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Il
mondo indiano, ricco di splendide opere d’arte, ha dedicato pochissimo
spazio all’architettura funeraria: è con l’avvento degli invasori
musulmani nel XII secolo che si sviluppa la tipologia del mausoleo ed è
probabilmente perché influenzati da questo che i sovrani dei Rajput,
popolazioni guerriere indù stanziate in quello che oggi è lo stato del
Rajasthan, fecero innalzare le chattri, padiglioni colonnati sormontati
da cupole, nei luoghi di cremazione delle famiglie reali. Il
disinteresse per il monumento funebre è conseguente alla convinzione,
fondamentale nella cultura indiana, che l’esistenza non si esaurisca
in un unico episodio vitale, ma si dipani attraverso innumerevoli
rinascite sotto spoglie differenti. Ciò porta alla svalutazione del
corpo del defunto, che non è unico e irripetibile, ma si riproduce
sempre diverso ogni volta che si torna all’esistenza.
La
teoria del samsara, ovvero la catena delle rinascite, è radicata nella
concezione che la somma degli atti compiuti durante la vita inneschi una
serie di effetti solo parzialmente fruibili all’interno
dell’esistenza che li ha generati. Una notevole porzione dei frutti
dell’agire, ovvero il karman, matura in tempi lunghi ed impone un
ulteriore ritorno nel mondo per la riscossione. Quanto di negativo o
positivo l’essere umano sperimenta nella vita presente è causato
dalle azioni compiute nelle esistenze passate. Sta dunque all’uomo la
possibilità di costruirsi una rinascita migliore con un comportamento
virtuoso nella condizione attuale.
Il
fine ultimo non è, comunque, il miglioramento del samsara, bensì la
sua interruzione attraverso un agire che non porti più conseguenze. Il
rito consapevole, la conoscenza discriminante, la devozione fiduciosa,
il cammino ascetico sono le principali modalità di inibizione degli
effetti degli atti del quotidiano.
La
concezione del karman e del conseguente samsara, tipica del mondo indù,
fu condivisa anche dal nobile Siddhartha Gautama, divenuto nel VI secolo
a.C. il Buddha, il “Risvegliato”, poiché aveva riattinto la Verità
racchiusa nel profondo di ogni essere umano ed aveva di conseguenza
raggiunto la condizione di Illuminato. Preso atto del dolore che
affligge l’umanità e l’universo, costituiti entrambi da serie
incessanti di fenomeni transeunti, dolorosi e privi di significazione,
il Buddha aveva scoperto nell’attaccamento al mondo materiale la
radice della sofferenza e aveva indicato nell’esistenza distaccata del
monaco itinerante l’antidoto per estirparla. Alla morte del Buddha,
come espressamente raccomandato da lui stesso, quanto rimasto della sua
cremazione venne diviso tra otto dei più insigni sovrani dell’epoca
che avevano partecipato alle esequie, con l’impegno di erigere sopra
le preziose reliquie dei tumuli funerari.
Secondo
la tradizione è questa l’origine dello stupa, il monumento più
importante dell’architettura buddista, che evidentemente eredita la
funzione degli antichissimi monticelli di terra e mattoni che
raccoglievano i resti di personaggi di spicco fra il II e il I millennio
a.C., quando pare sussistessero sia l’inumazione che la cremazione. La
cremazione finì per predominare, ma il buddismo diede un nuovo
significato nello stupa al tumulo funerario, trasformandolo
nell’evocazione tangibile della presenza del Buddha e dei successivi
venerabili maestri della comunità monastica buddista.
Da
reliquiario lo stupa venne assumendo molteplici significati simbolici,
alludendo al contempo al Buddha e al Dharma, la sua dottrina, essendo
rappresentazione dell’universo e rimando alla sua cosmogonia. Il
“Grande stupa” di Sanci a 70 chilometri da Bhopal, capitale dello
stato del Madhya Pradesh, ne è l’esempio più completo e
rappresentativo. La sua collocazione su un rilievo alla confluenza di
due fiumi presentava un’ampia serie di vantaggi: il contesto naturale
appartato favoriva la vita monastica e la vicinanza a quella che un
tempo era la prospera città carovaniera di Vidisha, oggi Besnagar,
rafforzava i rapporti con la comunità dei mercanti, principali
sostenitori del buddismo. Le numerose iscrizioni votive sullo stupa
attribuiscono infatti alla generosità dei commercianti locali
l’esecuzione delle varie parti del monumento.
Dal
III secolo a.C., probabile periodo della sua fondazione, fino al XIII
secolo, quando iniziò la grande decadenza del buddismo in India, Sanci
continuò ad essere importante luogo di devozione e il grande numero di
monumenti costruiti nel corso dei secoli rappresenta un prezioso
campionario per l’evoluzione dell’arte buddista. La fama di Sanci
non è collegata a nessun episodio della vita del Buddha, ma si deve al
fatto che una delle regine di Ashoka, il grande imperatore della
dinastia Maurya che nel III secolo a.C. abbracciò la dottrina buddista,
veniva da una famiglia di ricchi mercanti di Vidisha. Le cronache
buddiste ricordano la visita che il principe Mahendra, artefice della
diffusione del messaggio dell’Illuminato a Sri Lanka, fece alla madre
ed è probabilmente in questa occasione che venne eretto il nucleo
centrale più antico in mattoni cotti e malta del “Grande
stupa”.
La
località, dimenticata per secoli, venne riscoperta per caso nel 1818
dal generale inglese Taylor, diventando meta di archeologi dilettanti e
cercatori di tesori. Il restauro iniziò nel 1851, ma fu solo
trent’anni dopo che l’opera di recupero venne sistematicamente
intrapresa dal maggiore Cole e completata da John Marshall,
sovrintendente del Dipartimento Archeologico fra il 1912 e il 1919, che
numerò più di cinquanta monumenti.
Lo
stupa principale, noto come “Grande stupa” o stupa n. 1, ha un
diametro di 36,60 metri ed è alto 16,46 metri, escludendo la parte
apicale. Il monumento attuale risale al II secolo a.C., quando il tumulo
di Ashoka venne inglobato in un corpo di blocchetti in arenaria locale
ricoperti da uno spesso strato di intonaco e ampliato con nuove
strutture.
