Un
milione di anni fa la terra di Calabria non è ancora nata, attende che i
tremori del pianeta la mettano al mondo. Un milione di anni fa qui c'era il
mare, l'arco Calabro è in via di estinzione, fra lo Ionio e il Tirreno, questo
processo viene accomodato da faglie che si caricano e generano per un moto, se
non ci fossero i terremoti si potrebbe dire che la Calabria non esisterebbe.
Nel
1783 la Calabria si solleva con prepotenza, la terra esplode. Il 5 febbraio
1783 iniziò in Calabria uno dei periodi sismici tra i più lunghi e
disastrosi che siano mai avvenuti nella storia sismica dell’Italia. Tra il 5
febbraio e il 28 marzo si verificarono 5 scosse
fortissime e diverse centinaia di scosse minori. Quelle più violente
colpirono dapprima (5 e 6 febbraio) la Calabria meridionale, investendo tutta
l’area dell’Aspromonte e dello Stretto di Messina, poi (7 febbraio, 1 e 28
marzo) la Stretta di Catanzaro, cioè l’area compresa tra il golfo di
Sant’Eufemia e il golfo di Squillace.
Oltre
a causare danni ingenti – radendo al suolo le città di Reggio e Messina e
provocando maremoti – il terremoto della Calabria meridionale del
1783 (anche denominato terremoto di Reggio e Messina del 1783) ebbe effetti
duraturi sia a livello politico, sia a livello economico e sociale.
La
prima scossa durò 2 minuti, ed ebbe come epicentro Oppido Mamertina. La
città venne completamente rasa al suolo e ricostruita dopo pochi anni qualche
chilometro più a valle. Oppido perse quasi 5.000 dei suoi abitanti. La
magnitudo stimata di questo primo, forte evento sismico, è pari a 7.1 e
descrive uno dei terremoti più forti della storia sismologica italiana. Alla
scossa del 5 febbraio ne seguì una il 6 febbraio con epicentro a nord
di Messina, con magnitudo 5.9.
Fra
il 5 ed il 7 febbraio furono contate ben 949 scosse alle quali seguì alle ore
20 del 7 febbraio una nuova scossa, di magnitudo 6.7 con epicentro
nell’attuale comune di Soriano Calabro. Nel mese successivo, si
susseguirono scosse di intensità sempre decrescente, ma le più forti furono
quelle del 1º marzo 1783, di magnitudo 5.9 con epicentro nel territorio
di Polia, e quella ancora più forte del 28 marzo, di magnitudo 7.0 con
epicentro fra i comuni di Borgia e Girifalco.
Le
scosse si succedettero spostando l’epicentro dal sud della Calabria risalendo
lungo l’appennino verso il nord della regione. Questa devastante sequenza
sismica causò danni elevatissimi in una vasta area comprendente tutta la
Calabria centro-meridionale dall’istmo di Catanzaro allo Stretto, e, in
Sicilia, Messina e il suo circondario.
In
questi territori trasformati, annientati e mobili, all'estremo sud della nostra
penisola, un tempo governati dal Regno di Napoli, fra serre, rovine e boschi
selvaggi, si disegnavano i confini invisibili della Calabria Ulteriore.
Dove
c'erano montagne si trovano laghi, dove c'erano laghi si trovano montagne, dove
c'erano città non si trova generalmente più niente. Alexandre Dumas visita la
Calabria nel 1835, trova caos, terrore e macerie, sono passati 52 anni da quel
pomeriggio delle 5 febbraio del 1783.
Questa
terra, centro antichissimo di radiazione politica e religiosa, con i suoi
potenti feudi monastici, di grandiosi conventi, le monumentali città normanne e
bizantine, in soli cinque giorni viene sconvolta per sempre.
