Sito archeologico di Epidauro
Grecia
  

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1988

Video - Video 2 - Video 3

 

   

Epidauro, dove oggi si vedono soltanto i resti delle splendide costruzioni del Santuario di Asclepio, si trova in una lussureggiante valle dell'Argolide, circondata da montagne che la "abbracciano" senza soffocarla. A Nord il monte Arachneo, una delle dimore di Zeus e di Hera, domina tutta la penisola dell'Argolide, fino alla linea d'orizzonte marino. A breve distanza, sempre a Nord del santuario, i dolci pendii del monte Tittio scendono gradatamente fino alla valle. Gli abitanti di Epidauro credevano che il dio Asclepio fosse nato su questa montagna. Oggi la gente del luogo lo chiama Teocausto o Velanidià (quercia). A Sud-Est la valle finisce ai piedi di un monte identificato con l'antico Chinorzio, su un cui versante c'era un santuario di Apollo. Più a Sud del monte Chinorzio l'orizzonte è interrotto dal profilo del monte Corifeo nelle cui selve vagava la dea Artemide; nella valle sorgeva il santuario di Asclepio.

Alle sue facoltà terapeutiche non credevano soltanto gli abitanti del luogo, ma la fama del dio aveva raggiunto le città più lontane del mondo ellenico e più tardi anche di quello romano. Numerosissimi pellegrini raggiungevano l'Asklepieion (cosi erano denominati i santuari del dio fondati in tutta la Grecia) per trovare rimedio ai propri mali; e naturalmente, ricchezze immense si accumulavano nel santuario grazie alle loro offerte. Queste ricchezze permisero che il senso artistico si potesse manifestare in tutta la sua magnificenza e che potessero essere creati templi ed edifici pubblici ammirati per la loro bellezza architettonica e decorativa, non solo nell'antichità, ma anche oggi.

Gli antichi Greci sapevano scegliere le località adatte a dimore delle proprie divinità. Forse l'attrazione che suscita la ridente valle di Epidauro anche nel visitatore odierno, è stata una delle ragioni che portò alla fondazione del santuario. Il clima è mite e la rigogliosa vegetazione doveva offrire anche allora riposo e serenità al pellegrino ammalato. Il santuario era chiamato anche Ierò Alsos (bosco sacro). Le abbondanti sorgenti d'acqua, pur non avendo particolari facoltà curative, contribuirono ulteriormente alla scelta del luogo. Non era questo però che aiutava la forza terapeutica del dio, bensì la fede cieca nella sua opera benefica e miracolosa. I malati che ricorrevano ad Asclepio avevano già perso ogni speranza di guarigione: ciechi, zoppi, paralitici, muti, invalidi di guerra, donne sterili, lasciavano le proprie case e prendevano la via del santuario sperando nel miracolo divino.

LA CITTA' ANTICA DI EPIDAURO - Il santuario apparteneva alla città costiera di Epidauro, che esisteva già dagli anni omerici. Omero la riporta con l'aggettivo "ampelóessa" (piena di vigne) testimoniando così che le sue valli erano ricche di vigne. Gli abitanti, nella gran parte marinai, si vantavano che la città aveva preso il nome dall'eroe Epidauro, figlio di Apollo. Lo scrittore Strabone (65 a.C-23 d.C.) ci informa che i primi abitanti della regione furono i Carii. Quando arrivarono i Dori, convissero pacificamente con gli Ioni già presenti nella zona. La città era situata su una piccola penisola rocciosa, detta "Nisì", circondata dalle acque del golfo Saronico. Non vi sono stati effettuati scavi sistematici, ma sulle rocce si distinguono i resti delle mura antiche. Fuori della città, vicino al porto, sono state scoperte sette tombe micenee a camera e, negli ultimi anni, è stato scavato un piccolo teatro ben strutturato. L'odierno paese nelle vicinanze, detto Pidavra dagli abitanti locali, è noto con il nome di Epidauro Vecchia (Paleà Epidavros) ed è stato fondato nel 1821. Un altro piccolo paese in alto sulla collina porta lo stesso nome: si chiama cioè Pano Pidavra (Epidauro Alta).