La
costruzione sorge all’interno di una recinzione, la vedika, che rivela
i prototipi lignei, essendo composta da listoni ad incastro riproducenti
uno steccato.

In
essa si aprono quattro portali, i torana, edificati nel I secolo d.C. e
costituti da due pilastri sormontati da tre architravi curvilinei,
separati fra loro da blocchi quadrati e da teorie di cavalieri su
elefanti e cavalli. Dall’abaco dello stipite alla voluta spiraliforme
del primo architrave si protendono sinuose figure di shalabhanjika, le
yaksi o ninfee degli alberi, mentre numerosi bassorilievi ornano le
superfici dei torana. Lo stupa si articola in tre sezioni: l’alta base
circolare, medhi, che rappresenta la terra; il corpo tumuliforme
sovrastante che allude alla volta celeste e al contempo, vista la sua
denominazione di anda, rimanda all’”uovo” cosmico galleggiante
sulle acque primordiali da cui nacque l’universo; la balaustra
quadrata, harmika, da cui svetta il pennone, yashti,
perno dell’ideale spirale tridimensionale formata dallo stupa nel suo
compattarsi in una serie concentrica di mattoni, alternati a detriti di
riempimento, conclusa da un’ultima guaina di pietre. Raccordo fra
mondo sotterraneo, terra e cielo, lo yashti è simbolo dell’axis
mundi, espresso dal mondo indiano ora come montagna, ora come albero
cosmico. In effetti l’harmika e lo yashti rimandano ad entrambi, anche
se l’ambito buddista sembra privilegiare l’immagine arborea, dato
che l’illuminazione di Siddhartha è avvenuta sotto un albero, il
pipal o ficus religiosa; diventato oggetto di devozione, questo fu
incluso in un recinto di legno, che l’harmika riproduce, trasformatosi
in seguito in padiglione di culto.
Sullo
yashti svettano tre parasole, simbolo dei gioielli del buddismo – il
Buddha, il Sangha, il Dharma; cioè, l’Illuminato, la Comunità, la
Dottrina – e nelle interpretazioni posteriori rimando ai vari piani da
ascendere per raggiungere l’illuminazione. Benché nel “Grande
stupa” non sia stato trovato, il reliquiario, collocato o meno in una
apposita camera sotto lo yashti, è il cuore del monumento, alludente
alla presenza immanente del Buddha. Al tempo stesso, però, lo stupa
esplicita significati cosmogonici e metafisici. L’anda con la sua
forma circolare rimanda all’esistenza che ciclicamente si produce e si
dissolve, al samsara, che è teoria ininterrotta di vite e, al contempo,
riproduce la mitica struttura del mondo: una serie concentrica di
continenti intercalati da anelli di oceano. Così la vedika non solo
separa lo spazio sacro da quello profano, ma simboleggia la catena di
monti che racchiude l’universo. I torana che in essa si aprono
espletano la funzione iniziatica della porta, luogo di comunicazione fra
il mondo profano e quello sacro, cifra della trasformazione spirituale
che si opera entrando nel perimetro dello stupa. Collocati ai quattro
punti cardinali, sono le terminazioni dei bracci della croce ideale che,
proiettandosi dal centro, determina lo spazio. La disposizione angolata
destrorsa dei torana trasforma la croce nella svastika, simbolo del sole
e quindi del tempo. Ma il punto centrale donde scaturisce la croce altri
non è che il Buddha, inteso come Assoluto, Principio Primo, origine
dello spazio e del tempo.
L’irradiamento
esplicitato dalla croce a svastika non evoca solo l’espandersi
spaziale e temporale del cosmo, ma celebra la diffusione del Dharma, la
dottrina salvifica del Buddha che si diffonde verso tutte le plaghe
dell’universo. Il corridoio fra lo stupa e la recinzione permette il
rito della pradakshina, la deambulazione, che consiste nel girare
attorno alla costruzione tenendola alla propria destra, ovvero seguendo
il percorso del sole. E in effetti, essendo lo stupa monumento chiuso,
è fruibile solo all’esterno.
Di
Siddhartha, il Buddha storico, non vi sono immagini sui portali di
Sanci. All’epoca della realizzazione dei torana, infatti, predominava
la corrente buddista più antica e tradizionale, il Theravada, la
“Dottrina dei decani” nota anche come Hinayana, “Piccolo veicolo
(di salvezza)”, che vedeva nel Buddha l’incarnazione della dottrina
e su questa poneva l’accento piuttosto che sulla dimensione umana del
Maestro. Così le vicende del Buddha all’interno dei bassorilievi sono
evocate da simboli quali le impronte dei piedi che ne indicano la
presenza; l’albero, che celebra il momento dell’illuminazione; il
trono ed il parasole, che sottolineano la prominenza dell’Illuminato
in seno alla comunità dei monaci; la ruota, che evoca la diffusione
della dottrina; lo stupa, che celebra l’entrata nel nirvana, lo stato
di estinzione del doloroso e incessante divenire terreno. L’estro
creativo degli artisti, spesso avariai, ebanisti, gioiellieri, trovò
inoltre ampio materiale di espressione nei “Jataka”, le raccolte
letterarie delle vite anteriori del Buddha sotto varie spoglie.
Molto
più piccolo e semplice, il vicino stupa n. 3, coevo al grande, è
preceduto da un solo portale, anch’esso come gli altri del I secolo
d.C., inferiore però come finezze d’intaglio. L’importanza del
monumento risiede nel suo significato religioso, poiché contiene nella
camera delle reliquie due sarcofagi con i resti di Shariputra e
Maugdalyayana, famosi discepoli del Buddha.
Anche
il più lontano stupa n. 2, che sorge su una terrazza artificiale a 320
metri sotto la cima della collina, ospita in un vano decentrato i
reliquiari di almeno tre generazioni di insigni maestri buddisti. Simile
allo stupa n. 3 e probabilmente databile anch’esso al II secolo a.C.,
è però privo di torana, benché la sua balaustra sia decorata da
medaglioni che includono splendidi viluppi floreali, vivaci
raffigurazioni di animali e figure umane di stile arcaico.