La
città di Oppido nel territorio dell’Aspromonte è la prima a crollare, il
giorno dopo a Scilla, il promontorio su cui sorgeva il castello, frana verso il
mare schiacciando le case che incontra e causando uno tsunami. Dal 5 al 7
febbraio crollano la Certosa di Serra San Bruno, il convento di San Domenico di
Soriano, l'antica città di Mileto e centinaia di altri simboli; la storia della
Calabria è ormai un cumulo di macerie.

Il
terremoto della Calabria meridionale del 1783 ebbe effetti complessivi
devastanti sulla maggior parte del territorio calabrese e in Sicilia
nord-orientale. I danni furono incalcolabili. Il quadro cumulativo dei danni è
di gravità straordinaria: agli effetti distruttivi sugli edifici si
accompagnarono estesi sconvolgimenti dei suoli e del sistema idrogeologico.
Oltre 180 centri abitati risultarono distrutti quasi totalmente, anche centri
urbani importanti per la vita politico-economica e militare dei Regni di
Napoli e di Sicilia, quali Messina, Reggio, Monteleone e Catanzaro.
Secondo le stime ufficiali, nella Calabria meridionale le vittime furono circa
30.000 su una popolazione di quasi 440.000 abitanti. Il disordine idraulico
causato dagli sconvolgimenti geologici e le condizioni igieniche del periodo
favorirono una persistente epidemia di malaria. Altre stime difatti hanno
calcolato che il numero totale delle vittime fu intorno alle 50.000
persone.
Le
numerose e violente scosse causarono imponenti effetti anche sull’ambiente
naturale in tutta l’area colpita; alcune zone della Calabria
centro-meridionale risultarono infatti sconvolte nel loro paesaggio. Gli
effetti più impressionanti riguardarono i terreni: ci furono enormi frane, crolli, scivolamenti, distacchi
di vaste porzioni di terra e fenomeni di liquefazione, come sulle rive del
fiume Mesima, dove comparirono centinaia di “vulcanelli”. Gli effetti
furono particolarmente sconvolgenti sul versante settentrionale
dell’Aspromonte e nella Piana di Gioia Tauro: intere colline franarono e
precipitarono nei fondovalle, in alcuni casi trascinando a valle interi centri
abitati; le frane ostruirono numerosi corsi d’acqua, determinando la
formazione di laghi.
Per
quanto riguarda il territorio siciliano, ad essere colpita dal terremoto fu Messina,
dove il Duomo fu danneggiato gravemente e restò in piedi solo la Cittadella.
Qui morirono circa 650 persone. Le scosse del 5 e del 6 febbraio causarono
uno tsunami con grandi ondate che investirono estesi tratti di costa. In
particolare, il tratto di costa tirrenica compreso tra Scilla e Bagnara Calabra
fu colpito dal catastrofico maremoto.
Secondo
gli studiosi il terremoto è il respiro della terra, ma spezza il respiro della
storia, le macerie raccontano un passato in frantumi come la città fortificata
di Oppido, ormai abitata solo dalla natura. Una città antichissima, sede
di un'importante diocesi che nasce intorno all'anno 1000; oggi ospita le rovine
di una cattedrale e di un castello costruiti tra il X e l'XI secolo.
Nel
1783 il dopo terremoto viene documentato con grande cura da una squadra
capitanata dal medico Michele Sarconi, un reportage realizzato da una squadra di
disegnatori; le tavole incise faranno parte del volume “Istoria de’
Tremuoti” avvenuti nelle calabrie nell'anno 1783. Trascrivono quelli che
furono i danni attraverso la narrazione diretta della popolazione e ne vengono
fuori delle tavole molto suggestive, molto belle, che rappresentano il
cambiamento della morfologia di un’area. Non avendo filmati e macchine
fotografiche, noi abbiamo modo di rivedere quello che è stato veramente il
disastro, quindi un valore documentale a 360° ma, soprattutto, anche un valore
sentimentale perché molti possano rivedere luoghi della Calabria completamente
ormai stravolti.

