Aosta

    

   
Complesso monumentale di di Sant'Orso
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La chiesa collegiata dei Santi Pietro e Orso costituisce, assieme alla cattedrale di Aosta, la testimonianza di maggior rilievo della storia dell'arte sacra in Valle d'Aosta. Uno specifico interesse rivestono gli antichi affreschi ottoniani conservati tra il tetto e la copertura della navata centrale, ed il chiostro con i suoi magnifici capitelli medievali.

Gli scavi archeologici hanno messo in evidenza come, nell'area oggi occupata dalla chiesa, fosse presente un'ampia necropoli extraurbana, sulla quale nel V secolo fu edificata un complesso paleocristiano comprendente, oltre alla nostra chiesa, anche quella cruciforme di San Lorenzo (che si trova sotto l'attuale omonima chiesa sconsacrata). La chiesa primitiva era ad aula unica delimitata da un'abside semicircolare; essa venne interamente ricostruita ed ingrandita nel IX secolo, in epoca carolingia. Nel 989 si aggiunse alla chiesa esistente un campanile (i cui resti sono ancora visibili incorporati nella facciata attuale della chiesa). 

Un ulteriore intervento costruttivo fu quello promosso dal vescovo Anselmo che tenne la cattedra vescovile in Aosta tra il 994 e il 1026 (da non confondersi con Anselmo di Aosta, filosofo e santo, nato nel 1033). Tale intervento è testimoniato in un passo del Necrologium della collegiata che menziona il defunto con l'espressione Anselmus Episcopus Augustiensis qui nostram construxit ecclesiam. 

Per sua iniziativa l'intera chiesa venne ristrutturata nelle forme tipiche dell'architettura romanica, come edificio basilicale, diviso in tre navate con copertura a capriate lignee chiuse ad oriente da altrettante absidi semicircolari. Il coro, sopraelevato rispetto al piano delle navate, sovrastava (come avviene ancor oggi) una cripta formata da due vani: quella occidentale conteneva alcune importanti sepolture, quella orientale - destinata a cerimonie di culto - era divisa in cinque navatelle con tre absidiole semicircolari disposte a raggiera. Del "periodo anselmiano" rimangono oltre alle mura e ai pilastri, la cripta (non più separata in due vani) e gli affreschi, esempi importanti di arte ottoniana, posti nella parte superiore della navata, tra il tetto e la copertura con volte a crociera realizzata a fine Quattrocento.

L'imponente campanile romanico, alto 44 metri, che sorge sul sagrato della chiesa in posizione da essa isolata, fu eretto nel XII secolo come parte di un sistema difensivo costituito da una cinta muraria e da una seconda torre di grandi dimensioni. La parte inferiore è quella originaria, formata da enormi massi squadrati, tolti forse ai vicini monumenti romani; la parte superiore è probabilmente del XIII secolo, mentre l'orologio esisteva già nel 1642.

La costruzione del chiostro romanico, istoriato dai suggestivi capitelli per i quali la collegiata di Sant'Orso va celebre, si colloca negli anni immediatamente successivi al 1133 (1132 secondo il calendario attuale), come attesta l'iscrizione di uno dei capitelli: "ANNO AB INCARNATIO (N) E DOMINI MC XXX III IN HOC CLAUSTRO REGULAR (I) S VITA INCEPTA EST", che indica l'inizio effettivo della vita comunitaria. 

In quell'anno aveva ottenuto risposta positiva la richiesta avanzata al papa Innocenzo II dal vescovo di Aosta Eriberto (già canonico regolare di Sant'Agostino del Capitolo di Abondance nel Chiablese in Alta Savoia), finalizzata ad avere, per la congregazione di Sant'Orso, la possibilità di fondare una comunità di agostiniani. Gli archi e le volte attuali del chiostro sono frutto di un rimaneggiamento posteriore, avvenuto all'epoca Giorgio di Challant (1468-1509), salvo uno dei lati minori che fu rifatto nel secolo XVIII.

