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Patmo o Patmos,
è un'isola dell'Egeo famosa poiché, secondo un'antichissima tradizione
cristiana, l'apostolo Giovanni fu qui esiliato dall’imperatore Domiziano dal 95 al 100 d.C. Durante
questo periodo egli ebbe le sue famose visioni da Gesù, che portarono alla
redazione del Libro della Rivelazione.
L'elemento
greco si compiacerà di intrecciare una sua propria leggenda con le origini di
Patmo, collegandole con gli dei dell'Olimpo e con i mitici eroi dei poemi
omerici. Una leggenda racconta che era nascosta sotto l'oceano ed era visibile
solo quando la dea della Luna, Selene, brillava su di lei. Una notte,
un'altra dea, Artemide, notò l'isola e se ne innamorò, desiderandola per
se stessa. Chiese quindi il permesso agli altri dei per farla emergere dal mare,
e grazie al potere di Zeus l'isola trovò spazio dove giace ancora oggi.
Un'altra leggenda narra che Oreste, dopo aver ucciso la madre Clitennestra,
si rifugiò a Patmos per sfuggire alle Erinni.
Resti di
necropoli antiche sono stati rinvenuti nei centri di Nettia, vicino a Patmos, e
di Kambos, nella parte Est dell’isola. Al IV o al III secolo a.C. sembra
risalire la cinta muraria in pietra nera e in tecnica isodoma, che si osserva
sull’altura di Kasteli presso il porto. L'isola, che inizialmente fu
abitata da stirpi doriche, fu in seguito colonizzata dagli Ioni; nel 428
a.C. la flotta spartana fu costretta dagli Ateniesi a ripiegarvi.
L'isola era già
conosciuta dallo storico Tucidide, dal geografo Strabone e da Plinio
il Vecchio. In epoca imperiale romana, fu luogo di residenza di alcuni notabili,
forse esiliati politici. Verso la fine del I secolo era una
piazzaforte avanzata di Mileto, sua dirimpettaia sulla costa dell'Asia
Minore, che se ne serviva come fortezza per difendere l'accesso al proprio
porto. Essa vi relegava in soggiorno sorvegliato persone indesiderabili dalla
città.
Nel 1088,
l'imperatore Alessio Comneno cedette l'isola a un monaco asceta, il
beato Cristodulo, abate di Bitinia, che gli manifestò
precedentemente, il desiderio di stabilirvi un «laboratorio di virtù» e così
fondò il monastero di San Giovanni. Nel corso degli anni successivi alla
sua costruzione, il monastero per proteggersi dalle scorrerie dei pirati turchi,
saraceni e normanni, eresse a sua difesa e baluardo, alte muraglie. A cent'anni
circa dalla sua fondazione, il monastero contava una comunità monastica di 150
monaci, una ricca biblioteca, proprietà nelle isole vicine e a Creta, navi
commerciali esonerate da imposte.
L'isola e il
monastero godettero, dal XIII secolo in poi, della protezione di Venezia,
che conquistò Patmos nel 1207. Nel corso dei secoli XIII e XIV l’isola
soffrì dei conflitti che opposero i Turchi a Bisanzio. Dopo la caduta di
Costantinopoli e l'affermarsi dell'impero Ottomano, l'isola fu assoggettata
a tributo dai turchi nel 1537. In questo periodo l'isola conobbe un periodo
di prosperità e ospitò molti rifugiati bizantini. Grazie alla vicina Creta,
divenuta veneziana, e dove l'attività culturale fu intensa, l'isola progredì
delle nuove tecniche decorative e scultorie che influenzarono i pittori e gli
scultori locali. Questi abbellirono notevolmente le decorazioni interne del
monastero. Nel 1669 ospitò rifugiati veneziani di Candia.
