L'area
archeologica
Superata
la Porta
Praetoria, si è
all'interno
della città
romana: di
fronte, l'antico
decumanus si
perde tra i
palazzi. Oltre
il cancello che
delimita gli
scavi si scorge
la cinta
muraria:
costituita da un
nucleo di opera
a sacco, dello
spessore in
fondazione di e.
m 4 e
dell'altezza
massima
conservata di 6,
era rivestita
esternamente da
un paramento in
blocchi
squadrati di
calcare
travertinoso
locale, disposti
nel senso della
lunghezza. La
stessa soluzione
si ripete nelle
torri a due
piani,
finestrate e
aggettanti dal
filo delle mura.
Il fronte
interno era
invece
costituito da un
paramento in
pietre spaccate:
una serie di
poderosi
contrafforti
ortogonali,
distanziati m 14
e 16 e concepiti
come un vero e
proprio rinforzo
della cortina,
doveva formare
la base del
cammino di
ronda, collegato
con le torri
all'altezza di m
6.50 circa.
L'altezza della
cortina muraria,
compreso il
coronamento
merlato oggi
scomparso,
doveva
raggiungere i m
8. Le indagini
hanno confermato
che, almeno in
certi tratti, il
terrapieno
addossato al
fronte interno
delle mura era
sostenuto da un
muro di
controscarpa, di
cui si vede un
tratto parallelo
alla cortina
principale.
Delle
torri che si
riconoscono in
questo tratto
della cinta
muraria, la
prima è la tour
Fromage o Casei,
nel Medioevo
abitata dalla
famiglia Casei
che fu
feudataria del
vescovo e dal
1253 dai signori
di Porta S.
Orso; nel XV
secolo divennero
uno dei casati
più importanti
della valle e
nel successivo
la torre fu
teatro di feste
fastose, come
quella (1549)
tenutasi in
occasione della
visita di
Ferrante
Gonzaga,
governatore di
Milano.
Completamente
restaurata, la
torre è oggi
adibita a sede
di esposizioni
di arte
contemporanea. A
settentrione di
questa si
conservano,
parzialmente
inglobati negli
edifici
medievali, i
resti della
torre romana
frontale, detta
casa Tolleri, a
pianta
quadrangolare.
La famiglia che
le ha dato nome,
originaria di
Biella, vi si
stabilì nel
1440 in qualità
di agente degli
Challant.
L'attiguo
fabbricato a S
è detto hotel
de la Monnai
perché vi fu
probabilmente
installata la
zecca del ducato
di Savoia,
attiva tra il
1549 e il 1590;
si notino sul
fianco il
portale e le
finestre ad arco
ogivale.
Teatro
e Anfiteatro
Per
i Romani era una
scelta
programmatica
precisa quella
di creare una
specializzazione
delle aree
urbane. Vi era,
dunque, un'area
destinata al
divertimento e
al tempo libero
della comunità.
Se a teatro si
davano
rappresentazioni
colte e
raffinate,
adatte a
determinate
classi sociali,
gli spettacoli
popolari e
cruenti, aventi
per protagonisti
belve, schiavi o
gladiatori,
avvenivano in un
edificio più
ampio:
l'Anfiteatro.
Poiché
richiamavano
molta folla,
spesso
turbolenta, e
creavano
problemi di
circolazione,
generalmente
venivano
costruiti fuori
delle mura: ad
"Augusta
Praetoria"
invece venne
collocato
all'interno
della città,
dove il terreno
era più alto e
si poteva
sfruttarne il
naturale pendio.
L'anfiteatro,
costruito
in età claudia
(metà del I
secolo d.C.) in bugnato
rustico,
misurava 86
metri in
lunghezza e 76
metri in
larghezza e
presentava 60
arcate per
ciascuno dei
suoi due piani;
poteva
accogliere
20.000
spettatori (il
doppio degli
abitanti della
città).
Oggi
sono osservabili
soltanto otto
arcate superiori
del settore
nord-ovest,
incorporate
nell'edificio
del monastero
appartenente al
convento delle
suore di San
Giuseppe.
Strutture minori
sono affiorate
all'interno del
frutteto del
convento, che
ricopre il
monumento in
seguito alle
alluvioni del
Buthier ed è
interamente da
scavare.
Nel
medioevo
l'Anfiteatro era
chiamato "Palatium
Rotundum"
ed i suoi resti
vennero occupati
da una famiglia
che li utilizzò
per farne la
propria dimora:
i signori
"De Palatio".

Il
teatro si trova
a sinistra
rispetto alle
mura, segnalato
dal fronte
stagliato contro
il cielo. Di
austera
grandiosità, fu
messo
completamente in
luce negli anni
'30-'60 del XX
secolo. Occupa
l'area di un
intero isolato
(larghezza m.
81.20, lunghezza
m. 64.10) e ne
restano ancora
imponenti
vestigia, tra le
quali si impone
la robusta
fronte del corpo
di recinzione
perimetrale, di
forma
rettangolare (m.
62.90 x 38.30)
in opera
quadrata rustica
di conglomerato
locale che
include la
cavea, rivolta a
settentrione.
La
monumentale
struttura
leggermente
rastremata,
dell'altezza di
m. 21.65, è
scandita da
poderose
pilastrature
verticali a base
cruciforme con
funzione di
contrafforti,
che definiscono
una serie di
specchiature di
m. 5.50. La
composizione
architettonica
evidenzia
quattro
orizzontamenti,
di altezza e
caratteristiche
differenziate,
sottolineati
dallo sporto
delle cornici e
da quattro
ordini
sovrapposti di
aperture di
varia ampiezza,
inquadrate dai
contrafforti,
che
strutturalmente
articolavano la
massa
architettonica
temperandone il
verticalismo.
La caratteristica principale del teatro romano di Aosta, è data dall'ampia
e monumentale
facciata, alta
ventidue metri e
l'unica oggi
esistente sul
lato sud del complesso
architettonico.
All'interno della cavea trovavano posto anche l'orchestra - cui era
riservato uno
spazio con
raggio di dieci
metri - e il
muro di scena,
decorato con
marmi e statue e
abbellito da
colonne. Di
quest'ultima
parte sono state
recuperate le
sole fondamenta
che si ritiene
fossero ornate
da colonne in
stile corinzio e
porticati in
grado di
raccordare le
parti interne al
muro perimetrale
esterno.
L'originalità
del teatro
romano d'Aosta
è da ricercarsi
nello sviluppo
della cavea,
capace di oltre
4.000 posti,
entro un recinto
di pianta
rettangolare che
forma la
facciata esterna
dello stesso
teatro. Tale
soluzione
parrebbe
suggerita da
esigenze
strettamente
urbanistiche: la
necessità di
adeguarsi ai
confini ben
delimitati di
un'insula
rettangolare,
per
una città come
Aosta fondata
secondo i rigidi
canoni della
"castra
mediatio",
potrebbe aver
indotto i
costruttori del
teatro ad
erigere una
facciata
rettilinea in
perfetto
allineamento con
la geometrica
ripartizione
degli edifici
vicini.