I
numerosi altri stupa in diverso stato di conservazione che costellano la
collina di Sanci, frammisti a templi e a edifici di vario stile, non
ospitano reliquie, ma sono offerte votive di pellegrini. Eretti in
mattoni o in pietra a seconda delle dimensioni, impostati su basamenti
quadrati e rotondi, un tempo stuccati e dipinti, evidenziano come
all’antica destinazione funeraria si sia progressivamente sovrapposta
quella celebrativa. Lo stupa rappresenta la totalità del mondo
buddista, che ha nell’Illuminato la Guida suprema, nella Dottrina il
messaggio salvifico e nei monaci e nei laici la Comunità dei Credenti.
Complesso
di Sanchi

- Il
complesso di Sanchi oggi comprende una serie di monumenti buddisti
a partire dal periodo dell'Impero Maurya (III secolo a.C.),
continuando con il periodo dell'Impero Gupta (V secolo) e terminando intorno al XII
secolo. È
probabilmente il gruppo di monumenti buddisti meglio conservato in
India. Il
monumento più antico, e anche il più grande, è il Grande Stupa
chiamato anche Stupa n. 1, inizialmente costruito sotto i Maurya,
e adornato con uno dei Pilastri di Ashoka. Durante
i secoli successivi, specialmente sotto gli Shunga e i
Satavahana, il Grande Stupa fu ampliato e decorato con cancelli e
ringhiere, e nelle vicinanze furono costruiti anche stupa più
piccoli, in particolare lo Stupa n.2 e lo Stupa n.3.
-
- Contemporaneamente
furono costruite anche varie strutture di templi, fino al periodo
dell'Impero Gupta e anche successivamente. Nel complesso, Sanchi
racchiude la maggior parte delle evoluzioni dell'antica
architettura indiana e dell'antica architettura buddista in India,
dalle prime fasi del buddismo e dalla sua prima espressione
artistica, al declino della religione nel subcontinente.
-
- Periodo
Mauryan (III secolo a.C.) - Il
"Grande Stupa" di Sanchi è la struttura più antica e
fu originariamente commissionato dall'imperatore Ashoka il Grande
dell'Impero Maurya nel III secolo a.C. Il suo nucleo era una
struttura emisferica in mattoni costruita sulle reliquie del
Buddha, con
una terrazza rialzata che ne racchiudeva la base e una ringhiera e
un ombrello di pietra sulla sommità, il "chatra", una
struttura simile a un parasole a simboleggiare l'alto rango del
personaggio. Lo stupa originale aveva solo circa la metà del
diametro di quello odierno, che è il risultato dell'allargamento
da parte dei Sunga. Era ricoperto di mattoni, in contrasto con le
pietre che lo ricoprono ora.
-
Secondo
una versione del Mahavamsa, la cronaca buddista dello Sri
Lanka, Ashoka era strettamente collegato alla regione di Sanchi.
Quando era ancora erede al trono e stava viaggiando come viceré a Ujjain,
si dice che si fosse fermato a Vidisha (a 10 chilometri da Sanchi), e lì avesse sposato la figlia di un
banchiere locale. Fu chiamata Devī e in seguito diede ad Ashoka due figli, Ujjeniya e Mahendra, e una figlia Sanghamitta. Dopo l'ascesa al trono di Ashoka, Mahendra guidò
una missione buddista in Sri Lanka, inviata probabilmente sotto
gli auspici dell'imperatore, e prima di partire per l'isola fece
visita a sua madre a Chetiyagiri vicino a Vidisa, ritenuta Sanchi.
Fu alloggiato in un sontuoso vihara o
monastero.
-
- Pilastro
di Ashoka
- Sul lato della porta principale (torana) fu eretto un
pilastro di arenaria finemente levigata, uno dei Pilastri
di Ashoka. La parte inferiore del pilastro è ancora in piedi
mentre quelle superiori sono presso il vicino Museo archeologico
di Sanchi. Il capitello è costituito da quattro leoni,
che probabilmente sorreggevano una Ruota della Legge, come
suggerito anche da successive illustrazioni tra i rilievi di
Sanchi. Il
pilastro ha un'iscrizione Ashokan ("Editto Scisma") e
un'iscrizione nel "Sankha Lipi" ornamentale
del periodo Gupta.
-
L'iscrizione
Ashokan è incisa nei primi caratteri Brahmi. Sfortunatamente
è molto danneggiata, ma gli ordini che contiene sembrano essere
gli stessi registrati negli editti di Sarnath e Kausambi, che
insieme formano i tre esempi noti dell'"Editto scisma"
di Ashoka. Si riferisce alle sanzioni per lo scisma nel sangha
buddista: «...
il percorso è prescritto sia per i monaci che per le monache.
Fintanto che (i miei) figli e pronipoti (regneranno; e) finché la
Luna e il Sole (dureranno), il monaco o la monaca che causeranno
divisioni nel Sangha, saranno obbligati a indossare abiti bianchi
e a risiedere in disparte. Qual è il mio desiderio? Che il Sangha
possa essere unito e possa durare a lungo.» (Editto
di Ashoka sul pilastro Sanchi.)
-
- Il
pilastro, quando integro, era alto circa 12,5 metri ed era
costituito da un fusto monolitico tondo e leggermente rastremato,
con capitello a campana sormontato da un abaco e coronato da
quattro leoni addossati per il dorso, il tutto finemente rifinito
e levigato a una lucentezza notevole dall'alto verso il basso.
L'abaco è ornato da quattro palmette fiammeggianti separate
l'una dall'altra da coppie di oche, simboli forse del gregge dei discepoli del Buddha. I leoni della
cima, sebbene ormai alquanto sfigurati, testimoniano ancora
l'abilità degli scultori.
-
- L'arenaria in cui è scolpito il pilastro proveniva dalle cave di Chunar a diverse centinaia di chilometri di distanza, il che implica che i
costruttori erano in grado di trasportare un blocco di pietra
lungo più di 12 metri e del peso di quasi 40 tonnellate su tale
distanza. Probabilmente usavano il trasporto su acqua, usando
zattere durante la stagione delle piogge fino ai fiumi Gange,
Jumna e Betwa.