Le
notizie dei primi 3 terremoti e delle enormi distruzioni da essi arrecate
impiegarono circa dieci giorni per arrivare a Napoli, capitale dell’omonimo
Regno di cui la Calabria all’epoca faceva parte. Il re di Napoli, Ferdinando
IV di Borbone, decise di intervenire celermente nominando Vicario generale
delle Calabrie il conte Francesco Pignatelli, con l’incarico di
organizzare i primi soccorsi e seguire la lunga fase della ricostruzione.
La
gravità del disastro ebbe un impatto enorme sia sulla società napoletana che
su tutta la cultura europea. Numerosi gli scienziati, i letterati, gli
architetti e gli ingegneri, sia italiani che stranieri, che furono inviati sul
posto per studiare i fenomeni e i loro effetti.
I
centri totalmente rasi al suolo furono 182. Le dimensioni della catastrofe
spinsero il governo borbonico, e più in generale tutta la classe dirigente
napoletana e calabrese dell’epoca, a prendere coscienza della necessità di
una estesa e radicale riforma del sistema economico e abitativo della Calabria.
Decine di paesi furono abbandonati e ricostruiti in siti diversi. La
ricostruzione di intere città e paesi – come Reggio Calabria, Messina,
Mileto, Palmi – fu pensata secondo regole e piani urbanistici totalmente
nuovi, che a ragione possono essere visti come uno dei primi tentativi europei
di introduzione di una normativa antisismica finalizzata alla riduzione del
rischio sismico.
Per
intervenire celermente fu nominato il 15 febbraio Vicario generale delle
Calabrie, con 100.000 ducati per le necessità immediate.
I
danni furono talmente ingenti che per trovare fondi il governo borbonico decise
l’esproprio dei beni ecclesiastici della Calabria Ulteriore, istituendo
la Cassa sacra, che ebbe però un effetto contrario a quello desiderato dal
governo borbonico, poiché aumentò le proprietà fondiarie dei nobili in grado
di accaparrarsi le terre ecclesiastiche all’incanto.
A
seguito del terremoto fu redatto, grazie ai Borbone, il primo regolamento
antisismico d’Europa, con l’istituzione di un sistema costruttivo di
notevole efficacia, nonostante alcuni centri distrutti non furono più
ricostruiti. A testimonianza di ciò, Johann Wolfgang von Goethe, a quattro anni
di distanza dall’evento, durante il suo Viaggio in Italia nel maggio 1787,
giunse a Messina e raccontò di una città ancora in rovina con gli abitanti
costretti a vivere nelle baracche situate nella parte settentrionale della
città:
«I
30.000 superstiti erano rimasti senzatetto; la maggior parte delle case essendo
crollate, e le mura lesionate delle rimanenti non offrendo un rifugio sicuro, si
costruì in gran fretta, su una vasta prateria a settentrione, una città di
baracche.»
Oltre
che dal punto di vista storico, la sequenza del 1783 è molto studiata anche da
quello sismologico, per questa sua caratteristica di eventi fortissimi avvenuti
nel giro di pochissime settimane e a brevissima distanza l’uno
dall’altro. Dal punto di vista culturale, moltissimi studiosi e letterati
stranieri si interessarono all’evento, fatto che in un certo senso aprì la
Calabria al mondo.

Mileto
sorgerà a circa 2 km di distanza, in un sito chiamato “la villa” dove c'era
già la proprietà del vescovo. Mileto, peraltro, era una cittadina vescovile,
centro di un’antica diocesi e si fece particolare importanza a localizzare
all'interno della nuova pianta cittadina proprio il complesso della cittadella
arcivescovile.
