Gli stupa di Sanci nel Madhya Pradesh

 

Il mondo indiano, ricco di splendide opere d’arte, ha dedicato pochissimo spazio all’architettura funeraria: è con l’avvento degli invasori musulmani nel XII secolo che si sviluppa la tipologia del mausoleo ed è probabilmente perché influenzati da questo che i sovrani dei Rajput, popolazioni guerriere indù stanziate in quello che oggi è lo stato del Rajasthan, fecero innalzare le chattri, padiglioni colonnati sormontati da cupole, nei luoghi di cremazione delle famiglie reali. Il disinteresse per il monumento funebre è conseguente alla convinzione, fondamentale nella cultura indiana, che l’esistenza non si esaurisca in un unico episodio vitale, ma si dipani attraverso innumerevoli rinascite sotto spoglie differenti. Ciò porta alla svalutazione del corpo del defunto, che non è unico e irripetibile, ma si riproduce sempre diverso ogni volta che si torna all’esistenza. 

La teoria del samsara, ovvero la catena delle rinascite, è radicata nella concezione che la somma degli atti compiuti durante la vita inneschi una serie di effetti solo parzialmente fruibili all’interno dell’esistenza che li ha generati. Una notevole porzione dei frutti dell’agire, ovvero il karman, matura in tempi lunghi ed impone un ulteriore ritorno nel mondo per la riscossione. Quanto di negativo o positivo l’essere umano sperimenta nella vita presente è causato dalle azioni compiute nelle esistenze passate. Sta dunque all’uomo la possibilità di costruirsi una rinascita migliore con un comportamento virtuoso nella condizione attuale.

Il fine ultimo non è, comunque, il miglioramento del samsara, bensì la sua interruzione attraverso un agire che non porti più conseguenze. Il rito consapevole, la conoscenza discriminante, la devozione fiduciosa, il cammino ascetico sono le principali modalità di inibizione degli effetti degli atti del quotidiano.

La concezione del karman e del conseguente samsara, tipica del mondo indù, fu condivisa anche dal nobile Siddhartha Gautama, divenuto nel VI secolo a.C. il Buddha, il “Risvegliato”, poiché aveva riattinto la Verità racchiusa nel profondo di ogni essere umano ed aveva di conseguenza raggiunto la condizione di Illuminato. Preso atto del dolore che affligge l’umanità e l’universo, costituiti entrambi da serie incessanti di fenomeni transeunti, dolorosi e privi di significazione, il Buddha aveva scoperto nell’attaccamento al mondo materiale la radice della sofferenza e aveva indicato nell’esistenza distaccata del monaco itinerante l’antidoto per estirparla. Alla morte del Buddha, come espressamente raccomandato da lui stesso, quanto rimasto della sua cremazione venne diviso tra otto dei più insigni sovrani dell’epoca che avevano partecipato alle esequie, con l’impegno di erigere sopra le preziose reliquie dei tumuli funerari.

Secondo la tradizione è questa l’origine dello stupa, il monumento più importante dell’architettura buddista, che evidentemente eredita la funzione degli antichissimi monticelli di terra e mattoni che raccoglievano i resti di personaggi di spicco fra il II e il I millennio a.C., quando pare sussistessero sia l’inumazione che la cremazione. La cremazione finì per predominare, ma il buddismo diede un nuovo significato nello stupa al tumulo funerario, trasformandolo nell’evocazione tangibile della presenza del Buddha e dei successivi venerabili maestri della comunità monastica buddista.

Da reliquiario lo stupa venne assumendo molteplici significati simbolici, alludendo al contempo al Buddha e al Dharma, la sua dottrina, essendo rappresentazione dell’universo e rimando alla sua cosmogonia. Il “Grande stupa” di Sanci a 70 chilometri da Bhopal, capitale dello stato del Madhya Pradesh, ne è l’esempio più completo e rappresentativo. La sua collocazione su un rilievo alla confluenza di due fiumi presentava un’ampia serie di vantaggi: il contesto naturale appartato favoriva la vita monastica e la vicinanza a quella che un tempo era la prospera città carovaniera di Vidisha, oggi Besnagar, rafforzava i rapporti con la comunità dei mercanti, principali sostenitori del buddismo. Le numerose iscrizioni votive sullo stupa attribuiscono infatti alla generosità dei commercianti locali l’esecuzione delle varie parti del monumento.

Dal III secolo a.C., probabile periodo della sua fondazione, fino al XIII secolo, quando iniziò la grande decadenza del buddismo in India, Sanci continuò ad essere importante luogo di devozione e il grande numero di monumenti costruiti nel corso dei secoli rappresenta un prezioso campionario per l’evoluzione dell’arte buddista. La fama di Sanci non è collegata a nessun episodio della vita del Buddha, ma si deve al fatto che una delle regine di Ashoka, il grande imperatore della dinastia Maurya che nel III secolo a.C. abbracciò la dottrina buddista, veniva da una famiglia di ricchi mercanti di Vidisha. Le cronache buddiste ricordano la visita che il principe Mahendra, artefice della diffusione del messaggio dell’Illuminato a Sri Lanka, fece alla madre ed è probabilmente in questa occasione che venne eretto il nucleo centrale più antico in mattoni cotti e malta del “Grande stupa”. 

La località, dimenticata per secoli, venne riscoperta per caso nel 1818 dal generale inglese Taylor, diventando meta di archeologi dilettanti e cercatori di tesori. Il restauro iniziò nel 1851, ma fu solo trent’anni dopo che l’opera di recupero venne sistematicamente intrapresa dal maggiore Cole e completata da John Marshall, sovrintendente del Dipartimento Archeologico fra il 1912 e il 1919, che numerò più di cinquanta monumenti.

Lo stupa principale, noto come “Grande stupa” o stupa n. 1, ha un diametro di 36,60 metri ed è alto 16,46 metri, escludendo la parte apicale. Il monumento attuale risale al II secolo a.C., quando il tumulo di Ashoka venne inglobato in un corpo di blocchetti in arenaria locale ricoperti da uno spesso strato di intonaco e ampliato con nuove strutture.

