Siti archeologici di Micene e Tirinto
  
PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1999
  

   

Tirinto è un'antica città dell'Argolide situata nel settore sud-orientale della piana di Argo.

Della città restano soltanto alcuni resti archeologici: le mura e le rovine del Palazzo reale, scoperto da Heinrich Schliemann e Christos Tsountas nel 1884-1885, anche se già nel 1831 si effettuarono i primi scavi per opera di Thiersh. La cinta muraria fu rifatta, ampliata per ben tre volte e furono incrementati i magazzini e grazie a due gallerie sotterranee non mancò l'approvvigionamento idrico per le mura. È stata portata alla luce anche una necropoli di tombe a camera arricchite da corredi di ceramica.  

Nella mitologia greca si diceva che la città avesse preso il nome da Tirinto, figlio di Argo e nipote di Zeus.

La tradizione associa anche le mura a Preto, fratello di Acrisio, re di Argo. Secondo la leggenda, Preto, inseguito da suo fratello, fuggì in Licia. Con l'aiuto dei lici, riuscì a tornare in Argolide. Lì, Preto occupò Tirinto e la fortificò con l'assistenza dei ciclopi muratori detti Gasterochiri. Tirinto infatti viene citata per la prima volta da Omero che ne aveva elogiato le mura imponenti.

Così la leggenda greca collega i tre centri Argolici con i tre eroi mitici: Acrisio, fondatore della colonia dorica di Argo; suo fratello Preto, fondatore di Tirinto; e suo nipote Perseo, il fondatore di Micene. Ma questa tradizione nacque all'inizio del periodo storico, quando Argo stava combattendo per diventare il potere egemonico nella zona e aveva bisogno di un passato glorioso per competere con le altre due città.

A Tirinto Bellerofonte viene accolto presso la corte dopo essere fuggito da Corinto ove aveva ucciso per errore il re Bellero. Per purificarsi viene accolto a corte da Preto. La moglie di Preto Stenebea se ne invaghì e tentò di sedurlo vanamente. Questa per vendicarsi disse al marito che Bellerofonte aveva provato a sedurla e per questa ragione doveva condannarlo a morte, ma il re non se la sentì di uccidere un ospite per non violare la xenia, così lo mandò in Licia dove chiese al re Iobate di ucciderlo, ma questi preferì mandarlo a uccidere la terribile chimera.

Eracle giunse a Tirinto per servire Euristeo, re della città per espiare le sue colpe, compiendo le dodici fatiche. Sempre Eracle, colto da un attimo di follia, gettò dalle mura della città Ifito il figlio del re Eurito re di Ecalia. Essi stavano cercando il bestiame del re e Ifito convinto dell'innocenza di Eracle si offrì di cercarle assieme a lui.

Nel catalogo delle navi dell'Iliade faceva parte dei territori guidati da Diomede, durante la guerra di Troia.

L'area è stata abitata fin dai tempi preistorici. Il piccolo insediamento neolitico fu seguito, a metà del III millennio a.C., da un fiorente insediamento pre-ellenico situato a circa 15 km a sud est di Micene, su una collina lunga 300 m, larga 45–100 m, e non più di 18 metri di altezza. Di questo periodo sopravvisse, sotto il cortile di un palazzo miceneo, un'imponente struttura circolare di 28 metri di diametro, che sembra essere stato un luogo fortificato di rifugio per gli abitanti della città in tempo di guerra e/o la residenza di un re. La sua base era imponente, ed era costituita da due muri concentrici in pietra, tra i quali vi erano altri tagli trasversali, in modo che lo spessore raggiungesse i 45 m. La sovrastruttura era in argilla e il tetto era fatto con piastrelle cotte al fuoco.

I primi abitanti greci, i creatori della civiltà medio elladica e la civiltà micenea, si stabilirono a Tirinto all'inizio del periodo medio (2000 - 1600 a.C.), anche se la città raggiunse la sua maggiore crescita durante il periodo miceneo. L'Acropoli fu costruita in tre fasi, la prima alla fine del periodo tardo elladico II (1500-1400 a.C.), la seconda in quella tardo-elladica III (1400-1300 a.C.) e la terza alla fine del periodo tardo-elladico III B (1300-1200 a.C.). Le rovine superstiti della cittadella micenea risalgono alla fine del terzo periodo. La città vera e propria circondava l'acropoli nella pianura sottostante.

