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L’origine
di Rodi è legata ad una
leggenda, riferitaci da Pindaro.
Secondo questa leggenda, quando
Zeus vinse i Giganti e divenne
il signore della terra, egli
decise di dividersela con gli
Dei dell'Olimpo. Ma durante la
divisione che seguì era assente
il Dio Helios e nessuno si
ricordò di mettere anche egli
nel sorteggio, ma così, non
partecipando al sorteggio, il
Dio ignaro fu lasciato senza
terra alcuna. Quando il Dio
Helios tornò, si lamentò con
Zeus dell’ingiustizia subita e
chiese al padre degli Dei di
promettergli che la terra che
sarebbe emersa dal mare, sarebbe
diventata sua. Difatti, mentre
parlava cominciò piano piano ad
emergere dal fondo
dell’azzurissimo mare una
stupenda isola cosparsa di
fiori. Era Rodi. Helios, pazzo
di felicità, la bagnò con la
sua luce e la fece diventare la
più bella isola dell’Egeo.
Un’altra
leggenda narra che l’origne di
Rodi risale all’amore di
Helios e della Ninfa Rodo,
figlia di Poseidone, Dio del
Mare. Quando il Dio Helios la
vide, racconta la leggenda,
rimase così affascinato dalla
sua bellezza che la sposò.
Ebbero una figlia e sette figli.
Sempre secondo la leggenda,
Kerkafos, uno dei loro figli,
procreò Kamiros, lalyssos e
Lindos che costruirono le tre più
grandi città dell’isola.
Alcuni dicono che l’isola
prese il nome dalla Ninfa Rodo e
altri dal fiore “rodo".
Nell’isola
delle leggende e dei fiori i
secoli hanno lasciato tracce di
splendore e prosperità. La sua
posizione geografica ha avuto un
ruolo importantissimo per lo
sviluppo del commercio fin dagli
anni preistorici, assicurandole
anche lunghi periodi di
benessere durante la sua storia
trimillenaria.
Rodi,
chiamata la perla del
Mediterraneo, è un’isola
molto interessante sia per le
sue bellezze naturali che per i
suoi tesori archeologici. Per
questo motivo l’Unesco l’ha
nominata monumento mondiale di
eredità culturale. Con il suo
meraviglioso clima e i suoi
ottimi impianti turistici si
presta per le vacanze in
qualsiasi periodo dell'anno.
Rodi riceve visitatori di tutti
i paesi del mondo. Vengono qui
per ammirare i suoi siti
archeologici, per visitare le
sue bellezze naturali e godersi
l’acqua pulita del mare che
brilla sotto i raggi di un
“sole splendente”.
Lunghissime
spiagge sabbiose, insenature
pittoresche, un ricco fondo
marino, sorgenti cristalline,
vallate ombrose, monti
verdissimi, monumenti di tutte
le epoche, paesini bianchissimi
e isolani cordiali sono le
principali caratteristiche di
questa splendida terra.
Nella
meravigliosa “Valle delle
Farfalle" si può
constatare quanta bellezza e
armonia può godere l'uomo
quando possiede il buon gusto di
completare e valorizzare la
grandezza naturale.
Un
po’ fuori dalla città di
Rodi, in una piccola valle verde
ed ombrosa, si trova il parco
Rodini. Qui vivono e si
moltiplicano i pavoni. Mentre
vicino alla costa orientale c’è
la valle delle “Sette
Fonti" che con le loro
acque alimentano un lago
artificiale.
A
Rodi ci sono delle sorgenti
termali, in un meraviglioso
ambiente naturale nella località
marittima Kallithea.
Il
Monte Profitis llias è
considerato l’antichissima
abitazione dei cervi rodensi. Ai
suoi piedi c’è la sorgente
“Nimfi” che fornisce
d’acqua la città di Rodi.
Illuminata
abbondantemente dal sole e
dotata di un terreno fertile
Rodi produce alcuni dei migliori
ortaggi e frutta del
Mediterraneo.
In
molte zone si coltiva la vite
che dà il famoso e profumato
vino rodense.
Rodi,
quest’isola smeraldina, si
trova nella parte sud-orientale
del Mare Egeo, sulle vie del
mare tra occidente e oriente. È
la più grande e il capoluogo
dell’arcipelago del
Dodecaneso, un arcipelago
composto da circa duecento
isole. Molte di queste, come
anche Rodi, sono affiorate dal
mare in seguito a scosse
sismiche avvenute in tempi
remoti. I fossili di conchiglie
marine che si trovano nei
versanti dei monti confermano
questo avvenimento e sostengono
il mito della sua origine. Rodi
dista dal Pireo 270 miglia m. ed
è circondata dalle isole Symi,
Tilos, Chalki e Alimià e dagli
isolotti Tragousa, Makrì,
Stronghilì, Drosonisi,
Prasonisi, Galouni e Tetrapoli.
Ha
un'estensione di 1.400 km.
quadrati, è lunga 78 km. e
larga 38 km. nel suo punto più
largo. Le sue coste, lunghe 220
km., sono formate principalmente
da pianeggianti spiagge sabbiose
interrotte da rocce scoscese.
Nel punto più meridionale
dell’isola si delinea la
penisola di Prasonisi, unita
all’isola da una striscia di
sabbia.
Il
suo territorio è principalmente
montuoso con delle piccole
pianure, gole verdissime, valli
e altopiani. Il monte più alto
è l'Attaviros (1.215 m.), altri
monti più piccoli sono
l’Akromitis (825 m.), e il
Profitis llias (798 m.).
Rodi
è soleggiata in media 300
giorni l’anno. Il sole
continuo e il clima mite rendono
l’isola ideale per la coltura
della vite.
L’eccezionale
clima, il terreno fertile e la
sua posizione geografica sono
stati i fattori principali per
cui Rodi, dall’antichità fino
ad oggi, è densamente abitata.