La costruzione sorge all’interno di una recinzione, la vedika, che rivela i prototipi lignei, essendo composta da listoni ad incastro riproducenti uno steccato.  

In essa si aprono quattro portali, i torana, edificati nel I secolo d.C. e costituti da due pilastri sormontati da tre architravi curvilinei, separati fra loro da blocchi quadrati e da teorie di cavalieri su elefanti e cavalli. Dall’abaco dello stipite alla voluta spiraliforme del primo architrave si protendono sinuose figure di shalabhanjika, le yaksi o ninfee degli alberi, mentre numerosi bassorilievi ornano le superfici dei torana. Lo stupa si articola in tre sezioni: l’alta base circolare, medhi, che rappresenta la terra; il corpo tumuliforme sovrastante che allude alla volta celeste e al contempo, vista la sua denominazione di anda, rimanda all’”uovo” cosmico galleggiante sulle acque primordiali da cui nacque l’universo; la balaustra quadrata, harmika, da cui svetta il pennone, yashti, perno dell’ideale spirale tridimensionale formata dallo stupa nel suo compattarsi in una serie concentrica di mattoni, alternati a detriti di riempimento, conclusa da un’ultima guaina di pietre. Raccordo fra mondo sotterraneo, terra e cielo, lo yashti è simbolo dell’axis mundi, espresso dal mondo indiano ora come montagna, ora come albero cosmico. In effetti l’harmika e lo yashti rimandano ad entrambi, anche se l’ambito buddista sembra privilegiare l’immagine arborea, dato che l’illuminazione di Siddhartha è avvenuta sotto un albero, il pipal o ficus religiosa; diventato oggetto di devozione, questo fu incluso in un recinto di legno, che l’harmika riproduce, trasformatosi in seguito in padiglione di culto. 

Sullo yashti svettano tre parasole, simbolo dei gioielli del buddismo – il Buddha, il Sangha, il Dharma; cioè, l’Illuminato, la Comunità, la Dottrina – e nelle interpretazioni posteriori rimando ai vari piani da ascendere per raggiungere l’illuminazione. Benché nel “Grande stupa” non sia stato trovato, il reliquiario, collocato o meno in una apposita camera sotto lo yashti, è il cuore del monumento, alludente alla presenza immanente del Buddha. Al tempo stesso, però, lo stupa esplicita significati cosmogonici e metafisici. L’anda con la sua forma circolare rimanda all’esistenza che ciclicamente si produce e si dissolve, al samsara, che è teoria ininterrotta di vite e, al contempo, riproduce la mitica struttura del mondo: una serie concentrica di continenti intercalati da anelli di oceano. Così la vedika non solo separa lo spazio sacro da quello profano, ma simboleggia la catena di monti che racchiude l’universo. I torana che in essa si aprono espletano la funzione iniziatica della porta, luogo di comunicazione fra il mondo profano e quello sacro, cifra della trasformazione spirituale che si opera entrando nel perimetro dello stupa. Collocati ai quattro punti cardinali, sono le terminazioni dei bracci della croce ideale che, proiettandosi dal centro, determina lo spazio. La disposizione angolata destrorsa dei torana trasforma la croce nella svastika, simbolo del sole e quindi del tempo. Ma il punto centrale donde scaturisce la croce altri non è che il Buddha, inteso come Assoluto, Principio Primo, origine dello spazio e del tempo.

L’irradiamento esplicitato dalla croce a svastika non evoca solo l’espandersi spaziale e temporale del cosmo, ma celebra la diffusione del Dharma, la dottrina salvifica del Buddha che si diffonde verso tutte le plaghe dell’universo. Il corridoio fra lo stupa e la recinzione permette il rito della pradakshina, la deambulazione, che consiste nel girare attorno alla costruzione tenendola alla propria destra, ovvero seguendo il percorso del sole. E in effetti, essendo lo stupa monumento chiuso, è fruibile solo all’esterno.

Di Siddhartha, il Buddha storico, non vi sono immagini sui portali di Sanci. All’epoca della realizzazione dei torana, infatti, predominava la corrente buddista più antica e tradizionale, il Theravada, la “Dottrina dei decani” nota anche come Hinayana, “Piccolo veicolo (di salvezza)”, che vedeva nel Buddha l’incarnazione della dottrina e su questa poneva l’accento piuttosto che sulla dimensione umana del Maestro. Così le vicende del Buddha all’interno dei bassorilievi sono evocate da simboli quali le impronte dei piedi che ne indicano la presenza; l’albero, che celebra il momento dell’illuminazione; il trono ed il parasole, che sottolineano la prominenza dell’Illuminato in seno alla comunità dei monaci; la ruota, che evoca la diffusione della dottrina; lo stupa, che celebra l’entrata nel nirvana, lo stato di estinzione del doloroso e incessante divenire terreno. L’estro creativo degli artisti, spesso avariai, ebanisti, gioiellieri, trovò inoltre ampio materiale di espressione nei “Jataka”, le raccolte letterarie delle vite anteriori del Buddha sotto varie spoglie.

Molto più piccolo e semplice, il vicino stupa n. 3, coevo al grande, è preceduto da un solo portale, anch’esso come gli altri del I secolo d.C., inferiore però come finezze d’intaglio. L’importanza del monumento risiede nel suo significato religioso, poiché contiene nella camera delle reliquie due sarcofagi con i resti di Shariputra e Maugdalyayana, famosi discepoli del Buddha.

Anche il più lontano stupa n. 2, che sorge su una terrazza artificiale a 320 metri sotto la cima della collina, ospita in un vano decentrato i reliquiari di almeno tre generazioni di insigni maestri buddisti. Simile allo stupa n. 3 e probabilmente databile anch’esso al II secolo a.C., è però privo di torana, benché la sua balaustra sia decorata da medaglioni che includono splendidi viluppi floreali, vivaci raffigurazioni di animali e figure umane di stile arcaico.

