Città medioevale di Rodi
Grecia
  

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1988

Video - Video 2 - Video 3

 

   

L’origine di Rodi è legata ad una leggenda, riferitaci da Pindaro. Secondo questa leggenda, quando Zeus vinse i Giganti e divenne il signore della terra, egli decise di dividersela con gli Dei dell'Olimpo. Ma durante la divisione che seguì era assente il Dio Helios e nessuno si ricordò di mettere anche egli nel sorteggio, ma così, non partecipando al sorteggio, il Dio ignaro fu lasciato senza terra alcuna. Quando il Dio Helios tornò, si lamentò con Zeus dell’ingiustizia subita e chiese al padre degli Dei di promettergli che la terra che sarebbe emersa dal mare, sarebbe diventata sua. Difatti, mentre parlava cominciò piano piano ad emergere dal fondo dell’azzurissimo mare una stupenda isola cosparsa di fiori. Era Rodi. Helios, pazzo di felicità, la bagnò con la sua luce e la fece diventare la più bella isola dell’Egeo.

Un’altra leggenda narra che l’origne di Rodi risale all’amore di Helios e della Ninfa Rodo, figlia di Poseidone, Dio del Mare. Quando il Dio Helios la vide, racconta la leggenda, rimase così affascinato dalla sua bellezza che la sposò. Ebbero una figlia e sette figli. Sempre secondo la leggenda, Kerkafos, uno dei loro figli, procreò Kamiros, lalyssos e Lindos che costruirono le tre più grandi città dell’isola. Alcuni dicono che l’isola prese il nome dalla Ninfa Rodo e altri dal fiore “rodo".

Nell’isola delle leggende e dei fiori i secoli hanno lasciato tracce di splendore e prosperità. La sua posizione geografica ha avuto un ruolo importantissimo per lo sviluppo del commercio fin dagli anni preistorici, assicurandole anche lunghi periodi di benessere durante la sua storia trimillenaria.

Rodi, chiamata la perla del Mediterraneo, è un’isola molto interessante sia per le sue bellezze naturali che per i suoi tesori archeologici. Per questo motivo l’Unesco l’ha nominata monumento mondiale di eredità culturale. Con il suo meraviglioso clima e i suoi ottimi impianti turistici si presta per le vacanze in qualsiasi periodo dell'anno. Rodi riceve visitatori di tutti i paesi del mondo. Vengono qui per ammirare i suoi siti archeologici, per visitare le sue bellezze naturali e godersi l’acqua pulita del mare che brilla sotto i raggi di un “sole splendente”.

Lunghissime spiagge sabbiose, insenature pittoresche, un ricco fondo marino, sorgenti cristalline, vallate ombrose, monti verdissimi, monumenti di tutte le epoche, paesini bianchissimi e isolani cordiali sono le principali caratteristiche di questa splendida terra.

Nella meravigliosa “Valle delle Farfalle" si può constatare quanta bellezza e armonia può godere l'uomo quando possiede il buon gusto di completare e valorizzare la grandezza naturale.

Un po’ fuori dalla città di Rodi, in una piccola valle verde ed ombrosa, si trova il parco Rodini. Qui vivono e si moltiplicano i pavoni. Mentre vicino alla costa orientale c’è la valle delle “Sette Fonti" che con le loro acque alimentano un lago artificiale.

A Rodi ci sono delle sorgenti termali, in un meraviglioso ambiente naturale nella località marittima Kallithea.

Il Monte Profitis llias è considerato l’antichissima abitazione dei cervi rodensi. Ai suoi piedi c’è la sorgente “Nimfi” che fornisce d’acqua la città di Rodi.

Illuminata abbondantemente dal sole e dotata di un terreno fertile Rodi produce alcuni dei migliori ortaggi e frutta del Mediterraneo.

In molte zone si coltiva la vite che dà il famoso e profumato vino rodense.

Rodi, quest’isola smeraldina, si trova nella parte sud-orientale del Mare Egeo, sulle vie del mare tra occidente e oriente. È la più grande e il capoluogo dell’arcipelago del Dodecaneso, un arcipelago composto da circa duecento isole. Molte di queste, come anche Rodi, sono affiorate dal mare in seguito a scosse sismiche avvenute in tempi remoti. I fossili di conchiglie marine che si trovano nei versanti dei monti confermano questo avvenimento e sostengono il mito della sua origine. Rodi dista dal Pireo 270 miglia m. ed è circondata dalle isole Symi, Tilos, Chalki e Alimià e dagli isolotti Tragousa, Makrì, Stronghilì, Drosonisi, Prasonisi, Galouni e Tetrapoli.

Ha un'estensione di 1.400 km. quadrati, è lunga 78 km. e larga 38 km. nel suo punto più largo. Le sue coste, lunghe 220 km., sono formate principalmente da pianeggianti spiagge sabbiose interrotte da rocce scoscese. Nel punto più meridionale dell’isola si delinea la penisola di Prasonisi, unita all’isola da una striscia di sabbia.

Il suo territorio è principalmente montuoso con delle piccole pianure, gole verdissime, valli e altopiani. Il monte più alto è l'Attaviros (1.215 m.), altri monti più piccoli sono l’Akromitis (825 m.), e il Profitis llias (798 m.).

Rodi è soleggiata in media 300 giorni l’anno. Il sole continuo e il clima mite rendono l’isola ideale per la coltura della vite.