Nel XIII secolo a.C. un importante terremoto causò parecchi danni alle strutture, mentre nel XII secolo a.C. furono costruiti degli insediamenti circostanti.

Il disastro che colpì i centri micenei alla fine dell'Età del Bronzo con l'invasione dei Dori (1000 a.C.) colpì anche Tirinto, ma è certo che l'area del palazzo fu abitata ininterrottamente fino alla metà dell'VIII secolo a.C. (poco più tardi vi fu un tempio costruito tra le rovine del Palazzo).

All'inizio del periodo classico Tirinto, come Micene, divenne una città relativamente insignificante. Quando Cleomene I di Sparta sconfisse gli Argivi, secondo Erodoto i loro schiavi occuparono Tirinto per molti anni. Erodoto menziona anche che Tirinto prese parte alla battaglia di Platea nel 480 a.C. con 400 opliti contro i Persiani.

Anche se in declino, Micene e Tirinto disturbavano gli argivi, che nella loro propaganda politica volevano monopolizzare la gloria dei leggendari (e mitici) antenati. Nel 468 a.C. Argo distrusse completamente sia Micene che Tirinto e trasferì - secondo Pausania - i residenti ad Argo, per aumentare la popolazione della città. Tuttavia, Strabone dice che molti Tirintesi si trasferirono per fondare la città di Halieis, la moderna Porto Heli.

Nonostante la sua importanza, gli storici e gli scrittori hanno dato poco valore a Tirinto, ai suoi sovrani e alle sue tradizioni mitiche. Pausania ha dedicato un breve commento a Tirinto, scrivendo che due muli che si univano non avrebbero potuto muovere nemmeno le pietre più piccole delle mura.

I viaggiatori di epoca più recente, in viaggio verso la Grecia alla ricerca di luoghi in cui vivevano gli eroi degli antichi testi, non riuscivano a cogliere l'importanza della città.

 1. Accesso al sito  -  2. Porta della fortezza
3. Casematte - 4. Cortile interno
5. Sala del palazzo - 6. ("Megaron") ed edifici adiacenti
 7. Porta di uscita - 8. Parte mediana
9. Parte inferiore

Tra le rocche micenee, Tirinto è quella meglio conservata. I ruderi sono situati su di uno sperone roccioso che corre interamente da nord a sud (lunghezza m 300 circa, larghezza massima m 100 circa, minima - nel mezzo - circa m 45, altezza m 26 sul livello del mare), a circa 1.500 m dall'odierna costa orientale del golfo argolico, appena un'ora di cammino a nord di Nauplia; il terreno su cui si eleva è quello alluvionale della pianura costiera.

La tradizione posteriore ravvisava nelle mura possenti un'opera dei Ciclopi. Il palazzo della rocca superiore è stato scavato dallo Schliemann e dal Dörpfeld negli anni 1884 e 1885. Dal 1905 è stato compito del Deutsches Archaologisches Institut di Atene di scavare tutte le rovine e di chiarirne la storia. Gli scavi, che sono stati effettuati nel periodo 1905-14, e, dopo la prima guerra mondiale, soprattutto negli anni 1926-29, possono considerarsi sostanzialmente ultimati per quanto riguarda la rocca superiore. Bisogna invece ancora completare i saggi in profondità nelle parti settentrionali della rocca e l'esplorazione della città inferiore e delle necropoli. I lavori sono stati diretti da W. Dörpfeld, G. Karo e K. Müller e ultimamente proseguite dall'eforo Verdelis.

Nella prima Età del Bronzo (Antico Elladico, circa 2400-1900 a.C.), già erano abitati il dorsale dello sperone e almeno parte della zona della più tarda città inferiore. Sull'altura della rocca superiore si ergeva un possente edificio circolare di circa m 28 di diametro. Nel caso in cui lo si dovesse considerare una casa signorile, si tratterebbe dell'esempio più monumentale del tipo di torre di abitazione a noi noto nelle civiltà primitive mediterranee. La ceramica di questo periodo è caratterizzata da vasi a vernice o con decorazioni ornamentali.

