Lingue
e dialetti
La
popolazione calabrese presenta ancora oggi un'identità abbastanza variegata,
per questo l'insieme
dei dialetti parlati nella regione rispecchia
tali caratteristiche. Come la maggior parte dei dialetti italiani,
il calabrese meridionale come quello settentrionale non hanno alcuna ufficialità.
A
causa delle molteplici radici storiche della regione, esistono zone della
Calabria in cui si parlano ancora lingue e dialetti di diretta derivazione da
altre lingue. Nel nord della regione si parla un dialetto derivante dalla lingua
napoletana, mentre nel
sud della regione si riscontrano numerose somiglianze del dialetto locale con la lingua
siciliana, ma
complessivamente il vernacolo parlato in tutta la regione è spesso identificato
come "calabrese".
Le
minoranze linguistiche riconosciute e tutelate dallo Stato italiano nella
regione sono: il guardiolo,
il dialetto greco-calabro e
l'albanese.
In alcune di queste aree, specialmente quella albanofona dove la lingua è
ancora molto viva, le vie dei vari paesi hanno una diffusa toponomastica
bilingue.
Il
guardiolo è una varietà dell'occitano,
parlato nell'isola
linguistica di Guardia
Piemontese.
La lingua
greca di Calabria è
parlata nel triangolo
grecanico della città
metropolitana di Reggio Calabria,
nei comuni di Amandolea, Bova, Bova Marina, Condofuri, Roccaforte
del Greco (Vunì), Roghudi,
e in alcuni quartieri della città di Reggio
Calabria come San
Giorgio Extra.
La lingua
albanese in
Calabria è una varietà
linguistica dell'albanese
parlato nell'Albania meridionale.
La comunità albanese è la minoranza più diffusa della regione (33 comuni linguisticamente attivi
tra le province di Cosenza, Crotone e Catanzaro).
Degna di nota la produzione letteraria moderna e contemporanea, nota e studiata
nella stessa Albania e
negli stati balcanici di
lingua albanese.
Patrono
Paola
fu patria di san Francesco, istitutore dell’Ordine dei Minimi. Patrono della
Calabria, qui nato il 27 marzo 1416 . Intorno a questa grande figura mistica si
sviluppa il destino stesso di questa località.
Il Santo viene
spesso raffigurato con uno scudo gentilizio sopra il capo o il petto, sul quale
si legge la scritta “ Charitas” , un emblema che si riferisce a una visione
angelica avvenuta mentre egli si trovava assorto in preghiera. D’un tratto,
racconta la cronaca del discepolo Giovanni da Milazzo, gli comparve davanti
l’Arcangelo Michele, il quale brandiva uno scudo sul quale campeggiava uno
stemma meravigliosamente colorato e circondato da raggi di luce, al centro del
quale si leggeva appunto la parola “Charitas” scritta a luminose lettere
d’oro. L’Angelo porse lo scudo a Francesco e gli raccomandò di farne lo
stemma del proprio ordine. L’invocazione alla carità ricorse, da quel giorno,
con molta frequenza sulle labbra del Santo, la cui festa si celebra qui il 2
aprile.
Francesco
nacque a Paola,
in Calabria
Citeriore, Regno
di Napoli (oggi in provincia
di Cosenza), il 27 marzo 1416 da Giacomo Martolilla, e
Vienna da Fuscaldo. La
famiglia di Giacomo proveniva da Cosenza,
e ancora prima originaria di Messina.
Il
nome venne dato al bambino in onore a san Francesco
d'Assisi, per
l'intercessione del
quale i due coniugi chiesero la grazia di
un figlio, pur trovandosi già in età avanzata. Alcuni
anni dopo nacque una seconda figlia, Brigida. Da
bambino, Francesco contrasse una forma grave d'infezione ad
un occhio,
tanto che i genitori si rivolsero nuovamente all'intercessione del santo
d'Assisi. Fecero quindi voto che
in caso di guarigione il piccolo avrebbe indossato per un anno intero l'abito
dell'ordine
francescano. La malattia si risolse senza quasi lasciare traccia.
Fin da piccolo,
Francesco fu particolarmente attratto dalla pratica religiosa, denotando umiltà
e docilità all'obbedienza. All'età
di tredici anni narrò della visione di un frate francescano che gli ricordava
il voto fatto dai genitori. Accolto nel convento francescano
di San
Marco Argentano, vi
rimase per un anno, adempiendo alla promessa dei genitori.
Il tempo trascorso
nella comunità evidenziò le attitudini mistiche del giovane, compresi quei
fenomeni soprannaturali che accompagneranno tutta la sua biografia, aumentandone
la fama in vita e il culto dopo la morte. Durante quest'anno di dedizione al
convento, il piccolo Francesco si adoperò nell'osservanza regolare e nello
sbrigare le mansioni umili della casa, e praticava già molti digiuni e
astinenze. Si racconta di come portasse i carboni ancora ardenti nelle mani per
accendere il fuoco, senza nulla soffrire del dolore. Il giovane Francesco
trovava meditazione in una grotta, ubicata nella tenuta del convento, in
solitudine, nel quale ebbe la visione di San
Francesco d'Assisi oggi luogo di pellegrinaggio e devozione in
San Marco Argentano, sotto il nome di "La Benedetta". Concluso l'anno,
i frati avrebbero voluto trattenerlo con loro, ma Francesco conservava il
desiderio di conoscere anche altre modalità di vita consacrata prima di fare la
sua scelta. Nel 1430 svolse,
con la famiglia, un lungo pellegrinaggio che,
avendo Assisi come
meta principale, coinvolse alcuni dei principali centri della spiritualità
cattolica italiana: Loreto, Roma e Montecassino,
toccando anche i romitori del Monte
Luco.