L’eccezionale clima, il terreno fertile e la sua posizione geografica sono stati i fattori principali per cui Rodi, dall’antichità fino ad oggi, è densamente abitata. La popolazione odierna è di circa 90.000 abitanti che possono ospitare più di 1.250.000 visitatori all'anno. Visitatori che arrivano per godersi le bellezze naturali dell’isola e conoscere la sua storia secolare.

Storia

Era preistorica - Poiché sull’età del bronzo (3000-1100 a.C.) non esistono fonti storiche scritte, occorre rivolgersi all’archeologia per conoscere la storia di Rodi di quel periodo. Intorno al 1800 a.C. i Minoi, una potenza marinara di Creta, riuscirono a porre sotto il loro dominio e quindi sotto la loro influenza culturale quasi l’intera regione del Mar Egeo, con pressoché tutte le isole, fra le quali Rodi. Essi crearono una colonia a Trianda e costruirono un santuario in cima all’Acropoli di lalisos. Dopo aver raggiunto nel secolo XV a.C. il culmine del potere i Minoi cominciarono ad indebolirsi ed ecco che si fece avanti una nuova potenza, quella dei Micenei, che abitavano sulla terraferma greca e che parlavano uno dei primi dialetti greci.

I Micenei, impadronendosi di tutte le terre lasciate dai Cretesi, occuparono anche la parte settentrionale dell’isola di Rodi, dove grandi necropoli a lalisos e a Kamiros testimoniano tuttora del dominio miceneo. Alcuni studiosi hanno trovato nei testi degli Ittiti vari riferimenti ai Micenei (o Achei) di Rodi. Questo significa non solo che i Micenei erano realmente potenti, ma anche che la posizione geografica di Rodi, la sua vicinanza cioè all’Asia Minore aveva fatto dell’isola una base importante per il commercio con l’Oriente.

Intorno al 1200 a.C. le grandi potenze dell’Oriente, fra le quali l’Egitto, furono minacciate da tribù nomadi, note a noi dai testi egiziani come «i popoli del mare». Con i loro continui spostamenti in massa ed i loro saccheggi distrussero il commercio dei Micenei, causando la graduale decadenza dell’impero miceneo.

Seguì un periodo di caos e di disordine per la Grecia, finché il paese non fu invaso da nord-ovest da un altro popolo, i Dori, che crearono molte colonie sulla terraferma, nonché in parecchie isole. Intorno al X secolo a.C. anche Rodi e Creta furono investite da questa ondata di colonizzatori dori. Con l’avvento dei Dori nuove istituzioni e nuove leggi furono introdotte, ma nel campo della lingua, della religione e delle tradizioni non vi furono grandi cambiamenti, perchè i Dori, come i Micenei, erano un popolo greco.

Età greca - A Rodi i Dori si insiedarono in particolare in tre città, a lalisos, Kamiros e Lindos, che ben presto cominciarono a svilupparsi. Insieme a Coo, Cnido ed Alicarnasso, dove nacque il padre della storia Erodote, formavano la exapoli dorica, le sei città doriche che avrebbero avuto un ruolo importante nello sviluppo della cultura, dell’arte e della letteratura classica. La Grecia infatti si ispirava continuamente alle civiltà orientali, con le quali aveva stretti contatti attraverso le città greche vicine all’Oriente, come quelle di Rodi. Stando ad alcune epigrafi molto antiche Rodi fu fra i primi ad adottare l’alfabeto fenicio, che attraverso Cipro si diffuse nell’intero mondo greco.

L'VIII secolo a.C., l’epoca cioè che recentemente fu denominata il rinascimento greco, fu per Rodi un periodo di particolare prosperità. Attraverso intensi scambi commerciali non solo con l’Attica ma anche con Creta e l’Oriente, l’isola era diventata il centro di una importante corrente commerciale. Come tante altre città greche Rodi svolse attività colonizzatrici nel periodo fra l’VIII ed il VI secolo a.C. Sia per motivi di sovrappopolazione, sia per l’antagonismo fra gli appartenenti all’aristocrazia locale, molti greci decisero di lasciare la propria città per insediarsi in una delle colonie. Benché queste colonie fossero autonome riservavano alle loro metropoli certi privilegi soprattutto di natura commerciale. Poiché Rodi si interessava in particolare all’Occidente colonizzò insieme a Creta, Gela in Sicilia, nonché Faselida sulla costa di Pamfilia nell’Asia Minore.

In quell’epoca l’arte raggiunse a Rodi livelli molto alti. L’anfora rodiese della fine del VIII secolo a.C. è assai elegante, ma reca ancora l’impronta dell’arte corinzia e attica. In alcune tombe furono ritrovate pure anfore provenienti da Creta e Cipro. L’anfora veniva utilizzata in genere come contenitore per le bevande, soprattutto per il vino e perciò vi è probabilmente un nesso fra la produzione di anfore ed il «simposio», la festa per eccellenza degli aristocratici. Questi solevano infatti gareggiare fra di loro quanto ad ospitalità e ricchezza. A chi allestiva la festa più ricca e sontuosa spettava la massima stima e rispetto. Nel VI secolo a.C. Rodi sviluppò un proprio stile, molto caratteristico, detto Fichellura: le anfore sono dipinte di animali, fra i quali molti uccelli, o rappresentano scene di caccia, dove animali selvaggi come le pantere o i leoni rincorrono le loro vittime. Questo tipo di figure, caratteristiche dell’intera arte greca, sono uno degli elementi ripresi dall’arte orientale.

