Basilica
collegiata
di
San
Sebastiano
La
basilica
è
il
monumento
più
importante
di
Acireale,
dichiarato
monumento
nazionale.
In epoca
aragonese costituiva
il
primitivo
tempio
di
San
Sebastiano
il
luogo
di
culto
insistente
sull'area
dell'attuale chiesa
di
Sant'Antonio
di
Padova.
Edificio
costruito
dopo
l'epidemia
di peste del 1466,
e
dedicato
a San
Sebastiano
martire,
pertanto
ritenuto
il
più
antico
della
città.
Il
primo
cantiere
venne
aperto
nel 1609 e
la
chiesa
completata
nel 1644 con
sussidi
del
municipio
e
offerte
dei
fedeli.
Completata
la
nuova
e
vasta
chiesa,
proclamato
il
bimartire
compatrono
della
città,
le
antiche
strutture
furono
dedicate
a Sant'Antonio
di
Padova il
13
luglio 1652,
in
seguito
ad
un
accordo
tra
la Confraternita
di
San
Sebastiano e
la Confraternita
di
Sant'Antonio.
Con
le
numerose
scosse
del terremoto
del
Val
di
Noto
del
1693 crollò
il coro. Il
tempio
fu
largamente
ristrutturato
e
perfezionato
nelle
forme
attuali
tra
il 1699 e 1705,
assumendo
l'aspetto
odierno.
La
chiesa
fu
elevata
a collegiata con bolla
pontificia del
20
novembre 1924.
Nel
dicembre
del 1990 papa
Giovanni
Paolo
II l'ha
elevata
alla
dignità
di basilica
minore.

La
facciata,
realizzata
su
disegno
di Angelo
Bellofiore,
intarsi
di Diego e Giovanni
Flavetta,
ha
più
ordini
e
presenta
un
fregio
con
quattordici putti che
reggono festoni in
un
tripudio
di
fregi,
mensole,
statue,
mascheroni,
pinnacoli,
volute,
arabeschi.
L'edificio
è
preceduto
da
una balaustra realizzata
nel 1754 da Giovan
Battista
Marini su
progetto
di Pietro
Paolo
Vasta, arricchita
da
statue
raffiguranti
personaggi
dell'antico
testamento: Davide, Giona, Giosuè, Eleazaro, Mosè, Aronne, Malachia, Giuseppe
il
Giusto,
Daniele, Sansone.
Portale.
Nelle
nicchie
ai
lati
del
varco
centrale
sono
collocate
le
statue
raffiguranti
rispettivamente San
Giovanni
Battista e San
Cristoforo.
Nel
secondo
ordine,
ai
lati
delle
grandi
volute
a
ricciolo
e
nelle
nicchie
che
delimitano
il
finestrone
centrale,
le
statue
di San
Gervasio, San
Lorenzo e San
Vito, San
Protasio.
Fanno
ala
alla
loggia
campanaria
del
terzo
ordine
le
statue
di San
Cosma e San
Damiano.
Francesco
Mancini
Ardizzone decorò
l'interno
della
cupola
con
l'episodio Ascensione
al
Cielo
di
Nostro
Signore.

L'interno,
a croce
latina a
tre
navate
ripartite
da
pilastri.
Affreschi
-
Il coro era
affrescato
con
opere
pittoriche
di
Baldassarre
Grasso,
maestro
del
Vasta,
apparato
distrutto
del terremoto
del
1693.
Con
la
ricostruzione
il
ripristino
dell'apparato
pittorico
è
affidato
a Pietro
Paolo
Vasta.
La
prima
opera
datata
e
firmata
è
l'Apparizione
del
Cristo
a
San
Sebastiano
nella
casa
di
Nicostrato,
affresco
autografo
con
la
dicitura
"Petrus
Paulus
Vasta
Pin.
An.
MDCCXXXII",
pittura
ubicata
nel
transetto
sinistro.
Con
questa
opera
si
aggiudica
la
gara
nei
confronti
di
un
altro
pittore
acese Venerando
Costanzo,
detto Varvazza, che
aveva
dipinto
la Conversione
di
Cromazio nel
transetto
destro,
pertanto
al
Vasta
sarà
affidata
l'esecuzione
degli
affreschi
dell'intero
coro.
