A
vederla, è una collinetta che s'innalza per un centinaio di metri
sull'immensa pianura indiana. Eppure il luogo ha una solennità ascetica
che fa dimenticare le sue modeste dimensioni. Sanchi racchiude i più
antichi monumenti religiosi del subcontinente indiano, un insieme che
testimonia senza soluzione di continuità il percorso storico,
spirituale e iconografico del buddhismo dal III secolo a.C. al XIII
secolo d.C, quando in India questa religione fu soppiantata
dall'induismo. Non vi è evidenza che il principe Siddharta, in una
delle tappe che scandirono il suo lungo cammino verso il nirvana, sia
passato da Sanchi. Il merito della fondazione del santuario va ad
Ashoka, il re della dinastia Maurya che governò su gran parte
dell'India tra il 273 e il
236 a
.C. Convertitosi al buddhismo insieme alla moglie - nata a Vidisha, a
poca distanza da Sanchi - ordinò la costruzione di vari stupa
(monumenti in mattoni e malta di forma semisferica, simbolo della
montagna sacra che collega la Terra al Cielo) per ospitarvi le reliquie
del Buddha, dai denti ai capelli, alle ossa della spalla.
Il più famoso degli edifici religiosi
costruiti a Sanchi è il cosiddetto Grande Stupa, commissionato
originariamente dall'imperatore Aśoka il Grande nel III secolo a.C.. Ha
un diametro di
37 metri
, un'altezza di quasi 17, ed è sormontato da un ombrello (chattra) che
simboleggia i Tre Gioielli del buddhismo: Buddha,
Dharma e Sangha, cioè
l'Illuminato, la Dottrina e la Comunità
- ed è posto su una piattaforma dove ancora oggi viene praticato il
rituale deambulatorio dei pellegrini. La balaustra in pietra che lo
delimita è interrotta da quattro ingressi scolpiti in bassorilievo,
detti torna. Vi sono rappresentati, con supremo gusto per il dettaglio,
episodi della vita del Buddha nelle sue varie incarnazioni e cronache
delle imprese di Ashoka per portare la fede in ogni angolo del regno.

Tra
i bassorilievi più affascinanti, quello che mostra il Buddha
impassibile alle tentazioni del malvagio demone Mara e quello della
leggenda del principe Mahakapi Jataka, che salvò 80.000 scimmie
stendendosi a ponte attraverso il Gange e permettendo loro di fuggire
dai nemici che le assediavano. Ad accogliere i fedeli sulla piattaforma
vi sono statue del Buddha in posa di meditazione: furono aggiunte nel I
secolo a.C, all’epoca dei sovrani gupta, quando venne meno il tabù
che vietava le immagini antropomorfe del divino. Tanto che nei
bassorilievi di Ashoka il Buddha è reso come un albero del Bo (sotto il
quale ricevette l'Illuminazione), una Ruota della Legge (che rappresenta
i suoi sermoni), un cavallo (che segna il momento dell'abbandono dei
beni terreni) o appena una linea (traccia del suo cammino verso il
Cielo). Accanto al torana rivolto a sud, Ashoka pose un obelisco in
pietra che reca incisa in pali - la più antica lingua dell'India - una
sorta di guida ai luoghi di pellegrinaggio.
Intorno
al monumentale stupa ne sorgono dozzine di altri, più piccoli e in
diverso stato di conservazione, così come resti di templi e monasteri
appartenenti ai vari stadi di evoluzione del culto buddhista nella
storia indiana. Tra questi, è sorprendente il cosiddetto Tempio 18, del
VII secolo: ha un inconfondibile aspetto greco, testimonianza
dell'eredità culturale lasciata da Alessandro Magno durante il suo
"passaggio in India". A segnare, invece, l'inizio della
compenetrazione tra l'ascetico buddha e il più plateale e scenografico
insieme di culti induisti sono i monasteri 45 e 47, sul versante sud
della collina. Qui gli elaborati altorilievi - che mostrano il Buddha
attorniato dalle divinità Ganga e Yamuna, da sensuali danzatrici e
persino da scene erotiche - inaugurano una nuova spirituale e artistica,
che raggiungerà il suo massimo splendore nei templi dei sito di
Khajuraho.
Durante il II secolo a.C. lo stupa
venne vandalizzato, un evento posto in correlazione dagli storici con
l'ascesa dell'Impero Sunga e in particolare dell'imperatore Pusyamitra,
notoriamente ostile al Buddhismo. Si pensa che egli abbia distrutto lo
stupa originario e che la costruzione sia stata riedificata dal figlio
Agnimitra o dai suoi immediati successori. Durante l'ultimo periodo del
dominio Sunga lo stupa venne ampliato tramite l'utilizzo di lastre in
pietra, fino a raggiungere circa il doppio delle dimensioni originarie.
