 giugno, in occasione della festa della Colomba, a mezzogiorno viene issato il labaro della Città di Messina nelle mani della Madonna, mentre si liberano uno stormo di colombi. Sin al 1860 l'alzabandiera era salutato dal rombo dei cannoni.

Un'altra tradizione è legata al triste ricordo della pestilenza che imperversò nella città il 1743. Allora il Senato Messinese invocò la Vergine perché liberasse la città dall'epidemia e fece voto di offrire ogni anno un cero. La festa della Colomba vede così anche oggi rinnovarsi questa offerta da parte dell'Amministrazione Comunale di Messina.  

Fin dalla fondazione il Santuario fu affidato alle cure di Suore Cistercensi che avevano il loro monastero presso la Fiumara S. Michele, approssimativamente là dove ora sorge la Chiesa del villaggio Ritiro, e già convento dei Padri Carmelitani. Di questo monastero era badessa Suor Giovanna, al cui nome sono molto legate le prime vicende del Santuario. Le Cistercensi sentirono presto il bisogno di costruirsi il monastero accanto allo stesso Santuario, e, vincendo difficoltà di vario genere, tra cui l'originario impegno di non trasferirsi accanto ad esso, acquistarono nuovo terreno e costruirono un convento che conobbe periodi di grande floridezza. Le leggi eversive fecero sloggiare le suore nel 1866 e il terremoto del 1908 lo ridusse a un cumulo di macerie, insieme con il Santuario.  

Il santuario è un luogo particolarmente sacro in forza di speciale manifestazione di una potenza superiore che vi è riconosciuta e venerata. E' un luogo di culto straordinario per designazione soprannaturale o perché vi si venerano immagini miracolose. Per questo si distinguono dai luoghi profani circostanti più che non i luoghi di culto comuni. Lo "spazio" del Santuario è ritenuto sacro ed è centro di speciale attrazione. Vi si va per unirsi più sensibilmente a Dio o alla Vergine, impetrarne grazie e favori, riconciliarsi. I santuari parlano allo spirito e al cuore dei credenti in particolare quelli mariani dove si fa esperienza di Madre. La devozione mariana nasce dalla passione del sentire anziché dalla sicurezza del ragionare. Termini del fulcro della devozione mariana e quindi dell'esperienza del santuario mariano sono: incontrare Colei che prontamente esaudisce chi l'invoca e Colei che mostrando Gesù indica la via, la verità e la vita.

Il Santuario Cittadino della Madonna di Montalto fu fondato nel 1294,durante la lunga Guerra del Vespro, per esplicita volontà della Madonna e col concorso di tutta la Città. Un ruolo non indifferente ebbero la Giunta Comunale del tempo, che comprò e donò il terreno per la costruzione del Santuario,e la Casa reale Aragonese che presenziò alla posa della prima pietra con la Regina Costanza e dotò il Santuario di 40 onze annue con il re Federico II.

Fu curato per circa 6 secoli, fino alla soppressione del 7/7/1866, dalle Suore Cistercensi. Fu completamente distrutto dal catastrofico terremoto del 28/12/1908. Gli Arcivescovi: Mons.L.D'Arrigo (+1922) e Mons.A. Paino (+1967), insieme con Mons. F. Bruno (+1934), furono i principali artefici della ricostruzione del Santuario,nonché del rilancio della devozione alla Madonna culminata nella "Peregrinatio Mariae" diocesana del 1948—1949, chiusa il 1° gennaio 1950 con la solenne incoronazione della Vergine e consacrazione della diocesi al Suo Cuore Immacolato.

L'attuale tempio è stato costruito in due fasi, delle quali la prima condizionò la seconda. La prima fase fu quella che susseguì immediatamente al terremoto, quando si ricostruì, con criteri antisismici, un edificio che per ampiezza uguagliava quello distrutto e, come quello, aveva l'abside rivolta verso oriente e l'ingresso dall'occidente. Nella seconda fase fu utilizzata di questa costruzione soltanto la navata: l'abside fu demolita e al suo posto furono costruite le due torri campanarie e la cantoria, che, con il portone di ingresso, guardano verso la città; anche la facciata fu demolita e alla navata così aperta fu aggiunto il transetto, con la nuova abside e, dietro di essa, la casa canonica. La progettazione di questo ampliamento è stata fatta dall'architetto Francesco Valenti e dall'Ufficio Tecnico Arcivescovile.  

