Aosta

    

  

L'area archeologica

Superata la Porta Praetoria, si è all'interno della città romana: di fronte, l'antico decumanus si perde tra i palazzi. Oltre il cancello che delimita gli scavi si scorge la cinta muraria: costituita da un nucleo di opera a sacco, dello spessore in fondazione di e. m 4 e dell'altezza massima conservata di 6, era rivestita esternamente da un paramento in blocchi squadrati di calcare travertinoso locale, disposti nel senso della lunghezza. La stessa soluzione si ripete nelle torri a due piani, finestrate e aggettanti dal filo delle mura. Il fronte interno era invece costituito da un paramento in pietre spaccate: una serie di poderosi contrafforti ortogonali, distanziati m 14 e 16 e concepiti come un vero e proprio rinforzo della cortina, doveva formare la base del cammino di ronda, collegato con le torri all'altezza di m 6.50 circa. L'altezza della cortina muraria, compreso il coronamento merlato oggi scomparso, doveva raggiungere i m 8. Le indagini hanno confermato che, almeno in certi tratti, il terrapieno addossato al fron­te interno delle mura era sostenuto da un muro di controscarpa, di cui si vede un tratto parallelo alla cortina principale.

Delle torri che si riconoscono in questo tratto della cinta muraria, la prima è la tour Fromage o Casei, nel Medioevo abitata dalla famiglia Casei che fu feudataria del vescovo e dal 1253 dai signori di Porta S. Orso; nel XV secolo divennero uno dei casati più importanti della valle e nel successivo la torre fu teatro di feste fastose, come quella (1549) tenutasi in occasione della visita di Ferrante Gonzaga, governatore di Milano. Completamente restaurata, la torre è oggi adibita a sede di esposizioni di arte contemporanea. A settentrione di questa si conservano, parzialmente inglobati negli edifici medievali, i resti della torre romana frontale, detta casa Tolleri, a pianta quadrangolare. La famiglia che le ha dato nome, originaria di Biella, vi si stabilì nel 1440 in qualità di agente degli Challant. L'attiguo fabbricato a S è detto hotel de la Monnai perché vi fu probabilmente installata la zecca del ducato di Savoia, attiva tra il 1549 e il 1590; si notino sul fianco il portale e le finestre ad arco ogivale.

Teatro e Anfiteatro

Per i Romani era una scelta programmatica precisa quella di creare una specializzazione delle aree urbane. Vi era, dunque, un'area destinata al divertimento e al tempo libero della comunità. Se a teatro si davano rappresentazioni colte e raffinate, adatte a determinate classi sociali, gli spettacoli popolari e cruenti, aventi per protagonisti belve, schiavi o gladiatori, avvenivano in un edificio più ampio: l'Anfiteatro. Poiché richiamavano molta folla, spesso turbolenta, e creavano problemi di circolazione, generalmente venivano costruiti fuori delle mura: ad "Augusta Praetoria" invece venne collocato all'interno della città, dove il terreno era più alto e si poteva sfruttarne il naturale pendio.

L'anfiteatro, costruito in età claudia (metà del I secolo d.C.) in bugnato rustico, misurava 86 metri in lunghezza e 76 metri in larghezza e presentava 60 arcate per ciascuno dei suoi due piani; poteva accogliere 20.000 spettatori (il doppio degli abitanti della città).

Oggi sono osservabili soltanto otto arcate superiori del settore nord-ovest, incorporate nell'edificio del monastero appartenente al convento delle suore di San Giuseppe. Strutture minori sono affiorate all'interno del frutteto del convento, che ricopre il monumento in seguito alle alluvioni del Buthier ed è interamente da scavare.

Nel medioevo l'Anfiteatro era chiamato "Palatium Rotundum" ed i suoi resti vennero occupati da una famiglia che li utilizzò per farne la propria dimora: i signori "De Palatio".

Il teatro si trova a sinistra rispetto alle mura, segnalato dal fronte stagliato contro il cielo. Di austera grandiosità, fu messo completamente in luce negli anni '30-'60 del XX secolo. Occupa l'area di un intero isolato (larghezza m. 81.20, lunghezza m. 64.10) e ne restano ancora imponenti vestigia, tra le quali si impone la robusta fronte del corpo di recinzione perimetrale, di forma rettangolare (m. 62.90 x 38.30) in opera quadrata rustica di conglomerato locale che include la cavea, rivolta a settentrione.

La monumentale struttura leggermente rastremata, dell'altezza di m. 21.65, è scandita da poderose pilastrature verticali a base cruciforme con funzione di contrafforti, che definiscono una serie di specchiature di m. 5.50. La composizione architettonica evidenzia quattro orizzontamenti, di altezza e caratteristiche differenziate, sottolineati dallo sporto delle cornici e da quattro ordini sovrapposti di aperture di varia ampiezza, inquadrate dai contrafforti, che strutturalmente articolavano la massa architettonica temperandone il verticalismo.

La caratteristica principale del teatro romano di Aosta, è data dall'ampia e monumentale facciata, alta ventidue metri e l'unica oggi esistente sul lato sud del complesso architettonico.  

All'interno della cavea trovavano posto anche l'orchestra - cui era riservato uno spazio con raggio di dieci metri - e il muro di scena, decorato con marmi e statue e abbellito da colonne. Di quest'ultima parte sono state recuperate le sole fondamenta che si ritiene fossero ornate da colonne in stile corinzio e porticati in grado di raccordare le parti interne al muro perimetrale esterno.

L'originalità del teatro romano d'Aosta è da ricercarsi nello sviluppo della cavea, capace di oltre 4.000 posti, entro un recinto di pianta rettangolare che forma la facciata esterna dello stesso teatro. Tale soluzione parrebbe suggerita da esigenze strettamente urbanistiche: la necessità di adeguarsi ai confini ben delimitati di un'insula rettangolare, per una città come Aosta fondata secondo i rigidi canoni della "castra mediatio", potrebbe aver indotto i costruttori del teatro ad erigere una facciata rettilinea in perfetto allineamento con la geometrica ripartizione degli edifici vicini.