-
- TEMPIO
N. 40 - Un'altra
struttura che è stata datata, almeno in parte, al III secolo
a.C., è il cosiddetto Tempio n. 40, uno dei primi esempi di
templi indipendenti in India. Il
Tempio n. 40 ha resti di tre diversi periodi, il primo risale
all'età Maurya, che probabilmente lo rende contemporaneo alla
creazione del Grande Stupa. Un'iscrizione suggerisce addirittura
che potrebbe essere stato costruito da Bindusara, il padre di
Ashoka. Il tempio originale del III secolo a.C. fu costruito
su un'alta piattaforma rettangolare in pietra, di 26,52 × 14,00
× 3,35 metri, con due rampe di scale a est e a ovest. Si tratta
di una sala absidale, probabilmente realizzata in legno. Fu
bruciato nel II secolo a.C.
-
- Successivamente,
la piattaforma fu ampliata a 41,76 × 27,74 metri e riutilizzata
per erigere una sala a pilastri con cinquanta colonne (5 × 10) di
cui rimangono dei monconi. Alcuni di questi pilastri hanno
iscrizioni del II secolo a.C. Nel VII o VIII
secolo fu eretto un piccolo santuario in un angolo della
piattaforma, riutilizzando alcuni dei pilastri e collocandoli
nella posizione attuale.
- Sulla
base dell'Ashokavadana,
si presume che lo stupa possa essere stato vandalizzato nel II
secolo a.C., un evento che alcuni hanno collegato all'ascesa
dell'imperatore Shunga, Pusyamitra Shunga, che aveva
conquistato l'Impero Maurya come generale dell'esercito. È
stato suggerito che Pushyamitra potrebbe aver distrutto lo stupa
originale e che suo figlio Agnimitra lo abbia ricostruito. Lo
stupa originale in mattoni era ricoperto di pietra durante il
periodo Shunga.
-
Data
la natura piuttosto decentralizzata e frammentaria dello stato
Shunga, con molte città che battevano la propria moneta, nonché
la relativa antipatia degli Shunga per il buddismo, alcuni autori
sostengono che le costruzioni di quel periodo a Sanchi non possono
davvero essere chiamate "Shunga". Non erano il risultato
del patrocinio reale, in contrasto con quanto accaduto durante i
Maurya, e la maggior parte delle dediche a Sanchi erano private o
collettive, piuttosto che il risultato del mecenatismo reale.
-
- Lo
stile delle decorazioni del periodo Shunga a Sanchi ha una stretta
somiglianza con quelle di Bharhut, così come le balaustre
periferiche del Tempio di Mahabodhi a Bodh Gaya.
-
- Raddoppiarono
quasi il diametro dello stupa iniziale, racchiudendolo in pietra,
e costruirono una balaustra e una ringhiera attorno ad
esso.
-
- Durante
il successivo dominio degli Shunga, lo stupa fu ampliato con
lastre di pietra fino a quasi il doppio delle sue dimensioni
originali. La cupola era appiattita nella parte superiore e
coronata da tre ombrelloni sovrapposti entro una ringhiera
quadrata. Con i suoi numerosi livelli era un simbolo del dharma,
la Ruota della Legge. La cupola era posta su un alto tamburo
circolare destinato alla circumambulazione,
al quale si accedeva tramite una doppia scalinata.
-
- Un secondo
percorso in pietra a livello del suolo era racchiuso da una
balaustra in pietra. Le ringhiere intorno allo Stupa n. 1 non
hanno rilievi artistici. Queste sono solo lastre, con alcune
iscrizioni dedicatorie. Questi elementi sono datati a circa il 150
a.C. o
175-125 a.C.
-
- Sebbene
le ringhiere siano realizzate in pietra, sono copiate da un
prototipo in legno e, come ha osservato John Marshall, le giunture
tra le pietre di copertura sono state tagliate in obliquo, poiché
il legno viene tagliato naturalmente e non verticalmente come
dovrebbe essere tagliata la pietra. Oltre alle brevi registrazioni
dei donatori, scritte sulle ringhiere in caratteri Brahmi, ci sono
due iscrizioni successive aggiunte durante il periodo Gupta. Alcuni
rilievi sono visibili sulla balaustra delle scale, ma sono
probabilmente leggermente posteriori a quelli dello Stupa n.2, e
sono datati al 125-100 a.C. Alcuni
autori ritengono che questi rilievi, piuttosto rozzi e senza
evidenti connotazioni buddiste, siano i rilievi più antichi di
tutto il Sanchi, leggermente più antichi anche dei rilievi dello
stupa di Sanchi n. 2.
Grande
Stupa (Solo l'espansione dello stupa e le balaustre sono
Shunga).
Ringhiere a terra non decorate datate al 150 a.C. circa. Alcuni
rilievi sulla balaustra della scala.
Grande
Stupa (n. 1). Strutture e decorazioni del periodo Shunga (II
secolo a.C.) |
Balaustra
e scala Shunga |
Lavoro
in pietra Shunga |
Percorso
deambulatorio |
Ringhiera
e ombrelloni sommitali |
|
Rilievi
della balaustra delle scale |
Donna
che cavalca un Centauro |
Elefante |
Loto |
Motivo
floreale |
Palmetta |
Pavone |
Mezzo
loto |
Palmetta
e loto |
STUPA
N. 2: il primo rilievo buddista - Gli
stupa che sembrano essere stati commissionati durante il dominio degli
Shunga sono il Secondo e poi il Terzo, ma non le porte riccamente
decorate, che sono del successivo periodo Satavahana, come noto dalle
iscrizioni seguendo la balaustra a terra e la pietra involucro del
Grande Stupa (Stupa n. 1). I rilievi sono datati al 115 a.C. circa per i
medaglioni e all'80 a.C. per le sculture dei pilastri, leggermente
prima dei rilievi di Bharhut, con alcune rielaborazioni fino al I
secolo.
Le ringhiere del
periodo Sunga erano inizialmente non decorate (a sinistra: Grande Stupa)
e iniziarono a essere decorate solo intorno al 115 a.C. con lo Stupa n.
2 (a destra).
Lo
Stupa n. 2 venne costruito più tardi del Grande Stupa, ma probabilmente
mostra i primi ornamenti architettonici. Per la prima volta vengono
rappresentati temi chiaramente buddisti, in particolare i quattro eventi
della vita del Buddha che sono: la Natività, l'Illuminazione, il Primo
Sermone e la Morte.