L'area occupata dalle costruzioni è di mq. 700 circa: la chiesa è larga m. 8 - nella navata - quanto la prima sorta alla fine del '200 - e m. 20 nel transetto. La lunghezza, dall'abside alla facciata, è di m. 40; l'altezza di m. 25 nei campanili sino alla croce, e di m. 13 nella navata.

Le strutture sono costituite da intelaiature di pilastri e travi di cemento armato con tamponamenti di laterizi.

Il partito architettonico è un misto di romanico e di gotico. La piazzetta antistante la Chiesa copre un salone e altri ambienti adibiti a locali parrocchiali.  

Nonostante la sua antichità e l'interesse del quale è stata circondata nella storia, neanche questa chiesa possiede opere di particolare interesse storico o artistico. C'erano si, prima del terremoto alcuni quadri di una certa importanza e Mons. Bruno, nella sua opera citata, ricorda sei grandi tele, fatte eseguire nel 1636 dall'Abbadessa Suor Beatrice Minutoli, che descrivevano la storia del Santuario: così pure ricorda altri quadri, e soprattutto una tavola del pittore messinese Cardillo, detto l'Antico, raffigurante la Visitazione, unica opera sopravvissuta di questo artista sino al tempo del terremoto. Ma tutte queste opere, salvate dalle macerie, furono portate al Museo Nazionale per essere restaurate e provvisoriamente custodite e sono ancora in quei depositi.

Lo stesso quadro della Madonna di Montalto, benché sia quello originale venerato nella chiesa sin dalle origini e ritrovato da Mons. Bruno il 16 Marzo 1909, dal profilo artistico ha di interessante solo la Manta d'argento. Fu precisamente questa manta che protesse l'immagine dal'intemperie dopo il 28 Dicembre; ma i visi della Madonna e del Bambino, che non avevano quella protezione scomparvero. Il quadro della Bianca Signora che sopra gli spalti protegge Messina, è opera giovanile del pittore Adolfo Romano.

Interessante è il Crocifisso ligneo quattrocentesco che si venera nel transetto, molto curato nel corpo e meno nel viso.

L'archivio contiene numerosi documenti che si riferiscono alla storia del Santuario, e tra essi anche una lettera di S. Ignazio di Loyola all'abbadessa del tempo, con firma autografa.

S. E. Mons. Paino aveva ricevuto dal governo una quantità di cannoni, tolti al nemico nella guerra 1915-1918, per fare le campane delle chiese di Messina ed egli aveva pensato di offrire le prime campane alla Regina delle Vittorie, la Vergine SS. di Montalto.
Le campane furono fuse dalla ditta Colbacchini di Padova e formano un accordo perfetto di toni, atto a produrre qualunque melodia.

Ogni campana ha il suo nome, la figura del Santo a cui è dedicala, un motto e l'anno di fusione. La campana più grande pesa 19 quintali ha un diametro di m. 1,50 ed è alta pure m. 1,50. La sua nota è Do. La più piccola pesa Kg. 23 ed è larga cm. 36.

Chiesa di Sant'Elia

Datato 5 luglio 1462 l'atto notarile stipulato da Antonello da Messina per la realizzazione di un gonfalone per la Confraternita di Sant'Elia dei Disciplinanti che documenta l'esistenza del luogo di culto e le attività ascrivibili al sodalizio in epoca aragonese e in pieno clima rinascimentale. Sodalizio fondato sulla regola di vita di San Francesco di Assisi, avente il compito di espandere gli insegnamenti francescani basati sull'amore, conoscenza del prossimo e sul rifuggire le occasioni di peccato.