Durante la guerra
italo-turca, il 12 maggio 1912, l'incrociatore corazzato Amalfi della Regia
Marina occupò Patmo. In seguito nel 1924, l'isola entrò a far parte delle Isole
Italiane dell’Egeo; dopo la Seconda guerra mondiale andò alla
Grecia con il resto del Dodecaneso. Da allora non è raro udire, soprattutto tra
gli Ateniesi, la definizione di 'italiani', per gli abitanti dell'arcipelago.
Monastero
di San Giovanni

In
epoca romana Patmo era un luogo d'esilio, in cui secondo la tradizione
l'evangelista Giovanni avrebbe scritto il libro dell'Apocalisse. Patmo è
infatti citata esplicitamente nell'opera come luogo in cui egli avrebbe avuto le
sue visioni, e la caverna in cui ciò sarebbe avvenuto è considerata come uno
dei luoghi più importanti da parte della Chiesa greco-ortodossa.
Il
monastero venne fondato sulla sommità della collina che domina l'isola, un paio
di km a nord della grotta, nel 1088 dal monaco asceta di origini
della Bitinia Cristodulo che, in cerca di pace e isolamento,
aveva abbandonato il Monte Latros in Asia Minore, attaccato
dai Turchi selgiuchidi, per rifugiardi prima a Coo (dove fondò
il monastero della Madre di Dio) e successivame Patmos. Qui, dopo aver ottenuto
a Costantinopoli dall'imperatore Alessio I Comneno la
permuta dei terreni di Coo con quelli più aridi e deserti di Patmos assieme a
una cospicua sovenzione, fondò al centro dell'isola il nuovo monastero
consacrato a san Giovanni il "Teologo". Tale fondazione
determinò anche il punto di partenza per il popolamento e lo sviluppo
dell'isola, e per la ripresa della venerazione della "sacra
grotta" dell'Apocalisse. Nonostante fossero previste forti mura difensive,
il primo cantiere fu attaccato dai pirati, che costrinsero Cristodulo a
rifugiarsi in Eubea, dove morì nel 1093, non prima di aver esortato i suoi
monaci a proseguire la costruzione del monastero di Patmos, dove avrebbe voluto
che poi le sue spoglie mortali venissero traslate. Appena sette mesi dopo la sua
scomparsa, nell'ottobre di quell'anno, i monaci fecero infatti rientro a Patmos
con le spoglie del fondatore. Nel 1088 ottennero dall'imperatore bizantino
l'esenzione da gravami fiscali e l'indipendenza sovrana, anche se nel 1132 il
monastero passò sotto la competenza del Patriarcato ecumenico di
Costantinopoli con proclama di Giovanni IX Agapeto. Nonostante le
molteplici incursioni nemiche, il monastero, ormai saldamente difeso, prosperò
nei secoli successivi, arrivando ad ospitare a fine del XII secolo circa 150
monaci, con numerose provvgioni da parte di vescovi e patriarchi.
Con
la quarta crociata tutto il Dodecaneso entrò a far parte
dell'Impero latino di Costantinopoli (1204), e Patmos venne assegnata
alla Repubblica di Venezia nel 1207. Nonostante ciò il monastero
continuò a prosperare per tutto il XIII secolo, acquisendo possedimenti
terrieri anche ben oltre i confini dell'isola e dando ospitalità a molti esuli
di Costantinopoli dopo il sacco, che presero dimora nell'isola
nonostante ciò andasse contro le iniziali disposizioni di Cristodulo, che
avrebbe voluto tenere i laici lontani dall'insediamento dei religiosi. Dal 1259
l'imperatore Michele VIII Paleologo offrì ripetutamente aiuti al
monastero, che ne trasse una notevole ascesa economica, ma nel secolo successivo
l'avanzata dei Turchi a spese dell'Impero ridusse considerevolmente l'influenza
imperiale in quest'area, facendo entrare l'isola nell'orbita dei Cavalieri
ospitalieri di San Giovanni (a Rodi dal 1309-1310).
