-
- Complesso
monumentale di
di Sant'Orso
La
chiesa
collegiata dei
Santi Pietro e
Orso
costituisce,
assieme alla
cattedrale di
Aosta, la
testimonianza di
maggior rilievo
della storia
dell'arte sacra
in Valle
d'Aosta. Uno
specifico
interesse
rivestono gli
antichi
affreschi
ottoniani
conservati tra
il tetto e la
copertura della
navata centrale,
ed il chiostro
con i suoi
magnifici
capitelli
medievali.
Gli
scavi
archeologici
hanno messo in
evidenza come,
nell'area oggi
occupata dalla
chiesa, fosse
presente
un'ampia
necropoli
extraurbana,
sulla quale nel
V secolo fu
edificata un
complesso
paleocristiano
comprendente,
oltre alla
nostra chiesa,
anche quella
cruciforme di
San Lorenzo (che
si trova sotto
l'attuale
omonima chiesa
sconsacrata). La
chiesa primitiva
era ad aula
unica delimitata
da un'abside
semicircolare;
essa venne
interamente
ricostruita ed
ingrandita nel
IX secolo, in
epoca
carolingia. Nel
989 si aggiunse
alla chiesa
esistente un
campanile (i cui
resti sono
ancora visibili
incorporati
nella facciata
attuale della
chiesa).
Un
ulteriore
intervento
costruttivo fu
quello promosso
dal vescovo
Anselmo che
tenne la
cattedra
vescovile in
Aosta tra il 994
e il 1026 (da
non confondersi
con Anselmo di
Aosta, filosofo
e santo, nato
nel 1033). Tale
intervento è
testimoniato in
un passo del Necrologium
della collegiata
che menziona il
defunto con
l'espressione Anselmus
Episcopus
Augustiensis qui
nostram
construxit
ecclesiam.

Per
sua iniziativa
l'intera chiesa
venne
ristrutturata
nelle forme
tipiche
dell'architettura
romanica, come
edificio
basilicale,
diviso in tre
navate con
copertura a
capriate lignee
chiuse ad
oriente da
altrettante
absidi
semicircolari.
Il coro,
sopraelevato
rispetto al
piano delle
navate,
sovrastava (come
avviene ancor
oggi) una cripta
formata da due
vani: quella
occidentale
conteneva alcune
importanti
sepolture,
quella orientale
- destinata a
cerimonie di
culto - era
divisa in cinque
navatelle con
tre absidiole
semicircolari
disposte a
raggiera. Del
"periodo
anselmiano"
rimangono oltre
alle mura e ai
pilastri, la
cripta (non più
separata in due
vani) e gli
affreschi,
esempi
importanti di
arte ottoniana,
posti nella
parte superiore
della navata,
tra il tetto e
la copertura con
volte a crociera
realizzata a
fine
Quattrocento.
L'imponente
campanile
romanico, alto
44 metri, che
sorge sul
sagrato della
chiesa in
posizione da
essa isolata, fu
eretto nel XII
secolo come
parte di un
sistema
difensivo
costituito da
una cinta
muraria e da una
seconda torre di
grandi
dimensioni. La
parte inferiore
è quella
originaria,
formata da
enormi massi
squadrati, tolti
forse ai vicini
monumenti
romani; la parte
superiore è
probabilmente
del XIII secolo,
mentre
l'orologio
esisteva già
nel 1642.
La
costruzione del
chiostro
romanico,
istoriato dai
suggestivi
capitelli per i
quali la
collegiata di
Sant'Orso va
celebre, si
colloca negli
anni
immediatamente
successivi al
1133 (1132
secondo il
calendario
attuale), come
attesta
l'iscrizione di
uno dei
capitelli:
"ANNO AB
INCARNATIO (N) E
DOMINI MC XXX
III IN HOC
CLAUSTRO REGULAR
(I) S VITA
INCEPTA
EST", che
indica l'inizio
effettivo della
vita
comunitaria.

In
quell'anno aveva
ottenuto
risposta
positiva la
richiesta
avanzata al papa
Innocenzo II dal
vescovo di Aosta
Eriberto (già
canonico
regolare di
Sant'Agostino
del Capitolo di
Abondance nel
Chiablese in
Alta Savoia),
finalizzata ad
avere, per la
congregazione di
Sant'Orso, la
possibilità di
fondare una
comunità di
agostiniani. Gli
archi e le volte
attuali del
chiostro sono
frutto di un
rimaneggiamento
posteriore,
avvenuto
all'epoca
Giorgio di
Challant
(1468-1509),
salvo uno dei
lati minori che
fu rifatto nel
secolo XVIII.