Le
decorazioni dello Stupa n. 2 sono state definite "la più antica
decorazione estesa di stupa esistente", e questo Stupa è
considerato il luogo di nascita delle illustrazioni Jataka. I rilievi allo
Stupa n. 2 recano segni di muratura in Kharoshthi, in contrasto con
la scrittura Brahmi locale. Ciò
sembra implicare che i lavoratori stranieri del nord-ovest (della
regione del Gandhara, dove Kharoshthi era la scrittura dell'epoca)
fossero gli autori dei motivi e delle figure che si possono trovare
sulle ringhiere dello stupa. Gli
stranieri del Gandhara sono altrimenti noti per aver visitato la regione
nello stesso periodo: nel 115 a.C., è registrata l'ambasciata di
Eliodoro dal re indo-greco Antialchida alla corte del re Sunga,
Bhagabhadra nella vicina Vidisha, in cui Eliodoro fece realizzare la colonna
di Eliodoro con una dedica a Vasudeva. Ciò indicherebbe che
le relazioni erano migliorate in quel momento e che le persone
viaggiavano tra i due regni.
Stupa
n. 2. Strutture e decorazioni Shunga (fine del II secolo a.C.) |
Straniero
a cavallo. I medaglioni sono datati intorno al 115 a.C. |
Donna
a cavallo di un Centauro |
Grifone con
inscrizioni in scrittura Brahmi |
Lakshmi con
loto e due assistenti di bambini, probabilmente derivato da simili
immagini di Venere |
Loto
in motivo "perline e bobine" |
STUPA
N. 3 - Lo
stupa n. 3 venne costruito durante il periodo Shunga, che vi costruirono
anche la ringhiera attorno e la scala. Si dice che le reliquie di
Sariputra e Mahamoggallana, i discepoli del Buddha, fossero state poste
nello Stupa n. 3, e sono stati realizzati degli scavi per confermare
questa ipotesi.
Secondo
le fonti i rilievi sulle ringhiere sarebbero leggermente posteriori a
quelli dello Stupa n. 2.
L'unica
porta torana orientata a sud non è Shunga, e fu costruita più tardi
sotto i Satavahana, probabilmente intorno al 50 a.C.
Stupa
n. 3. Strutture e decorazioni Shunga
(II secolo a.C.) |
Disegno
floreale |
Medaglione
loto |
Reliquie
di Sariputra e Mahamoggallana |
Rilievo |
PILASTRO
SUNGA - Il
pilastro 25 a Sanchi è anche attribuito ai Sunga, nel II-I secolo a.C.,
ed è considerato simile nel disegno alla colonna di Eliodoro, chiamata
localmente pilastro di Kham Baba, dedicato da Eliodoro, l'ambasciatore
del re indo-greco Antialchida, nella vicina Vidisha intorno al 100 a.C. Che
appartenga all'incirca al periodo dei Sunga, è chiaro sia dal suo
disegno che dal carattere del rivestimento superficiale.
L'altezza
del pilastro, compreso il capitello, è di 4,5 metri, il suo diametro
alla base 31 cm. Fino a un'altezza di 1,2 metri il pilastro è
ottagonale; oltre quella misura ha sedici lati. Nella parte ottagonale
tutte le sfaccettature sono piatte, ma nella parte superiore le
sfaccettature si alternano. Otto sono scanalate, mentre le altre otto
sono prodotte da una smussatura concava delle nervature dell'ottagono.
Questo metodo di rifinitura nel punto di transizione tra le due sezioni
è caratteristico del II e del I secolo a.C.
Il
lato ovest del fusto è sdoppiato, ma si conserva ancora il tenone alla
sommità, al quale era incastonato il capitello del consueto tipo persepolitano a
campana, con foglie di loto che ricadono sulla spalla della campana. Al
di sopra vi è una strozzatura circolare del cavo, poi una seconda
strozzatura circolare alleggerita da un motivo a perline e losanga, e,
infine, un profondo abaco quadrato ornato da una ringhiera in rilievo.
Il coronamento, probabilmente un leone, è scomparso.
PERIODO
SATAVAHANA (I SECOLO A.C. - I SECOLO - PORTE
SATAVAHANA (DAL 50 A.C. - 0) - La
porta meridionale del Grande Stupa (Stupa n. 1) a Sanchi fu, secondo
un'iscrizione, donata sotto il governo del "Re Satakarni",
probabilmente Satakarni II.
L'iscrizione
compare sul rilievo di uno stupa al centro dell'architrave superiore,
nella parte posteriore. È scritta su tre righe nella prima scrittura
Brahmi sopra la cupola dello stupa in questo rilievo.
L'Impero
satavahana sotto Satakarni II conquistò Malwa orientale dagli Shunga. Ciò
diede ai Satavahana l'accesso al sito buddista di Sanchi, nel quale sono
accreditati della costruzione delle porte decorate attorno all'originale
impero Maurya e agli stupa Sunga. A
partire dal I secolo a.C. furono costruite le porte riccamente decorate.
Anche la balaustra e le porte erano colorate. Le
porte/torana successive sono generalmente datate al I secolo.
L'iscrizione
Siri-Satakani nella
scrittura Brahmi registra il dono di uno degli architravi superiori
della Porta meridionale da parte degli artigiani del re Satavahana,
Satakarni II:
"Dono di Ananda, figlio di Vasithi, il caposquadra degli artigiani
di rajan Siri Satakarni"»
Ci
sono alcune incertezze sulla data e l'identità del Satakarni in
questione, poiché un re Satakarni è menzionato nell'iscrizione
Hathigumpha che a volte è datata al II secolo a.C. Inoltre, diversi re
Satavahana usarono il nome "Satakarni", il che complica la
questione. Le date usuali fornite per le porte vanno dal 50 a.C. al I
secolo, e il costruttore delle prime porte è generalmente considerato
Satakarni II, che regnò nel 50-25 a.C. Un altro antico
monumento Satavahana noto è la grotta n. 19 del re Kanha (100-70 a.C.)
presso le grotte di Nasik, che è molto meno sviluppata artisticamente
rispetto ai torana di Sanchi.
