Acireale
(Catania)

 

Basilica collegiata di San Sebastiano

La basilica è il monumento più importante di Acireale, dichiarato monumento nazionale.

In epoca aragonese costituiva il primitivo tempio di San Sebastiano il luogo di culto insistente sull'area dell'attuale chiesa di Sant'Antonio di Padova. Edificio costruito dopo l'epidemia di peste del 1466, e dedicato a San Sebastiano martire, pertanto ritenuto il più antico della città.  

Il primo cantiere venne aperto nel 1609 e la chiesa completata nel 1644 con sussidi del municipio e offerte dei fedeli. Completata la nuova e vasta chiesa, proclamato il bimartire compatrono della città, le antiche strutture furono dedicate a Sant'Antonio di Padova il 13 luglio 1652, in seguito ad un accordo tra la Confraternita di San Sebastiano e la Confraternita di Sant'Antonio.

Con le numerose scosse del terremoto del Val di Noto del 1693 crollò il coro. Il tempio fu largamente ristrutturato e perfezionato nelle forme attuali tra il 1699 e 1705, assumendo l'aspetto odierno.

La chiesa fu elevata a collegiata con bolla pontificia del 20 novembre 1924.

Nel dicembre del 1990 papa Giovanni Paolo II l'ha elevata alla dignità di basilica minore.

La facciata, realizzata su disegno di Angelo Bellofiore, intarsi di Diego e Giovanni Flavetta, ha più ordini e presenta un fregio con quattordici putti che reggono festoni in un tripudio di fregi, mensole, statue, mascheroni, pinnacoli, volute, arabeschi. 

L'edificio è preceduto da una balaustra realizzata nel 1754 da Giovan Battista Marini su progetto di Pietro Paolo Vasta, arricchita da statue raffiguranti personaggi dell'antico testamento: DavideGionaGiosuèEleazaroMosèAronneMalachiaGiuseppe il Giusto, DanieleSansone.

Portale. Nelle nicchie ai lati del varco centrale sono collocate le statue raffiguranti rispettivamente San Giovanni Battista e San Cristoforo.

Nel secondo ordine, ai lati delle grandi volute a ricciolo e nelle nicchie che delimitano il finestrone centrale, le statue di San GervasioSan Lorenzo e San VitoSan Protasio.

Fanno ala alla loggia campanaria del terzo ordine le statue di San Cosma e San Damiano.

Francesco Mancini Ardizzone decorò l'interno della cupola con l'episodio Ascensione al Cielo di Nostro Signore.

L'interno, a croce latina a tre navate ripartite da pilastri.

Affreschi - Il coro era affrescato con opere pittoriche di Baldassarre Grasso, maestro del Vasta, apparato distrutto del terremoto del 1693.

Con la ricostruzione il ripristino dell'apparato pittorico è affidato a Pietro Paolo Vasta.

La prima opera datata e firmata è l'Apparizione del Cristo a San Sebastiano nella casa di Nicostrato, affresco autografo con la dicitura "Petrus Paulus Vasta Pin. An. MDCCXXXII", pittura ubicata nel transetto sinistro. Con questa opera si aggiudica la gara nei confronti di un altro pittore acese Venerando Costanzo, detto Varvazza, che aveva dipinto la Conversione di Cromazio nel transetto destro, pertanto al Vasta sarà affidata l'esecuzione degli affreschi dell'intero coro.

Negli anni a cavallo il 1733 e il 1734 affrescò la Gloria di San Sebastiano nella volta (Apoteosi e incoronazione di San Sebastiano fra schiere di Sante e Santi), San Sebastiano genuflesso ai piedi di Papa Cajo nella conca abisidale (Defensor Fidei), San Sebastiano subisce il martirio delle frecceSan Sebastiano soccorso dalle pie donneSan Sebastiano incontra DioclezianoSecondo martirio e morte di San Sebastiano sugli stalli.