I numerosi altri stupa in diverso stato di conservazione che costellano la collina di Sanci, frammisti a templi e a edifici di vario stile, non ospitano reliquie, ma sono offerte votive di pellegrini. Eretti in mattoni o in pietra a seconda delle dimensioni, impostati su basamenti quadrati e rotondi, un tempo stuccati e dipinti, evidenziano come all’antica destinazione funeraria si sia progressivamente sovrapposta quella celebrativa. Lo stupa rappresenta la totalità del mondo buddista, che ha nell’Illuminato la Guida suprema, nella Dottrina il messaggio salvifico e nei monaci e nei laici la Comunità dei Credenti.

Complesso di Sanchi

Il complesso di Sanchi oggi comprende una serie di monumenti buddisti a partire dal periodo dell'Impero Maurya (III secolo a.C.), continuando con il periodo dell'Impero Gupta (V secolo) e terminando intorno al XII secolo. È probabilmente il gruppo di monumenti buddisti meglio conservato in India. Il monumento più antico, e anche il più grande, è il Grande Stupa chiamato anche Stupa n. 1, inizialmente costruito sotto i Maurya, e adornato con uno dei Pilastri di Ashoka. Durante i secoli successivi, specialmente sotto gli Shunga e i Satavahana, il Grande Stupa fu ampliato e decorato con cancelli e ringhiere, e nelle vicinanze furono costruiti anche stupa più piccoli, in particolare lo Stupa n.2 e lo Stupa n.3.
 
Contemporaneamente furono costruite anche varie strutture di templi, fino al periodo dell'Impero Gupta e anche successivamente. Nel complesso, Sanchi racchiude la maggior parte delle evoluzioni dell'antica architettura indiana e dell'antica architettura buddista in India, dalle prime fasi del buddismo e dalla sua prima espressione artistica, al declino della religione nel subcontinente.
 
Periodo Mauryan (III secolo a.C.) - Il "Grande Stupa" di Sanchi è la struttura più antica e fu originariamente commissionato dall'imperatore Ashoka il Grande dell'Impero Maurya nel III secolo a.C. Il suo nucleo era una struttura emisferica in mattoni costruita sulle reliquie del Buddha, con una terrazza rialzata che ne racchiudeva la base e una ringhiera e un ombrello di pietra sulla sommità, il "chatra", una struttura simile a un parasole a simboleggiare l'alto rango del personaggio. Lo stupa originale aveva solo circa la metà del diametro di quello odierno, che è il risultato dell'allargamento da parte dei Sunga. Era ricoperto di mattoni, in contrasto con le pietre che lo ricoprono ora.
 
Secondo una versione del Mahavamsa, la cronaca buddista dello Sri Lanka, Ashoka era strettamente collegato alla regione di Sanchi. Quando era ancora erede al trono e stava viaggiando come viceré a Ujjain, si dice che si fosse fermato a Vidisha (a 10 chilometri da Sanchi), e lì avesse sposato la figlia di un banchiere locale. Fu chiamata Devī e in seguito diede ad Ashoka due figli, Ujjeniya e Mahendra, e una figlia Sanghamitta. Dopo l'ascesa al trono di Ashoka, Mahendra guidò una missione buddista in Sri Lanka, inviata probabilmente sotto gli auspici dell'imperatore, e prima di partire per l'isola fece visita a sua madre a Chetiyagiri vicino a Vidisa, ritenuta Sanchi. Fu alloggiato in un sontuoso vihara o monastero.
 
Pilastro di Ashoka - Sul lato della porta principale (torana) fu eretto un pilastro di arenaria finemente levigata, uno dei Pilastri di Ashoka. La parte inferiore del pilastro è ancora in piedi mentre quelle superiori sono presso il vicino Museo archeologico di Sanchi. Il capitello è costituito da quattro leoni, che probabilmente sorreggevano una Ruota della Legge, come suggerito anche da successive illustrazioni tra i rilievi di Sanchi. Il pilastro ha un'iscrizione Ashokan ("Editto Scisma") e un'iscrizione nel "Sankha Lipi" ornamentale del periodo Gupta.
 
L'iscrizione Ashokan è incisa nei primi caratteri Brahmi. Sfortunatamente è molto danneggiata, ma gli ordini che contiene sembrano essere gli stessi registrati negli editti di Sarnath e Kausambi, che insieme formano i tre esempi noti dell'"Editto scisma" di Ashoka. Si riferisce alle sanzioni per lo scisma nel sangha buddista: «... il percorso è prescritto sia per i monaci che per le monache. Fintanto che (i miei) figli e pronipoti (regneranno; e) finché la Luna e il Sole (dureranno), il monaco o la monaca che causeranno divisioni nel Sangha, saranno obbligati a indossare abiti bianchi e a risiedere in disparte. Qual è il mio desiderio? Che il Sangha possa essere unito e possa durare a lungo.» (Editto di Ashoka sul pilastro Sanchi.)
 
Il pilastro, quando integro, era alto circa 12,5 metri ed era costituito da un fusto monolitico tondo e leggermente rastremato, con capitello a campana sormontato da un abaco e coronato da quattro leoni addossati per il dorso, il tutto finemente rifinito e levigato a una lucentezza notevole dall'alto verso il basso. L'abaco è ornato da quattro palmette fiammeggianti separate l'una dall'altra da coppie di oche, simboli forse del gregge dei discepoli del Buddha. I leoni della cima, sebbene ormai alquanto sfigurati, testimoniano ancora l'abilità degli scultori.
 
L'arenaria in cui è scolpito il pilastro proveniva dalle cave di Chunar a diverse centinaia di chilometri di distanza, il che implica che i costruttori erano in grado di trasportare un blocco di pietra lungo più di 12 metri e del peso di quasi 40 tonnellate su tale distanza. Probabilmente usavano il trasporto su acqua, usando zattere durante la stagione delle piogge fino ai fiumi Gange, Jumna e Betwa.
 