Oltre a quelli eseguiti nel chiostro e nei locali del monastero altri interventi promossi alla fine del XV secolo da Giorgio di Challant, priore della collegiata di Sant'Orso e grande artefice del rinnovamento culturale ed artistico valdostano, comportarono il rifacimento della facciata (1492 – 94) e la sostituzione della vecchia copertura a capriate con una più bassa copertura realizzata con volte a crociera di gusto tardogotico. Un atelier di pittori comprendente il Maestro Colin (attivo in quegli anni anche nel castello di Issogne), realizzò verso il 1499 la decorazione a fresco dei sottarchi, conferendo in tal modo alla chiesa l'aspetto che ha poi sostanzialmente mantenuto nel tempo. Lo stesso Challant tra il 1494 ed il 1503 fece realizzare le cinque vetrate dell'abside, allogando l'opera ai magistri verreriarum Jean Baudichon e Pietro Vaser.

Tra gli interventi voluti dallo Challant per aumentare il decoro ed il prestigio della chiesa va ricordata anche la realizzazione di un nuovo altare maggiore, oggi non più presente. Per realizzare quest'opera egli coinvolse il principale artista allora attivo presso la corte sabauda, il borgognone Antoine de Lonhy.

Sempre a Giorgio di Challant si deve la costruzione, nei pressi della chiesa, del Piorato di Sant'Orso, formato da tre corpi di fabbrica in stile rinascimentale, riuniti ad angolo e sormontati da una torretta ottagonale; il tutto impreziosito da decorazioni in cotto (esempio alquanto raro in Valle d'Aosta).

ESTERNO - Il complesso che si affaccia sulla piazzetta di Sant'Orso, comprendente la chiesa collegiata, il chiostro ed il priorato, assieme alla chiesa di San Lorenzo, costituisce un angolo della città di notevole interesse storico e di grande suggestione artistica.

La piazzetta è dominata dall'imponente campanile romanico a pianta quadrangolare, con la parte inferiore (quella del XII secolo) formata da enormi massi squadrati che cedono il posto, dopo una cornice marcapiano che corre lungo tutti i lati, a conci in pietra di minori dimensioni; nei quattro piani più alti si aprono rispettivamente tre eleganti trifore sovrapposte ed una quadrifora finale, con colonnine e capitelli a gruccia. La cuspide piramidale che lo sormonta è del XV secolo.

La facciata ha la classica forma a salienti, che si presenta tuttavia asimmetrica verso Nord per effetto dell'inglobamento del vecchio campanile (reso ancora visibile da archetti pensili e da quanto resta di una bifora tamponata) demolito nel XV secolo. Essa si presenta in forme tardogotiche per effetto del portale ad ogiva contornato da un'alta ghimberga con cornice in cotto, sormontata a sua volta da un pinnacolo che arriva quasi al colmo del tetto. 

Un piccolo campanile e due ulteriori pinnacoli in cotto, posti rispettivamente sul colmo ed agli estremi del tetto, ne aumentano ulteriormente lo slancio verticale. Vista dal lato orientale la chiesa mostra l'abside semicircolare che chiude la navata maggiore e due absidi quadrate che chiudono le navate minori.

Nella piccola piazza in cui si erge la Collegiata, val la pena ricordare lui, un maestoso quanto spoglio albero che sta lì a far da guardiano da oltre quattrocento anni (fu piantato tra il 1530 e il 1550), in sostituzione di un vecchio olmo, abbattuto da un forte vento. La leggenda vuole che sia stato piantato da Sant'Orso in persona nel VII secolo... Si tratta di un tiglio e la sua presenza è attestata in un dipinto su legno del 1514, che è conservato nella sacrestia. Il tiglio ha un tronco che misura 1,30 m di diametro e necessita di un sostegno metallico per non crollare. Il Tiglio è annoverato dai tempi antichi e dai Celti quale albero 'femminile', simbolo dell'amore coniugale: i suoi fiori dal gradevole profumo erano simbolo di amicizia e socievolezza. Nel 1951 un temporale lo sventrò e i segni si vedono ancora oggi; malgrado tutto ciò, l'albero ogni anno fiorisce. Dal 1924 è stato dichiarato 'monumento nazionale'!

INTERNO - Entrato nella cattedrale, con le tre navate segnate da robusti pilastri a sezione quadrangolare, il visitatore è subito immerso in un'atmosferica tardogotica, ancora ampiamente connotata dalle scelte estetiche di Giorgio di Challant, a cominciare dalle volte a crociera che sovrastano la navata centrale ed il coro. I cinque archi che segnano le campate della volta presentano sottarchi affrescati, opera dall'atelier guidato dal 1499 dal Maestro Colin: quattro sottarchi vedono contrapposti tra loro i busti di tre apostoli e di tre di profeti, il quinto mostra tre santi (Lorenzo, Giorgio e Maurizio) contrapposti a tre sante (Lucia, Barbara e Agnese) Le figure accompagnate da vistosi cartigli, presentano volti connotati da una marcata espressività; tra una figura e l'altra sono inseriti riquadri con un fregio fogliato.