Oltre
a quelli
eseguiti nel
chiostro e nei
locali del
monastero altri
interventi
promossi alla
fine del XV
secolo da
Giorgio di
Challant, priore
della collegiata
di Sant'Orso e
grande artefice
del rinnovamento
culturale ed
artistico
valdostano,
comportarono il
rifacimento
della facciata
(1492 – 94) e
la sostituzione
della vecchia
copertura a
capriate con una
più bassa
copertura
realizzata con
volte a crociera
di gusto
tardogotico. Un
atelier di
pittori
comprendente il
Maestro Colin
(attivo in
quegli anni
anche nel
castello di
Issogne),
realizzò verso
il 1499 la
decorazione a
fresco dei
sottarchi,
conferendo in
tal modo alla
chiesa l'aspetto
che ha poi
sostanzialmente
mantenuto nel
tempo. Lo
stesso Challant
tra il 1494 ed
il 1503 fece
realizzare le
cinque vetrate
dell'abside,
allogando
l'opera ai magistri
verreriarum
Jean Baudichon e
Pietro Vaser.
Tra
gli interventi
voluti dallo
Challant per
aumentare il
decoro ed il
prestigio della
chiesa va
ricordata anche
la realizzazione
di un nuovo
altare maggiore,
oggi non più
presente. Per
realizzare
quest'opera egli
coinvolse il
principale
artista allora
attivo presso la
corte sabauda,
il borgognone
Antoine de Lonhy.
Sempre
a Giorgio di
Challant si deve
la costruzione,
nei pressi della
chiesa, del
Piorato di
Sant'Orso,
formato da tre
corpi di
fabbrica in
stile
rinascimentale,
riuniti ad
angolo e
sormontati da
una torretta
ottagonale; il
tutto
impreziosito da
decorazioni in
cotto (esempio
alquanto raro in
Valle d'Aosta).
ESTERNO
- Il
complesso che si
affaccia sulla
piazzetta di
Sant'Orso,
comprendente la
chiesa
collegiata, il
chiostro ed il
priorato,
assieme alla
chiesa di San
Lorenzo,
costituisce un
angolo della
città di
notevole
interesse
storico e di
grande
suggestione
artistica.
La
piazzetta è
dominata
dall'imponente
campanile
romanico a
pianta
quadrangolare,
con la parte
inferiore
(quella del XII
secolo) formata
da enormi massi
squadrati che
cedono il posto,
dopo una cornice
marcapiano che
corre lungo
tutti i lati, a
conci in pietra
di minori
dimensioni; nei
quattro piani più
alti si aprono
rispettivamente
tre eleganti
trifore
sovrapposte ed
una quadrifora
finale, con
colonnine e
capitelli a
gruccia. La
cuspide
piramidale che
lo sormonta è
del XV secolo.
La
facciata ha la
classica forma a
salienti, che si
presenta
tuttavia
asimmetrica
verso Nord per
effetto
dell'inglobamento
del vecchio
campanile (reso
ancora visibile
da archetti
pensili e da
quanto resta di
una bifora
tamponata)
demolito nel XV
secolo. Essa si
presenta in
forme
tardogotiche per
effetto del
portale ad ogiva
contornato da
un'alta
ghimberga con
cornice in
cotto,
sormontata a sua
volta da un
pinnacolo che
arriva quasi al
colmo del
tetto.
Un
piccolo
campanile e due
ulteriori
pinnacoli in
cotto, posti
rispettivamente
sul colmo ed
agli estremi del
tetto, ne
aumentano
ulteriormente lo
slancio
verticale. Vista
dal lato
orientale la
chiesa mostra
l'abside
semicircolare
che chiude la
navata maggiore
e due absidi
quadrate che
chiudono le
navate minori.
Nella
piccola piazza
in cui si erge
la Collegiata,
val la pena
ricordare lui,
un maestoso
quanto spoglio
albero che sta
lì a far da
guardiano da
oltre
quattrocento
anni (fu
piantato tra il
1530 e il 1550),
in sostituzione
di un vecchio
olmo, abbattuto
da un forte
vento. La
leggenda vuole
che sia stato
piantato da
Sant'Orso in
persona nel VII
secolo... Si
tratta di un
tiglio e la sua
presenza è
attestata in un
dipinto su legno
del 1514, che è
conservato nella
sacrestia. Il
tiglio ha un
tronco che
misura 1,30 m di
diametro e
necessita di un
sostegno
metallico per
non crollare. Il
Tiglio è
annoverato dai
tempi antichi e
dai Celti quale
albero
'femminile',
simbolo
dell'amore
coniugale: i
suoi fiori dal
gradevole
profumo erano
simbolo di
amicizia e
socievolezza.
Nel 1951 un
temporale lo
sventrò e i
segni si vedono
ancora oggi;
malgrado tutto
ciò, l'albero
ogni anno
fiorisce. Dal
1924 è stato
dichiarato
'monumento
nazionale'!