TEMPIO N. 40 - Un'altra struttura che è stata datata, almeno in parte, al III secolo a.C., è il cosiddetto Tempio n. 40, uno dei primi esempi di templi indipendenti in India. Il Tempio n. 40 ha resti di tre diversi periodi, il primo risale all'età Maurya, che probabilmente lo rende contemporaneo alla creazione del Grande Stupa. Un'iscrizione suggerisce addirittura che potrebbe essere stato costruito da Bindusara, il padre di Ashoka. Il tempio originale del III secolo a.C. fu costruito su un'alta piattaforma rettangolare in pietra, di 26,52 × 14,00 × 3,35 metri, con due rampe di scale a est e a ovest. Si tratta di una sala absidale, probabilmente realizzata in legno. Fu bruciato nel II secolo a.C.
 
Successivamente, la piattaforma fu ampliata a 41,76 × 27,74 metri e riutilizzata per erigere una sala a pilastri con cinquanta colonne (5 × 10) di cui rimangono dei monconi. Alcuni di questi pilastri hanno iscrizioni del II secolo a.C. Nel VII o VIII secolo fu eretto un piccolo santuario in un angolo della piattaforma, riutilizzando alcuni dei pilastri e collocandoli nella posizione attuale.
Sulla base dell'Ashokavadana, si presume che lo stupa possa essere stato vandalizzato nel II secolo a.C., un evento che alcuni hanno collegato all'ascesa dell'imperatore Shunga, Pusyamitra Shunga, che aveva conquistato l'Impero Maurya come generale dell'esercito. È stato suggerito che Pushyamitra potrebbe aver distrutto lo stupa originale e che suo figlio Agnimitra lo abbia ricostruito. Lo stupa originale in mattoni era ricoperto di pietra durante il periodo Shunga.
 
Data la natura piuttosto decentralizzata e frammentaria dello stato Shunga, con molte città che battevano la propria moneta, nonché la relativa antipatia degli Shunga per il buddismo, alcuni autori sostengono che le costruzioni di quel periodo a Sanchi non possono davvero essere chiamate "Shunga". Non erano il risultato del patrocinio reale, in contrasto con quanto accaduto durante i Maurya, e la maggior parte delle dediche a Sanchi erano private o collettive, piuttosto che il risultato del mecenatismo reale.
 
Lo stile delle decorazioni del periodo Shunga a Sanchi ha una stretta somiglianza con quelle di Bharhut, così come le balaustre periferiche del Tempio di Mahabodhi a Bodh Gaya.
 
Raddoppiarono quasi il diametro dello stupa iniziale, racchiudendolo in pietra, e costruirono una balaustra e una ringhiera attorno ad esso.
 
Durante il successivo dominio degli Shunga, lo stupa fu ampliato con lastre di pietra fino a quasi il doppio delle sue dimensioni originali. La cupola era appiattita nella parte superiore e coronata da tre ombrelloni sovrapposti entro una ringhiera quadrata. Con i suoi numerosi livelli era un simbolo del dharma, la Ruota della Legge. La cupola era posta su un alto tamburo circolare destinato alla circumambulazione, al quale si accedeva tramite una doppia scalinata. 
  
Un secondo percorso in pietra a livello del suolo era racchiuso da una balaustra in pietra. Le ringhiere intorno allo Stupa n. 1 non hanno rilievi artistici. Queste sono solo lastre, con alcune iscrizioni dedicatorie. Questi elementi sono datati a circa il 150 a.C. o 175-125 a.C. 
 
Sebbene le ringhiere siano realizzate in pietra, sono copiate da un prototipo in legno e, come ha osservato John Marshall, le giunture tra le pietre di copertura sono state tagliate in obliquo, poiché il legno viene tagliato naturalmente e non verticalmente come dovrebbe essere tagliata la pietra. Oltre alle brevi registrazioni dei donatori, scritte sulle ringhiere in caratteri Brahmi, ci sono due iscrizioni successive aggiunte durante il periodo Gupta. Alcuni rilievi sono visibili sulla balaustra delle scale, ma sono probabilmente leggermente posteriori a quelli dello Stupa n.2, e sono datati al 125-100 a.C. Alcuni autori ritengono che questi rilievi, piuttosto rozzi e senza evidenti connotazioni buddiste, siano i rilievi più antichi di tutto il Sanchi, leggermente più antichi anche dei rilievi dello stupa di Sanchi n. 2.

Grande Stupa (Solo l'espansione dello stupa e le balaustre sono Shunga).
Ringhiere a terra non decorate datate al 150 a.C. circa.
 Alcuni rilievi sulla balaustra della scala.

Grande Stupa (n. 1). Strutture e decorazioni del periodo Shunga (II secolo a.C.)

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Balaustra e scala Shunga

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Lavoro in pietra Shunga

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Percorso deambulatorio

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Ringhiera e ombrelloni sommitali

Rilievi della balaustra delle scale

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Donna che cavalca un Centauro

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Elefante

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Loto

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Motivo floreale

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Palmetta

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Pavone

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Mezzo loto

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Palmetta e loto

STUPA N. 2: il primo rilievo buddista - Gli stupa che sembrano essere stati commissionati durante il dominio degli Shunga sono il Secondo e poi il Terzo, ma non le porte riccamente decorate, che sono del successivo periodo Satavahana, come noto dalle iscrizioni seguendo la balaustra a terra e la pietra involucro del Grande Stupa (Stupa n. 1). I rilievi sono datati al 115 a.C. circa per i medaglioni e all'80 a.C. per le sculture dei pilastri, leggermente prima dei rilievi di Bharhut, con alcune rielaborazioni fino al I secolo.

Le ringhiere del periodo Sunga erano inizialmente non decorate (a sinistra: Grande Stupa) e iniziarono a essere decorate solo intorno al 115 a.C. con lo Stupa n. 2 (a destra).

Lo Stupa n. 2 venne costruito più tardi del Grande Stupa, ma probabilmente mostra i primi ornamenti architettonici. Per la prima volta vengono rappresentati temi chiaramente buddisti, in particolare i quattro eventi della vita del Buddha che sono: la Natività, l'Illuminazione, il Primo Sermone e la Morte.