Negli
anni
a
cavallo
il 1733 e
il 1734 affrescò
la Gloria
di
San
Sebastiano nella
volta
(Apoteosi
e
incoronazione
di
San
Sebastiano
fra
schiere
di
Sante
e
Santi), San
Sebastiano
genuflesso
ai
piedi
di
Papa
Cajo nella
conca
abisidale
(Defensor
Fidei), San
Sebastiano
subisce
il
martirio
delle
frecce, San
Sebastiano
soccorso
dalle
pie
donne, San
Sebastiano
incontra
Diocleziano, Secondo
martirio
e
morte
di
San
Sebastiano sugli
stalli.
Nel
1745
per
la
terza
volta
affresca
episodi
biblici
nei
vani
sottostanti
la
cupola
tratti
dal Vecchio
Testamento e Quattro
profeti
maggiori nei pennacchi: Ezechiele, Daniele, Isaia e Geremia.
Nel
transetto Francesco
Mancini
Ardizzone realizzò
la Sepoltura
di
San
Sebastiano
nelle
Catacombe e
la Salita
di
Gesù
al
Calvario,
ciclo
eseguito
tra
il
1899
e
il
1901. Nelle
volte
sono
affrescate
l'Allegoria
della
Fede a
destra
e
la Gloria
della
Sacra
Sindone a
sinistra
in
corrispondenza
della Cappella
della
Pietà.
Intorno
al
1960
a
seguito
di
lavori
nella
navata
centrale,
sotto
strati
di
imbiancature
sono
stati
riportati
alla
luce
e
in
seguito
restaurati
15
affreschi,
dipinti
raffiguranti
scene
della
vita
del
martire
attribuiti
per
stile
al
Costanzo
da
Paolo
Leonardi
Pennisi.
Navata
sinistra
-
Prima
campata: Cappella
dell'Incoronazione
della
Vergine.
Nell'edicola
è
custodito
il
dipinto
raffigurante
l'Incoronazione
della
Vergine da
parte
della Santissima
Trinità,
raffigurata
con San
Giuseppe, San
Sebastiano, San
Fabiano, San
Giovanni
Evangelista, San
Luca
Evangelista, San
Giovanni
Battista, San
Francesco
d'Assisi, San
Filippo
Neri, Sant'Ignazio
di
Loyola, San
Carlo
Borromeo, San
Lorenzo, Sant'Antonio
di
Padova e
una
teoria
di
altri
Santi,
opera
di Matteo
Ragonisi.
Seconda
campata: Cappella
dell'Addolorata.
Terza
campata: Cappella
delle
Anime
Purganti.
Nell'edicola
è
custodito
il
dipinto
raffigurante
la Madonna
e
le
Anime
del
Purgatorio,
opera
di Francesco
Patanè del 1946.
Quarta
campata: Cappella
di
San
Gaetano. Nell'edicola
è
custodito
il
dipinto
raffigurante
la Vergine
con
Bambino ritratta
tra San
Gaetano
di
Thiene, San
Francesco
di
Sales e Santa
Lucia,
opera
di Pietro
Paolo
Vasta e Alessandro
Vasta.
Quinta
campata:
varco
laterale
sinistro
con
portalino
esterno.
Passaggio
sormontato
da
dipinto
raffigurante
episodio
biblico.
Sesta
campata: Cappella
dell'Ecce
Homo.
Altare
con
nicchia
contenente
la
statua
dell'Ecce
Homo.
Transetto
-
Braccio
destro: Cappella
di
San
Sebastiano.
Altare
neoclassico
con
edicola
e
porta
celata
dalla
tela
raffigurante San
Sebastiano
in
Gloria,
opera
di Michele
Vecchio.
Nel
vano
celato
dal
dipinto
è
custodito
il
simulacro
di San
Sebastiano,
che
viene
tradizionalmente
portato
in
processione
sul
fercolo
argenteo
trainato
dai
"divoti"
il
20
gennaio.
Vasta
nel
1756
fu
incaricato
di
disegnare
un
nuovo
fercolo:
si
provvide
subito
a
far
rivestire
le
sei
colonne
lignee
con
lamine
d’argento
cesellato
dai
fratelli
Lo
Giudice,
messinesi,
ma
il
lavoro
fu
completato
solo
nell'800
dal
cesellatore
acese
Ambra.
Braccio
sinistro: Cappella
della
Pietà.
Altare
neoclassico
con
edicola
ospitante
il
dipinto
la Pietà,
opera
del
1742
di Pietro
Paolo
Vasta. Dentro
un'urna
di
vetro
è
custodita
una
copia
della Sacra
Sindone,
riproduzione
realizzata
nel
1644.