Rientrato a
Paola, iniziò un periodo di vita eremitica,
utilizzando un luogo impervio compreso nelle proprietà della famiglia e
suscitando lo stupore dei paolani. Nel 1435,
altri si associarono a questa esperienza, riconoscendolo come guida spirituale.
Con i suoi, costruì una cappella e tre dormitori, dando di fatto inizio
all'esperienza, tuttora in corso, dell'Ordine
dei Minimi. Alle prime adesioni, se ne aggiunsero molte altre, tanto
che il 31
agosto 1452 il
nuovo arcivescovo
di Cosenza, monsignor Pirro
Caracciolo, concesse l'"approvazione diocesana", atto che
comportava la facoltà di istituire un oratorio,
un monastero e
una chiesa.
E proprio l'edificazione del nuovo monastero fu l'occasione che i concittadini
di Francesco utilizzarono per attestargli la loro profonda stima: persino i
nobili paolani fecero da operai per affrettarne la costruzione. La fama di
santità di Francesco si diffuse rapidamente, tanto che nel 1467 Papa
Paolo II inviò a Paola un suo emissario per avere notizie
sull'eremita calabrese. Rientrato a Roma, l'inviato pontificio, monsignor Baldassarre
De Gutrossis, presentava un rapporto positivo sulla vita di preghiera
e austerità che pervadeva il monastero. Talmente ne era rimasto colpito da
aggregarsi anche lui alla comunità dei Minimi, prendendo il nome di Baldassarre
da Spigno.
Il 4
luglio dello stesso anno, quattro cardinali firmarono la lettera
che concedeva l'indulgenza a
coloro che avrebbero contribuito alla costruzione della chiesa del monastero da
Paola, nonché a coloro che l'avrebbero visitata.
Nel 1470 ebbe
inizio il procedimento giuridico-canonico per
l'approvazione definitiva del nuovo ordine di eremiti.
La "causa
paolana" fu patrocinata da monsignor Baldassarre
da Spigno. Il 17
maggio 1474, Papa
Sisto IV riconosceva ufficialmente il nuovo ordine con la
denominazione: "Congregazione eremitica paolana di San Francesco
d'Assisi". Il riconoscimento della regola di estrema austerità venne
invece con Papa
Alessandro VI, in concomitanza col mutamento del nome in quello,
ancora attuale, di "Ordine dei Minimi". Con l'approvazione, gli
eremitaggi, sul modello di quello di Paola,
fiorirono in Calabria e Sicilia. Paterno
Calabro nel 1472, Spezzano
della Sila nel 1474, Corigliano
Calabro nel 1476,
e Milazzo nel 1480,
furono gli apripista. Francesco, che nel frattempo aveva trovato stabile dimora
a Paterno
Calabro, divenne quindi un punto di riferimento essenziale per la
gente e per i poveri della sua terra. A lui ci si rivolgeva per consigli di
carattere spirituale ma anche per consigli più prettamente pratici.
Il Regno
di Napoli era in quel periodo retto dagli aragonesi,
anche se localmente il potere effettivo veniva retto dalle famiglie nobiliari
secondo quello che era il sistema
feudale. Naturalmente le condizioni di vita non erano facili per la
maggioranza della popolazione, che occupava il livello sociale più basso.
Francesco adempì anche in tale contesto storico la missione della diffusione
della vita cristiana.
Fra i fenomeni
soprannaturali attribuiti a Francesco vi è quello della guarigione di un
ragazzo affetto da un'incurabile piaga a un braccio, sanata con delle banali
erbe comuni; lo sgorgare miracoloso dell'acqua della "Cucchiarella",
che Francesco fece scaturire colpendo con il bastone una roccia presso il
convento da Paola e che ancora è meta di pellegrinaggi; le pietre del miracolo,
che restarono in bilico mentre minacciavano di cadere sul convento
("Fermatevi, per carità").
A Napoli davanti
al Re che voleva tentarlo con un vassoio pieno di monete d'oro offerte per la
costruzione di un convento, San Francesco rifiutò, prese una moneta, la spezzò
e ne fece uscire sangue. Il sangue che usciva dalle monete era quello dei
sudditi, del popolo che subiva i potenti. Di fronte ad una ingente offerta di
denaro e ad una proposta di prosperità e di ricchezza definitive, chiunque
sarebbe capace di lasciarsi sedurre; così non fu per il Santo Paolano. Egli era
molto affezionato a un agnellino che aveva chiamato Martinello. Un giorno, gli
operai, mentre lavoravano, ebbero fame e decisero di mangiare il povero
agnellino. Dopo averlo cotto e consumato, gettarono le ossa e i resti nella fornace.