Il
monastero in quel periodo mantenne una certa indipendenza e un trattamento
privilegiato che permetteva il mantenimento delle sue numerose proprietà, ma
col presupposto di versare periodicamente cospicue tasse ai cavalieri. XIV e XV
secolo segnarono nuovo traguardi spirituali e materiali, ad esempio con
l'ampliamento della biblioteca, che conteneva già volumi risalenti all'epoca
della fondazione, la fondazione di uno scriptorium di amanuensi e
l'abbellimento con icone (spesso della rinomata scuola cretese grazie
ai contatti dei monaci su quell'isola, in cui possedevano vasti terreni), arredi
e altro.
I
monaci capirono presto che l'impero bizantino era ormai al tramonto, ed è
tradizione che due anni prima della caduta di Costantinopoli del 1453
essi avessero mandato un'ambasceria al sultano turco
ad Adrianopoli per negoziare l'assoggettamento dell'isola ai nuovi
padroni, ottenendo per questo condizioni particolarmente vantaggiose che
impedirono il saccheggio dell'isola e l'insediamento su di essa di una
guarnigione permanente di soldati turchi. I buoni rapporti con Maometto
II sono tradizionalmente testimoniati da un sigillo e da una lampada di
fattura islamica che sarebbero stati donati dal sultano nel 1454 e che sono
ancora conservati nel museo del monastero. Ciò non esonerò tuttavia il
monastero dal versare onerose tasse. Protezione e favori furono comunque
riconfermati da varie autorità religiose e politiche nei secoli a venire.
Nel
XVII secolo il monastero entrò tuttavia in una profonda crisi, causata da
eventi quali le disastrose scorrerie veneziane del Morosini (1659) o la perdita
dei cospicui terreni sull'isola di Creta in seguito alla conquista di
quest'ultima da parte degli Ottomani (1645-1669). Dal punto di vista culturale
fu importante, nel 1713, la fondazione presso la sacra grotta della scuola
Patmiada, una vera e propria Università teologica retta dai monaci, che
irradiò la cultura religiosa in tutto il mondo ortodosso per quasi duecento
anni, rinascendo poi dal 1947 come Scuola Ecclesiastica.
Durante
la Rivoluzione greca del 1821 a Patmos l'abate fu il secondo a
innalzare la bandiera della rivoluzione, ma tuttavia l'isola rimase nelle mani
dell'Impero ottomano fino al 1912, quando fu occupata dagli Italiani.
Se amministrativamente l'isola fu assoggetata, dal punto di vista religioso il
monastero godette sempre di una certa indipendenza (gestendo anche le scuola
sull'isola e l'assistenza medica agli isolani), revocata tuttavia quando l'abate
a più riprese chiese al generale Ameglio l'annessione alla Grecia,
attirando misure repressive e restrittive. Nel 1943 agli Italiani subentrarono i
Tedeschi e, a guerra finita, gli Inglesi. Infine, col trattato di Parigi
del 1947 tutta l'isola, col Dodecaneso, fu finalmente annessa alla
Grecia, con effetto dal 7 marzo 1948.
DESCRIZIONE
- Da lontano il
monastero si presenta come una fortezza, posto alla sommità dell'abitato di
Chora a dominare tutta l'isola di Patmos. Alte mura merlate, dotate di doppia
cinta e scarpature, lo circondano sui quattro lati, con un unico accesso su
quello nord, posto alla sommità di una scalinata non rettilinea (in modo da non
permettere lo sfondamento delle porte con arieti) e protetto da una botola
superiore da cui si potevano versare liquidi bollenti sugli eventuali
nemici.
Qui
si trova anche la cappella esterna dei Santi Apostoli. Tramite un'altra breve
scalinata coperta da volte, si accede al cortile principale, su cui si innalzano
tre archi acuti liberi, dalla funzione di contrafforti (1698). A sinistra si
trova la chiesa principale del complesso, il Katholikòn, mentre sugli
altri lati si trovano alcuni ambienti di servizio e per i monaci, tra cui,
davanti all'ingresso, la facciata della tzafara, porticata a due piani, e
sormontata da un piccolo campanile a vela con due campane.