Il
terremoto ha distrutto Mileto, radendolo al suolo, ha distrutto definitivamente
anche l'abbazia, perché nel 1783 era il terzo sisma che avveniva, due erano
stati in precedenza nel 600; però la morte dell'abbazia, paradossalmente, è la
vita che continua, come Pompei è conservata grazie all'erosione, noi archeologi
lavoriamo sui resti dell'abbazia e riusciamo a leggerne la struttura anche nelle
fasi che erano state cambiate durante il 600. Nei cumuli delle rovine sono
apparsi ancora chiaramente tutti i materiali romani impiegati per la
realizzazione dell'abazia: colonne, cappelli, basi di grande pregio di marmi
diversi che in epoca romana provenivano da molte parti dell’Impero Romano.
Materiali antichissimi e preziosissimi che ci riportano Mileto capitale normanna
e sede episcopale.
Ruggero
d'Altavilla il Conquistatore, primo Conte di Calabria, intorno al 1050 qui pone
il suo centro di controllo sul potere bizantino; costruisce l'abbazia della
Santissima Trinità, un castello e una cattedrale, definitivamente scomparsi nel
1783. La cattedrale diventa il luogo privilegiato delle tombe nobiliari, di
questi abbiamo scritte e anche diversi sarcofagi tutti di grande valore e di
grande qualità.
Il
museo statale fondato nella nuova Mileto nel 1997 custodisce molti dei reperti
della storia antica della città, dall'epoca romana a quella normanna fino al
1783 anno del terremoto. Molti dei marmi e dei capitelli provengono dall'abbazia
della Santissima Trinità e dalla cattedrale; tra questi il sarcofago di Ruggero
Sanseverino realizzato nel XIV secolo da Francesco Negri Arnoldi, passato alla
storia come “il maestro di Mileto”.
Ai
nostri occhi, soprattutto, i sarcofagi sono l’elemento guida perché
rimanevano in mezzo alle rovine ed erano disegnati dai viaggiatori stranieri che
qui arrivavano per vedere la Mileto distrutta; i sarcofagi mostrano dei fori,
diventano casse, lavatoi per conservare l'acqua, abbeveratoi. Ora sono in un
museo e hanno ripreso l’aspetto nobile.
Il
7 febbraio 1783 il terremoto travolge la prima Certosa fondata in Italia, il monastero
di Santo Stefano del bosco, a Serra San Bruno, dal nome del fondatore
dell'ordine Bruno da Colonia; un convento importante che si estende su un
territorio ampio e boscoso, ricostruito e ampliato nel corso del 500 e del 600.
Dopo
il terremoto la biblioteca e l'archivio vengono portati a Napoli, mentre i
materiali edilizi, le opere d'arte e gli oggetti, trovano nuove collocazioni;
un'operazione di reimpiego massiccio, grazie alla quale la memoria dell'antica
Certosa rivive negli edifici di culto del paese di Serra.
La
chiesa dell'Addolorata ospita un altare barocco e un pavimento di marmo
antico trasferito da Roma alla Certosa nel 1564. Tutto ciò che c’era di
artistico all'interno della ciesa della Certosa viene preso dagli abitanti,
viene in parte rubato, in parte viene, invece, riutilizzato all'interno della
costruzione di nuove chiese o del restauro di nuove chiese. Il
bellissimo ciborio che si trovava nella chiesa della Certosa a Serra San Bruno
viene preso in larga parte e messo all'interno della Chiesa dell'Addolorata,
sempre a Serra San Bruno; la riutilizzazione, quindi, ha permesso la
salvaguardia di quel pezzo che era un'opera di Cesare Fanzago, il grande
scultore barocco dell’Italia meridionale. Quindi si può dire che la
cittadinanza, grazie all'intervento di un architetto meraviglioso che si chiama
Domenico Barillari, vuole molto bene a questi oggetti e vuole che la loro
funzione, anche devozionale, permanga. Quindi si preleva il pezzo barocco,
ancora con questo suo linguaggio di comunicazione ardita, fantasiosa, vivace e
si sistema, invece, usando un linguaggio architettonico che prende in prestito
le proprie parole dal classicismo.