Nel periodo seguente, cosiddetto Elladico Medio (dal 1900 al 1580-70 circa), periodo nel quale i greci Achei si stabilirono nel paese, sorse una rocca cinta da mura. Le prime costruzioni micenee, di cui abbiamo tracce in cospicui avanzi di mura e nelle fondazioni di una porta, appartengono già alla tarda Età del Bronzo. Esse sono state erette intorno al 1400 e con questo risultano contemporanee alla fine del regno minoico in Creta. La rocca, ampliata circa 100 anni più tardi, acquistò il suo aspetto definitivo e più grandioso non molto prima del 1200. Al massimo due generazioni dopo, travolta nella tempesta delle migrazioni egee, la sua importanza era tramontata.

Alla fine del sec. XIII, le installazioni erano composte di tre parti: la rocca inferiore, a nord, che si estendeva lungo tutto lo sperone; all'interno di essa non vi erano costruzioni: evidentemente in tempo di pericolo vi si raccoglieva la popolazione dei dintorni; la piccola rocca centrale, divisa dalla prima da forti mura e, a sud, la rocca superiore, che era la più fortificata, con il palazzo.

Le mura ciclopiche della fortezza, il cui spessore è in media di 6 m, in qualche punto raggiungono ancora i 10 m di altezza. Dobbiamo rappresentarci il coronamento delle mura come un cammino di ronda, costruito con mattoni crudi e travi.

A sud-ovest e a sud, all'interno delle mura che qui hanno forma di bastione, sono sistemate alcune casematte accessibili mediante scale e allineate lungo corridoi. I passaggi e i singoli locali sono ricoperti da una vòlta a sesto acuto ottenuta mediante l'aggetto degli strati di pietre. Questa è una delle espressioni più grandiose di un sistema costruttivo che deriva dall'architettura megalitica dell'antico Mediterraneo e che si estrinseca, in altra forma, anche nelle tombe a cupola micenee.

A ovest, fortificata da un possente muro, una scala, ai piedi della quale si trova una porta di sortita, serviva evidentemente per l'approvvigionamento idrico. Infatti, circa un centinaio di metri all'esterno, ancora oggi si trova una sorgente. (La rocca di Micene a nord, e l'acropoli di Atene, sul versante settentrionale, possiedono installazioni analoghe attribuibili all'incirca al medesimo periodo).

La più antica delle porte, che appartiene al periodo della prima costruzione della rocca, è costituita da uno stretto passaggio fra due bastioni che si prolungano verso l'interno. Questa tipologia si riscontra, più anticamente, in Mesopotamia, a Dimmi e negli strati più antichi di Troia II. La porta principale della seconda rocca, conservata nell'ultima trasformazione, era una copia, soltanto di poco più recente, della Porta dei Leoni di Micene. I grandi e i piccoli propilei, all'interno, non appartengono già più all'opera di fortificazione. Essi riproducono la tipologia micenea del portale interno - vano della porta e colonne inquadrati da ante, sia sulla fronte che sulla parte posteriore - tipologia che, in forma più semplice, già si trova a Troia II e che, attraverso esempi greco-arcaici, possiamo seguire fin nell'età classica ed ellenistica: l'espressione più splendida ne sono i Propilei di Mnesikles.

Il palazzo è una creazione puramente micenea, grazie alla sintesi di elementi anticamente egei, rielaborati sul continente, con motivi minoici. La disposizione congiunta di cortile e mègaron appare a Dimmi e a Troia II già nel III millennio. A Tirinto l'esistenza di due complessi di questo genere, ognuno dei quali era ampliato da un vestibolo, era giustificata dal desiderio di creare accanto ai locali adibiti alle normali necessità della corte principesca, altri locali per scopi di ricevimento e di culto. Il complesso più piccolo, ad est, con i suoi due mègara, è il più antico; forse appartiene già alla seconda costruzione della rocca.

Il mègaron, importato in Creta soltanto grazie agli Achei, è stato ritrovato a Troia già nella città più antica, nella prima metà del III millennio, e non è infrequente sul continente greco anche negli strati medio-elladici. Nel mègaron maggiore di Tirinto il sistema di apertura a tre porte dell'atrio interno ha subito l'influsso della Sala dei Pilastri minoica. E anche i porticati dei cortili, con le loro colonne di legno, e la costruzione a piani sovrapposti derivano dall'architettura di palazzo minoica. Questa osservazione è valida, in particolare, per la decorazione delle sale. Lo zoccolo dell'atrio esterno del mègaron grande era decorato, all'interno, da un fregio in alabastro, in rilievo, con incastonature di vetro azzurro, che è materiale e motivo ornamentale di importazione cretese. A modelli cretesi si rifanno le pitture parietali, a fresco, e le cornici di stucco colorato. Un gruppo più antico di affreschi è da attribuirsi al palazzo della prima rocca, gli affreschi più recenti appartengono all'ultima costruzione. Molti dei motivi figurativi sono di derivazione continentale: questo vale in particolare per le rappresentazioni di guerrieri e carri e di cacce. Caratteristica dello stile è il senso tettonico tipicamente tardo-miceneo.