I danni provocati dal terremoto del Val di Noto del 1693 motivano verosimilmente gli interventi e le ricostruzioni effettuate nel 1694. Sebbene sia una delle poche chiese pervenuteci parzialmente integre, dopo una lunga serie di eventi sismici e guerre, è stata oggetto di scriteriati interventi e scellerate ricostruzioni.

Il ciclo di affreschi culminanti con il dipinto sulla volta della navata di Sant'Elia sul carro di fuoco ed Eliseo, quest'ultimo raffigurato nell'atto di trattenerlo, realizzati nel 1706 da Antonio Filocamo, subisce danni durante il terremoto della Calabria meridionale del 1783. Tuttavia, la volta e il dipinto saranno ripristinati con campagne di ricostruzioni e restauri.

Nuovi interventi di restauro nel 1848 furono effettuati dopo la rivolta antiborbonica, l'opera paziente di Giacomo Grasso integra e completa le opere sfregiate dei Filocamo. Con le espropriazioni del 1866 la chiesa fu adibita a magazzino.

Col terremoto di Messina del 1908 la chiesa subì limitati danni consistenti nel crollo del soffitto prossimo alla parte superiore della facciata. Atrio e ingabbiature nascoste, interventi resi necessari dalle disposizioni post terremoto, che hanno alterato l'architettura preesistente.

Il 14 settembre del 1911 la chiesa ritornò alla sua antica destinazione per opera dell'arcivescovo Letterio D'Arrigo Ramondini, che permise lo stanziamento nelle strutture della Compagnia di San Francesco dei Mercanti e nel 1924 della Compagnia di San Giuseppe al palazzo o dei falegnami.

Dal 1926 torna ad essere utilizzata come magazzino, col fine di custodire le Varette processionate durante i riti cittadini del Venerdì santo.

Durante la seconda guerra mondiale tutto l'aggregato di Sant'Elia fu risparmiato. L'abbattimento paventato dalla milizia fascista non fu portato a compimento in quanto, in un ennesimo bombardamento, fu centrata in pieno proprio la caserma della milizia stessa. La chiesa subì danni al tetto ove le schegge impazzite, rovinarono gli affreschi della lunetta e del cappellone di copertura della navata danneggiando gravemente l'affresco raffigurante Mosé che fa scaturire l'acqua dalla roccia.  

La nuova facciata con campanile laterale posto sulla sinistra, riprende quella antica. Due paraste angolari delimitano l'unico ordine comprendente il portale con architrave sormontato da timpano ad arco spezzato e oculo ovoidale intermedio, ornata da festoni e nel passato, da una coppia di puttini ormai scomparsi. Una finestra sormonta l'unico ingresso, un timpano con oculo inscritto sovrastato da croce apicale chiude la prospettiva.

Nel vestibolo, addossato alla controfacciata mascherata da stucchi, è possibile ammirare una bella acquasantiera barocca composita con fusto in marmo bianco e rosa sormontata da conchiglia baccellata. 

L'edificio con impianto a navata unica rettangolare, abside semicircolare, riconducibile al rifacimento del 1694 non presenta, allo stato attuale, tracce o manufatti riferibili alla storia più antica.

Fra cornici e notevoli apparati in stucco, gli affreschi raffiguranti la Nascita di Gesù, l'Adorazione dei Magi, il Battesimo nel Giordano, Mosé che fa scaturire l'acqua dalla roccia e la Disputa di Gesù coi dottori nel Tempio, la rielaborazione di quest'ultimo attribuibile a Giacomo Grasso, occupano i quattro riquadri posti all'inizio ed alla fine della navata.

Pitture recentemente restaurate, che insieme a due degli scudi sugli altari, costituiscono i resti della decorazione a fresco raffiguranti Episodi della Vita di Gesù dei Filocamo rimaneggiati da Giacomo Grasso.

La navata conserva, fino all'altezza della cornice, una ricca decorazione in stucco che alterna archi destinati ad accogliere due altari per lato, il tutto ornato da coppie di puttini che reggono scudi e sormontano riquadri per affreschi nonché festoni vegetali che decorano le paraste corinzie.  