San Francesco cominciò subito a cercarlo e chiese agli operai che lavoravano al
convento da Paola se avessero visto il suo Martinello; essi negarono, ma quando
cominciò a chiamarlo l'agnellino uscì dalle fiamme completamente sano e in
vita. Appena l'agnellino uscì dalla fornace fu grande lo stupore e
l'imbarazzo degli operai nei confronti di San Francesco.
Del 1º aprile
1464 è il miracolo fatto dal Santo a Galatro.
In quell'anno di carestia Cola Banaro ed altri otto operai, tutti di Arena
(Italia), si dirigevano verso la piana di Terranova per trovare
lavoro. Attraversato il passo di Borrello e giunti in territorio di Galatro,
essi s'imbatterono in San Francesco diretto in Sicilia. Questi chiese loro un
po' di pane ma essi, già a loro volta affamati, risposero che non ne avevano
neppure un pezzetto. Allora San Francesco disse: "Datemi le vostre bisacce,
perché dentro c'è del pane". Cola diede le bisacce al Santo che le aprì
e vi trovò pane bianchissimo, ancora caldo e fumante. Tutti mangiarono di quel
pane, e quanto più ne mangiavano tanto più esso aumentava. Per tre giorni gli
operai e San Francesco si alimentarono di quel pane.
Esiste ancora oggi nella
località del miracolo un casolare sulla cui parete esterna è affrescata
un'immagine del Santo che risale al '600. Ma il "miracolo" più famoso
è certamente quello noto come "l'attraversamento dello Stretto
di Messina" sul suo mantello steso, dopo che il barcaiolo Pietro
Coloso si era rifiutato di traghettare gratuitamente lui ed alcuni seguaci, che
ha contribuito a determinarne la "nomina" a patrono della gente di
mare d'Italia. Altro "carisma" attribuito al santo eremita fu la profezia,
quando previde che la città di Otranto sarebbe
caduta in mano ai turchi nel 1480 e
riconquistata dal re
di Napoli.
La notizia
delle sue doti di santità e taumaturgia raggiunse
anche la Francia,
tramite i mercanti napoletani, arrivando nel 1482 al
re Luigi
XI il quale, ammalatosi gravemente, lo mandò a chiamare
chiedendogli di visitarlo. Francesco era molto restio all'idea di lasciare la
sua gente bisognosa, tanto da indurre il sovrano francese a inviare
un'ambasceria presso Papa
Sisto IV affinché ordinasse a Francesco di recarsi presso di
lui. Il Papa e il re di Napoli colsero l'occasione per rinsaldare i fragili
rapporti con l'allora potentissima Francia, intravedendo, in prospettiva, la
possibilità di raggiungere un accordo per abolire la Prammatica
Sanzione di Bourges del 1438.
Ci vollero alcuni mesi però per convincere Francesco, che aveva quasi 67 anni,
a lasciare la sua terra per attraversare le Alpi,
e ad abbandonare il suo stile di vita austero per passare a vivere in un palazzo
reale.
Il 2
febbraio 1483,
partendo da Paterno
Calabro, Francesco, insieme a Bernardino
Otranto di Cropalati, Giovanni
Cadurio da Roccabernarda e Nicola
d'Alessio suo nipote,
lasciò la Calabria alla volta della Francia: risalendo per il Vallo di Diano si
fermò prima a Polla,
poi nell'abbazia di Santa
Maria La Nova di Campagna e
a Salerno.
Passò per Napoli dove fu accolto da una grande folla acclamante e dallo stesso
re Ferdinando
I.
A Roma incontrò
diverse volte Papa Sisto, che gli affidò diversi incarichi. S'imbarcò quindi a Civitavecchia per
la Francia. Al suo arrivo presso la corte, nel Castello
di Plessis-lez-Tours, Luigi XI gli s'inginocchiò. L'eremita non lo
guarì dal male, ma la sua azione portò a un miglioramento dei rapporti tra la
Francia e il Pontefice. Francesco visse in Francia ventiquattro anni e seppe
farsi apprezzare dal popolo semplice come dai dotti della Sorbona.
Molti religiosi francescani, benedettini ed
eremiti, affascinati dal suo stile di vita, si aggregarono a lui anche in
Francia, contribuendo all'universalizzazione del suo ordine.
Questo comportò
gradualmente il passaggio da un puro eremitismo a un vero e proprio cenobitismo,
con la fondazione di un secondo ordine (per le suore)
e un terzo (per i laici). Le rispettive regole furono approvate da Papa
Giulio II il 28
luglio 1506.
Il re Carlo
VIII, successore di Luigi XI, stimò molto Francesco e contribuì
alla fondazione di due monasteri dell'Ordine dei Minimi, uno a Plessis-lez-Tours e
uno sul monte Pincio a
Roma. Nel 1498,
alla morte di Carlo VIII, ascese al trono Luigi
XII che, benché Francesco chiedesse di tornare in Italia, non
lo concesse. Il santo eremita aveva ormai 82 anni, e da 15 viveva in terra
straniera: sarebbe rimasto lì per altri 9, fino alla morte.