Stilisticamente
c'è nel teatro
di Aosta, in
quel contrasto
visibile tra il
partito
architettonico
esterno e la
funzionale
struttura
dell'interno,
l'anelito di una
nuova
architettura
nella quale si
nota, rispetto a
quella
repubblicana e
severa di alcuni
edifici della
città, la
preferenza per
le forme massicce
accentuate
dall'uso di un
bugnato trattato
alla rustica con
evidenti
intendimenti
plastici.
Torre
dei Balivi

L'area
di insistenza
dell'Anfiteatro
era generalmente
indicata nelle
carte medievali
come "Palatium
rotundum" o
"Magnum
Palatium".
Era abitata dai
nobili de
Palatio,
testimoniati sin
dall'inizio del
XII secolo; essi
avevano
costruito anche
la vicina, alta
torre a pianta
quadrata,
situata
all'angolo NE
delle mura, che
si può vedere
costeggiando il
fianco sinistro
del convento.
Tutto
l'imponente
complesso sorto
per aggregazioni
successive è
oggi noto come
torre dei Balivi,
perché nel 1263
fu acquistato
dai Savoia che
lo destinarono a
residenza
ufficiale del
loro
rappresentante
in valle. Verso
il 1406 il
balivo Jean de
Pectigny fece
edificare il
corpo
d'abitazione e
la torre rotonda
sul lato
occidentale;
altri lavori di
restauro e di
ingrandimento
furono fatti nel
1540: vi fu
installato il
tribunale,
prossimo
all'antica torre
che già da
molto tempo
serviva come
prigione.
Nel
1802 la dimora
del balivo fu
spostata a
palazzo Roncas,
mentre il
complesso
continuò a
funzionare come
prigione fino al
1984.
Foro
Romano e
Criptoportico

L'area
del foro romano,
che occupava una
vasta superficie
delimitata ad
ovest dal
cardine massimo
e a sud dal
decumano
massimo, sembra
compresa nello
spazio di ben
otto isolati,
oggi occupata in
parte dalla
piazza Giovanni
XXIII e dalle
costruzioni che
vi si
affacciano,
inclusa la
Cattedrale.
L'area pubblica
di Aosta,
accentratrice
della vita
politica,
religiosa ed
economica della
città, aveva
una forma
rettangolare
allungata e
presentava
l'andamento del
terreno in
pendenza, con un
dislivello di
2,70 metri fra
la parte più
alta, a nord, e
quella
inferiore,
lambita dal
decumano
massimo.
Del
complesso
forense aostano,
del tipo
foro-santuario
con triportico
associato al
criptoportico,
noto anche a
Capua, in Gallia
(Parigi, Arles,
Reims, ecc.),
oggi rimangono
scarse tracce,
perchè la
notevole
estensione
dell'area e la
stratificazione
nei secoli di
altre strutture
urbanistiche ne
hanno reso
impossibile
l'indagine
archeologica
completa e
sistematica.
Il
settore nord è
tuttavia
riconoscibile e
visitabile perchè
l'area sacra è
rimasta
parzialmente
sgombra (la base
costituisce le
fondamenta della
casa
dell'arcidiacono).
Da qui si scende
nel grandioso e
spettacolare
criptoportico,
una galleria a
due navate
sviluppata su
tre lati, a
pianta
quadrangolare,
misurante 92,20
x 86,80 metri.
Possenti
pilastri di tufo
sorreggono le
robuste arcate
su cui poggiano
le volte.
La
funzione di
questa struttura
interrata non è
stata ancora
chiarita
completamente:
si ipotizza che
potesse essere
utilizzato
inizialmente
come deambulatorio e
solo dal III
secolo come deposito militare.
Sicuramente
ricopriva un
importante ruolo
strutturale e
serviva a
regolarizzare il
naturale
dislivello del
terreno
nell'area del
complesso
forense.
Nello
spazio
circoscritto
dalla galleria,
in posizione
sopraelevata, si
trovavano,
affiancati l'uno
all'altro, due templi con
fronte a sei colonne.
Il primo
dedicato ad
Augusto
divinizzato e il
secondo alla triade
capitolina Giove, Giunone, Minerva.
La
costruzione del foro si
può dividere in
due fasi:
1ª
fase: In epoca
augustea,
quando fu
fondata la città (25
A.C.), si iniziò
a costruire il
foro addossato
al decumanus (l'odierna
via François de
Sales). Sulla
terrazza
artificiale
vennero
costruiti due
templi
affiancati e
circondati su
tre lati da un
colonnato al di
sotto del quale
c'era il criptoportico.
2ª
fase: durante il
secondo secolo d.C.
venne costruita
la grande platea:
un'area di
fronte all'area
sacra dove
sorgevano le
cosiddette tabernæ.
La platea è
stata isolata
dall'area sacra
tramite il
passaggio di una
via. La platea misurava
88, 50 metri di
lunghezza e 130
metri di
larghezza.
La
recente scoperta
di un insula a
destra del
criptoportico
sarà parte del
complesso di
monumenti che
comprenderà
anche la cattedrale
di Aosta.
Rappresenta uno
dei pochi
criptoportici
forensi
accessibili al
pubblico insieme
a quelli di Arles, Reims, Bavay e
a quello di Vicenza,
che però
apparteneva ad
una domus
privata.
Attigua al foro,
sul lato
orientale, è
venuta alla luce
la zona delle
terme, sotto
l'edificio della
scuola XXV
Aprile, con un
grandioso
complesso
risalente alla
prima metà del
I secolo d.C.,
successivamente
trasformato.
Il
foro di Aosta fu
verosimilmente
iniziato alla
fine del I
secolo a.C. e
completato nel
corso del I
secolo d.C. con
possibili
ulteriori
modificazioni
nel secolo
seguente.
Terme romane
Le
terme romane,
gravitanti
sull'area
forense furono
messe in luce a
partire dalla
fine del XIX
secolo. Su
quest'ultimo
fenomeno vi è
scarsità di
documenti e di
studi.
Personaggi di
cui si ignora
l'estrazione, ma
la cui autorità
doveva essere
basata
sull'audacia o
sulla forza,
trovarono il
modo di
utilizzare le
fortificazioni
romane per
elevare torri da
cui
padroneggiare
sulla città.
Queste residenze
difese possono
essere
considerate i
prototipi dei
castelli della
valle, ove
cominciavano a
formarsi, nei
punti di
importanza
strategica, le
signorie
feudali. Delle
20 torri che
facevano parte
delle mura
romane, oggi
solo quelle del
Pailleron e del
Lebbroso hanno
conservato
l'aspetto
originario; le
altre sono
riplasmazioni o
costruzioni del
Medioevo. Per il
loro apparato
murario vennero
utilizzati
blocchi di tufo
recuperati dalle
costruzioni
romane;
formalmente esse
riproposero la
pianta
quadrangolare
delle antiche
strutture, ma si
caratterizzarono
per una
verticalità
fino ad allora
sconosciuta.