Nella tribuna del cappellone sono documentati dipinti di Antonio Filocamo raffiguranti la Cena del Signore in epoca scorsa collocato sull'altare maggiore, San Francesco di Paola, Sant'Elia, Sant'Agostino, Miracolo di Mosè alla pietra di Oreb e le Sante Donne a piè della Croce, opere trasferite al Museo regionale di Messina.

L'abside circolare presenta colonne doriche con capitelli corinzi che sostengono un elegante cornicione con decorazioni in stucco. Angioletti in volo decorano l'emiciclo con festoni fitoformi. Al centro un sontuoso altare maggiore in marmi policromi, sormontato da monumentale ciborio – tabernacolo su cui risalta una scultura marmorea raffigurante la Madonna della Lettera.

Chiesa San Giovanni di Malta

Il tempio, dal punto di vista storico, artistico e religioso risulta uno dei più importanti complessi monumentali della città, nonostante i danni della natura e malgrado le gravi mutilazioni architettoniche.  

Le origini della chiesa risalgono al 535 d.C., quando san Benedetto da Norcia inviò a Messina il giovane monaco Placido per fondare il primo monastero dell'Ordine benedettino di Sicilia, con annessa la chiesa di San Giovanni Battista. L'aggregato fu eretto sulle rovine di una vasta necropoli romana nei pressi della foce del torrente Boccetta appena fuori dal nucleo della città, grazie alla dote corrisposta dalla madre Faustina appartenente alla gens Anicia. Il 28 luglio 540, la cerimonia di dedicazione presieduta dal vescovo Eucarpo II. Della prima fondazione recentemente nel limitrofo palazzo della prefettura è stato rinvenuto un capitello che attesterebbe la fondazione placidiana del complesso monumentale.

- 541, Prima incursione. Sei anni dopo la costruzione sbarcò ad Acqualadroni una flotta di pirati vandali di religione ariana guidati da Mamuca. I pirati devastarono e saccheggiarono tutto quello che incontrarono sul loro cammino, sino a giungere alla chiesa. Placido venne legato ad un albero di ulivo e durante la tortura gli venne chiesto di rinnegare la sua fede, cosa che lui non fece. Per punirlo Mamuca ordinò ai suoi prima di tagliargli la lingua e poi di trucidarlo insieme ai fratelli Eutichio, Vittorio, alla sorella Flavia e a circa trenta monaci il 5 ottobre. Frate Gordiano, fuggito per tempo e scampato all'eccidio, ricompose i corpi provvedendo alle sepolture. Le testimonianze rese durante il soggiorno a Costantinopoli hanno permesso di ricostruire l'operato dei martiri e la futura localizzazione del sepolcreto.

- 651, Seconda incursione. I Saraceni furono per la prima volta ricacciati dalla Sicilia, per opera dei messinesi.

- 669, Terza incursione. Non riuscendo a conquistare la città, ne saccheggiarono i dintorni, facendo una seconda strage dei monaci di San Giovanni. L'abate Martino fu martirizzato durante una scorribanda, il suo corpo pietrificato si conserva per intero nel Sacello dei Martiri nell'attuale chiesa.

- 800, Quarta incursione. Ennesimo eccidio compiuto nei confronti dei monaci benedettini.

Nell'anno 976, dopo 300 anni di eroica e gloriosa resistenza, Messina cadde, restando schiava per oltre 80 anni, della tirannia saracena. Il culto fu reso impossibile dagli oppressori e non si poté avere neppure una benché minima e nascosta pratica di cristianesimo.

La fondazione del primo Gran Priorato sulla penisola italiana a Messina è attribuita alle rotte mercantili dei navigatori amalfitani che intorno 1070, dopo la fondazione dell'Ospedale di Gerusalemme, costituirono in terra siciliana una grancia per immagazzinare mercanzie e un piccolo ospedale per i pellegrini in transito.