INTERNO
- Entrato
nella
cattedrale, con
le tre navate
segnate da
robusti pilastri
a sezione
quadrangolare,
il visitatore è
subito immerso
in
un'atmosferica
tardogotica,
ancora
ampiamente
connotata dalle
scelte estetiche
di Giorgio di
Challant, a
cominciare dalle
volte a crociera
che sovrastano
la navata
centrale ed il
coro. I cinque
archi che
segnano le
campate della
volta presentano
sottarchi
affrescati,
opera
dall'atelier
guidato dal 1499
dal Maestro
Colin: quattro
sottarchi vedono
contrapposti tra
loro i busti di
tre apostoli e
di tre di
profeti, il
quinto mostra
tre santi
(Lorenzo,
Giorgio e
Maurizio)
contrapposti a
tre sante
(Lucia, Barbara
e Agnese) Le
figure
accompagnate da
vistosi
cartigli,
presentano volti
connotati da una
marcata
espressività;
tra una figura e
l'altra sono
inseriti
riquadri con un
fregio fogliato.
Allo
stesso atelier
si deve
l'esecuzione
degli affreschi
dell'altare di
San Sebastiano,
posto al termine
della navata
destra,
all'esterno del
coro, affreschi
che hanno
ritrovato piena
leggibilità
dopo un recente
restauro (2009).
Nella piccola
cappella che
ospita
l'affresco si
osserva, in alto
nella lunetta,
una Madonna
in trono col
Bambino tra i
santi Michele e
Antonio abate;
il registro
inferiore è
interamente
dedicato al Martirio
di San
Sebastiano,
mentre sui due
pilastri sono
raffigurati un Santo
Vescovo e San
Rocco. La
scena del
martirio, in
particolare,
rende palese
come l'autore si
attardi su
moduli di tipo
tardo gotico,
mostrandosi
sordo alle novità
rinascimentali.

Un
tramezzo barocco
in marmi
policromi con
tre archi
sormontato da
una balaustra
traforata -
costruito nel
1768 in
sostituzione del
jubè medievale,
di cui mantiene
in qualche modo
la fisionomia -
separa la navata
centrale dal
coro (lo spazio
riservato ai
presbiteri); al
centro di esso
poggia un Crocifisso
con la Maddalena
inginocchiata ai
suoi piedi
opera lignea del
Settecento.
Trovano posto
nel coro
importanti
testimonianze
artistiche di
epoche diverse.
Più
in basso
rispetto al
pavimento, sotto
un vetro che lo
protegge, si
osserva un
mosaico a
tessere bianche
e nere con
alcuni inserti
di tessere di
colore marrone
chiaro riportato
alla luce
durante gli
scavi del 1999.
Il tappeto
musivo che
risale al XII
secolo –
verosimilmente
agli anni della
costruzione del
chiostro - ha
forma quadrata,
di lato pari a 3
metri, con gli
spigoli disposti
secondo i
quattro punti
cardinali; nel
medaglione posto
al centro di sei
diverse cornici
è raffigurata
la scena di Sansone
che uccide il
leone La
cornice più
esterna contiene
un'iscrizione
composta da due
versi INTERIUS
DOMINI DOMUS HEC
ORNATA DECENTER
• QUERIT EOS
QUI SEMPER EI
PSALLANT
REVERENTER.
Dopo
un'ampia fascia
con un intreccio
a nodi
alternati, è
posta una
seconda
iscrizione nella
quale si leggono
in cerchio le
parole ROTAS
OPERA TENET
AREPO SATOR Una
lettura in senso
inverso ci
mostra che si
tratta di una
frase
palindroma; le
parole che la
formano sono le
stesse del
cosiddetto
Quadrato del
Sator che
compare in
iscrizioni
antiche ed il
cui senso è
alquanto
controverso. Nei
quattro spazi
angolari, tra i
bordi del
quadrato e ed il
cerchio della
prima cornice
trovano posto le
raffigurazioni
di un leoncino,
di un uomo-pesce
che sorregge un
serpente, di un
drago e infine
di un'aquila con
due corpi
congiunti in una
sola testa.

Meritano
particolare
attenzione gli
stalli lignei
posti sui due
lati del coro
realizzati verso
il 1487. Si
tratta di un
lavoro di
notevolissimo
livello, sia per
l'architettura
complessiva
nello stile
gotico
d'Oltralpe detto
"flamboyant",
sia per il
dettaglio degli
intagli lignei;
l'autore è un
ignoto artista
di cultura
svizzero-renana
(che doveva
essere, in
quegli anni,
subentrato con
la sua bottega
in Aosta
all'atelier di
Jean Vion de
Samoëns e di
Jean de Chetro
che, una ventina
di anni prima,
aveva realizzato
gli stalli della
Cattedrale).
Addossati alla
parete di
sinistra trovano
posto 11 stalli
e la cattedra
del priore; 13
sono gli stalli
sulla destra. I
dossali degli
stalli recano
figure di santi
e di profeti che
si alternano tra
loro (a
simboleggiare la
continuità tra
Antico e Nuovo
Testamento). Di
grande qualità
sono anche le
statue lignee
che decorano in
alto la cattedra
priorale e le
due schiere di
stalli, con le
figure della
Maddalena, di
Sant'Agnese, di
San Giorgio e di
San Pietro, e
quelle dei santi
Grato, Orso e
Michele; mentre
nei poggiamano e
nelle
"misericordie"
(sostegni posti
nella parte
esterna dei
sedili ai quali
ci si può
appoggiare
quando il sedile
è rialzato)
troviamo
intagliate
inquietanti
figure umane ed
animali
bizzarri.