Navata
destra
-
Prima
campata: Cappella.
Seconda
campata: Cappella
di
San
Giovanni
Battista.
Nell'edicola
è
custodito
il
dipinto
raffigurante
il
Precursore San
Giovanni
Battista,
opera
del XIX
secolo di Antonino
Bonaccorsi,
detto
il Chiaro.
Terza
campata: Cappella
dei
Santi
Cosma
e
Damiano.
Nell'edicola
è
custodito
il
dipinto
raffigurante
i Santi
Cosma
e
Damiano,
opera
del XIX
secolo di Antonino
Bonaccorsi,
detto
il Chiaro.
Quarta
campata:
varco
laterale
destro.
Passaggio
sormontato
da
dipinto
raffigurante
episodio
biblico.
Pulpito ligneo
addossato
al
pilastro.
Quinta
campata: Cappella
della
Santissima
Trinità.
Nell'edicola
è
custodito
il
dipinto
raffigurante
la Santissima
Trinità ritratta
con San
Marco
Evangelista, San
Girolamo e San
Liborio
Vescovo,
opera
di Pietro
Paolo
Vasta e Vito
d'Anna del 1742.
Sesta
campata:
varco
sacrestia.
Passaggio
sormontato
da
dipinto
raffigurante
episodio
biblico.
Absidiole
-
Absidiola
destra: Cappella
di
Gesù
e
Maria.
Altare
con
prospettiva
concava
costituito
da
coppie
di
colonne
tortili.
Nell'edicola
è
custodito
il
dipinto
raffigurante Gesù
e
Maria,
opera
di Alessandro
Vasta.
Le
pareti
sono
decorate
con
scene
legate
alla
vita
della
Madonna,
gli
affreschi
sono
datati
e
firmati
da
Alessandro
D'Anna con
la
dicitura
"Alexander
de
Anna
pinxit
1771".
Absidiola
sinistra: Cappella
del
Santissimo
Sacramento.
Altare
con
coppia
di
colonne
tortili
affiancate
da
statue.
Nel
1738
il
maestro
Pietro
Paolo
Vasta con Vito
D'Anna affrescò
il
«ciclo
cristologico».
Altare
maggiore
-
Precedentemente
al
terremoto
del
1693
le
fonti
riportano
l'esistenza
di
affreschi
nel coro,
opere
pittoriche
di
Baldassarre
Grasso,
maestro
del
Vasta.
Area
presbiterale
rialzata
e
raccordata
al
pavimento
del
transetto
da
una
breve
scalinata
costituita
da
sette
gradini.
Sulla
destra
in cornu
epistulae è
collocato
il
primo
leggio
marmoreo,
un
secondo
è
realizzato
più
in
alto
a
sinistra
in cornu
Evangelii.
Cripta
-
Ambiente
ipogeo
originariamente
destinato
alla
preparazione,
conservazione
e
seppellimento
di
cadaveri.
Oggi
ospita
una
sezione
museale
comprendente
statue
lignee
e
dipinti
vari.
Museo
del
Tesoro
-
Il
museo
è
allocato
nelle
sale
adiacenti
la
sacrestia.
Nella
prima
sala
(Sacrestia)
si
conservano
opere
di
manifattura
siciliana,
tra
cui
una
statua
in
cera
del
XVIII
sec.
raffigurante
Maria
Bambina,
l'olio
su
tavola
di Pietro
Paolo
Vasta Cristo
Risorto,
i
quattro Santi e
l'Addolorata di Matteo
Desiderato,
la
Madonna
della
lettera di Giovanni
Lo
Coco.
Nel
grande
armadio
centrale
del 1811 è
conservato
un
tronetto
in
argento
in
stile
rococò del 1767.
Nella
seconda
e
terza
sala
sono
raccolti ex
voto offerti
a
San
Sebastiano
e
i
reliquiari
a
braccio
del
Santo,
oltre
a
preziosi
vasi
sacri,
alcuni
provenienti
dalle
vicine
chiese
dell'Odigitria
e
di
San
Crispino,
tra
cui
un
ostensorio
in
oro
massiccio
con
diamanti.
Inoltre
sono
esposti
i
gioielli
che
adornano,
durante
la
festa
religiosa,
la
statua
di
San
Sebastiano
e
alcuni
paramenti
sacri
con
ricchi
ricami
in
oro.