Stilisticamente c'è nel teatro di Aosta, in quel contrasto visibile tra il partito architettonico esterno e la funzionale struttura dell'interno, l'anelito di una nuova architettura nella quale si nota, rispetto a quella repubblicana e severa di alcuni edifici della città, la preferenza per le forme massicce accentuate dall'uso di un bugnato trattato alla rustica con evidenti intendimenti plastici.

Torre dei Balivi

L'area di insistenza dell'Anfiteatro era generalmente indicata nelle carte medievali come "Palatium rotundum" o "Magnum Palatium". Era abitata dai nobili de Palatio, testimoniati sin dall'inizio del XII secolo; essi avevano costruito anche la vicina, alta torre a pianta quadrata, situata all'angolo NE delle mura, che si può vedere costeggiando il fianco sinistro del convento.

Tutto l'imponente complesso sorto per aggregazioni successive è oggi noto come torre dei Balivi, perché nel 1263 fu acquistato dai Savoia che lo destinarono a residenza ufficiale del loro rappresentante in valle. Verso il 1406 il balivo Jean de Pectigny fece edificare il corpo d'abitazione e la torre rotonda sul lato occidentale; altri lavori di restauro e di ingrandimento furono fatti nel 1540: vi fu installato il tribunale, prossimo all'antica torre che già da molto tempo serviva come prigione. 

Nel 1802 la dimora del balivo fu spostata a palazzo Roncas, mentre il complesso continuò a funzionare come prigione fino al 1984.

Foro Romano e Criptoportico

L'area del foro romano, che occupava una vasta superficie delimitata ad ovest dal cardine massimo e a sud dal decumano massimo, sembra compresa nello spazio di ben otto isolati, oggi occupata in parte dalla piazza Giovanni XXIII e dalle costruzioni che vi si affacciano, inclusa la Cattedrale. 

L'area pubblica di Aosta, accentratrice della vita politica, religiosa ed economica della città, aveva una forma rettangolare allungata e presentava l'andamento del terreno in pendenza, con un dislivello di 2,70 metri fra la parte più alta, a nord, e quella inferiore, lambita dal decumano massimo.

Del complesso forense aostano, del tipo foro-santuario con triportico associato al criptoportico, noto anche a Capua, in Gallia (Parigi, Arles, Reims, ecc.), oggi rimangono scarse tracce, perchè la notevole estensione dell'area e la stratificazione nei secoli di altre strutture urbanistiche ne hanno reso impossibile l'indagine archeologica completa e sistematica.

Il settore nord è tuttavia riconoscibile e visitabile perchè l'area sacra è rimasta parzialmente sgombra (la base costituisce le fondamenta della casa dell'arcidiacono). Da qui si scende nel grandioso e spettacolare criptoportico, una galleria a due navate sviluppata su tre lati, a pianta quadrangolare, misurante 92,20 x 86,80 metri. Possenti pilastri di tufo sorreggono le robuste arcate su cui poggiano le volte. 

La funzione di questa struttura interrata non è stata ancora chiarita completamente: si ipotizza che potesse essere utilizzato inizialmente come deambulatorio e solo dal III secolo come deposito militare. Sicuramente ricopriva un importante ruolo strutturale e serviva a regolarizzare il naturale dislivello del terreno nell'area del complesso forense.

Nello spazio circoscritto dalla galleria, in posizione sopraelevata, si trovavano, affiancati l'uno all'altro, due templi con fronte a sei colonne. Il primo dedicato ad Augusto divinizzato e il secondo alla triade capitolina GioveGiunoneMinerva.

La costruzione del foro si può dividere in due fasi:

1ª fase: In epoca augustea, quando fu fondata la città (25 A.C.), si iniziò a costruire il foro addossato al decumanus (l'odierna via François de Sales). Sulla terrazza artificiale vennero costruiti due templi affiancati e circondati su tre lati da un colonnato al di sotto del quale c'era il criptoportico.

2ª fase: durante il secondo secolo d.C. venne costruita la grande platea: un'area di fronte all'area sacra dove sorgevano le cosiddette tabernæ. La platea è stata isolata dall'area sacra tramite il passaggio di una via. La platea misurava 88, 50 metri di lunghezza e 130 metri di larghezza.

La recente scoperta di un insula a destra del criptoportico sarà parte del complesso di monumenti che comprenderà anche la cattedrale di Aosta. Rappresenta uno dei pochi criptoportici forensi accessibili al pubblico insieme a quelli di ArlesReimsBavay e a quello di Vicenza, che però apparteneva ad una domus privata.

Attigua al foro, sul lato orientale, è venuta alla luce la zona delle terme, sotto l'edificio della scuola XXV Aprile, con un grandioso complesso risalente alla prima metà del I secolo d.C., successivamente trasformato.

Il foro di Aosta fu verosimilmente iniziato alla fine del I secolo a.C. e completato nel corso del I secolo d.C. con possibili ulteriori modificazioni nel secolo seguente.

Terme romane

Le terme romane, gravitanti sull'area forense furono messe in luce a partire dalla fine del XIX secolo. Su quest'ultimo fenomeno vi è scarsità di documenti e di studi. Personaggi di cui si ignora l'estrazione, ma la cui autorità doveva essere basata sull'audacia o sulla forza, trovarono il modo di utilizzare le fortificazioni romane per elevare torri da cui padroneggiare sulla città. 

Queste residenze difese possono essere considerate i prototipi dei castelli della valle, ove cominciavano a formarsi, nei punti di importanza strategica, le signorie feudali. Delle 20 torri che facevano parte delle mura romane, oggi solo quelle del Pailleron e del Lebbroso hanno conservato l'aspetto originario; le altre sono riplasmazioni o costruzioni del Medioevo. Per il loro apparato murario vennero utilizzati blocchi di tufo recuperati dalle costruzioni romane; formalmente esse riproposero la pianta quadrangolare delle antiche strutture, ma si caratterizzarono per una verticalità fino ad allora sconosciuta.