Volgendo
lo sguardo verso
le finestre
dell'abside, il
visitatore è
colpito dai
colori delle
cinque vetrate,
opera di
notevole qualità
artistica
realizzate tra
il 1494 ed il
1503. Si
riconoscono le
raffigurazioni
di San
Pietro, Madonna
col Bambino,
Crocifissione,
Buon Pastore,
Sant'Orso.
Il disegno e la
gamma cromatica
delle cinque
vetrate
richiamano alla
mente altre
vetrate
altrettanto
belle realizzate
in Valle
d'Aosta: quelle
presenti nella
Cattedrale e
quelle
provenienti da
Castello di
Issogne (e
conservate ora
al Museo Civico
di Torino). Gli
autori sono quei
magistri
verreriarum
di scuola
nordica che
operarono con
continuità al
servizio di
Giorgio di
Challant,
segnatamente
Jean Baudichon e
Pietro Vaser
(successore di
Baudichon).
GLI
AFFRESCHI
OTTONIANI - Del
periodo della
"chiesa
anselmiana"
rimangono nello
spazio tra il
tetto e le volte
quattrocentesche
(accessibile
tramite
passerelle)
consistenti
frammenti di un
ciclo di
affreschi del XI
secolo. Essi
costituiscono -
assieme a quelli
appena
successivi e
realizzati con
ogni probabilità
dallo stesso
"atelier"
pittorico,
presenti nel
sottotetto della
Cattedrale di
Aosta - una
delle
testimonianze più
antiche di arte
romanica del
periodo
ottoniano, e ci
lasciano
immaginare
l'aspetto
sontuoso che
doveva avere la
navata, ricca di
scene
raffigurate con
accesi toni
cromatici e
sottolineate con
tratti
vigorosi.
Tracce
di tale impresa
pittorica si
possono ora
osservare anche
(dopo interventi
recentemente
effettuati)
nella navata
centrale e nella
controfacciata;
si tratta
tuttavia di
frammenti ormai
difficilmente
leggibili.
Per
guadagnare la
possibilità di
osservare quanto
si è meglio
conservato dello
straordinario
ciclo di antichi
dipinti (che,
assieme a quelli
della
cattedrale,
qualifica Aosta
come una delle
città che
conserva le
maggiori
testimonianze di
pittura
ottoniana)
occorre salire
nel sottotetto
(visite
accompagnate).
Le
diverse scene
affrescate sono
sormontate da
una greca
prospettica che
ingloba al suo
interno figure
di animali e di
oggetti
rappresentate
con notevole
realismo. Non
tutte le scene
frammentarie si
lasciano
individuare;
un'analisi
iconografica
consente di
individuare le
seguenti scene:
-
Parete Nord:
Frammenti di un Giudizio
Universale; Le
nozze di Cana -
Parete Sud: Sant'Andrea
a Patrasso; San
Giovanni
Evangelista ad
Efeso; San
Giacomo Maggiore
condannato a
morte a
Gerusalemme;
Miracolo di
Gesù che
cammina sul lago
di Genezareth;
Miracolo di
Gesù che calma
le acque del
lago; Un
martirio
(Sant'Erasmo?)
per fustigazione
-
Parete ovest: Un
martirio per
conficcazione di
chiodi nella
pianta di un
piede
L'ambito
culturale
dell'atelier che
ha realizzato
gli affreschi è
quello
cosiddetto
"lombardo";
ad esso possono
essere
stilisticamente
collegati i
cicli della
basilica di San
Vincenzo a Cantù
e del battistero
del Duomo di
Novara.
LA
CRIPTA - Al
termine le
navate laterali,
una scala
consente di
scendere nella
cripta: è
questa la parte
più antica
della
cattedrale,
testimonianza
della
"basilica
anselmiana"
che si è quasi
integralmente
conservata, con
la sua aula
sotterranea
divisa in cinque
navatelle con
tre absidiole
semicircolari
disposte a
raggiera. Le
volte ogivali
segnate da
marcati
costoloni sono
rette da
pilastrini a
sezione quadrata
od ottagonale
rozzamente
lavorati, e da
colonne prive di
capitello,
provenienti
probabilmente da
edifici antichi.
Se la soluzione
delle tre
absidiole
rivolte ad
oriente ricorda
esempi del
territorio
francese, la
struttura
architettonica
che vede le
imposte degli
archi poggiare
direttamente sui
pilastrini
richiama alla
mente la cripta
della San
Michele ad
Oleggio.
ORGANO
A CANNE - Nell'abside,
dietro l'altare
maggiore
barocco, si
trova l'organo a
canne costruito
nel 1901
dall'organaro
Giuseppe Mola e
ricostruito nel
1978 dalla ditta
organaria
Fratelli Krengli.
A trasmissione
elettrica, ha
due tastiere di
61 note ed una
pedaliera di
32.