Le decorazioni dello Stupa n. 2 sono state definite "la più antica decorazione estesa di stupa esistente", e questo Stupa è considerato il luogo di nascita delle illustrazioni Jataka. I rilievi allo Stupa n. 2 recano segni di muratura in Kharoshthi, in contrasto con la scrittura Brahmi locale. Ciò sembra implicare che i lavoratori stranieri del nord-ovest (della regione del Gandhara, dove Kharoshthi era la scrittura dell'epoca) fossero gli autori dei motivi e delle figure che si possono trovare sulle ringhiere dello stupa. Gli stranieri del Gandhara sono altrimenti noti per aver visitato la regione nello stesso periodo: nel 115 a.C., è registrata l'ambasciata di Eliodoro dal re indo-greco Antialchida alla corte del re Sunga, Bhagabhadra nella vicina Vidisha, in cui Eliodoro fece realizzare la colonna di Eliodoro con una dedica a Vasudeva. Ciò indicherebbe che le relazioni erano migliorate in quel momento e che le persone viaggiavano tra i due regni.

Stupa n. 2. Strutture e decorazioni Shunga (fine del II secolo a.C.)

Straniero a cavallo. I medaglioni sono datati intorno al 115 a.C.

Donna a cavallo di un Centauro

Grifone con inscrizioni in scrittura Brahmi

Lakshmi con loto e due assistenti di bambini, probabilmente derivato da simili immagini di Venere

Loto in motivo "perline e bobine"

STUPA N. 3 - Lo stupa n. 3 venne costruito durante il periodo Shunga, che vi costruirono anche la ringhiera attorno e la scala. Si dice che le reliquie di Sariputra e Mahamoggallana, i discepoli del Buddha, fossero state poste nello Stupa n. 3, e sono stati realizzati degli scavi per confermare questa ipotesi.

Secondo le fonti i rilievi sulle ringhiere sarebbero leggermente posteriori a quelli dello Stupa n. 2.

L'unica porta torana orientata a sud non è Shunga, e fu costruita più tardi sotto i Satavahana, probabilmente intorno al 50 a.C.

Stupa n. 3. Strutture e decorazioni Shunga (II secolo a.C.)

Disegno floreale

Medaglione loto

Reliquie di Sariputra e Mahamoggallana

Rilievo

PILASTRO SUNGA - Il pilastro 25 a Sanchi è anche attribuito ai Sunga, nel II-I secolo a.C., ed è considerato simile nel disegno alla colonna di Eliodoro, chiamata localmente pilastro di Kham Baba, dedicato da Eliodoro, l'ambasciatore del re indo-greco Antialchida, nella vicina Vidisha intorno al 100 a.C. Che appartenga all'incirca al periodo dei Sunga, è chiaro sia dal suo disegno che dal carattere del rivestimento superficiale.

PilastroSunga.jpg (104254 byte)L'altezza del pilastro, compreso il capitello, è di 4,5 metri, il suo diametro alla base 31 cm. Fino a un'altezza di 1,2 metri il pilastro è ottagonale; oltre quella misura ha sedici lati. Nella parte ottagonale tutte le sfaccettature sono piatte, ma nella parte superiore le sfaccettature si alternano. Otto sono scanalate, mentre le altre otto sono prodotte da una smussatura concava delle nervature dell'ottagono. Questo metodo di rifinitura nel punto di transizione tra le due sezioni è caratteristico del II e del I secolo a.C. 

Il lato ovest del fusto è sdoppiato, ma si conserva ancora il tenone alla sommità, al quale era incastonato il capitello del consueto tipo persepolitano a campana, con foglie di loto che ricadono sulla spalla della campana. Al di sopra vi è una strozzatura circolare del cavo, poi una seconda strozzatura circolare alleggerita da un motivo a perline e losanga, e, infine, un profondo abaco quadrato ornato da una ringhiera in rilievo. Il coronamento, probabilmente un leone, è scomparso.

PERIODO SATAVAHANA (I SECOLO A.C. - I SECOLO - PORTE SATAVAHANA (DAL 50 A.C. - 0) - La porta meridionale del Grande Stupa (Stupa n. 1) a Sanchi fu, secondo un'iscrizione, donata sotto il governo del "Re Satakarni", probabilmente Satakarni II.

L'iscrizione compare sul rilievo di uno stupa al centro dell'architrave superiore, nella parte posteriore. È scritta su tre righe nella prima scrittura Brahmi sopra la cupola dello stupa in questo rilievo.

L'Impero satavahana sotto Satakarni II conquistò Malwa orientale dagli Shunga. Ciò diede ai Satavahana l'accesso al sito buddista di Sanchi, nel quale sono accreditati della costruzione delle porte decorate attorno all'originale impero Maurya e agli stupa Sunga. A partire dal I secolo a.C. furono costruite le porte riccamente decorate. Anche la balaustra e le porte erano colorate. Le porte/torana successive sono generalmente datate al I secolo.

L'iscrizione Siri-Satakani nella scrittura Brahmi registra il dono di uno degli architravi superiori della Porta meridionale da parte degli artigiani del re Satavahana, Satakarni II: "Dono di Ananda, figlio di Vasithi, il caposquadra degli artigiani di rajan Siri Satakarni"»

Ci sono alcune incertezze sulla data e l'identità del Satakarni in questione, poiché un re Satakarni è menzionato nell'iscrizione Hathigumpha che a volte è datata al II secolo a.C. Inoltre, diversi re Satavahana usarono il nome "Satakarni", il che complica la questione. Le date usuali fornite per le porte vanno dal 50 a.C. al I secolo, e il costruttore delle prime porte è generalmente considerato Satakarni II, che regnò nel 50-25 a.C.  Un altro antico monumento Satavahana noto è la grotta n. 19 del re Kanha (100-70 a.C.) presso le grotte di Nasik, che è molto meno sviluppata artisticamente rispetto ai torana di Sanchi.