Il Katholikòn
- Il Katholikón è
formato dalla chiesa principale, dalla cappella di San Cristodulo e da quella
della Vergine, il tutto preceduto da un esonartece (XVII secolo con
elementi architettonici recuprati dall'antica basilica e con affreschi
delle Storie di san Giovanni a Patmos settecenteschi e più in basso
pitture a secco dei Magistrati di Patmos del XIX secolo) e da un
endonartece coperto da volta a botte e pure decorato da affreschi, databili al
XII-XIV secolo (Storie neotestamentarie, tra cui la Cacciata di Zaccaria,
l'Adorazione dei Magi, la Strage degli Innocenti, la Fuga in Egitto,
la Visitazione, Gesù tra gli apostoli, la Parabola delle dieci
vergini e il Giudizio universale). Alla destra della porta della
chiesa principale si trova qui l'icona di San Giovanni il Teologo, del XII
secolo (la si vuole donata da Alessio I Comneno), ma ridipinta nel XV.
La
chiesa principale risale alla fondazione del monastero, e fu costruita sulle
rovine di una chiesa paleocristiana del IV secolo, a sua volta eretta su un
piccolo tempio pagano dedicato ad Artemide. Ha la forma della croce greca,
con cupola centrale retta da quattro colonne in pietra, unite fra loro da
tiranti in legno ricoperto di foglia d'oro.
L'iconostasi
lignea risale al 1820, donata dal metropolita di Sardi Nettario
Thomaidis di Patmos, e sostituiva una marmorea del tempo di Christodoulos, fatta
con elementi di spoglio del VI-VII secolo, una seconda lignea del XIV secolo
(probabilmente oggi nella chiesa di San Giorgio dei Porziani nella Chora) e una
terza lignea rifatta verso il 1490. È decorata da ricchi intagli dorati e da
icone in stile russo (Cristo e Madonna del 1702, San
Giovanni il Teologo del 1697). Gli affreschi che decorano le pareti invece
sono in stile cretese e sono databili al XVII secolo, con rifacimenti
fino al XIX. In una piccola sagrestia ("vecchia sagrestia") si trovano
alcuni cimeli sacri e i paramenti usati durante le funzioni religiose.
A
sud si trova la cappella della Madonna, a navata unica coperta da volta a botte
(XII secolo), con iconostasi lignea e icone di scuola cretese del 1607. Gli
affreschi sono databili al 1176-1190 circa e sono i più antichi del monastero:
furono rinvenuti sotto altri del 1745, in seguito a un sisma.
Nell'angolo
nord-occidentale si trova infine la cappella del beato Christodoulos, con un
sarcofago marmoreo e un reliquiario ricoperto d'oro e d'argento (fatto
a Smirne nel 1796) in cui si trovano i resti del fondatore del
cenobio. L'iconostasi lignea risale al 1607 ed è adornata da icone più antiche
della bottega di Andrea Ritzos del XVI secolo raffiguranti Cristo
grande sacerdote, la Madonna della Passione e il Neato
Christodoulos. Gli affreschi invece risalgono al XVII secolo.
Il
refettorio - Confinante
con la parete esterna della cappella della Madonna, il refettorio (solitamente
visitabile solo dai religiosi) risale alla fase costruttiva originaria del
XII-XIII secolo, con una lunga aula coperta a botte in cui al centro si apre una
cupoletta che lo fa assomigliare a una basilica. I due tanvoli sono antichi, e
spicca per intaglio quello settentrionale, riservato al priore. Una nicchia
nella parete orientale ospita la vima, ossia il leggio in cui un monaco, a
turno, digiuna leggendo agli altri le sacre scritture. Gli affreschi sulle
pareti sono per lo più quelli del 1745, staccati dalla cappella della Madonna,
con qualche lembo di altri affreschi originali di questo ambiente del 1290-1310
circa (abside settentrionale e parete orientale).
