Epidauro,
dove oggi si vedono soltanto i
resti delle splendide
costruzioni del Santuario di
Asclepio, si trova in una
lussureggiante valle
dell'Argolide, circondata da
montagne che la
"abbracciano" senza
soffocarla. A Nord il monte
Arachneo, una delle dimore di
Zeus e di Hera, domina tutta la
penisola dell'Argolide, fino
alla linea d'orizzonte marino. A
breve distanza, sempre a Nord
del santuario, i dolci pendii
del monte Tittio scendono
gradatamente fino alla valle.
Gli abitanti di Epidauro
credevano che il dio Asclepio
fosse nato su questa montagna.
Oggi la gente del luogo lo
chiama Teocausto o Velanidià
(quercia). A Sud-Est la valle
finisce ai piedi di un monte
identificato con l'antico
Chinorzio, su un cui versante
c'era un santuario di Apollo. Più
a Sud del monte Chinorzio
l'orizzonte è interrotto dal
profilo del monte Corifeo nelle
cui selve vagava la dea
Artemide; nella valle sorgeva il
santuario di Asclepio.
Alle
sue facoltà terapeutiche non
credevano soltanto gli abitanti
del luogo, ma la fama del dio
aveva raggiunto le città più
lontane del mondo ellenico e più
tardi anche di quello romano.
Numerosissimi pellegrini
raggiungevano l'Asklepieion
(cosi erano denominati i
santuari del dio fondati in
tutta la Grecia) per trovare
rimedio ai propri mali; e
naturalmente, ricchezze immense
si accumulavano nel santuario
grazie alle loro offerte. Queste
ricchezze permisero che il senso
artistico si potesse manifestare
in tutta la sua magnificenza e
che potessero essere creati
templi ed edifici pubblici
ammirati per la loro bellezza
architettonica e decorativa, non
solo nell'antichità, ma anche
oggi.
Gli
antichi Greci sapevano scegliere
le località adatte a dimore
delle proprie divinità. Forse
l'attrazione che suscita la
ridente valle di Epidauro anche
nel visitatore odierno, è stata
una delle ragioni che portò
alla fondazione del santuario.
Il clima è mite e la rigogliosa
vegetazione doveva offrire anche
allora riposo e serenità al
pellegrino ammalato. Il
santuario era chiamato anche Ierò
Alsos (bosco sacro). Le
abbondanti sorgenti d'acqua, pur
non avendo particolari facoltà
curative, contribuirono
ulteriormente alla scelta del
luogo. Non era questo però che
aiutava la forza terapeutica del
dio, bensì la fede cieca nella
sua opera benefica e miracolosa.
I malati che ricorrevano ad
Asclepio avevano già perso ogni
speranza di guarigione: ciechi,
zoppi, paralitici, muti,
invalidi di guerra, donne
sterili, lasciavano le proprie
case e prendevano la via del
santuario sperando nel miracolo
divino.
LA
CITTA' ANTICA DI EPIDAURO - Il
santuario apparteneva alla città
costiera di Epidauro, che
esisteva già dagli anni
omerici. Omero la riporta con
l'aggettivo "ampelóessa"
(piena di vigne) testimoniando
così che le sue valli erano
ricche di vigne. Gli abitanti,
nella gran parte marinai, si
vantavano che la città aveva
preso il nome dall'eroe
Epidauro, figlio di Apollo. Lo
scrittore Strabone (65 a.C-23
d.C.) ci informa che i primi
abitanti della regione furono i
Carii. Quando arrivarono i Dori,
convissero pacificamente con gli
Ioni già presenti nella zona.
La città era situata su una
piccola penisola rocciosa, detta
"Nisì", circondata
dalle acque del golfo Saronico.
Non vi sono stati effettuati
scavi sistematici, ma sulle
rocce si distinguono i resti
delle mura antiche. Fuori della
città, vicino al porto, sono
state scoperte sette tombe
micenee a camera e, negli ultimi
anni, è stato scavato un
piccolo teatro ben strutturato.
L'odierno paese nelle vicinanze,
detto Pidavra dagli abitanti
locali, è noto con il nome di
Epidauro Vecchia (Paleà
Epidavros) ed è stato fondato
nel 1821. Un altro piccolo paese
in alto sulla collina porta lo
stesso nome: si chiama cioè
Pano Pidavra (Epidauro Alta).