Allo stesso atelier si deve l'esecuzione degli affreschi dell'altare di San Sebastiano, posto al termine della navata destra, all'esterno del coro, affreschi che hanno ritrovato piena leggibilità dopo un recente restauro (2009). Nella piccola cappella che ospita l'affresco si osserva, in alto nella lunetta, una Madonna in trono col Bambino tra i santi Michele e Antonio abate; il registro inferiore è interamente dedicato al Martirio di San Sebastiano, mentre sui due pilastri sono raffigurati un Santo Vescovo e San Rocco. La scena del martirio, in particolare, rende palese come l'autore si attardi su moduli di tipo tardo gotico, mostrandosi sordo alle novità rinascimentali.

Un tramezzo barocco in marmi policromi con tre archi sormontato da una balaustra traforata - costruito nel 1768 in sostituzione del jubè medievale, di cui mantiene in qualche modo la fisionomia - separa la navata centrale dal coro (lo spazio riservato ai presbiteri); al centro di esso poggia un Crocifisso con la Maddalena inginocchiata ai suoi piedi opera lignea del Settecento. Trovano posto nel coro importanti testimonianze artistiche di epoche diverse.

Più in basso rispetto al pavimento, sotto un vetro che lo protegge, si osserva un mosaico a tessere bianche e nere con alcuni inserti di tessere di colore marrone chiaro riportato alla luce durante gli scavi del 1999. Il tappeto musivo che risale al XII secolo – verosimilmente agli anni della costruzione del chiostro - ha forma quadrata, di lato pari a 3 metri, con gli spigoli disposti secondo i quattro punti cardinali; nel medaglione posto al centro di sei diverse cornici è raffigurata la scena di Sansone che uccide il leone La cornice più esterna contiene un'iscrizione composta da due versi INTERIUS DOMINI DOMUS HEC ORNATA DECENTER • QUERIT EOS QUI SEMPER EI PSALLANT REVERENTER. 

Dopo un'ampia fascia con un intreccio a nodi alternati, è posta una seconda iscrizione nella quale si leggono in cerchio le parole ROTAS OPERA TENET AREPO SATOR Una lettura in senso inverso ci mostra che si tratta di una frase palindroma; le parole che la formano sono le stesse del cosiddetto Quadrato del Sator che compare in iscrizioni antiche ed il cui senso è alquanto controverso. Nei quattro spazi angolari, tra i bordi del quadrato e ed il cerchio della prima cornice trovano posto le raffigurazioni di un leoncino, di un uomo-pesce che sorregge un serpente, di un drago e infine di un'aquila con due corpi congiunti in una sola testa.

Meritano particolare attenzione gli stalli lignei posti sui due lati del coro realizzati verso il 1487. Si tratta di un lavoro di notevolissimo livello, sia per l'architettura complessiva nello stile gotico d'Oltralpe detto "flamboyant", sia per il dettaglio degli intagli lignei; l'autore è un ignoto artista di cultura svizzero-renana (che doveva essere, in quegli anni, subentrato con la sua bottega in Aosta all'atelier di Jean Vion de Samoëns e di Jean de Chetro che, una ventina di anni prima, aveva realizzato gli stalli della Cattedrale). Addossati alla parete di sinistra trovano posto 11 stalli e la cattedra del priore; 13 sono gli stalli sulla destra. I dossali degli stalli recano figure di santi e di profeti che si alternano tra loro (a simboleggiare la continuità tra Antico e Nuovo Testamento). Di grande qualità sono anche le statue lignee che decorano in alto la cattedra priorale e le due schiere di stalli, con le figure della Maddalena, di Sant'Agnese, di San Giorgio e di San Pietro, e quelle dei santi Grato, Orso e Michele; mentre nei poggiamano e nelle "misericordie" (sostegni posti nella parte esterna dei sedili ai quali ci si può appoggiare quando il sedile è rialzato) troviamo intagliate inquietanti figure umane ed animali bizzarri.