La
biblioteca e archivio - La
biblioteca del monastero (oggi ospitata in un locale sotto il museo, sistemato
nel 1978) è stata ininterrottamente arricchita dalla fondazione fino ai tempi
nostri. Vanta codici che sono appartenuti alla collezione personale del beato
Christodoulos, che li salvò dall'avanzata turca sul Monte Latros,
aumentata da donazioni (dell'imperatore, del patriarca e di altri religiosi e
privati) e acquisti mirati. Spesso vennero portati dagli stessi monaci che
fuggivano dai monasteri di Rodi, Chio e Creta.
I
codici manoscritti sono 855 (di cui 330 appartenuti al fondatore), e sono per lo
più di argomento religioso o di diritto eccelsiastico. Spiccano i 33 fogli
del Codice Petropolitano purpureo (VI secolo, con altri frammenti
sparsi in altre otto sedi internazionali), il Libro di Giobbe prodotto
nel Mediterraneo orientale nel IX secolo e i Discorsi di san Gregorio
Nazianzeno realizzato a Reggio Calabria nel 941.
Una
raccolta di documenti raccoglie bolle imperiali e altri attestati legati al
monastero, ai suoi privilegi e ai suoi possedimenti. Sono circa 125 pezzi di
epoca bizantina e 13.000 successivi. L'Archivio di Stato locale contiene almeno
78 documenti latini scoperti nel 1970 in aggiunta alla collezione già
catalogata da Miklošič-J. Mūller alla fine del XIX secolo. I
testi sono divisi in tre parti: documenti del metochio di san Giovanni
Stilita a Creta; documenti relativi allo status giuridico di privilegio
accordato al monastero da pontefici, imperatori, dogi e
dagli Ospitalieri di Rodi; documenti relativi alla richiesta di protezione
del monastero rivolta ai Paesi cattolici nel corso della dominazione turca. Dopo
la caduta di Creta, il doge Morosini trasportò a Venezia i documenti di La
Canea e solamente una parte di quelli depositati a Candia. Gli
originali risultano quindi assenti nell'Archivio di Stato di Venezia.
Tra
i testi a stampa (circa 3.000) si contano testi di filosofia e letteratura su
cui si formavano i monaci. Alcuni di pezzi della biblioteca sono esposti a
rotazione nel museo.
Il
museo - Il museo del
monastero è stato organizzato nei vasti ambienti della "sagrestia
nuova" e conserva opere di arte religiosa provenienti dal monastero stesso
o donate da importanti personaggi del mondo bizantino e ortodosso, che ne fanno
il più importante e vasto museo d'arte sacra di tutto l'Egeo.
Il
nucleo di icone possiede un gruppo di opere di ambito bizantino (dal XI alla
metà del XV secolo, con un San Nicola in micromosaico dell'XI secolo) e
una collezione di scuola cretese dal XV al XVIII secolo (tra cui
un Cristo passo attribuito a Domenico Theotokopoulos, un trittico
di Georgios Klontzas del 1596 circa, e una Madonna col
Bambino di scuola veneto-cretese del 1474). Tra gli altri oggetti spiccano
le oreficerie (circa 300 pezzi in metalli preziosi, dal XVII al XVIII secolo), i
paramenti sacri, i sigilli, e un piccolo lapidario con frammenti databili tra il
VI secolo a.C. (testa di Dioniso) e il XII secolo d.C. Singolari sono poi alcuni
reperti islamici che la tradizione indica come dono dei sultani turchi.
Altri
ambienti - Il synodokio è
una sala di rappresentanza per gli ospiti illustri (1806); vicino si trovano
l'ekklisarkeio (appartamento di servizio con cucine), le celle dei monaci,
una foresteria, le cantine e i depositi dove si conservavano in grosse
giare l'olio e il vino e un ambiente di passaggio con un grande recipiente in
legno a forma di barca in cui i monaci impastavano il pane, che si dice dell'XI
secolo.