Alla fine del VI secolo a.C. Rodi creò una propria moneta e raggiunse la massima gloria sotto il regime del tiranno Kleovoulou, uno dei sette savi dell’antichità.

La tirannia era un fenomeno assai diffuso nell’intera Grecia del VII e VI secolo a.C. Solo poche città infatti, fra le quali Sparta, non erano governate da un tiranno. Oggi i tiranni si sarebbero chiamati dittatori in quanto si impossessavano del potere con mezzi illegali appoggiandosi il più delle volte all’esercito. Molto probabilmente la tirannia riuscì a diffondersi grazie all’insorgere della classe media, alla distribuzione su più vasta scala della ricchezza e di consequenza all’accresciuta tensione e concorrenza fra le classi sociali. La classe media, non vedendo di buon occhio il monopolio dei privilegi da parte dell’aristocrazia cominciò a ribellarsi con l’aiuto dei tiranni, che grazie alla loro popolarità fra vasti strati della popolazione e al sostegno soprattutto degli agricoltori riuscirono ad aprire la strada alla democrazia. Non a caso alla fine del VI secolo a.C., dopo cioè il lungo periodo della tirannia dei Pisistrati furono gettate ad Atene le basi della democrazia.

Benché di Kleovoulou stesso si sappia poco, è noto che la sua tirannia fu per Rodi un periodo di prosperità e di fioritura dell’arte con le belle anfore dello stile Fichellura ed il nuovo tempio di Atena Lindia. La tradizione vuole che fu Kleovoulou a costruirlo, il chè potrebbe corrispondere alla verità, perchè la politica dei tiranni era di far costruire edifici enormi per impressionare il popolo e per assorbire la disoccupazione.

All’inizio del V secolo a.C. la Grecia fu minacciata da una altra grande potenza, la Persia. Dopo numerosi scontri, durante i quali i Greci erano riusciti a respingere l’invasore, ebbe luogo nel 480 a.C. a Salamina la battaglia decisiva. Durante questa battaglia navale i Persiani facevano affidamento soprattutto alla flotta dei loro vassalli, dei Fenici e dei Rodi, una delle prime vittime dell’espansionismo persiano. Grazie alla loro superiorità in campo strategico i Greci riuscirono però ad ottenere la vittoria. L’anno seguente, nel 479 a.C. vinsero pure la battaglia terrestre a Platea, costringendo i Persiani a ritirare le loro forze.

Adesso però cominciarono a manifestarsi tendenze imperialistiche anche in Grecia e soprattutto ad Atene, che si era assunta la guida della flotta greca unita. E’ per lo meno un paradosso che proprio nel periodo della massima uguaglianza e democrazia al suo interno, nel periodo cioè di Pericle a metà del V secolo a.C., Atene era una potenza imperialista temuta e una vera e propria tiranna per i suoi alleati, o detto meglio, sudditi.

Una delle isole alleate ad Atene era Rodi. A causa del suo imperialismo Atene si scontrò con Sparta, dando luogo ad una guerra lunga e disastrosa, la famosa guerra peloponnesiaca (431-404 a.C.). Verso la fine della guerra, nel 411 a.C., quando le forze di Atene si erano notevolmente indebolite, Rodi si sottrasse al giogo degli Ateniesi e si alleò con la Sparta dorica. Questa «defezione» è una delle tante testimonianze di nemicità verso l’egemonia ateniese.

Nel 408 a.C. le tre città di Rodi, Kamiros, lalisos e Lindos crearono nella parte settentrionale dell’isola un insediamento che ben presto ne divenne la città più importante. Questa nuova città aveva una propria amministrazione: L’ecclesia, il parlamento, ecc., dove uno dei posti di rilievo era occupato dal sacerdote del dio del sole. Questo dio mantenne la sua importanza durante l’intera antichità e secondo un mito Rodi era la sua proprietà personale. Più tardi la città riuscì a sopravvivere a molte invasioni da parte dei cristiani e musulmani ed è oggi la capitale dell’isola. Con i suoi 5 porti e le sue stradine pittoresche ci fa pensare tuttora alla città antica.

Prima di lasciare il V secolo a.C. bisogna dare uno sguardo all’arte di quel periodo, rappresentata soprattutto dalla pietra tombale di Crito e Timarista che è esposta ora nel museo archeologico di Rodi. Questa stele si trovava sulla tomba di Timarista raffigurata a destra. Si tratta di una scena standard di afflizione e di lutto al momento della morte. Nell’epoca classica le pietre tombali non rappresentavano le immagini dei morti stessi, ma di certi tipi di persone: la madre, la persona di mezz’età, l'adolescente, la vergine portata via dalla morte prima di giungere al matrimonio e così via. Non vi sono le immagini personali di Crito e Timarista. Le figure rappresentate sono donne greche qualsiasi. Questo tipo di scena è molto comune nell’Attica. Le due donne si vedono da lati diversi. Timarista si vede di fronte, tranne la sua testa, mentre Crito si vede di profilo. Si presume che Crito sia la figlia della morta, il che starebbe ad indicare che le relazioni madre-figlia erano particolarmente intense. La persona morta è sempre più alta (e così si sa che la morta è Timarista). I morti comunque non danno mai nessun segno di visibile commozione, piuttosto si ha l’impressione che siano lontani da questo mondo e dai suoi sentimenti. Il parente raffigurato insieme al morto esprime un dolore sempre contenuto. La passione e le sue espressioni appartengono al periodo seguente, a quello ellenistico. Proprio questi sentimenti trattenuti commuovono profondamente lo spettatore d’oggi, perchè esprimono una tranquilla accettazione della sorte di cui siamo tutti preda. Da queste pietre tombali è la dignità umana che ci parla non la passione personale.