L'edificio, che si sviluppava in senso nord-sud seguendo l'organizzazione consueta di questo tipo di impianti (frigidarium, due tepidaria, calidarium), era inserito in un perimetro quadrangolare, probabilmente porticato, che faceva parte di una più ampia unità planimetrica connessa con il reticolo urbano. Le strutture conservate riguardano il blocco centrale dello stabilimento e le sale riscaldate, che hanno subito nel corso del tempo consistenti trasformazioni nella distribuzione e nell'uso degli ambienti. Il calidarium, biabsidato, appare di notevoli dimensioni (m. 20,20 x 7,50), con vasche, a temperatura differenziata, sui lati brevi contrapposti. Gli abbondanti elementi decorativi rinvenuti, quali cornici, marmi e rivestimenti in stucco, testimoniano la ricchezza e il decoro con cui era stato concepito lo stabilimento.

Cattedrale

L'origine della cattedrale di Santa Maria Assunta e San Giovanni Battista risale alle fasi iniziali di diffusione del Cristianesimo in Valle d'Aosta: già verso la fine del IV secolo, ove oggi è la cattedrale, esisteva - come hanno provato gli scavi archeologici eseguiti - una Domus Ecclesiae di ragguardevoli proporzioni.

La chiesa venne completamente riedificata nel corso del secolo XI, per volere di Anselmo I che fu vescovo in Aosta tra il 994 e il 1025 (da non confondersi con Anselmo di Aosta, filosofo e santo, nato nel 1033). La "chiesa anselmiana" presentava una pianta basilicale a tre navate con tetto a capriate in legno; il portale d'ingresso era posto al centro del lato meridionale; l'abside maggiore, semicircolare, era affiancata da due torri campanarie.

Nella cattedrale "anselmiana", sul lato occidentale, non vi era una vera facciata, ma solamente una "pseudofacciata" a salienti che nella parte inferiore non aveva alcun portale d'ingresso, ma si appoggiava alle strutture murarie sovrastanti il criptoportico di epoca romana. Le tre navate erano segnate da sei coppie di pilastri quadrangolari e da una coppia di pilastri a fascio di sezione quadrilobata; le dimensioni della chiesa erano di 54 x 32,4 metri, con un'altezza di oltre 15 metri per la navata centrale e di 9 metri per quelle laterali. L'interno della navata centrale venne decorato con uno straordinario ciclo di dipinti a fresco disposti su vari registri. I pittori, di "area lombarda", impegnati nella realizzazione di tale programma decorativo furono, con ogni probabilità, gli stessi che in Aosta affrescarono la collegiata di Sant'Orso.

Vista dal lato orientale la cattedrale mostrava ben cinque absidi: una grande abside che chiudeva la navata centrale, le due absidi con le quali terminavano le navate minori ed altre due absidiole ricavate al piano inferiore delle torri campanarie. Il coro era in posizione alquanto sopraelevata rispetto alla pavimentazione della chiesa; al di sotto del coro, già alla fine del X secolo, era stata edificata una cripta a tre navatelle con volte a crociera sostenute da agili colonnine con capitelli medievali in marmo. Nella seconda metà del XI secolo la cripta, a seguito di un probabile cedimento, dovette essere rifatta: solo le prime campate conservano le colonnine primitive, mentre per le altre campate vennero utilizzate robuste colonne romane di reimpiego. Appoggiato alla navata nord, fu edificato un chiostro come spazio di incontro e di preghiera dei canonici.

Sempre nella seconda metà dell'XI secolo la chiesa fu ampliata con l'edificazione del westwerk (massiccio occidentale) in forma di una seconda abside posta in corrispondenza alla navata centrale affiancata da due ulteriori campanili. Si completò in tal modo un progetto costruttivo che vedeva la navata centrale chiusa da due absidi contrapposte, ciascuna di essa affiancata da una coppia di torri campanarie (adottando una scelta di tipo nordico che trovava allora un altro esempio vicino nel coevo duomo di Ivrea). Mentre il coro nell'abside orientale, dedicato a Maria Assunta, era funzionale al collegio dei canonici presieduto dal vescovo, quello nell'abside occidentale, dedicato a San Giovanni Battista, veniva utilizzato per le cerimonie parrocchiali. Risalgono ad anni tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo i mosaici del pavimento del coro. 

Verso la fine del XII secolo, quando già – sull'ondata della cultura architettonica emergente in Francia - le scelte estetiche dei committenti si orientarono verso il gotico, fu costruito lo jubé, una grande tribuna retta da arcate che delimitava il coro (lo spazio riservato ai presbiteri) rispetto allo spazio riservato dai fedeli, e che fungeva anche da pulpito. Tale struttura fu demolita solo nel 1838.

Dell'antica basilica romanica molto si è perduto in relazione ai numerosi interventi successivi, ispirati da diversi linguaggi artistici e da differenti modalità di fruizione liturgica degli spazi. Restano i due campanili posti ad oriente che – pur modificati in qualche misura nel loro aspetto dall'alta cuspide gotica e dai quattro pinnacoli angolari posti sulla loro cima - mantengono una fisionomia tipicamente romanica; restano i sorprendenti mosaici del coro, la cripta con gli interessanti capitelli medievali. Restano in particolare gli affreschi superstiti - riscoperti nel 1979 nello spazio tra il tetto e le volte quattrocentesche - che lasciano comprendere quale dovesse essere la grandiosità dell'apparato decorativo interno alla chiesa e la sua complessità iconografica.

Nell'ampio arco di tempo che va dal XIII alle prime decadi del XVI secolo, una serie di interventi di natura architettonica e decorativa, sostenute da vescovi prestigiosi e da famiglie nobiliari valdostane, modificarono profondamente la fisionomia della cattedrale.