Dopo aver
trascorso gli ultimi anni in serena solitudine, morì in Francia a Plessis-lez-Tours il
2 aprile 1507,
un venerdì
santo, a ben 91 anni, età più che ragguardevole per l'epoca.
Approssimandosi la sua fine, chiamò a sé i suoi confratelli sul letto di
morte, esortandoli alla carità vicendevole e al mantenimento dell'austerità
nella regola.
Provvide alla nomina del vicario generale e infine, dopo avere
ricevuto i sacramenti, si fece leggere la Passione secondo
Giovanni.
Venne sepolto
nella chiesa
dei Minimi di Plessis-lez-Tours, oggi La
Riche.
Fu canonizzato
il 1º
maggio 1519,
a soli dodici anni dalla sua morte, durante il pontificato di Papa
Leone X (al quale predisse l'elezione al soglio pontificio
quando questi era ancora bambino),
evento molto raro per i suoi tempi.
Il 13
aprile 1562,
degli ugonotti forzarono
la sua tomba, trovarono il corpo incorrotto e vi diedero fuoco. A
causa dell'incendio sono rimaste pochissime reliquie, conservate in massima
parte nei conventi dei Minimi, fra cui Palermo, Milazzo e Paola. La sua festa si
celebra il 2
aprile, giorno della sua nascita al Cielo. Tuttavia, non
potendosi spesso celebrare come festa liturgica perché quasi sempre ricorre in Quaresima,
la si festeggia ogni anno a Paola nell'anniversario della sua canonizzazione,
il 1º maggio. La notizia, però, arrivò a Paola tre giorni dopo; per questo i
festeggiamenti si tengono dall'1 al 4
maggio.
Urbano
VIII il 23
marzo 1630 lo
dichiara Patrono del Regno
di Sicilia.
Clemente
XII il 6
settembre 1738 conferma
questo patronato, poi il 12
settembre lo nomina e il 18
marzo 1739 lo
conferma quale Patrono principale del Regno
di Napoli, e infine, il 15
luglio 1739, conferma questi patronati come privilegi perpetui.
Gregorio
XVI il 10
maggio 1839,
accogliendo la supplica di Padre Gaspare Montenero, Procuratore Generale
dell’Ordine, considerato che spesso il 2
aprile ricade nell’àmbito della Settimana Santa, concede che
la solennità di Francesco da Paola, con la recita dell’Ufficio, sia in
perpetuo trasferita alla seconda domenica dopo Pasqua, conservando il Rito di
prima classe con l’Ottava.
Pio
XII il 27
marzo, col Breve "Quod Sanctorum Patronatus", lo proclama
"Celeste Patrono dei Marittimi d'Italia". Nel Breve si dice che viene
proclamato Confessore e speciale Patrono Celeste presso Dio delle associazioni
proposte alla cura della gente di mare, delle società di navigazione e di tutti
i marittimi della Nazione Italiana.
Giovanni
XXIII il 22
giugno 1962 lo
proclama “Celeste Patrono presso Dio della Calabria”.
1990 - L'UNICEF
Lo proclama “Ambasciatore dei bambini e dei giovani di tutta la Calabria”.
Nelle
raffigurazioni religiose san Francesco viene rappresentato:
- Vestito di un
saio, con un bastone in mano e una barba bianca fluente.
- Mentre
attraversa lo stretto
di Messina sul suo mantello, che funge da scafo e da vela,
sostenuta dal suo bastone, in compagnia di un fraticello.
- Vestito di un
saio, mentre regge un teschio con una mano e un flagello con l'altra.
- Mentre levita
sopra una folla di fedeli con accanto il motto CHARITAS.
Una lunga
tradizione storiografica lo ritenne poeta, autore di un poemetto conservato oggi
nella Bibliothèque
nationale de France, ma uno studio filologico e linguistico ha potuto
invalidare con certezza questa attribuzione (Distilo
1979).
È stato
patrono del Regno
delle Due Sicilie (oggi di Sicilia)
ed è compatrono della città di Napoli.
È inoltre il patrono principale della Calabria,
dov'è venerato in innumerevoli santuari e chiese fra i quali, in particolare,
quelli di Paola, Cosenza, San
Fili, Castrovillari, Sant'Agata
di Esaro, Polistena, Paterno
Calabro, Tropea, Spezzano
della Sila, Pedace, Terranova
da Sibari, Corigliano
Calabro, Marina
Grande di Scilla, Catona di Reggio
Calabria e Sambiase di Lamezia
Terme (ove è custodita la reliquia del
dito indice di san Francesco). Ad Oriolo (CS) è custodito l'alluce del Santo.
Attualmente,
parte delle sue reliquie si
trovano presso il santuario
di San Francesco da Paola, meta di pellegrini,
provenienti da tutto il mondo.