Volgendo lo sguardo verso le finestre dell'abside, il visitatore è colpito dai colori delle cinque vetrate, opera di notevole qualità artistica realizzate tra il 1494 ed il 1503. Si riconoscono le raffigurazioni di San Pietro, Madonna col Bambino, Crocifissione, Buon Pastore, Sant'Orso. Il disegno e la gamma cromatica delle cinque vetrate richiamano alla mente altre vetrate altrettanto belle realizzate in Valle d'Aosta: quelle presenti nella Cattedrale e quelle provenienti da Castello di Issogne (e conservate ora al Museo Civico di Torino). Gli autori sono quei magistri verreriarum di scuola nordica che operarono con continuità al servizio di Giorgio di Challant, segnatamente Jean Baudichon e Pietro Vaser (successore di Baudichon).

GLI AFFRESCHI OTTONIANI - Del periodo della "chiesa anselmiana" rimangono nello spazio tra il tetto e le volte quattrocentesche (accessibile tramite passerelle) consistenti frammenti di un ciclo di affreschi del XI secolo. Essi costituiscono - assieme a quelli appena successivi e realizzati con ogni probabilità dallo stesso "atelier" pittorico, presenti nel sottotetto della Cattedrale di Aosta - una delle testimonianze più antiche di arte romanica del periodo ottoniano, e ci lasciano immaginare l'aspetto sontuoso che doveva avere la navata, ricca di scene raffigurate con accesi toni cromatici e sottolineate con tratti vigorosi. 

Tracce di tale impresa pittorica si possono ora osservare anche (dopo interventi recentemente effettuati) nella navata centrale e nella controfacciata; si tratta tuttavia di frammenti ormai difficilmente leggibili.

Per guadagnare la possibilità di osservare quanto si è meglio conservato dello straordinario ciclo di antichi dipinti (che, assieme a quelli della cattedrale, qualifica Aosta come una delle città che conserva le maggiori testimonianze di pittura ottoniana) occorre salire nel sottotetto (visite accompagnate).

Le diverse scene affrescate sono sormontate da una greca prospettica che ingloba al suo interno figure di animali e di oggetti rappresentate con notevole realismo. Non tutte le scene frammentarie si lasciano individuare; un'analisi iconografica consente di individuare le seguenti scene:

- Parete Nord: Frammenti di un Giudizio Universale; Le nozze di Cana

- Parete Sud: Sant'Andrea a Patrasso; San Giovanni Evangelista ad Efeso; San Giacomo Maggiore condannato a morte a Gerusalemme; Miracolo di Gesù che cammina sul lago di Genezareth; Miracolo di Gesù che calma le acque del lago; Un martirio (Sant'Erasmo?) per fustigazione

- Parete ovest: Un martirio per conficcazione di chiodi nella pianta di un piede

L'ambito culturale dell'atelier che ha realizzato gli affreschi è quello cosiddetto "lombardo"; ad esso possono essere stilisticamente collegati i cicli della basilica di San Vincenzo a Cantù e del battistero del Duomo di Novara.

LA CRIPTA - Al termine le navate laterali, una scala consente di scendere nella cripta: è questa la parte più antica della cattedrale, testimonianza della "basilica anselmiana" che si è quasi integralmente conservata, con la sua aula sotterranea divisa in cinque navatelle con tre absidiole semicircolari disposte a raggiera. Le volte ogivali segnate da marcati costoloni sono rette da pilastrini a sezione quadrata od ottagonale rozzamente lavorati, e da colonne prive di capitello, provenienti probabilmente da edifici antichi. Se la soluzione delle tre absidiole rivolte ad oriente ricorda esempi del territorio francese, la struttura architettonica che vede le imposte degli archi poggiare direttamente sui pilastrini richiama alla mente la cripta della San Michele ad Oleggio.

ORGANO A CANNE - Nell'abside, dietro l'altare maggiore barocco, si trova l'organo a canne costruito nel 1901 dall'organaro Giuseppe Mola e ricostruito nel 1978 dalla ditta organaria Fratelli Krengli. A trasmissione elettrica, ha due tastiere di 61 note ed una pedaliera di 32. 

MUSEO DEL TESORO DELLA COLLEGIATA - Molte delle opere artistiche realizzate per la collegiata sono raccolte nel Tesoro situato nella sacrestia (attualmente non visitabile). Vi trovano posto sculture, dipinti, paramenti liturgici, codici miniati, e preziose opere di oreficeria sacra. 