A Nord, sul versante del monte, ad una distanza di 8 chilometri dal mare del golfo Saronico, è situato il grande paese di Nea Epidavros (Nuova Epidauro) detto anche Piada dalla gente del luogo. Qui, nel 1822, si riunirono i delegati della Grecia insorta per la Prima Assemblea Nazionale, che proclamò l'indipendenza dal Paese e ne stabilì il primo regime. Gli abitanti curano con orgoglio il vecchio platano sotto la cui ombra sedettero i maggiorenti della nazione.

Così con lo stesso nome dell'antica città sono chiamati i tre odierni paesi: Paleà Epidavros, Pano Pidavra, Nea Epidavros.

GLI SCAVI - La Società Archeologica Greca (fondata nel 1837) cominciò il suo primo grande scavo proprio nell'Asklepieion di Epidauro, sotto la direzione del noto archeologo P. Kavvadias. I lavori cominciarono nel 1881 mettendo in luce, fino al 1928, tutte le costruzioni del santuario che il visitatore vede oggi. Il contributo di questo scavo all'archeologia ebbe un riconoscimento mondiale. Venne creato un nuovo sito archeologico che offrì molti dati alla storia dell'arte. Grazie alle iscrizioni scoperte si approfondì un capitolo importante del culto antico e si arricchirono le fonti dell'antica filologia greca. Nel 1948 l'archeologo I. Papadimitriou esplorò in maniera più sistematica il santuario di Apollo Maleata.

LA STORIA DEL CULTO - In tempi remoti, quando non esistevano ancora città e gli uomini erano agricoltori, veneravano come divinità le forze naturali e gli elementi della natura, che erano legati alle necessità quotidiane. Nella regione di Epidauro, fin dagli inizi del periodo miceneo (XVI sec. a.C.), gli abitanti adoravano una divinità col nome di Maleata a cui attribuivano anche facoltà curative. Il suo santuario sorgeva sul monte Chinorzio più in alto della sorgente detta oggi Haghia Anna (Sant'Anna).

Quando apparvero le prime città e il modo di pensare e di vivere si trasformò, una nuova religione sostituì i culti antichi e gli dèi dell'Olimpo divennero man mano le figure predominanti. La vecchia fede sopravvisse nell'assimilazione delle sue divinità da parte di quelle olimpiche. A ciò sono dovuti i molteplici appellativi di queste ultime, che non sono semplici aggettivi, ma hanno un ben preciso significato culturale.

Questo fu anche il caso del dio Maleata. Nella regione di Epidauro il suo culto fu sostituito da quello di Apollo e la sua memoria sopravvisse nell'appellativo del nuovo dio, che insieme a questo ereditò anche la sua forza terapeutica. Sul santuario del monte Chinorzio, lì dove si trovava il santuario di Maleata, continuò appunto il culto di Apollo Maleata. Durante uno scavo del 1948 furono rinvenute abbondanti tracce di sacrifici, risalenti al VII sec. a.C., offerti sull'altare di Apollo.

Poco più a Sud si conservano i resti del tempio dorico del IV sec. a.C. dedicato a questa divinità; dalle iscrizioni incise sui pilastri di un edificio di età romana si deduce che il culto di Apollo Maleata si fosse potratto nella località anche in epoca romana.

Dal V al IV sec. a.C, però, il primo posto nella vita religiosa del luogo appartiene ad Asclepio. Quando sia iniziato il suo culto a Epidauro e quando sia stato fondato il suo primo santuario nella zona, non è possibile dedurlo né dallo scavo nè da fonti filologiche. Sulla nascita di Asclepio, però, ci sono molti miti.

Sembra che negli anni di Omero, Asclepio non si fosse ancora affermato come divinità; Omero infatti lo descrive come un mortale, che viveva nella Tessaglia ed era un re al tempo della Guerra di Troia. Aveva conoscenze infallibili di medicina, che insegnò ai figli Macaone e Podarilio. Nella spedizione di Troia i suoi figli erano a capo di un'armata tessala e nello stesso tempo medici: quando Menelao venne ferito da una freccia nemica, Macaone fu chiamato a curarlo.