MUSEO
DEL TESORO DELLA
COLLEGIATA - Molte
delle opere
artistiche
realizzate per
la collegiata
sono raccolte
nel Tesoro
situato nella
sacrestia
(attualmente non
visitabile). Vi
trovano posto
sculture,
dipinti,
paramenti
liturgici,
codici miniati,
e preziose opere
di oreficeria
sacra.
Tra
di essi vanno
quanto meno
menzionati una cassa
reliquiario di
Sant'Orso
del 1359, un
calice del XIII
secolo, il busto
reliquiario di
San Pietro,
il Messale
festivo della
collegiata dei
santi Pietro ed
Orso (ante
1509) del
cosiddetto
“Miniatore di
Giorgio di
Challant”,
altri preziosi
codici miniati
dell'inizio del
XVI secolo, una
statuina in
alabastro
raffigurante un chierico,
realizzata nel
1420-22, da
Stefano
Mossettaz, il
dipinto (ex
voto) Guarigione
di Wuillerine
realizzata nel
1514 dal Maestro
di Wuillerine.

IL
CHIOSTRO - Il
chiostro della
Collegiata di
Sant'Orso con i
suoi capitelli
istoriati
realizzati nel
XII secolo
costituisce una
splendida
testimonianza di
arte romanica.
Il
chiostro,
adiacente alla
collegiata di
Sant'Orso, ha un
impianto
rettangolare; il
lato maggiore
che corre lungo
il lato sud
della chiesa
misura 19,5
metri, mentre
quello minore è
di 10,7 metri.
Le volte sono
sostenute da
pilastri e da
colonne semplici
e binate;
nell'area
centrale è
posto un antico
pozzo.
La
sua costruzione
si colloca negli
anni
immediatamente
successivi al
1132, come
attesta
l'iscrizione di
uno dei
capitelli:
"ANNO AB
INCARNATIO (N) E
DOMINI MC XXX
III IN HOC
CLAUSTRO REGULAR
(I) S VITA
INCEPTA
EST", che
indica
l’inizio
effettivo della
vita
comunitaria. In
quell'anno aveva
infatti ottenuto
risposta
positiva la
richiesta
avanzata al papa
Innocenzo II dal
vescovo di Aosta
Eriberto (già
canonico
regolare di
Sant'Agostino
del Capitolo di
Abondance nel
Chiablese in
Alta Savoia),
finalizzata ad
avere, per la
congregazione di
Sant'Orso, la
possibilità di
fondare una
comunità di
agostiniani.
Arnolfo di Avise
fu nominato da
Eriberto priore
della comunità;
sotto la sua
guida furono
realizzati,
oltre al
chiostro, gli
altri locali
conventuali
(dispensa,
refettorio,
dormitorio, sala
priorale)
disposti attorno
al chiostro e fu
ampliato il coro
della collegiata
in coerenza con
le esigenze
delle vita
comunitaria. Non
tutta la critica
condivide la
datazione della
costruzione del chiostro
in anni prossimi
al 1132:
considerazioni
stilistiche
porterebbero ad
una data più
tarda, dopo la
metà del XII
secolo, quando
Arnolfo di Avise
aveva a sua
volta ottenuto
la cattedra
episcopale.

Alcuni
verbali di
visite pastorali
attestano come
il chiostro
fosse affrescato
con scene della
vita di
Sant'Orso;
affreschi che
già
all’inizio del
XV secolo erano
diventate
illeggibili.
Il
chiostro ha
subito nel tempo
alcune modifiche
architettoniche.
Nella seconda
metà del XV
secolo, per
iniziativa di
Giorgio di
Challant
(nominato nel
1468 priore
della Collegiata
di Sant'Orso)
vennero rifatte
le volte, con la
struttura a
crociera oggi
visibile.
La
decadenza della
vita
comunitaria,
iniziata già
nel XVI secolo,
culminò nel
1644 quando
venne soppresso
il cenobio
agostiniano.
Furono allora
abbattuti, tra
il XVIII e XIX
secolo gli
edifici
conventuali che
si affacciavano
sul lato
orientale del
chiostro, che
venne
anch’esso
demolito e
ricostruito con
volte a vela. In
seguito a tali
lavori alcuni
capitelli
andarono
dispersi:
quattro di essi
sono oggi
conservati nel
Museo civico
d'arte antica di
Torino.
I
capitelli
- Posti
su pilastri o su
colonnine
semplici o
binate, i
capitelli
costituiscono la
parte
artisticamente
più importante
del chiostro. Si
sono conservati
37 degli
originali 52
capitelli (altri
3, posti sul
lato est, sono
di fine
Settecento,
inseriti nel
corso di una
ristrutturazione
del chiostro).
Il
materiale con il
quale essi
furono
realizzati è il
marmo bianco,
mentre le
colonne sono in
bardiglio di
Aymavilles; tali
materiali, in
origine,
producevano nel
chiostro un
effetto di
policromia,
accentuata da
decorazioni
pittoriche.
Sotto la vernice
nera che ricopre
oggi tutti i
sostegni degli
archi sono state
trovate infatti
tracce di
pigmento rosso e
nero.