A
Nord, sul versante del monte, ad
una distanza di 8 chilometri dal
mare del golfo Saronico, è
situato il grande paese di Nea
Epidavros (Nuova Epidauro) detto
anche Piada dalla gente del
luogo. Qui, nel 1822, si
riunirono i delegati della
Grecia insorta per la Prima
Assemblea Nazionale, che proclamò
l'indipendenza dal Paese e ne
stabilì il primo regime. Gli
abitanti curano con orgoglio il
vecchio platano sotto la cui
ombra sedettero i maggiorenti
della nazione.
Così
con lo stesso nome dell'antica
città sono chiamati i tre
odierni paesi: Paleà Epidavros,
Pano Pidavra, Nea Epidavros.
GLI
SCAVI - La
Società Archeologica Greca
(fondata nel 1837) cominciò il
suo primo grande scavo proprio
nell'Asklepieion di Epidauro,
sotto la direzione del noto
archeologo P. Kavvadias. I
lavori cominciarono nel 1881
mettendo in luce, fino al 1928,
tutte le costruzioni del
santuario che il visitatore vede
oggi. Il contributo di questo
scavo all'archeologia ebbe un
riconoscimento mondiale. Venne
creato un nuovo sito
archeologico che offrì molti
dati alla storia dell'arte.
Grazie alle iscrizioni scoperte
si approfondì un capitolo
importante del culto antico e si
arricchirono le fonti
dell'antica filologia greca. Nel
1948 l'archeologo I.
Papadimitriou esplorò in
maniera più sistematica il
santuario di Apollo Maleata.
LA
STORIA DEL CULTO -
In tempi remoti, quando
non esistevano ancora città e
gli uomini erano agricoltori,
veneravano come divinità le
forze naturali e gli elementi
della natura, che erano legati
alle necessità quotidiane.
Nella regione di Epidauro, fin
dagli inizi del periodo miceneo
(XVI sec. a.C.), gli abitanti
adoravano una divinità col nome
di Maleata a cui attribuivano
anche facoltà curative. Il suo
santuario sorgeva sul monte
Chinorzio più in alto della
sorgente detta oggi Haghia Anna
(Sant'Anna).
Quando
apparvero le prime città e il
modo di pensare e di vivere si
trasformò, una nuova religione
sostituì i culti antichi e gli
dèi dell'Olimpo divennero man
mano le figure predominanti. La
vecchia fede sopravvisse
nell'assimilazione delle sue
divinità da parte di quelle
olimpiche. A ciò sono dovuti i
molteplici appellativi di queste
ultime, che non sono semplici
aggettivi, ma hanno un ben
preciso significato culturale.
Questo
fu anche il caso del dio
Maleata. Nella regione di
Epidauro il suo culto fu
sostituito da quello di Apollo e
la sua memoria sopravvisse
nell'appellativo del nuovo dio,
che insieme a questo ereditò
anche la sua forza terapeutica.
Sul santuario del monte
Chinorzio, lì dove si trovava
il santuario di Maleata, continuò
appunto il culto di Apollo
Maleata. Durante uno scavo del
1948 furono rinvenute abbondanti
tracce di sacrifici, risalenti
al VII sec. a.C., offerti
sull'altare di Apollo.
Poco
più a Sud si conservano i resti
del tempio dorico del IV sec.
a.C. dedicato a questa divinità;
dalle iscrizioni incise sui
pilastri di un edificio di età
romana si deduce che il culto di
Apollo Maleata si fosse potratto
nella località anche in epoca
romana.
Dal
V al IV sec. a.C, però, il
primo posto nella vita religiosa
del luogo appartiene ad
Asclepio. Quando sia iniziato il
suo culto a Epidauro e quando
sia stato fondato il suo primo
santuario nella zona, non è
possibile dedurlo né dallo
scavo nè da fonti filologiche.
Sulla nascita di Asclepio, però,
ci sono molti miti.
Sembra
che negli anni di Omero,
Asclepio non si fosse ancora
affermato come divinità; Omero
infatti lo descrive come un
mortale, che viveva nella
Tessaglia ed era un re al tempo
della Guerra di Troia. Aveva
conoscenze infallibili di
medicina,
che insegnò ai figli
Macaone e Podarilio. Nella
spedizione di Troia i suoi figli
erano a capo di un'armata
tessala e nello stesso tempo
medici: quando Menelao venne
ferito da una freccia nemica,
Macaone fu chiamato a curarlo.