La popolazione odierna è di
circa 90.000 abitanti che
possono ospitare più di
1.250.000 visitatori all'anno.
Visitatori che arrivano per
godersi le bellezze naturali
dell’isola e conoscere la sua
storia secolare.

Storia
Era
preistorica - Poiché
sull’età del bronzo
(3000-1100 a.C.) non esistono
fonti storiche scritte, occorre
rivolgersi all’archeologia per
conoscere la storia di Rodi di
quel periodo. Intorno al 1800
a.C. i Minoi, una potenza
marinara di Creta, riuscirono a
porre sotto il loro dominio e
quindi sotto la loro influenza
culturale quasi l’intera
regione del Mar Egeo, con
pressoché tutte le isole, fra
le quali Rodi. Essi crearono una
colonia a Trianda e costruirono
un santuario in cima
all’Acropoli di lalisos. Dopo
aver raggiunto nel secolo XV
a.C. il culmine del potere i
Minoi cominciarono ad
indebolirsi ed ecco che si fece
avanti una nuova potenza, quella
dei Micenei, che abitavano sulla
terraferma greca e che parlavano
uno dei primi dialetti greci.
I
Micenei, impadronendosi di tutte
le terre lasciate dai Cretesi,
occuparono anche la parte
settentrionale dell’isola di
Rodi, dove grandi necropoli a
lalisos e a Kamiros testimoniano
tuttora del dominio miceneo.
Alcuni studiosi hanno trovato
nei testi degli Ittiti vari
riferimenti ai Micenei (o Achei)
di Rodi. Questo significa non
solo che i Micenei erano
realmente potenti, ma anche che
la posizione geografica di Rodi,
la sua vicinanza cioè
all’Asia Minore aveva fatto
dell’isola una base importante
per il commercio con
l’Oriente.
Intorno
al 1200 a.C. le grandi potenze
dell’Oriente, fra le quali
l’Egitto, furono minacciate da
tribù nomadi, note a noi dai
testi egiziani come «i popoli
del mare». Con i loro continui
spostamenti in massa ed i loro
saccheggi distrussero il
commercio dei Micenei, causando
la graduale decadenza
dell’impero miceneo.
Seguì
un periodo di caos e di
disordine per la Grecia, finché
il paese non fu invaso da
nord-ovest da un altro popolo, i
Dori, che crearono molte colonie
sulla terraferma, nonché in
parecchie isole. Intorno al X
secolo a.C. anche Rodi e Creta
furono investite da questa
ondata di colonizzatori dori.
Con l’avvento dei Dori nuove
istituzioni e nuove leggi furono
introdotte, ma nel campo della
lingua, della religione e delle
tradizioni non vi furono grandi
cambiamenti, perchè i Dori,
come i Micenei, erano un popolo
greco.
Età greca - A Rodi i
Dori si insiedarono in
particolare in tre città, a
lalisos, Kamiros e Lindos, che
ben presto cominciarono a
svilupparsi. Insieme a Coo,
Cnido ed Alicarnasso, dove
nacque il padre della storia
Erodote, formavano la exapoli
dorica, le sei città doriche
che avrebbero avuto un ruolo
importante nello sviluppo della
cultura, dell’arte e della
letteratura classica. La Grecia
infatti si ispirava
continuamente alle civiltà
orientali, con le quali aveva
stretti contatti attraverso le
città greche vicine
all’Oriente, come quelle di
Rodi. Stando ad alcune epigrafi
molto antiche Rodi fu fra i
primi ad adottare l’alfabeto
fenicio, che attraverso Cipro si
diffuse nell’intero mondo
greco.
L'VIII
secolo a.C., l’epoca cioè che
recentemente fu denominata il
rinascimento greco, fu per Rodi
un periodo di particolare
prosperità. Attraverso intensi
scambi commerciali non solo con
l’Attica ma anche con Creta e
l’Oriente, l’isola era
diventata il centro di una
importante corrente commerciale.
Come tante altre città greche
Rodi svolse attività
colonizzatrici nel periodo fra
l’VIII ed il VI secolo a.C.
Sia per motivi di
sovrappopolazione, sia per
l’antagonismo fra gli
appartenenti all’aristocrazia
locale, molti greci decisero di
lasciare la propria città per
insediarsi in una delle colonie.
Benché queste colonie fossero
autonome riservavano alle loro
metropoli certi privilegi
soprattutto di natura
commerciale. Poiché Rodi si
interessava in particolare
all’Occidente colonizzò
insieme a Creta, Gela in
Sicilia, nonché Faselida sulla
costa di Pamfilia nell’Asia
Minore.
In
quell’epoca l’arte raggiunse
a Rodi livelli molto alti.
L’anfora rodiese della fine
del VIII secolo a.C. è assai
elegante, ma reca ancora
l’impronta dell’arte
corinzia e attica. In alcune
tombe furono ritrovate pure
anfore provenienti da Creta e
Cipro. L’anfora veniva
utilizzata in genere come
contenitore per le bevande,
soprattutto per il vino e perciò
vi è probabilmente un nesso fra
la produzione di anfore ed il «simposio»,
la festa per eccellenza degli
aristocratici. Questi solevano
infatti gareggiare fra di loro
quanto ad ospitalità e
ricchezza. A chi allestiva la
festa più ricca e sontuosa
spettava la massima stima e
rispetto. Nel VI secolo a.C.
Rodi sviluppò un proprio stile,
molto caratteristico, detto
Fichellura: le anfore sono
dipinte di animali, fra i quali
molti uccelli, o rappresentano
scene di caccia, dove animali
selvaggi come le pantere o i
leoni rincorrono le loro
vittime. Questo tipo di figure,
caratteristiche dell’intera
arte greca, sono uno degli
elementi ripresi dall’arte
orientale.