Tra di essi vanno quanto meno menzionati una cassa reliquiario di Sant'Orso del 1359, un calice del XIII secolo, il busto reliquiario di San Pietro, il Messale festivo della collegiata dei santi Pietro ed Orso (ante 1509) del cosiddetto “Miniatore di Giorgio di Challant”, altri preziosi codici miniati dell'inizio del XVI secolo, una statuina in alabastro raffigurante un chierico, realizzata nel 1420-22, da Stefano Mossettaz, il dipinto (ex voto) Guarigione di Wuillerine realizzata nel 1514 dal Maestro di Wuillerine.

IL CHIOSTRO - Il chiostro della Collegiata di Sant'Orso con i suoi capitelli istoriati realizzati nel XII secolo costituisce una splendida testimonianza di arte romanica.

Il chiostro, adiacente alla collegiata di Sant'Orso, ha un impianto rettangolare; il lato maggiore che corre lungo il lato sud della chiesa misura 19,5 metri, mentre quello minore è di 10,7 metri. Le volte sono sostenute da pilastri e da colonne semplici e binate; nell'area centrale è posto un antico pozzo.

La sua costruzione si colloca negli anni immediatamente successivi al 1132, come attesta l'iscrizione di uno dei capitelli: "ANNO AB INCARNATIO (N) E DOMINI MC XXX III IN HOC CLAUSTRO REGULAR (I) S VITA INCEPTA EST", che indica l’inizio effettivo della vita comunitaria. In quell'anno aveva infatti ottenuto risposta positiva la richiesta avanzata al papa Innocenzo II dal vescovo di Aosta Eriberto (già canonico regolare di Sant'Agostino del Capitolo di Abondance nel Chiablese in Alta Savoia), finalizzata ad avere, per la congregazione di Sant'Orso, la possibilità di fondare una comunità di agostiniani. Arnolfo di Avise fu nominato da Eriberto priore della comunità; sotto la sua guida furono realizzati, oltre al chiostro, gli altri locali conventuali (dispensa, refettorio, dormitorio, sala priorale) disposti attorno al chiostro e fu ampliato il coro della collegiata in coerenza con le esigenze delle vita comunitaria. Non tutta la critica condivide la datazione della costruzione del chiostro in anni prossimi al 1132: considerazioni stilistiche porterebbero ad una data più tarda, dopo la metà del XII secolo, quando Arnolfo di Avise aveva a sua volta ottenuto la cattedra episcopale.

Alcuni verbali di visite pastorali attestano come il chiostro fosse affrescato con scene della vita di Sant'Orso; affreschi che già all’inizio del XV secolo erano diventate illeggibili.

Il chiostro ha subito nel tempo alcune modifiche architettoniche. Nella seconda metà del XV secolo, per iniziativa di Giorgio di Challant (nominato nel 1468 priore della Collegiata di Sant'Orso) vennero rifatte le volte, con la struttura a crociera oggi visibile.

La decadenza della vita comunitaria, iniziata già nel XVI secolo, culminò nel 1644 quando venne soppresso il cenobio agostiniano. Furono allora abbattuti, tra il XVIII e XIX secolo gli edifici conventuali che si affacciavano sul lato orientale del chiostro, che venne anch’esso demolito e ricostruito con volte a vela. In seguito a tali lavori alcuni capitelli andarono dispersi: quattro di essi sono oggi conservati nel Museo civico d'arte antica di Torino.

I capitelli - Posti su pilastri o su colonnine semplici o binate, i capitelli costituiscono la parte artisticamente più importante del chiostro. Si sono conservati 37 degli originali 52 capitelli (altri 3, posti sul lato est, sono di fine Settecento, inseriti nel corso di una ristrutturazione del chiostro).

Il materiale con il quale essi furono realizzati è il marmo bianco, mentre le colonne sono in bardiglio di Aymavilles; tali materiali, in origine, producevano nel chiostro un effetto di policromia, accentuata da decorazioni pittoriche. Sotto la vernice nera che ricopre oggi tutti i sostegni degli archi sono state trovate infatti tracce di pigmento rosso e nero.