L'edificio,
che si
sviluppava in
senso nord-sud
seguendo
l'organizzazione
consueta di
questo tipo di
impianti (frigidarium,
due tepidaria,
calidarium), era
inserito in un
perimetro
quadrangolare,
probabilmente
porticato, che
faceva parte di
una più ampia
unità planimetrica
connessa con il
reticolo urbano.
Le strutture
conservate
riguardano il
blocco centrale
dello
stabilimento e
le sale
riscaldate, che
hanno subito nel
corso del tempo consistenti
trasformazioni
nella
distribuzione e
nell'uso degli
ambienti. Il
calidarium,
biabsidato,
appare di
notevoli
dimensioni (m.
20,20 x 7,50),
con vasche, a temperatura
differenziata,
sui lati brevi contrapposti.
Gli abbondanti
elementi
decorativi
rinvenuti, quali
cornici, marmi e
rivestimenti in
stucco,
testimoniano la
ricchezza e il
decoro con cui
era stato
concepito lo
stabilimento.
- Cattedrale

L'origine
della cattedrale
di Santa Maria
Assunta e San
Giovanni
Battista risale
alle fasi
iniziali di
diffusione del
Cristianesimo in
Valle d'Aosta:
già verso la
fine del IV
secolo, ove oggi
è la
cattedrale,
esisteva - come
hanno provato
gli scavi
archeologici
eseguiti - una Domus
Ecclesiae
di ragguardevoli
proporzioni.
La
chiesa venne
completamente
riedificata nel
corso del secolo
XI, per volere
di Anselmo I che
fu vescovo in
Aosta tra il 994
e il 1025 (da
non confondersi
con Anselmo di
Aosta, filosofo
e santo, nato
nel 1033). La
"chiesa
anselmiana"
presentava una
pianta
basilicale a tre
navate con tetto
a capriate in
legno; il
portale
d'ingresso era
posto al centro
del lato
meridionale;
l'abside
maggiore,
semicircolare,
era affiancata
da due torri
campanarie.
Nella
cattedrale
"anselmiana",
sul lato
occidentale, non
vi era una vera
facciata, ma
solamente una
"pseudofacciata"
a salienti che
nella parte
inferiore non
aveva alcun
portale
d'ingresso, ma
si appoggiava
alle strutture
murarie
sovrastanti il
criptoportico di
epoca romana. Le
tre navate erano
segnate da sei
coppie di
pilastri
quadrangolari e
da una coppia di
pilastri a
fascio di
sezione
quadrilobata; le
dimensioni della
chiesa erano di
54 x 32,4 metri,
con un'altezza
di oltre 15
metri per la
navata centrale
e di 9 metri per
quelle laterali.
L'interno della
navata centrale
venne decorato
con uno
straordinario
ciclo di dipinti
a fresco
disposti su vari
registri. I
pittori, di
"area
lombarda",
impegnati nella
realizzazione di
tale programma
decorativo
furono, con ogni
probabilità,
gli stessi che
in Aosta
affrescarono la
collegiata di
Sant'Orso.
Vista
dal lato
orientale la
cattedrale
mostrava ben
cinque absidi:
una grande
abside che
chiudeva la
navata centrale,
le due absidi
con le quali
terminavano le
navate minori ed
altre due
absidiole
ricavate al
piano inferiore
delle torri
campanarie. Il
coro era in
posizione
alquanto
sopraelevata
rispetto alla
pavimentazione
della chiesa; al
di sotto del
coro, già alla
fine del X
secolo, era
stata edificata
una cripta a tre
navatelle con
volte a crociera
sostenute da
agili colonnine
con capitelli
medievali in
marmo. Nella
seconda metà
del XI secolo la
cripta, a
seguito di un
probabile
cedimento,
dovette essere
rifatta: solo le
prime campate
conservano le
colonnine
primitive,
mentre per le
altre campate
vennero
utilizzate
robuste colonne
romane di
reimpiego.
Appoggiato alla
navata nord, fu
edificato un
chiostro come
spazio di
incontro e di
preghiera dei
canonici.

Sempre
nella seconda
metà dell'XI
secolo la chiesa
fu ampliata con
l'edificazione
del westwerk
(massiccio
occidentale) in
forma di una
seconda abside
posta in
corrispondenza
alla navata
centrale
affiancata da
due ulteriori
campanili. Si
completò in tal
modo un progetto
costruttivo che
vedeva la navata
centrale chiusa
da due absidi
contrapposte,
ciascuna di essa
affiancata da
una coppia di
torri campanarie
(adottando una
scelta di tipo
nordico che
trovava allora
un altro esempio
vicino nel coevo
duomo di Ivrea).
Mentre il coro
nell'abside
orientale,
dedicato a Maria
Assunta, era
funzionale al
collegio dei
canonici
presieduto dal
vescovo, quello
nell'abside
occidentale,
dedicato a San
Giovanni
Battista, veniva
utilizzato per
le cerimonie
parrocchiali. Risalgono
ad anni tra la
fine del XII e
l'inizio del
XIII secolo i
mosaici del
pavimento del
coro.
Verso
la fine del XII
secolo, quando
già –
sull'ondata
della cultura
architettonica
emergente in
Francia - le
scelte estetiche
dei committenti
si orientarono
verso il gotico,
fu costruito lo
jubé, una
grande tribuna
retta da arcate
che delimitava
il coro (lo
spazio riservato
ai presbiteri)
rispetto allo
spazio riservato
dai fedeli, e
che fungeva
anche da
pulpito. Tale
struttura fu
demolita solo
nel 1838.
Dell'antica
basilica
romanica molto
si è perduto in
relazione ai
numerosi
interventi
successivi,
ispirati da
diversi
linguaggi
artistici e da
differenti
modalità di
fruizione
liturgica degli
spazi. Restano i
due campanili
posti ad oriente
che – pur
modificati in
qualche misura
nel loro aspetto
dall'alta
cuspide gotica e
dai quattro
pinnacoli
angolari posti
sulla loro cima
- mantengono una
fisionomia
tipicamente
romanica;
restano i
sorprendenti
mosaici del
coro, la cripta
con gli
interessanti
capitelli
medievali.
Restano in
particolare gli
affreschi
superstiti -
riscoperti nel
1979 nello
spazio tra il
tetto e le volte
quattrocentesche
- che lasciano
comprendere
quale dovesse
essere la
grandiosità
dell'apparato
decorativo
interno alla
chiesa e la sua
complessità
iconografica.
Nell'ampio
arco di tempo
che va dal XIII
alle prime
decadi del XVI
secolo, una
serie di
interventi di
natura
architettonica e
decorativa,
sostenute da
vescovi
prestigiosi e da
famiglie
nobiliari
valdostane,
modificarono
profondamente la
fisionomia della
cattedrale.