Ricostruzione chiesa. Nel 1086, dopo la lunga occupazione araba, sui ruderi di quello che era stato il monastero di San Placido fu ricostruito il tempio, edificio affidato dal Gran Conte Ruggero ai Cavalieri dell'Ordine dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme che ne fecero la loro sede. Da quel momento fino al 1806, il complesso di San Giovanni divenne la prestigiosa sede siciliana del sodalizio universale noto come Cavalieri di Rodi, detti poi Cavalieri di Malta e per qualche anno anche del loro Gran Magistero. Nel volgere di pochi anni sono Messina, Taranto, Otranto, Bari, Pisa e Asti, i luoghi individuati in una Bolla pontificia del 1113 con cui Papa Pasquale II approva e conferma i possedimenti tenuti dai Cavalieri Gerosolimitani.

Nel 1118 Papa Gelasio II riformò la sede di Gerusalemme, ed in quell'occasione aggregò ad essa la sede messinese. Questo primo nucleo di terreni ed edifici dell'Ordine è riconfermato da Ruggero II di Sicilia nel 1136, che elargì terreni e cospicue rendite oltre a esenzioni e franchigie. Messina fu la prima fondazione fuori da Gerusalemme e il Priorato di Messina fu il primo Priorato Gerosolimitano ed uno dei più importanti della penisola italiana.

La chiesa, intitolata a san Giovanni Battista, prese il nome di san Giovanni di Malta in quanto annessa al bellissimo palazzo del Gran Priorato dei Cavalieri di Malta che avevano qui la loro sede dal 1136 e che posero successivamente la residenza del Gran Maestro quando furono scacciati da Rodi nel XVI secolo e successivamente da Malta con l'invasione francese di Napoleone Bonaparte durante durante la campagna d'Egitto.

Nel 1300 fu istituito il Priorato di Capua. I possedimenti calabresi dell'Ordine dipendevano da Messina. Questo legame tra Messina e l'Ordine di Malta è stato praticamente ininterrotto dalla fondazione fino ai nostri giorni.

Nei primi decenni del XIV secolo per consentire l'ingrandimento e la nuova costruzione del tempio l'adiacente Chiesa di San Sebastiano fu demolita. A titolo di risarcimento la corporazione dei fornai, panificatori e panettieri ottenne il patrocinio della nuova Cappella di San Sebastiano Martire.

Nel 1523 con la perdita dell'isola di Rodi, il Gran Maestro e ciò che rimaneva dell'Ordine ripararono a Messina senza risorse. Sostenuti dalla città tutta che, quando di lì a poco scoppiò la peste, forse portata dalle stesse navi dell'Ordine e dai profughi, soccorse gli ammalati e raccolse denaro sufficiente per consentire al Gran Maestro ed alla flotta di ripartire.

Legati alla presenza dell'Ordine anche i lavori di riassetto urbano di Messina nel XVI secolo voluti dall'Imperatore Carlo V, che vedeva in questa città il punto debole dell'intero sistema difensivo della Sicilia e dell'isola di Malta. Tutto il feudo di Malta sarà donato dall'imperatore nel 1530 all'Ordine Gerosolimitano. Il legame tra Messina, Malta e l'Ordine Gerosolimitano è sancito dalla donazione di una reliquia di San Placido alla chiesa di San Rocco di Malta nel 1589 a testimonianza di un rapporto diretto e rilevante.

Sul finire del XVI secolo la chiesa e l'annesso Ospedale subirono dei radicali rifacimenti che comportarono nel 1588 il ritrovamento delle reliquie di San Placido e dei Compagni Martiri. Durante i lavori per la riedificazione della facciata d'ingresso assieme al palazzo del Gran Priorato, architetti Francesco Zaccarella e Curzio Zaccarella padre e figlio, la facciata ideata da Vincenzo Tedeschi, e progetto della tribuna di Camillo Camilliani e Giacomo Del Duca, quest'ultimo allievo di Michelangelo Buonarroti e architetto del Senato di Messina, fu portato alla luce un sepolcro di marmo. All'interno furono rinvenuti quattro corpi. Ulteriori scavi portarono alla luce altri corpi che tenevano accanto al capo e al petto ampolle di vetro e creta piene di sangue. Dalle testimonianze di Gordiano fu ovvio pensare ai corpi di San Placido, dei familiari e dei monaci martirizzati. I resti di Placido furono riconosciuti perché sul petto di uno dei corpi fu trovato un vasetto contenente la lingua.