Non si conosce esattamente la data (anteriore comunque al XVII secolo) in cui venne stesa la vernice nera che conferisce oggi al chiostro un’aura alquanto severa, secondo Robert Berton, simbolo di penitenza, di rinuncia e mortificazione della carne. Si è formulata l'ipotesi che ai capitelli ed ai loro supporti sia stata applicato per impermeabilizzarli un composto colloso trasparente misto a cenere che, ossidandosi con il tempo, li avrebbe definitivamente anneriti.

ICONOGRAFIA DEI CAPITELLI

Lato Nord

  • Capitello 1: Figure di animali mostruosi accovacciati

  • Capitello 2: Sadrac, Masac e Abednego nella fornace ardente

  • Capitello 3: Annunciazione, Davide, San Giuseppe

  • Capitello 4: Natività

  • Capitello 5: I magi davanti ad Erode

  • Capitello 6: Fuga in Egitto

  • Capitello 7: Motivi decorativi

  • Capitello 8: Lapidazione di Santo Stefano oppure Storie di Giobbe

  • Capitello 9: Scena di vita monastica oppure Eliezer e Rebecca al pozzo

  • Capitello 10: Capitello decorativo

  • Capitello 11: Arpie

  • Capitello 12: Favola della volpe e la cicogna

  • Capitello 13 - 14- 15: Motivi decorativi

Lato ovest

  • Capitello (binato) 16: Nascita di Giacobbe ed Esaù, Esaù a caccia; 16 bis (copia): Rebecca spinge Giacobbe davanti ad Isacco

  • Capitello 17: Rebecca consiglia a Giacobbe di fuggire, Sogno di Giacobbe

  • Capitello (binato) 18: Gregge di Rachele al pascolo; 18 bis: Giacobbe incontra Rachele al pozzo

  • Capitello 19: Riconciliazione di Giacobbe ed Esaù in presenza delle mogli, dei figli e delle greggi :

  • Capitello (binato) 20: I figli di Giacobbe; 20 bis: Labano, Giacobbe, Rachele e gli idoli rubati

  • Capitello 21: Giacobbe lotta con l’angelo

  • Capitello (binato) 22: I figli di Giacobbe; 22 bis: Giuseppe e altri figli di Giacobbe

  • Capitello 23: Motivi decorativi

Lato sud

  • Capitello 24: Arpie

  • Capitello 25: Motivi decorativi

  • Capitello 26: Composizione decorativa con figure umane

  • Capitolo 27 - 28 - 29- 30 -31: Profeti con cartigli

  • Capitello 32: Storie di Sant'Orso

  • Capitello 33: Apostoli Andrea e Simone, Resurrezione di Lazzaro

  • Capitello 34: Apostoli Bartolomeo e Giacomo, Gesù visita Maria Maddalena e Marta

  • Capitello 35: Fondazione del convento sotto la regola di Sant'Agostino

  • Capitello 36: Decorazione a viluppi foliacei con iscrizione sulla fondazione del convento

Lato est

  • Capitolo 37: Motivi decorativi

  • Capitolo 38 – 39- 40: Capitelli decorativi della fine del XVIII secolo

I capitelli configurano nel loro insieme un ampio "poema marmoreo", con un programma iconografico alquanto eterogeneo, comprendente scene dell'Antico Testamento, (Storie di Giacobbe, Profeti), scene evangeliche (storie della vita di Gesù, Apostoli), scene agiografiche riferite a Sant'Orso ed alla fondazione del cenobio, nonché soggetti moraleggianti di cultura pagana (favole di Esopo) e raffigurazioni decorative di carattere zoomorfo e vegetale.

L'atelier del chiostro ursino si caratterizza per l’asperità del linguaggio artistico, con un forte senso per i volumi e con soluzioni compositive essenziali, ma non prive di attenzione minuziosa ai dettagli dell’abbigliamento dei personaggi ed alle figure animali.

Dal punto di vista stilistico gli studiosi hanno messo in evidenza tanto accostamenti al linguaggio della scultura romanica di area lombarda (ad es. i capitelli biblici della Basilica di San Michele Maggiore a Pavia) ovvero alla scultura provenzale (ad es. i capitelli del chiostro della chiesa di Saint-Trophime ad Arles).