Miti
più tardi riportano Asclepio
come un semidio, figlio di una
mortale e del dio Apollo, cosa
che spiega il rapporto di
successione delle divinità
nella fede popolare. In seguito
Asclepio da semidio venne
adorato come un dio, grazie alla
grande fede nelle sue miracolose
conoscenze mediche.
Riguardo
alla sua terra nativa i miti
sono discordanti: sembra
comunque che la tesi più valida
sia quella dell'antica città
tessala di Trikke, l'odierna
Trikala; lì, secondo la
tradizione, fu anche fondato il
suo primo santuario. Forse la
diffusione del culto da Nord a
Sud è in relazione con
migrazioni interne di
popolazioni. Uno dei miti sulla
sua nascita è riportato nel
poema epico Eoie dell'VIII sec.
a.C., scritto forse da Esiodo.
Lo stesso mito, con una piccola
variante, ricompare nelle Odi di
Pindaro (522-448 a.C).
Gli
Epidaurii, per dare maggiore
fama al loro santuario,
alterarono il mito, collocando
la nascita di Asclepio nella
loro regione. Il poeta Isillo di
Epidauro (III sec. a.C.) in un
inno dedicato ad Asclepio, dice
ch'egli era nato "in terra
epidauria"; l'inno,
rinvenuto inciso su una lastra,
è esposto nel Museo.
Tutte
le tradizioni concordano
sull'apprendistato giovanile di
Asclepio presso il maestro più
sapiente di allora, il centauro
Chirone, che viveva in
Tessaglia. Chirone insegnò ad
Asclepio la medicina e come
distinguere le erbe curative che
crescevano sul monte Pelio. Ben
presto Asclepio si rivelò
superiore al maestro ed ebbe un
riconoscimento panellenico.
D'altronde anche suo padre
Apollo era medico. Un'altra
qualità ch'egli ereditò dal
padre era l'arte divinatoria e,
con questa, la conoscenza della
morte, perciò era ritenuto
anche un demone ctonio. Uno dei
suoi simboli era il serpente
indovino; esso uscendo
silenziosamente dalle fenditure
della terra e risparendovi, ne
conosceva tutti i segreti. Era
quindi il serpente che portava
ed interpretava ad Asclepio i
misteri nascosti nel grembo
della terra, la vita e la morte.
Gli abitanti di Epidauro
consideravano sacri i serpenti
della loro terra e attribuivano
loro una forza demoniaca; erano
serpenti piccoli, non velenosi,
di colore biondastro,
sicuramente reminiscenze del
culto preellenico.
Sempre
secondo i miti, Asclepio nacque
"dalla morte" di sua
madre, perciò conosceva i
segreti della morte ed era
persino capace di far
resuscitare i morti; ma
l'abolizione della morte avrebbe
sconvolto le leggi naturali che
governano la terra. Zeus, il
grande dio custode dell'armonia
cosmica, non tollerò un tale
capovolgimento: gli
uomini mortali non
possono diventare immortali.
Scagliò così il suo fulmine e
uccise Asclepio che aveva osato
confutare le leggi stabilite
dagli dèi. Questa è la fine
che le leggende attribuiscono al
dio Asclepio: è per il suo
comune destino di mortale che
gli uomini lo sentivano vicino a
loro e lo esortavano a curare i
mali che tormentavano i loro
corpi. Diversi santuari di
Asclepio furono fondati
nell'antica Grecia, ma tutti
riconoscevano la gloria del dio
nell'Asklepieion di Epidauro.

IL
RITUALE DEL CULTO E IL METODO
TERAPEUTICO - Il
santuario di Asclepio
apparteneva alla città di
Epidauro, ed era la città
stessa che nominava ogni anno
l'arconte supremo, cioè il
sacerdote di Asclepio. Le sue
funzioni erano religiose e
amministrative in quanto doveva
provvedere all'osservanza delle
regole del culto, alla custodia
degli ex voto e del tesoro,
all'amministrazione delle
finanze. Nel suo operato era
aiutato dallo lerateion,
costituito da sacerdoti cui
erano assegnate funzioni ben
specifiche: c'erano il pyrphoros
(custode del fuoco), la nakoros,
i naophylakes (custodi
del tempio), gli ieromnemones
(custodi delle cose sacre) ed
altri. Le regole del culto
risalivano a tradizioni
antichissime ed i pazienti
dovevano applicarle
rigorosamente per ottenere la
guarigione dal dio.