Non
si conosce
esattamente la
data (anteriore
comunque al XVII
secolo) in cui
venne stesa la
vernice nera che
conferisce oggi
al chiostro
un’aura
alquanto severa,
secondo Robert
Berton, simbolo
di penitenza, di
rinuncia e
mortificazione
della carne. Si
è formulata
l'ipotesi che ai
capitelli ed ai
loro supporti
sia stata
applicato per
impermeabilizzarli
un composto
colloso
trasparente
misto a cenere
che, ossidandosi
con il tempo, li
avrebbe
definitivamente
anneriti.
ICONOGRAFIA
DEI
CAPITELLI
Lato
Nord
-
Capitello
1: Figure
di
animali
mostruosi
accovacciati
-
Capitello
2: Sadrac,
Masac
e
Abednego
nella
fornace
ardente
-
Capitello
3: Annunciazione,
Davide,
San
Giuseppe
-
Capitello
4: Natività
-
Capitello
5: I
magi
davanti
ad
Erode
-
Capitello
6: Fuga
in
Egitto
-
Capitello
7: Motivi
decorativi
-
Capitello
8: Lapidazione
di
Santo
Stefano
oppure
Storie
di
Giobbe
-
Capitello
9: Scena
di
vita
monastica
oppure
Eliezer
e
Rebecca
al
pozzo
-
Capitello
10: Capitello
decorativo
-
Capitello
11: Arpie
-
Capitello
12: Favola
della
volpe
e la
cicogna
-
Capitello
13 -
14-
15: Motivi
decorativi
Lato
ovest
-
Capitello
(binato)
16: Nascita
di
Giacobbe
ed
Esaù,
Esaù
a
caccia;
16 bis
(copia):
Rebecca
spinge
Giacobbe
davanti
ad
Isacco
-
Capitello
17: Rebecca
consiglia
a
Giacobbe
di
fuggire,
Sogno
di
Giacobbe
-
Capitello
(binato)
18: Gregge
di
Rachele
al
pascolo;
18
bis: Giacobbe
incontra
Rachele
al
pozzo
-
Capitello
19: Riconciliazione
di
Giacobbe
ed
Esaù
in
presenza
delle
mogli,
dei
figli
e
delle
greggi :
-
Capitello
(binato)
20: I
figli
di
Giacobbe;
20
bis: Labano,
Giacobbe,
Rachele
e gli
idoli
rubati
-
Capitello
21: Giacobbe
lotta
con
l’angelo
-
Capitello
(binato)
22: I
figli
di
Giacobbe;
22
bis: Giuseppe
e
altri
figli
di
Giacobbe
-
Capitello
23: Motivi
decorativi

Lato
sud
-
Capitello
24: Arpie
-
Capitello
25: Motivi
decorativi
-
Capitello
26: Composizione
decorativa
con
figure
umane
-
Capitolo
27 -
28 -
29- 30
-31: Profeti
con
cartigli
-
Capitello
32: Storie
di
Sant'Orso
-
Capitello
33: Apostoli
Andrea
e
Simone,
Resurrezione
di
Lazzaro
-
Capitello
34: Apostoli
Bartolomeo
e
Giacomo,
Gesù
visita
Maria
Maddalena
e
Marta
-
Capitello
35: Fondazione
del
convento
sotto
la
regola
di
Sant'Agostino
-
Capitello
36: Decorazione
a
viluppi
foliacei
con
iscrizione
sulla
fondazione
del
convento
Lato
est
|
I
capitelli
configurano nel
loro insieme un
ampio
"poema
marmoreo",
con un programma
iconografico
alquanto
eterogeneo,
comprendente
scene
dell'Antico
Testamento,
(Storie di
Giacobbe,
Profeti), scene
evangeliche
(storie della
vita di Gesù,
Apostoli), scene
agiografiche
riferite a
Sant'Orso ed
alla fondazione
del cenobio,
nonché soggetti
moraleggianti di
cultura pagana
(favole di
Esopo) e
raffigurazioni
decorative di
carattere
zoomorfo e
vegetale.
L'atelier
del chiostro
ursino si
caratterizza per
l’asperità
del linguaggio
artistico, con
un forte senso
per i volumi e
con soluzioni
compositive
essenziali, ma
non prive di
attenzione
minuziosa ai
dettagli
dell’abbigliamento
dei personaggi
ed alle figure
animali.
Dal
punto di vista
stilistico gli
studiosi hanno
messo in
evidenza tanto
accostamenti al
linguaggio della
scultura
romanica di area
lombarda (ad es.
i capitelli
biblici della
Basilica di San
Michele Maggiore
a Pavia) ovvero
alla scultura
provenzale (ad
es. i capitelli
del chiostro
della chiesa di
Saint-Trophime
ad Arles).