Inoltre, in
Puglia nel comprensorio dei "Cinque Reali Siti" (provincia di Foggia)
in tre comuni è praticato il culto di San Francesco. Infatti, a Stornarella e
Carapelle è venerato come santo patrono, mentre a Orta Nova come santo
protettore. È venerato come Santo Patrono anche a Savelletri in
provincia di Brindisi, e in occasione della festa patronale che ricade nella
seconda domenica di Agosto avviene la suggestiva processione in mare. A Milano sorge
dal 1735 una
chiesa in stile barocchetto lombardo che si trova in via Manzoni con un accesso
dalla famosa via Monte Napoleone, 22. In Campania, a Sapri è
venerato San Francesco per il quale tutti gli anni, la terza domenica di luglio
si fa festa con una solennissima processione in mare; inoltre una statua bronzea
del Santo è posta agli inizi del paese e rivolta verso il mare: a protezione di
tutti i marittimi.
Il 2 aprile 2007 ricorreva
il quinto centenario della morte, ai festeggiamenti del quale il presidente
della Giunta
regionale della Calabria, Agazio
Loiero, aveva ufficialmente invitato papa
Benedetto XVI, il quale ha inviato a Paola un proprio rappresentante.
Il 7 febbraio 2008 la
cittadinanza da Paola, insieme alle gioiellerie della Città, alla presenza del
nuovo Correttore Provinciale dell'Ordine e del maestro orafo Gerardo
Sacco, hanno fuso insieme l'oro usato raccolto in beneficenza per
omaggiare il Patrono della Calabria, con la nuova "Chiave
della città", in segno di riconoscenza nell'Anno del V
Centenario. Per iniziativa di Alfredo
Antoniozzi, Deputato
Europeo di origine calabrese, si celebrò il quinto centenario
anche a Bruxelles presso la sede del Parlamento Europeo con un convegno sulla
vita del Santo e una mostra di quadri dei pittori più prestigiosi che lo hanno
ritratto. Prima delle celebrazioni la delegazione dei Frati Minimi presenti, fu
ricevuta dalla Regina
del Belgio Paola, devota a San Francesco.
Inoltre il
paese di Longobardi ha
offerto la custodia per la chiave, come segno tangibile della vicinanza con
Paola e con San Francesco. Il 2 aprile 2008 è
stata sancita la chiusura ufficiale dei solenni festeggiamenti del Pio Transito
del Santo, ed è stata offerta la Chiave con lo Scrigno, ed inoltre
l'Amministrazione Comunale da Paola ha offerto il nuovo Bastone argenteo per il
busto del Santo, sempre realizzato dal maestro Sacco.
Leggende
e miti
La Calabria è una regione ricca di storie e leggende
che si tramandano di generazione in generazione. Numerosi i luoghi misteriosi e
suggestivi che costellano il territorio.
Le bocche dell’inferno a Cessaniti
-
Nella periferia di Cessaniti esiste una zona conosciuta
dalla gente del luogo come “vucchi du ‘mpernu”.
In questo luogo misterioso
ci sono buche molto profonde da cui escono forti correnti di aria. Secondo la
leggenda il diavolo dimora lì sotto e le correnti sono il suo respiro; secondo
un’altra leggenda ci vivono dei piccoli folletti vestiti di rosso, molto
dispettosi.
Una terza leggenda narra che in questo luogo si nasconde Lamia, un
mostro donna che si nutre di sangue umano. Si narra che queste bocche un tempo
ingurgitarono tutto il centro abitato.
Gli elefanti di Pirro a Campana
- Due grandi monumenti di pietra che richiamano le
fattezze di due elefanti. Secondo la leggenda queste due sculture sono opera dei
mahut indiani, arrivati insieme a Pirro nel 280 a.C. i quali hanno voluto creare
una sorta di tempio dedicato ai pachidermi.
Secondo altre fonti i monoliti
sono opera dell’erosione atmosferica e casualmente hanno assunto fattezze
particolari.
Il tesoro di Alarico
-
Re Alarico I, dopo il sacco di Roma, scese nel sud Italia dove prese la malaria.
Morì a Cosenza nel 410 d.C. dove, secondo usanza visigota, venne seppellito
insieme all'immenso tesoro sottratto a Roma proprio nel letto del fiume Busento,
che per l'occasione venne deviato dal suo corso tramite un grande lavoro di
ingegneria idraulica utilizzando centinaia di schiavi che, dopo aver ricondotto
il fiume nel suo letto naturale, vennero trucidati dallo stesso esercito di
Alarico per preservare la segretezza del punto della sepoltura.
La leggenda di
Alarico e della sua sepoltura nel Busento ha ispirato la poesia di August Graf
von Platen Das Grab im Busento (La tomba nel Busento) con una rappresentazione
romantica della morte e della sepoltura di Alarico. La poesia è stata tradotta
in italiano da Giosuè Carducci.
Cupi a notte canti suonano
da Cosenza su’l Busento,
cupo il fiume gli rimormora
dal suo gorgo sonnolento.
Su e giù pe ‘l fiume passano
e ripassano ombre lente:
Alarico i Goti piangono
il gran morto di lor gente.
L'oracolo di Capo Vaticano -
A lungo considerato luogo inaccessibile e sacro, Capo Vaticano, con il suo
promontorio magico, si affaccia sul mar Tirreno nella provincia calabrese di
Vibo Valentia. La magia salta agli occhi già dal nome: Vaticano deriverebbe
infatti dal latino Vaticinium, che significa oracolo, responso, a rievocare una
leggenda che vuole la punta estrema del promontorio abitata dalla profetessa
Manto. A lei si sarebbero rivolti i naviganti prima di avventurarsi tra i
vortici di Scilla e Cariddi e lo stesso Ulisse, scampato agli scogli del
pericolo, avrebbe chiesto auspici a Manto circa la prosecuzione del suo viaggio.