MATERIALE E TECNICA DI INTAGLIO - DALL'AVORIO ALLA SCULTURA SU PIETRA SOTTO I SATAVAHANA - Sebbene fatte di pietra, le porte torana erano scolpite e costruite alla maniera del legno ed erano ricoperte di sculture narrative. È stato anche suggerito che i rilievi in pietra siano stati realizzati da intagliatori d'avorio della vicina Vidisha, e un'iscrizione sulla Porta meridionale del Grande Stupa ("Il culto dei capelli del Bodhisattva") è stata dedicata dalla Gilda degli intagliatori d'avorio di Vidisha.

L'iscrizione recita: "Vedisakehi damtakārehi rupakammam katam" che significa "I lavoratori dell'avorio di Vidisha hanno eseguito l'incisione". Alcuni degli avori di Begram o dei "Pompei Lakshmi" danno un'indicazione del tipo di opere in avorio che potrebbero aver influenzato le incisioni a Sanchi.

I rilievi mostrano scene della vita del Buddha integrate con eventi quotidiani che sarebbero stati familiari agli spettatori e quindi rendevano più facile per loro comprendere il credo buddista come rilevante per le loro vite. A Sanchi e nella maggior parte degli altri stupa la popolazione locale donò denaro per l'abbellimento dello stupa per ottenere meriti spirituali. Non c'era un diretto patrocinio reale. I devoti, uomini e donne, che donarono denaro per una scultura, spesso sceglievano la loro scena preferita della vita del Buddha e poi vi facevano incidere i loro nomi. Ciò spiega la ripetizione casuale di particolari episodi sullo stupa (Dehejia 1992).

Su queste sculture in pietra il Buddha non è mai raffigurato come una figura umana, a causa dell'aniconismo nel buddismo. Invece gli artisti scelsero di rappresentarlo con alcuni attributi, come il cavallo su cui aveva lasciato la casa di suo padre, le sue impronte o un baldacchino sotto l'albero della vita nel momento della sua illuminazione. Si pensava che il corpo umano fosse troppo angusto per il Buddha.

ARCHITETTURA: EVOLUZIONE DEL CAPITELLO DEL PILASTRO PORTANTE - Sono state trovate somiglianze nei disegni dei capitelli di varie aree dell'India settentrionale dal tempo di Ashoka al tempo dei Satavahana a Sanchi: in particolare tra la capitale di Pataliputra dell'Impero Mauryan di Pataliputra (III secolo a.C.), i capitelli dei pilastri del complesso buddista dell'Impero Sunga di Bharhut (II secolo a.C.) e i capitelli dei pilastri dei Satavahana a Sanchi (I secolo a.C./I secolo).

Il primo esempio noto in India, il capitello Pataliputra (III secolo a.C.) è decorato con file ripetute di rosette, ovuli e perline con modanature ondulate e volute con rosette centrali, intorno ad una prominente palmetta fiamma centrale, che è il motivo principale. Questi sono abbastanza simili ai disegni greci classici e il capitello è stato descritto come quasi ionico. È stata suggerita l'influenza greca, così come quella persiana achemenide.

Il capitello di Sarnath venne scoperto negli scavi archeologici nell'antico sito buddista di Sarnath. Il pilastro presenta volute ioniche e palmette. È stato variamente datato dal III secolo a.C. durante il periodo dell'Impero Maurya al I secolo a.C., durante il periodo dell'Impero Sunga. Una delle facce mostra un cavallo al galoppo che trasporta un cavaliere, mentre l'altra mostra un elefante e il suo mahaut.

Anche il capitello del pilastro di Bharhut, datato al II secolo a.C. durante il periodo dell'Impero Sunga, incorpora molte di queste caratteristiche, con un capitello centrale con molte rosette, perline e bobine, nonché un disegno a palmetta centrale. È importante sottolineare che sono stati aggiunti animali sdraiati (leoni, simboli del buddismo), nello stile dei pilastri di Ashoka.

Il capitello del pilastro Sanchi mantiene il disegno generale, visto a Bharhut un secolo prima, di leoni sdraiati raggruppati attorno a un palo centrale a sezione quadrata, con il disegno centrale di una palmetta fiammeggiante, che ebbe iniziò con il capitello di Pataliputra. Tuttavia, il design del palo centrale è ora più semplice, con la palmetta di fuoco che occupa tutto lo spazio disponibile. Gli elefanti furono successivamente utilizzati per adornare i capitelli dei pilastri (sempre con il disegno a palmetta centrale), e infine gli Yakṣa (qui il disegno a palmetta scompare).

Evoluzione del capitello portante indiano del pilastro, fino al I secolo

Capitello Mauryan (Pataliputra) IV-III secolo a.C.

    Capitello Sarnath      III-I secolo a.C.

  Capitello Bharhut  II secolo a.C.

Capitello leone Sanchi I secolo a.C.

Capitello elefante Sanchi I secolo a.C.

Capitello Yaksa Sanchi I secolo

TEMI PRINCIPALI RILIEVI

Jataka - Sono illustrati vari Jataka. Questi sono racconti morali buddisti che riguardano eventi edificanti delle vite precedenti del Buddha mentre era ancora un Bodhisattva. Tra i Jataka raffigurati ci sono il Syama Jataka, il Vessantara Jataka e il Mahakapi Jataka.

Miracoli - Sono registrati numerosi miracoli compiuti dal Buddha. Tra questi:

- Il miracolo di Buddha che cammina sull'acqua.

- Il miracolo del fuoco e del legno

Tentazione di Buddha - Numerose scene si riferiscono alla tentazione del Buddha, quando si trovò di fronte alle seducenti figlie di Mara e al suo esercito di demoni. Dopo aver resistito alle tentazioni di Mara, il Buddha trovò l'illuminazione. Altre scene simili sullo stesso argomento:

- Tentazione del Buddha con l'esercito di Mara in fuga.

- Illuminazione del Buddha con l'esercito di Mara in fuga.