Il IV secolo a.C. era un periodo di anarchia e di relativa decadenza politica per la Grecia continentale, ma non per Rodi, che continuava a prosperare. Ciò non toglie che l’instabilità politica di quei tempi ebbe i suoi, riflessi sulla storia dell’isola.

La guerra peloponnesiaca si concluse con la sconfitta di Atene e la vittoria di Sparta. Nuove potenze non tardarono a farsi avanti, come Tebe, Atene, che con rinnovato vigore cercava di recuperare il terreno perduto, la Persia, che ancora più ricca e potente aspettava solo l’occasione per immischiarsi di nuovo negli affari dei Greci ed infine la Caria, una satrapia indipendente dell’impero persiano, anche essa assai potente, che mirava a Rodi. La storia del IV secolo a.C. è così caratterizzata da questa lunga guerra civile fra le città greche fino al momento in cui, indebolite divennero la vittima del conquistatore straniero, di Filippo, il padre di Alessandro Magno.

In questo periodo Rodi diventò nel 337 a.C. dapprima alleata di Atene, ruppe però ben presto questo patto per aderire a quello con Tebe, insieme alla quale sconfisse Sparta. Benché all’inizio Rodi giocasse bene le sue carte politiche, non ebbe molta fortuna nella seconda metà del secolo. Essa fu sottomessa da Mausolo, il re di Caria, che creò nell’isola un governo oligarchico come salvaguardia ai suoi interessi. Dopo la sua morte Artemisia continuò la politica tracciata dal suo predecessore.

Questo avvicinamento di Rodi a Caria potrebbe essere interpretato però, secondo alcuni storici, anche in chiave diversa: Rodi, non essendo soddisfatta della politica prepotente degli Ateniesi avrebbe voluto rompere i suoi rapporti dI alleanza con Atene, che manifestava una forte tendenza all'imperialimo, esattamente come nel V secolo a.C. La storia quindi si ripeteva, ma con un esito diverso. Questa volta le città-stato erano molto più deboli. Atene non riuscì a consolidare il suo potere e nel 354 a.C. fu costretta a riconoscere l’indipendenza di Rodi, Chio e Coo.

Alla crisi politica in Grecia si aggiunse una crisi economica e sociale. Vi fu mancanza di cibo e la disoccupazione costrinse molti giovani ad andare in cerca di lavoro al di fuori della Grecia, facendo per esempio i mercenari nell’esercito persiano. Benché questa crisi non colpisse Rodi direttamente, l’isola, legata come era con la Grecia, ne subì alcune consequenze. Le città-stato della Grecia, duramente provate dalla crisi vennero sottomesse da Filippo il Macedone, malgrado i vari tentativi di resistenza. L’Ateniese Demostene si oppose violentemente a Filippo con i suoi famosi discorsi nell’ecclesia, l’assemblea popolare di Atene, dicendo che la libertà e l’indipendenza delle città greche sarebbero andate perdute. E ebbe ragione. La conquista di Filippo fu per le città l’inizio di un periodo di decadenza. Esse non producevano più come prima quell’arte sublime, quella letteratura e filosofia eccezionali. Fu un periodo di cambiamenti, ritenuti da molti necessari ed è probabilmente per questo che infine i Greci preferirono essere dominati da Filippo piuttosto che dai Persiani.

Dopo la morte di Filippo ascese al trono suo figlio, Alessandro. Nei suoi tentativi di conquistare la Persia fu aiutato dai Rodi, che in tal modo diedero prova di una perspicacia politica superiore a quella di molte altre città greche, che invece continuavano ad opporsi. I Rodi trassero numerósi vantaggi dalla loro alleanza con i Macedoni. La fondazione di Alessandria in Egitto diventò per loro un importante punto di riferimento negli scambi commerciali con l’Egitto. Con la conquista dell’impero persiano da parte di Alessandro Magno si aprì ai prodotti greci un immenso mercato, sfruttato abilmente dai Rodi. Era nel IV secolo a.C. che furono eretti i Propilei e un nuovo tempio di Atena Lindia.

Dopo la morte di Alessandro il suo impero fu diviso in vari regni, dando luogo ad intrighi politici e nuove lotte intestine fra i suoi successori. I regni più importanti erano la Siria, con tutta la parte orientale dell’impero di Alessandro o una parte dell’Asia Minore, l’Egitto, e la Madeconia, di cui faceva parte la Grecia. Questi regni sono chiamati ellenistici, un termine utilizzato per tutto il periodo che si apre con la morte di Alessandro e che si chiude con la conquista del mondo ellenico da parte di Roma (330-30 a.C.).