Da allora il Tempio di San Giovanni divenne luogo di particolare culto ai Santi Martiri Messinesi tanto da modificarne le strutture con la realizzazione di ampia chiesa inferiore affidata all'Arciconfraternita di San Placido, di una basilica superiore sede del Gran Priorato dei Cavalieri di Malta e di un sacello sommitale per la custodia delle reliquie realizzato dal Senato di Messina.

Nel 1591 ripresero i lavori di costruzione con la partecipazione del Senato cittadino. La chiesa divenne grande e maestosa con tre navate e il suo ingresso che si trovava sull'attuale via Garibaldi.

Le opere di fortificazione di Messina consentiranno peraltro di raccogliere qui la flotta per la battaglia di Lepanto. Carlos de Grunenbergh progetta e costruisce la Real Cittadella nel 1679, e il Forte Sant'Angelo di Malta negli anni che vanno dal 1681 al 1690.

In seguito al terremoto della Calabria meridionale del 1783 che risparmiò buona parte del grandioso tempio, la chiesa si estese ancora con numerose cappelle e ben 19 altari, tutti riconoscibili per la presenza dello stemma di Michele Maria Paternò Bonajuto, gran priore dell'Ordine dei Cavalieri di Malta.

Dopo la caduta di Malta nel 1798, Messina ha brevemente ospitato il governo dell'Ordine in uno dei momenti più difficili della sua storia. In questo delicato frangente divenne Gran Maestro Paolo I di Russia. Nel 1803, alla morte dello zar fu eletto Gran Maestro proprio a Messina, Frà Giovanni Battista Tommasi da Cortona, che qui risiedette brevemente, per poi trasferire la sede a Catania nel 1804, per le cattive condizioni del palazzo priorale di Messina, danneggiato dal terremoto del 1783.

Nel 1806 re Ferdinando I delle Due Sicilie destinò il Palazzo del Gran Priorato Gerosolimitano dell'Ordine di Malta, a sede del Palazzo Reale (la primitiva reggia è gravemente danneggiata dal sisma), pertanto la chiesa svolse la funzione di Cappella Palatina, titolo che ancora oggi conserva.

Ferdinando II delle Due Sicilie nel 1739 crea il Gran Priorato di Napoli e Sicilia riunendo in esso i precedenti Gran Priorati di Sicilia, Capua, Barletta ed il baliaggio di Napoli. Ciò nonostante l'Ordine continuava a godere di grande prestigio a Messina.

In questa chiesa Sant'Annibale ricevette in preghiera l'intuizione del comando evangelico del Rogate.

Il terremoto di Messina del 1908 danneggiò la chiesa, sulla carta era prevista la sua totale demolizione per dar posto al nuovo edificio della Prefettura, ma un luogo così importante non poteva essere cancellato del tutto. Per intervento dell'arcivescovo Letterio D'Arrigo Ramondini, fu risparmiata l'area dell'altare maggiore con il soprastante Sacello dei Martiri.

Durante il biennio 1913 - 1915, l'architetto Cesare Bazzani disegnò e fece realizzare all'impresa Giacomo Martello anche il nuovo e attuale prospetto prospiciente alla prefettura. Col fine di ripristinare celermente le strutture superstiti, gran parte dei manufatti recuperati dalla devastazione sismica furono utilizzati per arredare altri luoghi di culto, fra essi:

- XVIII secolo, Pulpito, in marmo bianco intarsiato di marmi gialli e rossi, decorazioni fogliacee sui parapetti. Calice ornato alla base da cherubini e grandi foglie di marmo bianco, stemma di Michele Maria Paternò Bonajuto, dei baroni di Raddusa e Destri, Gran Priore di Sicilia del Sovrano militare ordine di Malta, manufatto collocato nella chiesa di Santa Caterina di Valverde.