Nel
XIII secolo, sul
lato orientale,
vennero
abbattute due
delle cinque
absidiole
originarie e
realizzato il
deambulatorio
con tre cappelle
radiali che
corre attorno al
coro (e che oggi
ospita il Museo
del tesoro della
cattedrale). In
tale occasione
fu quasi
interamente
demolita
l'abside
maggiore,
sostituendola
con quella
attuale di gusto
gotico, con
cinque grandi
monofore
strombate che
sovrastano il
deambulatorio.
Nel
1397 il vescovo
Giacomo
Ferrandini fece
realizzare un
grande
crocifisso
ligneo di
intensa
drammaticità
(tuttora
visibile), che
fu esposto ai
fedeli nella
navata centrale,
sospeso in alto
tra la volta e
lo jubé, allora
presente.
Nel
XV secolo la
cattedrale
cominciò ad
ospitare tombe
monumentali di
illustri
personaggi,
sormontate da un
gisant in
pietra (scultura
funeraria
raffigurante il
defunto che
giace disteso).
Fu Stefano
Mossettaz, uno
scultore
aggiornato sul
linguaggio del
gotico
internazionale,
a distinguersi
in questo genere
di produzione
artistica. La Tomba
di Francesco di
Challant da
lui realizzata
in alabastro fu
posta al centro
del coro, sopra
il mosaico con
il Ciclo dei
mesi,
circondata da
una cancellata
in ferro.
Numerosi
arredi sacri
furono
commissionati
per aumentare il
prestigio ed il
decoro della
cattedrale: una
gran parte di
essi è oggi
conservata nel
museo del tesoro
della
cattedrale, a
partire dalla
cassa
reliquiaria
destinata ad
accogliere le
spoglie di San
Grato, patrono
della città: un
capolavoro di
arte orafa
quattrocentesca
iniziata da
Guglielmo di
Locana e
completata da
Jean de Malines.
Poco
dopo la metà
del XV secolo,
in conseguenza
della
istituzione
della Fabbriceria
della cattedrale
voluta dal
vescovo Antoine
de Prez, membro
d'una potente
famiglia
svizzera, il
chiostro del XI
secolo venne
interamente
ricostruito in
stile tardo
gotico. I lavori
furono affidati
a Marcel Girard
di Saint-Marcel
(AO).
Subito
dopo il 1464
(quando al
vescovo Antoine
era succeduto il
nipote François
de Prez) furono
commissionati i
nuovi stalli per
il coro, dando
vita ad un
importante
cantiere di
scultori in
legno formato
dal savoiardo
Jean Vion de
Samoëns e
dall'aostano
Jean de Chetro.
Gli stalli erano
in quegli anni
disposti a
gruppi di dodici
lungo le pareti
del coro, mentre
altri due gruppi
di cinque erano
appoggiati allo
jubé.
Gli
interventi
architettonici
più importanti,
che cambiarono
in modo profondo
l'aspetto della
cattedrale
(avvicinandolo a
quello oggi
osservabile)
furono avviati
verso la fine
del Quattrocento
per iniziativa
di Giorgio di
Challant (priore
della collegiata
di Sant'Orso e
grande artefice
del rinnovamento
culturale ed
artistico
valdostano) e
del vescovo François
de Prez.
Con
una scelta
improntata ad
un'estetica
tardo gotica
(che doveva
avere per lo
Challant
particolare
urgenza, visto
che essa venne
adottata, in
quello scorcio
di anni, anche
per la
collegiata
ursina e per la
parrocchiale di
Arnad) le
vecchie
coperture a
capriate e le
volte del
deambulatorio,
vennero
sostituite da
una più bassa
copertura con
volte a crociera
segnate da
costoloni
finemente
decorati.
In
tale occasione
furono anche
ingrandite le
finestre della
navata centrale
che assunsero la
caratteristica
forma ad arco
carenato: iniziò
così un
programma di
realizzazione di
23 vetrate, di
qualità
particolarmente
elevata (che
ancora si
possono
ammirare); esse
furono
realizzate da un
atelier locale
identificabile
verosimilmente
con la bottega
di Pietro Vaser.
Tra
il 1484 ed il
1494 si demolì
il westwerk,
vale a dire
l'abside
occidentale ed i
due campanili
che
l'affiancavano,
per dar vita,
con la
edificazione di
due nuove
campate, al
prolunggamento
longitudinale
del corpo della
chiesa ed alla
successiva
costruzione di
una nuova
facciata. Né il
vescovo François
de Prez, né
Giorgio di
Challant videro
il completamento
di tale opera:
l'apparato
decorativo di
gusto
rinascimentale
che ancor oggi
vediamo - fatto
di affreschi e
di altorilievi
in terracotta
dedicati Vita
della Vergine
- fu
commissionato
nel 1522
dall'allora
direttore della Fabbriceria,
canonico Jaen
Gombaude,
concludendosi
nel 1526.
Nell'intorno di
quegli stessi
anni si completò
il programma di
realizzazione
delle vetrate.
Ancora
nel corso del
XVI secolo, in
relazione allo
sviluppo della
istituzione
delle
cappellanie,
ebbe luogo la
costruzione
della cappella
dei signori di
Cly (circa
1570-80), posta
alla destra
della porta
d'ingresso, con
affreschi di
gusto
manieristico.
Dopo
la costruzione
della nuova
facciata
rinascimentale
ed il
completamento
del ciclo delle
vetrate dipinte,
si registrò un
periodo di
interventi
aventi scarso
rilievo
strutturale e di
modesta qualità
artistica; a
parte la già
menzionata
costruzione
della cappella
dei signori di
Cly, l'unica
eccezione di
rilievo è data
dalla commessa
relativa alla Cassa
reliquaria di
San Giocondo
realizzata in
argento
(1617-1619), ora
nel museo del
tesoro della
cattedrale.

Il
forte
rallentamento
della produzione
artistica
riguardò
l'intera Valle
d'Aosta. Con
l'esplodere
della Riforma le
fortune della
regione
decaddero
assieme a quelle
del ducato di
Savoia che,
negli anni
1535-36, perse
Ginevra, il
Canton Vaud, ed
il Basso
Vallese.
Spostata la
capitale del
ducato da
Chambery a
Torino, declinò
l'importanza dei
valichi
valdostani come
tramite di
scambi economici
e culturali, a
vantaggio dei
valichi del
Moncenisio e del
Sempione.
Nel
1704 fu
costruita, per
un adeguato
svolgimento
delle funzioni
parrocchiali, la
cappella di San
Giovanni
Battista (la
balaustra
marmorea ed il
nuovo altare
della cappella
furono
realizzati nel
1760). Nel 1758
si costruì un
nuovo altare
maggiore, ricco
di tarsie
marmoree.