Alla
fine del VI secolo a.C. Rodi creò
una propria moneta e raggiunse
la massima gloria sotto il
regime del tiranno Kleovoulou,
uno dei sette savi
dell’antichità.
La
tirannia era un fenomeno assai
diffuso nell’intera Grecia del
VII e VI secolo a.C. Solo poche
città infatti, fra le quali
Sparta, non erano governate da
un tiranno. Oggi i tiranni si
sarebbero chiamati dittatori in
quanto si impossessavano del
potere con mezzi illegali
appoggiandosi il più delle
volte all’esercito. Molto
probabilmente la tirannia riuscì
a diffondersi grazie
all’insorgere della classe
media, alla distribuzione su più
vasta scala della ricchezza e di
consequenza all’accresciuta
tensione e concorrenza fra le
classi sociali. La classe media,
non vedendo di buon occhio il
monopolio dei privilegi da parte
dell’aristocrazia cominciò a
ribellarsi con l’aiuto dei
tiranni, che grazie alla loro
popolarità fra vasti strati
della popolazione e al sostegno
soprattutto degli agricoltori
riuscirono ad aprire la strada
alla democrazia. Non a caso alla
fine del VI secolo a.C., dopo
cioè il lungo periodo della
tirannia dei Pisistrati furono
gettate ad Atene le basi della
democrazia.
Benché
di Kleovoulou stesso si sappia
poco, è noto che la sua
tirannia fu per Rodi un periodo
di prosperità e di fioritura
dell’arte con le belle anfore
dello stile Fichellura ed il
nuovo tempio di Atena Lindia. La
tradizione vuole che fu
Kleovoulou a costruirlo, il chè
potrebbe corrispondere alla
verità, perchè la politica dei
tiranni era di far costruire
edifici enormi per impressionare
il popolo e per assorbire la
disoccupazione.
All’inizio
del V secolo a.C. la Grecia fu
minacciata da una altra grande
potenza, la Persia. Dopo
numerosi scontri, durante i
quali i Greci erano riusciti a
respingere l’invasore, ebbe
luogo nel 480 a.C. a Salamina la
battaglia decisiva. Durante
questa battaglia navale i
Persiani facevano affidamento
soprattutto alla flotta dei loro
vassalli, dei Fenici e dei Rodi,
una delle prime vittime
dell’espansionismo persiano.
Grazie alla loro superiorità in
campo strategico i Greci
riuscirono però ad ottenere la
vittoria. L’anno seguente, nel
479 a.C. vinsero pure la
battaglia terrestre a Platea,
costringendo i Persiani a
ritirare le loro forze.
Adesso
però cominciarono a
manifestarsi tendenze
imperialistiche anche in Grecia
e soprattutto ad Atene, che si
era assunta la guida della
flotta greca unita. E’ per lo
meno un paradosso che proprio
nel periodo della massima
uguaglianza e democrazia al suo
interno, nel periodo cioè di
Pericle a metà del V secolo
a.C., Atene era una potenza
imperialista temuta e una vera e
propria tiranna per i suoi
alleati, o detto meglio,
sudditi.
Una
delle isole alleate ad Atene era
Rodi. A causa del suo
imperialismo Atene si scontrò
con Sparta, dando luogo ad una
guerra lunga e disastrosa, la
famosa guerra peloponnesiaca
(431-404 a.C.). Verso la fine
della guerra, nel 411 a.C.,
quando le forze di Atene si
erano notevolmente indebolite,
Rodi si sottrasse al giogo degli
Ateniesi e si alleò con la
Sparta dorica. Questa «defezione»
è una delle tante testimonianze
di nemicità verso l’egemonia
ateniese.
Nel
408 a.C. le tre città di Rodi,
Kamiros, lalisos e Lindos
crearono nella parte
settentrionale dell’isola un
insediamento che ben presto ne
divenne la città più
importante. Questa nuova città
aveva una propria
amministrazione: L’ecclesia,
il parlamento, ecc., dove uno
dei posti di rilievo era
occupato dal sacerdote del dio
del sole. Questo dio mantenne la
sua importanza durante
l’intera antichità e secondo
un mito Rodi era la sua proprietà
personale. Più tardi la città
riuscì a sopravvivere a molte
invasioni da parte dei cristiani
e musulmani ed è oggi la
capitale dell’isola. Con i
suoi 5 porti e le sue stradine
pittoresche ci fa pensare
tuttora alla città antica.
Prima
di lasciare il V secolo a.C.
bisogna dare uno sguardo
all’arte di quel periodo,
rappresentata soprattutto dalla
pietra tombale di Crito e
Timarista che è esposta ora nel
museo archeologico di Rodi.
Questa stele si trovava sulla
tomba di Timarista raffigurata a
destra. Si tratta di una scena
standard di afflizione e di
lutto al momento della morte.
Nell’epoca classica le pietre
tombali non rappresentavano le
immagini dei morti stessi, ma di
certi tipi di persone: la madre,
la persona di mezz’età,
l'adolescente, la vergine
portata via dalla morte prima di
giungere al matrimonio e così
via. Non vi sono le immagini
personali di Crito e Timarista.
Le figure rappresentate sono
donne greche qualsiasi. Questo
tipo di scena è molto comune
nell’Attica. Le due donne si
vedono da lati diversi.
Timarista si vede di fronte,
tranne la sua testa, mentre
Crito si vede di profilo. Si
presume che Crito sia la figlia
della morta, il che starebbe ad
indicare che le relazioni
madre-figlia erano
particolarmente intense. La
persona morta è sempre più
alta (e così si sa che la morta
è Timarista). I morti comunque
non danno mai nessun segno di
visibile commozione, piuttosto
si ha l’impressione che siano
lontani da questo mondo e dai
suoi sentimenti. Il parente
raffigurato insieme al morto
esprime un dolore sempre
contenuto. La passione e le sue
espressioni appartengono al
periodo seguente, a quello
ellenistico. Proprio questi
sentimenti trattenuti commuovono
profondamente lo spettatore
d’oggi, perchè esprimono una
tranquilla accettazione della
sorte di cui siamo tutti preda.