Miti più tardi riportano Asclepio come un semidio, figlio di una mortale e del dio Apollo, cosa che spiega il rapporto di successione delle divinità nella fede popolare. In seguito Asclepio da semidio venne adorato come un dio, grazie alla grande fede nelle sue miracolose conoscenze mediche.

Riguardo alla sua terra nativa i miti sono discordanti: sembra comunque che la tesi più valida sia quella dell'antica città tessala di Trikke, l'odierna Trikala; lì, secondo la tradizione, fu anche fondato il suo primo santuario. Forse la diffusione del culto da Nord a Sud è in relazione con migrazioni interne di popolazioni. Uno dei miti sulla sua nascita è riportato nel poema epico Eoie dell'VIII sec. a.C., scritto forse da Esiodo. Lo stesso mito, con una piccola variante, ricompare nelle Odi di Pindaro (522-448 a.C).

Gli Epidaurii, per dare maggiore fama al loro santuario, alterarono il mito, collocando la nascita di Asclepio nella loro regione. Il poeta Isillo di Epidauro (III sec. a.C.) in un inno dedicato ad Asclepio, dice ch'egli era nato "in terra epidauria"; l'inno, rinvenuto inciso su una lastra, è esposto nel Museo.

Tutte le tradizioni concordano sull'apprendistato giovanile di Asclepio presso il maestro più sapiente di allora, il centauro Chirone, che viveva in Tessaglia. Chirone insegnò ad Asclepio la medicina e come distinguere le erbe curative che crescevano sul monte Pelio. Ben presto Asclepio si rivelò superiore al maestro ed ebbe un riconoscimento panellenico. D'altronde anche suo padre Apollo era medico. Un'altra qualità ch'egli ereditò dal padre era l'arte divinatoria e, con questa, la conoscenza della morte, perciò era ritenuto anche un demone ctonio. Uno dei suoi simboli era il serpente indovino; esso uscendo silenziosamente dalle fenditure della terra e risparendovi, ne conosceva tutti i segreti. Era quindi il serpente che portava ed interpretava ad Asclepio i misteri nascosti nel grembo della terra, la vita e la morte. Gli abitanti di Epidauro consideravano sacri i serpenti della loro terra e attribuivano loro una forza demoniaca; erano serpenti piccoli, non velenosi, di colore biondastro, sicuramente reminiscenze del culto preellenico.

Sempre secondo i miti, Asclepio nacque "dalla morte" di sua madre, perciò conosceva i segreti della morte ed era persino capace di far resuscitare i morti; ma l'abolizione della morte avrebbe sconvolto le leggi naturali che governano la terra. Zeus, il grande dio custode dell'armonia cosmica, non tollerò un tale capovolgimento: gli uomini mortali non possono diventare immortali. Scagliò così il suo fulmine e uccise Asclepio che aveva osato confutare le leggi stabilite dagli dèi. Questa è la fine che le leggende attribuiscono al dio Asclepio: è per il suo comune destino di mortale che gli uomini lo sentivano vicino a loro e lo esortavano a curare i mali che tormentavano i loro corpi. Diversi santuari di Asclepio furono fondati nell'antica Grecia, ma tutti riconoscevano la gloria del dio nell'Asklepieion di Epidauro.  

IL RITUALE DEL CULTO E IL METODO TERAPEUTICO - Il santuario di Asclepio apparteneva alla città di Epidauro, ed era la città stessa che nominava ogni anno l'arconte supremo, cioè il sacerdote di Asclepio. Le sue funzioni erano religiose e amministrative in quanto doveva provvedere all'osservanza delle regole del culto, alla custodia degli ex voto e del tesoro, all'amministrazione delle finanze. Nel suo operato era aiutato dallo lerateion, costituito da sacerdoti cui erano assegnate funzioni ben specifiche: c'erano il pyrphoros (custode del fuoco), la nakoros, i naophylakes (custodi del tempio), gli ieromnemones (custodi delle cose sacre) ed altri. Le regole del culto risalivano a tradizioni antichissime ed i pazienti dovevano applicarle rigorosamente per ottenere la guarigione dal dio.