Nel
XIX secolo la
chiesa cambiò
nuovamente
aspetto,
principalmente
per iniziativa
del vescovo André
Jourdain che
tenne la
cattedra
episcopale tra
il 1832 ed il
1859. Fu
demolito lo jubé
che separava
troppo
vistosamente
l'area
presbiterale da
quella riservata
ai fedeli; si
ultimarono i
lavori di
ricostruzione
della cappella
di San Grato
(1842).
Altri
interventi,
corrispondenti
ai nuovi gusti
estetici del
momento, hanno
suscitato forti
riserve per la
scarsa coerenza
stilistica con
il resto della
chiesa. Si
tratta innanzi
tutto della
costruzione
(1848) della
nuova facciata
in stile
neoclassico con
imponenti
colonne e statue
di santi, che
relega
all'interno di
un atrio la
facciata
rinascimentale.
Inoltre, nel
1860, venne
costruita in
forme neogotiche
la cappella del
Rosario,
sacrificando,
all'esterno
della chiesa,
uno dei corridoi
del chiostro
quattrocentesco.
Variazioni
all'area
presbiterale
sono intervenute
nel 1981, dopo
la riforma
liturgica
decretata dal
Concilio
Vaticano II. Per
non alterare la
precedente area
presbiterale con
il suo altare
marmoreo,
elevata rispetto
al piano della
navata, è stato
avanzato nella
navata stessa lo
spazio per le
celebrazioni
liturgiche,
dotandolo di un
altare di
estrema
semplicità.

ESTERNO
- Per
guadagnare
subito una
qualche
impressione su
come poteva
essere, nell'XI
secolo, la
basilica
romanica,
conviene
percorrere la
strada lungo il
lato sud della
chiesa. Oltre ad
un muro di cinta
si possono
osservare le due
possenti torri
campanarie, alte
più di 60
metri; sono la
struttura più
alta di tutta la
città di Aosta
e di tutta la
regione Valle
d'Aosta, e sono
poste a fianco
dell'abside (che
ci appare con i
suoi alti
finestroni
strombati,
frutto della
ristrutturazione
del XIII
secolo); al di
sotto si
intravede il
tetto del
deambulatorio.
Il
campanile sul
lato sud (che
vediamo più da
vicino) mostra
nei piani
inferiori
l'apertura di
semplici strette
monofore; mentre
al di sopra di
una fila di
archetti
pensili,
s'innalzano
altri due piani
della torre sui
quali si aprono
larghe bifore sovrapposte.
Il campanile sul
lato nord ci
appare più
elegante e
frutto di una
esecuzione più
accurata. Una
lesena centrale
percorre
interamente
ciascuna delle
sue pareti, e
nei quattro
piani più alti
essa dà luogo a
specchiature
nelle quali si
aprono coppie di
bifore
affiancate tra
loro.
Dopo
aver dato uno
sguardo alla
facciata
neoclassica (e
riconosciuto su
di essa le
statue dei santi
cari alla
devozione
aostana), merita
soffermare
l'attenzione
sulla vecchia facciata
rinascimentale all'interno
dell'atrio,
opera ritornata
all'eloquenza
delle sue forme
e dei suoi
colori dopo un
recente
restauro.
La
facciata
colpisce
l'attenzione del
visitatore per
la ricchezza
della policromia
e per
l'abbinamento di
affreschi,
gruppi in terracotta ed
un variegato
repertorio
decorativo di
gusto
tipicamente
rinascimentale.
L'intero
programma iconografico e
decorativo si
dispone
sapientemente
nelle trame di
una struttura
architettonica
formata da due
alte colonne che
inquadrano il
portale centrale
e la lunetta che
lo sormonta;
esse reggono un arco poggiante
su una elegante trabeazione,
sormontato a sua
volta da un timpano.
Gli
affreschi che
impreziosiscono
la facciata sono
dedicati a tre
episodi della
vita della
Vergine e
dell'infanzia di
Gesù; da destra
a sinistra, in
corrispondenza
ai tre portali
troviamo le
scene della Annunciazione,
della Natività (posta
nella lunetta
sopra il
portale) e della Presentazione
di Gesù al
Tempio. Sopra la
trabeazione,
all'interno
dell'arco, trova
posto un gruppo
plastico con
figure a
grandezza
naturale che
sembrano
ispirati dalla
tradizione
piemontese e
lombarda dei Sacri
Monti: si tratta
degli Apostoli
che guardano
attoniti verso
l'Assunzione
della Vergine.
La
raffigurazione
dell'Assunzione si
completa infatti
con le figure,
sempre in
terracotta,
della Vergine
sorretta da due
angeli che
trovano posto
nel timpano. Nel
grandioso
sottarco
dell'atrio sono
affrescati otto
schiere di Angeli
musicanti,
pronti ad
accogliere la
Vergine (si
ricordi che la
cattedrale è
dedicata a Maria
Assunta). Il
complesso
programma
decorativo si
sviluppa
ulteriormente
attraverso
quattro Busti
di Profeti in
terracotta (due
nelle lunette
sopra i portali
laterali, due in
altre lunette
poste al di
sopra delle
finestre della
facciata); si
osservano poi
sulla
trabeazione i
busti clipeati di
San Giovanni
Battista, San
Grato e San
Giocondo. La
decorazione si
completa con
fasce a rosette
nei sottarchi,
formelle con
candelabre e con
testine di
angelo, fasce
con delfini ed
altri elementi
ispirati alla
cultura delle grottesche.
L'identità
del pittore e
del plasticatore
che hanno
realizzato
l'apparato
decorativo sono
ignote. Riguardo
agli affreschi Giovanni
Romano ha
sottolineato
come essi
possano
ritenersi
"opera di
un Maestro di
formazione spanzottiana,
ma già toccato
anche da Gaudenzio".
Allo stesso
Maestro è
attribuito,
all'interno
della
cattedrale,
l'affresco
dell'altare di
Santa Lucia ed
anche la tela
con la Vita
di San Grato posta
oggi all'inizio
del
deambulatorio,
al termine della
navata sud.

INTERNO
- Entrato
nella
cattedrale, il
visitatore è
subito colpito
dalla presenza
nella navata
centrale del
grande crocifisso
in legno
dipinto, sospeso
in alto tra la
volta ed il
presbiterio. Si
tratta della magnam
crucem commissionata
nel 1397 dal
vescovo Giacomo
Ferrandini ad
uno scultore di
area
svizzero-tedesca
(forse Lucerna)
che operò per
un qualche tempo
in Valle
d'Aosta. Esso
dovette
suscitare grande
impressione per
il volto
espressivo del
Cristo e per il
copioso fiotto
di sangue che
schizza fuori
dal costato, al
punto da
diventare
modello per
altre
Crocifissioni
presenti nelle
chiese
valdostane.
Il
crocifisso si
staglia contro
le volte a
crociera della
navata e del
coro fatte
realizzare dal
vescovo François
de Prez e da
Giorgio di
Challant. Con la
loro forma
leggermente
ogivale e con la
trama dei
costoloni
dipinti, esse
segnano
suggestivamente
lo spazio della
chiesa.