Da queste pietre tombali è la
dignità umana che ci parla non
la passione personale.
Il
IV secolo a.C. era un periodo di
anarchia e di relativa decadenza
politica per la Grecia
continentale, ma non per Rodi,
che continuava a prosperare. Ciò
non toglie che l’instabilità
politica di quei tempi ebbe i
suoi, riflessi sulla storia
dell’isola.
La
guerra peloponnesiaca si
concluse con la sconfitta di
Atene e la vittoria di Sparta.
Nuove potenze non tardarono a
farsi avanti, come Tebe, Atene,
che con rinnovato vigore cercava
di recuperare il terreno
perduto, la Persia, che ancora
più ricca e potente aspettava
solo l’occasione per
immischiarsi di nuovo negli
affari dei Greci ed infine la
Caria, una satrapia indipendente
dell’impero persiano, anche
essa assai potente, che mirava a
Rodi. La storia del IV secolo
a.C. è così caratterizzata da
questa lunga guerra civile fra
le città greche fino al momento
in cui, indebolite divennero la
vittima del conquistatore
straniero, di Filippo, il padre
di Alessandro Magno.
In
questo periodo Rodi diventò nel
337 a.C. dapprima alleata di
Atene, ruppe però ben presto
questo patto per aderire a
quello con Tebe, insieme alla
quale sconfisse Sparta. Benché
all’inizio Rodi giocasse bene
le sue carte politiche, non ebbe
molta fortuna nella seconda metà
del secolo. Essa fu sottomessa
da Mausolo, il re di Caria, che
creò nell’isola un governo
oligarchico come salvaguardia ai
suoi interessi. Dopo la sua
morte Artemisia continuò la
politica tracciata dal suo
predecessore.
Questo
avvicinamento di Rodi a Caria
potrebbe essere interpretato però,
secondo alcuni storici, anche in
chiave diversa: Rodi, non
essendo soddisfatta della
politica prepotente degli
Ateniesi avrebbe voluto rompere
i suoi rapporti dI alleanza con
Atene, che manifestava una forte
tendenza all'imperialimo,
esattamente come nel V secolo
a.C. La storia quindi si
ripeteva, ma con un esito
diverso. Questa volta le città-stato
erano molto più deboli. Atene
non riuscì a consolidare il suo
potere e nel 354 a.C. fu
costretta a riconoscere
l’indipendenza di Rodi, Chio e
Coo.
Alla
crisi politica in Grecia si
aggiunse una crisi economica e
sociale. Vi fu mancanza di cibo
e la disoccupazione costrinse
molti giovani ad andare in cerca
di lavoro al di fuori della
Grecia, facendo per esempio i
mercenari nell’esercito
persiano. Benché questa crisi
non colpisse Rodi direttamente,
l’isola, legata come era con
la Grecia, ne subì alcune
consequenze. Le città-stato
della Grecia, duramente provate
dalla crisi vennero sottomesse
da Filippo il Macedone, malgrado
i vari tentativi di resistenza.
L’Ateniese Demostene si oppose
violentemente a Filippo con i
suoi famosi discorsi
nell’ecclesia, l’assemblea
popolare di Atene, dicendo che
la libertà e l’indipendenza
delle città greche sarebbero
andate perdute. E ebbe ragione.
La conquista di Filippo fu per
le città l’inizio di un
periodo di decadenza. Esse non
producevano più come prima
quell’arte sublime, quella
letteratura e filosofia
eccezionali. Fu un periodo di
cambiamenti, ritenuti da molti
necessari ed è probabilmente
per questo che infine i Greci
preferirono essere dominati da
Filippo piuttosto che dai
Persiani.
Dopo
la morte di Filippo ascese al
trono suo figlio, Alessandro.
Nei suoi tentativi di
conquistare la Persia fu aiutato
dai Rodi, che in tal modo
diedero prova di una perspicacia
politica superiore a quella di
molte altre città greche, che
invece continuavano ad opporsi.
I Rodi trassero numerósi
vantaggi dalla loro alleanza con
i Macedoni. La fondazione di
Alessandria in Egitto diventò
per loro un importante punto di
riferimento negli scambi
commerciali con l’Egitto. Con
la conquista dell’impero
persiano da parte di Alessandro
Magno si aprì ai prodotti greci
un immenso mercato, sfruttato
abilmente dai Rodi. Era nel IV
secolo a.C. che furono eretti i
Propilei e un nuovo tempio di
Atena Lindia.
Dopo
la morte di Alessandro il suo
impero fu diviso in vari regni,
dando luogo ad intrighi politici
e nuove lotte intestine fra i
suoi successori. I regni più
importanti erano la Siria, con
tutta la parte orientale
dell’impero di Alessandro o
una parte dell’Asia Minore,
l’Egitto, e la Madeconia, di
cui faceva parte la Grecia.
Questi regni sono chiamati
ellenistici, un termine
utilizzato per tutto il periodo
che si apre con la morte di
Alessandro e che si chiude con
la conquista del mondo ellenico
da parte di Roma (330-30 a.C.).
Ben
presto anche Rodi fu coinvolta
nelle guerre fra le varie
dinastie. Dimitri, il sovrano
della Macedonia, spinto dalla
sua ambizione e avidità,
dichiarò guerra al re
dell'Egitto, Ptolemeo. Dimitri
voleva cho Rodi diventasse sua
alleata o quando nel 305 a.C. i
Rodi si rifiutarono, strinse la
loro città d'assedio. Il
Poliorchite - l'assediante -
nominato così grazie ai suoi
precedenti successi - non riuscì
a conquistare la città.