Ricorda le antiche origini di questo mito anche lo scoglio che sta davanti al
capo e porta il nome di Mantineo, dal greco Manteuo, dò responsi. Sotto il
promontorio si distendono spiagge di sabbia bianca e finissima, lambite da
un’acqua cristallina. Tra le spiagge più suggestive Torre Ruffa, teatro di
una triste e leggendaria vicenda. Rapita dai Saraceni, la bella e fedele vedova
Donna Canfora si sarebbe gettata dalla loro nave al grido: “Le donne di questa
terra preferiscono la morte al disonore!”. Proprio per onorarne il sacrificio
il mare cangia colore ad ogni ora ad assumere tutte le sfumature dell’azzurro
velo che ne cingeva il capo, mentre l’eco delle onde che s’infrangono contro
la battigia altro non sarebbe che lo struggente lamento con cui Donna Canfora
saluta ogni notte la sua amata terra.
Pagine piene d’amore furono invece dedicate a questa terra dal veneto Giuseppe
Berto che scelse Capo Vaticano per dimora e definì questo tratto di litorale
“Costabella”, contribuendo allo sviluppo turistico della zona. Un tempo arido e selvaggio, oggi il promontorio è un giardino incantevole, un
affaccio naturale sul mare con una delle viste più sorprendenti sulle isole
Eolie.Lo spirito di Papietro ad Albidona
In un’antica masseria di Albidona si narra che sia
presente lo spirito di Papietro. La masseria resta in piedi nonostante
terremoti, frane e lo scorrere del tempo. La masseria era di proprietà di un
uomo che la divise tra due generi, uno dei quali era in affari con il Diavolo.
Quando i due uomini litigarono il maligno iniziò a perseguitare il rivale,
provocando rumori molesti e facendo circolare animali di ogni genere.
Pietra Kappa in Aspromonte
-
Una leggenda legata a Gesù ed agli apostoli aleggia in
prossimità di un monolite ai piedi dell’Aspromonte.
Si narra che
Gesù camminava insieme ai suoi apostoli e ad un certo punto avvertirono un
senso di fame. Gesù propose di fare una penitenza, invitando gli apostoli a
prendere una pietra ed a portarla fin su in montagna. Tutti gli apostoli presero
pietre abbastanza pesanti e si incamminarono verso la vetta. Solo Pietro prese
un piccolo ciottolo e si avviò.
Arrivati in cima le pietre si trasformarono in
pane e mentre gli altri apostoli si ritrovarono con delle belle pagnotte, Pietro
si dovette accontentare di un misero pezzo di pane, grande quanto il ciottolo
che aveva trasportato.
Per ricordare l’episodio Pietro chiese a Gesù di
lasciare lì quella pietra e sfiorandola essa diventò gigante, al punto da
ricoprire tutto il terreno circostante. Successivamente Pietro decide di
imprigionare in quel masso la guardia che schiaffeggiò Gesù al Sinedrio.
La leggenda narra che la guardia sia stata condannata a schiaffeggiare le pareti
della roccia e che chiunque passi da lì sente i suoi lamenti e le sue grida.
La pietra del diavolo -
Sul monte che sovrasta la cittadina di Palmi, un uomo dal volto nero, con un
gran sacco sulle spalle, si presentò al Santo Elia, che se ne stava in
solitaria meditazione. L’uomo, che era il diavolo, aprì il sacco e mostrò al
Santo una grande quantità di monete.
Raccontò che aveva trovato l’ingente fortuna in un casolare abbandonato e
pensava di poterla dividere col Santo, il quale, invece, prese le monete e
cominciò a lanciarle lungo la china: mentre rotolavano si tramutavano in pietre
nere, di quelle che ancora oggi si possono reperire sul monte.
Contrariato, il diavolo balzò in piedi, ma, all’improvviso, alle sue spalle
si aprirono due grandi ali nere di pipistrello, con le quali egli si alzò in
volo, planò sul mare e vi si tuffò sprofondando.
Le acque gorgogliarono e schiumarono, si innalzò una nuvolaglia e, quando
questa si fu dileguata, ecco che sul mare si delineò un’isola a forma di
cono, dalla cui sommità incavata uscivano lingue di fuoco e fumo: era lo
Stromboli col demonio imprigionato che soffiava fiamme e tuoni.
Sul monte Sant’Elia si trova ancora un macigno con le impronte di unghie
lasciate dal diavolo, prima di spiccare il volo per inabissarsi nel mare, mentre
lo Stromboli, nei chiari tramonti, continua con fare sornione a fumare la sua
antica pipa.
La Fata Morgana -
Se in una calda giornata estiva, passeggiando sullo splendido lungomare reggino
che D'Annunzio definì "il più bel chilometro d'Italia", vi capitasse
di vedere paesi e palazzi della costa siciliana deformarsi e specchiarsi tra
cielo e mare, vicini a tal punto da distinguerne gli abitanti, non dovete
impressionarvi. Siete solo vittime di un incantesimo. E' la Fata Morgana, un
fenomeno ottico simile a un miraggio che si può osservare dalla costa calabra
quando aria e mare sono immobili.