I pellegrini,
una volta raggiunto il propylon
del santuario, dovevano rendersi
conto di entrare in un'area
sacra, per dedicarsi corpo ed
anima, alla magnanimità del
dio. Un'antica legge vietava
alle donne di partorire
all'interno del santuario e chi
era prossimo alla morte doveva
essere portato fuori dal luogo
sacro.
Superando
il propylon, su una
lastra di pietra, vedevano
incise le prime istruzioni per
il fedele:
- "Quando
entrerai nella dimora del
dio
- profumata
dall'incenso, devi essere
puro
- e
il pensiero è puro se tu
pensi con
venerazione"
Il
pellegrino prendeva la
Via Sacra che conduceva dai
propilei al Tempio di Asclepio;
nel tempio maestoso era
custodita la statua in oro ed
avorio del dio, imponente, con
espressione serena e buona,
pronta ad esaudire le preghiere
dei fedeli. Il pellegrino dopo
il tempio doveva fermarsi alla
Fontana Sacra la cui acqua
serviva alle purificazioni
previste dalle regole. Li vicino
c'era anche l'altare: uno dei
doveri fondamentali del
pellegrino era l'offerta di un
sacrificio ad "Apollo ed
Asclepio" e in questo il
regolamento era rigoroso, dal
momento che mentre il miracolo
veniva attribuito ad Asclepio,
l'obbligo di venerare Apollo
persisteva. Il sacrificio più
ricco era quello di un bue, ma
anche i galli erano benaccetti
dal dio. I poveri potevano
offrire sacrifici incruenti,
come frutta, focacce o anche
qualcosa di più umile. Chi
veniva da lontano aveva il
permesso di offrire solo denaro.
Gli animali sacrificati dovevano
essere sempre consumati
all'interno del santuario.
Dopo
le preghiere, le purificazioni,
i sacrifici, il malato doveva
superare delle prove religiose
per il rafforzamento della
propria fede e la sua anima
doveva essere pronta ad
avvicinarsi al dio. Come e dove
si svolgessero questi rituali
non è noto da alcuna fonte,
forse perché dovevano restare
segreti. Secondo un'ipotesi la Thymele
(o
Tholos), cioè la
costruzione circolare vicino al
tempio, aveva questa
destinazione e in tal modo si
spiegherebbe l'enigmatico
labirinto situato sotto il
pavimento della cella di questo
edificio.
I
sacerdoti che preparavano i
fedeli, dovevano portarli ad un
intenso stato di autosuggestione
e di esaltazione religiosa,
affinché il dio comparisse loro
in sogno e ricevessero il
miracolo. La compunzione era
ulteriormente accentuata da inni
cantati dai peanisti.
Dopo
le prove spirituali arrivava il
momento dell'Incubazione":
i sacerdoti conducevano il
paziente nell'abaton (o
adyton o enchoimeterion), cioè
l'edificio in cui avrebbe
trascorso la notte della grande
attesa. Nelle sale sacre
illuminate inizialmente da una
luce opaca e misteriosa diffusa
dalle lucerne sacre, sopraffatto
dalla compunzione religiosa, con
immaginazione sconvolta, con
angoscia per il risultato, il
malato sprofondava nel sonno. I
sacerdoti si ritiravano
lasciando le sale nel buio e
allora il dio compariva nel
sogno e compiva il suo miracolo.
Il mattino dopo il paziente si
svegliava guarito.
Se
il fedele riacquistava la salute
prima di lasciare il santuario,
doveva ringraziare il dio,
"sacrificare per la
guarigione" e spesso era il
dio stesso a stabilire
l'offerta; talvolta lo facevano
i sacerdoti. Le offerte
variavano a seconda delle
possibilità economiche del
fedele. Oltre al denaro, doveva
essere fatta anche un'offerta in
natura. Era accettato tutto:
vasi fittili, utensili di
bronzo, iscrizioni votive,
statue, altari, fontane, interi
edifici. Le numerose opere
d'arte e costruzioni si devono
proprio a questo. Le migliori
informazioni riguardo ai
miracoli dì Asclepio sono date
dalle stele, cioè dalle
iscrizioni votive sulle quali i
fedeli guariti narrano l'evento
della loro guarigione. Circa
settanta "miracoli"
scritti sono stati rinvenuti
fino ad oggi e l'ingenuità
delle descrizioni è
singolare: "Un
bambino, muto, è venuto al
santuario per pregare il dio di
dargli la voce. Dopo i sacrifici
e i riti preparatori il pyrphoros,
il servo del tempio, si è
rivolto al padre del ragazzo e
gli ha chiesto: Prometti di
pagare il compenso della
guarigione in un anno se tuo
figlio guarisce? - Prometto,
risponde improvvisamente il
bambino".