Nel XIII secolo, sul lato orientale, vennero abbattute due delle cinque absidiole originarie e realizzato il deambulatorio con tre cappelle radiali che corre attorno al coro (e che oggi ospita il Museo del tesoro della cattedrale). In tale occasione fu quasi interamente demolita l'abside maggiore, sostituendola con quella attuale di gusto gotico, con cinque grandi monofore strombate che sovrastano il deambulatorio.

Nel 1397 il vescovo Giacomo Ferrandini fece realizzare un grande crocifisso ligneo di intensa drammaticità (tuttora visibile), che fu esposto ai fedeli nella navata centrale, sospeso in alto tra la volta e lo jubé, allora presente.

Nel XV secolo la cattedrale cominciò ad ospitare tombe monumentali di illustri personaggi, sormontate da un gisant in pietra (scultura funeraria raffigurante il defunto che giace disteso). Fu Stefano Mossettaz, uno scultore aggiornato sul linguaggio del gotico internazionale, a distinguersi in questo genere di produzione artistica. La Tomba di Francesco di Challant da lui realizzata in alabastro fu posta al centro del coro, sopra il mosaico con il Ciclo dei mesi, circondata da una cancellata in ferro.

Numerosi arredi sacri furono commissionati per aumentare il prestigio ed il decoro della cattedrale: una gran parte di essi è oggi conservata nel museo del tesoro della cattedrale, a partire dalla cassa reliquiaria destinata ad accogliere le spoglie di San Grato, patrono della città: un capolavoro di arte orafa quattrocentesca iniziata da Guglielmo di Locana e completata da Jean de Malines.

Poco dopo la metà del XV secolo, in conseguenza della istituzione della Fabbriceria della cattedrale voluta dal vescovo Antoine de Prez, membro d'una potente famiglia svizzera, il chiostro del XI secolo venne interamente ricostruito in stile tardo gotico. I lavori furono affidati a Marcel Girard di Saint-Marcel (AO).

Subito dopo il 1464 (quando al vescovo Antoine era succeduto il nipote François de Prez) furono commissionati i nuovi stalli per il coro, dando vita ad un importante cantiere di scultori in legno formato dal savoiardo Jean Vion de Samoëns e dall'aostano Jean de Chetro. Gli stalli erano in quegli anni disposti a gruppi di dodici lungo le pareti del coro, mentre altri due gruppi di cinque erano appoggiati allo jubé.

Gli interventi architettonici più importanti, che cambiarono in modo profondo l'aspetto della cattedrale (avvicinandolo a quello oggi osservabile) furono avviati verso la fine del Quattrocento per iniziativa di Giorgio di Challant (priore della collegiata di Sant'Orso e grande artefice del rinnovamento culturale ed artistico valdostano) e del vescovo François de Prez.

Con una scelta improntata ad un'estetica tardo gotica (che doveva avere per lo Challant particolare urgenza, visto che essa venne adottata, in quello scorcio di anni, anche per la collegiata ursina e per la parrocchiale di Arnad) le vecchie coperture a capriate e le volte del deambulatorio, vennero sostituite da una più bassa copertura con volte a crociera segnate da costoloni finemente decorati.

In tale occasione furono anche ingrandite le finestre della navata centrale che assunsero la caratteristica forma ad arco carenato: iniziò così un programma di realizzazione di 23 vetrate, di qualità particolarmente elevata (che ancora si possono ammirare); esse furono realizzate da un atelier locale identificabile verosimilmente con la bottega di Pietro Vaser.

Tra il 1484 ed il 1494 si demolì il westwerk, vale a dire l'abside occidentale ed i due campanili che l'affiancavano, per dar vita, con la edificazione di due nuove campate, al prolunggamento longitudinale del corpo della chiesa ed alla successiva costruzione di una nuova facciata. Né il vescovo François de Prez, né Giorgio di Challant videro il completamento di tale opera: l'apparato decorativo di gusto rinascimentale che ancor oggi vediamo - fatto di affreschi e di altorilievi in terracotta dedicati Vita della Vergine - fu commissionato nel 1522 dall'allora direttore della Fabbriceria, canonico Jaen Gombaude, concludendosi nel 1526. Nell'intorno di quegli stessi anni si completò il programma di realizzazione delle vetrate.

Ancora nel corso del XVI secolo, in relazione allo sviluppo della istituzione delle cappellanie, ebbe luogo la costruzione della cappella dei signori di Cly (circa 1570-80), posta alla destra della porta d'ingresso, con affreschi di gusto manieristico.

Dopo la costruzione della nuova facciata rinascimentale ed il completamento del ciclo delle vetrate dipinte, si registrò un periodo di interventi aventi scarso rilievo strutturale e di modesta qualità artistica; a parte la già menzionata costruzione della cappella dei signori di Cly, l'unica eccezione di rilievo è data dalla commessa relativa alla Cassa reliquaria di San Giocondo realizzata in argento (1617-1619), ora nel museo del tesoro della cattedrale.

Il forte rallentamento della produzione artistica riguardò l'intera Valle d'Aosta. Con l'esplodere della Riforma le fortune della regione decaddero assieme a quelle del ducato di Savoia che, negli anni 1535-36, perse Ginevra, il Canton Vaud, ed il Basso Vallese. Spostata la capitale del ducato da Chambery a Torino, declinò l'importanza dei valichi valdostani come tramite di scambi economici e culturali, a vantaggio dei valichi del Moncenisio e del Sempione.

Nel 1704 fu costruita, per un adeguato svolgimento delle funzioni parrocchiali, la cappella di San Giovanni Battista (la balaustra marmorea ed il nuovo altare della cappella furono realizzati nel 1760). Nel 1758 si costruì un nuovo altare maggiore, ricco di tarsie marmoree.