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Dopo avere sottolineato le strette somigliante con i capitelli raffiguranti la Natività e l'Annuncio ai pastori nel battistero della basilica di Saint-Martin d'Ainay a Lione ed anche con l'altare marmoreo firmato "Pietro di Lione" nella cattedrale di Susa, osserva Sandra Barberi: "Superando la tradizionale disputa che divideva la critica tra l'attribuzione "lombarda" e quella "provenzale", la provenienza dell'atelier attivo ad Aosta va cercata appunto nella regione del medio Rodano, dove tra la fine dell'XI secolo e l'inizio del XII secolo va maturando, alla luce dell'esperienza della scultura borgognona, un linguaggio originale che giocherà un ruolo decisivo per lo sviluppo della scultura romanica provenzale".

IL PRIORATO DI SANT'ORSO - Fa parte del "Complesso di S. Orso" – oltre alla chiesa collegiata, il campanile, ed il chiostro - anche il Priorato di S. Orso. Si tratta di un'ampia costruzione posta a destra della chiesa, formata da tre corpi di fabbrica con cinque arcate; presenta in facciata suggestive decorazioni in cotto che incorniciano le eleganti finestre crociate e sottolineano, con ampi cornicioni, le separazioni tra i diversi piani. L'edificio è sovrastato da una torre a pianta ottagonale culminante in una cuspide aguzza.

L'edificio fu fatto erigere intorno al 1468 come sede del priorato da Giorgio di Challant, ispirandosi ai modelli dell'architettura civile francese; le decorazioni in cotto si ispirano invece ad un gusto piemontese e lombardo alquanto in voga nel XV secolo. Preesistevano al priorato, forse sin dall'epoca della prima basilica, edifici di carattere religioso e, tra essi, il vecchio battistero (cosa che spiegherebbe la struttura ottagonale scelta per la torre). 

In facciata, in apposite nicchie rettangolari, troviamo alcuni stemmi nobiliari: oltre a quelli dei Savoia e degli Challant, si riconosce anche lo stemma del priore Hubert Angley che precedette Giorgio di Challant nel ruolo di priore. All'interno dell'edificio (attualmente non visitabile) una scala a chiocciola, ricavata nella torre, conduce alla sala priorale ed alla cappella affrescata da artisti franco-valdostani della fine del XV secolo.

Tour du Pailleron

Seguendo lo sviluppo delle mura romane meridionali, raggiunta la piazza della stazione ferroviaria, si può osservare sulla destra la torre meglio conservata della cinta chiamata "del Pailleron".

E' l'unica torre a non essere stata rimaneggiata in epoca medioevale e il suo nome deriva dall'utilizzo per lunghissimo tempo quale pagliaio. 

La torre è a pianta quadrangolare ed è aperta su ognuno dei quattro lati da sei grandi finestre, tre per ogni piano. 

Parzialmente distrutta da un incendio all'inizio dell'800, fu restaurata alla fine del secolo stesso grazie alla reintegrazione dei mattoni del secondo piano perfettamente distinguibile dal corpo originario di materiale tufaceo. 

Torre del Lebbroso

La Torre del lebbroso venne costruita sui resti di un'antica torre romana e fu in origine nota come torre Friour o De Friours dal nome della famiglia che la abitò. I De Friour, la cui famiglia è citata per la prima volta in un documento del 1191, occupavano anche la Porta Decumana, oggi scomparsa. In seguito la torre venne abbandonata e chiamata localmente Tour de la frayeur (in francese, "Torre dello spavento").

Dopo alcuni passaggi di proprietà, nel 1773 fu acquistata dall'Ordine Mauriziano. A quest'epoca deriverebbe il nome attuale, legato alla presenza tra il 1773 e il 1803 di Pietro Bernardo Guasco da Oneglia, un lebbroso che vi fu rinchiuso fino alla morte con la sorella per evitare il contagio della città per fare parte dell'Hospice de charité fondato da Jean-Boniface Festaz. La sua vicenda ispirò le vicende del romanzo Il lebbroso della città d'Aosta dello scrittore savoiardo Xavier de Maistre, pubblicato nel 1811.

Nel 1890 l'edificio fu restaurato dall'"Ufficio regionale pei Monumenti del Piemonte e della Liguria" diretto da Alfredo D'Andrade. Oggi appartiene alla Regione Autonoma Valle d'Aosta che ne ha fatto una sede espositiva.