Nell’antichità infatti era
molto difficile conquistare una
città fortificata, a meno che
questa non si arrendesse. Solo
Alessandro vi era riuscito
prendendo Tiro. L’assedio di
Rodi fu per la sua storia un
avvenimento di prim’ordine. I
Rodi, con il loro fiuto per il
commercio, decisero di vendere
gli attrezzi lasciati sul campo
dal Poliorchite e con il denaro
ottenuto fecero costruire una
statua gigantesca di Elio, il
dio del sole, nota con il nome
di Colosso di Rodi
che veniva collocata
all’entrata del porto.
I
secoli seguenti furono per Rodi
un’epoca di prosperità e
splendore. Le conquiste
asiatiche di Alessandro, la
fondazione di nuove città e
l’accumularsi della ricchezza
nelle mani delle classi medie
diedero un grosso stimolo al
commercio, spostandone il centro
dalla Grecia all’Egitto, a
Rodi e alle coste dell’Asia
Minore. Così ad Alessandria in
Egitto si creò un intenso
commercio di spezie, mentre Rodi
assunse una importanza ancora
maggiore come stazione di
transito e esportatrice di vino.
Benché in quell’epoca non ci
fossero delle vere e proprie
banche il commercio veniva
facilitato non solo dalla moneta
internazionale introdotta da
Alessandro Magno, ma anche
dall’uso di lettere
creditizie. Contrariamente però
agli altri stati ellenistici,
assai cosmopolitici, i Rodi
respingevano gli stranieri.
Infatti mentre altrove i
commercianti stranieri erano
liberi di stabilirsi in una
qualsiasi città, dove creavano
le loro associazioni e dove
importavano i loro prodotti,
solo a Rodi ed a Chisico gli
stranieri non venivano ammessi,
né come abitanti, né come
commercianti.
Nel
227 a.C. Rodi fu colpita da un
tremendo terremoto. Poiché vi
era nell’antichità per
catastrofi del genere una specie
di mutua assistenza, molti
sovrani e città ellenistiche
inviarono denaro per la
ricostruzione della città di
Rodi, che risorse dalle rovine
più grande di prima. I Rodi però
non riuscirono a restaurare il
Colosso, andato interamente
distrutto, presumibilmente per
mancanza di denaro.
Nel
periodo ellenistico Rodi aveva
una ottima flotta mercantile,
alla quale l’isola offriva
porti magnifici. A Lindos vi
erano persino alcuni porti
nascosti, dove la sua flotta
poteva rifugiarsi nel caso di
ostilità.
Nel
II secolo a.C. Roma cominciò ad
intromettersi nelle vicende del
mediterraneo orientale. Chiamata
inizialmente in aiuto da alcuni
sovrani, che le chiedevano
assistenza nelle loro guerre
dinastiche, ben presto da
alleata Roma diventò loro
avversaria e verso la fine de
secolo riuscì a sottometterli.
Nel 166 a.C. con la creazione di
un porto franco a Deio, Roma
inferse un grave colpo alle
attività commerciali di Rodi.
Fu per l’isola l’inizio di
un periodo di decadenza e benché
la sua economia non fallisse
completamente l’isola cominciò
a perdere la sua importanza
commerciale.
Via
via che aumentava
l’intromissione di Roma negli
affari del mediterraneo
orientale, si estendevano pure
le attività dei commercianti
romani, che malvisti all'inizio,
riuscirono ad assimilarsi alle
comunità greche non raramente
attraverso il matrimonio con
donne greche. Disponendo più
tardi della speciale protezione
offerta dalle leggi romane,
ottennero privilegi molto
maggiori rispetto ai loro
colleghi greci.
Più
che per le loro attività
commerciali i Romani erano
odiati per la loro prepotenza
nei confronti delle città
greche, che consideravano delle
vere e proprie miniere d’oro,
dove dal II secolo a.C. in poi
rubarono senza alcun ritegno.
Così Rodi fu saccheggiata dal
triumviro Cassio, uno degli
assassini di Giulio Cesare, che
aveva bisogno di fondi per il
suo esercito implicato nella
lotta contro Ottaviano e Marco
Antonio. Alcuni storici
ritengono che la politica romana
non sia sempre stata una
politica di sfruttamento e che
la decadenza di Roma sia
iniziata dal momento in cui le
classi medie cominciarono a
sfruttare la ricchezza
dell’Oriente.
Quanto
all’arte il periodo
ellenistico fu per Rodi un
periodo di opere grandiose. A
Lindos fu costruito il magnifico
portico dorico, destinato a dare
ulteriore splendore al tempio e
che serviva inoltre come
galleria d’arte. Là dove si
distinsero però i Rodi di più
era nell’arte scultoria.
Il
Laocone
che si trova nel museo
del Vaticano è una delle opere
d’arte più famose
dell’antichità. Rappresenta
la lotta, con esito mortale di
Laocone ed i suoi figli contro
due serpenti. Laocone era
secondo il mito un sacerdote di
Apollo a Troia. Quando i Greci
avevano inviato il loro cavallo
di legno ai Troiani, Laocone capì
che questo regalo portava in sè
la distruzione. Egli avvertì i
suoi concittadini, ma invano.
Per punire Laocone, che aveva
osato intromettersi nei loro
disegni, gli dei decisero
d’inviare dal mare due
serpenti orribili per uccidere
il sacerdote ed i suoi figli. I
Troiani, pensando che gli dei
avessero punito Laocone per
sacrilegio accolsero il cavallo
di legno nella città ed insieme
a lui la loro distruzione.