Sempre
volgendo lo
sguardo verso
l'alto, il
visitatore è
colpito dai
colori delle vetrate
della navata
centrale, opera
di notevole
qualità
artistica
realizzata
(assieme alle
vetrate del
deambulatorio)
tra la fine del
Quattrocento ed
il 1523 circa
Esse mostrano
una Natività,
una Crocifissione e
soprattutto
immagini di
santi: molto
belle quelle di
San Sebastiano e
San Martino, ed
è interessante
in questo
repertorio è la
raffigurazione
di Tommaso
Becket. Il
disegno e la
gamma cromatica
delle vetrate
richiamano alla
mente altre
vetrate
altrettanto
belle realizzate
in Valle
d'Aosta, quelle
presenti nella Collegiata
di Sant'Orso e
quelle
provenienti da Castello
di Issogne (e
conservate ora
al Museo
Civico di
Torino). Si può
ipotizzare che
gli autori siano
quei magistri
verreriarum
chiamati da
Giorgio di
Challant a
realizzare le
opere citate,
segnatamente Jean
Baudichon e,
più
verosimilmente, Pierre
Vaser (successore
di Baudichon).
Subito
dopo l'ingresso
nella
cattedrale,
sulla destra
verso la
controfacciata
è posta la cappella
dei baroni di
Cly (circa 1576),
recentemente
restaurata. Essa
mostra una
decorazione di
gusto manieristico con
la volta a
crociera
affrescata con
le Storie
della Maddalena:
nelle vele della
volta sono
riconoscibili le
scene di Gesù
in casa di
Simone fariseo, Maddalena
penitente , Noli
me tangere, Ascensione
di Maria
Maddalena.
Nell'area
funeraria della
cappella è
posta una Deposizione.
All'inizio
della navata
destra
s'incontra
l'altare di
Santa Lucia, con
un affresco
raffigurante una Madonna
col Bambino e
San Giovannino
tra i santi
Pietro, Giovanni
evangelista,
Caterina e Lucia (1526 circa),
opera dello
stesso pittore
di educazione spanzottiana che
ha realizzato
anche gli
affreschi della
facciata
rinascimentale.

Al
termine della
stessa navata,
appesa in alto,
troviamo una
grande tela
attribuita
ancora allo
stesso ignoto
artista degli
affreschi della
facciata; essa
raffigura due
episodi della Vita
di San
Grato che
la tradizione
vuole secondo
vescovo di Aosta
ed artefice del
recupero della
reliquia
rappresentata
dalla testa del
Battista. Sulla
sinistra si
osserva San
Grato, vestito
da monaco agostiniano,
che offre al
papa il teschio
del Battista;
nella scena
successiva, si
vede ancora San
Grato che offre
al clero aostano
la reliquia
della mandibola
del santo.
Nella
cattedrale si
trovano due organi
a canne.
Lo strumento
principale è
situato in controfacciata,
sulla cantoria
lignea; venne
costruito da Carlo
Vegezzi-Bossi nel 1902.
Le imponenti
misure dello
strumento sono
le seguenti: 7
metri di
altezza, 9.96
metri di
larghezza e 3 di
profondità. La
console,
staccata dallo
strumento e
rivolta verso
l'altare,
dispone di tre
tastiere di 58
tasti e una
pedaliera
diritta di 30 e
comanda 43
registri per un
totale di quasi
3000 canne. Lo
strumento era al
centro del
Festival
Internazionale
di concerti per
organo,
conclusosi alla
47ª edizione.
Il festival
accoglieva ogni
estate in città
i più grandi
organisti del
panorama
internazionale e
richiamava gli
appassionati di
musica sacra da
tutta Europa.
Fra i grandi
organisti che vi
hanno
partecipato
figurano
Fernando
Germani, Daniel
Chorzempa, Jean
Guillou, Alessio
Corti, Daniel
Roth, Lionel
Rogg,
Marie-Claire
Alain,
Montserrat
Torrent, Pierre
Pincemaille,
Naji hakim,
Massimo Nosetti,
Yanka Hekimova.
L'ultima
edizione del
festival si è
svolta nel 2012.
Il
vescovo di Aosta Franco
Lovignana ha
fondato nel 2014
la Cappella
Musicale di
Sant'Anselmo
della Cattedrale
di Aosta.
Statuto e nomine
sono disponibili
sul sito
della Cattedrale
di Aosta nella
sezione dedicata
alla Schola
Cantorum.
Nell'abside,
a pavimento, vi
è un organo
positivo della
ditta Pinchi;
a trasmissione
meccanica, ha 3
registri su un
unico manuale,
senza pedaliera.
Percorsa
la navata
destra, una
scala consente
di scendere
nella cripta :
è questa la
parte più
antica della
cattedrale,
testimonianza
della
"basilica
anselmiana"
che si è quasi
integralmente
conservata. In
quest'aula
sotterranea di
16,3 x 8,6 m.,
divisa in tre
navatelle che
terminano in
altrettante
absidiole
allineate, il
visitatore può
muoversi
osservando le
volte a crociera
e le colonne di
diverse fogge e
dimensioni che
mettono in
evidenza due
diverse fasi
costruttive: le
quattro colonne
più sottili
sono quelle
corrispondenti
alla costruzione
più antica, con
capitelli del X
secolo, le altre
più massicce
sono di epoca
romana,
utilizzate qui
come materiale
di reimpiego per
prevenire
ulteriori crolli
della volta.
Lapidi in
pietra, sulle
pareti della
cripta, ne
mostrano
l'utilizzo come
luogo di
sepoltura dei
vescovi.
Uscendo
dalla cripta sul
lato sinistro,
si trova una
scala che
consente al
visitatore di
salire nell'area
presbiteriale,
ricca di opere
di notevole
pregio artistico
a cominciare dai
due mosaici
del pavimento.
Quello detto
dell' Anno o
del Ciclo
dei mesi, posto
nella parte più
bassa del coro,
è ritenuto più
antico, databile
verso la fine
del XII secolo.
Al centro del
pavimento musivo
è posta la
figura del
Cristo, Signore
del tempo, che
regge con una
mano il sole e
con l'altra la
luna; in cerchio
tutto intorno
sono
raffigurate,
entro
medaglioni, le
personificazioni
dei dodici mesi
dell'anno, con
riferimento
soprattutto alle
attività
lavorative
svolte. I motivi
ornamentali
presenti fanno
somigliare il
pavimento musivo a
un tappeto;
negli angoli di
un motivo di
forma
rettangolare
trovano posto le
allegorie dei
quattro fiumi
del paradiso
terrestre -
Pison, Ghicon,
Tigri, Eufrate -
di cui parla la Genesi 2,11-14).
Il
secondo mosaico,
databile verso
gli inizi del
XIII secolo, è
stato qui
trasportato
quando il coro
occidentale in
cui si trovava
venne demolito.