MATERIALE
E TECNICA DI INTAGLIO - DALL'AVORIO ALLA SCULTURA SU PIETRA SOTTO I
SATAVAHANA
- Sebbene
fatte di pietra, le porte torana erano scolpite e costruite alla maniera
del legno ed erano ricoperte di sculture narrative. È stato anche
suggerito che i rilievi in pietra siano stati realizzati da intagliatori
d'avorio della vicina Vidisha, e un'iscrizione sulla Porta meridionale del
Grande Stupa ("Il
culto dei capelli del Bodhisattva")
è stata dedicata dalla Gilda degli intagliatori d'avorio di Vidisha.
L'iscrizione
recita: "Vedisakehi
damtakārehi rupakammam katam" che
significa "I lavoratori dell'avorio di Vidisha hanno eseguito
l'incisione". Alcuni degli avori di Begram o dei "Pompei
Lakshmi" danno un'indicazione del tipo di opere in avorio che
potrebbero aver influenzato le incisioni a Sanchi.
I
rilievi mostrano scene della vita del Buddha integrate con eventi
quotidiani che sarebbero stati familiari agli spettatori e quindi
rendevano più facile per loro comprendere il credo buddista come
rilevante per le loro vite. A Sanchi e nella maggior parte degli altri
stupa la popolazione locale donò denaro per l'abbellimento dello stupa
per ottenere meriti spirituali. Non c'era un diretto patrocinio reale. I
devoti, uomini e donne, che donarono denaro per una scultura, spesso
sceglievano la loro scena preferita della vita del Buddha e poi vi
facevano incidere i loro nomi. Ciò spiega la ripetizione casuale di
particolari episodi sullo stupa (Dehejia 1992).
 Su
queste sculture in pietra il Buddha non è mai raffigurato come una
figura umana, a causa dell'aniconismo nel buddismo. Invece gli
artisti scelsero di rappresentarlo con alcuni attributi, come il cavallo
su cui aveva lasciato la casa di suo padre, le sue impronte o un
baldacchino sotto l'albero della vita nel momento della sua
illuminazione. Si pensava che il corpo umano fosse troppo angusto per il
Buddha.
ARCHITETTURA:
EVOLUZIONE DEL CAPITELLO DEL PILASTRO PORTANTE - Sono
state trovate somiglianze nei disegni dei capitelli di varie aree
dell'India settentrionale dal tempo di Ashoka al tempo dei Satavahana a
Sanchi: in particolare tra la capitale di Pataliputra dell'Impero
Mauryan di Pataliputra (III secolo a.C.), i capitelli dei pilastri del
complesso buddista dell'Impero Sunga di Bharhut (II secolo a.C.) e i
capitelli dei pilastri dei Satavahana a Sanchi (I secolo a.C./I secolo).
Il
primo esempio noto in India, il capitello Pataliputra (III secolo a.C.)
è decorato con file ripetute di rosette, ovuli e perline con modanature
ondulate e volute con rosette centrali, intorno ad una prominente
palmetta fiamma centrale, che è il motivo principale. Questi sono
abbastanza simili ai disegni greci classici e il capitello è stato
descritto come quasi ionico. È
stata suggerita l'influenza greca, così come quella persiana achemenide.
Il
capitello di Sarnath venne scoperto negli scavi archeologici nell'antico
sito buddista di Sarnath. Il
pilastro presenta volute ioniche e palmette. È stato variamente
datato dal III secolo a.C. durante il periodo dell'Impero Maurya al
I secolo a.C., durante il periodo dell'Impero Sunga. Una delle
facce mostra un cavallo al galoppo che trasporta un cavaliere, mentre
l'altra mostra un elefante e il suo mahaut.
Anche
il capitello del pilastro di Bharhut, datato al II secolo a.C. durante
il periodo dell'Impero Sunga, incorpora molte di queste caratteristiche, con
un capitello centrale con molte rosette, perline e bobine, nonché un
disegno a palmetta centrale. È importante sottolineare che sono
stati aggiunti animali sdraiati (leoni, simboli del buddismo), nello
stile dei pilastri di Ashoka.
Il
capitello del pilastro Sanchi mantiene il disegno generale, visto a
Bharhut un secolo prima, di leoni sdraiati raggruppati attorno a un palo
centrale a sezione quadrata, con il disegno centrale di una palmetta
fiammeggiante, che ebbe iniziò con il capitello di Pataliputra.
Tuttavia, il design del palo centrale è ora più semplice, con la
palmetta di fuoco che occupa tutto lo spazio disponibile. Gli
elefanti furono successivamente utilizzati per adornare i capitelli dei
pilastri (sempre con il disegno a palmetta centrale), e infine gli Yakṣa (qui il disegno a palmetta scompare).
| Evoluzione
del capitello portante indiano del pilastro, fino al I secolo |
Capitello
Mauryan (Pataliputra) IV-III secolo a.C.
|
Capitello
Sarnath
III-I secolo a.C. |
Capitello
Bharhut II secolo a.C. |
Capitello leone Sanchi
I secolo a.C. |
Capitello elefante Sanchi
I secolo a.C. |
Capitello Yaksa Sanchi I
secolo |
TEMI
PRINCIPALI RILIEVI
Jataka
- Sono
illustrati vari Jataka. Questi sono racconti morali buddisti che
riguardano eventi edificanti delle vite precedenti del Buddha mentre era
ancora un Bodhisattva. Tra i Jataka raffigurati ci sono il Syama
Jataka, il Vessantara Jataka e il Mahakapi Jataka.
Miracoli
- Sono
registrati numerosi miracoli compiuti dal Buddha. Tra questi:
-
Il miracolo di Buddha che cammina sull'acqua.
-
Il miracolo del fuoco e del legno
Tentazione
di Buddha - Numerose
scene si riferiscono alla tentazione del Buddha, quando si trovò di
fronte alle seducenti figlie di Mara e al suo esercito di demoni. Dopo
aver resistito alle tentazioni di Mara, il Buddha trovò
l'illuminazione. Altre scene simili sullo stesso argomento:
-
Tentazione del Buddha con l'esercito di Mara in fuga.
-
Illuminazione del Buddha con l'esercito di Mara in fuga.