Nel XIX secolo la chiesa cambiò nuovamente aspetto, principalmente per iniziativa del vescovo André Jourdain che tenne la cattedra episcopale tra il 1832 ed il 1859. Fu demolito lo jubé che separava troppo vistosamente l'area presbiterale da quella riservata ai fedeli; si ultimarono i lavori di ricostruzione della cappella di San Grato (1842).

Altri interventi, corrispondenti ai nuovi gusti estetici del momento, hanno suscitato forti riserve per la scarsa coerenza stilistica con il resto della chiesa. Si tratta innanzi tutto della costruzione (1848) della nuova facciata in stile neoclassico con imponenti colonne e statue di santi, che relega all'interno di un atrio la facciata rinascimentale. Inoltre, nel 1860, venne costruita in forme neogotiche la cappella del Rosario, sacrificando, all'esterno della chiesa, uno dei corridoi del chiostro quattrocentesco.

Variazioni all'area presbiterale sono intervenute nel 1981, dopo la riforma liturgica decretata dal Concilio Vaticano II. Per non alterare la precedente area presbiterale con il suo altare marmoreo, elevata rispetto al piano della navata, è stato avanzato nella navata stessa lo spazio per le celebrazioni liturgiche, dotandolo di un altare di estrema semplicità.

ESTERNO - Per guadagnare subito una qualche impressione su come poteva essere, nell'XI secolo, la basilica romanica, conviene percorrere la strada lungo il lato sud della chiesa. Oltre ad un muro di cinta si possono osservare le due possenti torri campanarie, alte più di 60 metri; sono la struttura più alta di tutta la città di Aosta e di tutta la regione Valle d'Aosta, e sono poste a fianco dell'abside (che ci appare con i suoi alti finestroni strombati, frutto della ristrutturazione del XIII secolo); al di sotto si intravede il tetto del deambulatorio.

Il campanile sul lato sud (che vediamo più da vicino) mostra nei piani inferiori l'apertura di semplici strette monofore; mentre al di sopra di una fila di archetti pensili, s'innalzano altri due piani della torre sui quali si aprono larghe bifore sovrapposte. Il campanile sul lato nord ci appare più elegante e frutto di una esecuzione più accurata. Una lesena centrale percorre interamente ciascuna delle sue pareti, e nei quattro piani più alti essa dà luogo a specchiature nelle quali si aprono coppie di bifore affiancate tra loro.

Dopo aver dato uno sguardo alla facciata neoclassica (e riconosciuto su di essa le statue dei santi cari alla devozione aostana), merita soffermare l'attenzione sulla vecchia facciata rinascimentale all'interno dell'atrio, opera ritornata all'eloquenza delle sue forme e dei suoi colori dopo un recente restauro.

La facciata colpisce l'attenzione del visitatore per la ricchezza della policromia e per l'abbinamento di affreschi, gruppi in terracotta ed un variegato repertorio decorativo di gusto tipicamente rinascimentale. L'intero programma iconografico e decorativo si dispone sapientemente nelle trame di una struttura architettonica formata da due alte colonne che inquadrano il portale centrale e la lunetta che lo sormonta; esse reggono un arco poggiante su una elegante trabeazione, sormontato a sua volta da un timpano.  

Gli affreschi che impreziosiscono la facciata sono dedicati a tre episodi della vita della Vergine e dell'infanzia di Gesù; da destra a sinistra, in corrispondenza ai tre portali troviamo le scene della Annunciazione, della Natività (posta nella lunetta sopra il portale) e della Presentazione di Gesù al Tempio. Sopra la trabeazione, all'interno dell'arco, trova posto un gruppo plastico con figure a grandezza naturale che sembrano ispirati dalla tradizione piemontese e lombarda dei Sacri Monti: si tratta degli Apostoli che guardano attoniti verso l'Assunzione della Vergine. La raffigurazione dell'Assunzione si completa infatti con le figure, sempre in terracotta, della Vergine sorretta da due angeli che trovano posto nel timpano. Nel grandioso sottarco dell'atrio sono affrescati otto schiere di Angeli musicanti, pronti ad accogliere la Vergine (si ricordi che la cattedrale è dedicata a Maria Assunta). Il complesso programma decorativo si sviluppa ulteriormente attraverso quattro Busti di Profeti in terracotta (due nelle lunette sopra i portali laterali, due in altre lunette poste al di sopra delle finestre della facciata); si osservano poi sulla trabeazione i busti clipeati di San Giovanni Battista, San Grato e San Giocondo. La decorazione si completa con fasce a rosette nei sottarchi, formelle con candelabre e con testine di angelo, fasce con delfini ed altri elementi ispirati alla cultura delle grottesche.

L'identità del pittore e del plasticatore che hanno realizzato l'apparato decorativo sono ignote. Riguardo agli affreschi Giovanni Romano ha sottolineato come essi possano ritenersi "opera di un Maestro di formazione spanzottiana, ma già toccato anche da Gaudenzio". Allo stesso Maestro è attribuito, all'interno della cattedrale, l'affresco dell'altare di Santa Lucia ed anche la tela con la Vita di San Grato posta oggi all'inizio del deambulatorio, al termine della navata sud.

INTERNO - Entrato nella cattedrale, il visitatore è subito colpito dalla presenza nella navata centrale del grande crocifisso in legno dipinto, sospeso in alto tra la volta ed il presbiterio. Si tratta della magnam crucem commissionata nel 1397 dal vescovo Giacomo Ferrandini ad uno scultore di area svizzero-tedesca (forse Lucerna) che operò per un qualche tempo in Valle d'Aosta. Esso dovette suscitare grande impressione per il volto espressivo del Cristo e per il copioso fiotto di sangue che schizza fuori dal costato, al punto da diventare modello per altre Crocifissioni presenti nelle chiese valdostane.  

Il crocifisso si staglia contro le volte a crociera della navata e del coro fatte realizzare dal vescovo François de Prez e da Giorgio di Challant. Con la loro forma leggermente ogivale e con la trama dei costoloni dipinti, esse segnano suggestivamente lo spazio della chiesa.