Ben presto anche Rodi fu coinvolta nelle guerre fra le varie dinastie. Dimitri, il sovrano della Macedonia, spinto dalla sua ambizione e avidità, dichiarò guerra al re dell'Egitto, Ptolemeo. Dimitri voleva cho Rodi diventasse sua alleata o quando nel 305 a.C. i Rodi si rifiutarono, strinse la loro città d'assedio. Il Poliorchite - l'assediante - nominato così grazie ai suoi precedenti successi - non riuscì a conquistare la città. Nell’antichità infatti era molto difficile conquistare una città fortificata, a meno che questa non si arrendesse. Solo Alessandro vi era riuscito prendendo Tiro. L’assedio di Rodi fu per la sua storia un avvenimento di prim’ordine. I Rodi, con il loro fiuto per il commercio, decisero di vendere gli attrezzi lasciati sul campo dal Poliorchite e con il denaro ottenuto fecero costruire una statua gigantesca di Elio, il dio del sole, nota con il nome di Colosso di Rodi che veniva collocata all’entrata del porto.

I secoli seguenti furono per Rodi un’epoca di prosperità e splendore. Le conquiste asiatiche di Alessandro, la fondazione di nuove città e l’accumularsi della ricchezza nelle mani delle classi medie diedero un grosso stimolo al commercio, spostandone il centro dalla Grecia all’Egitto, a Rodi e alle coste dell’Asia Minore. Così ad Alessandria in Egitto si creò un intenso commercio di spezie, mentre Rodi assunse una importanza ancora maggiore come stazione di transito e esportatrice di vino. Benché in quell’epoca non ci fossero delle vere e proprie banche il commercio veniva facilitato non solo dalla moneta internazionale introdotta da Alessandro Magno, ma anche dall’uso di lettere creditizie. Contrariamente però agli altri stati ellenistici, assai cosmopolitici, i Rodi respingevano gli stranieri. Infatti mentre altrove i commercianti stranieri erano liberi di stabilirsi in una qualsiasi città, dove creavano le loro associazioni e dove importavano i loro prodotti, solo a Rodi ed a Chisico gli stranieri non venivano ammessi, né come abitanti, né come commercianti.

Nel 227 a.C. Rodi fu colpita da un tremendo terremoto. Poiché vi era nell’antichità per catastrofi del genere una specie di mutua assistenza, molti sovrani e città ellenistiche inviarono denaro per la ricostruzione della città di Rodi, che risorse dalle rovine più grande di prima. I Rodi però non riuscirono a restaurare il Colosso, andato interamente distrutto, presumibilmente per mancanza di denaro.

Nel periodo ellenistico Rodi aveva una ottima flotta mercantile, alla quale l’isola offriva porti magnifici. A Lindos vi erano persino alcuni porti nascosti, dove la sua flotta poteva rifugiarsi nel caso di ostilità.

Nel II secolo a.C. Roma cominciò ad intromettersi nelle vicende del mediterraneo orientale. Chiamata inizialmente in aiuto da alcuni sovrani, che le chiedevano assistenza nelle loro guerre dinastiche, ben presto da alleata Roma diventò loro avversaria e verso la fine de secolo riuscì a sottometterli. Nel 166 a.C. con la creazione di un porto franco a Deio, Roma inferse un grave colpo alle attività commerciali di Rodi. Fu per l’isola l’inizio di un periodo di decadenza e benché la sua economia non fallisse completamente l’isola cominciò a perdere la sua importanza commerciale.

Via via che aumentava l’intromissione di Roma negli affari del mediterraneo orientale, si estendevano pure le attività dei commercianti romani, che malvisti all'inizio, riuscirono ad assimilarsi alle comunità greche non raramente attraverso il matrimonio con donne greche. Disponendo più tardi della speciale protezione offerta dalle leggi romane, ottennero privilegi molto maggiori rispetto ai loro colleghi greci.

Più che per le loro attività commerciali i Romani erano odiati per la loro prepotenza nei confronti delle città greche, che consideravano delle vere e proprie miniere d’oro, dove dal II secolo a.C. in poi rubarono senza alcun ritegno. Così Rodi fu saccheggiata dal triumviro Cassio, uno degli assassini di Giulio Cesare, che aveva bisogno di fondi per il suo esercito implicato nella lotta contro Ottaviano e Marco Antonio. Alcuni storici ritengono che la politica romana non sia sempre stata una politica di sfruttamento e che la decadenza di Roma sia iniziata dal momento in cui le classi medie cominciarono a sfruttare la ricchezza dell’Oriente.

Quanto all’arte il periodo ellenistico fu per Rodi un periodo di opere grandiose. A Lindos fu costruito il magnifico portico dorico, destinato a dare ulteriore splendore al tempio e che serviva inoltre come galleria d’arte. Là dove si distinsero però i Rodi di più era nell’arte scultoria.

Il Laocone che si trova nel museo del Vaticano è una delle opere d’arte più famose dell’antichità. Rappresenta la lotta, con esito mortale di Laocone ed i suoi figli contro due serpenti. Laocone era secondo il mito un sacerdote di Apollo a Troia. Quando i Greci avevano inviato il loro cavallo di legno ai Troiani, Laocone capì che questo regalo portava in sè la distruzione. Egli avvertì i suoi concittadini, ma invano. Per punire Laocone, che aveva osato intromettersi nei loro disegni, gli dei decisero d’inviare dal mare due serpenti orribili per uccidere il sacerdote ed i suoi figli. I Troiani, pensando che gli dei avessero punito Laocone per sacrilegio accolsero il cavallo di legno nella città ed insieme a lui la loro distruzione. 

