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Dopo
la sconfitta subita da parte dei Romani nella battaglia di Magnesia al
Sipilo nel 189 a.C., il potente impero seleucide, erede delle conquiste
di Alessandro Magno e che comprendeva allora gran parte della penisola
anatolica e del Vicino Oriente, cominciò a dissolversi, assistendo
impotente alla formazione di nuovi regni più o meno estesi. I signori
di queste nuove entità politiche furono notabili locali, sacerdoti o
militari, desiderosi di affermare la propria dignità regale,
l’indipendenza e l’autonomia politica dei loro stati.
Uno
di questi regni fu la Commagene, piccola regione montagnosa compresa tra
l’Eufrate e il massiccio del Tauro: una terra inospitale a causa del
clima rigido che prevale in gran parte dell’anno, ma ricca di risorse
naturali e soprattutto di primaria importanza strategica per la sua
posizione geografica, vero e proprio corridoio di passaggio obbligato
tra l’Oriente e l’Occidente. Tale ruolo segnò per tutta la sua
storia le sorti del regno e in particolar modo nell’ultimo secolo
prima di Cristo, quando fu oggetto di mire espansionistiche da parte dei
nuovi dominatori del mondo: i Romani a occidente e i Parti a oriente.
Nonostante
le continue pressioni da parte dei due grandi imperi vicini, l’abilità
dei re di Commagene fu tale che il piccolo regno riuscì a mantenere
l’indipendenza per quasi tre secoli, sino a quando fu definitivamente
annesso all’Impero Romano nel 72 d.C. dall’imperatore Vespasiano.
Tra i vari re di Commagene che si succedettero, il più importante fu
Antioco I, che regnò dal 62 al 38 a.C., vale a dire nel pieno delle
guerre civili che segnarono la fine della repubblica a Roma.
Nonostante
si fosse schierato con Pompeo (che uscì sconfitto dallo scontro con
Cesare), le sue velate propensioni verso i Parti e le sconfitte
inflittegli da Lucullo e Marco Antonio, Antioco I mantenne saldo il
potere per oltre un trentennio, nel corso del quale varò un programma
dinastico-religioso molto singolare. La natura di terra di confine del
suo regno, la convivenza di culture diverse e, verosimilmente, il
desiderio di giustificare in modo assoluto il prestigio e l’autorità
personali e dei suoi eredi furono i motivi che spinsero il re a
inaugurare una nuova religione, che comprendeva divinità sia greche,
sia persiane, ma dove avevano un ruolo fondamentale lo stesso dinasta e
i suoi antenati.
I
monumenti di culto di questa nuova religione erano gli hierothésia
(cioè, le tombe monumentali dei re di Commagene), il più importante
dei quali fu la tomba di Antioco I, un tumulo funerario decorato da
statue colossali eretto sulla cima oggi nota come Nemrud Dagh. Il Nemrud
Dagh fa parte della catena dell’Ankar Daglari, è una montagna alta
2150 metri, è relativamente isolata e per più di metà dell’anno è
ricoperta dalle nevi; essa non è la più alta in assoluto dell’area,
ma è praticamente visibile in quasi tutta la regione e fu forse anche
questo elemento che spinse Antioco I a sceglierla come ubicazione della
sua tomba.
Rispetto
ad altri complessi monumentali dell’odierna Turchia, quello del Nemrud
Dagh fu scoperto molto tardi (nel 1881) e in modo quasi casuale, ad
opera di Charles Sester, un ingegnere tedesco incaricato di individuare
nuovi tracciati per vie di comunicazione con l’Oriente anatolico, che
volle verificare i racconti di pastori locali riguardo a una montagna
coronata da statue colossali. A causa dell’altezza della montagna e
della grandiosità dei resti, la notizia del ritrovamento fu
inizialmente accolta con molto scetticismo e incredulità, ma a seguito
di spedizioni condotte da studiosi tedeschi (Karl Humann e Otto
Puchstein: 1882-1883) e turchi (Hamdi Bey e Osgan Effendi: 1883) le
immagini e i resoconti su questo monumento furono divulgati in tutto il
mondo.
