Monastero buddhista di Sanchi
India

 PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1987
  

 

A vederla, è una collinetta che s'innalza per un centinaio di metri sull'immensa pianura indiana. Eppure il luogo ha una solennità ascetica che fa dimenticare le sue modeste dimensioni. Sanchi racchiude i più antichi monumenti religiosi del subcontinente indiano, un insieme che testimonia senza soluzione di continuità il percorso storico, spirituale e iconografico del buddhismo dal III secolo a.C. al XIII secolo d.C, quando in India questa religione fu soppiantata dall'induismo. Non vi è evidenza che il principe Siddharta, in una delle tappe che scandirono il suo lungo cammino verso il nirvana, sia passato da Sanchi. Il merito della fondazione del santuario va ad Ashoka, il re della dinastia Maurya che governò su gran parte dell'India tra il 273 e il 236 a .C. Convertitosi al buddhismo insieme alla moglie - nata a Vidisha, a poca distanza da Sanchi - ordinò la costruzione di vari stupa (monumenti in mattoni e malta di forma semisferica, simbolo della montagna sacra che collega la Terra al Cielo) per ospitarvi le reliquie del Buddha, dai denti ai capelli, alle ossa della spalla.

Il più famoso degli edifici religiosi costruiti a Sanchi è il cosiddetto Grande Stupa, commissionato originariamente dall'imperatore Aśoka il Grande nel III secolo a.C.. Ha un diametro di 37 metri , un'altezza di quasi 17, ed è sormontato da un ombrello (chattra) che simboleggia i Tre Gioielli del buddhismo: Buddha, Dharma e Sangha, cioè l'Illuminato, la Dottrina e la Comunità - ed è posto su una piattaforma dove ancora oggi viene praticato il rituale deambulatorio dei pellegrini. La balaustra in pietra che lo delimita è interrotta da quattro ingressi scolpiti in bassorilievo, detti torna. Vi sono rappresentati, con supremo gusto per il dettaglio, episodi della vita del Buddha nelle sue varie incarnazioni e cronache delle imprese di Ashoka per portare la fede in ogni angolo del regno. 

Tra i bassorilievi più affascinanti, quello che mostra il Buddha impassibile alle tentazioni del malvagio demone Mara e quello della leggenda del principe Mahakapi Jataka, che salvò 80.000 scimmie stendendosi a ponte attraverso il Gange e permettendo loro di fuggire dai nemici che le assediavano. Ad accogliere i fedeli sulla piattaforma vi sono statue del Buddha in posa di meditazione: furono aggiunte nel I secolo a.C, all’epoca dei sovrani gupta, quando venne meno il tabù che vietava le immagini antropomorfe del divino. Tanto che nei bassorilievi di Ashoka il Buddha è reso come un albero del Bo (sotto il quale ricevette l'Illuminazione), una Ruota della Legge (che rappresenta i suoi sermoni), un cavallo (che segna il momento dell'abbandono dei beni terreni) o appena una linea (traccia del suo cammino verso il Cielo). Accanto al torana rivolto a sud, Ashoka pose un obelisco in pietra che reca incisa in pali - la più antica lingua dell'India - una sorta di guida ai luoghi di pellegrinaggio. 

Intorno al monumentale stupa ne sorgono dozzine di altri, più piccoli e in diverso stato di conservazione, così come resti di templi e monasteri appartenenti ai vari stadi di evoluzione del culto buddhista nella storia indiana. Tra questi, è sorprendente il cosiddetto Tempio 18, del VII secolo: ha un inconfondibile aspetto greco, testimonianza dell'eredità culturale lasciata da Alessandro Magno durante il suo "passaggio in India". A segnare, invece, l'inizio della compenetrazione tra l'ascetico buddha e il più plateale e scenografico insieme di culti induisti sono i monasteri 45 e 47, sul versante sud della collina. Qui gli elaborati altorilievi - che mostrano il Buddha attorniato dalle divinità Ganga e Yamuna, da sensuali danzatrici e persino da scene erotiche - inaugurano una nuova spirituale e artistica, che raggiungerà il suo massimo splendore nei templi dei sito di Khajuraho.

Durante il II secolo a.C. lo stupa venne vandalizzato, un evento posto in correlazione dagli storici con l'ascesa dell'Impero Sunga e in particolare dell'imperatore Pusyamitra, notoriamente ostile al Buddhismo. Si pensa che egli abbia distrutto lo stupa originario e che la costruzione sia stata riedificata dal figlio Agnimitra o dai suoi immediati successori. Durante l'ultimo periodo del dominio Sunga lo stupa venne ampliato tramite l'utilizzo di lastre in pietra, fino a raggiungere circa il doppio delle dimensioni originarie. La cupola venne appiattita nella sua zona superiore e al di sopra di essa vennero poste tre pietre scolpite a forma di parasole, racchiuse entro un alto parapetto in pietra di forma quadrata, a simboleggiare il dharma.