Questo mito che esprime l’impotenza dell’uomo di fronte agli dei spesso inesorabili, fu la fonte da cui trasse ispirazione l’artista dell’epoca ellenistica, che nel combattimento di Laocone con i serpenti voleva esprimere la lotta dell’uomo contro le forze demoniche alle quali infine l’uomo soccombe. Uno dei figli di Laocone guarda suo padre invocando aiuto, ma il padre è troppo impegnato nella propria lotta per poter offrire assistenza. L’espressione di angoscia e di dolore umano fa di questa scultura una delle opere più rappresentative dell’ epoca ellenistica, durante la quale si prestava attenzione ai sentimenti e alle passioni umane. Questo periodo si differenzia sostanzialmente da quello classico, quando l’espressione dei sentimenti attraverso l’arte era molto contenuta. Il Laocone, che fu creato circa a metà del I secolo a.C., ispirò pure gli artisti del Rinascimento, come Michelangelo, ed è considerato uno degli anelli di collegamento fra l’epoca antica e quella più recente.

La statua della Niche di Samotrachi che si trova nel museo del Louvre a Parigi, è una offerta votiva dei Rodi al tempio dei Kaviri a Samotrachi dopo la loro vittoria nel 190 a.C. su Antioco. L’opera creata dallo scultore Pitocrito si differenzia dal punto di vista concettuale dal Laocone. Mentre quest'ultimo suscita ansiosità e compassione, la Niche esprime eleganza e grazia. Collocata sulla prora di una nave la Niche sembra sul punto di prendere il volo. Il vento fa aderire la sua veste al suo corpo, dando l’impressione che questa sia trasparente. Già nell’epoca arcaica gli scultori erano riusciti, lavorando il marmo in modo particolare, a creare questa illusione di trasparenza del materiale. Gradualmente questa tecnica fu portata alla perfezione e per valutare la prestazione dell’arte greca basta paragonare la Niche alle sculture compatte degli Egiziani. Pitocrito riuscì inoltre a raffigurare la Niche precisamente nel momento in cui era pronta a prender il volo. Uno scrittore moderno la definisce «la signora senza testa che corre per prendere il bus».

L’Afrodite bagnante del museo di Rodi creata intorno al 100 a.C. è una variante del noto tipo creato dallo scultore Doidalsa di Bitunia, una città orientale. Questa Afrodite (la dea era uno dei temi preferiti dell’arte scultoria dell'epoca ellenistica) ha appena finito il suo bagno ed asciuga i suoi cappelli. Benché non sia della stessa grandiosità della Niche di Samotrachi (è alta solo 49 cm.) è tuttavia un’opera d’arte squisita. Contrariamente alle altre Afroditi dell’epoca non incute timore, nè suscita alcuna emozione. Malgrado il suo valore estetico non ha un senso più profondo e perciò si sostiene che l’arte greca di quell’epoca fosse giunta ad un punto morto.

La testa del dio del sole del secondo secolo a.C., che si trova nel museo di Rodi, è pure una opera d’arte rappresentativa dell’epoca. La statua, che secondo alcuni studiosi era una imitazione del colosso distrutto dal terremoto nel 227 a.C., doveva essere gigantesca poiché solo la testa è alta 55 cm. I tratti del volto del dio somigliano a quelli di Alessandro Magno, ricordandoci che in questa epoca l’immagine dell’eroe spesso si fonde con quella del dio. Tutto intorno alla testa nei cappelli vi sono dei buchi, attraverso i quali ai tempi antichi erano passati aghi d’oro, che dovevano rappresentare i raggi di luce. Le sue labbra semiaperte sono espressive, ma non vi è l’impronta della passione umana come nel Laocone. In questa opera d’arte si manifesta così la tendenza di ritorno agli ideali classici e alle figure tranquille. La testa del dio del Sole infatti non incute timore. E’ una bella figura umana che non suscita sentimenti religiosi.

Mentre oggi colleghiamo le opere d’arte ai musei, le gallerie e le collezioni private, nell’antichità le sculture erano per la maggior parte offerte votive ai templi. Esse rappresentavano il dedicante o il dio e spesso venivano esposte nei portici, che facevano parte dei templi e che in tal modo univano l’elemento artistico a quello religioso. Anche nell’agorà venivano esposte delle sculture soprattutto per fare onore ai cittadini che si erano particolarmente distinti. Quest’abitudine esiste d’altronde tuttora perchè in molte piazze vediamo le statue di politici, generali, re, poeti, ecc. E infine le sculture venivano utilizzate come monumenti tombali.

Nell’epoca ellenistica l’artista non era considerato sempre allo stesso modo. Molti artisti hanno apportato la loro firma sulla base della loro opera esprimendo così di essere orgogliosi della loro creazione. Altri invece sono rimasti nell’anonimato forse perchè non consideravano il loro lavoro come qualche cosa di originale e di creativo, ma piuttosto come una prestazione tecnica. In tal caso l’artista era come il falegname o il costruttore, che intraprendeva un lavoro dietro pagamento. La sua posizione sociale era determinata così dalle sue opere e dall’ambiente di cui faceva parte.