Esso raffigura
una serie di
animali reali e
fantastici (una
scritta
didascalica è
posta accanto
alle figure
della chimera e
dell'elefante);
sono presenti
anche le
allegorie di due
dei quattro
fiumi del
paradiso
terrestre (Tigri
ed Eufrate).
Altre
raffigurazioni
lasciano ancora
maggior spazio
al dispiegarsi
dell'immaginazione
fantastica; esse
si collocano al
centro del
mosaico,
all'interno di
una complessa
geometria di
quadrati e di
cerchi. Rispetto
al primo
mosaico, ad una
scelta di temi
volutamente più
complessa, fa
riscontro però
una fattura meno
pregevole.
Disposti
lungo le pareti
laterali del
coro, attorno al mosaico
dell'Anno, si
osservano i
magnifici stalli
lignei voluti
dal vescovo François
de Prez e
realizzati nella
seconda metà
del XV secolo da
un cantiere di
scultori in
legno formato
dal savoiardo Jean
Vion de Samoëns e
dal valdostano Jean
de Chetro. Nei
dossali degli
stalli sono
rappresentati i
dodici apostoli
alternati con
altrettanti
profeti (a
simboleggiare la
continuità tra
Antico e Nuovo
Testamento),
ognuno regge un
cartiglio con
passi del Credo;
nel cielo (la
parte che
sormonta i
dossali) sono
intagliati
stemmi ed angeli
musicanti. Gli
ornamenti dei
braccioli, i
poggiamano e le
"misericordie"
(sostegni posti
nella parte
esterna dei
sedili ai quali
ci si può
appoggiare
quando il sedile
è rialzato)
costituiscono
uno
straordinario
repertorio di
figure
fantastiche o
grottesche,
tipiche
dell'iconografia
tardo gotica.
Nella
parte superiore
del presbiterio,
ai margini del
deambulatorio,
è posta un monumento
sepolcrale in
onore di Tommaso
II di Savoia. Il gisant lo
raffigura in
armi, con
corazza e scudo
recanti il
rilievo
dell'aquila
araldica; la
testa del
defunto poggia
su un cuscino,
mentre un
leoncino (che
porta un collare
col motto dei
Savoia, FERT)
è accovacciato
ai suoi piedi.
Si ritiene il
monumento sia
stato
commissionato da Amedeo
VIII di Savoia (di
cui è
documentato il
passaggio in
città nel 1430)
per rendere
omaggio a
Tommaso, suo
antenato morto
ad Aosta nel 1259 e
sepolto in
cattedrale.
L'autore
dell'opera è,
con tutta
probabilità, Stefano
Mossettaz scultore
che tenne a
lungo bottega in
Aosta, e che
dimostra qui di
aver pienamente
assimilato il
linguaggio del gotico
internazionale di
marca franco –
fiamminga,
aggiornato sulle
novità delle
corti parigina e
del Berry.
IL
CORO E LE SUE
OPERE D'ARTE
- Uscendo
dalla cripta sul
lato sinistro,
si trova una
scala che
consente al
visitatore di
salire nell'area
presbiteriale,
ricca di opere
di notevole
pregio artistico
a cominciare dai
due mosaici del
pavimento.
Quello detto
dell' Anno
o del Ciclo
dei mesi,
posto nella
parte più bassa
del coro, è
ritenuto più
antico, databile
verso la fine
del XII secolo.
Al centro del
pavimento musivo
è posta la
figura del
Cristo, Signore
del tempo, che
regge con una
mano il sole e
con l'altra la
luna; in cerchio
tutto intorno
sono
raffigurate,
entro
medaglioni, le
personificazioni
dei dodici mesi
dell'anno, con
riferimento
soprattutto alle
attività
lavorative
svolte. I motivi
ornamentali
presenti fanno
somigliare il
pavimento musivo
ad un tappeto;
negli angoli di
un motivo di
forma
rettangolare
trovano posto le
allegorie dei
quattro fiumi
del paradiso
terrestre -
Pison, Ghicon,
Tigri, Eufrate -
di cui parla la
Genesi (Gen
2,11-14).
Il
secondo mosaico,
databile verso
gli inizi del
XIII secolo, è
stato qui
trasportato
quando il coro
occidentale in
cui si trovava
venne demolito.
Esso raffigura
una serie di
animali reali e
fantastici (una
scritta
didascalica è
posta accanto
alle figure
della chimera e
dell'elefante);
sono presenti
anche le
allegorie di due
dei quattro
fiumi del
paradiso
terrestre (Tigri
ed
Eufrate).
Altre
raffigurazioni
lasciano ancora
maggior spazio
al dispiegarsi
dell'immaginazione
fantastica; esse
si collocano al
centro del
mosaico,
all'interno di
una complessa
geometria di
quadrati e di
cerchi. Rispetto
al primo
mosaico, ad una
scelta di temi
volutamente più
complessa, fa
riscontro però
una fattura meno
pregevole.
Disposti
lungo le pareti
laterali del
coro, attorno al
mosaico
dell'Anno,
si osservano i
magnifici stalli
lignei voluti
dal vescovo François
de Prez e
realizzati nella
seconda metà
del XV secolo da
un cantiere di
scultori in
legno formato
dal savoiardo
Jean Vion de
Samoëns e dal
valdostano Jean
de Chetro. Nei
dossali degli
stalli sono
rappresentati i
dodici apostoli
alternati con
altrettanti
profeti (a
simboleggiare la
continuità tra
Antico e Nuovo
Testamento),
ognuno regge un
cartiglio con
passi del Credo;
nel cielo
(la parte che
sormonta i
dossali) sono
intagliati
stemmi ed angeli
musicanti.
Gli
ornamenti dei
braccioli, i
poggiamano e le
"misericordie"
(sostegni posti
nella parte
esterna dei
sedili ai quali
ci si può
appoggiare
quando il sedile
è rialzato)
costituiscono
uno
straordinario
repertorio di
figure
fantastiche o
grottesche,
tipiche
dell'iconografia
tardo gotica.
Nella
parte superiore
del presbiterio,
ai margini del
deambulatorio,
è posta un
monumento
sepolcrale in
onore di Tommaso
II di Savoia. Il
gisant lo
raffigura in
armi, con
corazza e scudo
recanti il
rilievo
dell'aquila
araldica; la
testa del
defunto poggia
su di un
cuscino, mentre
un leoncino (che
porta un collare
col motto dei
Savoia, FERT) è
accovacciato ai
suoi piedi. Si
ritiene il
monumento sia
stato
commissionato da
Amedeo VIII di
Savoia (di cui
è documentato
il passaggio in
città nel 1430)
per rendere
omaggio a
Tommaso, suo
antenato morto
ad Aosta nel
1259 e sepolto
in
cattedrale.