Sempre volgendo lo sguardo verso l'alto, il visitatore è colpito dai colori delle vetrate della navata centrale, opera di notevole qualità artistica realizzata (assieme alle vetrate del deambulatorio) tra la fine del Quattrocento ed il 1523 circa Esse mostrano una Natività, una Crocifissione e soprattutto immagini di santi: molto belle quelle di San Sebastiano e San Martino, ed è interessante in questo repertorio è la raffigurazione di Tommaso Becket. Il disegno e la gamma cromatica delle vetrate richiamano alla mente altre vetrate altrettanto belle realizzate in Valle d'Aosta, quelle presenti nella Collegiata di Sant'Orso e quelle provenienti da Castello di Issogne (e conservate ora al Museo Civico di Torino). Si può ipotizzare che gli autori siano quei magistri verreriarum chiamati da Giorgio di Challant a realizzare le opere citate, segnatamente Jean Baudichon e, più verosimilmente, Pierre Vaser (successore di Baudichon).  

Subito dopo l'ingresso nella cattedrale, sulla destra verso la controfacciata è posta la cappella dei baroni di Cly (circa 1576), recentemente restaurata. Essa mostra una decorazione di gusto manieristico con la volta a crociera affrescata con le Storie della Maddalena: nelle vele della volta sono riconoscibili le scene di Gesù in casa di Simone fariseo, Maddalena penitente , Noli me tangere, Ascensione di Maria Maddalena. Nell'area funeraria della cappella è posta una Deposizione.

All'inizio della navata destra s'incontra l'altare di Santa Lucia, con un affresco raffigurante una Madonna col Bambino e San Giovannino tra i santi Pietro, Giovanni evangelista, Caterina e Lucia (1526 circa), opera dello stesso pittore di educazione spanzottiana che ha realizzato anche gli affreschi della facciata rinascimentale.

Al termine della stessa navata, appesa in alto, troviamo una grande tela attribuita ancora allo stesso ignoto artista degli affreschi della facciata; essa raffigura due episodi della Vita di San Grato che la tradizione vuole secondo vescovo di Aosta ed artefice del recupero della reliquia rappresentata dalla testa del Battista. Sulla sinistra si osserva San Grato, vestito da monaco agostiniano, che offre al papa il teschio del Battista; nella scena successiva, si vede ancora San Grato che offre al clero aostano la reliquia della mandibola del santo.  

Nella cattedrale si trovano due organi a canne. Lo strumento principale è situato in controfacciata, sulla cantoria lignea; venne costruito da Carlo Vegezzi-Bossi nel 1902. Le imponenti misure dello strumento sono le seguenti: 7 metri di altezza, 9.96 metri di larghezza e 3 di profondità. La console, staccata dallo strumento e rivolta verso l'altare, dispone di tre tastiere di 58 tasti e una pedaliera diritta di 30 e comanda 43 registri per un totale di quasi 3000 canne. Lo strumento era al centro del Festival Internazionale di concerti per organo, conclusosi alla 47ª edizione. Il festival accoglieva ogni estate in città i più grandi organisti del panorama internazionale e richiamava gli appassionati di musica sacra da tutta Europa. Fra i grandi organisti che vi hanno partecipato figurano Fernando Germani, Daniel Chorzempa, Jean Guillou, Alessio Corti, Daniel Roth, Lionel Rogg, Marie-Claire Alain, Montserrat Torrent, Pierre Pincemaille, Naji hakim, Massimo Nosetti, Yanka Hekimova. L'ultima edizione del festival si è svolta nel 2012.

Il vescovo di Aosta Franco Lovignana ha fondato nel 2014 la Cappella Musicale di Sant'Anselmo della Cattedrale di Aosta. Statuto e nomine sono disponibili sul sito della Cattedrale di Aosta nella sezione dedicata alla Schola Cantorum.

Nell'abside, a pavimento, vi è un organo positivo della ditta Pinchi; a trasmissione meccanica, ha 3 registri su un unico manuale, senza pedaliera.  

Percorsa la navata destra, una scala consente di scendere nella cripta : è questa la parte più antica della cattedrale, testimonianza della "basilica anselmiana" che si è quasi integralmente conservata. In quest'aula sotterranea di 16,3 x 8,6 m., divisa in tre navatelle che terminano in altrettante absidiole allineate, il visitatore può muoversi osservando le volte a crociera e le colonne di diverse fogge e dimensioni che mettono in evidenza due diverse fasi costruttive: le quattro colonne più sottili sono quelle corrispondenti alla costruzione più antica, con capitelli del X secolo, le altre più massicce sono di epoca romana, utilizzate qui come materiale di reimpiego per prevenire ulteriori crolli della volta. Lapidi in pietra, sulle pareti della cripta, ne mostrano l'utilizzo come luogo di sepoltura dei vescovi.  

Uscendo dalla cripta sul lato sinistro, si trova una scala che consente al visitatore di salire nell'area presbiteriale, ricca di opere di notevole pregio artistico a cominciare dai due mosaici del pavimento. Quello detto dell' Anno o del Ciclo dei mesi, posto nella parte più bassa del coro, è ritenuto più antico, databile verso la fine del XII secolo. Al centro del pavimento musivo è posta la figura del Cristo, Signore del tempo, che regge con una mano il sole e con l'altra la luna; in cerchio tutto intorno sono raffigurate, entro medaglioni, le personificazioni dei dodici mesi dell'anno, con riferimento soprattutto alle attività lavorative svolte. I motivi ornamentali presenti fanno somigliare il pavimento musivo a un tappeto; negli angoli di un motivo di forma rettangolare trovano posto le allegorie dei quattro fiumi del paradiso terrestre - Pison, Ghicon, Tigri, Eufrate - di cui parla la Genesi 2,11-14).