Questo
mito che esprime l’impotenza
dell’uomo di fronte agli dei
spesso inesorabili, fu la fonte
da cui trasse ispirazione
l’artista dell’epoca
ellenistica, che nel
combattimento di Laocone con i
serpenti voleva esprimere la
lotta dell’uomo contro le
forze demoniche alle quali
infine l’uomo soccombe. Uno
dei figli di Laocone guarda suo
padre invocando aiuto, ma il
padre è troppo impegnato nella
propria lotta per poter offrire
assistenza. L’espressione di
angoscia e di dolore umano fa di
questa scultura una delle opere
più rappresentative dell’
epoca ellenistica, durante la
quale si prestava attenzione ai
sentimenti e alle passioni
umane. Questo periodo si
differenzia sostanzialmente da
quello classico, quando
l’espressione dei sentimenti
attraverso l’arte era molto
contenuta. Il Laocone, che fu
creato circa a metà del I
secolo a.C., ispirò pure gli
artisti del Rinascimento, come
Michelangelo, ed è considerato
uno degli anelli di collegamento
fra l’epoca antica e quella più
recente.
La
statua della Niche di Samotrachi
che si trova nel museo
del Louvre a Parigi, è una
offerta votiva dei Rodi al
tempio dei Kaviri a Samotrachi
dopo la loro vittoria nel 190
a.C. su Antioco. L’opera
creata dallo scultore Pitocrito
si differenzia dal punto di
vista concettuale dal Laocone.
Mentre quest'ultimo suscita
ansiosità e compassione, la
Niche esprime eleganza e grazia.
Collocata sulla prora di una
nave la Niche sembra sul punto
di prendere il volo. Il vento fa
aderire la sua veste al suo
corpo, dando l’impressione che
questa sia trasparente. Già
nell’epoca arcaica gli
scultori erano riusciti,
lavorando il marmo in modo
particolare, a creare questa
illusione di trasparenza del
materiale. Gradualmente questa
tecnica fu portata alla
perfezione e per valutare la
prestazione dell’arte greca
basta paragonare la Niche alle
sculture compatte degli
Egiziani. Pitocrito riuscì
inoltre a raffigurare la Niche
precisamente nel momento in cui
era pronta a prender il volo.
Uno scrittore moderno la
definisce «la signora senza
testa che corre per prendere il
bus».
L’Afrodite
bagnante del museo di Rodi
creata intorno al 100
a.C. è una variante del noto
tipo creato dallo scultore
Doidalsa di Bitunia, una città
orientale. Questa Afrodite (la
dea era uno dei temi preferiti
dell’arte scultoria dell'epoca
ellenistica) ha appena finito il
suo bagno ed asciuga i suoi
cappelli. Benché non sia della
stessa grandiosità della Niche
di Samotrachi (è alta solo 49
cm.) è tuttavia un’opera
d’arte squisita.
Contrariamente alle altre
Afroditi dell’epoca non incute
timore, nè suscita alcuna
emozione. Malgrado il suo valore
estetico non ha un senso più
profondo e perciò si sostiene
che l’arte greca di
quell’epoca fosse giunta ad un
punto morto.
La
testa del dio del sole
del secondo secolo a.C.,
che si trova nel museo di Rodi,
è pure una opera d’arte
rappresentativa dell’epoca. La
statua, che secondo alcuni
studiosi era una imitazione del
colosso distrutto dal terremoto
nel 227 a.C., doveva essere
gigantesca poiché solo la testa
è alta 55 cm. I tratti del
volto del dio somigliano a
quelli di Alessandro Magno,
ricordandoci che in questa epoca
l’immagine dell’eroe spesso
si fonde con quella del dio.
Tutto intorno alla testa nei
cappelli vi sono dei buchi,
attraverso i quali ai tempi
antichi erano passati aghi
d’oro, che dovevano
rappresentare i raggi di luce.
Le sue labbra semiaperte sono
espressive, ma non vi è
l’impronta della passione
umana come nel Laocone. In
questa opera d’arte si
manifesta così la tendenza di
ritorno agli ideali classici e
alle figure tranquille. La testa
del dio del Sole infatti non
incute timore. E’ una bella
figura umana che non suscita
sentimenti religiosi.
Mentre
oggi colleghiamo le opere
d’arte ai musei, le gallerie e
le collezioni private,
nell’antichità le sculture
erano per la maggior parte
offerte votive ai templi. Esse
rappresentavano il dedicante o
il dio e spesso venivano esposte
nei portici, che facevano parte
dei templi e che in tal modo
univano l’elemento artistico a
quello religioso. Anche
nell’agorà venivano esposte
delle sculture soprattutto per
fare onore ai cittadini che si
erano particolarmente distinti.
Quest’abitudine esiste
d’altronde tuttora perchè in
molte piazze vediamo le statue
di politici, generali, re,
poeti, ecc. E infine le sculture
venivano utilizzate come
monumenti tombali.
Nell’epoca
ellenistica l’artista non era
considerato sempre allo stesso
modo. Molti artisti hanno
apportato la loro firma sulla
base della loro opera esprimendo
così di essere orgogliosi della
loro creazione. Altri invece
sono rimasti nell’anonimato
forse perchè non consideravano
il loro lavoro come qualche cosa
di originale e di creativo, ma
piuttosto come una prestazione
tecnica. In tal caso l’artista
era come il falegname o il
costruttore, che intraprendeva
un lavoro dietro pagamento. La
sua posizione sociale era
determinata così dalle sue
opere e dall’ambiente di cui
faceva parte.
PERIODO
ROMANO - Dalla
fine del III secolo a.C. diventa
sempre più avvertito
l’intervento di Roma nelle
questioni greche e nei
Mediterraneo orientale in
generale. I Rodensi, cercando di
approffittare della nuova
situazione, tennero un
atteggiamene amichevole verso i
Romani. Ma i Romani, volendo
limitare la potenza di Rodi,
dichiararono Deio porto franco.
