Le grandi tombe rupestri di Petra

 

Petra fu la capitale dei Nabatei, popolazione dell’area desertica tra l’attuale Giordania e l’Arabia Saudita, nota già dal IV secolo a.C.; nomadi per lungo tempo, i Nabatei divennero sedentari solo nel I secolo a.C., stabilizzandosi nei siti un tempo occupati solo stagionalmente. Tra questi il più importante era Petra, o Reqem in nabateo, ubicata quasi a metà strada sulla via obbligata che collega il Mar Rosso con il Mar Morto: una valle nascosta tra montagne scoscese, accessibile da pochi ingressi naturali, rifugio ideale per mercanti che non disdegnavano di tramutarsi in predoni.

La maggior richiesta di merci esotiche (tra cui soprattutto le spezie orientali), legata alla progressiva pacificazione del Mediterraneo, fece dei Nabatei un popolo ricco e potente: organizzati in monarchia, con lingua e religione proprie, fondarono città, estendendo il loro regno sino a conquistare parte della Siria e della stessa Damasco.

L’indipendenza del regno nabateo durò fino al 106 d.C., quando la regione fu conquistata da Traiano e ridotta a provincia con il nome di Arabia. Anche durante la dominazione romana la capitale rimase Petra: essa continuò a prosperare, mantenendo a lungo il suo ruolo di centro carovaniero, tappa obbligata di tutti i convogli che, partiti dall’India e dall’Oriente, volevano raggiungere i porti del Mediterraneo passando per il Mar Rosso.  

Decaduta in età tardo-antica con il disgregamento dell’Impero Romano, Petra fu temporaneamente occupata dai Crociati per rimanere poi inaccessibile agli Europei per secoli: la sua ubicazione divenne sconosciuta e il suo nome leggendario, quasi sinonimo di un luogo favoloso, custode di ricchi tesori.

La riscoperta di Petra avvenne nel 1812, a opera dello svizzero J.L. Burchkardt, che raggiunse la città sotto le spoglie di un pellegrino arabo che voleva compiere un sacrificio sulla vetta del vicino Jebel Harun.

Numerose sono le ragioni che rendono Petra un luogo unico al mondo. Lo scorrere del torrente noto oggi come Wasa Musa ha scavato nel corso dei secoli la valle e le strette gole che furono poi occupate dalla città antica, formando pareti scoscese di arenaria ed evidenziando le sequenze geologiche, caratterizzate da diversi colori, dal grigio al giallo tenue, al viola intenso, con una dominante rosa. A questo prodigioso risultato della natura si è aggiunto l’intervento dell’uomo, che ha costruito e soprattutto scolpito le facciate rocciose, nelle quali sono ricavate le tombe dei re e dei personaggi più importanti di Petra. 

Oltre al loro stato di conservazione, al loro elevato numero e alle notevoli dimensioni, i monumenti funerari presentano particolarità stilistiche e compositive uniche, dove si uniscono elementi di tradizioni architettoniche del tutto differenti, risalenti all’antico Egitto, all’ambiente ellenistico e al mondo del Vicino Oriente. Oltre a ciò, le tombe di Petra presentano un’ulteriore singolarità: per una crudele casualità solo tre edifici funerari hanno conservato iscrizioni, mentre gli altri mausolei hanno perduto le dediche, dal momento che queste erano incise sulla tenera pietra esposta all’azione dei venti o erano dipinte sugli stucchi, ormai caduti.  

A tale silenzio si aggiunge il fatto che tutte le tombe sono state spogliate dei corredi, per cui non si hanno elementi per una datazione precisa, il che ha comportato numerose discussioni scientifiche in merito alla cronologia e all’attribuzione dei singoli edifici.

Le prime tombe si trovano nell’area davanti all’accesso principale alla città, lungo i fianchi dell’alveo prosciugato del Wadi Musa. Tra queste spiccano due tombe che manifestano in modo evidente la compresenza di tradizioni architettoniche del tutto differenti: la Tomba degli Obelischi e il Triclinio di Bab-el-Siq, due edifici sovrapposti che hanno la fronte con allineamenti diversi, sebbene le camere funerarie scavate nella roccia siano quasi perfettamente parallele.