Guerra
per le reliquie di Buddha - La
porta meridionale dello Stupa n. 1, ritenuta l'ingresso principale e più
antico dello stupa, presenta diverse rappresentazioni della storia
delle reliquie del Buddha, a partire dalla Guerra per le reliquie.
Dopo
la morte del Buddha, i Malla di Kushinagar vollero
conservare le sue ceneri, ma anche gli altri regni, volendo la loro
parte, andarono in guerra e assediarono la città di Kushinagar. Alla
fine fu raggiunto un accordo e le reliquie della cremazione del Buddha
furono divise tra 8 famiglie reali e i suoi discepoli.
Pannelli
narrativi relativi alla guerra per le reliquie del Buddha a Sanchi sono:
-
"Il Re dei
Malla che porta le reliquie del Buddha a Kushinagar",
subito dopo la morte del Buddha, prima della Guerra stessa. In questo
rilievo, si vede il re seduto su un elefante, che tiene le reliquie
sulla testa.
-
"L'assedio
di Kushinagar da parte dei sette re ",
altro rilievo sullo stesso soggetto.
Secondo
la leggenda buddista, alcuni secoli dopo, le reliquie sarebbero state
rimosse dagli otto regni guardiani dal re Ashoka e custodite in 84.000
stupa. Ashoka ottenne le ceneri da sette dei regni guardiani, ma
non riuscì a prendere quelle dei Naga a Ramagrama poiché erano troppo
potenti e furono in grado di conservarle. Questa scena è raffigurata in
una delle porzioni trasversali della porta meridionale dello Stupa n. 1
a Sanchi. Ashoka è mostrato a destra nel suo carro tra il suo esercito,
lo stupa con le reliquie è al centro e i re Naga con i loro cappucci di
serpente all'estrema sinistra sotto gli alberi.
Edifici
del tempio di Bodh Gaya di Ashoka - Ashoka
si recò a Bodh Gaya per visitare l'Albero della Bodhi sotto
il quale il Buddha ebbe la sua illuminazione, come descrisse nel suo
Editto maggiore n.8. Tuttavia Ashoka fu profondamente addolorato quando
scoprì che il sacro albero di pipal non veniva adeguatamente curato e
stava morendo a causa della negligenza della regina
Tiṣyarakṣitā.
Di
conseguenza, Ashoka si sforzò di prendersi cura dell'albero della Bodhi
e vi costruì un tempio intorno. Questo tempio divenne il centro di Bodh
Gaya. Una scultura a Sanchi, porta meridionale dello Stupa n. 1, mostra
Ashoka addolorato mentre viene sostenuto dalle sue due regine. Quindi il
rilievo sopra mostra l'albero della Bodhi che prospera all'interno del
suo nuovo tempio. Numerose altre sculture a Sanchi mostrano scene di
devozione verso l'Albero della Bodhi all'interno del suo tempio a Bodh
Gaya.
Altre
versioni del rilievo raffigurante il tempio per l'Albero della Bodhi
sono visibili a Sanchi, come il Tempio per l'Albero della Bodhi
(Porta orientale).
Devoti
stranieri - Alcuni
dei fregi di Sanchi mostrano anche devoti in abiti greci, che indossano
tuniche con gonnellino e alcuni di loro un cappello "piloi"
greco. A volte
sono anche descritti come Saci, anche se il periodo storico sembra troppo in anticipo per la loro presenza
nell'India centrale, e i due cappelli a punta sembrano troppo corti per
essere sciti. L'avviso
ufficiale Sanchi recita "Stranieri in adorazione dello Stupa".
Gli uomini sono raffigurati con corti capelli ricci, spesso tenuti insieme
da un cerchietto del tipo comunemente visto sulle monete greche. Greco
anche l'abbigliamento, completo di tuniche, mantelle e sandali, tipici
del costume greco da viaggio.. Molto
caratteristici sono anche gli strumenti musicali, come il doppio flauto
"completamente greco" detto aulos. Sono visibili
anche corna simili a carnyx.
L'effettiva
partecipazione di Yavanas/Yonas (donatori greci) alla
costruzione di Sanchi è nota da tre iscrizioni fatte da donatori Yavana
dichiarati:
-
La più chiara di queste si legge "Setapathiyasa Yonasa danam"
("Dono della Yona di Setapatha"), Setapatha è una città
incerta, forse una località vicino a Nashik, un
luogo dove sono presenti altre dediche di Yavanas, come nella grotta n.
17 del complesso delle Grotte di Nashik, e sui pilastri delle Grotte di
Karla non lontane.
-
Una seconda iscrizione simile su un pilastro recita: "[Sv]etapathasa
(Yona?)sa danam", con probabilmente lo stesso significato,
("Dono della Yona di Setapatha").
-
La terza iscrizione, su due lastre pavimentali adiacenti, recita "Cuda
yo[vana]kasa bo silayo" ("Due lastre di Cuda, la
Yonaka").
Intorno
al 113 a.C., è noto che Eliodoro, ambasciatore del sovrano indo-greco Antialcida,
dedicò un pilastro, la colonna di Eliodoro, a circa 8 chilometri
da Sanchi, nel villaggio di Vidisha.
Un
altro straniero piuttosto simile è anche raffigurato a Bharhut, il
Bharhut Yavana (circa 100 a.C.), che indossa anche una tunica e una
fascia reale alla maniera di un re greco, e mostra un triratna buddista sulla sua spada. Un altro si trova
nella regione di Odisha, nelle grotte di Udayagiri e Khandagiri.

Aniconismo
- In
tutte queste scene il Buddha non è mai rappresentato, essendo del tutto
assente anche da scene della sua vita dove svolge un ruolo centrale: Miracolo
del Buddha che cammina sul fiume Nairanjana è
rappresentato solo dal suo percorso sull'acqua; nella Processione
del re Suddhodana da Kapilavastu,
cammina nell'aria alla fine della processione, ma la sua presenza è
suggerita solo dalle persone che girano la testa verso l'alto verso il
simbolo del suo cammino.
In
uno dei rilievi del Miracolo
di Kapilavastu,
il re Suddhodana prega mentre suo figlio Buddha si alza in aria. Il
Buddha è lodato dagli esseri celesti, ma solo il suo percorso è
visibile sotto forma di una lastra sospesa a mezz'aria, chiamata
chankrama o "passeggiata".