Questo fatto fu un colpo mortale
per il commercio di Rodi.
Stremata economicamente, essa fu
obbligata a stringere un patto
che la costringeva ad avere gli
stessi amici e gli stessi nemici
di Roma. Ciò ebbe conseguenze
disastrose per Rodi. Il colpo
finale le fu dato da Cassio,
che, dopo l’assassinio di
Giulio Cesare, i Rodensi si
rifiutarono di aiutare contro i
suoi nemici. Furioso conquistò
Rodi nel 42 a.C. e la distrusse
con una crudeltà inaudita,
trasportando più di 3.000 sue
opere d'arte a Roma.
Benché
nel I secolo a.C., quando
Augusto era imperatore di Roma,
Rodi fosse una provincia romana,
godeva di un buon trattamento ed
era luogo d’esilio per i
politici. La sua economia era
gravamente intaccata ma
l’isola aveva saputo mantenere
la sua fama come centro
culturale. Cicero e Giulio
Cesare l’avevano visitata per
studiare la retorica ed il
successore di Augusto, Tiberio,
vi era andato in ritiro prima di
diventare imperatore.
Sull’Acropoli di Lindos i
Romani avevano costruito un
tempio, che secondo
l’archeologo danese E. Dyggve
era dedicato a Diocleziano (III
secolo d.C.).
Alla
fine dell’antichità, nel III
secolo d.C. Rodi fu colpita da
terremoti disastrosi e da
epidemie di peste. Nel IV secolo
d.C. divenne una metropoli
cristiana abbastanza importante
e con l’avvento del
cristianesimo si conclude
l’antichità.
PERIODO
BIZANTINO E MEDIOEVALE
- Rodi, come centro commerciale
tra l’Oriente e l’Occidente,
accolse presto le nuove idee del
cristianesimo. Secondo la
tradizione l’Apostolo Paolo
insegnò nel 58 la nuova
religione a Lindos e convertì
molti al cristianesimo. Già dal
I secolo d.C. Rodi ebbe un
Metropolita, Prochoros, e più
tardi Fotinos e Eufranoras che
prese parte al I Concilio
Ecumenico a Nicea.
Dopo
la divisione dell’Impero
Romano, Rodi divenne capoluogo
della provincia bizantina delle
isole. Seguì le sorti e le
avventure dell’Impero
Bizantino, subendo molte volte
conquiste e distruzioni. Così
nel 620 d.C. la conquistarono i
Persiani di Kosroi. Alcuni anni
dopo, nel 651, arrivarono i
Saraceni e nell’807 la
saccheggiò la flotta del
Califfo Charoun-El-Rasid.
L’isola subì nuovi saccheggi
da parte dei pirati negli anni
dell’imperatore bizantino
Alexios I.
A
partire dall’XI secolo Rodi
iniziò ad avere di nuovo
relazioni con l’Occidente. Nel
1082, con l’autorizzazione
dell’Imperatore Bizantino, i
Veneziani installarono una
stazione commerciale nel suo
porto.
Nel
1191 Riccardo Cuor di Leone
d'Inghilterra e Filippo di
Francia arrivarono con la flotta
a Rodi per arruolare mercenari
per la loro crociata. Quando,
nel 1204, i Crociati
conquistarono Costantinopoli,
Leon Gavalas, proprietario
terriero di Costantinopoli, si
autonominò, con la condiscenza
dei veneziani, "Signore di
Rodi".
Dal
1261, anno in cui gli imperatori
bizantini riconquistano
Costantinopoli, Rodi
ufficialmente venne a far parte
dello stato bizantino ma in
pratica era nelle mani degli
ammiragli genovesi, la cui
flotta si trovava nel suo porto.
Nel 1306 Vignolo Vignoli, uno degli ammiragli, la vendette
con Kos e Leros ai Cavalieri
dell’Ordine di San Giovanni di
Gerusalemme, i quali
completarono il loro
insediamento nell’isola nel
1309, dopo una forte resistenza
da parte dei Rodensi. I
Cavalieri rimasero nell’isola
213 anni, finché nel 1522
l’ultimo Gran Maestro fu
costretto a cedere la città al
sultano turco Souleiman.
La
dominazione turca fu per Rodi il
periodo più oscuro della sua
storia. L’isola era governata
dal Kapoudan Pascià (Grande
Ammiraglio), mentre la città
era stata nominata capoluogo del
Vilayet dell'Egeo e sede del
Governatore Generale. Gli
abitanti greci furono costretti
ad abbandonare la città
fortificata e a stabilirsi fuori
dalle mura, ove formarono dei
nuovi rioni che chiamavano
“marasia". Nonostante ciò,
mai l’elemento turco dominò
nella bella isola e la
popolazione turca era
sensibilmente in numero minore
di quella greca. I Greci presero
nelle loro mani il commercio,
arrivando con le loro navi
mercantili fino all’altra
estremità dell'Europa. Il
Commercio di alimentari,
vestiario, argenteria,
casalinghi e profumi permisero a
molte cittadine dell’isola,
soprattutto Lindos, una
prosperità rara in quegli anni
oscuri di occupazione straniera.
Lindos si sviluppò anche come
centro di artigianato.
CAVALIERI
DI RODI - Gli
anni di occupazione dell’isola
da parte dei Cavalieri di San
Giovanni di Gerusalemme si
possono considerare anni di
splendore. L’Ordine dei
Cavalieri di San Giovanni fu
fondato come fratellanza
filantropica a Gerusalemme da
parte di commercianti di Amalfi
(Italia), i quali risiedevano
nei Luoghi Santi.