La cupola venne posta su di un tamburo strutturato in modo da permettere ai fedeli di camminare lungo un percorso in pietra alla sua base, accessibile tramite una doppia scalinata. Un secondo sentiero lastricato era posto al livello del terreno, racchiuso da una balaustrata in pietra con quattro porte monumentali erette nelle quattro direzioni cardinali. Si pensa che durante il periodo Sunga siano stati costruiti anche il secondo e il terzo stupa, non però le porte d'accesso a questi ultimi, ornate da numerose decorazioni, che si sa appartenere alla successiva Dinastia Satavahana per le iscrizioni presenti su di esse.

La Dinastia Satavahana - Come già accennato, le porte monumentali e la balaustrata vennero costruite dopo il 70 a .C., durante il regno della Dinastia Satavahana. Su di una delle architravi della porta meridionale infatti si legge che essa fu donata dagli artigiani del re Satakarni.

Benché costruite in pietra, le porte vennero costruite e ricoperte di sculture a scopo narrativo come se fossero state di legno. Vi si possono vedere scene tratte dalla vita del Buddha, integrate con scene tratte dalla vita di tutti i giorni, facilmente riconoscibili per chi le osservava: questo allo scopo di facilitare la comprensione della dottrina buddhista e della sua importanza per la vita di ognuno.  

A Sanchi, come in molti altri luoghi dell'India, il popolo donava denaro per poter finanziare l'abbellimento degli stupa, col fine anche di ottenere meriti spirituali. 

Chi donava soldi solitamente sceglieva anche una scena della vita di Buddha, che sarebbe poi stata scolpita nella zona degli stupa; i patrocinatori avevano poi l'onore di veder scolpito il proprio nome sulla scultura. Questa usanza spiega il ripetersi di alcune scene che si osserva negli stupa di Sanchi.

La figura di Buddha non venne mai scolpita con sembianze umane poiché il corpo umano era considerato troppo restrittivo, bensì gli scultori scelsero di volta in volta di rappresentarlo con diversi attributi, come il cavallo con cui lasciò la casa del padre, le sue impronte oppure un baldacchino sotto l'albero della Bodhi, il luogo in cui Buddha raggiunse l'illuminazione.  

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Alcuni dei fregi presenti a Sanchi mostrano alcuni devoti con abbigliamento, atteggiamenti e strumenti musicali greci in atto di rendere omaggio agli stupa di Sanchi.

I periodi successivi - Dopo un epoca di stasi architettonica i lavori ripresero sotto la dinastia Gupta a partire dal V sec. d.C. per poi arrestarsi completamente nel XIII sec., con la fine dei grandi regni che avevano promosso l'espandersi dei commerci e degli insediamenti urbani, favorendo quella specie di di borghesia mercantile cittadina, all'interno della quale il Buddhismo reclutava la maggior parte dei suoi sostenitori laici. Proprio lungo le rotte carovaniere erano sorti i monasteri, che erano anche luoghi di accoglienza per i viaggiatori. Con l'invasione islamica dall'attuale Afghanistan, molti di questi centri vennero distrutti e le rotte commerciali divennero insicure, contribuendo alla scomparsa del buddhismo dall'India. Sanchi cadde nell'oblio fino alla sua riscoperta, nel 1818, per opera di ufficiali inglesi in cerca di tesori. Nel 1881 la zona venne messa sotto tutela e si interruppe lo smantellamento operato dai locali in cerca di materiale da costruzione di recupero e dei danni causati dai cacciatori di tesori e reliquie. 

Il tempio 17 è probabilmente uno dei primi esempi di tempio buddhista in quanto risale agli inizi dell'Impero Gupta. Esso consiste di un santuario quadrato, ricoperto da un tetto piatto e munito di portico e 4 pilastri. L'interno e 3 lati dell'esterno sono privi di decorazioni, ma la facciata e i pilastri sono elegantemente scolpiti.

La riscoperta occidentale - Nel 1818 un ufficiale britannico, il generale Taylor, fu il primo occidentale di cui si abbia notizia che abbia documentato per iscritto l'esistenza di Sanchi. Fino al 1881 il sito fu saccheggiato da cacciatori di tesori ed esplorato da archeologi dilettanti, fino a che non cominciò un serio lavoro di restauro. Fra il 1912 e il 1919 le strutture vennero portate al loro aspetto attuale sotto la supervisione di John Marshall.

Oggi, sulla collina di Sanchi restano circa 50 monumenti, fra i quali tre stupa e alcuni templi. Queste strutture sono state inserite nel 1989 nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.