La leggenda racconta che anche Ruggero I
d'Altavilla fu incantato dal sortilegio. Per indurlo a conquistare la Sicilia,
con un colpo di bacchetta magica la Fata Morgana gliela fece apparire così
vicina da poterla toccare con mano. Ma il re normanno, sdegnato, rifiutò di
prendere l'isola con l'inganno. E così, senza l'aiuto della Fata, impiegò
trent'anni per conquistarla.
Elegante Sibari -
Fu la più splendida delle colonie greche, celebre per il lusso e la
dissolutezza dei suoi abitanti, al punto che ancora oggi chi si abbandona a una
vita di piaceri viene definito un "sibarita". Vestivano abiti di
un'eleganza senza pari, tessevano l'oro, trascorrevano le notti in festini e
dormivano su giacigli di petali di rose. Forse sono esagerazioni, ma è certo
che questo popolo fosse così amante del bello e dell'armonia da aver bandito
ogni forma di violenza.
I sibariti e la loro leggendaria città furono
cancellati dalla faccia della terra in un paio di mesi per mano dei crotoniati
guidati da Milone, che per completare l'opera, su consiglio di Pitagora,
arrivarono addirittura a deviare il corso del Crati. Di tanto splendore non
restano che le storie fantastiche di uno stile di vita inarrivabile e,
naturalmente, le rovine della città. Niente di spettacolare, in verità, visto
che solo una piccola parte è stata riportata alla luce: resti di abitazioni in
località Parco del Cavallo e di un santuario dedicato ad Athena nei pressi
della stazione, dove sorge anche il Museo della Sibaritide.
Artigianato
L'arte
della tessitura,
in Calabria, è tra le più antiche e radicate nel territorio e, nonostante il
notevole ridimensionamento economico e geografico del suo ambito, rimangono
attivi alcuni centri d’eccellenza in cui si riproducono pregiati manufatti in seta, lana, cotone, lino, ginestra e canapa,
secondo i più antichi dettami della tradizione.
Diffusa ancora oggi su tutto il territorio regionale, con caratterizzazioni che
variano da zona a zona, è forse la produzione artigianale che meglio di altre
rappresenta le diverse "anime" culturali della regione. San
Giovanni in Fiore e Longobucco,
antiche cittadine silane, sono rinomate per i loro tappeti, coperte e arazzi
artistici, realizzati con tecniche e attrezzature simili a quelli usati dai
fabbricanti orientali.
L'"ozaturu" è il copriletto tipico, variopinto, presente in tutti i
corredi da sposa e derivante dalla tradizione dei telai diffusi
in ogni casa del paese.
La
provincia di Catanzaro vanta una grande tradizione nel campo della lavorazione
di tessuti e ricami, soprattutto di seta. Recentemente, diversi giovani hanno
dato nuova linfa a quest'attività, sviluppando progetti di economia
sostenibile e solidale. Tiriolo e Badolato sono
note soprattutto per la lavorazione del “vancale”,
il tipico scialle calabrese, realizzato in lana o in seta, indossato anticamente
sui costumi tradizionali dalla donne per ballare la tarantella,
o come decoro ornamentale delle abitazioni. Tipica a Tiriolo è anche la
lavorazione dei pizzi lavorati finemente al tombolo.
A Bisignano viene
tramandata dal XVII secolo una tradizionale industria locale di produzioni di liuti,
e nei centri di Seminara, Squillace e Gerace la
tradizionale produzione di ceramiche artistiche
risale al periodo della Magna
Grecia.
A Crotone si
conserva un’arte antica legata alla lavorazione dell’oro.
Numerosi sono i maestri orafi, come Gerardo
Sacco e Michele
Affidato, che realizzano preziosi manufatti in oro e argento.
Le origini dell'arte orafa crotonese sono anch'esse legate alla colonizzazione
greca, che ha lasciato
un’enorme eredità culturale. L’arte
orafa artigiana è
rimasta ancorata alle tradizioni come dimostra la tipica lavorazione della filigrana che,
tutt'oggi, ricalca lo stile e le forme dei monili del passato, cari alle
popolazioni che nei secoli popolarono l'area.
A Brognaturo le
botteghe artigiane si distinguono per l'arte dell'intaglio del legno,
finalizzata alla realizzazione di pregevoli pipe.
Stilo è
conosciuta sul territorio per la presenza di diverse tipologie di artigiani, tra
cui i tessitori, i ricamatori artistici e i lavoratori di metallo.
Ancora oggi si lavorano al telaio tovaglie e "pezzare" che vengono
acquistate nelle fiere estive dell'artigianato. I giacimenti minerari del luogo,
invece, sono stati largamente sfruttati dai Borboni.
Negli anni Trenta e Quaranta, nel periodo precedente la Seconda
Guerra Mondiale, a Bivongi,
un comune reggino, il rame veniva
ancora estratto per uso bellico. Di questa attività rimangono notevoli
testimonianze di cui si interessa l'Ecomuseo della Vallata
dello Stilaro.