Dopo
avere
sottolineato le
strette
somigliante con
i capitelli
raffiguranti la Natività
e l'Annuncio
ai pastori
nel battistero
della basilica
di Saint-Martin
d'Ainay a Lione
ed anche con
l'altare
marmoreo firmato
"Pietro di
Lione"
nella cattedrale
di Susa, osserva
Sandra Barberi:
"Superando
la tradizionale
disputa che
divideva la
critica tra
l'attribuzione
"lombarda"
e quella
"provenzale",
la provenienza
dell'atelier
attivo ad Aosta
va cercata
appunto nella
regione del
medio Rodano,
dove tra la fine
dell'XI secolo e
l'inizio del XII
secolo va
maturando, alla
luce
dell'esperienza
della scultura
borgognona, un
linguaggio
originale che
giocherà un
ruolo decisivo
per lo sviluppo
della scultura
romanica
provenzale".
IL
PRIORATO DI
SANT'ORSO - Fa
parte del
"Complesso
di S. Orso"
– oltre alla
chiesa
collegiata, il
campanile, ed il
chiostro - anche
il Priorato
di S. Orso.
Si tratta di
un'ampia
costruzione
posta a destra
della chiesa,
formata da tre
corpi di
fabbrica con
cinque arcate;
presenta in
facciata
suggestive
decorazioni in
cotto che
incorniciano le
eleganti finestre
crociate e
sottolineano,
con ampi
cornicioni, le
separazioni tra
i diversi piani.
L'edificio è
sovrastato da
una torre a
pianta
ottagonale
culminante in
una cuspide
aguzza.
L'edificio
fu fatto erigere
intorno al 1468
come sede del
priorato da
Giorgio di
Challant,
ispirandosi ai
modelli
dell'architettura
civile francese;
le decorazioni
in cotto si
ispirano invece
ad un gusto
piemontese e
lombardo
alquanto in voga
nel XV secolo.
Preesistevano al
priorato, forse
sin dall'epoca
della prima
basilica,
edifici di
carattere
religioso e, tra
essi, il vecchio
battistero (cosa
che spiegherebbe
la struttura
ottagonale
scelta per la
torre).
In
facciata, in
apposite nicchie
rettangolari,
troviamo alcuni
stemmi
nobiliari: oltre
a quelli dei
Savoia e degli Challant,
si riconosce
anche lo stemma
del priore
Hubert Angley
che precedette
Giorgio di
Challant nel
ruolo di priore.
All'interno
dell'edificio
(attualmente non
visitabile) una
scala a
chiocciola,
ricavata nella
torre, conduce
alla sala
priorale ed alla
cappella
affrescata da
artisti
franco-valdostani
della fine del
XV secolo.

Tour
du Pailleron
Seguendo
lo sviluppo
delle mura
romane
meridionali,
raggiunta la
piazza della
stazione
ferroviaria, si
può osservare
sulla destra la
torre meglio
conservata della
cinta chiamata
"del
Pailleron".
E' l'unica torre
a non essere
stata
rimaneggiata in
epoca medioevale
e il suo nome
deriva
dall'utilizzo
per lunghissimo
tempo quale
pagliaio.
La
torre è a
pianta
quadrangolare ed
è aperta su
ognuno dei
quattro lati da
sei grandi
finestre, tre
per ogni
piano.
Parzialmente
distrutta da un
incendio
all'inizio
dell'800, fu
restaurata alla
fine del secolo
stesso grazie
alla
reintegrazione
dei mattoni del
secondo piano
perfettamente
distinguibile
dal corpo
originario di
materiale
tufaceo.

Torre
del Lebbroso
La
Torre del
lebbroso venne
costruita sui
resti di
un'antica torre
romana e fu in
origine nota
come torre Friour
o De Friours
dal nome della
famiglia che la
abitò. I De
Friour, la cui
famiglia è
citata per la
prima volta in
un documento del
1191, occupavano
anche la Porta
Decumana,
oggi scomparsa.
In seguito la
torre venne
abbandonata e
chiamata
localmente Tour
de la frayeur
(in francese,
"Torre
dello
spavento").
Dopo
alcuni passaggi
di proprietà,
nel 1773 fu
acquistata
dall'Ordine
Mauriziano. A
quest'epoca
deriverebbe il
nome attuale,
legato alla
presenza tra il
1773 e il 1803
di Pietro
Bernardo Guasco
da Oneglia, un
lebbroso che vi
fu rinchiuso
fino alla morte
con la sorella
per evitare il
contagio della
città per fare
parte dell'Hospice
de charité
fondato da
Jean-Boniface
Festaz. La sua
vicenda ispirò
le vicende del
romanzo Il
lebbroso della
città d'Aosta
dello scrittore
savoiardo Xavier
de Maistre,
pubblicato nel
1811.
Nel
1890 l'edificio
fu restaurato
dall'"Ufficio
regionale pei
Monumenti del
Piemonte e della
Liguria"
diretto da
Alfredo D'Andrade.
Oggi appartiene
alla Regione
Autonoma Valle
d'Aosta che ne
ha fatto una
sede espositiva.