Ma l'aspetto più significativo è la composizione architettonica, nella quale si esprime l'epoca con immediatezza e potenza meravigliose. La concezione esterna, con le sue fortificazioni, contrasta con la tendenza all'apertura propria dei palazzi cretesi; essa era però imposta dalla funzione della rocca. L'idea direttrice della costruzione è l'ascesa: la rocca non si sviluppa soltanto dall'esterno verso l'interno, ma anche dal basso verso l'alto. Il culmine era costituito dal mègaron maggiore, il tetto del quale si elevava presumibilmente in forma di "lanterna", appoggiandosi sui quattro pilastri interni. In questo consiste la vera differenza con la struttura centralizzata dei palazzi minoici, e con l'architettura dell'Egitto e dell'Asia Minore, che tende ad allineare, mentre l'affinità coll'architettura greca e romana non si può disconoscere.

La città inferiore attorniava la rocca da ogni lato. Le case finora esplorate sono modeste, ad eccezione di un imponente mègaron situato ai piedi dello sperone, a sud-ovest. Per prevenire le inondazioni, provocate periodicamente, nella parte meridionale dell'agglomerato cittadino, da un torrente che fluiva verso il mare a nord di Tirinto, si fece deviare il corso d'acqua verso sud, spianando verso l'interno della regione una collina, detta di Sant'Elia, all'incirca m 1.500 ad est, della rocca, e costruendo grosse mura di sostegno, ciclopiche, di cui esistono ancora avanzi.

Ad ovest, ai piedi della collina di Sant'Elia, gli scavi hanno portato alla luce una tomba a cupola tardo-micenea, e segnalato la presenza di una seconda tomba. Verso est sono state scavate numerose tombe a camera, per lo più tardomicenee. Un tesoro consistente in suppellettili di bronzo e oggetti d'oro, che è stato rinvenuto nell'agglomerato cittadino, sembra essere stato costituito in età post-micenea da refurtiva ricavata dalle tombe.

La popolazione, in età post-micenea, si concentrò nell'ambito della rocca superiore. A quell'epoca appartengono le tombe contenenti ceramiche geometriche che si trovavano nella città inferiore, a 150 m a sud dell'acropoli. Secondo le osservazioni, invero messe in dubbio ma non confutate, degli scavatori, il mègaron grande sarebbe sopravvissuto alla distruzione della rocca e solo nel corso dell'VIII sec. a.C. sarebbe stato incendiato. Allora, con parziale impiego di materiale tratto dalle antiche mura di fondazione, fu costruito un nuovo mègaron, molto più piccolo, adibito al culto di Hera, culto che per Tirinto è documentato da testimonianze letterarie. Il rinnovamento di questo tempio nel VII sec. a.C. è attestato da un'antefissa fittile con decorazioni ornamentali e da un quasi contemporaneo capitello di stile alto-dorico.

Nel corso della stessa fase degli scavi si ricuperarono, in una fossa ad ovest della rocca superiore, le offerte votive che si erano accumulate, dopo la ricostruzione del mègaron verso la metà dell'VIII secolo. Questo ritrovamento è in procinto di essere pubblicato ad opera di E. Kunze; attualmente se ne conoscono solo gli scudi votivi in argilla e una maschera di Gorgone di dimensioni superiori al naturale. Tra le offerte votive di età più recente, dedicate alla Hera di Tirinto fino alla metà del sec. IV, abbiamo alcune figurine in terracotta: sono saggi significativi di arte argiva, raffiguranti fanciulle in peplo, che portano un maialetto in oblazione. La definitiva distruzione della rocca ad opera degli Argivi avviene nel periodo intorno al 300 a.C. L'antichissima immagine della divinità era stata già precedentemente traslata nell'Heraion vicino ad Argo.

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