Nel 1745 per la terza volta affresca episodi biblici nei vani sottostanti la cupola tratti dal Vecchio Testamento e Quattro profeti maggiori nei pennacchi: EzechieleDanieleIsaia e Geremia.

Nel transetto Francesco Mancini Ardizzone realizzò la Sepoltura di San Sebastiano nelle Catacombe e la Salita di Gesù al Calvario, ciclo eseguito tra il 1899 e il 1901. Nelle volte sono affrescate l'Allegoria della Fede a destra e la Gloria della Sacra Sindone a sinistra in corrispondenza della Cappella della Pietà.

Intorno al 1960 a seguito di lavori nella navata centrale, sotto strati di imbiancature sono stati riportati alla luce e in seguito restaurati 15 affreschi, dipinti raffiguranti scene della vita del martire attribuiti per stile al Costanzo da Paolo Leonardi Pennisi.

Navata sinistra - Prima campataCappella dell'Incoronazione della Vergine. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante l'Incoronazione della Vergine da parte della Santissima Trinità, raffigurata con San Giuseppe, San Sebastiano, San Fabiano, San Giovanni Evangelista, San Luca Evangelista, San Giovanni Battista, San Francesco d'Assisi, San Filippo Neri, Sant'Ignazio di Loyola, San Carlo Borromeo, San Lorenzo, Sant'Antonio di Padova e una teoria di altri Santi, opera di Matteo Ragonisi.

Seconda campataCappella dell'Addolorata.

Terza campataCappella delle Anime Purganti. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante la Madonna e le Anime del Purgatorio, opera di Francesco Patanè del 1946.

Quarta campataCappella di San Gaetano. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante la Vergine con Bambino ritratta tra San Gaetano di Thiene, San Francesco di Sales e Santa Lucia, opera di Pietro Paolo Vasta e Alessandro Vasta.

Quinta campata: varco laterale sinistro con portalino esterno. Passaggio sormontato da dipinto raffigurante episodio biblico.

Sesta campataCappella dell'Ecce Homo. Altare con nicchia contenente la statua dell'Ecce Homo.

Transetto - Braccio destroCappella di San Sebastiano. Altare neoclassico con edicola e porta celata dalla tela raffigurante San Sebastiano in Gloria, opera di Michele Vecchio. Nel vano celato dal dipinto è custodito il simulacro di San Sebastiano, che viene tradizionalmente portato in processione sul fercolo argenteo trainato dai "divoti" il 20 gennaio. Vasta nel 1756 fu incaricato di disegnare un nuovo fercolo: si provvide subito a far rivestire le sei colonne lignee con lamine d’argento cesellato dai fratelli Lo Giudice, messinesi, ma il lavoro fu completato solo nell'800 dal cesellatore acese Ambra.

Braccio sinistroCappella della Pietà. Altare neoclassico con edicola ospitante il dipinto la Pietà, opera del 1742 di Pietro Paolo Vasta. Dentro un'urna di vetro è custodita una copia della Sacra Sindone, riproduzione realizzata nel 1644.

 

Navata destra - Prima campataCappella.

Seconda campataCappella di San Giovanni Battista. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante il Precursore San Giovanni Battista, opera del XIX secolo di Antonino Bonaccorsi, detto il Chiaro.

Terza campataCappella dei Santi Cosma e Damiano. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante i Santi Cosma e Damiano, opera del XIX secolo di Antonino Bonaccorsi, detto il Chiaro.

Quarta campata: varco laterale destro. Passaggio sormontato da dipinto raffigurante episodio biblico.

Pulpito ligneo addossato al pilastro.

Quinta campataCappella della Santissima Trinità. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante la Santissima Trinità ritratta con San Marco Evangelista, San Girolamo e San Liborio Vescovo, opera di Pietro Paolo Vasta e Vito d'Anna del 1742.

Sesta campata: varco sacrestia. Passaggio sormontato da dipinto raffigurante episodio biblico.