La
Certosa di Serra San Bruno custodisce anche una vera e propria icona del
terremoto e della sua potenza; nella facciata cinquecentesca sono visibili delle
guglie che prima delle scosse erano frontali e adesso, invece, a causa del
movimento del suolo, sono ruotate; un particolare architettonico che ancora
racconta con grande evidenza la violenza di quelle scosse.
La
Certosa di Serra San Bruno trova una ricostruzione molto tardiva, tra il 1894 e
il 1899 il frate architetto François Pichat decide di
ricostruire gli spazi di lavoro e di meditazione dei certosini e la chiesa
principale. La chiesa è un po’
spiazzante dal punto di vista dello stile, perché è davvero una chiesa
neogotica al centro della Calabria, quindi parla poco con il territorio. Chi ha
studiato con attenzione quel momento di restauro e di ricostruzione si è reso
conto che nell'intervento di Pichat c’è stato un carattere distruttivo nei
confronti del passato.

Al
contrario, nel caso del cinquecentesco convento di San Domenico di Soriano,
gli interventi post terremoto sono finalizzati alla conservazione attenta e
rigorosa del patrimonio artistico. Il convento viene più volte riedificato in
seguito ai sismi che abbattono il complesso abbaziale, composto da 8 cappelle e
5 chiostri.
Solo
nell’Ottocento viene ricostruita una nuova chiesa, per fortuna però queste
rovine sono ancora un'occasione per vedere il terremoto; passeggiare in questi
spazi dà una fortissima impressione di questo terremoto. Nel caso di Soriano,
per fortuna, si è aperto un polo museale in cui l'osservatore passeggia in
questi ambienti, entra nel terremoto e quindi si è cercato di valorizzare
questa “Iliade funesta”, come viene chiamata da alcuni, in una memoria
ancora condivisa e condivisibile.
A
Soriano sulle rovine dell'articolo convento nasce il primo museo europeo
dedicato al terremoto. Il Museo Civico dei Marmi riunisce gli impianti
decorativi dell'antica chiesa; oltre 100 sculture, tra le quali una testa di
Santa Caterina da Siena in marmo di Carrara, attribuita a Gianlorenzo Bernini.
Un patrimonio enorme, testimone di uno dei più importanti centri economici,
culturali e religiosi del meridione tra il XVI e il XVII secolo.
Il
convento di San Domenico a Soriano rappresenta una realtà religiosa di
grandissima importanza; già nel 1530 un frate racconta di aver ricevuto,
all'interno di questo primo spazio conventuale, una icona di San Domenico, fatta
da mano divina. Questa icona è importantissima perché diventa l'immagine per
eccellenza di San Domenico.
I
terremoti segnano a un punto di svolta e spesso sono letti dalla storia come
eventi catartici che hanno scosso le coscienze e sollevato dibattiti filosofici,
ben al di là dei confini nazionali; in pochi mesi l'eco della tragedia
calabrese si diffonde in tutto il mondo.
La
Calabria diventa una tappa del tour dopo anni di assoluto isolamento dovuto
anche alle infrastrutture del tutto inesistenti. Non dimentichiamo che Brydon,
nel suo viaggio in Sicilia e a Malta, scrive nel 770 di avere bypassato la
Calabria proprio per evitare i briganti e questa fama, anche piuttosto noir, che
copriva il calabrese in genere, trattandosi di persone perlopiù molto schive;
in realtà i racconti di tutti i viaggiatori, poi, parlano anche avere fatto
amicizie con famiglie locali, avere visitato sia i danni che aveva lasciato il
terremoto, sia il versante ionico, fino a quel momento poco conosciuto dagli
stranieri.
Il
terremoto calabrese del 1783 ha distrutto la Calabria più antica, ma il suo
lascito di devastazioni ha creato un mosaico sparso tra le chiese di Serra San
Bruno, il convento di San Domenico e le mura di Oppido Antica, in una terra
lontana persino per i pellegrini; una storia invisibili ai confini della nostra
penisola.
Fonte:
Italie
Invisibili
|