- XVIII secolo, Altare di Santa Teresa del Bambin Gesù, manufatto in marmi policromi, opera di maestranze messinesi fregiato dello stemma di Giovanni Di Giovanni, Gran Priore di Sicilia, risale certamente ai restauri successivi al terremoto del Val di Noto del 1693. Interamente rivestito di tarsie su fondo blu con disegni stilizzati di vasi, fiori e uccelli. Di grandioso effetto le due colonne tortili intarsiate che reggono la cornice. Il manufatto fu rimodulato e riassemblato nella chiesa di Santa Caterina di Valverde.

Dal marzo 2015 questo luogo di culto fu sede di uno speciale Anno Giubilare concesso da Papa Francesco per celebrare il 1500º anniversario della nascita di San Placido. Il "Giubileo Placidiano", che ha anticipato il Giubileo straordinario della misericordia, si è concluso il 4 agosto 2016.  

L'interno dell'attuale chiesa utilizza la porzione superstite dell'altare maggiore e dell'antico presbiterio. Nella piccola abside sono presenti eleganti decorazioni a stucco con le statue di San BenedettoSanta FlaviaSan Eutichio e San Vittorino, affreschi della piccola sommitale cupoletta, tutto riferibile ai primi anni del Seicento. Del primitivo apparato decorativo sono documentati gli affreschi di Giuseppe Paladino raffiguranti: Sant'Egidio da SansepolcroSan Spiridione di TrimitonteSanta Maria Maddalena, San Filippo NeriSant'Ignazio di LoyolaSan Pasquale BaylonSan Francesco di PaolaVergine MariaSan Pietro ApostoloSan Paolo Apostolo.

Sulla sopraelevazione è posta la pregevole tela raffigurante la Madonna della Lettera con San Placido e San Rocco, dipinto d'autore ignoto del 1745, opera realizzata a rendimento di grazie per la fine della terribile epidemia di peste di metà Settecento.

- Cappella del Santissimo Sacramento. Altare del Santissimo Sacramento, antico manufatto marmoreo della fine del Settecento. Custodisce la tela raffigurante San Placido, opera di Salvatore De Pasquale, pittore messinese della prima metà del Novecento. Laterale tomba di Francesco Maurolico, il più grande figlio di Messina insieme ad Antonello, opera e busto attribuiti a Rinaldo Bonanno. Nella parete opposta un altro sepolcro di un congiunto del Maurolico.

Sono documentati i monumenti funebri di Carlos de Grunenbergh architetto e ingegnere militare fiammingo, la sepoltura dell'Archimandrita messinese Luca I, sarcofago esposto al Museo regionale, il monumento funebre commissionato per Michele Maria Paternò Bonajuto, dei baroni di Raddusa e Destri, Gran Priore dell'Ordine di Malta, opera del 1786 documentata nella navata sinistra.

Un monumentale scalone d'onore conduce al sommitale Santuario della Tribuna o «Sacello delle Reliquie dei Martiri», realizzato tra il 1616 e il 1624, che conserva l'antico pavimento a tarsie, le casse reliquarie con i resti dei Martiri ed un ricco soffitto con affreschi e antichi dipinti su tela.

Nel cortile interno, oltre a vari frammenti marmorei, si trova il pregevole monumento funebre del 1715 di Andrea Di Giovanni, cavaliere distintosi durante le battaglie contro gli infedeli. Il manufatto marmoreo, opera di Ignazio Buceti, recante due statue raffiguranti prigionieri in catene, rispettivamente in marmo bianco e marmo nero, opera già documentata nella navata destra.

Il Museo del Tesoro di San Placido custodisce argenti, tessuti, dipinti e sculture attinenti la chiesa di San Giovanni di Malta e il culto di San Placido.

Oltre alle reliquie di San Placido e compagni, vi sono custodite opere che testimoniano la presenza di alcuni dei maggiori maestri orafi argentieri del 1600: Juvara, Artale Patti, Donia e Bruno. Notevole la produzione e la lavorazione della seta manifestata nell'esposizione di pianete e paliotti ricamati con fili d'oro e d'argento databili tra il XVIII e il XIX secolo.

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