La Tomba degli Obelischi presenta una facciata priva di confronti nell’edilizia funeraria di Petra: quattro obelischi, originariamente alti quasi sette metri, sono impostati su un ordine inferiore, nel quale si apre la porta di accesso alla camera funeraria, inquadrata da due pilastri coronati da un fregio dorico a metope e triglifi. Tra i due obelischi centrali, in corrispondenza della porta, c’è una nicchia che presenta la stessa decorazione e nella quale vi era il rilievo di una figura maschile stante, vestita alla greca, ormai quasi del tutto erosa. La commistione di tradizioni architettoniche del tutto eterogenee, tipica di Petra, è in questo caso quanto mai evidente: gli obelischi, monumento-simbolo dell’Egitto faraonico e tolemaico, sono combinati con elementi classici, peraltro rielaborati in modo originale, essendo metope e triglifi inusualmente di pari larghezza. 

Ma oltre all’aspetto architettonico, nella Tomba degli Obelischi si può osservare la compresenza di tradizioni differenti anche per ciò che riguarda il modo di impersonare i defunti. Si uniscono in questo caso, infatti, il concetto orientale del simbolo aniconico, privo di immagine, espresso qui dagli obelischi e quello occidentale, di ispirazione greca, della rappresentazione del defunto. Si avrebbe così un totale di cinque personaggi ai quali sarebbe stata destinata la tomba, numero che del resto coincide con quello dei loculi presenti all’interno della camera funeraria, dei quali quello più importante era sulla parete di fondo, ad arcosolio.

Al di sotto della Tomba degli Obelischi c’è la facciata interamente ricavata nella parete rocciosa del Triclinio di Bab-el-Siq, costituita da due ordini sovrapposti. Quello inferiore è scandito da quattro semicolonne centrali e da due pilastri laterali, sui quali ci sono capitelli di tipo nabateo, molto consunti; l’ordine è coronato da un frontone spezzato, al quale si sovrappone un basso attico, decorato da quattro corte paraste. Al centro si apre la porta d’ingresso alla camera funeraria (munita di una semplice banchina a ferro di cavallo, appunto il triclinio), coronata da un timpano ad arco ribassato.

L’ordine superiore è molto basso, decorato da quattro corti semipilastri e anch’esso coronato da un frontone spezzato. Completano il monumento due camere aperte ai lati della composizione architettonica, prive di allestimenti particolari, ma con la caratteristica di avere le sepolture nel piano pavimentale. Le facciate architettoniche ricorrono frequentemente nell’architettura funeraria di Petra, ma nel caso del Triclinio di Bab-el-Siq l’effetto d’insieme è quello di una costruzione alquanto schiacciata, che contrasta visibilmente con la verticalità degli obelischi slanciati della tomba superiore. Oltre a particolarità stilistiche che suggeriscono una data più antica per la tomba superiore, appare evidente come la preesistenza della Tomba degli Obelischi abbia determinato l’impostazione tozza e quasi compressa del Triclinio.

Non abbiamo dati per porre in relazione le due tombe, né tantomeno per datarle con certezza, sebbene usualmente venga connessa con i due edifici una dedica funeraria bilingue, in nabateo e greco, incisa sulla parte opposta del wadi. Il motivo dell’associazione, nonostante la distanza dai due mausolei, è il fatto che negli immediati pressi dell’epigrafe non esistano tombe.

Essa fu realizzata ai tempi di un re Malichos (tra il 62 e il 30 a.C. oppure, meno probabilmente, tra il 40 ed il 70 d.C.) e potrebbe dunque costituire, qualora fosse in connessione, un riferimento cronologico per la Tomba degli Obelischi.

L’area dove sorgono la Tomba degli Obelischi e il Triclinio di Bab el-Siq è l’estrema periferia orientale di Petra: per accedere alla città occorre infatti percorrere una gola con pareti alte sino a 80 metri, oggi nota come “il Siq”. Sulle pareti sono incise nicchie che possono presentarsi vuote o avere all’interno betili di diverse forme: figure stilizzate, obelischi, pilastri. Spesso queste raffigurazioni hanno un valore religioso (rappresentazioni antropomorfe o aniconiche degli dèi) ma talvolta si tratta di nefesh, vale a dire monumenti che rappresentano e commemorano il defunto.

Il nefesh esprime il “soffio vitale”, l’anima del morto e può anche non coincidere con la tomba vera e propria, come indica un’iscrizione nel Siq, dove si ricorda un abitante di Petra morto e sepolto nella città di Gerasa.

Al termine del primo tratto del Siq, le pareti si avvicinano impedendo quasi l’accesso alla luce, per poi aprirsi in una vasta corte naturale, sul cui sfondo c’è il monumento più celebre di Petra: el-Khazneh el-Faroun.