La
terza
sezione
del
museo
è
ospitata
nella
settecentesca
cripta,
che
serve
da
sala
conferenze
e
concerti,
che
già
nel 1704 aveva
ospitato
per
una
decina
d'anni
l'Accademia
degli
Zelanti.
Qui
sono
conservati
alcuni
dipinti,
tra
cui "San
Pasquale
Baylon" di
Matteo
Desiderato,
assieme
ad
delle
statue
lignee
di
particolare
pregio.
Chiesa
di
Sant'Antonio
da
Padova
Costruita
nel
periodo
in
cui
Acireale
si
chiamava
ancora Aquilia Nuova, la chiesa di Sant’Antonio di Padova sembra essere la più antica della città.
La
sua
costruzione
risale
al
1466
quando
la
peste
colpisce
in
modo
feroce
la
città.
Gli
acesi
si
affidano
alla
protezione
di San Sebastiano a cui
viene
dedicata
la
chiesa.
Nel
1577
una
nuova
grave
epidemia
di
peste
colpisce
il
territorio
delle
Aci
e la statua di San Sebastiano viene
tenuta
a
lungo
sull’altare
come
oggetto
di
suppliche
e
preghiere
dei
fedeli.
La
città
rimane
immune
al
contagio
del
male
e
gli
acesi,
certi
dell’intercessione
del
Santo,
attribuiscono
la
loro
salvezza
a
San
Sebastiano.
La
devozione
al
Santo
aumenta
sempre
di
più
e
la
chiesetta
diventa
troppo
piccola
per
contenere
i
numerosissimi
devoti.
La
confraternita
di
San
Sebastiano
si
adopera
per
la
costruzione
di
una
nuova
chiesa
di
dimensioni
molto
più
ampie
che
viene
eretta
là
dove
ancora
oggi
sorge
la
basilica
dedicata
al
santo
martire
Sebastiano,
Compatrono
della
città.
Il
13
luglio
1652
la
chiesetta
viene
dedicata
a Sant’Antonio di Padova.
Danneggiato
da
più
terremoti,
nel
corso
dei
secoli
l’edificio
sacro
subisce
vari
rimaneggiamenti.
Ma
è
dopo
il
terremoto
del
1693
che
la
confraternita
di
Sant’Antonio
fa
riedificare
la
chiesetta
la
quale
oggi
si
presenta
con
un
piccolo
campanile
allineato
al
prospetto.
Dell’antica
chiesa,
oggi
rimane
solo
il
pregevole
portale
in
stile
gotico
fiorito
risalente
alla
seconda
metà
del
’400.
Gli
affreschi
dell’interno
vengono
affidati
al
pittore
acese Pietro Paolo Vasta il quale aveva già affrescato le
maggiori
chiese
della
città.
Per
l’artista
acese
si
tratta
della
sua
ultima
opera
perché
mentre
stava
affrescando
la
volta
dell’abside
con La gloria di sant’Antonio nel
1755
venne
colpito
da
apoplessia.
Pietro
Paolo
Vasta
morì
cinque
anni
dopo
e
l’opera
venne
portata
a
termine
dal
figlio
Alessandro.
Di Alessandro Vasta sono anche le tele Sant’Antonio di Padova, l’Ecce Homo, mentre le tele che
ritraggono Santa Cecilia e San Cristoforo sono di Michele Vecchio.
Nel
pavimento,
in
cotto
e
maiolica
siciliana,
a
sinistra
e
a
destra
della
scaletta
d’ingresso
sono
presenti
due
lapidi
che
ricordano
che
prima
della
costruzione
dei
cimiteri,
in
questa
chiesa
trovavano
sepoltura
a
sinistra
i
devoti
del
Santo
e
a
destra
le
donne
pie.
La
devozione
verso
Sant’Antonio
di
Padova,
santo
dei
poveri
e
della
carità,
è
molto
radicata
nella
città
del
Barocco.
Un
tempo
la
festa
in
onore
al
Santo
aveva
caratteri
esclusivamente
liturgici
ma
negli
ultimi
anni
nel
pomeriggio
del
13
giugno
l’antico simulacro di Sant’Antonio viene
portato
in
processione
per
le
vie
della
città.
Giunto
in
Cattedrale,dopo
la
celebrazione
della
Santa
Messa,
portato
a
spalla
dai
suoi
devoti,
il
Santo
fa
ritorno
nella
sua
chiesa.