Feste
e sagre
Festa delle
ciliegie, Acri
- Venerdì 16 e
sabato 17 giugno, un evento volto alla valorizzazione di uno dei frutti più
buoni della stagione: la ciliegia. In piazza Sprovieri ad Acri si svolgerà la
seconda edizione della festa della ciliegia, con diversi stand degustativi e con
l’intrattenimento di buona musica popolare.
Festival
della Musica, Fiumefreddo Bruzio - Il
21 giugno è alle porte ormai, il via all’estate 2017 lo darà la Festa della
Musica Europea a Fiumefreddo Bruzio, con la direzione artistica di Pierluigi
Virelli, organizzato dalla collaborazione tra la Cooperativa Borgo
di Fiume, la proloco di Fiumefreddo e il comune.
Nel corso
dell’evento verranno effettuati stage di strumenti musicali calabresi e
rievocata la musica tradizionale calabrese; farà da contorno un buon cibo di
strada accompagnato dalla buona birra artigianale De Alchemia proveniente dal
Pollino e il mercatino delle Pulci.
Sagra du
Pruppo, Joppolo - E'
una delle sagre più caratteristiche della costa degli dei, dove si può
assaporare il polpo alla Joppolese ammirando il tramonto sulle isole Eolie.
Peperoncino
Festival, Diamante - Confermate
le date di quest’anno dal 6 al 10 settembre, la cornice è la splendida
cittadina di Diamante, che ha saputo negli anni trasformare questo evento, in
uno splendido appuntamento di fama nazionale ed internazionale, che celebra la
gastronomia e la cultura calabrese in salsa piccante.

Cleto
Festival, Cleto - L’associazione La
Piazza, attraverso la musica, il teatro, la fotografia, la letteratura e
le arti concettuali, è arrivata alla settima edizione del Cleto Festival, una
manifestazione che non percepisce alcun tipo di finanziamento pubblico e che
vive dell’aiuto dei sostenitori che credono nel progetto e che ogni anno
seguono un tema, che fa da sfondo ai tre giorni di manifestazione.
Sagra della
Struncatura, Palmi - Piatto
tipico della Piana di Gioia Tauro, è un tipo di pasta originariamente formata
da residui di farina e crusca della molitura del grano, prima cibo dei poveri,
viene condita con prodotti della tradizione contadina quali olio extravergine di
oliva, aglio, peperoncino calabrese, alici, olive e mollica di pane tostata e
pangrattato. In piazza Amendolea della piccola cittadina di Palmi avrete
l’occasione di degustare la bontà di questo piatto della tradizione
calabrese.
Sagra della
‘nduja, Spilinga - La
sagra della nduja è una manifestazione di carattere gastronomico,
folkloristico, culturale, diventata ormai un evento abituale del mese di agosto
per tutta la gente di Spilinga e per i numerosi turisti che vengono a
soggiornare nei dintorni di Tropea e Capo Vaticano. Questa manifestazione
festeggia la nduja che è uno dei più famosi, se non il più famoso,
tra i prodotti
alimentari tipici calabresi. I vari stand presenti sul Corso
Garibaldi, offrono pietanze preparate con la nduja: spaghetti, fagioli, nduja e
cipolla, bruschette, polpette, verdure, panini e altre bontà preparate in casa.
Carnevale
estivo a San Lucido - Una
tradizione che da 23 anni ormai fa parte della cultura del Tirreno cosentino: il
Carnevale Estivo di San Lucido è uno di quegli eventi di cui non si può più
fare a meno. Il borgo si illumina grazie a carri allegorici, artisti di strada,
ballerini brasiliani, gruppi mascherati ed una buona dose di allegria! San
Lucido diventa come Rio De Janeiro per una notte, in occasione della Vulata, così
denominato il 21 luglio dai sanlucidani.
Paleariza,
paesi area grecanica reggina
- Ogni anno il Festival Paleariza caratterizza
l’estate grecanica e riempie di musica e cultura gli affascinanti centri
storici e le bellissime piazze dei comuni di Bagaladi, Bova, Bova Marina,
Cardeto, Condofuri, Melito Porto Salvo, Montebello Jonico, Palizzi, Roccaforte
del Greco, Roghudi, San Lorenzo, Staiti.
In queste
location echeggeranno i suoni della Calabria Greca che saranno proposti da noti
gruppi del panorama nazionale e internazionale e da coinvolgenti artisti locali,
che si alterneranno in un percorso musicale che partirà da Reggio Calabria
nell’Arena della Stretto e si concluderà, come da tradizione, in uno dei
Borghi più Belli d’Italia, Bova.
La Varia,
Palmi - La Varia
di Palmi “Patrimonio Intangibile dell’Umanità” festa popolare
e cattolica in onore di Maria Santissima della Sacra Lettera, che si svolge ogni
anno l’ultima domenica di agosto. La Varia è una grande macchina a spalla,
sorretta da circa 200 Mbuttaturi (portatori), sulla quale trovano
collocazione figuranti umani rappresentanti la Madonna, il Padreterno, gli
apostoli e gli angeli.

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Fonte:
https://it.wikipedia.org
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