Con
il passar del tempo e in
particolare dopo il 1099 d.C.,
quando i Crociati conquistarono
Gerusalemme, l’Ordine si
rafforzò fortemente e assunse
il carattere di corpo militare,
sotto il potere e il controllo
della chiesa. Dopo la presa di
Gerusalemme da parte di Saladin
(1187), i Cavalieri trasferirono
la loro sede ad Acra nella
Palestina del Nord, in seguito a
Ptolemaida ed infine a Cipro,
ove il re Enrico II gli cedette
Limassol. A Cipro rimasero solo
18 anni per stabilirsi infine a
Rodi nel 1309, dopo un’eroica
resistenza da parte degli
abitanti. Gli anni di residenza
a Rodi costituirono il periodo
più splendente della storia
cavalleresca.
Subito
dopo la conquista dell’isola,
i “Cavalieri di San Giovanni
di Gerusalemme”, chiamati
ormai i “Cavalieri di
Rodi", si impossessarono
delle isole circostanti e per un
lungo periodo anche di Smirne.
Rimasero a Rodi ben 213 anni,
cioè fino al 1522, quando il 29
dicembre l’ultimo Gran
Maestro, Villiers de l’Isle
Adam, fu costretto a cedere la
città al Sultano Souleiman il
Magnifico. La cessione avvenne
dopo un assedio di 6 mesi ed
un’eroica resistenza da parte
dei Cavalieri, aiutati dagli
abitanti greci dell'isola. Dopo
la caduta di Rodi, i Cavalieri,
con l’aiuto di Carlo V (1530)
e del Papa, si stabilirono a
Malta e furono chiamati i
Cavalieri di Malta. I Cavalieri
hanno lasciato profondamente le
loro tracce a Rodi e le hanno
dato quel colore particolare,
che ancor oggi notiamo, con le
inespugnabili mura, le porte, le
chiese, gli ospedali, gli
ostelli e i grandiosi palazzi.
L’organizzazione
cavalleresca
- L’Ordine era composto di
membri di tre categorie: a) I
“Cavalieri” che si
occupavano di questioni
militari. Il loro numero non
superava i 600 e dovevano
appartenere a famiglie nobili;
b) I “Cappellani",
ecclesiastici che si occupavano
delle funzioni religiose
dell’ordine; c) I
“Sergenti” che aiutavano i
Cavalieri in guerra e
nell’amministrazione, erano
inoltre i “fratelli
infermieri” per le cure e
l’assistenza dei malati. I
Cappellani e i Sergenti non era
necessario che fossero di
famiglia nobile, ma dovevano
essere figli di persone libere e
non di schiavi.
Questi
membri, provenienti da tutti i
paesi cattolci d’Europa, erano
divisi in sette gruppi
etnico-linguistici, chiamati
“Lingue”. Esse erano: la
Lingua Provenzale, di Alvernia,
Francese, Italiana, Inglese,
Tedesca, e Spagnola che più
tardi si divise in due Aragonese
e Castigliana. Ogni Lingua
abitava nel suo “Ostello”
assieme al suo capo e i suoi
consiglieri. L’amministratore
capo era il Gran Maestro, eletto
dai membri dell’ordine con
carica a vita. Un Consiglio, i
cui membri erano i capi di ogni
Lingua, con funzioni legislative
e disciplinari lo aiutava a
governare.
La
lingua ufficiale dell'Ordine per
tutti i documenti era la lingua
latina mentre per le
comunicazioni orali era quella
francese.
La
“Lingua” francese, che di
solito era sostenuta dalle
Lingue Provenzale e di Alvernia,
aveva la maggioranza. Così, su
un totale di 19 Gran Maestri
eletti, che governarono
l’Ordine per 213 anni di
permanenza a Rodi, 14 furono
francesi. Questo si vede anche
dai nomi riportati sugli stemmi.
PERIODO
OTTOMANO
- L’impero ottomano giunse al
culmine della propria gloria
sotto Solimano il Magnifico, che
nel 1522 riuscì a conquistare
Rodi. L’assedio fu
estremamente difficile ma alla
fine Rodi dovette arrendersi. I
cavalieri si rifugiarono a
Malta, mentre molti Rodi
abbandonarono l’isola per
insediarsi a Creta.
L’isola
rimase occupata dai Turchi fino
al 1912. Non fu un periodo del
tutto negativo per Rodi, perchè
i suoi abitanti avevano
determinati privilegi, come la
libertà di religione e nemmeno
erano colpiti dal cosidetto
pedomasema, una misura molto
temuta dagli altri Greci, che
dovevano accettare che i Turchi
rapissero i loro figli in tenera
età per formarne un tipo di
servizio segreto. Il governatore
di Rodi era sempre un
funzionario della chiesa
ortodossa, che così è riuscita
a sopravvivere all’occupazione
turca. Nonostante le distruzioni
provocate dai vari terremoti ed
incendi i Greci di Rodi vivevano
abbastanza bene e avevano un
tenore di vita superiore a
quello degli altri Greci.
PERIODO
ITALIANO - Nel
1912 gli Italiani sconfissero i
Turchi e conquistarono Rodi, che
rimase sotto il loro dominio
fino al 1943. I segni lasciati
dall’occupazione italiana a
Rodi ed a Coo sono visibili
soprattutto nell’architettura.
Se da una parte gli Italiani
cercavano di italianizzare gli
abitanti e di imporre
l’italiano come lingua
principale, d’altra parte
facevano molte cose utili a
Rodi. Oltre alla realizzazione
di importanti lavori pubblici
gli Italiani effettuarono degli
scavi e restaurarono i monumenti
antichi di Lindos. Benché non
tutti gli archeologi siano
d’accordo sul successo del
restauro del portico, sta di
fatto che grazie a questo il
visitatore è in grado di
formarsi una idea più giusta di
come era una volta.
Nella
seconda guerra mondiale Rodi fu
occupata dai Tedeschi e nel 1947
fu unita alla Grecia.

Agosto
2014 - Agosto 2015
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