PERIODO ROMANO - Dalla fine del III secolo a.C. diventa sempre più avvertito l’intervento di Roma nelle questioni greche e nei Mediterraneo orientale in generale. I Rodensi, cercando di approffittare della nuova situazione, tennero un atteggiamene amichevole verso i Romani. Ma i Romani, volendo limitare la potenza di Rodi, dichiararono Deio porto franco. Questo fatto fu un colpo mortale per il commercio di Rodi. Stremata economicamente, essa fu obbligata a stringere un patto che la costringeva ad avere gli stessi amici e gli stessi nemici di Roma. Ciò ebbe conseguenze disastrose per Rodi. Il colpo finale le fu dato da Cassio, che, dopo l’assassinio di Giulio Cesare, i Rodensi si rifiutarono di aiutare contro i suoi nemici. Furioso conquistò Rodi nel 42 a.C. e la distrusse con una crudeltà inaudita, trasportando più di 3.000 sue opere d'arte a Roma.

Benché nel I secolo a.C., quando Augusto era imperatore di Roma, Rodi fosse una provincia romana, godeva di un buon trattamento ed era luogo d’esilio per i politici. La sua economia era gravamente intaccata ma l’isola aveva saputo mantenere la sua fama come centro culturale. Cicero e Giulio Cesare l’avevano visitata per studiare la retorica ed il successore di Augusto, Tiberio, vi era andato in ritiro prima di diventare imperatore. Sull’Acropoli di Lindos i Romani avevano costruito un tempio, che secondo l’archeologo danese E. Dyggve era dedicato a Diocleziano (III secolo d.C.).

Alla fine dell’antichità, nel III secolo d.C. Rodi fu colpita da terremoti disastrosi e da epidemie di peste. Nel IV secolo d.C. divenne una metropoli cristiana abbastanza importante e con l’avvento del cristianesimo si conclude l’antichità.  

PERIODO BIZANTINO E MEDIOEVALE - Rodi, come centro commerciale tra l’Oriente e l’Occidente, accolse presto le nuove idee del cristianesimo. Secondo la tradizione l’Apostolo Paolo insegnò nel 58 la nuova religione a Lindos e convertì molti al cristianesimo. Già dal I secolo d.C. Rodi ebbe un Metropolita, Prochoros, e più tardi Fotinos e Eufranoras che prese parte al I Concilio Ecumenico a Nicea.

Dopo la divisione dell’Impero Romano, Rodi divenne capoluogo della provincia bizantina delle isole. Seguì le sorti e le avventure dell’Impero Bizantino, subendo molte volte conquiste e distruzioni. Così nel 620 d.C. la conquistarono i Persiani di Kosroi. Alcuni anni dopo, nel 651, arrivarono i Saraceni e nell’807 la saccheggiò la flotta del Califfo Charoun-El-Rasid. L’isola subì nuovi saccheggi da parte dei pirati negli anni dell’imperatore bizantino Alexios I.

A partire dall’XI secolo Rodi iniziò ad avere di nuovo relazioni con l’Occidente. Nel 1082, con l’autorizzazione dell’Imperatore Bizantino, i Veneziani installarono una stazione commerciale nel suo porto.

Nel 1191 Riccardo Cuor di Leone d'Inghilterra e Filippo di Francia arrivarono con la flotta a Rodi per arruolare mercenari per la loro crociata. Quando, nel 1204, i Crociati conquistarono Costantinopoli, Leon Gavalas, proprietario terriero di Costantinopoli, si autonominò, con la condiscenza dei veneziani, "Signore di Rodi".

Dal 1261, anno in cui gli imperatori bizantini riconquistano Costantinopoli, Rodi ufficialmente venne a far parte dello stato bizantino ma in pratica era nelle mani degli ammiragli genovesi, la cui flotta si trovava nel suo porto. Nel 1306 Vignolo Vignoli, uno degli ammiragli, la vendette con Kos e Leros ai Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, i quali completarono il loro insediamento nell’isola nel 1309, dopo una forte resistenza da parte dei Rodensi. I Cavalieri rimasero nell’isola 213 anni, finché nel 1522 l’ultimo Gran Maestro fu costretto a cedere la città al sultano turco Souleiman.

La dominazione turca fu per Rodi il periodo più oscuro della sua storia. L’isola era governata dal Kapoudan Pascià (Grande Ammiraglio), mentre la città era stata nominata capoluogo del Vilayet dell'Egeo e sede del Governatore Generale. Gli abitanti greci furono costretti ad abbandonare la città fortificata e a stabilirsi fuori dalle mura, ove formarono dei nuovi rioni che chiamavano “marasia". Nonostante ciò, mai l’elemento turco dominò nella bella isola e la popolazione turca era sensibilmente in numero minore di quella greca. I Greci presero nelle loro mani il commercio, arrivando con le loro navi mercantili fino all’altra estremità dell'Europa. Il Commercio di alimentari, vestiario, argenteria, casalinghi e profumi permisero a molte cittadine dell’isola, soprattutto Lindos, una prosperità rara in quegli anni oscuri di occupazione straniera. Lindos si sviluppò anche come centro di artigianato.

CAVALIERI DI RODI - Gli anni di occupazione dell’isola da parte dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme si possono considerare anni di splendore. L’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni fu fondato come fratellanza filantropica a Gerusalemme da parte di commercianti di Amalfi (Italia), i quali risiedevano nei Luoghi Santi. 