Per ottenere lo spazio utile per la creazione del monumento, dopo aver regolarizzato la parete scoscesa, fu praticato un colossale riquadro all’interno del quale si ottenne, abbassando la parete di fondo, una facciata architettonica a due ordini sovrapposti, larga 25,30 metri e alta 39,1.

Al pari della maggior parte dei monumenti funerari di Petra, il Khazneh è completamente scolpito nella pietra, ma lo stato di conservazione, in questo caso, è eccezionale: la sua ubicazione isolata e il fatto che fosse stato realizzato notevolmente all’interno del fianco roccioso hanno straordinariamente preservato l’elaborata decorazione architettonica, di qualità elevatissima, e di gran parte di quella scultorea. Nei due ordini sono infatti presenti numerose figure: in basso, tra gli intercolumni laterali ci sono le immagini a rilievo dei Dioscuri, raffigurati su un basamento secondo l’iconografia classica e accompagnati dai cavalli, mentre nell’ordine superiore ci sono nove rilievi di figure femminili stanti su basi: tre nelle edicole frontali, quattro in quelle interne e due in quelle di fondo. Queste ultime, essendo alate, sono da interpretare come Nikai, mentre le restanti (ad accezione della figura presente nell’edicola frontale del thòlos, recante la cornucopia) sono da intendere come Amazzoni, dal momento che indossano una corta tunica e brandiscono l’ascia.

Altrettanto complesso è l’interno della tomba, costituito da un vestibolo sul quale si aprono tre porte (anch’esse riccamente decorate) che conducono ad altrettante camere, delle quali quella centrale è la maggiore (11,97 metri x 12,53), munita di tre nicchie destinate a ospitare sarcofagi.

L’effetto scenografico dato dal contrasto tra l’oscurità del Siq e la luce che illumina la grandiosa facciata del Khazneh è impressionante e sicuramene esso fu tenuto debitamente in considerazione al momento della realizzazione, ma ciò che è veramente eccezionale è il complesso programma decorativo e scultoreo, del tutto diverso da quelli delle altre tombe di Petra. 

Numerosi sono gli elementi che risentono di influssi esterni al mondo nabateo e molti di essi rimandano alla sfera alessandrina, come indicano l’originalità dei capitelli e in modo particolare l’acroterio centrale con il disco solare, simbolo prima della dea egizia Hathor e poi di Iside. Il Khazneh el-Faroun, del resto, non voleva essere solo la tomba di un uomo, ma anche luogo di culto di un uomo diventato dio, come denotano il simbolo di Hathor-Iside e la raffigurazione centrale del frontone, da interpretare come Agathe Tyche, la “buona fortuna”.

Allo splendido effetto complessivo e alla ricchezza dei particolari si contrappone la totale assenza di dati epigrafici, aspetto questo che ha comportato attribuzioni cronologiche del tutto diverse (dall’età ellenistica al principato di Adriano), con quasi tre secoli di differenza, sulla base di motivazioni più o meno circostanziate, compresa anche la somiglianza con le raffigurazioni delle “architetture fantastiche” del secondo stile pittorico pompeiano. Dettagliate analisi sui particolari architettonici hanno recentemente dimostrato che la cronologia del Khazneh è da porre tra la seconda metà del I secolo a.C. e gli inizi del I d.C., mentre risulterà a lungo difficile stabilire a quale re nabateo essa fosse dedicata.

Di tutt’altro tipo sono la maggior parte delle altre tombe di Petra, visibili nel tratto finale del Siq e lungo le pareti rocciose dei vari wadi che affluivano nella valle, a tratti realizzate una sopra all’altra, venendo a formare delle quinte a più piani. Sono facciate lineari, a forma di torre, coronate da uno o più attici, nei quali compaiono frequentemente decorazioni a merli digradanti o a forma di scale a gradoni, motivi di ispirazione orientale di ambito assiro-persiano. In questi monumenti è rara la presenza di apparati figurati, come lo è quella di elementi appartenenti alla tradizione classica, limitati a sporadici inserimenti nella decorazione architettonica: la maggior parte di essi presenta caratteristiche peculiari dell’architettura nabatea, come i capitelli, la cui forma richiama quella del capitello corinzio, ma il cui corpo è ridotto ad un blocco liscio, con le volute limitate a proiezioni rettilinee e il consueto fiore d’abaco stilizzato in un semplice cubo. Anche le tombe a torre (note anche come tombe a pilone) furono realizzate regolarizzando la parete rocciosa e quindi scolpendo la facciata, partendo dall’alto ed eseguendo via via la maggior parte dei dettagli architettonici, come si può desumere dalla Tomba Incompiuta, ubicata sul versante occidentale dell’area abitata.