Guerra per le reliquie di Buddha - La porta meridionale dello Stupa n. 1, ritenuta l'ingresso principale e più antico dello stupa, presenta diverse rappresentazioni della storia delle reliquie del Buddha, a partire dalla Guerra per le reliquie.

Dopo la morte del Buddha, i Malla di Kushinagar vollero conservare le sue ceneri, ma anche gli altri regni, volendo la loro parte, andarono in guerra e assediarono la città di Kushinagar. Alla fine fu raggiunto un accordo e le reliquie della cremazione del Buddha furono divise tra 8 famiglie reali e i suoi discepoli.

Pannelli narrativi relativi alla guerra per le reliquie del Buddha a Sanchi sono:

- "Il Re dei Malla che porta le reliquie del Buddha a Kushinagar", subito dopo la morte del Buddha, prima della Guerra stessa. In questo rilievo, si vede il re seduto su un elefante, che tiene le reliquie sulla testa.

- "L'assedio di Kushinagar da parte dei sette re ", altro rilievo sullo stesso soggetto.

Secondo la leggenda buddista, alcuni secoli dopo, le reliquie sarebbero state rimosse dagli otto regni guardiani dal re Ashoka e custodite in 84.000 stupa. Ashoka ottenne le ceneri da sette dei regni guardiani, ma non riuscì a prendere quelle dei Naga a Ramagrama poiché erano troppo potenti e furono in grado di conservarle. Questa scena è raffigurata in una delle porzioni trasversali della porta meridionale dello Stupa n. 1 a Sanchi. Ashoka è mostrato a destra nel suo carro tra il suo esercito, lo stupa con le reliquie è al centro e i re Naga con i loro cappucci di serpente all'estrema sinistra sotto gli alberi.

Edifici del tempio di Bodh Gaya di Ashoka - Ashoka si recò a Bodh Gaya per visitare l'Albero della Bodhi sotto il quale il Buddha ebbe la sua illuminazione, come descrisse nel suo Editto maggiore n.8. Tuttavia Ashoka fu profondamente addolorato quando scoprì che il sacro albero di pipal non veniva adeguatamente curato e stava morendo a causa della negligenza della regina Tiṣyarakṣitā.

Di conseguenza, Ashoka si sforzò di prendersi cura dell'albero della Bodhi e vi costruì un tempio intorno. Questo tempio divenne il centro di Bodh Gaya. Una scultura a Sanchi, porta meridionale dello Stupa n. 1, mostra Ashoka addolorato mentre viene sostenuto dalle sue due regine. Quindi il rilievo sopra mostra l'albero della Bodhi che prospera all'interno del suo nuovo tempio. Numerose altre sculture a Sanchi mostrano scene di devozione verso l'Albero della Bodhi all'interno del suo tempio a Bodh Gaya.

Altre versioni del rilievo raffigurante il tempio per l'Albero della Bodhi sono visibili a Sanchi, come il Tempio per l'Albero della Bodhi (Porta orientale).

Devoti stranieri - Alcuni dei fregi di Sanchi mostrano anche devoti in abiti greci, che indossano tuniche con gonnellino e alcuni di loro un cappello "piloi" greco. A volte sono anche descritti come Saci, anche se il periodo storico sembra troppo in anticipo per la loro presenza nell'India centrale, e i due cappelli a punta sembrano troppo corti per essere sciti. L'avviso ufficiale Sanchi recita "Stranieri in adorazione dello Stupa". Gli uomini sono raffigurati con corti capelli ricci, spesso tenuti insieme da un cerchietto del tipo comunemente visto sulle monete greche. Greco anche l'abbigliamento, completo di tuniche, mantelle e sandali, tipici del costume greco da viaggio.. Molto caratteristici sono anche gli strumenti musicali, come il doppio flauto "completamente greco" detto aulos. Sono visibili anche corna simili a carnyx.

L'effettiva partecipazione di Yavanas/Yonas (donatori greci) alla costruzione di Sanchi è nota da tre iscrizioni fatte da donatori Yavana dichiarati:

- La più chiara di queste si legge "Setapathiyasa Yonasa danam" ("Dono della Yona di Setapatha"), Setapatha è una città incerta, forse una località vicino a Nashik, un luogo dove sono presenti altre dediche di Yavanas, come nella grotta n. 17 del complesso delle Grotte di Nashik, e sui pilastri delle Grotte di Karla non lontane.

- Una seconda iscrizione simile su un pilastro recita: "[Sv]etapathasa (Yona?)sa danam", con probabilmente lo stesso significato, ("Dono della Yona di Setapatha").

- La terza iscrizione, su due lastre pavimentali adiacenti, recita "Cuda yo[vana]kasa bo silayo" ("Due lastre di Cuda, la Yonaka").

Intorno al 113 a.C., è noto che Eliodoro, ambasciatore del sovrano indo-greco Antialcida, dedicò un pilastro, la colonna di Eliodoro, a circa 8 chilometri da Sanchi, nel villaggio di Vidisha.

Un altro straniero piuttosto simile è anche raffigurato a Bharhut, il Bharhut Yavana (circa 100 a.C.), che indossa anche una tunica e una fascia reale alla maniera di un re greco, e mostra un triratna buddista sulla sua spada. Un altro si trova nella regione di Odisha, nelle grotte di Udayagiri e Khandagiri.

Aniconismo - In tutte queste scene il Buddha non è mai rappresentato, essendo del tutto assente anche da scene della sua vita dove svolge un ruolo centrale: Miracolo del Buddha che cammina sul fiume Nairanjana è rappresentato solo dal suo percorso sull'acqua; nella Processione del re Suddhodana da Kapilavastu, cammina nell'aria alla fine della processione, ma la sua presenza è suggerita solo dalle persone che girano la testa verso l'alto verso il simbolo del suo cammino.

In uno dei rilievi del Miracolo di Kapilavastu, il re Suddhodana prega mentre suo figlio Buddha si alza in aria. Il Buddha è lodato dagli esseri celesti, ma solo il suo percorso è visibile sotto forma di una lastra sospesa a mezz'aria, chiamata chankrama o "passeggiata".