I pellegrini, una volta raggiunto il propylon del santuario, dovevano rendersi conto di entrare in un'area sacra, per dedicarsi corpo ed anima, alla magnanimità del dio. Un'antica legge vietava alle donne di partorire all'interno del santuario e chi era prossimo alla morte doveva essere portato fuori dal luogo sacro.

Superando il propylon, su una lastra di pietra, vedevano incise le prime istruzioni per il fedele:

"Quando entrerai nella dimora del dio
profumata dall'incenso, devi essere puro
e il pensiero è puro se tu pensi con venerazione"

Il  pellegrino prendeva la Via Sacra che conduceva dai propilei al Tempio di Asclepio; nel tempio maestoso era custodita la statua in oro ed avorio del dio, imponente, con espressione serena e buona, pronta ad esaudire le preghiere dei fedeli. Il pellegrino dopo il tempio doveva fermarsi alla Fontana Sacra la cui acqua serviva alle purificazioni previste dalle regole. Li vicino c'era anche l'altare: uno dei doveri fondamentali del pellegrino era l'offerta di un sacrificio ad "Apollo ed Asclepio" e in questo il regolamento era rigoroso, dal momento che mentre il miracolo veniva attribuito ad Asclepio, l'obbligo di venerare Apollo persisteva. Il sacrificio più ricco era quello di un bue, ma anche i galli erano benaccetti dal dio. I poveri potevano offrire sacrifici incruenti, come frutta, focacce o anche qualcosa di più umile. Chi veniva da lontano aveva il permesso di offrire solo denaro. Gli animali sacrificati dovevano essere sempre consumati all'interno del santuario.

Dopo le preghiere, le purificazioni, i sacrifici, il malato doveva superare delle prove religiose per il rafforzamento della propria fede e la sua anima doveva essere pronta ad avvicinarsi al dio. Come e dove si svolgessero questi rituali non è noto da alcuna fonte, forse perché dovevano restare segreti. Secondo un'ipotesi la Thymele (o Tholos), cioè la costruzione circolare vicino al tempio, aveva questa destinazione e in tal modo si spiegherebbe l'enigmatico labirinto situato sotto il pavimento della cella di questo edificio.

I sacerdoti che preparavano i fedeli, dovevano portarli ad un intenso stato di autosuggestione e di esaltazione religiosa, affinché il dio comparisse loro in sogno e ricevessero il miracolo. La compunzione era ulteriormente accentuata da inni cantati dai peanisti.  

Dopo le prove spirituali arrivava il momento dell'Incubazione": i sacerdoti conducevano il paziente nell'abaton (o adyton o enchoimeterion), cioè l'edificio in cui avrebbe trascorso la notte della grande attesa. Nelle sale sacre illuminate inizialmente da una luce opaca e misteriosa diffusa dalle lucerne sacre, sopraffatto dalla compunzione religiosa, con immaginazione sconvolta, con angoscia per il risultato, il malato sprofondava nel sonno. I sacerdoti si ritiravano lasciando le sale nel buio e allora il dio compariva nel sogno e compiva il suo miracolo. Il mattino dopo il paziente si svegliava guarito.

Se il fedele riacquistava la salute prima di lasciare il santuario, doveva ringraziare il dio, "sacrificare per la guarigione" e spesso era il dio stesso a stabilire l'offerta; talvolta lo facevano i sacerdoti. Le offerte variavano a seconda delle possibilità economiche del fedele. Oltre al denaro, doveva essere fatta anche un'offerta in natura. Era accettato tutto: vasi fittili, utensili di bronzo, iscrizioni votive, statue, altari, fontane, interi edifici. Le numerose opere d'arte e costruzioni si devono proprio a questo. Le migliori informazioni riguardo ai miracoli dì Asclepio sono date dalle stele, cioè dalle iscrizioni votive sulle quali i fedeli guariti narrano l'evento della loro guarigione. Circa settanta "miracoli" scritti sono stati rinvenuti fino ad oggi e l'ingenuità delle descrizioni è singolare: "Un bambino, muto, è venuto al santuario per pregare il dio di dargli la voce. Dopo i sacrifici e i riti preparatori il pyrphoros, il servo del tempio, si è rivolto al padre del ragazzo e gli ha chiesto: Prometti di pagare il compenso della guarigione in un anno se tuo figlio guarisce? - Prometto, risponde improvvisamente il bambino".