Il secondo mosaico, databile verso gli inizi del XIII secolo, è stato qui trasportato quando il coro occidentale in cui si trovava venne demolito. Esso raffigura una serie di animali reali e fantastici (una scritta didascalica è posta accanto alle figure della chimera e dell'elefante); sono presenti anche le allegorie di due dei quattro fiumi del paradiso terrestre (Tigri ed Eufrate). Altre raffigurazioni lasciano ancora maggior spazio al dispiegarsi dell'immaginazione fantastica; esse si collocano al centro del mosaico, all'interno di una complessa geometria di quadrati e di cerchi. Rispetto al primo mosaico, ad una scelta di temi volutamente più complessa, fa riscontro però una fattura meno pregevole.  

Disposti lungo le pareti laterali del coro, attorno al mosaico dell'Anno, si osservano i magnifici stalli lignei voluti dal vescovo François de Prez e realizzati nella seconda metà del XV secolo da un cantiere di scultori in legno formato dal savoiardo Jean Vion de Samoëns e dal valdostano Jean de Chetro. Nei dossali degli stalli sono rappresentati i dodici apostoli alternati con altrettanti profeti (a simboleggiare la continuità tra Antico e Nuovo Testamento), ognuno regge un cartiglio con passi del Credo; nel cielo (la parte che sormonta i dossali) sono intagliati stemmi ed angeli musicanti. Gli ornamenti dei braccioli, i poggiamano e le "misericordie" (sostegni posti nella parte esterna dei sedili ai quali ci si può appoggiare quando il sedile è rialzato) costituiscono uno straordinario repertorio di figure fantastiche o grottesche, tipiche dell'iconografia tardo gotica.  

Nella parte superiore del presbiterio, ai margini del deambulatorio, è posta un monumento sepolcrale in onore di Tommaso II di Savoia. Il gisant lo raffigura in armi, con corazza e scudo recanti il rilievo dell'aquila araldica; la testa del defunto poggia su un cuscino, mentre un leoncino (che porta un collare col motto dei Savoia, FERT) è accovacciato ai suoi piedi. Si ritiene il monumento sia stato commissionato da Amedeo VIII di Savoia (di cui è documentato il passaggio in città nel 1430) per rendere omaggio a Tommaso, suo antenato morto ad Aosta nel 1259 e sepolto in cattedrale. L'autore dell'opera è, con tutta probabilità, Stefano Mossettaz scultore che tenne a lungo bottega in Aosta, e che dimostra qui di aver pienamente assimilato il linguaggio del gotico internazionale di marca franco – fiamminga, aggiornato sulle novità delle corti parigina e del Berry.

IL CORO E LE SUE OPERE D'ARTE - Uscendo dalla cripta sul lato sinistro, si trova una scala che consente al visitatore di salire nell'area presbiteriale, ricca di opere di notevole pregio artistico a cominciare dai due mosaici del pavimento. Quello detto dell' Anno o del Ciclo dei mesi, posto nella parte più bassa del coro, è ritenuto più antico, databile verso la fine del XII secolo. 

Al centro del pavimento musivo è posta la figura del Cristo, Signore del tempo, che regge con una mano il sole e con l'altra la luna; in cerchio tutto intorno sono raffigurate, entro medaglioni, le personificazioni dei dodici mesi dell'anno, con riferimento soprattutto alle attività lavorative svolte. I motivi ornamentali presenti fanno somigliare il pavimento musivo ad un tappeto; negli angoli di un motivo di forma rettangolare trovano posto le allegorie dei quattro fiumi del paradiso terrestre - Pison, Ghicon, Tigri, Eufrate - di cui parla la Genesi (Gen 2,11-14).

Il secondo mosaico, databile verso gli inizi del XIII secolo, è stato qui trasportato quando il coro occidentale in cui si trovava venne demolito. Esso raffigura una serie di animali reali e fantastici (una scritta didascalica è posta accanto alle figure della chimera e dell'elefante); sono presenti anche le allegorie di due dei quattro fiumi del paradiso terrestre (Tigri ed Eufrate). 

Altre raffigurazioni lasciano ancora maggior spazio al dispiegarsi dell'immaginazione fantastica; esse si collocano al centro del mosaico, all'interno di una complessa geometria di quadrati e di cerchi. Rispetto al primo mosaico, ad una scelta di temi volutamente più complessa, fa riscontro però una fattura meno pregevole.

Disposti lungo le pareti laterali del coro, attorno al mosaico dell'Anno, si osservano i magnifici stalli lignei voluti dal vescovo François de Prez e realizzati nella seconda metà del XV secolo da un cantiere di scultori in legno formato dal savoiardo Jean Vion de Samoëns e dal valdostano Jean de Chetro. Nei dossali degli stalli sono rappresentati i dodici apostoli alternati con altrettanti profeti (a simboleggiare la continuità tra Antico e Nuovo Testamento), ognuno regge un cartiglio con passi del Credo; nel cielo (la parte che sormonta i dossali) sono intagliati stemmi ed angeli musicanti. 

Gli ornamenti dei braccioli, i poggiamano e le "misericordie" (sostegni posti nella parte esterna dei sedili ai quali ci si può appoggiare quando il sedile è rialzato) costituiscono uno straordinario repertorio di figure fantastiche o grottesche, tipiche dell'iconografia tardo gotica.

Nella parte superiore del presbiterio, ai margini del deambulatorio, è posta un monumento sepolcrale in onore di Tommaso II di Savoia. Il gisant lo raffigura in armi, con corazza e scudo recanti il rilievo dell'aquila araldica; la testa del defunto poggia su di un cuscino, mentre un leoncino (che porta un collare col motto dei Savoia, FERT) è accovacciato ai suoi piedi. Si ritiene il monumento sia stato commissionato da Amedeo VIII di Savoia (di cui è documentato il passaggio in città nel 1430) per rendere omaggio a Tommaso, suo antenato morto ad Aosta nel 1259 e sepolto in cattedrale. 