Absidiole - Absidiola destra: Cappella di Gesù e Maria. Altare con prospettiva concava costituito da coppie di colonne tortili. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante Gesù e Maria, opera di Alessandro Vasta. Le pareti sono decorate con scene legate alla vita della Madonna, gli affreschi sono datati e firmati da Alessandro D'Anna con la dicitura "Alexander de Anna pinxit 1771".

Absidiola sinistraCappella del Santissimo Sacramento. Altare con coppia di colonne tortili affiancate da statue. Nel 1738 il maestro Pietro Paolo Vasta con Vito D'Anna affrescò il «ciclo cristologico».

Altare maggiore - Precedentemente al terremoto del 1693 le fonti riportano l'esistenza di affreschi nel coro, opere pittoriche di Baldassarre Grasso, maestro del Vasta.

Area presbiterale rialzata e raccordata al pavimento del transetto da una breve scalinata costituita da sette gradini. Sulla destra in cornu epistulae è collocato il primo leggio marmoreo, un secondo è realizzato più in alto a sinistra in cornu Evangelii.

Cripta - Ambiente ipogeo originariamente destinato alla preparazione, conservazione e seppellimento di cadaveri. Oggi ospita una sezione museale comprendente statue lignee e dipinti vari.

Museo del Tesoro - Il museo è allocato nelle sale adiacenti la sacrestia.

Nella prima sala (Sacrestia) si conservano opere di manifattura siciliana, tra cui una statua in cera del XVIII sec. raffigurante Maria Bambina, l'olio su tavola di Pietro Paolo Vasta Cristo Risorto, i quattro Santi e l'Addolorata di Matteo Desiderato, la Madonna della lettera di Giovanni Lo Coco. Nel grande armadio centrale del 1811 è conservato un tronetto in argento in stile rococò del 1767.

Nella seconda e terza sala sono raccolti ex voto offerti a San Sebastiano e i reliquiari a braccio del Santo, oltre a preziosi vasi sacri, alcuni provenienti dalle vicine chiese dell'Odigitria e di San Crispino, tra cui un ostensorio in oro massiccio con diamanti. Inoltre sono esposti i gioielli che adornano, durante la festa religiosa, la statua di San Sebastiano e alcuni paramenti sacri con ricchi ricami in oro.

La terza sezione del museo è ospitata nella settecentesca cripta, che serve da sala conferenze e concerti, che già nel 1704 aveva ospitato per una decina d'anni l'Accademia degli Zelanti. Qui sono conservati alcuni dipinti, tra cui "San Pasquale Baylon" di Matteo Desiderato, assieme ad delle statue lignee di particolare pregio.

Chiesa di Sant'Antonio da Padova

Costruita nel periodo in cui Acireale si chiamava ancora Aquilia Nuovala chiesa di Sant’Antonio di Padova sembra essere la più antica della città.

La sua costruzione risale al 1466 quando la peste colpisce in modo feroce la città. Gli acesi si affidano alla protezione di San Sebastiano a cui viene dedicata la chiesa. 

Nel 1577 una nuova grave epidemia di peste colpisce il territorio delle Aci e la statua di San Sebastiano viene tenuta a lungo sull’altare come oggetto di suppliche e preghiere dei fedeli. La città rimane immune al contagio del male e gli acesi,  certi dell’intercessione del Santo, attribuiscono la  loro salvezza a San Sebastiano. 

La devozione al Santo aumenta sempre di più e la chiesetta diventa troppo piccola per contenere i numerosissimi devoti. La confraternita di San Sebastiano si adopera per la costruzione di una nuova chiesa di dimensioni molto più ampie che viene eretta là dove ancora oggi sorge la basilica dedicata  al santo martire Sebastiano, Compatrono della città.