"Pandaro
della Tessaglia aveva delle
macchie sulla fronte. Mentre
dormiva nell'abaton ebbe
una visione: il dio con una
benda gli avvolse la fronte e
gli ordinò di uscire dall'abaton,
di togliersi la benda e di
offrirla al tempio. Quando si
fece giorno si alzò dal letto e
si tolse la benda. La fronte era
tutta pulita e le macchie
attaccate alla benda. Allora la
offrì al tempio".
"Una donna di Messene, dal
nome Nikoboule, desiderava avere
un figlio. Dormì nell'abaton
e in sogno vide presentarsi il
dio con un grosso serpente in
mano. Il serpente dormì con
lei. Nel giro di un anno la
donna partorì due figli".
Nessuna
fonte scritta fa riferimento,
durante i primi secoli dalla
fondazione del santuario, ad un
vero e proprio intervento medico
dei sacerdoti. La terapia
avveniva alla sola presenza del
dio. Con il passare del tempo
l'evoluzione della medicina
cominciò a minare la fede
nell'intervento divino ed il
Santuario di Epidauro, come pure
gli altri Asklepieia della
Grecia, rischiò dì perdere la
sua "clientela"; perciò
i sacerdoti furono costretti ad
"aggiornarsi". Furono
mantenute tutte le formalità
del culto, ma i sacerdoti prima
dell'Incubazione"
chiedevano al paziente di
descrivere la sua malattia e gli
davano i primi consigli. Durante
la notte compariva ugualmente
Asclepio, ma il malato ormai
riportava nel sogno i consigli
del sacerdote come esortazioni
del dio. La mattina dopo
raccontava il sogno e i
sacerdoti, servendosi delle loro
conoscenze di medicina,
interpretavano i consigli del
dio per dare corso alla terapia,
protraendo la permanenza del
malato nel santuario. Una
descrizione eloquente di questi
mutamenti è riportata su una
lastra votiva offerta da un
certo Apeila nel II sec. d.C.,
che soffriva di ipocondria e di
una terribile dispepsia.
"Mentre viaggiavo verso il
santuario e mi avvicinavo ad
Egina, è comparso il dio e mi
ha consigliato di non
arrabbiarmi tanto. Quando sono
arrivato al santuario mi ha
detto di coprirmi la testa
quando pioveva, di mangiare
pane, formaggio, sedano,
lattuga, di fare il bagno senza
l'aiuto di un servo, di
esercitarmi nella palestra, di
bere il succo di limone, di fare
passeggiate... Infine il dio mi
ha ordinato di scrivere tutto
questo su una pietra. Sono
partito dal santuario sano,
ringraziando il dio".
In
questo modo il Santuario non
restò soltanto un centro
religioso, ma si evolse in una
istituzione terapeutica e
persino in una località
mondana, con un ambiente sereno
e gradevole, i bagni caldi e
freddi, le foresterie, le
palestre, le gare, le
rappresentazioni teatrali.
Grazie al suo rimodernamento non
solo non decadde ma ebbe un
nuovo periodo di splendore nel
II secolo d.C. Quando la fede
negli dèi olimpici fu
definitivamente sconvolta e
l'anima e la mente brancolavano
nel buio prima del trionfo del
Cristianesimo, Asclepio fu
l'unico dio ad essere rimasto
fino alla fine vicino all'uomo
sofferente. Agli albori dei IV
secolo d.C. i pellegrini
andavano ancora a dormire nell'abaton
nella speranza di guarire.
Alla
fine di quel secolo (395 d.C.)
l'invasione dei Goti devastò il
santuario e poco più tardi (426
d.C.) un editto dell'imperatore
Teodosio II chiuse l'ingresso
dei propilei. Il fanatismo della
nuova religione non rispettò
l'arte antica. La catastrofe fu
completata da due forti
terremoti nel VI secolo che
fecero crollare le splendide
costruzioni trasformandole nei
resti portati alla luce dagli
scavi archeologici.

Agosto
2013