L'autore dell'opera è, con tutta probabilità, Stefano Mossettaz scultore che tenne a lungo bottega in Aosta, e che dimostra qui di aver pienamente assimilato il linguaggio del gotico internazionale di marca franco – fiamminga, aggiornato sulle novità delle corti parigina e del Berry.

LA CRIPTA - Percorsa la navata destra, una scala consente di scendere nella cripta: è questa la parte più antica della cattedrale, testimonianza della "basilica anselmiana" che si è quasi integralmente conservata. In quest'aula sotterranea di 16,3 x 8,6 m., divisa in tre navatelle che terminano in altrettante absidiole allineate, il visitatore può muoversi osservando le volte a crociera e le colonne di diverse fogge e dimensioni che mettono in evidenza due diverse fasi costruttive: le quattro colonne più sottili sono quelle corrispondenti alla costruzione più antica, con capitelli del X secolo, le altre più massicce sono di epoca romana, utilizzate qui come materiale di reimpiego per prevenire ulteriori crolli della volta. Lapidi in pietra, sulle pareti della cripta, ne mostrano l'utilizzo come luogo di sepoltura dei vescovi.

IL CHIOSTRO - Dalla navata sinistra è possibile accedere al chiostro posto a ridosso della chiesa. Si tratta di un edificio a pianta trapezoidale fatto costruire dal vescovo Antoine de Prez e terminato nel 1460. Esso si presenta oggi gravemente mutilato, privo di gran parte del corridoio meridionale a causa della costruzione, nel 1860, della cappella del Rosario in stile neogotico. L'elemento di maggior interesse per il visitatore è dato dalla serie di capitelli in gesso cristallino: alcuni di essi sono decorati con motivi vegetali e figure di uomini e animali, altri recano scolpiti, in caratteri gotici, nomi di canonici o di altre persone che contribuirono all'edificazione.

IL MUSEO DEL TESORO DELLA CATTEDRALE - Dalla navata destra si accede agli spazi del deambulatorio nei quali trova posto il Museo del tesoro della cattedrale di Aosta, che custodisce opere di notevole interesse, quali due frammenti delle vetrate del XII secolo, la cassa reliquaria di San Grato, alcuni codici miniati tra i quali il Messale del vescovo Francesco de Prez, monumenti sepolcrali realizzati da Stefano Mossettaz, dossali di stalli di Jean Vion de Samoëns e di Jean de Chetro già presenti nel coro, ed una ricca collezione di statue lignee dipinte, esempi di quella cultura devozionale che è stata denominata "il gotico delle Alpi".

L'ORGANO A CANNE - L'organo della Cattedrale, opera di Carlo Vegezzi-Bossi, è stato costruito nel 1902. Il monumentale strumento è posizionato sopra il portone di ingresso principale della chiesa su un bella cantoria in noce locale. Le imponenti misure dello strumento sono le seguenti: 7 metri di altezza, 9.96 metri di larghezza e 3 di profondità. La console, staccata dallo strumento e rivolta verso l'altare, dispone di tre tastiere di 58 tasti e una pedaliera diritta di 30 e comanda 43 registri per un totale di quasi 3000 canne. 

Lo strumento era al centro del Festival Internazionale di concerti per organo, conclusosi alla 47ª edizione. Il festival accoglieva ogni estate in città i più grandi organisti del panorama internazionale e richiamava gli appassionati di musica sacra da tutta Europa. Fra i grandi organisti che vi hanno partecipato figurano Fernando Germani, Daniel Chorzempa, Jean Guillou, Alessio Corti, Daniel Roth, Lionel Rogg, Marie-Claire Alain, Montserrat Torrent, Pierre Pincemaille, Naji hakim, Massimo Nosetti, Yanka Hekimova. L'ultima edizione del festival si è svolta nel 2012.

GLI AFFRESCHI ALTO MEDIOEVALI - Nel sottotetto, sopra le volte quattrocentesche, si sono salvati consistenti brani degli affreschi che decoravano la navata centrale della basilica anselmiana. La esistenza del ciclo pittorico fu scoperta nel 1979 dallo studioso tedesco H. P. Autenrieth; complessi lavori di recupero e la sistemazione di opportune passerelle hanno consentito nel 2000, in occasione delle celebrazioni giubilari, di rendere gli affreschi accessibili al pubblico (visite programmate o su prenotazione).

Insieme al ciclo contemporaneo della Collegiata di Sant'Orso, le pitture della cattedrale costituiscono una delle più vaste testimonianze di pittura alto medievale fanno di Aosta uno dei principali centri di arte ottoniana in Europa.

Gli affreschi che decoravano la navata furono realizzati attorno alla metà del XI secolo da un atelier di notevoli competenze pittoriche (con ogni probabilità lo stesso di Sant'Orso); essi erano disposti su vari registri ed ubbidivano ad un programma iconografico alquanto complesso. Nelle parti recuperate nel sottotetto si riconoscono le seguenti raffigurazioni:

- Parete Ovest (ove si trovava l'arco trionfale dell'abside occidentale): Figure di Angeli (disposte secondo l'usuale schema iconografico degli archi trionfali in epoca medievale)

- Parete Nord: Storie di Sant'Eustachio, scene di Placidas-Eustachio che incontra il cervo; Conversione di Placidas-Eustachio; Viaggio per mare; Rapimento dei figli. Nel registro superiore lunette con i busti degli Antenati di Cristo alternate a lunette di contenuto decorativo ed allegorico

- Parete Sud: Storie di Mosè, in particolare delle Piaghe d'Egitto, scene della Verga trasformata in serpente; l'Acqua del Nilo tramutata in sangue; la Piaga delle rane; la Piaga delle mosche. Nel registro superiore lunette con i busti dei Vescovi di Aosta.

L'ambito culturale dell'atelier che ha realizzato gli affreschi è quello cosiddetto "lombardo"; ad esso possono essere stilisticamente collegati i cicli della basilica di San Vincenzo a Cantù e del battistero del Duomo di Novara.

Giugno 2013

Fonte

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