Dopo
un primo intervento nel 1939, indagini archeologiche estensive e
prospezioni geofisiche si sono protratte dal 1953 al 1973 sotto la
direzione di Theresa B. Goell, volte allo scavo e allo studio del
monumento, nonché al tentativo di individuare la camera sepolcrale di
Antioco I, sinora mai scoperta.
Il
monumento funerario di Antioco I è un tumulo eretto sulla cima del
Nemrud Dagh, alto 50 metri e con un diametro alla base di circa 150.
Alla base furono realizzate tre terrazze, parzialmente scolpite nel
banco roccioso: le pietre e la ghiaia prodotte da tale lavoro furono
utilizzate per il rivestimento del tumulo.
Le
due maggiori, ubicate sul versante est e ovest, costituivano il punto di
arrivo di vie processionali che si inerpicavano sulla montagna. Esse
venivano percorse dai sudditi due volte l’anno, in occasione delle
feste che celebravano il compleanno del re (tra dicembre e gennaio) e il
suo avvento al trono (a luglio) e due volte al mese dai sacerdoti
incaricati del culto, nei giorni corrispondenti a tali
celebrazioni.
La
terza terrazza, posta sul lato nord, costituiva una tappa intermedia
della strada che corre alla base del tumulo. Il completo programma
religioso, comprensivo di tutti i dettagli celebrativi (che prevedevano
per i sacerdoti l’obbligo di indossare il costume persiano, la
disponibilità economica per garantire cibo e vino ai fedeli
partecipanti al culto) è noto grazie a una lunga iscrizione incisa sul
retro delle statue colossali erette sulle due terrazze principali. In
questo lungo testo Antioco propugnava la nuova fede come elemento
fondamentale per la felicità dei suoi sudditi e dei posteri, garanzia
di speranza e salvezza anche di fronte a grandi pericoli e a situazioni
disperate che lo stesso re aveva vissuto di persona.
La
terrazza orientale doveva rivestire a livello culturale un ruolo più
importante, come indica la presenza di un grande altare monumentale a
forma di piramide tronca eretta sul lato est. Dalla parte opposta stanno
le statue colossali, erette su un basamento alto più di sei metri
rispetto al piano della terrazza: alle estremità sono due basi che
recavano le immagini di un’aquila e di un leone (ora cadute nei
pressi) che simboleggiavano rispettivamente il dominio dei cieli e la
regalità.
Dominano
ancora le statue delle divinità, raffigurate sedute, alte tra gli otto
e i dieci metri: al centro è la figura di Zeus Oromasdes, fiancheggiato
a sinistra dalla personificazione della Commagene, nelle fattezze di
Tyche, e a destra da Apollon Mithra Helios Hermes, ai lati dei quali
erano a loro volta rispettivamente il re Antioco divinizzato e Herakles
Artagnes Ares.
Le
statue (ormai tutte acefale) sono in blocchi di calcare locale, oggi con
crepe e fenditure dovute agli agenti atmosferici e alle forti escursioni
termiche del sito. Originariamente esse erano del tutto lisce: le
dimensioni gigantesche delle statue, ideate per esser viste anche da
molto lontano, resero superflua la lavorazione dei particolari
fisionomici e dei panneggi, ridotti all’essenzialità, come si può
notare nella resa della barba di Zeus Orosmades e di Herakles Artagnes
Ares e nel trattamento delle vesti.
Tra
il piano delle statue maggiori e quello della terrazza c’è un gradone
intermedio, sul quale era il ciclo dei rilievi in arenaria verdastra di “dexiosis”
(vale a dire di accoglimento), nei quali Antioco I salutava e veniva
accolto da ogni singola divinità; assieme ad essi vi era anche il
rilievo astrologico del leone, pervenutoci quasi integro nella terrazza
opposta. I lati nord e sud della terrazza sono delimitati da bassi muri
a blocchi, formanti due piedistalli sui quali erano collocate lastre a
rilievo, rinvenuto per lo più frammentarie, con le raffigurazioni dei
progenitori (veri o presunti) di Antioco, debitamente corredate sul
retro di iscrizioni esplicative.
n
Sul
basamento a nord c’erano quindici antenati di parte paterna
comprendenti i re di Commagene e di Persia risalenti sino a Dario il
Grande, mentre su quello a sud vi erano quelli macedoni di linea
materna: quattro regine e tredici re, tra i quali doveva essere
annoverato – con tutta probabilità - Alessandro Magno.