"Pandaro della Tessaglia aveva delle macchie sulla fronte. Mentre dormiva nell'abaton ebbe una visione: il dio con una benda gli avvolse la fronte e gli ordinò di uscire dall'abaton, di togliersi la benda e di offrirla al tempio. Quando si fece giorno si alzò dal letto e si tolse la benda. La fronte era tutta pulita e le macchie attaccate alla benda. Allora la offrì al tempio". "Una donna di Messene, dal nome Nikoboule, desiderava avere un figlio. Dormì nell'abaton e in sogno vide presentarsi il dio con un grosso serpente in mano. Il serpente dormì con lei. Nel giro di un anno la donna partorì due figli".

Nessuna fonte scritta fa riferimento, durante i primi secoli dalla fondazione del santuario, ad un vero e proprio intervento medico dei sacerdoti. La terapia avveniva alla sola presenza del dio. Con il passare del tempo l'evoluzione della medicina cominciò a minare la fede nell'intervento divino ed il Santuario di Epidauro, come pure gli altri Asklepieia della Grecia, rischiò dì perdere la sua "clientela"; perciò i sacerdoti furono costretti ad "aggiornarsi". Furono mantenute tutte le formalità del culto, ma i sacerdoti prima dell'Incubazione" chiedevano al paziente di descrivere la sua malattia e gli davano i primi consigli. Durante la notte compariva ugualmente Asclepio, ma il malato ormai riportava nel sogno i consigli del sacerdote come esortazioni del dio. La mattina dopo raccontava il sogno e i sacerdoti, servendosi delle loro conoscenze di medicina, interpretavano i consigli del dio per dare corso alla terapia, protraendo la permanenza del malato nel santuario. Una descrizione eloquente di questi mutamenti è riportata su una lastra votiva offerta da un certo Apeila nel II sec. d.C., che soffriva di ipocondria e di una terribile dispepsia. "Mentre viaggiavo verso il santuario e mi avvicinavo ad Egina, è comparso il dio e mi ha consigliato di non arrabbiarmi tanto. Quando sono arrivato al santuario mi ha detto di coprirmi la testa quando pioveva, di mangiare pane, formaggio, sedano, lattuga, di fare il bagno senza l'aiuto di un servo, di esercitarmi nella palestra, di bere il succo di limone, di fare passeggiate... Infine il dio mi ha ordinato di scrivere tutto questo su una pietra. Sono partito dal santuario sano, ringraziando il dio".

In questo modo il Santuario non restò soltanto un centro religioso, ma si evolse in una istituzione terapeutica e persino in una località mondana, con un ambiente sereno e gradevole, i bagni caldi e freddi, le foresterie, le palestre, le gare, le rappresentazioni teatrali. Grazie al suo rimodernamento non solo non decadde ma ebbe un nuovo periodo di splendore nel II secolo d.C. Quando la fede negli dèi olimpici fu definitivamente sconvolta e l'anima e la mente brancolavano nel buio prima del trionfo del Cristianesimo, Asclepio fu l'unico dio ad essere rimasto fino alla fine vicino all'uomo sofferente. Agli albori dei IV secolo d.C. i pellegrini andavano ancora a dormire nell'abaton nella speranza di guarire.

Alla fine di quel secolo (395 d.C.) l'invasione dei Goti devastò il santuario e poco più tardi (426 d.C.) un editto dell'imperatore Teodosio II chiuse l'ingresso dei propilei. Il fanatismo della nuova religione non rispettò l'arte antica. La catastrofe fu completata da due forti terremoti nel VI secolo che fecero crollare le splendide costruzioni trasformandole nei resti portati alla luce dagli scavi archeologici.  

Agosto 2013

  Pag. 2