Con il passar del tempo e in particolare dopo il 1099 d.C., quando i Crociati conquistarono Gerusalemme, l’Ordine si rafforzò fortemente e assunse il carattere di corpo militare, sotto il potere e il controllo della chiesa. Dopo la presa di Gerusalemme da parte di Saladin (1187), i Cavalieri trasferirono la loro sede ad Acra nella Palestina del Nord, in seguito a Ptolemaida ed infine a Cipro, ove il re Enrico II gli cedette Limassol. A Cipro rimasero solo 18 anni per stabilirsi infine a Rodi nel 1309, dopo un’eroica resistenza da parte degli abitanti. Gli anni di residenza a Rodi costituirono il periodo più splendente della storia cavalleresca.

Subito dopo la conquista dell’isola, i “Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme”, chiamati ormai i “Cavalieri di Rodi", si impossessarono delle isole circostanti e per un lungo periodo anche di Smirne. Rimasero a Rodi ben 213 anni, cioè fino al 1522, quando il 29 dicembre l’ultimo Gran Maestro, Villiers de l’Isle Adam, fu costretto a cedere la città al Sultano Souleiman il Magnifico. La cessione avvenne dopo un assedio di 6 mesi ed un’eroica resistenza da parte dei Cavalieri, aiutati dagli abitanti greci dell'isola. Dopo la caduta di Rodi, i Cavalieri, con l’aiuto di Carlo V (1530) e del Papa, si stabilirono a Malta e furono chiamati i Cavalieri di Malta. I Cavalieri hanno lasciato profondamente le loro tracce a Rodi e le hanno dato quel colore particolare, che ancor oggi notiamo, con le inespugnabili mura, le porte, le chiese, gli ospedali, gli ostelli e i grandiosi palazzi.

L’organizzazione cavalleresca - L’Ordine era composto di membri di tre categorie: a) I “Cavalieri” che si occupavano di questioni militari. Il loro numero non superava i 600 e dovevano appartenere a famiglie nobili; b) I “Cappellani", ecclesiastici che si occupavano delle funzioni religiose dell’ordine; c) I “Sergenti” che aiutavano i Cavalieri in guerra e nell’amministrazione, erano inoltre i “fratelli infermieri” per le cure e l’assistenza dei malati. I Cappellani e i Sergenti non era necessario che fossero di famiglia nobile, ma dovevano essere figli di persone libere e non di schiavi.

Questi membri, provenienti da tutti i paesi cattolci d’Europa, erano divisi in sette gruppi etnico-linguistici, chiamati “Lingue”. Esse erano: la Lingua Provenzale, di Alvernia, Francese, Italiana, Inglese, Tedesca, e Spagnola che più tardi si divise in due Aragonese e Castigliana. Ogni Lingua abitava nel suo “Ostello” assieme al suo capo e i suoi consiglieri. L’amministratore capo era il Gran Maestro, eletto dai membri dell’ordine con carica a vita. Un Consiglio, i cui membri erano i capi di ogni Lingua, con funzioni legislative e disciplinari lo aiutava a governare.

La lingua ufficiale dell'Ordine per tutti i documenti era la lingua latina mentre per le comunicazioni orali era quella francese.

La “Lingua” francese, che di solito era sostenuta dalle Lingue Provenzale e di Alvernia, aveva la maggioranza. Così, su un totale di 19 Gran Maestri eletti, che governarono l’Ordine per 213 anni di permanenza a Rodi, 14 furono francesi. Questo si vede anche dai nomi riportati sugli stemmi.

PERIODO OTTOMANO - L’impero ottomano giunse al culmine della propria gloria sotto Solimano il Magnifico, che nel 1522 riuscì a conquistare Rodi. L’assedio fu estremamente difficile ma alla fine Rodi dovette arrendersi. I cavalieri si rifugiarono a Malta, mentre molti Rodi abbandonarono l’isola per insediarsi a Creta.

L’isola rimase occupata dai Turchi fino al 1912. Non fu un periodo del tutto negativo per Rodi, perchè i suoi abitanti avevano determinati privilegi, come la libertà di religione e nemmeno erano colpiti dal cosidetto pedomasema, una misura molto temuta dagli altri Greci, che dovevano accettare che i Turchi rapissero i loro figli in tenera età per formarne un tipo di servizio segreto. Il governatore di Rodi era sempre un funzionario della chiesa ortodossa, che così è riuscita a sopravvivere all’occupazione turca. Nonostante le distruzioni provocate dai vari terremoti ed incendi i Greci di Rodi vivevano abbastanza bene e avevano un tenore di vita superiore a quello degli altri Greci.

PERIODO ITALIANO - Nel 1912 gli Italiani sconfissero i Turchi e conquistarono Rodi, che rimase sotto il loro dominio fino al 1943. I segni lasciati dall’occupazione italiana a Rodi ed a Coo sono visibili soprattutto nell’architettura. Se da una parte gli Italiani cercavano di italianizzare gli abitanti e di imporre l’italiano come lingua principale, d’altra parte facevano molte cose utili a Rodi. Oltre alla realizzazione di importanti lavori pubblici gli Italiani effettuarono degli scavi e restaurarono i monumenti antichi di Lindos. Benché non tutti gli archeologi siano d’accordo sul successo del restauro del portico, sta di fatto che grazie a questo il visitatore è in grado di formarsi una idea più giusta di come era una volta.

Nella seconda guerra mondiale Rodi fu occupata dai Tedeschi e nel 1947 fu unita alla Grecia.

Agosto 2014 - Agosto 2015

Pag. 2