La
Torre del
lebbroso è
impiantata sulle
fondamenta di
una precedente
torre romana,
che il restauro
della fine del
XIX secolo ha
riportato alla
luce
evidenziandone
la struttura a
risega. A questa
torre se ne
aggiunse poi una
medievale nel XV
secolo, a pianta
quadrata, a cui
si accedeva
tramite una
scala esterna
coperta da
tettoia e al cui
interno si
trovava la scala
a chiocciola a
permettere
l'accesso ai
piani. Le
antiche finestre
romane sono
state in massima
parte chiuse, ma
le rimanenti
ancora danno
luce ai piani
interni.
Castello
di Bramafram
Il castello
di Bramafam,
comunemente
chiamato torre
di Bramafam e
raramente castello
dei Visconti
di Aosta,
si trova nella
città di Aosta,
all'angolo tra
via Bramafam e
viale Carducci,
lungo la cinta
muraria di epoca
romana.
Quest'opera è
conosciuta anche
con il nome di
torre Biatrix,
prendendo di
fatto nome della
porta che la
fiancheggia.
Il
nome Bramafam
deriva dal
termine “bramé
la fam” ossia
gridare per la
fame. Questa
accezione del
nome della torre
è spiegabile
dal fatto che in
seguito alle
tremende
carestie
medievali, la
gente si
raggruppava
davanti al
castello per
reclamare la
distribuzione
del cibo.
Una
leggenda del
luogo racconta,
invece, che le
urla per la
fame, sarebbero
quelle della
moglie infedele
di uno di
Challant, il
quale la fece
rinchiudere
nelle mura per
farla morire di
fame.
Il
castello
composto da un
grande edificio
parallelepipedo,
un tempo adibito
ad abitazione, e
dall'adiacente
torre
cilindrica, la
quale si
innalzava sul
bastione della
"porta
principale
destra"
(porta
principalis
dextera) della
cinta muraria
romana. In
alcuni punti
alla base della
torre è ancora
visibile il muro
romano
originale,
mentre sul lato
meridionale è
ben leggibile la
scarpata di
epoca medievale.
La torre è
completata da
una merlatura
guelfa e
presenta alcune
strette
feritoie.
Il
fabbricato
principale
esibisce una
serie di
finestre a bifora sul
lato
settentrionale,
la cui fattura
ricorda le
bifore del castello
di Ussel.
L'edificio
rivela la
presenza di due
accessi: dal
lato
occidentale,
l'accesso
principale si
apre con una
porta ad arco e
un tempo era
corredato da un ponte
levatoio,
mente dal lato
orientale si
apriva un
secondo accesso.
Particolarità
del castello di
Bramafam era la
cisterna
dell'acqua,
addossata al
lato sud
dell'edificio
principale e non
interrata come
negli altri
castelli della
Valle. Torre e
fabbricato sono
entrambi ridotti
in rovina da
secoli.
Il
castello di
Bramafam,
secondo Bruno
Orlandoni, porta
chiari i segni
di una
tradizione di
progettazione e
tecnica
architettonica
che deriverebbe
dallo stile
gotico internazionale:
in particolare,
in epoca
medievale egli
riscontra un
"proporzionamento
di tipo aureo",
ossia non l'uso
vero e proprio
della sezione
aurea, ma
piuttosto una
proporzione di
riferimento ad
essa molto
vicina. La
mancanza di
rilievi e di
studi più
approfonditi
impedisce di
valutarne
appieno le
implicazioni.
I
ruderi del
castello attuale
sono
probabilmente
databili intorno
alla seconda metà
del XIII
secolo,
ma la presenza
di una torre in
loco è
precedente. In
origine vi si
trovava una
torre la cui
presenza è
testimoniata in
alcuni documenti
del 1212 - 1214:
era detta torre
Beatrice (tour Béatrix),
dal nome che
assunse anche la porta
principalis
dextera allorché Beatrice
di Ginevra volle
convolare a
nozze con Gotofredo
I di Challant,
nel 1223. Sede
del viscontato
di Aosta,
il castello fu
riadattato a
castello in epoca
medievale per
volere della
nobile famiglia
degli Challant.
In
mano agli
Challant, che
avevano il
controllo su
tutta la cinta
sud-occidentale
delle mura, il
castello di
Bramafam subì
il saccheggio di Giacomo
di Quart nel 1253.
Nel 1295 venne
ceduto da Ebalo
I di Challant al
conte di Savoia Amedeo
V, in
occasione della
cessione del
Viscontato e in
cambio del feudo
di Monjovet.
Tuttavia, alla
famiglia
Challant restò
ancora qualche
diritto sul
castello di
Bramafam, dato
che nel XVIII
secolo ne
affittava le
rovine.
L'edificio
cambiò molti
proprietari nel
corso dei secoli
e fu spesso
conteso tra le
varie famiglie
della zona. Versò
presto in stato
di degrado,
perdendo
importanza
politica e
amministrativa:
nel XVI
secolo -
quando la
Cancelleria, le
compravendite
basate sulle Carte
Augustane,
la stipula di
atti pubblici e
privati passò
definitivamente
di mano dai
Visconti ai notai -
il castello di
Bramafam era già
in rovina.

Giugno
2013
Fonte
Pag.
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