Dieci
cappelle minori sono disseminate per il complesso: della Madonna, di San Nicola,
di tutti i Santi (XVII secolo), della Santa Croce (XVI secolo), di San Prodromo
(XVIII secolo), di San Costantino, del Grande Re (XVIII secolo), dei Santi
Apostoli, di San Giorgio e di Sant'Onofrio.
Altri
ambienti sono la cereria (per conservare le candele), gli uffici, il laboratorio
di restauro e conservazione dei libri e manoscritti, e quello dei dipinti.

Grotta
dell'Apocalisse
La Grotta
dell'Apocalisse si trova tra i villaggi di Skala e Chora, in una pineta a breve
distanza dal porto dell'isola di Patmos. Deve il suo nome dal fatto che proprio
qui l'apostolo Giovanni udì la voce di Dio da una triplice
spaccatura formatasi nella roccia, che simboleggiava la S. Trinità ed ebbe le
visioni che lo portarono a scrivere l'ultimo libro della Bibbia, l'Apocalisse.
Questo mistico luogo, centro della cristianità assieme al monastero di S.
Giovanni, ha portato all’isola di Patmos il titolo di “Gerusalemme del
Mediterraneo”.
Così le semplici parole dell'Apostolo rivelano la sua presenza sull'isola:
“Io Giovanni, vostro fratello e compagno nell'afflizione, nel regno e nella
costanza di Cristo Gesù, ero nell'isola chiamata Patmos, a motivo della Parola
di Dio e della testimonianza di Gesù Cristo.” (Apocalisse 1:9).
La
Grotta fu il primo riparo del discepolo Giovanni, quando nel 95 d.C. l’imperatore
romano Domiziano lo esiliò a Patmos, a causa della sua predicazione cristiana.
L'Evangelista rimase sull'isola fino al 97 d.C. e durante la permanenza nella
grotta, si formarono tre fessure nella roccia dalle quali fuoriusciva la voce di
Dio. È plausibile che in questa stessa Grotta sia stato scritto anche il quarto
Vangelo di Giovanni.
Successivamente San Cristodulo, abate di Bitinia, trasformò l'isola di Patmos
in un luogo di culto, infatti nel XI secolo fondò, grazie alla concessione
dell’imperatore Alessio Komninos I, il grandioso Monastero dedicato a San
Giovanni. Il Parlamento greco nel 1983 dichiarò Patmos isola sacra e nel 1999,
l’UNESCO dichiarò il Monastero, la Grotta dell’Apocalisse e il villaggio di
Chora patrimonio dell’Umanità.
Ancora oggi in occasione delle maggiori festività cristiane, questo
luogo Sacro richiama moltissimi fedeli da ogni parte della Grecia e non solo.
Soprattutto nel periodo di Pasqua qui vengono celebrate messe solenni e riti
religiosi che hanno eguali solo a Gerusalemme e che durano anche tutta la notte.
La
Grotta dell'Apocalisse è preceduta da un piccolo e bianco monastero
detto dell'Apocalisse, costruito nel XVII secolo. Da qui, tramite una scalinata
che fiancheggia le celle dei monaci, si scende nella Grotta, preceduta da una
cappella che funge da ingresso dove si percepisce un forte odore di incenso.
L’interno
della grotta è piccolo, illuminato con semplici candele e decorato con dipinti
e antiche icone. Nella penombra di questa grotta è innegabile la
suggestione e la forte sacralità che si percepisce. Un luogo intriso di storia
e sacralità, che crea timore reverenziale nei visitatori più devoti.
La Grotta dell’Apocalisse è un punto
di riferimento non solo per Patmos, ma per il cristianesimo in tutto il mondo.
Qui è data la possibilità ad ogni persona, credente o no, di ammirare il luogo
in cui è stata scritta l’Apocalisse e di toccare le rocce in cui visse uno
degli Evangelisti.
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