Il 13 luglio 1652 la chiesetta viene dedicata a Sant’Antonio di Padova. Danneggiato da più terremoti, nel corso dei secoli l’edificio sacro subisce vari rimaneggiamenti. Ma è dopo il terremoto del 1693 che la confraternita di Sant’Antonio fa riedificare la chiesetta la quale oggi si presenta con un piccolo campanile allineato al prospetto. Dell’antica chiesa, oggi rimane solo il pregevole portale in stile gotico fiorito risalente alla seconda metà del ’400.

Gli affreschi dell’interno vengono affidati al pittore acese Pietro Paolo Vasta il quale aveva già affrescato le maggiori chiese della città. Per l’artista acese si tratta della sua ultima opera perché mentre stava affrescando la volta dell’abside con La gloria di sant’Antonio nel 1755 venne colpito da apoplessia. Pietro Paolo Vasta morì cinque anni dopo e l’opera venne portata a termine dal figlio Alessandro.

Di Alessandro Vasta sono anche le tele Sant’Antonio di Padoval’Ecce Homo, mentre le tele che ritraggono Santa Cecilia e San Cristoforo sono di Michele Vecchio.

Nel pavimento, in cotto e maiolica siciliana, a sinistra e a destra della scaletta d’ingresso sono presenti due lapidi che ricordano che prima della costruzione dei cimiteri, in questa chiesa trovavano sepoltura  a sinistra i devoti del Santo e a destra le donne pie.

La devozione verso Sant’Antonio di Padova, santo dei poveri e della carità, è molto radicata nella città del Barocco. Un tempo la festa in onore al Santo aveva caratteri esclusivamente liturgici ma negli ultimi anni nel pomeriggio del 13 giugno  l’antico simulacro di Sant’Antonio viene portato in processione per le vie della città. Giunto in Cattedrale,dopo la celebrazione della Santa Messa, portato a spalla dai suoi devoti, il Santo fa ritorno nella sua chiesa.

Tutte le domeniche e le feste di precetto alle ore 10,30 in questa chiesa, in osservanza del Motu Proprio Summorum Pontificum, viene celebrata la Messa secondo il rito di San Pio V in lingua latina.  

Chiesa Santa Maria del Suffragio

Sull’antica “Strada della marina” che dalla chiesa di S. Pietro, raggiungeva il borgo di S. Maria La Scala attraverso le “Chiazzette”, nel 1634 vi si costruì una chiesetta che già nel 1638 era frequentata da pescatori e popolane del quartiere che si chiamerà “dei Morti”. 

Per più di un secolo spoglia e disadorna, nel 1750 fu affrescata dall’ormai noto pittore PP. Vasta collaborato dal figlio Alessandro.

Come nella Chiesa di S. Maria delle Grazie, alcuni anni prima, qui il Vasta illustra un unico tema: attraverso un “ciclo purgatoriale” che comprende ben 9 affreschi, mette in risalto non solo il sacrificio di Cristo senza il quale non c’è Redenzione, ma suggerisce che ci si salva anche per l’attiva partecipazione di Maria. 

Già dai 6 affreschi della navata, costretti entro medaglioni dalle cornici mistilinee a stucco, appare evidente la trama narrativa che spiega l’importante discorso teologico descritto dal pittore in “Giona gettato in mare”, “Isaia e l’angelo purificatore”, “Mosè ed il roveto ardente”, a sinistra; “Giobbe visitato dagli amici”, “Geremia che vede la seconda visione”, “L’angelo ed Agar”, a destra. Il fuoco purificatore (Isaia,, Geremia e Mosè) e l’acqua rigeneratrice (Giona e Agar), uniti alle ineluttabili sofferenze (Giobbe), sono i simboli attraverso cui si raggiungeranno le gioie del Paradiso. 

Affreschi la cui lettura dovrà risultare facile per gente non abituata a leggere sui libri perché analfabeta, ma non per questo ignorante: bisogna soffrire, e duramente anche, prima di conquistare il Bene supremo e l’immagine dell’acqua e del fuoco e facilmente comprensibile.