Davanti
a ogni raffigurazione c’era un altare rettangolare sul quale veniva
bruciato l’incenso in occasione delle feste religiose. Sul lato
occidentale del tumulo, la terrazza presentava un allestimento
leggermente differente: il lato di fondo era infatti occupato dalla
stessa sequenza di statue colossali, mentre i rilievi dei progenitori
erano disposti sul lato meridionale e su quello occidentale (destinati
rispettivamente agli antenati persiani e a quelli macedoni), in modo
tale che le sculture venivano a formare una corte chiusa per tre lati.
Questa terrazza al momento della scoperta presentava le statue quasi
completamente crollate sul terreno a causa dei terremoti,
dell’erosione del tumulo e forse anche dei tentativi dei cacciatori di
tesori di rinvenire la camera funeraria. Ciò ha permesso di
salvaguardare in notevole stato di conservazione parte dei rilievi degli
antenati e, soprattutto, quelli pertinenti all’accoglimento di Antioco
I da parte degli dèi.
In
ognuno di questi sono raffigurati di profilo Antioco I e una divinità
del ciclo colossale nell’atto di saluto reciproco: il re indossa la
tiara e porta lo scettro, ma in queste raffigurazioni è vestito con
abiti di foggia orientale. Gli stessi dèi sono riprodotti con
iconografie differenti: anche Apollon Mithra Helios Hermes in questo
caso è vestito all’orientale, reca il barsom ed è nimbato e
radiato, mentre Herakles Artagnes Ares si presenta nella versione
classica di Ercole, nudo, con la pelle di leone e la consueta clava.
Completava la serie un rilievo molto famoso, noto come il “rilievo
astrologico del leone”. Su di esso è raffigurato frontalmente un
leone con le fauci aperte, recante al collo un crescente lunare, sullo
sfondo e sul corpo del leone stesso sono raffigurate diciannove stelle a
otto raggi che formano la costellazione del Leone, mentre in alto a
sinistra ci sono tre stelle più grandi a sedici raggi, da riconoscere
-come indicano esplicitamente le iscrizioni - i pianeti di Giove,
Mercurio e Marte.

La
precisione della raffigurazione rimanda evidentemente a un oroscopo
(forse il più antico a noi giunto) connesso con un giorno legato alle
vicende personali del re, la cui identificazione ha fatto discutere a
lungo gli studiosi. Gli elementi rappresentati indicano che l’oroscopo
di Antioco era sotto la costellazione del Leone, con i tre pianeti in
congiunzione contemporaneamente alla luna: la data più probabile che ne
risulta è il 7 luglio del 61 a.C., giorno che corrisponderebbe alla
concessione ufficiale del regno ad Antioco da parte di Pompeo, dopo
quella provvisoria del 69 a.C. data da Lucullo.
Se
da un lato la volontà di costruite una tomba monumentale così
impegnativa in un luogo così improbabile potrebbe sembrare la bizzarria
di un monarca stravagante, dall’altro il testo della lunga iscrizione
sacrale e l’interpretazione dell’apparato scultoreo chiariscono le
intenzioni e il progetto propagandistico-religioso di Antioco I che,
quasi a voler giustificare i suoi stretti rapporti con gli dèi, volle
la sua tomba “vicino ai troni celesti”.
L’ambizioso
progetto religioso di unire tradizioni e concezioni religiose del tutto
diverse sopravvisse solo per poche generazioni, nel corso delle quali i
successori di Antioco I fecero erigere altri hierothesia, sebbene
di gran lunga più piccoli.
Di
esso rimangono soprattutto il fascino unico e la sfida ai secoli del
monumento del Nemrud Dagh, che conserva ancora gelosamente le spoglie di
Antioco I, mai rinvenuto nonostante un ventennio di ricerche
scientifiche.

Collegamenti:
Fonte:
Dimore eterne -
Alberto Siliotti
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