Tutte
le
domeniche
e
le
feste
di
precetto
alle
ore
10,30
in
questa
chiesa,
in
osservanza
del Motu Proprio Summorum Pontificum, viene celebrata la Messa secondo il
rito
di San Pio V in lingua latina.
Chiesa
Santa
Maria
del
Suffragio
Sull’antica
“Strada
della
marina”
che
dalla
chiesa
di
S.
Pietro,
raggiungeva
il
borgo
di
S.
Maria
La
Scala
attraverso
le
“Chiazzette”,
nel
1634
vi
si
costruì
una
chiesetta
che
già
nel
1638
era
frequentata
da
pescatori
e
popolane
del
quartiere
che
si
chiamerà
“dei
Morti”.
Per
più
di
un
secolo
spoglia
e
disadorna,
nel
1750
fu
affrescata
dall’ormai
noto
pittore
PP.
Vasta
collaborato
dal
figlio
Alessandro.
Come
nella
Chiesa
di
S.
Maria
delle
Grazie,
alcuni
anni
prima,
qui
il
Vasta
illustra
un
unico
tema:
attraverso
un
“ciclo
purgatoriale”
che
comprende
ben
9
affreschi,
mette
in
risalto
non
solo
il
sacrificio
di
Cristo
senza
il
quale
non
c’è
Redenzione,
ma
suggerisce
che
ci
si
salva
anche
per
l’attiva
partecipazione
di
Maria.
Già
dai
6
affreschi
della
navata,
costretti
entro
medaglioni
dalle
cornici
mistilinee
a
stucco,
appare
evidente
la
trama
narrativa
che
spiega
l’importante
discorso
teologico
descritto
dal
pittore
in
“Giona
gettato
in
mare”,
“Isaia
e
l’angelo
purificatore”,
“Mosè
ed
il
roveto
ardente”,
a
sinistra;
“Giobbe
visitato
dagli
amici”,
“Geremia
che
vede
la
seconda
visione”,
“L’angelo
ed
Agar”,
a
destra.
Il
fuoco
purificatore
(Isaia,,
Geremia
e
Mosè)
e
l’acqua
rigeneratrice
(Giona
e
Agar),
uniti
alle
ineluttabili
sofferenze
(Giobbe),
sono
i
simboli
attraverso
cui
si
raggiungeranno
le
gioie
del
Paradiso.
Affreschi
la
cui
lettura
dovrà
risultare
facile
per
gente
non
abituata
a
leggere
sui
libri
perché
analfabeta,
ma
non
per
questo
ignorante:
bisogna
soffrire,
e
duramente
anche,
prima
di
conquistare
il
Bene
supremo
e
l’immagine
dell’acqua
e
del
fuoco
e
facilmente
comprensibile.
Altri
due
affreschi,
purtroppo
oggi
molto
deteriorati,
tratti
ancora
dall’Antico
testamento,
sono
illustrati
nel
presbiterio:
“Abacuc
soccorre
Daniele
fra
i
leoni”
e
Giuseppe
venduto
dai
fratelli”.
Cruda
la
scena
di
Giobbe
sofferente
dove
i
corvi
che
volteggiano
in
alto
raccontano
il
dramma
che
si
sta
consumando;
altrettanto
drammatica
l’altra
dove
Giona
sta
per
essere
inghiottito
da
un
pesce
che
rievoca
leggende
di
orribili
mostri
marini
incontrati
in
mari
lontani
la
cui
eco
arrivava
alle
orecchie
di
quei
pescatori
carica
di
misteri
e
di
paure.
Ma
la
salvezza
è
in
“Cristo
che
versa
dalla
ferita
del
costato
il
sangue
della
Redenzione”,
sembra
suggerire
l’affresco
nella
calotta
absidale
mentre
sulla
parete
dietro
l’altare
sono
raffigurati
“Due
angeli
che
alleviano
le
pene
alle
anime
purganti”.
Ancora
una
volta
P.
P.
Vasta
si
avvale
degli
apporti
stilistici
dei
“grandi”
come
Pietro
Novelli,
Sebastiano
Conca
e
Francesco
Solimena,
quest’ultimo
ricordato
nelle
“Quattro
parti
del
mondo”,
a
ridosso
della
volta,
con
cui
si
illustra
la
diffusione
del
Vangelo
che,
solcando
i
mari,
arriva
dovunque.