Altri due affreschi, purtroppo oggi molto deteriorati, tratti ancora dall’Antico testamento, sono illustrati nel presbiterio: “Abacuc soccorre Daniele fra i leoni” e Giuseppe venduto dai fratelli”.

Cruda la scena di Giobbe sofferente dove i corvi che volteggiano in alto raccontano il dramma che si sta consumando; altrettanto drammatica l’altra dove Giona sta per essere inghiottito da un pesce che rievoca leggende di orribili mostri marini incontrati in mari lontani la cui eco arrivava alle orecchie di quei pescatori carica di misteri e di paure.

Ma la salvezza è in “Cristo che versa dalla ferita del costato il sangue della Redenzione”, sembra suggerire l’affresco nella calotta absidale mentre sulla parete dietro l’altare sono raffigurati “Due angeli che alleviano le pene alle anime purganti”. Ancora una volta P. P. Vasta si avvale degli apporti stilistici dei “grandi” come Pietro Novelli, Sebastiano Conca e Francesco Solimena, quest’ultimo ricordato nelle “Quattro parti del mondo”, a ridosso della volta, con cui si illustra la diffusione del Vangelo che, solcando i mari, arriva dovunque. Nell’affresco della volta intitolato “La Mensa-Eucaristica”, sono evidenti i modelli pittorici di Corrado Giaquinto, maestro della scuola napoletana. Il Vasta non fu l’unico ad usare questo disegno: anche Olivio Sozzi, per esempio, lo utilizzerà prima a Palermo e più tardi ad Ispica. Tutto ciò non toglie al Vasta il merito di aver saputo trasfondere in questo affresco il suo modo di fare pittura basato su un vivo cromatismo ed un disegno corretto, riuscendo a creare un’ opera suggestiva per l’armonioso accordo delle tinte e la luminosità della scena.

Dei personaggi più in vista dell’Antico e Nuovo Testamento non manca proprio nessuno: la tenace Ruth con le spighe in mano, l’ardimentosa Giuditta con la testa mozza di Oloferne, mentre Adamo ed Eva e tanti altri fanno da corona alla possente figura di Mosè che conduce il popolo di Dio verso il Paradiso, vera Terra Promessa, popolata dagli Apostoli, primo fra tutti S. Pietro, e dalle Pie Donne vicine a Maria in estasi nell’adorazione dell’Ostia consacrata sulla Mensa Eucaristica sorretta dai simboli dei 4 evangelisti (Bue, Aquila, Leone ed Angelo) additata da Cristo e vivificata dalla presenza del Padre e dello Spirito Santo.

L’affresco è carico di simbologia cristiana: le spighe di Ruth e l’uva di Giosuè sono il pane ed il vino della Mensa Eucaristica; Pietro e gli Apostoli, i pilastri su cui si fonda la chiesa; Maria, madre della chiesa, e la SS. Trinità. Ancora una volta, i temi espressi dalla Controriforma affermano ed esaltano la Gloria dei santi, il dogma mariano, la Trinità e la Passione di Cristo.

Per leggere questo affresco bisogna stare con il naso all’insù per un bel po’ e ripercorrere con gli occhi tutte le diagonali che dalla nuda terra conducono “nel più alto dei cieli”: al pescatore o alla lavandaia tale percorso dovette sembrare molto simile al faticoso sentiero appena tracciato sulla Timpa e su cui durante il giorno erano costretti ad inerpicarsi per raggiungere dalle rive del mare la propria casa, zigzagando le Chiazzette carichi di remi e di ceste, pesante fardello. Quattro i dipinti ad olio degni di nota: “La strage degli innocenti” ed il “S. Gregorio”, di M. Ragonisi; “Gesù nella Piscina Probatica”, di A. Vasta, raffigurato nell’antico paravento; e la bella “ Madonna del parto” di P. P. e A. Vasta.