Aniconismo_MiracoloKapilavastu.jpg (308435 byte)Altrimenti, la presenza del Buddha è simboleggiata da un trono vuoto, come nella scena di Bimbisara con il suo corteo reale che esce dalla città di Rajagriha per visitare il Buddha. Scene simili sarebbero poi apparse nell'arte greco-buddista del Gandhara, ma questa volta con rappresentazioni del Buddha. John Marshall ha dettagliato ogni pannello nel suo lavoro "A Guide to Sanchi".

Questo anoconismo è in relazione all'immagine del Buddha potrebbe essere conforme a un antico divieto buddista di mostrare il Buddha stesso in forma umana, noto dal Sarvastivada vinaya (regole della prima scuola buddista del Sarvastivada): ""Poiché non è permesso fare un'immagine del corpo del Buddha, prego che il Buddha mi conceda di poter fare un'immagine dell'assistente di Bodhisattva. È accettabile?" Il Buddha rispose: "Puoi fare un'immagine del Bodhisattva".

LE PORTE O TORANA - Le porte raffigurano varie scene della vita del Buddha, nonché eventi dopo la sua morte, in particolare la Guerra delle Reliquie e gli sforzi dell'imperatore Ashoka per diffondere la fede buddista.

Stupa n. 1 - Porta meridionale - Si pensa che la porte meridionale dello Stupa n. 1 sia l'ingresso principale e più antico dello stupa. I fregi narrativi di questa porta mettono grande enfasi sulle reliquie del Buddha e sul ruolo di Ashoka nella diffusione della fede buddista. Questa porta è una delle due ricostruite dal maggiore Cole nel 1882-1883. Tutto lo stipite destro e metà di quello sinistro sono nuovi e vuoti, così come l'estremità occidentale dell'architrave inferiore, l'estremità orientale dell'architrave centrale e i sei montanti verticali tra gli architravi.

Riscoperta occidentale

Il generale Henry Taylor (1784–1876) che fu un ufficiale britannico nella Terza Guerra Maratha del 1817–1819, fu il primo storico occidentale noto a documentare nel 1818 (in inglese) l'esistenza degli stupa di Sanchi. Il sito era in uno stato di totale abbandono. Il Grande Stupa fu goffamente violato da Sir Herbert Maddock nel 1822, sebbene non fu in grado di raggiungere il centro, e quindi lo abbandonò. Alexander Cunningham e Frederick Charles Maisey fecero la prima indagine formale e scavi a Sanchi e negli stupa circostanti della regione nel 1851. Archeologi dilettanti e cacciatori di tesori devastarono il sito fino al 1881, quando iniziarono i lavori di restauro. Tra il 1912 e il 1919 le strutture furono riportate alle condizioni attuali sotto la supervisione di Sir John Marshall.

Gli europei del XIX secolo erano molto interessati allo Stupa, originariamente costruito da Ashoka. I francesi chiesero il permesso a Shahjehan Begum di portare via la porta orientale che era abbastanza ben conservata, in un museo in Francia. Anche gli inglesi, che si erano stabiliti in India, principalmente come forza politica, erano interessati a portarlo in Inghilterra in un museo. Si accontentarono di copie in gesso preparate con cura e l'originale rimase nel sito, parte dello stato di Bhopal. Il governo di Bhopal, Shahjehan Begum e il suo successore, il sultano Jehan Begum, fornirono denaro per la conservazione dell'antico sito. 

John Marshall, direttore generale dell'Indagine archeologica dell'India dal 1902 al 1928, riconobbe il suo contributo dedicando i suoi importanti volumi su Sanchi al sultano Jehan. Aveva finanziato la costruzione del museo. Essendo uno dei primi e più importanti pezzi architettonici e culturali buddisti, ha drasticamente trasformato la comprensione dell'India primitiva rispetto al buddismo.

 Ora è un meraviglioso esempio del sito archeologico accuratamente conservato dall'Archeological Survey of India. Il posto dello Stupa Sanchi, nella storia e nella cultura indiana, può essere valutato dal fatto che la Reserve Bank of India ha introdotto nuove banconote da 200 rupie indiane con lo stupa Sanchi nel 2017.

Poiché Sanchi è rimasto pressoché intatto, solo pochi manufatti di Sanchi si possono trovare nei musei occidentali: ad esempio, la statua Gupta di Padmapani è al Victoria and Albert Museum di Londra e uno degli Yashini si trova al British Museum.

Oggi sulla collina di Sanchi rimangono una cinquantina di monumenti, tra cui tre stupa principali e diversi templi. I monumenti sono stati elencati tra gli altri monumenti famosi nei siti del patrimonio mondiale dell'UNESCO dal 1989.

I rilievi di Sanchi, in particolare quelli raffiguranti le città indiane, sono stati importanti nel tentativo di immaginare come fossero le antiche città indiane. Molte simulazioni moderne sono basate sulle illustrazioni urbane di Sanchi.

Chetiyagiri Vihara e le sacre reliquie

Le reliquie ossee (asthi avashesh) dei maestri buddisti insieme ai reliquiari, ottenuti da Maisey e Cunningham, furono divise e da loro portate in Inghilterra come trofei personali. La famiglia di Maisey vendette gli oggetti al Victoria and Albert Museum dove rimasero a lungo. I buddisti in Inghilterra, Sri Lanka e India, guidati dalla Mahabodhi Society, chiesero che fossero restituiti. 

Alcune delle reliquie di Sariputta e Moggallana furono rimandate in Sri Lanka, dove furono esposte pubblicamente nel 1947. Fu un evento così grandioso in cui l'intera popolazione dello Sri Lanka andò a vederli. Tuttavia, sono stati successivamente restituiti all'India. Ma un nuovo tempio Chetiyagiri Vihara fu costruito per ospitare le reliquie, nel 1952. In senso nazionalistico, questo segnò il ripristino formale della tradizione buddista in India. Alcune delle reliquie sono state ottenute dalla Birmania.

Collegamenti:

    

Fonte:
Dimore eterne - Alberto Siliotti