Nell’affresco
della
volta
intitolato
“La
Mensa-Eucaristica”,
sono
evidenti
i
modelli
pittorici
di
Corrado
Giaquinto,
maestro
della
scuola
napoletana.
Il
Vasta
non
fu
l’unico
ad
usare
questo
disegno:
anche
Olivio
Sozzi,
per
esempio,
lo
utilizzerà
prima
a
Palermo
e
più
tardi
ad
Ispica.
Tutto
ciò
non
toglie
al
Vasta
il
merito
di
aver
saputo
trasfondere
in
questo
affresco
il
suo
modo
di
fare
pittura
basato
su
un
vivo
cromatismo
ed
un
disegno
corretto,
riuscendo
a
creare
un’
opera
suggestiva
per
l’armonioso
accordo
delle
tinte
e
la
luminosità
della
scena.
Dei
personaggi
più
in
vista
dell’Antico
e
Nuovo
Testamento
non
manca
proprio
nessuno:
la
tenace
Ruth
con
le
spighe
in
mano,
l’ardimentosa
Giuditta
con
la
testa
mozza
di
Oloferne,
mentre
Adamo
ed
Eva
e
tanti
altri
fanno
da
corona
alla
possente
figura
di
Mosè
che
conduce
il
popolo
di
Dio
verso
il
Paradiso,
vera
Terra
Promessa,
popolata
dagli
Apostoli,
primo
fra
tutti
S.
Pietro,
e
dalle
Pie
Donne
vicine
a
Maria
in
estasi
nell’adorazione
dell’Ostia
consacrata
sulla
Mensa
Eucaristica
sorretta
dai
simboli
dei
4
evangelisti
(Bue,
Aquila,
Leone
ed
Angelo)
additata
da
Cristo
e
vivificata
dalla
presenza
del
Padre
e
dello
Spirito
Santo.
L’affresco
è
carico
di
simbologia
cristiana:
le
spighe
di
Ruth
e
l’uva
di
Giosuè
sono
il
pane
ed
il
vino
della
Mensa
Eucaristica;
Pietro
e
gli
Apostoli,
i
pilastri
su
cui
si
fonda
la
chiesa;
Maria,
madre
della
chiesa,
e
la
SS.
Trinità.
Ancora
una
volta,
i
temi
espressi
dalla
Controriforma
affermano
ed
esaltano
la
Gloria
dei
santi,
il
dogma
mariano,
la
Trinità
e
la
Passione
di
Cristo.
Per
leggere
questo
affresco
bisogna
stare
con
il
naso
all’insù
per
un
bel
po’
e
ripercorrere
con
gli
occhi
tutte
le
diagonali
che
dalla
nuda
terra
conducono
“nel
più
alto
dei
cieli”:
al
pescatore
o
alla
lavandaia
tale
percorso
dovette
sembrare
molto
simile
al
faticoso
sentiero
appena
tracciato
sulla
Timpa
e
su
cui
durante
il
giorno
erano
costretti
ad
inerpicarsi
per
raggiungere
dalle
rive
del
mare
la
propria
casa,
zigzagando
le
Chiazzette
carichi
di
remi
e
di
ceste,
pesante
fardello.
Quattro
i
dipinti
ad
olio
degni
di
nota:
“La
strage
degli
innocenti”
ed
il
“S.
Gregorio”,
di
M.
Ragonisi;
“Gesù
nella
Piscina
Probatica”,
di
A.
Vasta,
raffigurato
nell’antico
paravento;
e
la
bella
“
Madonna
del
parto”
di
P.
P.
e
A.
Vasta.
Chiesa
Santa
Maria
delle
Grazie
(San
Camillo)
Edificata
nel
1730,
qualche
anno
più
tardi
vi
fu
annesso
l’Ospizio
dei
PP.
Crociferi.
La
facciata,
stretta
ed
alta,
racchiusa
da
due
lesene
in
pietra
bianca
di
Siracusa
sormontate
da
due
capitelli
dorici,
insiste
su
via
Galatea
la
cui
angustia
non
permette
di
ammirarne
la
sobria
bellezza.
Le
lesene
che
ornano
il
portale
sono
decorate
con
motivi
ornamentali
geometrici
floreali
e
sormontati
da
capitelli
corinzi.
La
chiesa,
con
un’unica
navata,
e
sopraelevata
rispetto
al
piano
stradale.
Il
ciclo
degli
affreschi,
iniziato
e
concluso
da
PP.