Chiesa Santa Maria delle Grazie (San Camillo)

Edificata nel 1730, qualche anno più tardi vi fu annesso l’Ospizio dei PP. Crociferi. La facciata, stretta ed alta, racchiusa da due lesene in pietra bianca di Siracusa sormontate da due capitelli dorici, insiste su via Galatea la cui angustia non permette di ammirarne la sobria bellezza. Le lesene che ornano il portale sono decorate con motivi ornamentali geometrici floreali e sormontati da capitelli corinzi. La chiesa, con un’unica navata, e sopraelevata rispetto al piano stradale.

Il ciclo degli affreschi, iniziato e concluso da PP. Vasta nel 1744 con l’aiuto del figlio Alessandro e dell’allievo Vito D’Anna, è un inno alla Madonna vista non solo come Vergine e Madre di Cristo, ma anche attraverso le virtù delle eroine dell’Antico Testamento: Giuditta, Betsabea e Rebecca riprodotte a sinistra e Giaele, Ester ed Abigail raffigurate a destra. Belle nell’aspetto e nobili nell’animo, incarnano le virtù di cui sarà ornata in sommo grado.

La figura di Ester, per esempio, e l’immagine della bellezza, della bontà e della grazia, prefigurazione dell’Immacolata: Ester intercede in favore del suo popolo così come farà Maria in favore dei cristiani. L’idea dell’intercessione è pure nell’immagine di “Abigail che offre doni al re David” così come in “Betsabea e Salomone”; piena di fascino si mostra la figura di Rebecca dall’incarnato alabastrino; mentre Giuditta e Giaele, deboli e impotenti, si affidano – come Maria – alla potenza e sapienza divina che non può trovare ostacoli al raggiungimento dei suoi fini. Probabilmente l’affresco “Giuditta ed Oloferne” è per intero di Vito D’Anna, mentre è di Alessandro Vasta “ Giaele e Sisara”.

Nel presbiterio è affrescata “La nascita di Maria” circonfusa da un’atmosfera di intima gioia per il lieto evento. In primo piano si nota un gruppo di giovani donne intente ad accudire la neonata Maria mentre sullo sfondo S. Anna è confortata da un’anziana amica e S. Gioacchino sembra accennare all’evento straordinario. Due splendide fanciulle, allegorie dell’innocenza (agnello) e della castità (unicorno) riempiono i pennacchi e fanno da corona alla “Gloria di Maria” mentre le allegorie della Carità e della Religione esaltano l’Immacolata Concezione.

Il linguaggio usato dal pittore è sontuoso sia nel colore che nel disegno e ancora una volta rimarca la cultura classicheggiante romana sempre mediata dal Conca e dal Maratta anche nella composizione della tela posta sull’altare maggiore che raffigura “ La Madonna delle Grazie che appare a S. Margherita regina di Scozia”. La scelta di questo tema è presto detto: la Santa si dedicava, come i Camilliani, ad opere di carità verso i poveri, gli orfani ed i malati che assisteva personalmente. L’eleganza delle forme e la morbidezza del panneggio fanno di questa tela una delle migliori opere del Vasta.

Nell’affresco della volta “Dio Padre manda l’Angelo Gabriele a Maria” dove in un festoso tripudio, tutt’intorno, i puttini inneggiano gioiosi, si nota la stessa tematica illustrata poi da Alessandro nel 1760 nella chiesetta di Loreto, ma qui Paolo la realizza in forme molto più aggraziate.

Le tele poste sugli altari laterali sono di discreta fattura:

S. Camillo, di Alessandro Vasta;

S. Giuseppe, di Guglielmo Borremans, un fiammingo vissuto a cavallo tra il ‘600 e il ‘700 (amico del PP. Vasta) che lavorò tantissimo in Sicilia;

S. Camillo ai piedi del Crocifisso, di Baldassare Grasso, pittore acese della cui opera purtroppo è rimasto molto poco.  

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