La Torre del lebbroso è impiantata sulle fondamenta di una precedente torre romana, che il restauro della fine del XIX secolo ha riportato alla luce evidenziandone la struttura a risega. A questa torre se ne aggiunse poi una medievale nel XV secolo, a pianta quadrata, a cui si accedeva tramite una scala esterna coperta da tettoia e al cui interno si trovava la scala a chiocciola a permettere l'accesso ai piani. Le antiche finestre romane sono state in massima parte chiuse, ma le rimanenti ancora danno luce ai piani interni.

Castello di Bramafram

Il castello di Bramafam, comunemente chiamato torre di Bramafam e raramente castello dei Visconti di Aosta, si trova nella città di Aosta, all'angolo tra via Bramafam e viale Carducci, lungo la cinta muraria di epoca romana. Quest'opera è conosciuta anche con il nome di torre Biatrix, prendendo di fatto nome della porta che la fiancheggia.    

Il nome Bramafam deriva dal termine “bramé la fam” ossia gridare per la fame. Questa accezione del nome della torre è spiegabile dal fatto che in seguito alle tremende carestie medievali, la gente si raggruppava davanti al castello per reclamare la distribuzione del cibo.

Una leggenda del luogo racconta, invece, che le urla per la fame, sarebbero quelle della moglie infedele di uno di Challant, il quale la fece rinchiudere nelle mura per farla morire di fame.  

Il castello composto da un grande edificio parallelepipedo, un tempo adibito ad abitazione, e dall'adiacente torre cilindrica, la quale si innalzava sul bastione della "porta principale destra" (porta principalis dextera) della cinta muraria romana. In alcuni punti alla base della torre è ancora visibile il muro romano originale, mentre sul lato meridionale è ben leggibile la scarpata di epoca medievale. La torre è completata da una merlatura guelfa e presenta alcune strette feritoie.  

Il fabbricato principale esibisce una serie di finestre a bifora sul lato settentrionale, la cui fattura ricorda le bifore del castello di Ussel. L'edificio rivela la presenza di due accessi: dal lato occidentale, l'accesso principale si apre con una porta ad arco e un tempo era corredato da un ponte levatoio, mente dal lato orientale si apriva un secondo accesso.

Particolarità del castello di Bramafam era la cisterna dell'acqua, addossata al lato sud dell'edificio principale e non interrata come negli altri castelli della Valle. Torre e fabbricato sono entrambi ridotti in rovina da secoli.

Il castello di Bramafam, secondo Bruno Orlandoni, porta chiari i segni di una tradizione di progettazione e tecnica architettonica che deriverebbe dallo stile gotico internazionale: in particolare, in epoca medievale egli riscontra un "proporzionamento di tipo aureo", ossia non l'uso vero e proprio della sezione aurea, ma piuttosto una proporzione di riferimento ad essa molto vicina. La mancanza di rilievi e di studi più approfonditi impedisce di valutarne appieno le implicazioni.  

I ruderi del castello attuale sono probabilmente databili intorno alla seconda metà del XIII secolo, ma la presenza di una torre in loco è precedente. In origine vi si trovava una torre la cui presenza è testimoniata in alcuni documenti del 1212 - 1214: era detta torre Beatrice (tour Béatrix), dal nome che assunse anche la porta principalis dextera allorché Beatrice di Ginevra volle convolare a nozze con Gotofredo I di Challant, nel 1223. Sede del viscontato di Aosta, il castello fu riadattato a castello in epoca medievale per volere della nobile famiglia degli Challant.

In mano agli Challant, che avevano il controllo su tutta la cinta sud-occidentale delle mura, il castello di Bramafam subì il saccheggio di Giacomo di Quart nel 1253. Nel 1295 venne ceduto da Ebalo I di Challant al conte di Savoia Amedeo V, in occasione della cessione del Viscontato e in cambio del feudo di Monjovet. Tuttavia, alla famiglia Challant restò ancora qualche diritto sul castello di Bramafam, dato che nel XVIII secolo ne affittava le rovine.

L'edificio cambiò molti proprietari nel corso dei secoli e fu spesso conteso tra le varie famiglie della zona. Versò presto in stato di degrado, perdendo importanza politica e amministrativa: nel XVI secolo - quando la Cancelleria, le compravendite basate sulle Carte Augustane, la stipula di atti pubblici e privati passò definitivamente di mano dai Visconti ai notai - il castello di Bramafam era già in rovina. 

Giugno 2013

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