Le tombe a torre sono la reale espressione dell’architettura funeraria nabatea, costruite per dignitari di corte e soprattutto per i ricchi mercanti che resero ricca e potente Petra. A due di esse sono riferibili le iscrizioni dedicatorie in nabateo: la tomba di ‘Unaishu, designato come fratello della regina Shaqilat (ma da intendere come suo ministro), personaggio noto da fonti storiche per aver rappresentato il regno nabateo in numerose ambascerie, compresa quella che lo portò al cospetto di Augusto, e la tomba Turkmaniya. Il testo di quest’ultima, parzialmente distrutta dalle piene del wadi omonimo, sebbene non contenga dati sul proprietario del mausoleo è particolarmente importante per l’esplicita menzione degli apprestamenti legati al complesso funerario. Nell’epigrafe, infatti, sono ricordati non solo l’allestimento interno (un vestibolo e una camera funeraria con loculi), ma anche le strutture esterne (una corte, portici, una sale per banchetti e una cisterna), funzionali ai rituali funerari oggi non più visibili.

L’abbondanza di queste tombe a torre (ne sono note più di seicento) non deve far pensare a una ripetizione monotona della medesima tipologia monumentale: numerose e differenti sono infatti le composizioni e articolazioni di queste facciate, ma oltre a ciò è la stessa natura che conferisce ad ogni singola tomba un aspetto diverso a causa del colore della roccia, sino a raggiungere effetti policromi del tutto singolari, come nel caso della Tomba della Seta, così denominata per le venature variegate dell’arenaria, che la fanno sembrare rivestita da un manto di seta. 

I tentativi di elaborare successioni cronologiche basate sul loro schema compositivo (secondo il grado di complessità) si sono rivelati errati e fuorvianti: la conferma definitiva è venuta dal confronto con tombe analoghe di altri siti nabatei (come Medain es-Saleh, nell’odierna Arabia Saudita), corredate di iscrizioni datanti. I diversi tipi di decorazioni architettoniche furono dunque usati indistintamente nello stesso periodo (soprattutto nel corso del I secolo d.C.) e l’adozione di essi fu dovuta con tutta probabilità a questioni di gusto o di disponibilità economica del committente.

Un gruppo che si distingue notevolmente dalla maggior parte delle altre tombe è quello denominato delle “Tombe Reali”. Il nome è giustificato non solo dalla grandiosità delle facciate, ma anche dalla loro posizione: ricavate nel fianco occidentale del Jebel el-Kubtha, esse dominano il centro abitato di Petra, venendo a costituire lo sfondo dell’asse viario principale della città.

A sud c’è la Tomba dell’Urna, ben identificabile da lontano anche grazie a una serie di arcate aggiunte nel V secolo d.C., quando la tomba fu trasformata in una chiesa. La tomba ha la singolarità di presentare davanti al suo ingresso una corte porticata su due lati con colonne doriche, ricavate – come di consueto – dal banco roccioso.

La fronte, molto sviluppata in altezza, presenta due semipilastri laterali legati a quarti di colonne e due semicolonne centrali con capitelli nabatei, inquadranti la porta di accesso alla camera maggiore, decorata con un fregio dorico e coronata con un timpano. Tra le semicolonne sono visibili in alto tre aperture pertinenti ad altrettanti vani sepolcrali, dei quali quello centrale conserva ancora la lastra di chiusura, raffigurante un busto maschile. Le colonne sono sormontate dalla trabeazione (il cui fregio è decorato da quattro busti, oggi molto abrasi), un attico e quindi dal timpano triangolare, coronato da una grande urna. Se lo schema generale segue quello delle facciate comuni, la presenza dei numerosi busti conferisce a questa tomba un carattere significativamente distintivo, come lo è del resto la presenza (anomala, ma non unica) delle tre celle funerarie in alto, da ritenere forse le più importanti per la loro apparente inviolabilità. La trasformazione della tomba in chiesa ha reso impossibile la comprensione di altri particolari, ma è molto probabile che la Tomba dell’Urna fosse destinata ad accogliere le spoglie di un re, forse Areta IV.

Nei pressi della Tomba dell’Urna vi è la Tomba Corinzia, la cui facciata richiama a prima vista la Khazneh, sebbene essa sia in un peggiore stato di conservazione a causa degli agenti atmosferici.