Altrimenti,
la presenza del Buddha è simboleggiata da un trono vuoto, come nella scena
di Bimbisara con il suo corteo reale che esce dalla città di Rajagriha
per visitare il Buddha.
Scene simili sarebbero poi
apparse nell'arte greco-buddista del Gandhara, ma questa volta con rappresentazioni del Buddha. John Marshall ha
dettagliato ogni pannello nel suo lavoro "A Guide to Sanchi".
Questo
anoconismo è in relazione all'immagine del Buddha potrebbe essere
conforme a un antico divieto buddista di mostrare il Buddha stesso in
forma umana, noto dal Sarvastivada vinaya (regole della prima
scuola buddista del Sarvastivada): ""Poiché non è permesso
fare un'immagine del corpo del Buddha, prego che il Buddha mi conceda di
poter fare un'immagine dell'assistente di Bodhisattva. È
accettabile?" Il Buddha rispose: "Puoi fare un'immagine del
Bodhisattva".
LE
PORTE O TORANA - Le
porte raffigurano varie scene della vita del Buddha, nonché eventi dopo
la sua morte, in particolare la Guerra delle Reliquie e gli sforzi
dell'imperatore Ashoka per diffondere la fede buddista.
Stupa
n. 1 - Porta meridionale - Si
pensa che la porte meridionale dello Stupa n. 1 sia l'ingresso
principale e più antico dello stupa. I fregi narrativi di questa
porta mettono grande enfasi sulle reliquie del Buddha e sul ruolo di
Ashoka nella diffusione della fede buddista. Questa porta è una delle
due ricostruite dal maggiore Cole nel 1882-1883. Tutto lo stipite destro
e metà di quello sinistro sono nuovi e vuoti, così come l'estremità
occidentale dell'architrave inferiore, l'estremità orientale
dell'architrave centrale e i sei montanti verticali tra gli architravi.
Riscoperta
occidentale
Il
generale Henry Taylor (1784–1876) che fu un ufficiale britannico nella Terza
Guerra Maratha del 1817–1819, fu il primo storico occidentale noto a
documentare nel 1818 (in inglese) l'esistenza degli stupa di Sanchi. Il sito
era in uno stato di totale abbandono. Il Grande Stupa fu goffamente violato da
Sir Herbert Maddock nel 1822, sebbene non fu in grado di raggiungere il
centro, e quindi lo abbandonò. Alexander
Cunningham e Frederick Charles Maisey fecero la prima indagine formale e scavi
a Sanchi e negli stupa circostanti della regione nel 1851. Archeologi
dilettanti e cacciatori di tesori devastarono il sito fino al 1881, quando
iniziarono i lavori di restauro. Tra il 1912 e il 1919 le strutture furono
riportate alle condizioni attuali sotto la supervisione di Sir John Marshall.
Gli
europei del XIX secolo erano molto interessati allo Stupa, originariamente
costruito da Ashoka. I francesi chiesero il permesso a Shahjehan Begum di
portare via la porta orientale che era abbastanza ben conservata, in un museo
in Francia. Anche gli inglesi, che si erano stabiliti in India, principalmente come
forza politica, erano interessati a portarlo in Inghilterra in
un museo. Si accontentarono di copie in gesso preparate con cura e l'originale
rimase nel sito, parte dello stato di Bhopal. Il governo di Bhopal, Shahjehan
Begum e il suo successore, il sultano Jehan Begum, fornirono denaro per la
conservazione dell'antico sito.
John Marshall, direttore generale
dell'Indagine archeologica dell'India dal 1902 al 1928, riconobbe il suo
contributo dedicando i suoi importanti volumi su Sanchi al sultano Jehan.
Aveva finanziato la costruzione del museo. Essendo uno dei primi e più
importanti pezzi architettonici e culturali buddisti, ha drasticamente
trasformato la comprensione dell'India primitiva rispetto al buddismo.
Ora è
un meraviglioso esempio del sito archeologico accuratamente conservato
dall'Archeological Survey of India. Il posto dello Stupa Sanchi, nella storia
e nella cultura indiana, può essere valutato dal fatto che la Reserve Bank of
India ha introdotto nuove banconote da 200 rupie indiane con lo stupa Sanchi
nel 2017.
Poiché
Sanchi è rimasto pressoché intatto, solo pochi manufatti di Sanchi si
possono trovare nei musei occidentali: ad esempio, la statua Gupta di
Padmapani è al Victoria and Albert Museum di Londra e uno degli Yashini
si trova al British Museum.
Oggi
sulla collina di Sanchi rimangono una cinquantina di monumenti, tra cui tre
stupa principali e diversi templi. I monumenti sono stati elencati tra gli
altri monumenti famosi nei siti del patrimonio mondiale dell'UNESCO dal 1989.
I
rilievi di Sanchi, in particolare quelli raffiguranti le città indiane, sono
stati importanti nel tentativo di immaginare come fossero le antiche città
indiane. Molte simulazioni moderne sono basate sulle illustrazioni urbane di
Sanchi.
Chetiyagiri
Vihara e le sacre reliquie
Le
reliquie ossee (asthi avashesh) dei maestri buddisti insieme ai reliquiari,
ottenuti da Maisey e Cunningham, furono divise e da loro portate in
Inghilterra come trofei personali. La
famiglia di Maisey vendette gli oggetti al Victoria and Albert Museum dove
rimasero a lungo. I buddisti in Inghilterra, Sri Lanka e India, guidati dalla
Mahabodhi Society, chiesero che fossero restituiti.
Alcune
delle reliquie di Sariputta e Moggallana furono rimandate in Sri Lanka, dove
furono esposte pubblicamente nel 1947. Fu un evento così grandioso in
cui l'intera popolazione dello Sri Lanka andò a vederli. Tuttavia, sono stati
successivamente restituiti all'India. Ma un nuovo tempio Chetiyagiri Vihara fu
costruito per ospitare le reliquie, nel 1952. In
senso nazionalistico, questo segnò il ripristino formale della tradizione
buddista in India. Alcune delle reliquie sono state ottenute dalla Birmania.
Collegamenti:
Fonte:
Dimore eterne -
Alberto Siliotti
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