Vasta
nel
1744
con
l’aiuto
del
figlio
Alessandro
e
dell’allievo
Vito
D’Anna,
è
un
inno
alla
Madonna
vista
non
solo
come
Vergine
e
Madre
di
Cristo,
ma
anche
attraverso
le
virtù
delle
eroine
dell’Antico
Testamento:
Giuditta,
Betsabea
e
Rebecca
riprodotte
a
sinistra
e
Giaele,
Ester
ed
Abigail
raffigurate
a
destra.
Belle
nell’aspetto
e
nobili
nell’animo,
incarnano
le
virtù
di
cui
sarà
ornata
in
sommo
grado.
La
figura
di
Ester,
per
esempio,
e
l’immagine
della
bellezza,
della
bontà
e
della
grazia,
prefigurazione
dell’Immacolata:
Ester
intercede
in
favore
del
suo
popolo
così
come
farà
Maria
in
favore
dei
cristiani.
L’idea
dell’intercessione
è
pure
nell’immagine
di
“Abigail
che
offre
doni
al
re
David”
così
come
in
“Betsabea
e
Salomone”;
piena
di
fascino
si
mostra
la
figura
di
Rebecca
dall’incarnato
alabastrino;
mentre
Giuditta
e
Giaele,
deboli
e
impotenti,
si
affidano
–
come
Maria
–
alla
potenza
e
sapienza
divina
che
non
può
trovare
ostacoli
al
raggiungimento
dei
suoi
fini.
Probabilmente
l’affresco
“Giuditta
ed
Oloferne”
è
per
intero
di
Vito
D’Anna,
mentre
è
di
Alessandro
Vasta
“
Giaele
e
Sisara”.
Nel
presbiterio
è
affrescata
“La
nascita
di
Maria”
circonfusa
da
un’atmosfera
di
intima
gioia
per
il
lieto
evento.
In
primo
piano
si
nota
un
gruppo
di
giovani
donne
intente
ad
accudire
la
neonata
Maria
mentre
sullo
sfondo
S.
Anna
è
confortata
da
un’anziana
amica
e
S.
Gioacchino
sembra
accennare
all’evento
straordinario.
Due
splendide
fanciulle,
allegorie
dell’innocenza
(agnello)
e
della
castità
(unicorno)
riempiono
i
pennacchi
e
fanno
da
corona
alla
“Gloria
di
Maria”
mentre
le
allegorie
della
Carità
e
della
Religione
esaltano
l’Immacolata
Concezione.
Il
linguaggio
usato
dal
pittore
è
sontuoso
sia
nel
colore
che
nel
disegno
e
ancora
una
volta
rimarca
la
cultura
classicheggiante
romana
sempre
mediata
dal
Conca
e
dal
Maratta
anche
nella
composizione
della
tela
posta
sull’altare
maggiore
che
raffigura
“
La
Madonna
delle
Grazie
che
appare
a
S.
Margherita
regina
di
Scozia”.
La
scelta
di
questo
tema
è
presto
detto:
la
Santa
si
dedicava,
come
i
Camilliani,
ad
opere
di
carità
verso
i
poveri,
gli
orfani
ed
i
malati
che
assisteva
personalmente.
L’eleganza
delle
forme
e
la
morbidezza
del
panneggio
fanno
di
questa
tela
una
delle
migliori
opere
del
Vasta.
Nell’affresco
della
volta
“Dio
Padre
manda
l’Angelo
Gabriele
a
Maria”
dove
in
un
festoso
tripudio,
tutt’intorno,
i
puttini
inneggiano
gioiosi,
si
nota
la
stessa
tematica
illustrata
poi
da
Alessandro
nel
1760
nella
chiesetta
di
Loreto,
ma
qui
Paolo
la
realizza
in
forme
molto
più
aggraziate.
Le
tele
poste
sugli
altari
laterali
sono
di
discreta
fattura:
S.
Camillo,
di
Alessandro
Vasta;
S.
Giuseppe,
di
Guglielmo
Borremans,
un
fiammingo
vissuto
a
cavallo
tra
il
‘600
e
il
‘700
(amico
del
PP.
Vasta)
che
lavorò
tantissimo
in
Sicilia;
S.
Camillo
ai
piedi
del
Crocifisso,
di
Baldassare
Grasso,
pittore
acese
della
cui
opera
purtroppo
è
rimasto
molto
poco.
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