La cupola venne appiattita nella sua zona superiore e al di sopra di
essa vennero poste tre pietre scolpite a forma di parasole, racchiuse
entro un alto parapetto in pietra di forma quadrata, a simboleggiare il
dharma.
La cupola venne posta su di un tamburo
strutturato in modo da permettere ai fedeli di camminare lungo un
percorso in pietra alla sua base, accessibile tramite una doppia
scalinata. Un secondo sentiero lastricato era posto al livello del
terreno, racchiuso da una balaustrata in pietra con quattro porte
monumentali erette nelle quattro direzioni cardinali. Si pensa che
durante il periodo Sunga siano stati costruiti anche il secondo e il
terzo stupa, non però le porte d'accesso a questi ultimi, ornate da
numerose decorazioni, che si sa appartenere alla successiva Dinastia
Satavahana per le iscrizioni presenti su di esse.
La Dinastia Satavahana
- Come già accennato, le porte
monumentali e la balaustrata vennero costruite dopo il
70 a
.C., durante il regno della Dinastia Satavahana. Su di una delle
architravi della porta meridionale infatti si legge che essa fu donata
dagli artigiani del re Satakarni.
Benché costruite in pietra, le porte
vennero costruite e ricoperte di sculture a scopo narrativo come se
fossero state di legno. Vi si possono vedere scene tratte dalla vita del
Buddha, integrate con scene tratte dalla vita di tutti i giorni,
facilmente riconoscibili per chi le osservava: questo allo scopo di
facilitare la comprensione della dottrina buddhista e della sua
importanza per la vita di ognuno.
A Sanchi, come in molti altri luoghi
dell'India, il popolo donava denaro per poter finanziare l'abbellimento
degli stupa, col fine anche di ottenere meriti spirituali.
Chi donava
soldi solitamente sceglieva anche una scena della vita di Buddha, che
sarebbe poi stata scolpita nella zona degli stupa; i patrocinatori
avevano poi l'onore di veder scolpito il proprio nome sulla scultura.
Questa usanza spiega il ripetersi di alcune scene che si osserva negli
stupa di Sanchi.
La figura di Buddha non venne mai
scolpita con sembianze umane poiché il corpo umano era considerato
troppo restrittivo, bensì gli scultori scelsero di volta in volta di
rappresentarlo con diversi attributi, come il cavallo con cui lasciò la
casa del padre, le sue impronte oppure un baldacchino sotto l'albero
della Bodhi, il luogo in cui Buddha raggiunse l'illuminazione.


Alcuni dei fregi presenti a Sanchi
mostrano alcuni devoti con abbigliamento, atteggiamenti e strumenti
musicali greci in atto di rendere omaggio agli stupa di Sanchi.
I
periodi successivi - Dopo un epoca di stasi architettonica i
lavori ripresero sotto la dinastia Gupta a
partire dal V sec. d.C. per poi arrestarsi completamente nel XIII
sec., con la fine dei grandi regni che avevano promosso l'espandersi dei
commerci e degli insediamenti urbani, favorendo quella specie di di
borghesia mercantile cittadina, all'interno della quale il Buddhismo
reclutava la maggior parte dei suoi sostenitori laici. Proprio
lungo le rotte carovaniere erano sorti i monasteri, che erano anche
luoghi di accoglienza per i viaggiatori. Con
l'invasione islamica dall'attuale Afghanistan, molti di questi centri vennero distrutti e le
rotte commerciali divennero insicure, contribuendo alla scomparsa del
buddhismo dall'India. Sanchi cadde nell'oblio
fino alla sua riscoperta, nel 1818, per opera di ufficiali inglesi in
cerca di tesori. Nel 1881 la zona venne messa sotto tutela e si
interruppe lo smantellamento operato dai locali in cerca di materiale da
costruzione di recupero e dei danni causati dai cacciatori di tesori e
reliquie.
Il tempio 17 è probabilmente uno dei
primi esempi di tempio
buddhista in quanto risale agli inizi dell'Impero Gupta. Esso consiste
di un santuario quadrato, ricoperto da un tetto piatto e munito di
portico e 4 pilastri. L'interno e 3 lati dell'esterno sono privi di
decorazioni, ma la facciata e i pilastri sono elegantemente scolpiti.
La riscoperta occidentale - Nel
1818 un ufficiale britannico, il generale Taylor, fu il primo
occidentale di cui si abbia notizia che abbia documentato per iscritto
l'esistenza di Sanchi. Fino al 1881 il sito fu saccheggiato da
cacciatori di tesori ed esplorato da archeologi dilettanti, fino a che
non cominciò un serio lavoro di restauro. Fra il 1912 e il 1919 le
strutture vennero portate al loro aspetto attuale sotto la supervisione
di John Marshall.
Oggi, sulla collina di Sanchi restano
circa 50 monumenti, fra i quali tre stupa e alcuni templi. Queste
strutture sono state inserite nel 1989 nell'elenco dei Patrimoni
dell'umanità dell'UNESCO.