L'autore
dell'opera è,
con tutta
probabilità,
Stefano
Mossettaz
scultore che
tenne a lungo
bottega in
Aosta, e che
dimostra qui di
aver pienamente
assimilato il
linguaggio del
gotico
internazionale
di marca franco –
fiamminga,
aggiornato sulle
novità delle
corti parigina e
del Berry.
LA
CRIPTA -
Percorsa la
navata destra,
una scala
consente di
scendere nella
cripta: è
questa la parte
più antica
della
cattedrale,
testimonianza
della
"basilica
anselmiana"
che si è quasi
integralmente
conservata. In
quest'aula
sotterranea di
16,3 x 8,6 m.,
divisa in tre
navatelle che
terminano in
altrettante
absidiole
allineate, il
visitatore può
muoversi
osservando le
volte a crociera
e le colonne di
diverse fogge e
dimensioni che
mettono in
evidenza due
diverse fasi
costruttive: le
quattro colonne
più sottili
sono quelle
corrispondenti
alla costruzione
più antica, con
capitelli del X
secolo, le altre
più massicce
sono di epoca
romana,
utilizzate qui
come materiale
di reimpiego per
prevenire
ulteriori crolli
della volta.
Lapidi in
pietra, sulle
pareti della
cripta, ne
mostrano
l'utilizzo come
luogo di
sepoltura dei
vescovi.
IL
CHIOSTRO
- Dalla
navata sinistra
è possibile
accedere al
chiostro posto a
ridosso della
chiesa. Si
tratta di un
edificio a
pianta
trapezoidale
fatto costruire
dal vescovo Antoine
de Prez e
terminato nel 1460.
Esso si presenta
oggi gravemente
mutilato, privo
di gran parte
del corridoio
meridionale a
causa della
costruzione, nel 1860,
della cappella
del Rosario in
stile neogotico.
L'elemento di
maggior
interesse per il
visitatore è
dato dalla serie
di capitelli in gesso
cristallino:
alcuni di essi
sono decorati
con motivi
vegetali e
figure di uomini
e animali, altri
recano scolpiti,
in caratteri
gotici, nomi di
canonici o di
altre persone
che
contribuirono
all'edificazione.

IL
MUSEO DEL TESORO
DELLA CATTEDRALE
- Dalla
navata destra si
accede agli
spazi del
deambulatorio
nei quali trova
posto il Museo
del tesoro della
cattedrale di
Aosta, che
custodisce opere
di notevole
interesse, quali
due frammenti
delle vetrate
del XII secolo,
la cassa
reliquaria di
San Grato,
alcuni codici
miniati tra i
quali il Messale
del vescovo
Francesco de
Prez,
monumenti
sepolcrali
realizzati da
Stefano
Mossettaz,
dossali di
stalli di Jean
Vion de Samoëns
e di Jean de
Chetro già
presenti nel
coro, ed una
ricca collezione
di statue lignee
dipinte, esempi
di quella
cultura
devozionale che
è stata
denominata
"il gotico
delle
Alpi".
L'ORGANO
A CANNE
- L'organo
della
Cattedrale,
opera di Carlo
Vegezzi-Bossi,
è stato
costruito nel
1902. Il
monumentale
strumento è
posizionato
sopra il portone
di ingresso
principale della
chiesa su un
bella cantoria
in noce locale.
Le imponenti
misure dello
strumento sono
le seguenti: 7
metri di
altezza, 9.96
metri di
larghezza e 3 di
profondità. La
console,
staccata dallo
strumento e
rivolta verso
l'altare,
dispone di tre
tastiere di 58
tasti e una
pedaliera
diritta di 30 e
comanda 43
registri per un
totale di quasi
3000
canne.
Lo
strumento era al
centro del
Festival
Internazionale
di concerti per
organo,
conclusosi alla
47ª edizione.
Il festival
accoglieva ogni
estate in città
i più grandi
organisti del
panorama
internazionale e
richiamava gli
appassionati di
musica sacra da
tutta Europa.
Fra i grandi
organisti che vi
hanno
partecipato
figurano
Fernando
Germani, Daniel
Chorzempa, Jean
Guillou, Alessio
Corti, Daniel
Roth, Lionel
Rogg,
Marie-Claire
Alain,
Montserrat
Torrent, Pierre
Pincemaille,
Naji hakim,
Massimo Nosetti,
Yanka Hekimova.
L'ultima
edizione del festival
si è svolta nel
2012.

GLI
AFFRESCHI ALTO
MEDIOEVALI
- Nel
sottotetto,
sopra le volte
quattrocentesche,
si sono salvati
consistenti
brani degli
affreschi che
decoravano la
navata centrale
della basilica
anselmiana. La
esistenza del
ciclo pittorico
fu scoperta nel
1979 dallo
studioso tedesco
H. P. Autenrieth;
complessi lavori
di recupero e la
sistemazione di
opportune
passerelle hanno
consentito nel
2000, in
occasione delle
celebrazioni
giubilari, di
rendere gli
affreschi
accessibili al
pubblico (visite
programmate o su
prenotazione).
Insieme
al ciclo
contemporaneo
della Collegiata
di Sant'Orso, le
pitture della
cattedrale
costituiscono
una delle più
vaste
testimonianze di
pittura alto
medievale fanno
di Aosta uno dei
principali
centri di arte
ottoniana in
Europa.
Gli
affreschi che
decoravano la
navata furono
realizzati
attorno alla metà
del XI secolo da
un atelier di
notevoli
competenze
pittoriche (con
ogni probabilità
lo stesso di
Sant'Orso); essi
erano disposti
su vari registri
ed ubbidivano ad
un programma
iconografico
alquanto
complesso. Nelle
parti recuperate
nel sottotetto
si riconoscono
le seguenti
raffigurazioni:
-
Parete Ovest
(ove si trovava
l'arco trionfale
dell'abside
occidentale): Figure
di Angeli
(disposte
secondo l'usuale
schema
iconografico
degli archi
trionfali in
epoca medievale)
-
Parete Nord: Storie
di Sant'Eustachio,
scene di Placidas-Eustachio
che incontra il
cervo; Conversione
di
Placidas-Eustachio;
Viaggio per
mare; Rapimento
dei figli.
Nel registro
superiore
lunette con i
busti degli Antenati
di Cristo
alternate a
lunette di
contenuto
decorativo ed
allegorico
-
Parete Sud: Storie
di Mosè, in
particolare
delle Piaghe
d'Egitto, scene
della Verga
trasformata in
serpente; l'Acqua
del Nilo
tramutata in
sangue; la Piaga
delle rane;
la Piaga
delle mosche.
Nel registro
superiore
lunette con i
busti dei Vescovi
di Aosta.
L'ambito
culturale
dell'atelier che
ha realizzato
gli affreschi è
quello
cosiddetto
"lombardo";
ad esso possono
essere
stilisticamente
collegati i
cicli della
basilica di San
Vincenzo a Cantù
e del battistero
del Duomo di
Novara.

Giugno
2013
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