L’accostamento dei due edifici è comunque solo apparente, dovuto soprattutto alla presenza comune della tholos del secondo ordine, dal momento che i due edifici mostrano sostanziali differenze: non essendoci un vestibolo, nella Tomba Corinzia le colonne del piano inferiore sono legate alla superficie della fronte, con la mancanza di profondità propria invece del Khazneh; l’ordine inferiore rispecchia lo stile e il gusto prettamente nabatei, mentre l’ordine superiore, pur presentando capitelli di tipo corinzio, ha una composizione simile ma priva della decorazione estremamente elaborata presente nel Khazneh.

La stessa articolazione interna è del tutto differente, essendo in questo caso previste quattro camere funerarie indipendenti di diversa ampiezza. Questi aspetti, tuttavia, non diminuiscono la rilevanza e la grandezza della tomba, anch’essa verosimilmente destinata ad accogliere sepolture reali, ma rivelano piuttosto un cambiamento di gusto o di esigenze programmatiche, come del resto riflette l’assenza di un apparato scultoreo come quello del Khazneh.

A lato della Tomba Corinzia c’è la cosiddetta Tomba Palazzo, una colossale facciata articolata in tre piani: il primo è scandito da quattro edicole coronate alternativamente da timpani triangolari e a sesto ribassato, inquadranti le porte di quattro camere funerarie distinte; il secondo è costituito da nove coppie di semicolonne ioniche coronate da trabeazione e attico, il terzo – limitato alla parte meridionale dell’edificio – da altre semicolonne. In questo caso, il modello architettonico seguito è del tutto diverso; verosimilmente si tratta dell’emulazione di un palazzo ellenistico decorato nei piani superiori da gallerie porticate.

Nonostante la ripetizione quasi monotona degli elementi architettonici, privi di qualsiasi elemento figurato, le dimensioni imponenti della Tomba Palazzo la rendono uno degli edifici funerari più impressionanti di Petra.

Più modeste da un punto di vista dimensionale, ma ugualmente significative per la loro decorazione o per gli aspetti figurativi, sono altre tombe che ripropongono facciate architettoniche. Una di questa è la tomba di Sextius Florentinus, ubicata alle falde settentrionali del Jebel el-Kubtha, che presenta due ordini coronati da un frontone decorato con racemi vegetali e sormontato da un’urna.

Il nome in questo caso è dovuto all’iscrizione dedicatoria in latino che ricorda il personaggio, governatore della provincia d’Arabia nel 127 d.C., che fu dunque sepolto a Petra: particolari architettonici sembrano contrastare con tale datazione e si è pertanto ipotizzato che l’iscrizione sia pertinente ad un successivo reimpiego. 

Tra le altre tombe particolarmente fastose è da annoverare la Tomba del Soldato Romano, situata nella gola del Wadi Farasa, così denominata per la presenza di una figura stante, vestita di corazza, posta a chiusura di una nicchia sopra la porta di accesso alla tomba e fiancheggiata da altri due rilievi, oggi molto erosi. In questo caso, il complesso era molto articolato, prevedendo – oltre alla tomba vera e propria – una corte porticata centrale e un ampio triclinio dal lato opposto, noto con il nome di “Sala Policroma” per l’effetto delle venature della roccia.

La tomba più grande di Petra, ubicata su un colle a occidente della città, è nota con il nome di ed-Deir, il Monastero, per la frequentazione di monaci in età medievale; la facciata è larga cinquanta metri e alta circa quaranta. Lo schema compositivo richiama quello del Khazneh e della Tomba Corinzia, con un ordine inferiore scandito da semicolonne e uno superiore con tholos centrale, edicole mediane recanti semifrontoni e pilastri laterali. Rispetto alla Khazneh, si avvertono – soprattutto per l‘ordine inferiore – la mancanza di profondità e gli effetti chiaroscurali, assenze queste che risultano accentuate dalla grandezza della facciata e dal tipo di decorazione.

Nella grande facciata di ed-Deir, infatti, non è presente alcun motivo figurato, mentre per la decorazione architettonica furono adottati motivi prettamente locali, come il capitello nabateo e il fregio a dischi, che risultano in definitiva piatti e austeri.

La posizione topografica lontana dalla città, l’assenza di rilievi figurati, il sensibile distacco dal gusto ellenistico, la scelta intenzionale di motivi architettonici locali sono gli elementi che hanno fatto ipotizzare che si tratti della tomba di Rabbel II, ultimo re di Petra prima della conquista romana del 106 d.C., noto per il suo fiero attaccamento alle tradizioni e al popolo nabateo.

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Fonte:
Dimore eterne - Alberto Siliotti